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Sommario del 15/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: indegno che in Medio Oriente persone contino meno del petrolio

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Un accorato appello affinché il mondo apra gli occhi sulle indicibili sofferenze dei cristiani perseguitati in Medio Oriente. Papa Francesco ha colto l’occasione dell’udienza alla plenaria della Roaco per denunciare che in tante terre dall’Iraq alla Siria, oggi la vita di migliaia di persone conta meno del petrolio e delle armi. Ancora, Francesco ha ribadito che è intollerabile il comportamento di chi proclama la pace a parole ma poi, in concreto, semina la morte. Il saluto al Papa è stato rivolto dal cardinale prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, Leonardo Sandri. Il servizio di Alessandro Gisotti

Parte da un ricordo l’udienza di Francesco alla Roaco. Il Papa rammenta che l’ultimo incontro con l’organismo che sostiene le Chiese Orientali era avvenuto l’anno scorso a pochi giorni dal viaggio apostolico in Terra Santa e dalla successiva Supplica per la Pace in Vaticano. Tutti, sottolinea, “avremmo desiderato che il seme della riconciliazione avesse prodotto più frutti”:

“Altri eventi che hanno ulteriormente sconvolto il Medio Oriente, da anni segnato da conflitti, ci fanno sentire il freddo di un inverno e di un gelo nel cuore degli uomini che sembra non finire. La terra di quelle regioni è solcata dai passi di quanti cercano rifugio e irrigata dal sangue di tanti uomini e donne, tra i quali numerosi cristiani perseguitati a causa della loro fede”

Portare ai cristiani perseguitati lo sguardo di Gesù
Nel recente viaggio in Iraq di una vostra delegazione, prosegue il Papa, “avete incontrato volti concreti, in particolare gli sfollati della Piana di Ninive, ma anche piccoli gruppi provenienti dalla Siria”:

“Avete portato loro lo sguardo e la benedizione del Signore. Ma al tempo stesso sentivate che in quegli occhi che chiedevano aiuto e supplicavano la pace e il ritorno alle proprie case era proprio Gesù stesso che vi guardava, chiedendo quella carità che ci fa essere cristiani”.

“Ogni opera di aiuto, per non cadere nell’efficientismo o in un assistenzialismo che non promuove le persone e i popoli – sottolinea riprendendo la Bolla di indizione del Giubileo della Misericordia – deve rinascere sempre da questa benedizione del Signore che ci giunge quando abbiamo il coraggio di guardare la realtà”.

La vita di migliaia di persone non può pesare meno del petrolio
Il Papa riconosce poi che “sembra che il mondo abbia avuto un sussulto di coscienza e abbia aperto gli occhi, rendendosi conto della presenza millenaria dei cristiani nel Medio Oriente”. E sottolinea, in particolare, che si sono “moltiplicate iniziative di sensibilizzazione e di aiuto per loro e per tutti gli altri innocenti ingiustamente colpiti dalla violenza”:

“Tuttavia, ci sarebbe da compiere un ulteriore sforzo per eliminare quelli che appaiono come taciti accordi per i quali la vita di migliaia e migliaia di famiglie – donne, uomini, bambini, anziani – sulla bilancia degli interessi sembra pesare meno del petrolio e delle armi, e mentre si proclama la pace e la giustizia si tollera che i trafficanti di morte agiscano in quelle terre. Vi incoraggio pertanto, mentre proseguite il servizio della carità cristiana, a denunciare ciò che calpesta la dignità dell’uomo”.

Aiutare le comunità cristiane di Etiopia ed Eritrea
Francesco osserva dunque che la plenaria della Roaco è dedicata anche all’Etiopia, all’Eritrea:

“Voi potete aiutare queste antichissime comunità  cristiane a sentirsi partecipi dalla missione evangelizzatrice e ad offrire, soprattutto ai giovani, un orizzonte di speranza e di crescita. Senza questo, non potrà arrestarsi il flusso migratorio che vede tanti figli e figlie di quella regione mettersi in cammino per giungere alle coste del Mediterraneo, a rischio della vita”.

Nazione armena custode di fede e martirio
Né dimentica di ricordare che la Roaco si occuperà anche dell’Armenia, “culla della prima nazione che ricevette il battesimo”, ricorda il Papa, e che “custodisce essa pure una grande storia ricca di cultura, di fede e di martirio”. Francesco ha dunque concluso il suo discorso riprendendo un passo dell’Inno sulla Resurrezione di Sant’Efrem:

“Accetta, nostro Re, la nostra offerta, e donaci in cambio la salvezza. Pacifica le terre devastate, riedifica le chiese incendiate affinché, quando vi sarà grande pace, una grande corona possiamo intrecciarti di fiori provenienti da ogni parte, perché sia incoronato il Signore della pace”

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Papa: improrogabile una comunione tra i cristiani

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L’esigenza di una “nuova evangelizzazione” di tanti uomini e donne che oggi sembrano indifferenti al Vangelo rende improrogabile una “comunione visibile tra i cristiani”. Lo ha evidenziato Papa Francesco nel discorso alla delegazione della Repubblica Ceca, a Roma per celebrare una Liturgia di Riconciliazione in occasione del 600.mo anniversario della morte del predicatore riformatore boemo, Jan Hus, arso sul rogo nel 1415 a Costanza. Presente all’udienza anche il cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo emerito di Praga. Il servizio di Giada Aquilino

Riconoscerci amici
Affrontare “le tradizionali questioni conflittuali con uno sguardo nuovo”, per “progredire insieme nel cammino della riconciliazione e della pace”. Questo l’auspicio di Papa Francesco alla delegazione della Chiesa cecoslovacca hussita e della Chiesa evangelica dei Fratelli cechi:

“Impariamo, per grazia di Dio, a riconoscerci gli uni gli altri come amici e a considerare le motivazioni degli altri nella migliore luce possibile”.

Sguardo nuovo su dispute del passato
Esortando a sviluppare “legami di amicizia”, anche a livello di comunità locali e parrocchiali, il Pontefice ha sottolineato l’opportunità di “rinnovare e approfondire le relazioni” tra cristiani. Ricordando che Gesù “alla vigilia della sua passione e morte ha pregato il Padre per l’unità dei suoi discepoli”, Francesco ha evidenziato che “abbiamo il dovere di promuovere una sempre maggiore conoscenza reciproca e una fattiva collaborazione”:

“Molte dispute del passato chiedono di essere rivisitate alla luce del nuovo contesto in cui viviamo e accordi e convergenze saranno raggiunti se affronteremo le tradizionali questioni conflittuali con uno sguardo nuovo”.

Rammarico espresso da san Giovanni Paolo II su crudele morte di Jan Hus
La “condivisa professione di fede in Dio Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo”, nella quale siamo stati battezzati, ha aggiunto, “già ci unisce in vincoli di autentica fraternità”. Sono trascorsi sei secoli - ha riflettuto - dalla tragica morte sul rogo del “rinomato predicatore e rettore dell’Università di Praga, Jan Hus”. Il Papa ha quindi sottolineato come nel 1999 san Giovanni Paolo II espresse “profondo rammarico per la crudele morte” inflittagli, annoverandolo “tra i riformatori della Chiesa”:

“Occorre continuare lo studio sulla persona e l’attività di Jan Hus, il quale per lungo tempo è stato oggetto di contesa tra cristiani, mentre oggi è diventato motivo di dialogo. Questa ricerca, condotta senza condizionamenti di tipo ideologico, sarà un importante servizio alla verità storica, a tutti i cristiani e all’intera società, anche al di là dei confini della vostra Nazione”.

Dal Concilio, movimento verso l'unità
Un invito quindi alle spinte ecumeniche venute del Concilio Vaticano II, in materia di “movimento verso l’unità”:

“L’esigenza di una nuova evangelizzazione di tanti uomini e donne che sembrano indifferenti alla gioiosa notizia del Vangelo, rende improrogabile il dovere di rinnovamento di ogni struttura ecclesiale in modo da favorire la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia”.

Comunione visibile tra cristiani
Una “comunione visibile tra i cristiani”, ha spiegato, renderà sicuramente più credibile l’annuncio. Per questo il Papa ha pregato Dio affinché “conceda la grazia di riconoscerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri”.

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Francesco: custodiamo il cuore dal “rumore pagano”

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Il cristiano impari a custodire il cuore dalle “passioni” e dai “rumori mondani”, per essere attento ad accogliere in ogni momento la grazia di Dio. È la riflessione che Papa Francesco ha offerto durante l’omelia della Messa del mattino, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

C’è un “momento favorevole” per accogliere il dono gratuito della grazia di Dio e quel momento è “adesso”. Il cristiano, dice Papa Francesco, deve esserne consapevole e dunque avere il cuore preparato ad accogliere quel dono, un cuore sgombro “dal rumore mondano” che è poi il “rumore del diavolo”.

Capire il tempo di Dio
A ispirare la riflessione del Papa sono entrambi le letture della liturgia. Da San Paolo, Francesco prende la sottolineatura a “non accogliere invano la grazia di Dio”, che si manifesta, afferma l’Apostolo, “ora”. Questo significa, osserva il Papa, che “in ogni tempo il Signore ci ridà la grazia”, il “dono che è gratuito”. Accogliamolo, esorta Francesco, facendo attenzione al resto che Paolo indica: “Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno”:

“E’ lo scandalo del cristiano che si dice cristiano, anche va in chiesa, va le domeniche a Messa ma vive non come cristiano, vive come mondano o come pagano. E quando una persona è così, scandalizza. Quante volte abbiamo sentito nei nostri quartieri, nei negozi: ‘Guarda quello o quella, tutte le domeniche a Messa e poi fa questo, questo, questo, questo…’. E la gente si scandalizza. E’ questo che Paolo dice: ‘Ma non accogliere invano’. E come dobbiamo accogliere? Prima di tutto è il ‘momento favorevole’, dice. Noi dobbiamo essere attenti per capire il tempo di Dio, quando Dio passa per il nostro cuore”.

Un cuore libero dalle passioni
E la soglia di questa attenzione, spiega Francesco, il cristiano la raggiunge se si mette in condizione di “custodire il cuore”, “allontanando ogni rumore che non viene dal Signore”, allontanando, suggerisce, le “cose che ci tolgono la pace”. Un cuore liberato dalle “passioni”, quelle che nel brano del Vangelo – nota Francesco – Gesù sintetizza nell’“occhio per occhio” rovesciandone la prospettiva con il “porgi l’altra guancia”, con le due miglia fatte insieme a chi ti ha costretto a farne uno:

“Essere libero dalle passioni e avere un cuore umile, un cuore mite. Il cuore viene custodito dall’umiltà, dalla mitezza, mai dalle lotte, dalle guerre. No! Questo è il rumore: rumore mondano, rumore pagano o rumore del diavolo. Il cuore in pace. ‘Non dare motivo di scandalo a nessuno perché non venga criticato il nostro ministero’, dice Paolo ma parla del ministero anche della testimonianza cristiana, perché non venga criticato”.

Sapienti e benevoli
Custodire il cuore per essere di Dio sempre ovvero, come elenca San Paolo, “nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni”:

“Ma sono cose brutte tutte queste e io devo custodire il mio cuore per accogliere la gratuità e il dono di Dio? Sì! E come lo faccio? Continua Paolo: ‘Con purezza, con sapienza, con magnanimità, con benevolenza, con spirito di santità’. L’umiltà, la benevolenza, la pazienza, che soltanto guarda Dio, e ha il cuore aperto al Signore che passa”.

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Convegno diocesano. Papa: differenza uomo donna fa crescere figli

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Le differenze tra uomo e donna fanno crescere i figli. Le famiglie reagiscano alla colonizzazione ideologica. Così il Papa ieri sera aprendo in una piazza S. Pietro gremita da 20mila fedeli , il Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma. Francesco ha parlato a braccio a catechisti, sacerdoti, operatori pastorali e soprattutto ai genitori, alla cui responsabilità educativa e evangelizzatrice il Convegno è dedicato. “Seminate amore” – ha raccomandato ai genitori – “ e ricordate che i figli sono sacri”. Il servizio di Gabriella Ceraso

Una grande gioia esplode in piazza S. Pietro quando il Papa e vescovo di Roma raggiunge il sagrato della Basilica fermandosi più volte con l’auto per stringere le mani e abbracciare i bambini. A salutarlo è la sua diocesi, “che” dice il cardinale vicario, Agostino Vallini, ”da anni attua una pastorale in uscita. Ora ci appassiona la sfida di trasmettere la fede alle nuove generazioni a partire dai genitori”

Rinascita di Roma
Ed è a loro, che il Papa si rivolge prendendo la parola, dopo l'invocazione allo Spirito Santo. Proseguiamo insieme, afferma, sul cammino di trasmissione della fede di cui questa città ha tanto bisogno per una “rinascita morale e spirituale”:

“La nostra città deve rinascere moralmente e spiritualmente, perché sembra che tutto sia lo stesso, che tutto sia relativo; che il Vangelo è sì una bella storia di cose belle, è bello leggerlo, ma rimane lì, un’idea.”

E’ un impegno grande specie pensando agli adolescenti che si trovano ad affrontare “le colonizzazioni ideologiche che avvelenano l’anima e la famiglia”:

“Queste colonizzazioni ideologiche, che fanno tanto male e distruggono una società, un Paese, una famiglia. E per questo abbiamo bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale.”

La chiamata a essere genitori
Su tre parole semplici, circa il  mistero di essere genitori, Francesco si sofferma. La prima è la "vocazione", perché diventare papà e mamma, dice, è una chiamata di Dio “ad amarsi totalmente e senza riserve, cooperando con Dio in questo amore e nel trasmettere la vita ai figli”:

“Il Signore vi ha scelti per amarvi e trasmettere la vita. Queste due cose: la vocazione dei genitori. Questa è una chiamata bellissima perché ci fa essere, in modo del tutto speciale a immagine e somiglianza di Dio. Diventare papà e mamma significa davvero realizzarsi pienamente, perché è diventare simili a Dio”.

Chiamati dunque ad amarsi e a credere nella bellezza dell’amore, è questo che i vostri figli guardano, ammonisce il Papa, non lo dimenticate:

“Per un figlio non c'è insegnamento e testimonianza più grande che vedere i propri genitori che si amano con tenerezza, si rispettano, sono gentili tra di loro, si perdonano a vicenda: ciò che riempie di gioia e di felicità vera il cuore dei figli. I figli, prima di abitare una casa fatta di mattoni, abitano un'altra casa, ancora più essenziale: abitano l'amore reciproco dei genitori”.

La fondamentale differenza tra uomo e donna
La seconda parola su cui riflettere è "comunione". “Essere genitori”, ricorda Francesco, “si fonda nella diversità biblica di essere maschio e femmina.

“Questa è la ‘prima’ e più fondamentale differenza, costitutiva dell'essere umano. E’ una ricchezza. Le differenze sono ricchezze. C’è tanta gente che ha paura delle differenze, ma sono ricchezze”.

Una diversità che diventa complementarietà e reciprocità, sottolinea Francesco, che fa crescere i coniugi, ma soprattutto matura i figli:

“Figli maturano vedendo papà e mamma così; maturano la propria identità in confronto con l’amore che hanno papà e mamma, in confronto con questa differenza”.

Mai usare i figli
Una diversità che va custodita, avverte il Papa, ma, se dovesse trasformarsi in tensione, dice, dovete chiedere aiuto innanzitutto a Dio. E poi, “se la separazione sembra inevitabile”, sappiate che la “Chiesa vi porta sempre nel cuore e che il vostro compito educativo non si interrompe”. Da qui la sua preghiera:” Non usate i figli come ostaggi”:

“Mai, mai parlare ai figli male dell’altro! Mai! Perché loro sono le prime vittime di questa lotta e – permettetemi la parola – anche di questo odio, tante volte, fra i due. I figli sono sacri. Non ferirli!”

L’ultimo impegno che Francesco lascia ai genitori è la missione. ”Il dono del matrimonio è missione”, dice:“siete collaboratori dello Spirito Santo che ci sussurra le parole di Gesù, siatelo anche per i vostri figli”:

“Essi impareranno dalle vostre labbra e dalla vostra vita che seguire il Signore dona entusiasmo, voglia di spendersi per altri, dona speranza sempre, di fronte alle difficoltà e ai dolore, perché non si è mai soli, ma sempre con il Signore e con i fratelli”

I Nonni preziosi per la famiglia
Ma le ultime parole del Papa prima delle preghiere finali e dell’affidamento alla Vergine sono rivolte ai nonni. Loro, che hanno salvato la fede in tanti Paesi dove era proibito praticare la religione, loro che insegnavano le preghiere ai bambini. Loro hanno la saggezza,non ve ne vergognate, ripete il Papa, “tenerli a casa è una ricchezza”.

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Papa a colloquio con presidente Colombia su pace e progresso sociale

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Francesco ha ricevuto oggi in udienza il presidente della Colombia, Juan Manuel Santos Calderón, che ha successivamente incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, e mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. “Nel corso dei cordiali colloqui – informa una nota della Sala Stampa Vaticana – sono state evocate le buone relazioni che intercorrono tra la Santa Sede e la Repubblica di Colombia, sottolineando il contributo che la Chiesa Cattolica ha dato e continua ad assicurare in favore del progresso umano, sociale e culturale della popolazione”.

Promuovere le trattative per l’Accordo di pace
Tra gli argomenti passati in rassegna, prosegue il comunicato, una “peculiare attenzione è stata data allo stato del processo di riconciliazione in corso nel Paese, alla complessità delle trattative che esso comporta, e alle prospettive che potrebbe dischiudere il raggiungimento di un Accordo di pace”. Infine, “c’è stato uno scambio di vedute sulla situazione politica e sociale regionale, con attenzione agli sforzi volti a promuovere la stabilità dei Paesi dell’area, il loro armonico ed equo sviluppo, e la promozione di una cultura della legalità”.

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Altre udienze e nomine

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il Metropolita Hilarion di Volokolamsk, Presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche Esterne del Patriarcato di Mosca; mons. Fortunatus Nwachukwu, Arcivescovo tit. di Acquaviva, Nunzio Apostolico in Nicaragua; il signor Enrique García, Presidente Esecutivo del “Banco de Desarrollo de América Latina”.

Negli Usa, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Saint Paul and Minneapolis, presentata da mons. John Clayton Nienstedt, in conformità al canone 401 §2 del Codice di Diritto Canonico. Il Papa ha nominato Amministratore Apostolico “sede vacante” dell’arcidiocesi di Saint Paul and Minneapolis mons. Bernard Anthony Hebda, arcivescovo Coadiutore di Newark. Il Santo Padre ha inoltre accettato la rinuncia all’ufficio di Ausiliare dell’arcidiocesi di Saint Paul and Minneapolis, presentata da mons. Lee Anthony Piché, in conformità ai canoni 411 e 401 §2 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Nunzio Apostolico in Angola e São Tomé e Príncipe S.E. Mons. Petar Rajič, Arcivescovo titolare di Sarsenterum, finora Nunzio Apostolico in Kuwait, Bahrein, Yemen, Qatar e Emirati Arabi Uniti e Delegato Apostolico nella Penisola Arabica.

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Dicastero Famiglia sostiene manifestazione no-gender a scuola

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Il Pontificio Consiglio per la Famiglia augura pieno successo alla manifestazione convocata per il prossimo sabato 20 giugno alle 15:30 in piazza san Giovanni in Laterano a Roma dal Comitato “Difendiamo i nostri figli” dall’ideologia gender. In un messaggio firmato dal presidente del dicastero vaticano, mons. Vincenzo Paglia, si ricorda l’attenzione del Papa ai temi della famiglia, cellula fondamentale della società. Di ieri il rinnovato appello del Santo Padre a reagire alla "colonizzazione ideologica" del gender nelle scuole. Al microfono di Paolo Ondarza il portavoce del Pontificio Consiglio per la Famiglia, padre Gianfranco Grieco

R. – Riprendendo quello che il Papa ha detto ieri pomeriggio, mi è piaciuta l'espressione: "colonizzazione ideologica". Noi dobbiamo stare attenti oggi a questa colonizzazione ideologica. I bambini non possono essere trattati come imbuti dove i più grandi, invece di farli crescere, gli fanno divorare certe ideologie, come quella del gender, che non hanno nessun senso. Questi bambini, cioè, devono crescere in un contesto totalmente umano, totalmente accessibile, totalmente libero. Dobbiamo fare questo lavoro di difesa, che rispetti la bellezza, che rispetti l’innocenza, che rispetti il candore.

D. – Il Papa, che ha esortato a reagire alla colonizzazione ideologica, è informato di questa manifestazione?

R. – Ci mancherebbe altro che il Papa non sia informato! Il Papa sa benissimo che la Chiesa ha un grande compito: quello di difendere i figli da queste ideologie, che sono veramente delle colonizzazioni, cioè hanno un appalto culturale sulla scuola, sulla crescita, sui ragazzi, sull’anima, sull’intelligenza. E proprio non è opportuno che questo avvenga. Dobbiamo, a tutti i costi, difendere. Non basta difendere, però, dobbiamo in primo luogo promuovere una cultura della vita, una cultura dell’amore, una cultura della convivenza, tutto quello che la Chiesa e tutto quello che il Vangelo, che l’educazione cattolica è in grado di dare ai nostri bambini.

D. – Proprio per riumanizzare la società, per non renderla – come si legge nel vostro comunicato – fluida, ma forte, fondata appunto sulla famiglia, il Pontificio Consiglio per la Famiglia augura "pieno successo" a questa manifestazione, nella convinzione che darà un contributo prezioso alla vita della Chiesa e di tutte le persone che hanno a cuore il bene dell’intera umanità…

R. – Noi non possiamo essere distanti da iniziative di questo genere, che promuovono i valori dell’infanzia, i valori del bambino, i valori della famiglia. Non possiamo mancare, anche in questa occasione, nell’essere voce dei bambini, voce dei più deboli. Che, soprattutto, questa manifestazione faccia prendere coscienza a chi è responsabile dell’avvenire dei figli che ci sono altre predicazioni da fare, altre verità da promuovere e altro rispetto da dare ai nostri bambini, che crescono in una società che deve essere una società plurale, non una società che imponga a senso unico i non valori.

D. – La manifestazione di sabato è aconfessionale, apartitica, ma le famiglie che la organizzano non possono nascondere la loro gioia nel sapere che il Papa, la Santa Sede, è vicino a loro in questa mobilitazione…

R. – Noi sappiamo che il tema della famiglia, il tema dei bambini, il tema dei valori, non è un tema che riguarda solo la Chiesa cattolica. La Chiesa non fa un discorso di parte, la Chiesa fa un discorso che abbraccia nella globalità la bellezza di un annuncio che vede nei nostri figli il futuro e vede la primavera del domani. E guai ad offendere questa primavera e guai a distruggere questo orizzonte! Poveri noi, davvero, se mortifichiamo ed uccidiamo questa speranza!

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Rinvio a giudizio per l’ex nunzio Józef Wesołowski

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È stato rinviato a giudizio l’ex nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana, Józef Wesołowski. A firmare il decreto è stato il presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, il prof. Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, che ha disposto il provvedimento su richiesta dell’Ufficio del Promotore di Giustizia. La prima udienza del processo, informa una nota ufficiale, è fissata per il giorno 11 luglio 2015.

All’ex prelato, si legge nella nota, “vengono contestati taluni reati commessi sia durante il suo soggiorno a Roma dall’agosto 2013 sino al momento del suo arresto (avvenuto il 22 settembre 2014), sia nel periodo trascorso nella Repubblica Dominicana, nei cinque anni in cui ha ricoperto l’Ufficio di Nunzio Apostolico (il 24 gennaio 2008 era stato nominato Nunzio nella Repubblica Dominicana e delegato apostolico a Porto Rico, uffici da cui si è dimesso il 21 agosto 2013)”.

In particolare, viene precisato, “per quanto riguarda il periodo trascorso a Roma, il provvedimento contesta il reato di detenzione di materiale pedopornografico, introdotto dalla legge n. VIII del 2013 di Papa Francesco”, mentre “per il periodo precedente, il quadro di accusa si basa sul materiale probatorio trasmesso dall’Autorità Giudiziaria di Santo Domingo circa gli abusi sessuali su minori”.

“L’insieme delle gravi accuse – afferma il comunicato – dovrà passare al vaglio dell’Organo giudicante, che potrà disporre, per il definitivo accertamento dei fatti, sia di perizie tecniche sugli apparati informatici utilizzati dall’imputato, sia eventualmente di forme di cooperazione giudiziale internazionale per la valutazione delle prove testimoniali provenienti dalle competenti Autorità di Santo Domingo. Una procedura delicata ed articolata, sulla quale è intendimento di tutte le parti coinvolte in giudizio effettuare i più attenti riscontri ed approfondimenti”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Quanto pesano il petrolio e le armi: il Papa torna a denunciare la drammatica situazione dei cristiani in Medio Oriente.

Roma ha bisogno di rinascere: al convegno diocesano Papa Francesco illustra il compito educativo dei genitori.

Un messaggio per tutti: all'Angelus il Papa parla della prossima Enciclica sulla cura del creato.

Non temere la gioia: riflessioni di Jorge Mario Bergoglio sulla pastorale sociale.

Bisogno di interiorità: il primo capitolo del libro di Lucetta Scaraffia "Andare per monasteri".

Quello spazio bianco senza note: Felice Accrocca su Francesco e la genesi del "Cantico di frate sole".

Spartiacque europeo: Mario Benotti su unione e immigrazione.

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Oggi in Primo Piano



Raid aereo americano in Libia contro Al Qaeda

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Per la prima volta dal 2011, l’aviazione americana ha condotto un'operazione militare in Libia. Obiettivo del raid – ha reso noto il Pentagono – un terrorista legato ad Al Qaeda. Fonti libiche sostengono si tratti dell’algerino Mokhtar Belmokhtar, leader di un gruppo associato ad Al Qaeda. Intanto in Siria, nei pressi del confine con la Turchia, si registrano nuovi scontri tra forze curde e jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

L’aviazione americana ha lanciato nella notte tra sabato e domenica, un raid aereo contro postazioni jihadiste in Libia. Fonti del governo libico di Tobruk hanno reso noto che, in seguito all’operazione militare, è rimasto ucciso uno dei più noti e ricercati terroristi del Nord Africa, l’algerino Belmokhtar, leader del gruppo integralista “al Murabitoun” legato ad Al Qaeda. E’ la prima operazione militare statunitense in Libia dal 2011. Gli Usa, infatti, non partecipavano a raid aerei nel Paese dalle operazioni della Nato che, nel 2011, portarono alla caduta del regime di Gheddafi. Intanto, è rientrato in Italia Ignazio Scaravilli, il medico catanese liberato lo scorso 9 giugno, dopo sei mesi di prigionia in Libia. Dopo la Libia, un altro fronte su cui si concentrano operazioni antiterroristiche è quello siriano. Scontri si registrano in particolare al confine tra Turchia e Siria dove forze curde, sostenute dai ribelli siriani e dai raid della coalizione, cercano di conquistare Tal Abyad, strategica cittadina ancora sotto il controllo dei miliziani del sedicente Stato islamico.

Su questa operazione militare statunitense in Libia Amedeo Lomonaco ha raccolto il commento di Luciano Ardesi, esperto di Nord Adfrica: 

R. – L’attacco, condotto in una città dell’Est della Libia, mirava proprio a mettere fuori gioco uno dei terroristi più pericolosi dell’area. Si tratta di Mokhtar Belmokhtar, che si era già caratterizzato anni addietro per la sua grande capacità organizzativa e di tessere reti. La sua eliminazione è certo un contributo alla lotta contro il terrorismo. Ma va verificato fino a che punto questo potrà indebolire la rete che si è costituita in quella regione nel corso degli ultimi anni.

D. – Chi è esattamente Mokhtar Belmokhtar?

R. – Il personaggio è tipico di un percorso. Innanzitutto, Mokhtar Belmokhtar è originario dell’Algeria, dove è nato e cresciuto. Negli anni ’80 ha abbandonato il Paese e ha raggiunto l’Afghanistan. In quella regione, prima contro i sovietici e poi contro gli americani, si sono formati i più pericolosi terroristi internazionali. Mokhtar Belmokhtar è poi ritornato in Algeria, ha operato nei primi anni ’90 all’interno del Paese, costituendo prima il "Gruppo islamico armato" e poi il "Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento". Si è soprattutto rifugiato nel Nord dell’Algeria, nella zona montagnosa della Cabilia. Poi, sotto l’offensiva dell’esercito algerino, è stato costretto a cambiare regione. A quel punto, si è installato nel Sahara - non solo algerino - ma in quella zona di confine tra Ciad, Niger e Mali. Qui ha operato in tutti questi anni, spingendosi fino in Mauritania. E qui ha messo a frutto la sua capacità, da una parte, di essere formato nel terrorismo, ma, dall’altra, di essere legato alle reti dei contrabbandieri - fondamentalmente di sigarette, di tabacco, e di armi - che hanno costituito anche il retroterra dei gruppi terroristi. Hanno anche consentito loro certamente di armarsi, ma anche di spostarsi con grande facilità e con la complicità delle reti e dei personaggi locali.

D. – Gli Usa non lanciavano raid in Libia dal 2011, ovvero dalla caduta di Gheddafi. Questa operazione militare è un duro colpo per al Qaeda?

R. – Sicuramente rientra nella tattica e anche nella strategia americana di questo ultimo decennio il colpire i leader del terrorismo fondamentalista da Bin Laden in poi. È una tattica che sicuramente ha contribuito a mettere in difficoltà i gruppi stessi; però, come abbiamo visto anche nel fenomeno del sedicente Stato islamico, questi gruppi hanno una grande autonomia - c’è sempre un leader - e anche una grande operatività decentrata, che li slega dai leader e dai capi militari. Quindi la pericolosità di questi gruppi non viene meno anche quando la testa del gruppo stesso, sia politica che militare, dovesse essere decapitata.

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Giallo sulla presenza del presidente sudanese al Bashir in Sudafrica

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E’ giallo sulla partenza del presidente sudanese, Omar al Bashir dal Sudafrica. L’avvocato del capo di Stato ha affermato che si trova ancora a Pretoria in attesa del pronunciamento dell’Alta Corte sulla richiesta di arresto da parte della Corte penale internazionale. Fonti giornalistiche riferiscono invece che è in volo verso il Sudan. Su al Bashir pesano due mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità e di genocidio, ma la comunità internazionale lo ha riconosciuto come capo di Stato anche dopo le ultime elezioni, boicottate dall’opposizione. Benedetta Capelli ha intervistato Antonella Napoli, esperta dell’area e autrice del libro “Il mio nome è Meriam”, edizioni Piemme: 

R. – La vicenda è scandalosa per uno Stato, un Paese, che fa parte della Corte penale internazionale e che quindi era tenuto ad arrestare Bashir, su cui pende un mandato di cattura internazionale. Ma forse è anche più scandaloso il silenzio dei Paesi occidentali, dei grandi Paesi, che continuano a permettere ad un accusato di genocidio di governare un Paese importante come il Sudan.

D. – Il Sudan senza Bashir che Paese sarebbe?

R. – Sarebbe diverso se ci fosse la possibilità di dare corso a politiche diverse, dando spazio magari ad altre realtà. Esiste, infatti, in Sudan una voce diversa, anche all’interno dello stesso National Congress. Purtroppo continua a prevalere la linea di chi vuole una 'sharia' più intransigente. Si vuole mantenere un controllo sul Paese, perché effettivamente un rischio c’è: Bashir ha un carisma, una personalità forte, riesce a tenere insieme una realtà molto frastagliata. Ma dovrebbe esserci una volontà reale di confrontarsi con l’opposizione, con la società civile, che al momento però non sembra concreta.

D. – Quali sono gli interessi in gioco da parte della comunità internazionale, che sempre è stata divisa su al Bashir?

R. – E’ stata sempre divisa sostanzialmente perché c’è un blocco che tutela e protegge Bashir per interessi, prima legati al petrolio, oggi magari ad altre risorse. Si è scoperto di recente che ci sono grandi giacimenti d’oro in Sudan. Questo blocco è caratterizzato fortemente dalla Cina, che - ricordiamo - al Consiglio di Sicurezza dell’Onu è membro permanente e quindi ha il diritto di veto, cosa che ha più volte impedito di potenziare la missione dispiegata in Sudan e che oggi rischia anche di essere depotenziata, se non addirittura chiusa, proprio perché Bashir si è sempre contrapposto all’idea di avere una forza di pace nel Paese. Si tratta di una missione di pace che potrebbe fare molto di più e garantire una stabilizzazione dell’area. Parlo in particolare del Darfur, dove è ancora in corso un conflitto. Ci sono altre realtà, come lo Stato del Nilo Blu e il Kordofan, dove il governo sudanese continua a contrastare i movimenti della ribellione con azioni di guerra, coinvolgendo anche i civili. Mi riferisco pure ad altri Paesi come la Russia, come l’Ucraina, che hanno in qualche modo foraggiato con armi, nonostante ci sia un embargo di vendita delle armi al Sudan. Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti, che invece hanno avviato una trattativa con il governo sudanese, per portarlo su posizioni meno oltranziste. Ad esempio, quando c’è stato il referendum per l’indipendenza del Sud Sudan.

D. – Com’è la situazione dal punto di vista sociale? Come vive la popolazione in Sudan?

R. – La situazione sociale e umanitaria è al tracollo. Mentre nelle grandi città c’è una difficoltà dovuta anche alla crisi, nelle periferie, nelle aree lontane dalle grandi città, dove non arriva l’aiuto umanitario, la situazione è devastante: non c’è assistenza sanitaria, non arrivano più nemmeno gli aiuti umanitari primari, come cibo e acqua. Parliamo proprio di un disastro umanitario ormai fuori controllo, proprio perché non ci sono ong che possano dare assistenza a queste realtà lontane, decentrate. L’opinione pubblica deve capire, e anche la comunità internazionale, che il problema del Darfur, come delle altre realtà che vivono situazioni simili, non è superato, anzi lo si ignora, ma continua a degenerare ed è totalmente fuori controllo.  

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Migranti a Ventimiglia: attesa per "piano B" di Renzi

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La Francia propone di creare in Italia campi gestiti dall'Ue per distinguere i "migranti economici" dai richiedenti asilo. E’ quanto scrive la stampa francese mentre quella italiana discute dei punti che sarebbero contenuti in quello che viene definito il "piano B" del premier Renzi. Intanto è emergenza  per i migranti radunati nelle stazioni di Milano, Roma Tiburtina, Ventimiglia in attesa di poter partire verso il nord Europa. Ma ci sono anche 2000 profughi nel centro di Atene, in maggioranza siriani. Del braccio di ferro che si gioca a Ventimiglia tra Italia e Francia, Fausta Speranza ha parlato con Angela Del Vecchio, docente di Diritto internazionale all’Università Luiss: 

R. – Già c’è stato in altri tempi questo braccio di ferro tra Italia e Francia: 2-3 anni fa la Francia chiuse le sue frontiere, la stessa cosa ...  Il grosso problema è che noi abbiamo un regolamento che si chiama “Dublino 2”, che abbiamo accettato. Il regolamento è un atto obbligatorio e noi come Italia siamo tenuti a quel regolamento, che prevede che il permesso di asilo i migranti lo debbano avere nel territorio di primo sbarco. E il territorio di primo sbarco siamo noi! Quindi dal punto di vista dell’Unione Europea è l’Italia che deve provvedere al problema. Non teniamo, però, lontano dai nostri pensieri che quello che avviene in Italia avviene anche per gli altri Stati sulla terra ferma: pensi che la Bulgaria, povera come è, ha un milione di rifugiati, che le arrivano per terra ferma… E nessuno ne parla. La Svezia non so quanti milioni ne abbia, che le arrivano sempre dalla terra ferma. Quindi ogni Paese dell’Unione Europea, in un modo o nell’altro, ha questi problemi. Il visto, l’asilo, la richiesta di asilo viene fatta nel Paese di primo ingresso e questo in base a questo regolamento “Dublino 2”, che – ripeto – noi abbiamo accettato. Quindi è un obbligo cui noi dobbiamo stare!

D. – Che dire di questa sorta di "piano B" del premier italiano Renzi?

R. – Da quello che so del "piano B" di Renzi, dovrebbe comportare di concedere dei permessi provvisori di identità, che consentano il passaggio in altri Stati a queste persone che si trovano sul nostro territorio. E questo lo abbiamo già utilizzato altre volte. L’altra cosa che mi sembra sia nel piano di Renzi è impedire l’attracco nei nostri porti delle navi straniere che soccorrono i migranti in acque internazionali, lì dove li trovano in mare. Questo, dal punto di vista internazionale, lo può fare: ogni Stato può – se vuole – chiudere i propri porti, così come sta facendo la Francia che chiude le proprie frontiere terrestri… Quindi, queste sono cose che si possono fare. Del resto le navi straniere che recuperano nel mare dei migranti e che sono tenute – in base al diritto internazionale – a soccorrerli, possono attraccare in altri porti. Malta, qualche volta, lo ha fatto, ha chiuso i propri porti: il primo porto era un porto italiano e quindi le navi hanno sbarcato i migranti sulle coste italiane e altre volte li hanno sbarcati sulle coste greche. Sono cose che avvengono. Renzi può chiudere i nostri porti.

D. – Altro punto quello degli accordi con Paesi africani per il rimpatrio…

R. – E’ abbastanza vago, perché c’è un modello di intesa che è stato siglato con il Gambia qualche settimana fa, però c’è una lista di Paesi, come Costa d’Avorio, Senegal, Bangladesh, che sono stati presi in considerazione da Renzi, ma che non sembra siano disponibili. Del resto, poi, per negoziare questi accordi ci vogliono tempi lunghi e ci vogliono anche investimenti. E non possiamo trascurare il fatto che se questa popolazione africana, che si sta muovendo da tutta l’Africa, fugge è perché avrà un problema per cui fugge: non è che fugge per divertimento. Questa è una migrazione proprio di tipo biblico, perché l’Africa è stata lasciata abbandonata a se stessa, perché l’Africa ha questo momento di grandi turbamenti generali in tutti i Paesi. Allora anche qui fare delle intese con questi Paesi, che rendono la vita così difficile ai propri cittadini che vogliono fuggire, quanto ha poi di effettivo? Quanto tempo poi ci vuole perché questo sia concreto?

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Fondazione "Il Faro": storie di accoglienza e integrazione

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Presentato nei giorni scorsi a Roma, presso la Fondazione “Il Faro”, un docufilm dal titolo “L’ospite inatteso. Qualcuno con cui continuare il viaggio”  per la Giornata mondiale del rifugiato 2015. Una testimonianza del cammino di integrazione compiuto da 14 giovani donne rifugiate. Il servizio di Alessandro Filippelli

Un’occasione per raccontare storie significative. Testimonianze verso la conquista di una nuova consapevolezza. Dalla fuga da guerre e persecuzioni fino alla ricerca dell’autonomia, come ricorda Farida partita dalla Nigeria:

R. – Io avevo un fratello, ma adesso non c’è più, avevo un padre, e adesso non c’è più. Ho perso il mio Paese, la mia città... Ho perso tutto quello che avevo nella vita. Non ho più niente. Grazie a Dio, però, oggi sono viva. Sono arrivata in Italia nel 2008 e abito in una casa di accoglienza a Roma.

D. – Puoi spiegarci perché hai lasciato la Nigeria?

R. – Quando sono nata, mia madre è morta. Mi hanno portato quindi da un’amica di mia madre, dove sono cresciuta. Essendo lei cristiana, anch’io sono diventata cristiana. Nel momento in cui è cominciata la "sharia", nel Duemila, nella città di mio padre, Kaduna, dove sono tanti i musulmani, un giorno, mentre tornavo da scuola, hanno bruciato la nostra casa. Hanno portato fuori mio padre e mio fratello, hanno preso la pistola e li hanno uccisi davanti a me. Grazie a Dio, io sono scappata. La gamba mi faceva male e non potevo correre, perché mi avevano bruciato con le sigarette. Così è cominciato il viaggio. Dopo aver perso tutti e senza soldi abbiamo attraversato il deserto fino alla Libia.

D. – Chi ti ha pagato il viaggio per venire in Italia?

R. – Nessuno. Camminando vicino al mare, ho visto gente del mio colore. Mi sono avvicinata e uno di loro mi ha detto: “Adesso vado in Italia”. E io: “Posso?” Mi ha risposto di no, che servivano i soldi, e che non c’era più posto, era tutto pieno. Io ho gli detto che sarei andata anche a piedi, piangendo. E allora lui ha detto: “Va bene, entra”. Così, mi ha dato un posto.

D. – Dopo sei arrivata a Lampedusa?

R. – Sì.

D. – Qual è stato il momento più difficile, quando sei arrivata in Italia?

R. – Il momento più difficile è stato quando ci hanno portato a Ponte Galeria da Lampedusa. Pensavo che la mia vita fosse finita. Grazie a Dio, però, c’è gente di buon cuore.

D. – Com’è la tua nuova vita, di ogni giorno?

R. – La mia nuova vita… Io sono sposata e nel 2011 è nato mio figlio, che si chiama Filippo.

D. – E poi arriva la Fondazione “Il Faro”…

R. – Mi hanno preso come aiuto cuoca in cucina e in pasticceria. Ma quello che voglio dire è che bisogna dimenticare tutto quello che è successo prima. Se tu ci pensi sempre, infatti, non puoi andare avanti.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria: Chiese d'Oriente pregano insieme per la pace

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Il patriarca Ignatius Aphrem II ha invitato i patriarchi di Antiochia a partecipare a un incontro ecumenico svoltosi sabato scorso, alla fine del Sinodo della Chiesa siro-ortodossa celebrato a Maarrat Saidnaya, villaggio a trenta chilometri da Damasco. All'invito hanno aderito anche altri tre patriarchi che portano il titolo di Antiochia: il patriarca greco-ortodosso Yohanna X, il patriarca greco cattolico Grègoire III e il patriarca siro cattolico Ignace Youssef III. Tutti gli ospiti sono stati accolti presso la cattedrale siro-ortodossa dedicata ai Santi Pietro e Paolo, e hanno preso parte a una preghiera ecumenica e quindi ad un incontro per confrontarsi sulla necessità di affrontare insieme le emergenze vissute dalle comunità cristiane mediorientali.

Appello per l'unità delle Chiese d'Antiochia
In particolare, i patriarchi e i vescovi hanno pregato per la pace in Siria, per la liberazione dei due vescovi di Aleppo - il siro-ortodosso mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il greco-ortodosso Boulos Yazigi - rapiti nell'aprile 2013, e per chiedere al Signore che “le Chiese di Antiochia possano vivere insieme una comune testimonianza a Cristo in questa regione”.

Ricordato il genicidio assiro
​Nella serata di sabato scorso, i quattro patriarchi, insieme a vescovi e rappresentanti di altre Chiese, hanno preso parte ad una commemorazione comune del centenario del cosiddetto “Genocidio Assiro”, a 100 anni dalle stragi sistematiche di cristiani siri, assiri e caldei compiute in Anatolia su istigazione del governo dei Giovani Turchi. La commemorazione ecumenica è avvenuta con l'inaugurazione di un monumento nei pressi del monastero siro-ortodosso di Sant'Efrem, dedicato a Sant Efrem, a Maarrat Saidnaya. Lo scorso aprile, a Damasco, vicino al quartiere di Bab Tuma, anche il governo siriano aveva intitolato un giardino ai “martiri siriaci”, in onore delle vittime dei programmi di eliminazione di massa messi in atto in territorio turco nel 1915. (G.V.)

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Siria: a Maaloula inaugurata una nuova statua della Vergine

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Una nuova statua della Vergine Maria è stata inaugurata due giorni fa sulla montagna che domina Maaloula, l’antica cittadina cristiana, venendo a sostituire quella distrutta dai ribelli anti-Assad nel 2013. L’istallazione della statua - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stata festeggiata da diverse famiglie cristiane lì presenti, oltre ai capi religiosi, fra bandiere nazionali e un grande ritratto del presidente siriano Bashar Assad. Maaloula, a 55 km a nord di Damasco, con circa 4 mila abitanti in larga maggioranza cristiani, è nota perché vi sono monasteri e chiese che risalgono ai primi secoli del cristianesimo ed è un paese dove si parla ancora l’aramaico, la lingua usata ai tempi di Gesù Cristo.

Un segnale che la vita a Maaloula torna alla normalità
Verso la fine del 2013 i ribelli anti-Assad, i jihadisti del Fronte al Nousra, hanno occupato la cittadina, distruggendo chiese, icone e uccidendo alcuni cristiani. Alla fine dell’anno, i ribelli hanno anche sequestrato alcune suore e ragazze ospiti del convento, liberate poi dopo mesi, scambiate con decine di prigionieri nelle carceri siriane. Nell’aprile 2014 l’esercito siriano ha riconquistato la città. Negli scontri erano stati distrutti alcuni gioielli archeologici come il convento di Mar Sarkis, che comprende le chiese di san Sergio e Bacco. L’insediamento della statua della Vergine vorrebbe dare il segnale che la vita a Maaloula è ritornata al suo ritmo normale.

Il 30% dei cristiani è fuggito dalla Siria o è sfollato interno
I cristiani della Siria costituiscono il 10% della popolazione, che si aggira sui 22 milioni. A causa della guerra che dura da più di 4 anni, almeno il 30% dei cristiani è rifugiato nei Paesi confinanti (Libano, Giordania, Turchia) o è sfollato interno. (R.P.)

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Iraq: sottratte con inganno case ai cristiani emigrati da Baghdad

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Con la complicità di funzionari corrotti, singoli impostori e gruppi organizzati di truffatori sono riusciti negli ultimi anni ad acquisire illegalmente il possesso di migliaia di case appartenenti a famiglie cristiane di Baghdad, che hanno abbandonato la città per sottrarsi al caos, all'instabilità e alla violenza che regnano in Iraq dai tempi dell'ultimo intervento militare a guida Usa.

Case sottratte con falsi documenti
Tra le decine di migliaia di cristiani fuoriusciti dal Paese negli ultimi anni - riferisce l'agenzia Fides - molti non avevano venduto le case i beni immobiliari, tenendo viva la speranza di far ritorno in Iraq in tempi più tranquilli. Ma adesso, un loro eventuale ritorno sarebbe segnato dall'amara scoperta che le loro proprietà sono passate di mano, e i nuovi possessori sono riusciti in molte situazioni a ottenere anche falsi documenti di proprietà che rendono di fatto impossibile il recupero per vie legali dei beni da parte dei legittimi padroni.

Oltre 7mila violazioni delle proprietà dei cristiani
Il membro del consiglio municipale di Baghdad Mohammed al-Rubai ha dichiarato in una recente intervista televisiva che quasi il 70% delle case dei cristiani della capitale irachena sono state espropriate illegalmente, e i titoli di proprietà sono stati falsificati con manomissioni dei registri catastali realizzate grazie alla connivenza di burocrati disonesti. La Ong “Baghdad Beituna” ha calcolato che le violazioni delle proprietà dei cristiani realizzate con la complicità di pubblici ufficiali corrotti sono state non meno di 7mila. 

L'accusa anche per membri del governo
​A godere dei furti “legalizzati” delle proprietà dei cristiani sarebbero anche membri degli apparati politici e militari: in un rapporto pubblicato lo scorso febbraio dal website al-Arabi al- Jadeed, il Consiglio della Giustizia, supremo organo giudiziario dell'Iraq, aveva accusato membri del governo a quel tempo guidato da Nuri al- Maliki di aver acquisito illegalmente il possesso di proprietà private, in gran parte appartenute a cristiani, con operazioni rese possibili dal caos giuridico seguito all'intervento militare a guida Usa che aveva abbattuto il regime di Saddam Hussein. (G.V.)

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Card. Rai rinnova atto di consacrazione del Libano alla Madonna

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Elevando il pianto e le sofferenze di tutto il Medio oriente, il patriarca maronita card Béchara Raï ieri ad Harissa - in una basilica gremita in ogni ordine di posto - ha celebrato, davanti alla statua miracolosa di Nostra Signora di Fatima, il secondo anniversario della consacrazione del Libano al cuore immacolato di Maria, avvenuta il 13 giugno 2013.  L’atto di consacrazione “del Libano e di tutto il Medio oriente” - riferisce l'agenzia AsiaNews - è stato ripreso dal patriarca e dalla folla dei fedeli sul finale della messa, nel contesto di un cammino di fede che considera la preghiera un attore primario della storia. E perché no, sottolineano quanti credono in una storia che si rivela agli occhi della fede, essa è considerata un metodo di conoscenza di un qualcosa di vero e soprannaturale. 

Il rosario tutti i giorni per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra
“Confidiamo nella provvidenza (del Salvatore) per i popoli e le nazioni del Medio oriente devastati da conflitti, divisioni e guerre, oppressi da tutte le potenze del terrore e dai mercenari sostenuti a livello finanziario, militare e politico” ha esordito il patriarca. Egli ha quindi puntato il dito contro quanti favoriscono “il traffico alla frontiera, gli Stati di Oriente e Occidente”.  Dopo aver ricordato gli atti di consacrazione già celebrati dalla Santa Sede il patriarca ha ricordato alcune delle parole udite dai pastorelli a Fatima: “Attirare così sulla vostra patria la pace”. “Dire il rosario tutti i giorni per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra”. “Oggi - ha quindi proseguito il patriarca - anche noi consacriamo di nuovo la nostra terra santa d’Oriente, in cui si è manifestato il mistero di Dio e il suo piano di Salvezza”. Egli ha quindi nominato in primis l’Iraq, patria di Abramo, poi l’Egitto, la Palestina e la Terra Santa, Gerusalemme, Antiochia “ponte di partenza di tutte le missioni evangeliche”, il Libano e Canaa, dove Gesù ha compiuto il suo primo miracolo pubblico. E ancora Damasco, il luogo della conversione di San Paolo, la Siria, che ha dato dei papi alla Chiesa “e dove ha vissuto san Marone”. 

Il dialogo con l'islam
“Tutte queste terre, consacrate ancora una volta, sono terre in cui i cristiani erano presenti già sei secoli prima dell’arrivo dei musulmani” ha aggiunto il patriarca. Sono terre in cui, da 1400 anni, stanno cercando di imbastire con i musulmani “una civiltà comune, che possa essere modello di vita - ha quindi auspicato - per tutte le società in cui coesistono religioni e culture diverse, a fronte dei venti internazionali contrari che soffiano e sferzano le nostre regioni”. 

Il card. Rai ricorda i recenti massacri dei fratelli drusi in Sinai
Come in un processo di transizione fra la regione e il Libano, il patriarca ha denunciato e manifestato tutta la propria sofferenza nel vedere “fratelli (in Oriente), che professano la stessa fede religiosa, uccidersi fra loro”, facendo riferimento alle violenze fra sunniti e sciiti musulmani. Egli ha poi concentrato le proprie attenzioni sul Libano, esprimendo “la propria pena profonda per i recenti massacri dei fratelli drusi nel villaggio di Qalb Lozé (in Siria)”. Il capo della Chiesa maronita ha presentato le condoglianze allo sceicco druso Akl, formulando al contempo la speranza che questo episodio doloroso sia trattato “con saggezza e ponderazione, per scongiurare sviluppi ancor più gravi”. 

I politici libanesi privano il Libano di un presidente della Repubblica
Il patriarca ha infine affrontato le questioni interne al Paese e soprattutto quelle che più gli stanno a cuore, quelle inerenti la presidenza della Repubblica. Dopo aver sottolineato che “gli spazi di collaborazione dell’uomo con Dio” comprendono anche la sfera politica, il patriarca rivolgendosi ai deputati e agli schieramenti politici impegnati nella cosa pubblica ha precisato: “Nessuno ha il diritto di privare il Libano di un presidente della Repubblica per oltre un anno, ben sapendo che questa vacanza che colpisce il potere legislativo, ostacola l’azione del governo e blocca le nomine nell’amministrazione pubblica. Nessuno ha il diritto di gettare un intero Paese e tutto un popolo in una situazione di anarchia, di povertà e di disagio. Le potenze non hanno il diritto di trattare la patria, il suo destino e le sue istituzioni, in base ai propri umori e interessi personali”. (F.N.)

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Chiesa francese contro i respingimenti a Ventimiglia

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Un appello alla solidarietà cristiana e alla responsabilità politica europea perché non si ceda alla logica dei “dispetti” e non si giochi “alle spalle e sulla pelle degli immigrati”. A lanciarlo è padre Lorenzo Prencipe, direttore del Servizio nazionale della pastorale dei migranti della Conferenza episcopale francese, che al di là della frontiera franco-italiana guarda con preoccupazione la situazione dei respingimenti da parte della gendarmeria francese degli immigrati a Ventimiglia. La ragione di questo indurimento della politica francese verso l’immigrazione “è essenzialmente legata alla situazione politica elettorale in Francia” che il prossimo anno sarà di nuovo chiamata alle urne per eleggere il Presidente della Repubblica.

Non strumentalizzare i migranti a fini elettorali
Quanto sta accadendo tra Mentone e Ventimiglia è dunque un “segnale di forza e in un certo qual modo anche abbastanza ridicolo - sentenzia padre Precipe - che il governo manda all’opinione pubblica e al bacino elettorale. La Francia da un lato pensa e dice di essere traino in Europa e dall’altro frena su tutto quello che può essere politica di asilo e politica di immigrazione comune. Questo è il vero nocciolo del discorso”. Riguardo al “piano B” proposto da Renzi ieri in un’intervista al Corriere della Sera, l’incaricato dei vescovi francesi per l’immigrazione mette anche in guardia il nostro Paese dal proporre “misure solo per farsi i dispetti”. Perché - spiega - “sarebbe giocare alle spalle e sulle pelle di questa gente: non sappiamo infatti come saranno trattati dalla gendarmeria gli immigrati una volta passati alla frontiera e non sempre i giornalisti sono presenti sul posto per verificare come li tratteranno e se rispetteranno questi lascia passare. Sarà tutto da vedere. E se la Francia percepisce che è una presa di posizione dell’Italia solamente per risolvere i problemi interni, naturalmente poi adotterà misure di conseguenza”. 

I politici devono prendersi le proprie responsabilità
 “Ognuno deve fare la sua parte”, conclude padre Prencipe. “Noi come cristiani e comunità ecclesiali non possiamo tirarci indietro e siamo invitati di fronte a queste situazioni ad accoglierle nella solidarietà. Ma i poteri pubblici, le amministrazioni, devono prendersi la loro responsabilità e mettere in atto politiche reali ed efficaci, capaci di affrontare in maniera organica un problema che non è solamente di emergenza umanitaria. Il problema è che dinanzi alla guerra, ai conflitti che continuano a perpetuarsi in Medio Oriente e in Africa, la gente fugge e cerca rifugio. Bisogna quindi attrezzarsi da un lato e dall’altro fare di tutto perché in quei Paesi ritorni cresca la stabilità politica”. (R.P.)

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Svizzera: appello delle comunità religiose per i rifugiati

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Lampedusa, il filo spinato di Melilla, il Mediterraneo come tomba dei migranti: sono queste le parole-chiave che evidenziano “le svariate forme di ingiustizia e repressione sociale che regnano a livello mondiale e l’impulso irrefrenabile delle persone a fuggire da queste circostanze e cercare rifugio” altrove. Lo scrivono, in una nota congiunta, le Chiese e le comunità religiose della Svizzera, in vista dello Sabbat e della Domenica dei rifugiati che ricorreranno, rispettivamente, sabato 20 e domenica 21 giugno. A siglare il comunicato sono: la Conferenza episcopale cattolica elvetica, la Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, la Chiesa cattolica cristiana locale e la Federazione svizzera delle comunità israelitiche.

Dopo caduta del Muro di Berlino, il mondo è più libero, ma ancora ingiusto
“Venticinque anni fa – si legge nel testo - quando cadde il Muro di Berlino e, come conseguenza diretta, i regimi politici del blocco orientale si sgretolarono uno dopo l’altro, molti videro in questi avvenimenti la prova definitiva che i sistemi basati sulla repressione, sullo sfruttamento e sull’isolamento non hanno consistenza e che alla fine vince il bene”, tanto che “questo evento storico viene celebrato anche come grande vittoria del diritto umano alla libertà di emigrare e di viaggiare”. Tuttavia, “oggi, a 25 anni di distanza, si sentono chiare voci che dicono che dalla caduta del Muro il mondo è sì diventato più libero, ma che è tuttora ingiusto e soprattutto meno sicuro”.

Migranti accomunati dalla paura dell’ignoto
“In quanto eredi della concezione dell’essere umano ebraico-cristiana – sottolineano i firmatari dell’appello – le questioni delle persone in fuga devono essere per noi un compito da affrontare”, anche perché “già ai tempi della Bibbia la gente era in fuga: da detentori del potere politico, dalle carestie e da concrete persecuzioni personali. C’era una cosa che li accomunava tutti: la partenza verso l’ignoto e la paura di esso”.

Migrazione non è solo questione economica. Costruire comunità di relazioni
Poi, la nota congiunta evidenza le paure che derivano dai flussi migratori: “paura davanti all’estraneo, paura di perdere la propria sicurezza sociale e politica. Queste paure sono comprensibili – affermano le Chiese elvetiche - È vero che nell’ambito della globalizzazione economica e del progresso tecnologico il mondo si avvicina sempre di più, ma è anche vero che è più diviso che mai”. Ed è proprio per questo che lo Sabbat e la Domenica dei rifugiati ci invitano a non guardare alla migrazione “solo in base agli interessi economici”, bensì “a costruire con gli stranieri una comunità relazionale di persone che imparano le une dalle altre, a beneficio reciproco”. (I.P.)

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Le Chiese asiatiche si preparano all'enciclica "Laudato si"

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Mancano pochi giorni alla pubblicazione dell’enciclica di Papa Francesco sulla salvaguardia del Creato: intitolata “ 'Laudato si’ sulla cura della casa comune”, è attesa per il 18 giugno. Intanto, le diverse Chiese del mondo si sono già attivate, a livello locale, per sensibilizzare i fedeli su questo tema, così importante nel magistero di Papa Bergoglio. Ed è proprio in questo contesto che va collocata la pubblicazione del documento “Verso una gestione responsabile della Creazione – L’approccio asiatico”, preparato dalla Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc).

Questione climatica non è solo politica, ma anche teologica
Piuttosto corposo, in oltre cinquanta pagine tale testo affronta il tema dell’ecologia dal punto di vista teologico, ribadendo l’importanza della collaborazione ecumenica ed interreligiosa nel settore ed offrendo anche suggerimenti pratici per promuovere una cultura ecologica. Suddiviso in sei capitoli, il documento della Fabc si apre con una riflessione sulla distruzione e la manipolazione dell’ambiente perpetrata dall’uomo, il quale “in nome di un guadagno a breve termine, ha compromesso le opportunità delle generazioni future”. “La ricerca di una soluzione a questo problema – si legge nel testo – non può essere solo politica, economica o tecnologica, ma richiede anche un contributo religioso e spirituale, in una prospettiva teologica”.

Logica della produttività non prevalga sulla tutela della vita
Quindi, il pamphlet si concentra sulla specificità della realtà asiatica, “benedetta – si legge – da foreste, spiagge, montagne, fiumi, e molti altri fattori che mantengono l’ecosistema”. Infatti, “le condizioni ecologiche dell’Asia continuano ad essere cruciali per la qualità dell’intero ambiente globale”, anche perché il continente asiatico “è la maggiore fonte di biodiversità nel mondo”. “La sopravvivenza degli esseri umani è una questione legata ai cambiamenti climatici ed al riscaldamento globale”,  evidenzia la Fabc, lanciando poi un allarme per “la perdita di un senso di soggezione e rispetto nei confronti della vita”, in ogni sua forma. In nome dell’avidità, di una logica della produttività e dell’efficienza, infatti, l’arroganza umana pretende di “disturbare e modificare la natura, creata da Dio”. E purtroppo, continua la Chiesa asiatica, “il materialismo viene prima del valore della vita umana e l’avidità dell’uomo non sa come e quando fermarsi, nonostante gli innumerevoli segnali d’avvertimento lanciati da Madre Natura”.

Necessaria collaborazione ecumenica ed interreligiosa nel settore ambientale
Nel capitolo dedicato alle “Raccomandazioni”, inoltre, la Fabc sottolinea che “la fede cristiana deve promuovere una teologia di gestione responsabile”, partendo da “l’idea che l’uomo e la donna sono co-creatori, insieme a Dio”. Non solo: la Chiesa asiatica ricorda che tale concezione esiste in tutte le tradizioni religiose del continente e questa “caratteristica comune può, quindi, essere incoraggiata per promuovere un dialogo ed un’armonia sempre maggiore tra le diverse tradizioni” locali. “Il Creato è un dono di Dio che deve essere amato da tutti”,  continua il documento, e “la Chiesa deve essere una voce profetica per lanciare un appello alla giustizia, allo sviluppo sostenibile, alla buona governance ed alla tutela dei poveri”.

La Chiesa sia un modello per il resto del mondo
Ma ciò non basta: “la Chiesa deve essere anche un modello per il resto del mondo”, al fine di promuovere “la sostenibilità ecologica” ed “un radicale ripensamento della cultura del consumo”. Essenziale, quindi, “riconoscere gli inalienabili diritti della natura e lavorare per la sua liberazione dall’oppressione umana”. Per fare questo, afferma la Fabc, “i cristiani in Asia sono chiamati ad collaborare con Dio Creatore ed a condividere il privilegio di diventare co-creatori”, secondo “un’etica dell’armonia”.

Le tre R: ridurre, riutilizzare, riciclare
Quindi, la Fabc elenca “alcuni suggerimenti pratici” per promuovere la salvaguardia dell’ambiente: sensibilizzare le scuole, le famiglie, i seminari, i centri di formazione religiosa sul tema dell’ecologia; proporre meditazioni e riflessioni liturgiche sulla presenza di Dio nella natura; incoraggiare le parrocchie a ridurre i consumi, riutilizzando i materiali e trasformandole, se possibile, in veri e propri “Centri del riciclo”, magari capaci di utilizzare l’energia solare; introdurre l’eco-teologia tra le materie di studio dei seminari; organizzare campi formativi sui temi ambientali per i giovani; insegnare alle persone a risparmiare l’energia ed a rispettare la natura; incoraggiare i cattolici ad affrontare le questioni ecologiche con i rappresentanti parlamentari; lavorare con le ong che si dedicano alla tutela del Creato.

Il Creato, dono di Dio da amare con umiltà e rispetto
“Cura, compassione, umiltà, rispetto, reverenza, amore – conclude il documento – sono pietre miliari per la creazione di una maggiore consapevolezza sui temi ambientali nel mondo”. Promuovere “simili atteggiamenti positivi è quindi cruciale per il bene del futuro”. E la Chiesa in Asia “può giocare un ruolo integrale in questo ambito”, soprattutto nell’instillare “il desiderio e la  convinzione a lavorare tutti insieme per la salvaguardia del mondo in cui viviamo, che è un dono di Dio all’umanità”. (I.P.)

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Francia: violento incendio danneggia basilica di Nantes

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Un violento incendio ha gravemente danneggiato la basilica neogotica di Saint-Donatien-et-Saint-Rogatiena a Nantes, nell'ovest della Francia. Il rogo, che ha distrutto il tetto della chiesa del XIX secolo, e' divampato alle 10.30 quando era appena iniziata la Messa. I fedeli sono stati subito evacuati e non ci sono stati feriti. I social network - riporta l'agenzia Agi - sono stati invasi da foto e video degli abitanti di Nantes che hanno ripreso il rogo che ha causato danni molto ingenti.

Nessun indizio sull'origine del rogo
Una donna che lavora nella canonica, sentita dal quotidiano Le Figaro, sostiene che le cause delle fiamme sono attribuibili a "una cattiva gestione" di operai che in questi giorni hanno lavorato sul tetto della Basilica, ma gli inquirenti ancora non si sbilanciano sulle origini del rogo. La Basilica di Saint Donatien e' situata nel quartiere Malakoff della citta' francese ed e' una delle due basiliche di Nantes. (Eli)

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Morto Pasquale Foresi, cofondatore del Movimento dei Focolari

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“Ci uniamo a Chiara nel donare a Maria questo suo figlio prediletto, superando così il dolore del distacco”. Un messaggio semplice per comunicare la conclusione dell’esperienza terrena di un pilastro del Movimento dei Focolari. Le parole sono di Maria Voce, presidente del Movimento, e si riferiscono alla scomparsa di Pasquale Foresi, cofondatore dei Focolari, spentosi nella notte di domenica 14 giugno 2015 all’età di 85 anni. Accanto a Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, Pasquale Foresi, primo focolarino sacerdote e primo copresidente è stato - racconta Maria Voce – una “personalità ricchissima nella quale Chiara Lubich sempre ravvisò un ‘disegno’ particolare, quello dell’incarnazione, e cioè il compito di aiutare a materializzare in opere concrete le intuizioni e le mozioni che lo Spirito Santo man mano andava suscitando in lei». In questo modo, prosegue, nella storia dei Focolari “prendevano corpo dimensioni fondamentali del carisma dell’unità nel campo del pensiero e della cultura, del suo ordinamento giuridico, delle sue strutture di formazione, della sua attività di diffusione e editoriale, e altro”. “Se Igino Giordani, politico e noto scrittore cattolico – dà il via, oltre all’apertura del Movimento all’umanità a 360 gradi, a quell’esperienza di luce che conosciamo come Paradiso ’49, l’incontro con don Foresi – osserva Maria Voce – fece sì che quelle illuminazioni trovassero le adeguate strutture e gli idonei strumenti di mediazione e incarnazione”.

Nato a Livorno il 5 luglio 1929 di famiglia cristiana (il padre, Palmiro Foresi, fu eletto nel 1946 all’Assemblea costituente per la Democrazia Cristiana e rimase deputato nella I e II Legislatura, incontra Chiara Lubich a Trento nel dicembre 1949. Da allora e fino alla fine le sarà accanto e condividerà con lei la responsabilità del Movimento dei Focolari. Negli anni precedenti aveva sentito la vocazione al sacerdozio e frequentato per alcuni anni il seminario di Pistoia e poi il Collegio Capranica a Roma, fino all’irrompere di una crisi di fede. Solo alcuni anni più tardi, avendo notato nelle persone dei Focolari «una fede assoluta nella Chiesa cattolica e contemporaneamente una vita evangelica radicale», racconta egli stesso, «ho capito che quello era il mio posto e ben presto l’idea del sacerdozio è ricomparsa». Sarà ordinato sacerdote il 4 aprile 1954.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 166

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