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Sommario del 14/06/2015
- Francesco: tutti siano responsabili della cura del creato
- La Biblioteca Apostolica e la "diplomazia della cultura"
- Is. Attacchi in Siria e Iraq, peggiora situazione in Libia
- "Vivere sotto Daesh", le storie di chi vive sotto l'Is
- Svizzera al voto su diagnosi preimpianto. Rischio eugenetica
- Milano, gli immigrati bloccati raccontano la loro odissea
- Papa: grazie ai donatori di sangue, aiuto "silenzioso"
- Concluso Ritiro sacerdoti del Rinnovamento carismatico
- Yemen. Ribelli ad al-Hazm; domani colloqui a Ginevra
- Corte dell’Aja chiede al Sudafrica di arrestare al-Bashir
- Georgia, inondazioni: 10 morti, animali in fuga da zoo
- Corea del sud: 15 le vittime di Mers, primo caso in Europa
- Canada: al via campagna di aiuti per gli sfollati in Ucraina
- Filippine: appello dei vescovi a votare per le elezioni 2016
- Burkina Faso: il dialogo interreligioso è la via per la pace
- Usa: al via i preparativi per la "domenica del catechista"
Francesco: tutti siano responsabili della cura del creato
“Tutti possano ricevere il suo messaggio e crescere nella responsabilità verso la casa comune che Dio ha affidato a tutti”. È l’auspicio che Papa Francesco ha espresso al termine dell’Angelus in Piazza San Pietro, dopo aver ricordato che giovedì prossimo verrà presentata la sua Enciclica “sulla cura del creato”. Nel pomeriggio,alle 18, il Papa sarà nuovamente in Piazza San Pietro per l'apertura dell'annuale Convegno della diocesi di Roma, dedicato per il 2015 al rapporto tra famiglia ed educazione. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Piccolo, anzi infinitesimale. Tutto il Regno di Dio sta in un chicco di nessun peso, praticamente invisibile. Sta tutto, ripete ancora una volta Francesco, nel piccolo Vangelo che ognuno può portarsi in borsa o in tasca e leggere ogni giorno. Ma è anche grande come la terra che Dio stesso ci ha dato come casa in cui vivere tutti assieme e che, proprio perché comune, dev’essere da tutti tenuta da conto.
L’Angelus che il Papa apre commentando le parabole del Regno di Dio della liturgia domenicale, si chiude con un annuncio che è soprattutto un appello universale alla custodia dell’ambiente:
“Giovedì prossimo sarà pubblicata una Lettera Enciclica sulla cura del creato. Invito ad accompagnare questo avvenimento con una rinnovata attenzione alle situazioni di degrado ambientale, ma anche di recupero, nei propri territori. Questa Enciclica è rivolta a tutti: preghiamo perché tutti possano ricevere il suo messaggio e crescere nella responsabilità verso la casa comune che Dio ha affidato a tutti”.
L’Enciclica sulla tutela del creato è in piena sintonia con gli esempi del mondo rurale da cui Gesù trae spunto per le sue parabole del seme che germoglia e del granello di senape. Un nonnulla che l’occhio umano fatica a vedere e che pure contengono in sé la forza di germogliare e diventare enormi purché – afferma Francesco – il cuore che accoglie il seme sia un luogo fertile:
“Dio ha affidato la sua Parola alla nostra terra, cioè a ciascuno di noi con la nostra concreta umanità. Possiamo essere fiduciosi, perché la Parola di Dio è parola creatrice, destinata a diventare ‘il chicco pieno nella spiga’. Questa Parola, se viene accolta, porta certamente i suoi frutti, perché Dio stesso la fa germogliare e maturare attraverso vie che non sempre possiamo verificare e in un modo che noi non sappiamo”.
Il modo lo conosce Dio, prosegue il Papa, perché – ribadisce – è sempre Lui “a far crescere il suo Regno”, così come prega il “Padre Nostro”. L’uomo è il “suo umile collaboratore, che contempla e gioisce dell’azione creatrice divina e ne attende con pazienza i frutti”. Anche quelli che possono nascere da “una realtà umanamente piccola e apparentemente irrilevante”:
“Per entrare a farne parte bisogna essere poveri nel cuore; non confidare nelle proprie capacità, ma nella potenza dell’amore di Dio; non agire per essere importanti agli occhi del mondo, ma preziosi agli occhi di Dio, che predilige i semplici e gli umili. Quando viviamo così, attraverso di noi irrompe la forza di Cristo e trasforma ciò che è piccolo e modesto in una realtà che fa fermentare l’intera massa del mondo e della storia”.
La nostra “debole opera, apparentemente piccola di fronte alla complessità dei problemi del mondo, se inserita in quella di Dio – assicura Francesco – non ha paura delle difficoltà”:
La vittoria del Signore è sicura: il suo amore farà spuntare e farà crescere ogni seme di bene presente sulla terra. Questo ci apre alla fiducia e alla speranza, all’ottimismo, nonostante i drammi, le ingiustizie, le sofferenze che incontriamo. Il seme del bene e della pace germoglia e si sviluppa, perché lo fa maturare l’amore misericordioso di Dio”.
Al termine, nel salutare le migliaia di persone di varia provenienza in ascolto dell’Angelus in Piazza San Pietro, il Papa ha espresso tra l’altro nuovo sostegno a “tutti i lavoratori che difendono in modo solidale il diritto al lavoro, che è – ha esclamato con forza – un diritto alla dignità”.
La Biblioteca Apostolica e la "diplomazia della cultura"
Dove non arriva la diplomazia tradizionale, può spingersi quella della cultura e dei libri, che aiuta la Chiesa a stabilire rapporti di collaborazione in luoghi dove spesso non sono possibili relazioni di tipo istituzionale. E' l'obiettivo che persegue la Biblioteca Apostolica Vaticana, con le sue esposizioni itineranti in vari Paesi del mondo, che consentono di ammirare alcune delle preziose opere custodite nei suoi scaffali. In via di preparazione è una mostra in Cina, ma intensi sono i rapporti anche con Giappone, Cuba e altri Paesi latinoamericani, come spiega mons. Jean-Louis Bruguès, bibliotecario della Biblioteca Apostolica Vaticana e archivista dell'Archivio Segreto Vaticano, al microfono di Federico Piana:
R. – Sono potuto andare a Pechino, e per me era la prima volta, invitato da una delle Università più importanti del Paese. Stiamo preparando una mostra originale, che si terrà nel 2017, forse nell’estate, per presentare al pubblico cinese i manoscritti cinesi che ora si trovano nella Biblioteca Vaticana. Loro hanno chiesto la possibilità di digitalizzarli. Io ho messo, però, una condizione, quella di organizzare una mostra comune tra Santa Sede e Cina comunista, quando “ancora” non ci sono relazioni diplomatiche. Abbiamo previsto una mostra itinerante tra Pechino, Shanghai e una terza città.
D. – Cosa rappresenta, secondo lei, per la Chiesa questa esposizione itinerante, per quanto riguarda i rapporti tra Cina e Chiesa? Può essere considerata una "diplomazia" della cultura, dei libri?
R. – Sì, una diplomazia tramite la cultura. La funzione principale, secondo me, della cultura è stabilire ponti tra le civilizzazioni. E, dunque, quando non ci sono ancora relazioni diplomatiche, possiamo creare relazioni, rapporti tramite la cultura. La cultura è, diciamo, lo sforzo per l’uomo di capire, di avvicinarsi alla verità, al bello, al bene. E, dunque, possiamo vedere uno sforzo comune tra le civilizzazioni e questo sforzo è un ponte, secondo me, molto importante. La Biblioteca Vaticana, dunque, è uno strumento della cultura del cattolicesimo attraverso il mondo, per avvicinare i popoli.
D. – La Biblioteca Apostolica Vaticana continuerà con questa politica?
R. – Abbiamo creato e sviluppato una politica di apertura verso biblioteche nazionali che non hanno la possibilità, i mezzi sufficienti, innanzitutto nel campo della formazione del personale: non hanno la possibilità di rispondere alle necessità dei loro Paesi. Sono stato invitato in Bulgaria, a Sofia, a Belgrado, a Bucarest. Adesso aspettiamo un invito dalla Macedonia. Queste biblioteche nazionali hanno chiesto alla Biblioteca Vaticana di giocare un ruolo "materno": di diventare la loro biblioteca di riferimento. Naturalmente, quando ho spiegato questa situazione al Papa, lui si è mostrato molto interessato e ha permesso alla Biblioteca di ammettere due persone in più, solo per ricevere questo personale e contribuire alla sua formazione nel campo della catalogazione e restauro. Questi Paesi sono ortodossi e, dunque, c’è una dimensione non solo tecnica, non solo culturale, ma anche religiosa, ecumenica. Stiamo adesso lavorando allo stesso modo per creare relazioni con biblioteche latinoamericane. Innanzitutto Cuba, ancora un Paese comunista, il Cile – abbiamo ricevuto il rettore dell’Università di Santiago due mesi fa – e forse la Costa Rica.
Is. Attacchi in Siria e Iraq, peggiora situazione in Libia
Non si ferma l’offensiva del sedicente Stato islamico in Siria: dopo aver abbattuto ieri un elicottero dell’esercito, oggi 20 vittime si sono registrate nei pressi di una scuola ad Homs. In Iraq, secondo il Pentagono, sarebbero già 10 mila i morti tra i jihadisti in nove mesi di bombardamenti, mentre peggiora la situazione in Libia. Il servizio di Roberta Barbi:
Stavano sostenendo un esame, quando un’autobomba è esplosa davanti alla loro scuola, a Homs: sono morti in 20, tutti studenti della comunità alawita, spesso nel mirino degli estremisti. Al confine tra Siria e Turchia, intanto, le forze curde hanno circondato Tal Abyad, costringendo i jihadisti ad arretrare in un’area strategica, ma anche la popolazione a fuggire, scatenando la preoccupazione del premier turco Erdogan, secondo il quale i villaggi potrebbero essere ora occupati dai curdi, un vicino troppo scomodo per la Turchia. Sul fronte iracheno, le forze di sicurezza annunciano l’uccisione di 21 membri dell’Is ad al Abar, in seguito agli scontri a fuoco avvenuti a nord di Ramadi. Ma nonostante gli sforzi, l’intervento delle milizie sciite e la coalizione internazionale guidata degli Stati Uniti, che effettua quotidianamente bombardamenti, il califfato occupa oggi il 40% del Paese, con un bilancio complessivo di 10 mila morti, un terzo delle forze dell’Is.
La situazione peggiora anche in Libia; lancia l’allarme il ministro degli Esteri al Dairi: i fondamentalisti hanno già conquistato molte aree come quella di Sirte e puntano al petrolio. La municipalità di Misurata chiede di serrare le fila favorendo un negoziato mediato dall’Onu tra il governo di Tobruk, riconosciuto a livello internazionale, e quello parallelo di Tripoli.
"Vivere sotto Daesh", le storie di chi vive sotto l'Is
Ma come va avanti la popolazione che abita le terre invase dall'Is? "Vivere sotto Daesh". Questo il titolo dell'iniziativa, organizzata dall'associazione "Un Ponte per...", che si è svolta nei giorni scorsi a Roma, con una serie di incontri, nei quali due attivisti per i diritti umani hanno testimoniato la realtà dei territori soposti all'occupazione del sedicente Stato islamico e le iniziatuive di resistenza della società civile irachena e siriana. Il servizio è di Elvira Ragosta:
Vivere sotto l’occupazione del sedicente Stato islamico in Siria e in Iraq e raccontare le violazioni sistematiche dei diritti umani e la resistenza di quella porzione di società civile che, con coraggio e correndo enormi rischi, cerca di aiutare la popolazione sotto assedio. A un anno dalla presa di Mosul, seconda città irachena, Suha Oda, dell’"Iraqi Women Journalist Forum", racconta cosa voglia dire oggi essere una donna e una giornalista in Iraq:
"Essere una donna e fare la giornalista in Iraq e in particolar modo nelle zone sotto il controllo dell’Is oggi è chiaramente una sfida, una sfida contro la morte. Ci sono almeno 16 cadaveri di giornalisti che si trovano negli obitori gestiti dall’Is, di cui abbiamo notizia. Ci sono molte mie colleghe che sono state uccise per il loro lavoro giornalistico. C’è però anche da dire che già prima che arrivasse lo Stato Islamico era comunque una sfida essere donne giornaliste in Iraq e soprattutto nella nostra zona, che è una zona piuttosto conservatrice. Certo, non era una sfida contro la morte com’è invece oggi, ma era certamente qualcosa già di difficile. Quindi, per noi rappresenta una sfida e, in qualche maniera, anche una missione".
Dopo l’espulsione dei cristiani da Mosul e dalla Piana di Ninive, l’unica minoranza ancora presente in città è costituita dalle donne yazide, moltissime delle quali rapite e ridotte in schiavitù. In pochissime si salvano, racconta Suha, grazie all’iniziativa di altre donne irachene che riescono a farle fuggire. Suha denuncia anche la tragica situazione umanitaria in cui versa Mosul dall’occupazione: tutti i servizi, compresi quelli sanitari, sono del tutto assenti. Non ci sono vie d’accesso per i rifornimenti medici e i pochi ospedali in funzione sono sotto il controllo dei guerriglieri dell’autoproclamato califfato. Mancano anestetici e disinfettanti, le donne sono costrette a partorire senza anestesia e nel solo mese di agosto del 2014 i neonati morti per setticemia raggiungevano la macabra media di 15 a settimana.
Mosul in Iraq, come Raqqa, in Siria. Una delle prive province liberatesi dal regime di Damasco e poi finita sotto l’occupazione dei miliziani dell’Is. Jimmy Botto Shainian, attivista siriano rifugiato in Turchia:
"La situazione dei civili all’interno di Raqqa è una situazione di forte pressione, sotto ogni punto di vista. E’ difficoltoso persino riuscire ad accedere al cibo… Questa organizzazione Daesh, l’organizzazione dello Stato Islamico, ha imposto regolamenti stringenti praticamente su ogni aspetto della vita, incluso – ad esempio – il taglio della barba o i codici di abbigliamento. Per quanto riguarda poi la situazione umanitaria, basti pensare alla situazione dell’istruzione: su 235 scuole presenti a Raqqa ne sono aperte solo 17 e in queste 17 i programmi sono stati cambiati. Tutte le materie umanistiche sono state eliminate per lasciar spazio all’educazione religiosa, lasciando praticamente soltanto la matematica. E questo vale per tutti i livelli di studio e non solo per i bambini piccoli… Per quanto riguarda gli ospedali, a Raqqa ce ne erano quattro ed ora uno solo è funzionante in modo quasi completo, ma è riservato principalmente ai guerriglieri stessi. Ormai, siamo entrati nel quinto anno della guerra civile e della conseguente situazione siriana e dopo questi anni ci siamo ormai convinti che i problemi in Siria nascono essenzialmente qui in Europa: i problemi nascono dai quei 35 mila combattenti che vengono dall’Europa per combattere nelle file dello Stato islamico da noi in Siria e non dai 3-4 mila che sono i siriani all’interno di questa organizzazione. Noi siamo fiduciosi del fatto di poter riuscire a superare gli scontri interni tra i siriani, ma è importante che l’Europa giochi il suo ruolo nel contenere questo problema e nel cercare di porre un argine a questa vicenda. Le politiche che sono state messe in atto da parte dei governi europei e del governo italiano sono state politiche fino ad oggi fallimentari. Mentre, invece, alcune fra le cause profonde di una guerra, che è sempre più una guerra che ha luogo in Siria ma che non è una guerra siriana, hanno soluzioni che cominciano proprio qui in Europa".
Nel corso del loro viaggio in Italia, organizzato dall’associazione “Un ponte per”, i due attivisti hanno effettuato due audizioni ufficiali presso le Commissioni congiunte Esteri e Diritti umani del Senato e il Comitato diritti umani della Camera.
Svizzera al voto su diagnosi preimpianto. Rischio eugenetica
La popolazione svizzera è chiamata a esprimersi sulla modifica della Costituzione federale che autorizza la diagnostica pre-impianto. Un invito a votare "no" arriva dai vescovi, secondo i quali decidere di aumentare fino a 12 il numero di embrioni da svilupparsi in provetta apre all’eugenetica: “L’embrione umano – scrivono i presuli – è una persona e va tutelato”. Per il “sì” si è schierata invece la Federazione dei medici svizzeri, dalla quale prende le distanze Franco Denti, presidente dell’Ordine dei Medici del Cantone Ticino, che parla di “un altro passo verso la dissacrazione della vita”. Paolo Ondarza l’ha intervistato:
R. – Se vincesse il “sì”, sostanzialmente si potrà decidere chi ha il diritto di vivere e chi non ha il diritto di vivere. Ecco perché io dico: un altro passo verso la dissacrazione della vita umana. Il Consiglio federale, quando aveva discusso questo cambiamento, era molto più severo: permetteva questa pratica soltanto per le coppie a rischio di trasmettere delle malattie genetiche.
D. – Oggi, invece, qualora vincessi il “sì” al referendum verrebbe a cadere questo limite?
R. – Oggi verrebbe a cadere. Quindi, tutte le coppie che vogliono figli potranno selezionare, in qualche modo, il tipo di essere umano. Attraverso esami degli embrioni, l'esame genetico degli embrioni, potranno dire “voglio avere il bambino con gli occhi celesti”: se questo embrione non corrisponde ad un bambino con gli occhi celesti io lo butto via…
D. – Lei parla di sacralità della vita. Per un medico, per uno scienziato, al di là delle proprie convinzioni religiose, è importante fare un passo indietro rispetto al mistero della vita?
R. – Si, certo. Io non sono un filosofo, ma comunque in tutte le culture il rispetto della vita umana esiste e va tutelato. Sono un medico e quindi sono favorevole a quelli che sono i progressi della medicina e tutti noi vogliamo dei figli sani… E’ chiaro però che, malgrado tutti i progressi che la scienza medica ha fatto in questi anni, anche in campo della genetica, non possiamo andare oltre: questo è dissacrare la vita umana.
D. – Lei sta dicendo che il desiderio legittimo di avere un figlio sano non può prevalere sul diritto alla dignità di ogni persona umana e quindi anche di un embrione…
R. – Certo. Personalmente trovo sbagliato che l’essere umano decida chi ha diritto di vivere e chi noi. Noi conosciamo delle coppie, le conoscerà anche lei, che hanno avuto diagnosi di Sindrome di Down, che hanno portato a termine tranquillamente la maternità, perché si instaura già nell’utero materno un rapporto tra la mamma e l’embrione… Lavorare al di fuori dell’utero con la manipolazione genetica è poco dignitoso.
Milano, gli immigrati bloccati raccontano la loro odissea
Mentre continuano gli avvistamenti di imbarcazioni in mare, l'ultimo riguarda un barcone con 75 persone al largo delle coste calabresi, le frontiere tra Italia e Francia sono ancora chiuse. A Ventimiglia un centinaio di migranti respinti hanno passato la notte sugli scogli, sotto la pioggia, nella speranza di poter partire. Alcuni uomini hanno cominciato lo sciopero della fame, solo le donne e i bambini accettano quello che i volontari di associazioni umanitarie offre loro. Anche alla Stazione Tiburtina di Roma un migliaio di persone si sono accampate negli spazi esterni, mentre il Comune lavora per allestire una struttura temporanea di accoglienza con almeno 150 posti. Situazione simile alla Stazione centrale di Milano dove, all'aperto o sotto il porticato, hanno dormito per terra decine di migranti. Adriana Masotti ha raccolto tra loro alcune testimonianze, con la collaborazione tecnica di Vincenzo Proto:
Sono giovani i migranti africani che s’incrociano alla Stazione centrale di Milano, uomini e donne e non mancano i bambini, alcuni piccolissimi. Gli operatori del presidio sanitario in funzione da poco rilevano casi di scabbia. Alle spalle di ciascuno un lungo, travagliato e costoso viaggio, di fronte un futuro incertissimo. In oltre un centinaio hanno passato giorni e notti stretti in due mezzanini a lato di una delle tante scale di accesso ai treni. Da ieri, dopo lo sgombero ad opera della polizia, hanno trovato rifugio nell’androne esterno la stazione. In pochi parlano inglese:
“Sono qui da tre giorni – dice un ragazzo eritreo – vorrei andare in Inghilterra o in Norvegia. Sono partito con mia moglie. Lei ora è a Catania e mi raggiungerà. Non ho nessun numero di telefono, ma mi raggiungerà più tardi. Abbiamo viaggiato a piedi, in barca, in molti modi. E’ molto difficile arrivare qui. Abbiamo fatto un lungo cammino per arrivare. Abbiamo bisogno di riposo, ma non vogliamo restare qui. Gli italiani vogliono prenderci le impronte digitali, ma noi non vogliamo, perché qui la situazione non è buona. Vorrei un bel posto, sicuro…”
Alla domanda del perché ha lasciato l’Eritrea, risponde:
“Conoscete l’Eritrea…. Se avete informazioni sul Paese, sapete che gli eritrei sono tutti immigrati. La situazione politica non è buona. Per questo motivo ho lasciato il mio Paese, per motivi politici, solo per motivi politici”.
Riguardo al costo del viaggio spiega:
“Per viaggiare dall’Eritrea all’Egitto si pagano circa 1.000 dollari, dal Sudan all’Egitto 1.500 dollari, se le persone sono oneste. Se non lo sono, si può arrivare a pagare fino a 10 mila dollari. Dal Sudan alla Libia 1.600 dollari, dalla Libia all’Italia, al Mediterraneo, 2.000 dollari a persona. Questo se sei fortunato. Se non sei fortunato e incontri altri tipi di persone e vieni preso da altri uomini, devi pagare di nuovo. Ci sono quindi molti problemi. I viaggi non sono legali, infatti, e tutti possono fare quello che vogliono”.
Un altro migrante viene dal Darfur in Sudan:
“Sono arrivato qui da tre giorni – dice – e vorrei andare a Ventimiglia. I miei amici sono lì. Ora, però, non ho soldi. In Darfur c’è la guerra, quindi sono andato a Khartoum, dove ho preso un mezzo per andare in Egitto e dall’Egitto poi sono arrivato qui. Ora andrò in Francia, perché i miei amici sono lì. Ho una moglie in Sudan. Non ho soldi al momento. Non so cosa posso fare”.
Con i migranti i volontari che li aiutano come possono, fornendo acqua, cibo e vestiti. Uno di loro ci racconta:
R. – Sono un volontario senza bandiera. Io faccio le notti. Ho una Onlus amica che mi porta il cibo per le colazioni, quello sì. Ho 400 colazioni da distribuire, ne ho distribuite 400 ieri mattina. Ieri abbiamo dato 800-900 panini, 1.000 bottiglie d’acqua.
D. – I servizi che vengono offerti quali sono e chi li fornisce?
R. – Il Comune di Milano offre assistenza in quattro o cinque centri di accoglienza. Chiaramente la disponibilità dei posti è limitata. Conseguentemente, la rimanenza resta all’addiaccio, cioè dormono in stazione o ai giardinetti o a Porta Venezia e sono qualche centinaio di persone.
D. – In genere quanto si ferma una persona qui?
R. – Ultimamente, si fermano 3-4 giorni.
D. – Stanno qui in attesa di un centro di accoglienza o in attesa di partire per un’altra destinazione?
R. – Adesso non si parte, ci sono le frontiere chiuse verso il nord Europa. Non si sa cosa fare e loro non hanno l’economia che aveva il popolo siriano. Ora devo lasciarti che ho da fare…
D. – Ma che cosa significa per lei stare qui in mezzo a loro?
R. – Io sorrido!
Papa: grazie ai donatori di sangue, aiuto "silenzioso"
Si celebra nel mondo la Giornata del donatore di sangue, istituita nel 2004 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e all'Angelus Papa Francesco ha espresso gratitudine per i donatori che "contribuiscono – ha detto – ad aiutare i fratelli in difficoltà". Un apprezzamento che richiama lo slogan della Giornata: “Grazie per avermi salvato la vita”. Ogni anno, nel mondo vengono effettuate 92 milioni di donazioni di sangue e quasi il 50% di queste avviene nei Paesi sviluppati. Nel Lazio, la mancanza di sacche di sangue è un problema annoso e il sostegno dei donatori è fondamentale per poter portare avanti le attività sanitarie che ne richiedono l’uso, dalle trasfusioni ai trapianti. Eliana Astorri ha intervistato la prof.ssa Gina Zini, direttore del Centro trasfusionale del Gemelli e della Banca del Cordone Ombelicale “Unicatt” dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma:
R. – La Regione Lazio, purtroppo, soffre di carenza di sangue. È una Regione che non riesce a raggiungere l’autosufficienza e si trova indietro rispetto ad altre realtà del territorio nazionale. Quindi, è molto importante cercare di sensibilizzare la popolazione residente su questo problema, e coinvolgere specialmente i giovani a partecipare a questa attività volontaria di grande utilità sociale; solo così si possono mantenere i livelli di assistenza sui pazienti medici, con tumori e chirurgici, dalla chirurgia generale a quella più specialistica, fino alla trapiantologia. Il sangue è un farmaco assistenziale di primo livello: tutti hanno diritto a questa terapia. Purtroppo la disponibilità di questo presidio terapeutico si basa soltanto sulla donazione.
D. – È importante dire questo: sì, è un gesto di solidarietà, ma noi quando doniamo il sangue, questo sangue viene controllato, e quindi abbiamo una sorta di check-up gratuito…
R. – Assolutamente, questo è un aspetto fondamentale. Il donatore di sangue è la persona più curata e coccolata, perché, per la certezza della trasfusione, del prodotto, il donatore viene controllato periodicamente con analisi e visite mediche e quindi è anche un modo di tutelare la propria salute in una maniera continuativa e molto specialistica.
D. – Un suo appello in occasione della Giornata Mondiale del Donatore di Sangue...
R. – Il mio appello per il 14 giugno è che diventi uno spunto per le persone, perché riescano a comprendere l’importanza e la validità sociale della donazione. Quindi, il primo giorno andate a donare dove volete, nei centri trasfusionali. Se venite al Gemelli ovviamente siete i benvenuti, ma siete i benvenuti ovunque. Trasmettete questo messaggio ai vostri amici e cerchiamo di riportare anche questo valore nel Dna della nostra grande solidarietà che abbiamo sempre dimostrato come città. Roma è una città splendida.
Concluso Ritiro sacerdoti del Rinnovamento carismatico
Una gioia immensa nel cuore e una grande carica spirituale da trasmettere a tutti. Questi i sentimenti comuni degli oltre 1.000 sacerdoti arrivati dai cinque continenti, che hanno partecipato al loro terzo Ritiro mondiale che si è concluso questa mattina a Roma nella Basilica di san Giovanni in Laterano. L’incontro è stato promosso dal Rinnovamento Carismatico Cattolico e dalla Catholic Fraternity. Il servizio di Marina Tomarro:
“Noi sacerdoti dobbiamo portare la buona notizia del Vangelo con amore a tutti, perché è il Signore che ce lo chiede e lui ci da forza e coraggio per fare questo!“ Così il cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, ha esortato i presenti alla Messa conclusiva del terzo Ritiro mondiale dei sacerdoti.
“Nella nostra terra – ha continuato il porporato – è fiorita la Parola di Dio e questo ci aiuta a superare le difficoltà che incontriamo”. E il cardinale ha incoraggiato i sacerdoti ad andare avanti anche in un tempo di crisi di valori come quello attuale. “Proprio a noi – ha concluso – il Signore ha donato il mandato di annunziare il Vangelo in questo tempo. Affidiamoci allo Spirito Santo e nulla andrà perso nel nostro cammino”.
E ieri, il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, nel suo intervento ha ricordato ai sacerdoti l’importanza di consegnarsi totalmente a Dio. “Mettere la nostra vita nelle mani del Signore – ha spiegato – significa proprio questo: nulla va sprecato o buttato via, ma tutto è trasformato dal fuoco divorante dello Spirito“. E molto importante è anche nelle comunità lavorare insieme in armonia. “La fraternità – ha sottolineato il prefetto – quotidianamente vissuta, manifesta la nostra costante apertura all’azione dello Spirito, che ci guida all’unità, prima di tutto tra noi”.
Ma sulle conclusioni dell’incontro, ascoltiamo il commento dell’arcivescovo Alberto Taveira, assistente spirituale della Catholic Fraternity:
R. – Il Rinnovamento carismatico cattolico è una grazia per la Chiesa e lo è per i sacerdoti che hanno scoperto una sorgente di grazia speciale per la loro vita, per il loro ministero. E così è stato fare un ritiro con esponenti del Rinnovamento carismatico e di più ancora con la presenza del Papa, che ha spinto questi sacerdoti a vivere nell’apertura allo Spirito Santo in questo senso carismatico – perché i sacerdoti sono sempre condotti e guidati dallo Spirito Santo – ma quando i sacerdoti si aprono a questa grazia del carisma dell’apostolato, del battesimo dello Spirito Santo, come ci ha spinto il Papa, sappiamo che i frutti verranno: la vitalità, la fecondità apostolica, la vita di preghiera dei sacerdoti, la vita di comunione, l’unità fra di loro. Penso che i frutti saranno grandi.
D. – E’ importante anche questo incontro per sviluppare un confronto tra i vari sacerdoti delle differenti nazioni?
R. – Senz’altro, perché c’è la condivisione di esperienze, c’è la preghiera reciproca, c’è la conoscenza delle esperienze degli altri, perché hanno la possibilità di uno scambio di esperienze. Tutto può arricchire la vita della Chiesa e la vita di questi sacerdoti.
D. – Cosa porteranno a casa principalmente di questi giorni, secondo lei?
R. – Un sacerdote mi ha detto: “Torno a casa nuovo, sono un altro sacerdote!”. Basta questo.
Yemen. Ribelli ad al-Hazm; domani colloqui a Ginevra
Le forze ribelli Houthi e i reparti dell’esercito alleato hanno conquistato la città di al-Hazm, capoluogo della provincia yemenita di al-Jawf, vicino al confine con l’Arabia Saudita. Secondo quanto appreso, sarebbe questo il risultato dei violenti combattimenti avvenuti nell’area contro le tribù fedeli al presidente dello yemen in esilio, Abd Rabbo Mansour Hadi.
I colloqui a Ginevra
Quanto accaduto potrebbe costituire un importante successo alla vigilia dei colloqui di pace sullo Yemen che dovrebbero iniziare domani a Ginevra. L’aereo delle Nazioni Unite, però, è decollato ieri sera da Sana'a senza la delegazione a bordo e questo potrebbe far pensare a una spaccatura tra il movimento sciita Houthi e Saleh, mettendo di fatto a rischio i negoziati. I rappresentanti delle autorità e della altre fazioni yemenite, invece, sono già arrivati in Svizzera. (R.B.)
Corte dell’Aja chiede al Sudafrica di arrestare al-Bashir
La Corte penale internazionale dell’Aja ha chiesto al Sudafrica di arrestare il presidente sudanese, Omar al-Bashir, appena arrivato a Johannesburg per partecipare a un summit dell’Unione Africana (Ua). Bashir è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità per il suo operato durante il conflitto in Darfur nel 2003. Alla richiesta della Corte si sono unite molte organizzazioni umanitarie come Amnesty International, mentre il gruppo in difesa dei diritti umani, il Centro dei ricorsi dell’Africa meridionale, ha presentato un’istanza di arresto presso il tribunale superiore del nord di Pretoria.
La posizione dell'Unione Africana
In polemica con la Corte, invece, l’Ua, che accusa l’Aja spesso di accanirsi contro leader africani; il Sudafrica, però, in quanto firmatario del Trattato di Roma che istituì la Corte, è tenuto ad arrestare i ricercati che si trovano sul proprio territorio nazionale. (R.B.)
Georgia, inondazioni: 10 morti, animali in fuga da zoo
Almeno dieci persone sono morte e molte risultano ancora disperse a Tbilisi, capitale della Georgia, colpita nei giorni scorsi da violente inondazioni che hanno causato anche ingenti danni, già stimati in 10 milioni di euro dal sindaco Irakly Lekvinadze. Tutto è iniziato con piogge straordinarie che hanno causato l’esondazione del fiume Vera, che ha travolto automobili ed edifici: diverse persone, infatti, sono rimaste senza casa. Negli ospedali sono stati portati anche almeno 36 feriti, di cui 16 riportanti fratture multiple.
Animali in fuga dallo zoo
Grossi danni ha subito anche lo zoo della città dal quale molti animali, anche feroci, risultano in fuga: le autorità hanno già abbattuto sei lupi nei pressi dell’ospedale pediatrico, ma mancherebbero all’appello ancora orsi, tigri, ippopotami e leoni, mentre sarebbero già stati individuati una iena, un leone, un orso e una tigre. Per l’eccezionale pericolosità della situazione, il premier georgiano, Irakli Garibashvili, ha invitato la popolazione a rimanere in casa. (R.B.)
Corea del sud: 15 le vittime di Mers, primo caso in Europa
Quindicesima vittima in Corea del Sud per la Mers, la sindrome respiratoria acuta che finora ha colpito 145 persone nel Paese: si tratta di un uomo di 62 anni deceduto nella città portuale di Busan. E sale anche il numero dei contagi: altri 7 ne sono stati segnalati nelle ultime ore, due nella cittadina centrale di Daejong, uno a Hwaesong e ben quattro al Samsung Medical, uno dei principali ospedali della capitale Seul, che ha sospeso gli interventi chirurgici – tranne quelli urgenti – per motivi di sicurezza.
Primo caso in Europa a Bratislava
Intanto, si segnala il primo caso anche in Europa: un uomo sudcoreano rientrato il 3 giugno da Seul e ora ricoverato in un’unità speciale dell’ospedale di Bratislava, in Slovacchia. (R.B.)
Canada: al via campagna di aiuti per gli sfollati in Ucraina
L’Associazione pontificia d’aiuto all’Oriente Canada (Cnewa) ha raccolto l’appello delle Chiese cattoliche dell’Ucraina e della Caritas che hanno chiesto solidarietà per tutte quelle famiglie che hanno dovuto lasciare le regioni di Donetsk e di Louhansk dove imperversano i conflitti. Per sostenere gli ucraini sfollati – oltre un milione e mezzo – l’organismo pontificio, lo scorso 25 maggio, ha lanciato una campagna al fine di provvedere ai bisogni primari di quanti stanno vivendo disagi. “Invito la popolazione canadese ad aiutare generosamente queste persone terrorizzate, che hanno bisogno di ripari e di prodotti di prima necessità, e che hanno, soprattutto, bisogno di ritrovare la loro dignità e la loro speranza”, ha detto l’arcivescovo metropolita degli ucraini di Winnipeg, Lawrence Huculak, membro del consiglio d’amministrazione di Cnewa Canada.
L’associazione pontificia Cnewa fondata da Pio XI
“Queste persone erano già molto povere – ha spiegato Carl Hétu, direttore nazionale di Cnewa Canada – ma adesso hanno perduto le loro case, le loro chiese e non sanno se un giorno potranno tornarvi”. Chi volesse contribuire con il proprio aiuto può farlo attraverso il portale www.cnewa.ca. La Cnewa è un’associazione pontificia che si occupa di aiuti umanitari e pastorali e lavora a stretto contatto con la Congregazione per le Chiese Orientali. E' stata fondata da Pio XI nel 1926 e sta sostenendo la Chiesa cattolica greca ucraina a ristabilirsi, dopo che l’Ucraina ha raggiunto l’indipendenza, nel 1991, restaurando chiese, aiutando seminaristi, finanziando l’Università cattolica ucraina, appoggiando diverse iniziative di servizi sociali e aiutando i poveri e gli esclusi. Quest’anno, l’Associazione cattolica d’aiuto all’Oriente festeggia in Canada 10 anni di presenza. (T.C.)
Filippine: appello dei vescovi a votare per le elezioni 2016
“L'esercizio del diritto di voto non è solo un diritto politico, ma è anche un obbligo morale e per il cristiano è uno dei mezzi più significativi ed efficaci per contribuire al fiorire del Regno di Dio, un regno di giustizia, di pace e di amore. Per questo, la Chiesa non può essere negligente nel suo impegno a formare le coscienze dei cattolici e degli elettori cristiani”: è quanto scrive, in una nota, il presidente della Conferenza episcopale delle Filippine, mons. Socrates Villegas, in vista delle elezioni programmate nel Paese per il prossimo anno.
Votare le giuste ragioni, respingere candidati corrotti
“Votate per le giuste ragioni – scrive il presule ai fedeli – votate non perché siete stati pagati o perché vi è stato promesso un lavoro o un privilegio, ma perché vi fidate di una persona e della sua capacità di guidare la comunità ed il Paese”. Il giusto discernimento, infatti, permetterà agli elettori di “non lasciarsi conquistare facilmente dalle lusinghe in favore di un candidato” o dalle maldicenze di chi tenta di convincerlo a votare qualcun altro. Dalla Chiesa filippina arriva poi l’appello a rifiutare i candidati notoriamente corrotti, evitando, al contempo, di rovinare la reputazione dei politici in mancanza di prove incontestabili.
Porre fine a dinastie politiche
Mons. Socrates, inoltre, suggerisce di “porre fine alle dinastie politiche” non votando candidati membri di una stessa famiglia in corso per i medesimi incarichi, perché “non vi è alcun monopolio nella capacità di governo e nessuno nel governo è indispensabile”. Un altro suggerimento riguarda la capacità di “porre le domande giuste come punto di partenza per la selezione dei candidati”, perché “una persona che aspira ad un alto incarico ma che, a causa della sua inesperienza, dovrà dipendere totalmente dai consiglieri, non è in miglior candidato possibile per un ruolo a livello nazionale”.
La fede, considerazione cruciale per l’elettore cattolico
Tuttavia, continua il presule, è anche necessario “riporre fiducia in coloro che sappiamo sono in grado di guidare il Paese e servirlo con onestà, al di sopra di ogni sospetto e con l’abilità, la competenza e la saggezza che deriva da una fede incrollabile”. Il fatto che una persona sia “un fervente credente e che pratichi la fede – aggiunge mons. Socrates – dovrebbe essere una considerazione cruciale per l’elettore cattolico”.
Il cattolico che vota porta a compimento il compito affidatogli da Dio
“Ogni voto che un cristiano dà – conclude il presidente dei vescovi filippini – non rappresenta solo l’esercizio del diritto che ha, in quanto libero cittadino”, ma è anche l’espressione del compito affidatogli da Cristo, ovvero “della sua capacità di rendere il Regno di Dio un’esperienza viva per tutte le persone”. “Votare con saggezza e virtù – conclude il porporato – significa portare a compimento tale compito”. (I.P.)
Burkina Faso: il dialogo interreligioso è la via per la pace
Il mondo conosce “un aumento inquietante di guerre, conflitti o violenze religiose” e allora è sempre più importante promuovere “il dialogo interreligioso”, che “è la via principale per instaurare, nella società, una cultura della pace”: così il cardinale Philippe Ouéadrogo, arcivescovo di Ouagadougou, in Burkina Faso, si è rivolto ai fedeli raccolti nella Cattedrale dell’Immacolata Concezione, nei giorni scorsi. Il porporato ha tenuto una catechesi specifica per riferire alla comunità locale i risultati del Simposio internazionale sul tema “Le iniziative africane di educazione alla pace e allo sviluppo attraverso il dialogo interreligioso ed interculturale”, tenutosi a Cotonou, in Benin, alla fine dello scorso maggio.
La preghiera, primo passo da compiere verso l’altro
Nella sua catechesi, il cardinale Ouéadrogo ha sottolineato che il dialogo interreligioso deve partire da tre principi: l’ospitalità reciproca, la solidarietà concreta e l’impegno comune al servizio della pace. Riguardo al primo punto, il porporato ha sottolineato che “per comprendere l’altro, bisogna compiere il primo passo verso di lui e il primo passo si compie con la preghiera” che “lascia spazio a Dio ed all’altro”, perché “la preghiera permette di spogliarsi da ogni forma di pregiudizio e di violenza”. In quest’ottica, il porporato ha espresso apprezzamento per iniziative come la Giornata mondiale di preghiera per la pace, voluta da Giovanni Paolo II nel 1987 ad Assisi, o anche per “le tante testimonianze di fraternità e solidarietà” interreligiose presenti in Burkina Faso e che “fanno nascere un clima di condivisione e di stima reciproca”. “L’ospitalità reciproca – ha aggiunto il cardinale Ouéadrogo – permette di scoprire che l’altro, nonostante le differenze di cultura e di religione, è un fratello”.
Superare i pregiudizi e costruire ponti, non muri
Gli ostacoli da superare, dunque, ha continuato l'arcivescovo di Ouagadougou, sono “i pregiudizi e le difficoltà legate al contesto storico, geografico, politico e religioso”. E sono ostacoli da superare per costruire ponti, non muri, così da “favorire l’incontro in un dialogo fecondo e rispettoso delle convinzioni di ciascuno”. Riguardo alla solidarietà, il porporato ha esortato i fedeli a lavorare, insieme, alla “promozione della dignità di tutti gli esseri umani, permettendo a tutti di godere dei diritti fondamentali”. “Il dovere alla solidarietà e all’assistenza – ha spiegato – deve esercitarsi a beneficio di tutti, soprattutto dei più poveri, degli emarginati”. “Bisogna inventarsi vie e mezzi per la pace e lo sviluppo integrale di ogni persona umana”, ha ribadito il porporato.
Occorre sinergia tra tutti gli attori sociali
Riguardo al terzo punto, l’impegno comune al servizio della pace, l’arcivescovo di Ouagadougou ha sottolineato “la necessità di promuovere una cooperazione e una sinergia tra tutti i protagonisti della vita sociale”, “moralizzando la vita politica” e promuovendo “una collaborazione effettiva e franca delle comunità religiose con lo Stato”. Anche perché, ha evidenziato il porporato, “bisogna riconoscere che la definizione del luogo e del ruolo delle religioni nello spazio pubblico non è facile”, a causa talvolta di “una volontà di strumentalizzazione”. Di qui, l’invito, alla popolazione, a “stabilire relazioni più pacifiche tra persone di culture e religioni diverse”, lavorando a “la formazione delle coscienze nella famiglia e nella scuola, educando i giovani alla pace, alla giustizia, al rispetto reciproco”.
Puntare su scuola e famiglia
In famiglia e a scuola si imparano la lingua, l’educazione, la religione, la responsabilità, la fraternità, insieme alla socializzazione e al rispetto. E ancora: il porporato sottolinea che il dialogo interreligioso deve basarsi sul dialogo teologico-dottrinale, perché a partire dalla “ricerca della verità”, “le religioni possano essere al servizio dell’amore vero, del matrimonio e della famiglia, futuro dell’umanità”.
Edificare una civiltà dell’amore
Infine, citando Giovanni Paolo II, il cardinale Ouéadrogo ha lanciato un appello a costruire “una civiltà dell’amore, in cui l’uomo diviene sempre più umano e in cui i valori del vero, del bello, del bene, della giustizia e dell’uguaglianza costituiscono il terreno fertile dello sviluppo integrale, personale e comunitario”. Perché “solo un’umanità in cui l’amore vincerà – ha concluso il porporato – sarà in grado di godere di una pace autentica e duratura”. (I.P.)
Usa: al via i preparativi per la "domenica del catechista"
“Salvaguardare la dignità di ogni persona umana”: sarà questo il tema della Domenica del Catechista, promossa dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) ogni anno, nella terza domenica di settembre. Nel 2015, dunque, la ricorrenza cadrà il 20 settembre. “I cattolici – si legge sul sito dei presuli statunitensi – sono chiamati a difendere la dignità di tutte le persone, inclusi i migranti, i poveri, le vittime della tratta, i malati ed i disabili”. “Il tema scelto per quest’anno – spiega ancora l’arcivescovo Leonard Blair, presidente del Comitato per l’evangelizzazione dell’Usccb – ci ricorda che la dignità di ogni persona umana si basa sull’insegnamento biblico della Genesi, in cui si dice che l’uomo e la donna sono fatti ad immagine e somiglianza di Dio”.
Focus sulla libertà religiosa e sui migranti
Per il 20 settembre prossimo, la Chiesa di Washington ha organizzato un ciclo di cinque conferenze per gli studenti di scuola superiore, inclusi coloro che frequentano gli istituti di formazione cattolici o i programmi di educazione religiosa, con l’obiettivo di analizzare le radici della libertà religiosa secondo la tradizione cattolica e nella storia degli Stati Uniti. Tra i temi in esame, in particolare, “La libertà religiosa e la pratica della carità”, e “Tutelare i poveri, i migranti e gli esuli”. La Domenica del Catechista è dedicata a tutti i catechisti eda tutti gli insegnanti della fede cattolica. La Conferenza episcopale la celebra dal 1971. (I.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 165