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Sommario del 13/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa agli Scout: costruite ponti, siete preziosi per la Chiesa

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Una realtà preziosa della Chiesa in Italia, chiamata a costruire ponti in una società dove c’è l’abitudine ad alzare muri. E’ questo il ritratto del mondo Agesci delineato da Papa Francesco rivolgendosi stamani, in piazza San Pietro, ad oltre 80 mila scout rappresentanti dell'Associazione guide e scout cattolici italiani. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Lo scoutismo - ha detto il Papa in un clima di festa davanti a migliaia di scout - offre "un contributo importante alle famiglie per la loro missione educativa”. Poi una premessa, con l’esortazione a non vantarsi, ha preceduto lo speciale ringraziamento del Pontefice:

“Vi dirò una cosa - ma non vantatevi! -: voi siete una parte preziosa della Chiesa in Italia. Grazie!”

Non sia tradita la fiducia delle famiglie
I genitori affidano i loro figli all’Agesci – ha aggiunto il Santo Padre – perché il metodo scout, basato “su grandi valori umani”, educa alla libertà nella responsabilità”:

“Questa fiducia delle famiglie non va delusa! E anche quella della Chiesa: vi auguro di sentirvi sempre parte della grande Comunità cristiana”.

Scoutismo e religione, due mondi interconnessi
Ma cosa c’entra – ha poi chiesto Papa Francesco – la religione con questo movimento educativo? Il Pontefice ha ricordato la risposta data da Lord Baden Powell, fondatore dello scoutismo:

“Egli rispose che la religione non ha bisogno di ‘entrarci’, perché è già dentro! Non c’è un lato religioso del Movimento scout e un lato non… L’insieme di esso è basato sulla religione, cioè sulla presa di coscienza di Dio e sul suo servizio. E questo l’ha detto nell’anno ’26”.

L’impegno dell’Agesci nell’educazione alla fede
Nel panorama delle associazioni scout, l’Agesci è tra quelle “che investono di più nel campo della spiritualità e dell’educazione alla fede”:

“Ma c’è ancora tanto da lavorare, perché tutte le comunità-capi ne comprendano  l’importanza e ne traggano le conseguenze”.

Costruttori di ponti
L’Agesci – ha spiegato il Pontefice – può portare “un nuovo fervore evangelizzatore” nella Chiesa e “una nuova capacità di dialogo con la società”:

“Mi raccomando: capacità di dialogo! Fare ponti, fare ponti in questa società dove c’è l’abitudine di fare muri. Voi fate ponti, per favore! E col dialogo, fate ponti”.

Non accontentarsi di una presenza decorativa
I singoli gruppi – ha infine auspicato il Papa – “non perdano il contatto con la parrocchia del luogo dove hanno la loro sede”:

“Siete chiamati a trovare il modo di integrarvi nella pastorale della Chiesa particolare, stabilendo rapporti di stima e collaborazione ad ogni livello, con i vostri vescovi, con i parroci e gli altri sacerdoti, con gli educatori e i membri delle altre associazioni ecclesiali presenti in parrocchia e nello stesso territorio, e non accontentarvi di una presenza “decorativa” alla domenica o nelle grandi circostanze”.

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Agesci: in tanti da Francesco perché ci ha toccato il cuore

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È un colpo d’occhio incredibile tutto il blu delle uniformi dell'Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (Agesci) che riempie la piazza. Poi, tanti fazzolettini colorati che salutano il passaggio di Papa Francesco, che li ha invitati qui. Sono tante le emozioni che gli Scout giunti da tutta Italia raccontano al microfono di Roberta Barbi: 

R. – Sicuramente, il Papa ha mostrato, sin da subito, l’appoggio per il mondo scout. Incontrarlo è un’esperienza singolare, e con le sue parole – anche se lontano – riesce comunque ad arrivare, come se fosse accanto a me.

R. – Abbiamo lavorato in clan per pensare a qualche attività da sviluppare dopo aver incontrato il Papa… Sono molto contento di stare qua.

R. – Fa molto caldo, però è bello! Papa Francesco ci ha chiamato e siamo venuti in tanti, perché questo Papa ci ha toccato. Noi siamo venuti qui da pellegrini. Ed è bello per i ragazzi vedere che le persone sono venute da qualunque posto, e non solo da Roma e dintorni.

R. – Una bella occasione per stare tutti insieme e far vedere che ci siamo.

R. – Io sono molto contento perché penso che questo Papa rispecchi i valori degli Scout.

D. – L’Agesci vi ha chiesto di farvi “pellegrini del bene”, intendendo il bene come qualcosa di difficile da fare rispetto al male, che a volte è la via più facile…

R. – E' vero tanto, perché alla fine gli scout sono i primi che si mettono in gioco per fare del bene.

D. – L’Agesci ha chiesto a voi della branca R/S di essere “pellegrini del dono”: che cosa significa nella vostra realtà, nella vostra vita quotidiana?

R. – E' il servizio, è semplicemente portare i principi in cui noi crediamo in quanto scout.

R. – Un’emozione fortissima per me, ma soprattutto un’emozione per tutti i bambini che porto e per la testimonianza che diamo noi e che dà loro Papa Francesco.

R. – Io sono contento perché è un’emozione che si prova una volta sola nella vita e Papa Francesco è una persona molto speciale.

D. – Se incontrassi Papa Francesco, che cosa gli chiederesti?

R. – Se incontrassi Papa Francesco, gli chiederei se potesse far sì che nel mondo non esistesse la guerra e ci fosse solo la pace…

R. – Che mi desse il suo numero, così posso dirgli qualcosa ogni giorno… magari qualche preghiera.

R. – Io vorrei averlo come amico, in modo che mi possa sempre confessare da lui.

R. – Io gli chiedere come si trova qui…

R. – Io gli chiedere che non ci fosse più fame nel mondo…

D. – La mente inevitabilmente va all’ultima udienza, cui si partecipò in 30 mila, con Giovanni Paolo II, che esortò l’Agesci a puntare in alto: “Duc in Altum, Agesci!”. Quanta strada è stata fatta da allora?

R. – Sicuramente, l’Agesci sta affrontando delle sfide importanti ultimamente. La sfida della Route nazionale è una sfida importante: una strada che abbiamo tracciato e su cui abbiamo mosso i primi passi. Adesso bisognerà vedere dove ci porterà. Descrive molto bene i ragazzi con cui ancora facciamo educazione e la facciamo come una Associazione di frontiera, sicuramente, che parla un linguaggio che quasi nessun’altra associazione parla e che arriva dove altre associazioni faticano sicuramente ad arrivare. Quindi, l’incontro con il Papa oggi aiuterà sicuramente a dare slancio.

R. – L’Agesci ci ha provato con San Rossore a puntare in alto. Secondo mel, deve puntare più in alto, deve tornare a scommettere sull’essere Chiesa, sul non aver paura, sull’essere cristiani nel mondo e laici nella Chiesa.

“Che la strada si apre, passo dopo passo, ora, su questa strada noi, e si spalanca un cielo, un mondo che rinasce e si può vivere nell’unità…”.

“Buona caccia, Papa Francesco”.

“Buona caccia, Papa Francesco”.

“Buona caccia, Papa Francesco”.

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Papa a Csm: giustizia fatta di valori, reprimere ma anche educare

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La giustizia “non si fa in astratto” e per amministrarla con efficacia, contrastando corruzione e criminalità, è necessario che le istituzioni attuino una “strategia di lungo respiro”, orientata alla “promozione della persona umana”. È il pensiero di fondo espresso da Papa Francesco nel discorso rivolto ai membri del Consiglio superiore della magistratura. Il servizio di Alessandro De Carolis

Emettere una sentenza contro un crimine e comminare un pena a chi l’ha commesso non è responsabilità che si che possa esercitare senza un quadro di valori di riferimento. E il valore dei valori è il cristianesimo, che ha conferito all’uomo una dignità altissima, quella di figlio di Dio.

Papa Francesco afferma questa visione al cospetto dei membri del Consiglio superiore della magistratura italiana (Csm) agganciandola alla realtà attuale, quella di un contesto di globalizzazione che investe e condiziona anche l’amministrazione della giustizia, portando “con sé – dice il Papa – anche aspetti di possibile confusione e disorientamento, ad esempio…

“…quando diventa veicolo per introdurre usanze, concezioni, persino norme, estranee ad un tessuto sociale con conseguente deterioramento delle radici culturali di realtà che vanno invece rispettate; e ciò per effetto di tendenze appartenenti ad altre culture, economicamente sviluppate ma eticamente indebolite. Tante volte io ho parlato delle colonizzazioni ideologiche quando mi riferisco a questo problema.

Di fronte a quelle che definisce “scosse profonde” patite dalle “radici culturali”, Francesco invita il mondo della magistratura a contribuire con le altre forze istituzionali a dare “stabilità” e a “rendere più solide le basi dell’umana convivenza”, attingendo alla tradizione cristiana e al suo fondamento dell’amore di Dio e del prossimo. Basi, sostiene, in grado di fare da “argine efficace” anche contro “l’espansione della criminalità, nelle sue espressioni economiche e finanziarie, e la piaga della corruzione, da cui sono affette anche le democrazie più evolute”:

“È necessario intervenire non solo nel momento repressivo, ma anche in quello educativo, rivolto in modo particolare alle nuove generazioni, offrendo un’antropologia - che non sia relativista - ed un modello di vita in grado di rispondere alle alte e profonde ispirazioni dell’animo umano. A tale scopo le istituzioni sono chiamate a recuperare una strategia di lungo respiro, orientata alla promozione della persona umana e della pacifica convivenza”.

Francesco ricorda poi il valore intrinsecamente universale di una sentenza, per cui se è vero – riconosce – che un giudice è chiamato a intervenire in presenza di una violazione della regola, “è anche vero – asserisce – che la riaffermazione della regola non è solo un atto rivolto alla singola persona, ma supera sempre il caso individuale per interessare la comunità nel suo insieme:

“Giustamente, poi, in questo tempo si pone un accento particolare sul tema dei diritti umani, che costituiscono il nucleo fondamentale del riconoscimento della dignità essenziale dell’uomo. Questo va fatto senza abusare di tale categoria volendo farvi rientrare pratiche e comportamenti che, invece di promuovere e garantire la dignità umana, in realtà la minacciano o addirittura la violano. La giustizia non si fa in astratto, ma considerando sempre l’uomo nel suo valore reale, come essere creato a immagine di Dio e chiamato a realizzarne, qui in terra, la somiglianza”.

L’ultimo pensiero del Papa è per la figura di Vittorio Bachelet, che fu a capo del Csm e venne ucciso 35 anni fa dalle Brigate Rosse. “La sua testimonianza di uomo, di cristiano e di giurista – chiosa Francesco –  continui ad animare il vostro impegno al servizio della giustizia e del bene comune”.

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Legnini (Csm): pronta reazione magistratura a Mafia Capitale

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Per il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, "l'espansione dell'economia criminale e della corruzione compromette l'esigenza di garantire più giustizia e un futuro di dignità alle giovani generazioni". Legnini è intervenuto in Vaticano all'udienza che il Papa ha concesso al Csm. Alessandro Guarasci lo ha intervistato: 

R. – Ci sono delle urgenze dettate dalla necessità di reprimere, colpire il malaffare, la corruzione, la malavita e ogni sorta di reato, ma, come dice il Papa che usa sempre parole molto sagge e lungimiranti, bisogna vedere al medio e lungo periodo, perché le organizzazioni criminali agiscono su scala globale e quindi gli ordinamenti, i mezzi, le attitudini investigative vanno adeguate a questo nuovo scenario che abbiamo di fronte. La globalizzazione porta con sé anche la globalizzazione dei sistemi criminali.

D. – Il Papa ha parlato anche della piaga della corruzione. Lei non è un po’ scoraggiato in un Paese in cui continuamente emergono scandali? Ci riferiamo, per esempio, a Mafia capitale…

R. – I richiami del Papa su questo tema, sulla necessità di estirpare questo cancro della società sono stati frequenti e molto forti. Anche oggi ha voluto ricordarlo. Quando emergono fatti di tale gravità come quelli di Roma e non solo, noi dobbiamo rammaricarci per il fatto che c’è un grado di diffusione troppo elevato di questa piaga, ma dobbiamo essere soddisfatti del fatto che il sistema giudiziario, la magistratura riesce a colpire dove è necessario colpire.

D. – Ma la responsabilità civile dei magistrati quanto sta ostacolando il vostro lavoro? Oggi c’è la notizia di un giudice del Trevigiano che ha deciso di non emettere una sentenza e ha rinviato tutto alla Corte costituzionale dicendo in sostanza: se sbaglio, poi pago…

R. – Credo che l’applicazione concreta e la giurisprudenza, che dovrà orientarsi verso un’interpretazione alla luce dei principi costituzionali, consentiranno di fugare molti dubbi su questa disciplina. Mi auguro che prevalga la cautela, come sembrerebbe stia prevalendo in questi primi mesi di vigenza della nuova disciplina nei cittadini, nelle parti, nell’avvocatura e anche la serenità nella magistratura.

D. – Quando arriverà la riforma del Csm? Anche per renderlo più vicino alle esigenze dei cittadini…

R. – Abbiamo acclarato lunedì scorso con il presidente Mattarella e con il ministro della giustizia un doppio binario: uno, la riforma interna del Consiglio superiore, tutto ciò che è affidato alle nostre decisioni, alla nostra podestà regolamentare, questo va fatto. Noi abbiamo un progetto incisivo, esteso di cambiamento delle regole che devono essere cambiate, e di conservazione di quelle buone. Lo vogliamo fare questo entro quest’anno, entro pochi mesi. L’altro binario è quello dell’eventuale riforma dei meccanismi elettivi e della sezione disciplinare del Consiglio superiore affidati all’intervento del legislatore sul quale faremo una proposta. Poi, però, spetterà al governo e al parlamento assumere un orientamento.

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Papa Francesco. Possibile data fissa per Pasqua. Asia grande promessa

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La bellezza della Chiesa, l’unità, la misericordia, una data fissa per la Pasqua, l'Asia promessa della Chiesa. Sono solo alcuni dei temi trattati ieri dal Papa nella Basilica di San Giovanni in Laterano incontrando i partecipanti al Terzo Ritiro Mondiale dei Sacerdoti, promosso dal Rinnovamento Carismatico Cattolico Internazionale e dalla Catholic Fraternity. Nell’incontro il Papa ha sottolineato l’importanza della presenza delle donne nella Chiesa, ma anche parlato del prossimo viaggio in Africa e ha detto di aver chiesto al patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I di presentare la sua prossima enciclica. Massimiliano Menichetti: 

Il canto, la preghiera, la gioia, sono state le cifre di questo appuntamento nella fede orientato all’unità della Chiesa. Un incontro a tutto tondo dove il Papa ha dialogato con i partecipanti al terzo Ritiro Mondiale dei Sacerdoti dopo una meditazione densa di contenuti e annunci, come la possibilità che la data della Pasqua sia unica, per favorire unità tra le Chiese, o l’annuncio del prossimo viaggio in Africa a Novembre, nella Repubblica Centrafricana e in Uganda. Francesco ha precisato che sta valutando anche di andare in Kenya. Nella meditazione il Papa ha sottolineato che la discussione, la franchezza, il confronto dona vitalità alla Chiesa stessa: “Le Chiese senza discussione son chiese morte”. “Nei cimiteri! Nessuno discute di niente”.

La Chiesa di Cristo
Non ha nascosto la gioia “di vedere i sacerdoti delle periferie del mondo seduti” in Basilica accanto ai vescovi, al suo Vicario il cardinale Vallini. Tutti insieme - ha ribadito - nella “bellezza della Chiesa”. Francesco ha dunque auspicato un confronto diretto e franco tra “sacerdoti e vescovi “ ed invocato la vicinanza “al popolo di Dio”.

La donna nella Chiesa
Poi è tornato a ribadire l’importanza della donna nella Chiesa, “Maria - ha detto ironizzando sulle eventuali lamentele di alcuni - vale più degli apostoli”. “Il genio femminile nella Chiesa è una grazia, perché la Chiesa è donna: è ‘la’ Chiesa, non ‘il’ Chiesa: la Chiesa. La Chiesa è sposa di Cristo. E’ Madre del Santo Popolo dei fedeli di Dio. Chiesa, donna. E queste donne che sono qui presenti sono immagini e somiglianza della Chiesa e della Madre Maria”.

I sacerdoti trasformati dall’Amore
Poi, ha poggiato lo sguardo di pastore sui sacerdoti e auspicato che “siano trasformati dall’amore”. “Amore Trinitario”: “Celebrare oggi qui la festa del Sacro Cuore non è una coincidenza - ha sottolineato - E’ il giorno in cui il Signore ha voluto che riflettessimo sull’infinito e misericordioso amore del Padre, espresso nel cuore del Figlio Gesù, con la forza vivificante dello Spirito Santo”. Il Pontefice ha quindi evocato una canzone di padre Lucas Casaert (missionario belga in Bolivia da 40 anni), che parla della cura e tenerezza che il Signore ha per il suo discepolo e la Basilica si è accesa in canto sollecitato dallo stesso Papa.

Il perdono del Signore
“Nei momenti peggiori - ha proseguito Francesco - quando perfino avrete litigato con il Signore o quando sarete stati infedeli al Signore non temete! Avvicinatevi al Sacrario”. Il Papa ha consigliato “di aprire il cuore”, lasciar scorrere le lacrime nella certezza del perdono di Dio, nella confessione.

La cura del gregge
Il Popolo di Dio - ha evidenziato - sa riconoscere “quando un sacerdote è innamorato di Gesù o quando è un funzionario a orario fisso o una persona che segue la legge alla lettera. Il sacerdote che diventa un funzionario”: “Vi prego che non ci sia doppiezza di cuore! Che ci sia amore e che non ci sia ipocrisia; che ci sia misericordia, tenerezza”. “La prima motivazione per evangelizzare - afferma il Papa - è l’amore di Gesù, che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui”. “Ogni sacerdote senta nel suo cuore che nonostante le sue mancanze, infedeltà e proprio per questo il Signore lo mette lì, al servizio del suo popolo e questa è una cosa meravigliosa”. Ricordando l’incontro con alcune coppie con “50 e 60 anni di matrimonio” nella Messa mattutina  a Santa Marta, ha parlato di un amore che matura negli anni: così “come il sacerdote via via che va avanti nell’amore con Gesù sente la carezza del suo maestro in una maniera nuova, lo cerca, lo comunica e lo ama con carezze rinnovate”. Non è sempre facile - ha detto - ma “lasciatevi amare, aprite il vostro cuore a Lui. E non solo contempliamo Gesù: lasciate che Lui ci contempli, che Lui mi guardi... ‘Signore, eccomi qua, sono qui’.

L’affidamento al Tabernacolo
“Se tu sei lì davanti al Santissimo e dormi non ti preoccupare! Lasciati guardare da Lui, ma vacci, vacci a quel tabernacolo! Non lo lasciare!” Il Papa ha esortato a guardare il tabernacolo dove si trova l’Amore “e se non sai cosa dirgli - ha aggiunto - se sei stanco digli che sei stanco e se ti addormenti fai che Lui ti guardi e che lo Spirito Santo preghi per te, da lì, in questo dialogo che è dialogo d’amore, un dialogo silenzioso, senza parole”.

L’Omelia sappia parlare al cuore
E’ tornato sulle omelie esortando “a parlare al cuore della gente” e suggerendone il modello: “Un’idea, una parola, una immagine e un sentimento”. “Non dimenticate - ha detto - che l’omelia non è una conferenza, non è una lezione di catechesi, è un sacramentale”: “Non fate paura al popolo fedele di Dio, non lo fate fuggire, non perdete tempo, parlategli di Gesù, della gioia di una fede ancorata a Gesù”.

Il Battesimo non si nega
“Vi confesso che mi fa una gran pena quando un parroco non battezza uno appena nato perché figlio di madre single o di padre risposato. Non ha diritto! Il Battesimo non si nega!”. “Quando questo accade, il cuore di un sacerdote è burocrate, è strettamente legato alla legge della Chiesa, la Chiesa che è madre si trasforma per tanti fedeli in una 'matrigna': per favore, fate sentire che la Chiesa è sempre madre!” Il Papa ha parlato della misericordia insegnata da Gesù e declinata in un amore non chiuso dalla morale, ma aperta all’uomo. E ha citato il perdono di Gesù: 70 volte 7. “Non abbiate paura - ha sottolineato - Misericordia nelle confessioni, misericordia”. “L’amore trasforma e contagia”.

L’Ecumenismo
Poi, lo scandalo della divisione dei cristiani. L’ecumenismo - ha proseguito - non è un compito in più da fare: è un mandato di Gesù. “E’ cercare l’unità del Corpo di Cristo, rotta per i nostri peccati di divisione”. 

Il perdono per le colpe 
“Noi - ha detto - ci scandalizziamo quando quelli dell’Isis bruciano vivo quel povero pilota, in quella gabbia, ma noi nella nostra storia lo abbiamo fatto!”. “Noi abbiamo ferito la Santa Madre Chiesa! Nella nostra coscienza ci deve essere quel chiedere perdono per la storia della nostra famiglia, per tutte le volte che abbiamo ucciso in nome di Dio”. Il Papa ha indicato i martiri quali vie di unità e il sangue oggi “di uomini e donne che muoiono per Gesù Cristo”. Il Papa ha parlato di un “ecumenismo del sangue” che stiamo vivendo. C’è una confessione - ha aggiunto - da parte del demonio: “Sono cristiano”… Bisogna sterminarli!  

La missionarietà non clericalizzata
Quindi,
ha introdotto la grazia esortando alla missionarietà il Rinnovamento Carismatico. “A volte siamo tentati di credere che siamo i padroni della grazia e non i dispensatori della grazia. La grazia non si compra. E’ gratuita: è grazia!” Poi, l’esortazione a lasciar lavorare i laici. “Non clericalizzate! - ha evidenziato - Il clericalismo è uno dei peccati e uno degli atteggiamenti peccaminosi che frenano la libertà della Chiesa.

Secolarismo
Sollecitato sul fenomeno del secolarismo, ha detto che non va combattuto facendo proselitismo, poiché “è la caricatura dell’evangelizzazione”. Ma di occuparsi delle persone, delle povertà,  “annunciare il Vangelo”, testimoniare e questo a tutte le latitudini, anche le più povere. 

Il denaro
Di nuovo, il monito a non essere attaccati alle ricchezze, a riconoscere ed evitare l’ideologia che “crea la lotta di classe”. Invece, testimoniare il Vangelo. “Gesù predicò le Beatitudini - ha precisato - Predicate il Vangelo, state con i poveri. “Il popolo fedele di Dio mai perdonerà un sacerdote che sia attaccato al denaro o che tratti male la gente”. “Non dimenticatevi - ha evidenziato - che il demonio entra dalla tasca, entra proprio lì.” E che una volta entrato, “il secondo scalino è la vanità!

L’Europa
Sulle sfide dell’Europa dell’Est e della Chiesa, Francesco ha tracciato il legame storico tra Roma, Costantinopoli e Mosca e la “tensione” “che oggi è ancora calda”, indicando il dialogo quale fonte di costruzione. Il Papa è entrato nello scacchiere geopolitico ribadendo che la questione tra Russia e Ucraina “in questo momento è risolta sulla carta” che “il Trattato di Minsk è firmato da tutti”, ma anche che ci si rifiuta “di metterlo in atto”, cadendo in un “”nominalismo della politica”.

Africa
Il Papa ha ribadito che “c’è bisogno di sacerdoti in Africa.” E che la colonna “vertebrale sono i catechisti” la cui formazione è “fondamentale”. “L’Africa in questo momento è terra attraente allo spoglio, è un luogo di spoglio”, perché “le potenze vanno là a cercare legno, oro, metalli, e portano via tutto e se ne vanno”. “In Africa - ha sostenuto - i problemi di sviluppo e di promozione sociale sono necessari.

Immigrazione
Guardando alle tante persone che dall’Africa vengono in Europa, il Papa rileva solo una risposta emergenziale nell’accogliere: “Questo non basta, questo è l’aspetto di emergenza, quello che è necessario è che l’Europa vada in Africa, non a portar via cose dall’Africa, ma a investire in Africa, perché in Africa ci sia industria, lavoro e la gente non debba venire qua!”. Centrale anche "la formazione culturale, l’assistenza sanitaria in cui la Chiesa è impegnata e deve portare avanti con l’aiuto “dei cristiani di tutto il mondo”.

Asia
“L’Asia è per me una delle promesse più grandi della Chiesa - ha detto il Papa -  è per questo che negli ultimi due Concistori si è cercato di creare cardinali asiatici, perché fossero testimoni nella Chiesa di Roma di tutte quelle Chiese”. Francesco ha sottolineato che “l’India è una ricchezza meravigliosa” e che nella zona “del Kerala continua a esserci una grande quantità di vocazioni”. Francesco ha ribadito che l’Occidente sta percorrendo” i cammini di relativismo, edonismo, consumismo” che lo stanno deteriorando e provocandone la decadenza. “L’Asia invece ha riserve spirituali”.

Martiri
Il Santo Padre ha poi volto lo sguardo sulla tragedia degli indiani lasciati in mare, sul fondamentalismo che c’è in alcune parti del Pakistan, sui tanti  martiri in Corea, Giappone, Thailandia: “tanti martiri che hanno versato il loro sangue” e che indicano una via di testimonianza.

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Il Papa: sperimentiamo la tenerezza di Dio per noi stessi

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Una riflessione profonda sulla tenerezza di Dio: questa l’omelia di Papa Francesco, pronunciata in spagnolo, nella Messa celebrata ieri nella Basilica di San Giovanni in Laterano, dopo l'incontro con i sacerdoti del Rinnovamento Carismatico. Il Pontefice ha anche ricordato i cristiani copti decapitati da miliziani dello Stato islamico. Il servizio di Benedetta Capelli

"En las costas de Libia, los 23 martires coptos estaban seguros que Dios no les abandonaria...

Sulle coste della Libia, i ventitré martiri copti erano sicuri che Dio non li avrebbe abbandonati. E si sono fatti decapitare pronunciando il nome di Gesù! Sapevano che Dio, mentre tagliavano loro la testa, non li avrebbe abbandonati".

Papa Francesco parte dall’episodio cruento e drammatico, avvenuto alcuni mesi fa in Libia. Definisce “martiri” i copti uccisi, sono loro l’esempio del totale affidamento a Dio, la prova che Lui nemmeno nei momenti più tragici si tira indietro. E’ chiara l’indicazione suggerita da Francesco ai sacerdoti che lo ascoltano e ai quali parla della tenerezza di Dio. Citando il profeta Osea, ricorda che il Signore salva dalla schiavitù del peccato, dall’autodistruzione, dalle schiavitù che ognuno di noi ha dentro di sé. Salva e ama per come si è, nella vicinanza, nel prenderci in braccio, nell’imparare a camminare.

"Cuantas veces pienso que le tenemos miedo a la ternura de Dios...
Quando volte penso che abbiamo paura della tenerezza di Dio e per il fatto che abbiamo paura della tenerezza di Dio non lasciamo che essa si sperimenti in noi stessi. E per questo tante volte siamo duri, severi, castigatori… Siamo pastori senza tenerezza".

Pastori che hanno il compito di andare a cercare la pecorella che si è smarrita e non restare a guardare le 99 che sono chiuse nel recinto. Così, Francesco chiede ai sacerdoti di avere lo stesso atteggiamento di cura con i parrocchiani. “O siamo abituati a essere una Chiesa – afferma – che ha una sola pecora nel suo gregge e lasciamo che le altre 99 si perdano sul monte?” Non bisogna dimenticare la tenerezza di Dio, “è una grazia divina”, soggiunge il Papa, che ricorda il cuore di Cristo pronto ad aprirsi quando si è soli, disorientati e persi.

"Creemos en un Dios que se hizo carne, que tiene un corazon...
Crediamo in un Dio che si è fatto carne, che ha un cuore e questo cuore oggi ci parla così: 'Venite a me. Se siete stanchi, oppressi e io vi darò ristoro'. Ma i più piccoli trattateli con tenerezza, con la stessa tenerezza con cui li tratto io”. Questo ci dice oggi il Cuore di Gesù Cristo ed è ciò che in questa Messa chiedo per voi, e anche per me".

Grande la gioia degli oltre mille sacerdoti presenti al Ritiro, e arrivati da tutto il mondo, nell’ascoltare le parole di papa Francesco rivolte a loro. Ecco le loro voci raccolte da Marina Tomarro

R. – E’ stata un’emozione grande. Credo che sia anche una grande grazia, perché non tutti i sacerdoti hanno questa possibilità. Quindi, ringrazio Dio sicuramente per quello che mi ha concesso di vedere, di fare e di ricevere grazie a Papa Francesco.

D. – Il Papa ha molto insistito sulla tenerezza: in che modo accogliere questa sua esortazione?

R. – Amare ma rendersi amabili verso gli altri e quindi in questo modo dare un’immagine del cuore di Dio che è un cuore tenero.

R. – Ce lo ha ridetto perché dobbiamo essere anche noi piccoli pastori e dobbiamo portare la tenerezza di Dio.

D. – Cosa porterai a casa da questo incontro?

R. – Questa è un’esperienza di fede viva e questa è la cosa più bella: proprio sentire Dio veramente presente, nei Sacramenti, nella preghiera e in questa consolazione di un cammino comune che il Santo Padre ci mostra e che noi facciamo come Chiesa proprio per poter edificare ed edificarci insieme.

D. – Padre, da dove viene?

R. – Sono brasiliano, di una nuova comunità. E’ stato un grande incoraggiamento per tutti noi vedere che lui è così vicino anche ai problemi di noi sacerdoti: ci indica la direzione giusta e fa il percorso  insieme a noi. E’ un grande esempio e insieme con lui tanti vescovi nel mondo. Quindi, per noi che siamo giovani sacerdoti è un grande incoraggiamento perché possiamo fare altrettanto col popolo di Dio.

D. – Cosa porterà in Brasile di questo incontro?

R. – La certezza che Dio c’è, Gesù c’è, è con noi, cammina con noi, vuole che la sua Chiesa sia sempre di più santa perché Lui è santo.

D. – Da dove viene padre?

R. – Dalla Svizzera. E’ stato un regalo grandissimo: due ore di insegnamenti, stare con lui, sentire la sua Parola, veramente lo ricevo come un regalo.

D.  – Cosa le è rimasto nel cuore delle sue parole?

R. – Le tre parole che ci ha detto alla fine dell’Eucaristia, come un invito a portare anche nella nostra vita e ad attuarle per i fedeli: amore e misericordia e tenerezza.

D.  – Padre da dove viene?

R. – Io vengo dal Messico ma studio a Roma. E’ veramente l’incontro col Pastore che ci parla tanto della misericordia e della vicinanza.

D. – Quali sono le parole del Papa che le sono rimaste nel cuore?

R. – Che non dobbiamo scoraggiare la gente, dobbiamo essere vicini con la tenerezza di Dio, l’amore di Dio. Siamo (qui) per amare le persone e non per giudicarle.

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Nomina episcopale a Bermuda nelle Antille

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Nelle Antille, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Hamilton in Bermuda, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Robert Joseph Kurtz, dei Resurrezionisti. Al suo posto, ha nominato padre  Wiesław Śpiewak, del medesimo Istituto, finora superiore provinciale dei Resurrezionisti in Polonia. Il neo presule è nato il 19 ottobre 1963 a  Cracovia, in Polonia. Il 15 settembre 1984 ha emesso i primi voti con i PP. Resurrezionisti. In seguito, ha svolto la formazione filosofica presso il Vincentian Institute di Cracovia, e quella teologica presso la Pontificia Università Gregoriana, in Roma. Ha conseguito, poi, il Master in Teologia presso l’Istituto Pontificio di Cracovia, completando pure gli studi necessari per la Licenza in Teologia Spirituale presso i PP. Salesiani, in Roma. Dopo avere emesso i voti perpetui, è stato ordinato sacerdote il 19 maggio 1990. Dopo l’Ordinazione ha svolto i seguenti incarichi: 1990 - 1992: Vice-Rettore del Seminario Minore dei Resurrezionisti a Poznan, in Polonia; 1992 - 1995:Direttore Pastorale Vocazionale e Segretario del Superiore Provinciale in Varsavia e Cracovia; 1996 – 1997 Direttore Pastorale Vocazionale e Responsabile del Centro Vocazionale Emmaus, a Mszana Gorna; 1997 - 2005: Diversi incarichi presso la Casa Generalizia in Roma; 1998 – 2014 Postulatore Generale della Congregazione della Risurrezione; 1998 - 2003:       Parroco di Santa Maria Maddalena, in Capranica Prenestina; 2003 – 2009: Diversi incarichi presso la Casa Generalizia in Roma; dal 2010: Superiore Provinciale in Polonia e Membro della Commissione Episcopale per i migranti.

La Diocesi di Hamilton in Bermuda (1967), suffraganea dell’Arcidiocesi di Nassau, ha una superficie di 54 kmq e una popolazione di 64.237 abitanti, di cui solo 9.340  sono cattolici. Ci sono 6 Parrocchie, servite da 6 sacerdoti  (5 Religiosi e 1 Diocesano) e 2 suore.

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Papa, tweet: Chiesa è dei martiri, impariamo dal loro coraggio

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Papa Francesco ha lanciato oggi un tweet dal suo account @Pontifex: “Oggi la Chiesa è Chiesa di martiri: tanti testimoni eroici. Impariamo dal loro coraggio”.

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Vallini: si allarga perimetro matrimonio ma famiglia è altro

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Saranno i genitori i protagonisti del Convegno diocesano della Chiesa di Roma sul tema: “Noi genitori testimoni della bellezza della vita”. Domani pomeriggio, l’apertura con il Papa in Piazza San Pietro. Lunedì sera, il Convegno si sposterà nella Basilica di San Giovanni dove sarà presentato uno studio del Censis sui genitori e la trasmissione della fede ai figli a Roma. Martedì, infine, la conclusione con laboratori di studio presso l’Università Lateranense. Intanto, presso la Stazione ferroviaria di Roma Tiburtina da giorni si concentrano decine di immigrati in transito verso il Nord Italia e l’Europa. I migranti sono però bloccati per la chiusura delle frontiere da parte dei Paesi dell’Unione europea confinanti con l’Italia. A fare visita a questi immigrati, assistiti dalla Caritas romana, sarà il cardinale vicario, Agostino Vallini, che al microfono di Luca Collodi descrive l'attesa della diocesi per l'incontro con Francesco: 

R. – Domani pomeriggio, in Piazza San Pietro, con tanti genitori, oltre ai catechisti e ai parroci, la Chiesa di Roma si riunisce a riflettere, sotto la guida di Papa Francesco, su questo compito grande, bello, affascinante che è il modo di trasmettere la fede alle nuove generazioni. Il Convegno continuerà poi lunedì e martedì. Abbiamo una bella adesione da parte di tante persone. Ci auguriamo che possa davvero essere fruttuoso. Il tema l’abbiamo intitolato così: “Noi genitori testimoni della bellezza della vita”. Non si tratta, infatti, di indottrinare nessuno, ma di far scoprire la bellezza della fede per la bellezza della vita. Confido proprio che questo Convegno, che è uno sviluppo di quello dell’anno scorso, del grande tema della trasmissione della fede alle nuove generazioni, possa davvero essere fecondo anche sul piano dell’impegno operativo nelle parrocchie, nelle altre comunità ecclesiali.

D. – Qual è oggi la difficoltà di una famiglia nell’educare i propri figli a Roma?

R. – Intanto, se loro avvertono la forza della fede, se partecipano alla vita ecclesiale, se hanno una appartenenza che allarga i loro orizzonti e quelli dei loro figli creando ambienti di vita favorevoli, certamente sono aiutati. Ma nel più vasto contesto culturale e sociale, certo, molti genitori sono pensosi sul come trasmettere vie di bene e valori capaci di dare sostegno, di formare personalità adulte per i loro figli. Questo li impensierisce parecchio. Il contesto e il momento che viviamo, infatti, non è che incoraggi molti. Purtroppo, il male fa rumore, ma anche di bene ce n’è tanto.

D. – Tra l’altro, nella comunità civile qualcuno mette in discussione il ruolo dei genitori…

R. – Si allarga un discorso ad una realtà che non sarebbe né nella natura e né nella realtà giuridica. I genitori, infatti, la famiglia, secondo la Costituzione italiana, è ben definita. Oggi, si cerca di allargare il perimetro del matrimonio e del rapporto genitori-figli ad altre realtà che, secondo il mio parere, non so se porteranno del bene o meno. Una cosa è esprimere rispetto a ogni condizione di vita, altra cosa è però trasformare la realtà fondante la società – il matrimonio e la famiglia – in una cosa che non vi appartiene.

D. – La Chiesa di Roma è Chiesa missionaria. In queste ore, alla stazione Tiburtina si riuniscono migranti che vogliono lasciare l’Italia in treno per andare in Europa, ma non possono farlo per la chiusura delle frontiere. La diocesi di Roma che cosa sta facendo?

R. – Noi siamo lì, alla Stazione Tiburtina, presenti con la Caritas, cercando di alleviare le pene, le sofferenze di questi fratelli che hanno alle spalle settimane e talvolta mesi già di grandi sofferenze. E’ davvero un po’ strana questa situazione. Li definiscono  “transitanti”, quindi non sono identificati e come tali non possono essere aiutati. D’altra parte, tutto è chiuso, per cui non possono transitare. E’ una situazione di emergenza che dovrebbe muovere le autorità per cercare una via, seppure provvisoria, perché certamente non si può continuare con masse di persone che si riuniscono per partire. Proviamo a metterci nella condizione di vita di questi uomini, donne, bambini: sono come me, come lei. Non possiamo far finta che non ci appartengano. In questo senso bisogna agire e premere, perché l’uomo, la centralità dell’uomo, di ogni uomo, in qualunque condizione, sia rispettata e favorita. Certo, se poi ci sono persone che vivono nella illegalità, queste vanno perseguite. La solidarietà nella legalità. Non possiamo, però, mettere da parte la solidarietà, perché l’Europa è sorda. Bisogna fare qualcosa.

D. – Nella cosiddetta Unione Europa vengono chiuse le frontiere ai migranti. Una situazione che richiama quanto detto all’Europa dal Papa a Strasburgo…

R. – E’ vero, il Papa, nel suo famoso e veramente bel discorso di Strasburgo, ha aperto orizzonti all’Europa. Ma l’Europa ha dimenticato le sue radici e come tale è un’Europa oggi che non ci incoraggia. Noi siamo consapevolmente, coscientemente europeisti, nel senso che gli orizzonti vanno allargati e le frontiere vanno aperte, perché l’uomo possa espandersi. E se salutiamo i vantaggi, i grandi vantaggi dell’Europa, che in questi 70 anni hanno portato la pace, è certamente un fatto positivo. La politica europea, però, in questo momento ha bisogno di evolversi verso le radici vere dell’Europa solidale e superare le chiusure, le paure, come anche il Santo Padre ci ha detto, in nome della centralità dell’uomo.

D. – Card. Vallini, durante il Convegno diocesano, visiterà i migranti alla stazione Tiburtina?

R. – Mi auguro di poterlo fare al più presto.

D. – L’immigrazione richiama anche la situazione politica e giudiziaria che si respira a Roma con “Mafia Capitale”. Una brutta pagina di vita sociale e politica…

R. – Come tutti i romani, sono addolorato per tutto quello che avviene. Sono convinto che la città abbia gli anticorpi validi per reagire, ma questa cosa ci addolora e ci deve far riflettere e pensare. Una città come Roma, infatti, una città aperta, accogliente, non può speculare sulle povertà. Quindi, chi ha sbagliato renda conto alla giustizia. Non scoraggiamoci, però, nell’affrontare questioni gravi di un mondo che si trasforma, di una globalizzazione sempre più crescente. L’incontro, dunque, tra le razze e le culture saranno inevitabili anche in futuro.

D. – Con questo clima ci prepariamo al Giubileo della Misericordia quanto mai opportuno…

R. – Ringrazio davvero, il Santo Padre, perché il tema della misericordia è il tema dell’uomo amato da Dio e, in questo senso, dobbiamo vivere questa grazia del Giubileo come una grande opportunità di un cammino di revisione di vita, dal punto di vista interiore innanzitutto. Il Giubileo è un Giubileo spirituale, che deve rimettere il cuore degli uomini – il mio, il suo e quello di tutti – dinanzi alla luce del Vangelo, della grazia, della persona di Gesù, che è il rivelatore della misericordia del Padre. Ma al tempo stesso, deve potersi tradurre anche in stili di vita confacenti alla esigenza del mondo d’oggi, che ha tanto bisogno di misericordia, di tenerezza, di comprensione, di ascolto, che debbano dare sostanza anche alla giustizia e ai rapporti sociali.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La frusta in sacrestia: durante la messa con i sacerdoti il Papa parla della tenerezza di Dio.

Integrati e non decorativi: Papa Francesco agli scout italiani.

Dallo scandalo antico una speranza nuova: sulla riproposta, da parte del Papa, di un'unica data per la Pasqua, l'articolo di Vittorio Peri apparso sull'Osservatore Romano il 17 giugno 1988, e un breve ricordo dell'autore, "uomo di frontiera", firmato da Paolo Vian.

Tela sull'orlo: Giulia Galeotti recensisce il sorprendente quartetto di Elena Ferrante.

Casa e natura: Lukas Thommen sull'ambiente nel mondo antico.

Calma piatta e spettacolo pirotecnico: Emilio Ranzato sui ritorni dei film del regista giapponese Ozu e della saga di Mad Max.

Il tocco personale: Francesco Motto su una trilogia dedicata a san Leonardo Murialdo.

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Oggi in Primo Piano



Migrazioni: Ue bloccata sulle quote profughi

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Sempre difficile la situazione in Italia per la forzata accoglienza di centinaia di profughi che l’Europa non vuole. Si cercano sistemazioni provvisorie a Roma, Milano e soprattutto a Ventimiglia dove le frontiere con la Francia sono chiuse, in attesa che si sblocchi il braccio di ferro europeo. Il dibattito è tra obbligatorietà delle quote di ripartizione, decisa dalla Commissione Ue, e volontarietà, ma anche sui criteri di calcolo per la ridistribuzione. Non se ne parla ancora nella bozza delle linee-guida del Vertice dei leader Ue del 25 e 26 giugno prossimi, dove invece si accelera sui rimpatri. Di fatto, la politica Ue paralizza la realtà e mostra gli aspetti negativi dell’Unione Europea, come spiega Antonio Villafranca, responsabile del Programma Europa per l'Ispi, Istituto studi politica internazionale, al microfono di Gabriella Ceraso: 

R. – Il tema delle migrazioni non è una competenza esclusiva dell’Unione Europea. La cooperazione ci può essere, ma in buona parte è intergovernativa. E’ ovvio che ciascun Paese possa opporsi a questo tipo di ripartizione. Il problema è un altro: il problema è capire veramente che Europa stiamo costruendo e non per colpa delle istituzioni di Bruxelles, ma essenzialmente dei Paesi membri che dimenticano che sarebbe molto opportuno un coordinamento a livello europeo.

D. – Tra i Paesi che più si oppongono all’obbligatorietà delle quote proposte dalla Commissione, c’è tutta l’area baltica, ci sono i Paesi dell’Est… Ma perché sono così contrari?

R. – Non vogliono essere obbligati anche perché il tema delle migrazioni lì non è un tema sentito come lo è da noi. Purtroppo, nell’Est Europa, in alcuni Paesi del Nord Europa, questo è evidente. Quello che a me personalmente colpisce di più è l’atteggiamento di Paesi mediterranei dell’Europa, come la Francia, la Spagna, il Portogallo… Ma perché anche lì c’è una forte politicizzazione del tema delle migrazioni e ciascun Paese non vuole che venga gestito a livello europeo.

D. – La chiusura della frontiera a Ventimiglia da parte della Francia si può fare?

R. – Negli accordi di Schengen è previsto che in circostanze straordinarie si possa derogare. E’ un segnale comunque negativo. Le chiusure delle frontiere non serviranno mai…

D. – Il14 giugno dell’85, cioè 30 anni fa, fu firmato il Trattato di Schengen. Alla luce di quanto sta accadendo oggi, come lo valuta?

R. – Io credo sarebbe un errore straordinario e incredibile che si tornasse indietro rispetto a Schengen. Pensare di creare una qualsiasi coesione in Unione Europea limitando la mobilità delle persone è assolutamente assurdo. E se noi non siamo integrati in Europa, obiettivamente mi chiedo: i singoli Paesi chiusi in se stessi che ruolo possano avere, anche quando questi Paesi si chiamano Germania, nel mondo? Si è comunque troppo piccoli rispetto al nuovo mondo che abbiamo oggi e l’Europa deve essere integrata. Il primo anello dell’integrazione non può che essere, appunto, quello legato alla mobilità delle persone.

D. – Un’ultima cosa: per il Vertice del 25 e del 26 giugno in Europa, indiscrezioni dicono che si arriverà alle cosiddette “proposte win win”, in cui vincono sia gli Stati alle prese con l’emergenza, sia quelli che non vogliono perdere un consenso politico nazionale… Si arriverà a questo?

R. – In realtà gli ultimi "rumors", come si dice, è che possa essere tutto spostato a settembre e che quindi che, in realtà, al Consiglio di giugno non si riuscirà a prendere una decisione finale. Io dico sempre che la negoziazione va bene, si possono rivedere le percentuali, però quello che è fondamentale è capire che la gestione delle migrazioni – sia quelle che vengono dal Mediterraneo, ma anche di altri tipi di migrazioni che esistono in Europa – non possono che passare attraverso una gestione più coordinata e a livello comunitario.

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Yemen: bombardata la parte antica di Sana’a, 10 morti

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Nuova ondata di raid della coalizione a guida saudita sullo Yemen. Almeno 10 persone sono morte e oltre 40 sono rimaste ferite nelle ultime 48 ore, nei bombardamenti sulla capitale Sana'a. L’Unesco denuncia danni alla parte antica della città, dichiarata Patrimonio dell’umanità. Lunedì prossimo, a Ginevra, i colloqui tra le due parti in conflitto: i ribelli sciiti houthi e le milizie sunnite fedeli al deposto presidente Hadi. Il servizio di Marco Guerra: 

Gli aerei di Riad oggi hanno bombardato alcune aree a sud di Sana'a, mentre ieri è stata colpita, per la prima volta dall’inizio del conflitto, la parte antica della capitale. Un dedalo di oltre seimila case-torri, costruite con terra battuta e mattoni cotti, tutto decorato con motivi geometrici ispirati all'arte islamica tradizionale. “I valori storici e di memoria custoditi in questi siti sono stati irrimediabilmente danneggiati o distrutti”, ha detto il direttore generale dell'Unesco, Irina Bokova, condannando l’azione dell’Arabia Saudita. Con questi ultimi raid, secondo le Nazioni Unite, sono almeno 2.300 le persone uccise e altre 7.330 quelle rimaste ferite in Yemen dal 26 marzo, ovvero da quando è iniziata l’operazione della coalizione arabo-sunnita per fermare l'avanzata dei ribelli sciiti sostenuti da Teheran, su richiesta del deposto presidente yemenita, Hadi. Intanto, sale l’attesa per i colloqui di lunedì a Ginevra tra le due parti che si stanno combattendo sul terreno. L’inviato speciale dell’Onu, il mauritano Ismail Ould Chiekh Ahmed, incontrerà 14 delegati, sette per ogni fazione in conflitto.

Per un’analisi della situazione, l'opinione di Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all'Università di Firenze: 

R. – Il bombardamento di Sana'a va visto semplicemente nell’ottica militare saudita, che è quella di distruggere e colpire gli houthi. Che la città sia un monumento dell’Unesco, nella logica saudita è assolutamente irrilevante: non hanno rispetto per i propri monumenti, figuriamoci per quelli degli altri. E’ da parte del governo saudita un tentativo di assestare un colpo, anche in vista dei negoziati tra le parti e risultare vincitori sul terreno, cosa che non sono riuscita a fare negli ultimi mesi e che sta pesando parecchio. Anche perché la guerra è condotta da un giovanissimo Ministro della difesa, ha solo 29 anni, è figlio di re Salman e anche secondo erede al trono: questo giovanotto, a detta di tutti, anche degli alleati della coalizione, non ha alcuna esperienza né politica né militare.

D. – Questa volta, ha denunciato un funzionario dell’Unesco, non siamo davanti ai soliti briganti dell’Is che distruggono un bene culturale, ma siamo di fronte a una coalizione guidata dai sauditi che per fare terra bruciata distrugge una città…

R.  – La coalizione esiste ma molto sulla carta perché alcuni Paesi, compresa la Giordania, partecipano in modo assolutamente nominale. E’ giusto perché non hanno avuto il coraggio come lo hanno avuto i pakistani di dire "no" ai sauditi. Quindi, è una coalizione sulla carta, in realtà è un’impresa saudita.

D. – E’ un’impresa saudita contro una "longa manus" di Teheran, quindi è questo lo scontro in Yemen?

R.  – Lo scopo dei sauditi è controllare la penisola arabica e quindi anche lo Yemen, che è sempre stato una parte molto ribelle. Il problema dello Yemen è che è vero che ha metà della popolazione sciita, ma sono sciiti di un gruppo che non è omogeneo a quello iraniano. Sono sciiti locali, con proprie caratteristiche, e definirli alleati di Teheran significa al massimo spingerli verso Teheran.

D. – Con quali attese si arriva all’incontro di lunedì a Ginevra fra le delegazioni? Da una parte gli houthi sostenuti dall’Iran e dall’altra le milizie fedeli al presidente Hadi, appoggiato da Riad…

R. – Le parti sono divise da forti contrasti e hanno una storia pregressa che risale ad almeno 30 anni fa. Quindi, porteranno con sé tutto questo. Semmai, quello che potrebbe unirli, almeno portarli verso una soluzione, è l’idea che i sauditi sono nemici di tutti e due. Questo è l’unico collante che potrebbero avere.

D. – Lo Yemen è un altro tassello di quel mosaico mediorientale che è sempre più instabile…

R.  – Lo Yemen è sempre stato un Paese instabile. E’ stato riunito recentemente e non è stato mai unificato. Inoltre, lo Yemen è poverissimo, ha un grave problema alimentare, soprattutto non ha acqua. Se i sauditi continuano a distruggere il Paese, le infrastrutture, prima o poi avremo da quelle parti una massa di migranti che farà impallidire quella che sta riempiendo il Mediterraneo. Lo Yemen è un Paese poverissimo e delicatissimo, distruggerlo significa cerare il caos.

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Via Francigena Festival: un pellegrinaggio lungo 400 eventi

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Presentata di recente a Roma la quinta edizione del festival europeo della via Francigena, promosso dall'Associazione Civita e dall'Associazione europea delle Vie Francigene. Oltre 400 eventi affronteranno il tema "Culture e Colture dei Paesaggi" per riflettere, nell'anno dell'Expo, sul dono del cibo e sull'influenza del contesto naturale e antropologico. La manifestazione prevede pellegrinaggi, momenti artistici e enogastronomici, laboratori didattici attraverso cinque nazioni, per riscoprire e valorizzare la più “estesa infrastruttura spirituale, culturale e relazionale d’Europa". Eugenio Murrali ha intervistato Sandro Polci, direttore del Festival: 

R. – Lo spirito del Festival è molto semplice: cerca di dare visibilità ai 400 eventi che nei territori – spesso separatamente, senza collegamenti – mirano a promuovere i propri cammini di fede, di speranza, religiosi, spirituali o anche di natura identitaria, quindi cari alle comunità locali. Siamo partiti sei anni fa e con i primi 50 eventi abbiamo cominciato a fare chiarezza su quali fossero le tendenze e i desideri dei diversi territori, non soltanto italiani, ma europei: la Via Francigena si chiama così perché raccoglie tutto quello che è oltre le Alpi, quelle che erano le vie di attraversamento dell’Impero francese. Era la via straniera, che addirittura arrivava alle Russie. Parte, con un evento che facciamo quest’anno, da Trondheim, in Scandinavia, dopo 3.000 chilometri giunge a Roma e poi a Gerusalemme. Quindi, nell’insieme, riunisce tante espressioni di fede facendone risaltare l’originalità nei diversi territori. Santiago, Roma, Gerusalemme erano le tre mete della fede della Via Francigena, ma poi la Via è diventata anche una via di scambio, di collegamento. Questo ha portato a costruire l’Europa – come il Consiglio d’Europa ci ricorda – un insieme di territori attraverso questi lunghi percorsi.

D. – Quest’anno, qual è il messaggio forte che volete sottolineare?

R. – In rapporto con l’Expo, dove abbiamo presentato parte del programma, il Festival vuole dialogare sulle modalità, non tanto del cibo, ma delle culture, quelle che il pellegrino e il viandante cattura camminando, chiedendo, essendo un soggetto attivo perché è in movimento. E quando una persona è in movimento, cambia i luoghi, cambia le visioni e poi naturalmente cambia se stessa.

D. – Spiritualità, arte, cultura, natura: quali sono gli appuntamenti più importanti di questo Festival?

R. – Trovo fantastico che abbiamo in contemporanea mons. Giancarlo Vecerrica, con il Pellegrinaggio Macerata-Loreto – che, dal tramonto all’alba, porta 100 mila persone, tutte insieme, cantando, lungo i 30 chilometri del percorso – e nello stesso momento abbiamo tante iniziative pugliesi o piemontesi nelle quali un gruppo di persone – seppur molto meno numeroso – riesce a dare senso e vita a percorsi dimenticati, che testimoniano una grande spiritualità, uno spirito di condivisione e di eco-sostenibilità, che parlano un linguaggio che non vuole chiudersi in una dimensione specifica, ma che anzi cerca collegamento e dialogo. Sono oltre 400 eventi e coinvolgono cinque nazioni diverse. Il Cammino della Pace organizzato da mons. Andreatta –  da Betlemme a Gerusalemme –  che sarà a metà ottobre, a Roma. Nello stesso periodo, convergeranno tutti i pellegrini che da Trondheim, dopo quasi 3.000 kilometri, arriveranno in città. Ci saranno i bambini che si sposteranno nei luoghi delle diverse religioni, perché il dibattito interreligioso è oggi decisivo. I bambini passeranno dall’imam, per poi andare alla sinagoga, fino ad arrivare a Piazza San Pietro. Le parole sono semplici, chiare, ma a volte proprio per questo rivoluzionarie: condivisione, rispetto dell’altro e una gioiosità che abbiamo dimenticato nelle nostre “cupezze” quotidiane.

D. – Ma chi sono oggi i pellegrini e cosa cercano?

R. – Ce n’è una fetta importante, ancorché non maggioritaria, che lo fa per un motivo religioso in senso stretto. Ce ne sono poi altri che lo fanno per un’istanza condivisa nei momenti difficili. Io ho incontrato tanti ragazzi che hanno perso il lavoro e che hanno deciso di fare chiarezza liberando il cuore, non solo la mente, arrivando stanchi, ma con la voglia di condividere parole e pensieri alla fine della giornata. Ci sono poi altre persone che lo fanno con attenzione estrema ai temi, ad esempio a quelli di natura ambientale. A queste espressioni tra loro anche diverse e articolate – ma tutte afferenti al tema del cammino, del pellegrinaggio, della ricerca del luogo, ma soprattutto di se stessi – noi diamo valore primario.

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Il commento di don Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nell'undicesima Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù paragona il Regno di Dio a un granello di senape, dicendo:

“Quando viene semi­nato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi… ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti: 

Con il capitolo IV, il Vangelo di Marco dà inizio ad una sezione dominata dalle parabole: “la parabola è un genere letterario caro agli orientali. Si tratta di una similitudine, o di un paragone, ma non di una similitudine astratta e cerebrale, ma concreta, tratta dalla vita vissuta. Essa permette di fissare un insegnamento in immagini vive che si imprimono negli occhi, nella fan­tasia, nella memoria… Secondo l'evangelista, all'inizio del suo ministero in Galilea Gesù parla in parabole alla gente perché non la ritiene pronta ad accogliere la rivelazione improvvisa di un Regno di Dio tanto diverso da quello che era stata abituata ad attendere” (Cantalamessa). Con le due brevi parabole sul Regno di Dio, che costituiscono il Vangelo di questa domenica, Gesù vuole esprimere e coinvolgerci nella meraviglia dell’opera che il Padre sta facendo: gli inizi della predicazione del Signore sono davvero piccoli, parrebbero del tutto insignificanti, davanti ai grandi eventi della storia del mondo, proprio come un granello di senapa, “il più piccolo di tutti i semi”. Ma il seme del Regno di Dio porta dentro di sé tutta la forza di Dio, tutta la gioia dello Spirito Santo, e diventa stelo, poi spiga, poi esplosione di chicchi che riempiono la spiga… e il grano di senape diventa albero rigoglioso. È una parola profetica che dà coraggio agli operai del Vangelo, spesso considerati, anche nella Chiesa, come insignificanti. Verrà il tempo della mietitura e allora si vedrà, e con sorpresa di molti, ciò che ha valore!

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Nella Chiesa e nel mondo



Card. Sarah alle chiese africane: "Proteggete il matrimonio"

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“La famiglia in Africa: quale esperienza e quale contributo per il 14.mo Sinodo generale ordinario?”. È questo il tema dell’incontro consultivo svoltosi in questi giorni ad Accra, in Ghana: organizzato dal Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar), l’evento ha visto la presenza cinque cardinali e 45 vescovi, tutti impegnati nel cammino di preparazione alla prossimo Sinodo sulla famiglia che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

Card. Sarah: proteggere la sacralità del matrimonio, senza paura
Intervenendo ai lavori, il card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha incoraggiato i partecipanti a “parlare con chiarezza, con una sola voce credibile e con amore filiale per la Chiesa”. “Siate consapevoli della missione ecclesiale – ha ribadito il porporato – proteggete la sacralità del matrimonio, che attualmente subisce l’attacco di ogni ideologia intenzionata a distruggere la famiglia in Africa, e non abbiate paura di insistere sull’insegnamento della Chiesa in relazione al matrimonio”.

I vescovi non restino in silenzio davanti a politiche anti-famiglia
Esortando, quindi, i vescovi a non restare in silenzio, bensì a parlare chiaramente contro quelle politiche nazionali e internazionali che danneggiano la promozione dei valori positivi della famiglia, il card. Sarah ha ribadito che i presuli si devono identificare con la verità e devono chiedere ai politici africani di non sostenere leggi e progetti contrari alla santità del matrimonio e della famiglia.

Non farsi influenzare dai media e promuovere l’evangelizzazione
Dal suo canto, mons. Joseph Osei-Bonsu, presidente della Conferenza episcopale del Ghana, ha ribadito che “il matrimonio è l’unione tra un uomo ed una donna” e ha chiesto agli africani di non farsi influenzare da alcuni media che promuovono le nozze tra persone dello stesso sesso. Ha parlato di evangelizzazione, invece, il vicepresidente del Secam, mons. Louis Portella Mbuyu, invitando la Chiesa in Africa a “vivere come una vera famiglia di Dio”, in cui “le famiglie vengono evangelizzate e diventano, a loro volta, evangelizzatrici”.

Tratta e lavoro minorile in aumento, serve soluzione duratura
Il presidente del Secam, l’arcivescovo Gabriel Mbilingi, ha poi messo l’accento sulla necessità che la Chiesa africana contribuisca allo sviluppo integrale del continente, attraverso la promozione dei valori cristiani: “L’Africa parlerà con una sola voce al prossimo Sinodo – ha spiegato – presentando le sfide e i successi raggiunti dalle famiglie locali”. Ma mons. Mbilingi ha anche denunciato il grave aumento dei mali che affliggono l’Africa, come la tratta di esseri umani, il lavoro minorile, la pornografia, esortando perciò i leader politici “a fare tutto quello che è in loro potere per trovare soluzioni durature” in questo ambito. Al termine dei lavori, è atteso un messaggio conclusivo. (I.P.)

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Kenya: raccolta fondi dei vescovi per sostenere la famiglia

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Una raccolta fondi per aiutare la Chiesa del Kenya a sostenere le famiglie in difficoltà: a lanciarla, in questi giorni, è stato l’Ufficio per la pastorale familiare della Conferenza episcopale di Nairobi, guidato da mons. Salesius Mugambi. Presentando l’iniziativa nella Basilica minore della Sacra Famiglia della capitale keniana, il presule ha ricordato che l’Ufficio episcopale per la famiglia “ha il compito di promuovere la genitorialità responsabile e di aiutare tutti i gruppi e le associazioni familiari. Per questo, intende estendere i suoi programmi a tutte le diocesi del Paese”.

Instillare nella società il valore della famiglia
La prima sfida da affrontare, ha ribadito mons. Mugambi, riguarda “l’instillare, nella società, i valori famigliari e l’incoraggiare i fedeli a seguire gli insegnamenti biblici, sull’esempio della Sacra Famiglia”. Di qui, l’esortazione del presule a “investire nel compito di aiutare le famiglie a perseverare nella loro vocazione, grazie anche ad un approccio collaborativo”. “Ciò che occorre, infatti – ha evidenziato mons. Mugambi – è combinare le forze della Chiesa con quelle le altre organizzazioni che si occupano delle famiglie e della loro tutela”.

Allarme per l’influenza negativa dei media sulla vita familiare
Il responsabile della Pastorale familiare del Kenya ha evidenziato anche “l’influenza negativa dei media che contribuiscono alla disgregazione dei nuclei familiari”. Intanto, numerosi fedeli hanno aderito all’iniziativa e un primo risultato è stato raggiunto: quasi un milione gli scellini donati fino ad ora, pari a circa novemila euro. (I.P.)

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Svizzera: comunità religiose unite per aiutare i rifugiati

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Lampedusa, il filo spinato di Melilla, il Mediterraneo come tomba dei migranti: sono queste le parole chiave che evidenziano “le svariate forme di ingiustizia e repressione sociale che regnano a livello mondiale e l’impulso irrefrenabile delle persone a fuggire da queste circostanze e cercare rifugio” altrove. Lo scrivono, in una nota congiunta, le Chiese e le comunità religiose della Svizzera, in vista dello Sabbat e della Domenica dei rifugiati che ricorreranno, rispettivamente, sabato 20 e domenica 21 giugno. A siglare il comunicato sono la Conferenza episcopale cattolica elvetica, la Federazione delle Chiese evangeliche della Svizzera, la Chiesa cattolica cristiana locale e la Federazione svizzera delle comunità israelitiche.

Dopo il Muro di Berlino, il mondo è più libero ma ancora ingiusto
“Venticinque anni fa – si legge nel testo – quando cadde il Muro di Berlino e, come conseguenza diretta, i regimi politici del blocco orientale si sgretolarono uno dopo l’altro, molti videro in questi avvenimenti la prova definitiva che i sistemi basati sulla repressione, sullo sfruttamento e sull’isolamento non hanno consistenza e che alla fine vince il bene”, tanto che “questo evento storico viene celebrato anche come grande vittoria del diritto umano alla libertà di emigrare e di viaggiare”. Tuttavia, “oggi, a 25 anni di distanza, si sentono chiare voci che dicono che dalla caduta del Muro il mondo è diventato più libero, ma che è tuttora ingiusto e soprattutto meno sicuro”.

Migranti accomunati dalla paura dell’ignoto
“In quanto eredi della concezione dell’essere umano ebraico-cristiana – sottolineano i firmatari dell’appello – le questioni delle persone in fuga devono essere per noi un compito da affrontare”, anche perché “già ai tempi della Bibbia la gente era in fuga: da detentori del potere politico, dalle carestie e da concrete persecuzioni personali. C’era una cosa che li accomunava tutti: la partenza verso l’ignoto e la paura di esso”.

Migrazione non è solo questione economica. Costruire comunità di relazioni
Poi, la nota congiunta evidenza le paure che derivano dai flussi migratori: paura "davanti all’estraneo, paura di perdere la propria sicurezza sociale e politica. Queste paure sono comprensibili", affermano le Chiese elvetiche. "È vero che nell’ambito della globalizzazione economica e del progresso tecnologico il mondo si avvicina sempre di più, ma è anche vero che è più diviso che mai”, osservano. Ed è proprio per questo che lo Sabbat e la Domenica dei rifugiati ci invitano a non guardare alla migrazione “solo in base agli interessi economici”, bensì “a costruire con gli stranieri una comunità relazionale di persone che imparano le une dalle altre, a beneficio reciproco”. (I.P.)

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Marocco: primi diplomi rilasciati dall'istituto ecumenico

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L’Istituto ecumenico di Teologia Al Mowafaqa di Rabat ha festeggiato la scorsa settimana due anni e ha consegnato i primi titoli di studio ai suoi studenti. Creato nel 2012 per iniziativa delle Chiese cattoliche e protestanti del Marocco, allo scopo di dar vita a un centro di formazione, riflessione e di promozione del dialogo interculturale ed interreligioso, ha accolto i primi iscritti l’anno successivo ed è stato ufficialmente inaugurato il 19 e 20 settembre del 2014 con il colloquio internazionale “Pensare con l’altro la fede e le culture. Le conflittualità creative”.

Consegnati primi diplomi dei corsi su dialogo delle culture e delle religioni
In una serata aperta al pubblico, il 4 giugno scorso, sono stati consegnati i diplomi dei corsi per il dialogo delle culture e delle religioni, sono state presentate le attività del Polo culturale e del Collegio musicale, è stato inaugurato un nuovo spazio di formazione ed è stato offerto uno spettacolo di percussioni. L’Istituto ecumenico di Teologia Al Mowafaqa offre una formazione universitaria che permette di ottenere la licenza in teologia della facoltà di Teologia protestante dell’Università di Strasburgo o il diploma universitario di teologia dell’Istituto cattolico di Parigi. I corsi sono organizzati in sessioni intensive con docenti dall’Africa e dall’Europa e particolarmente sensibili al dialogo con la cultura e con l’islam.

Dal 2013 ad oggi 30 docenti e 160 studenti
I primi due anni di attività hanno visto alternarsi 30 docenti fra 160 studenti. Il Polo culturale è partito invece nel gennaio di quest’anno e vuole essere un luogo di creazione artistica che ambisce ad accogliere artisti contemporanei della cultura marocchina e africana. La sfida è quella di sperimentare una relazione e discussione tra fede e cultura in maniera feconda. Ospitare nello stesso spazio e nello stesso momento studenti in teologia e artisti vuole essere un modo per accettare di far posto all’alterità. Quanto al Collegio musicale, ha cominciato sessioni di formazione di 3-4 giorni all’inizio di quest’anno e ha riunito musicisti africani di diversi Paesi. (T.C.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 164

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.