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Sommario del 09/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: non annacquare identità cristiana in una religione soft

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Salvaguardare l’identità cristiana lasciando che lo Spirito Santo ci porti avanti nella vita. E’ uno dei passaggi dell’omelia mattutina di Papa Francesco a Casa Santa Marta. Il Pontefice ha messo in guardia da chi vuole trasformare il cristianesimo in una “bella idea” e chi ha invece sempre bisogno “di novità dell’identità”. Quindi, ha ribadito che un altro rischio per la testimonianza cristiana è la mondanità di chi “allarga la coscienza” così tanto da farci entrare dentro tutto. Il servizio di Alessandro Gisotti

Qual è l’identità cristiana? Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dalle parole di San Paolo ai Corinzi dove parla proprio dell’identità dei discepoli di Gesù. E’ vero, ha detto, che “per arrivare a questa identità cristiana”, Dio “ci ha fatto fare un lungo cammino di storia” fino a quando inviò suo Figlio.

Siamo peccatori, ma fiduciosi che Gesù ci rialza
“Anche noi – ha soggiunto – dobbiamo fare nella nostra vita un lungo cammino, perché questa identità cristiana sia forte” così da poterne dare “testimonianza”. “E’ un cammino – ha ripreso – che possiamo definire dalla ambiguità alla vera identità”:

“E’ vero, c’è il peccato, e il peccato ci fa cadere, ma noi abbiamo la forza del Signore per alzarci e andare con la nostra identità. Ma io direi anche che il peccato è parte della nostra identità: siamo peccatori, ma peccatori con la fede in Gesù Cristo. E non è soltanto una fede di conoscenza, no. E’ una fede che è un dono di Dio e che è entrata in noi da Dio. E’ Dio stesso che ci conferma in Cristo. E ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il sigillo, ci ha dato la caparra, il pegno dello Spirito nei nostri cuori. E’ Dio che ci dà questo dono dell’identità”.

Fondamentale, ha aggiunto, “è essere fedele a quest’identità cristiana e lasciare che lo Spirito Santo, che è proprio la garanzia, il pegno nel nostro cuore, ci porti avanti nella vita”. Non siamo persone che vanno “dietro ad una filosofia”, ha avvertito, “siamo unti” e abbiamo la “garanzia dello Spirito”.

L’identità cristiana è concreta, non una religione soft
“E’ un’identità bella – ha detto ancora – che si fa vedere nella testimonianza. Per questo Gesù ci parla della testimonianza come il linguaggio della nostra identità cristiana”. E questo anche se l’identità cristiana, giacché “siamo peccatori, è tentata, viene tentata; le tentazioni vengono sempre” e l’identità “può indebolirsi e può perdersi”. Il Papa mette in guardia da due vie pericolose:

“Prima quella del passare dalla testimonianza alle idee, annacquare la testimonianza. ‘Eh sì, sono cristiano. Il cristianesimo è questo, una bella idea. Io prego Dio’. E così, dal Cristo concreto, perché l’identità cristiana è concreta – lo leggiamo nelle Beatitudini; questa concretezza è anche in Matteo 25: l’identità cristiana è concreta – passiamo a questa religione un po’ soft, sull’aria e sulla strada degli gnostici. Dietro c’è lo scandalo. Questa identità cristiana è scandalosa. E la tentazione è: ‘No, no, senza scandalo’”.

La mondanità fa perdere sapore alla nostra testimonianza
“La croce – ha detto – è uno scandalo” e quindi c’è chi cerca Dio “con queste spiritualità cristiane un po’ eteree”, gli “gnostici moderni”. Poi, ha avvertito, ci sono “quelli che sempre hanno bisogno di novità dell’identità cristiana” e hanno “dimenticato che sono stati scelti, unti” che “hanno la garanzia dello Spirito” e cercano: “‘Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle 4 del pomeriggio?’ Per esempio, no? E vivono di questo. Questa non è identità cristiana. L’ultima parola di Dio si chiama ‘Gesù’ e niente di più”. Un’altra strada per fare passi indietro nell’identità cristiana, ha aggiunto, è la mondanità:

“Allargare tanto la coscienza che lì c’entra tutto. ‘Sì, noi siamo cristiani, ma questo sì…’ Non solo moralmente, ma anche umanamente. La mondanità è umana. E così il sale perde il sapore. E vediamo comunità cristiane, anche cristiani, che si dicono cristiani, ma non possono e non sanno dare testimonianza di Gesù Cristo. E così la identità va indietro, indietro e si perde, e questo nominalismo mondano che noi vediamo tutti i giorni. Nella storia di salvezza Dio, con la sua pazienza di Padre, ci ha portato dall’ambiguità alla certezza, alla concretezza dell’incarnazione e la morte redentrice del suo Figlio. Questa è la nostra identità”.

San Paolo, ha soggiunto, si vanta di Gesù “fatto uomo e morto per obbedienza”, “questa è l’identità ed è lì la testimonianza”. E’ una grazia, ha concluso, che “dobbiamo chiedere al Signore: che sempre ci dia questo regalo, questo dono di un’identità che non cerca di adattarsi alle cose” fino “a perdere il sapore del sale”.

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Il Papa presiede seconda giornata riunione C9

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Papa Francesco presiede oggi la seconda giornata di riunione del C9, il Consiglio di Cardinali istituito dal Pontefice per aiutarlo nella riforma della Curia Romana. Questa sessione di lavori si concluderà domani.

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Nomina episcopale in Bielorussia

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In Bielorussia, il Papa ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Minsk-Mohilev  il rev.do Aliaksandr Yasheuski, SDB, finora direttore della Comunità di Smarhon della Società Salesiana di San Giovanni Bosco, assegnandogli la sede episcopale titolare di Fornos maggiore.

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Papa, tweet: nell’Eucaristia troviamo Dio che dona sé stesso

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo del messaggio: “Nel sacramento dell’Eucaristia troviamo Dio che dona sé stesso”.

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Mons. Gallagher: ai radicalismi opporre una fede autentica

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Un pensiero alla fruttuosa e intensa visita di Papa Francesco a Sarajevo ha aperto l’incontro dedicato a Religioni e dialogo a Strasburgo, presso il Consiglio d’Europa, di cui è presidente di turno la Bosnia Erzegovina. A promuovere l’iniziativa è stata la missione permanente della Santa Sede presso il Consiglio stesso, quale tappa di riflessione in vista del seminario che si terrà proprio a Sarajevo l’8 e il 9 settembre prossimi. Da Strasburgo, la nostra inviata Fausta Speranza

Obiettivo comune la costruzione di società inclusive. A parlarne, per la Santa Sede, il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Paul Gallagher:

R. – Io credo sulla base della libertà religiosa come diritto fondamentale. Noi possiamo creare uno spazio di dialogo, che ci può permettere di creare le condizioni necessarie per società inclusive.

D. – E come combattere i radicalismi e i fondamentalismi?

R. – Credo con un’attenzione alle origini, diciamo, delle inquietudini della nostra società. E poi, a livello di dimensione religiosa, combattendo l’ignoranza, riaffermando anche una interpretazione delle religioni – che sia cristianesimo, islam o ebraismo – con una interpretazione autentica di questa nostra fede.

D. – E’ emerso il rischio di una laicità che fa fuori le religioni: è ancora così o si è riscoperto il valoro delle dimensione religiosa nel dialogo interculturale?

R. – C’è sempre il rischio. Però, anche in base a quando detto qui, mi sembra che anche il rappresentante del governo francese abbia detto che è possibile avere una visione positiva della laicità dello Stato, della Costituzione, che permetta questa libertà religiosa. Non deve essere una cosa negativa, ma una cosa positiva, in cui possono fiorire le comunità religiose, le fedi religiose e un dialogo tra di loro. In quel senso, lo Stato laico può avere un valore e un ruolo molto importante.

D. – Il contributo della visita di Papa Francesco a Sarajevo a tutto ciò?

R. – La visita del Santo Padre a Sarajevo, sabato scorso, è stata veramente un viaggio molto positivo: si vedeva dai volti della gente che era lì. Si vede che lui è voluto andare per incoraggiare queste comunità diverse di culture diverse, di religioni diverse, a collaborare insieme per creare un Paese e una società unita. Soprattutto, ha incoraggiato i giovani ad andare avanti, a cercare una riconciliazione, a confermare la fraternità e l’amore per il loro Paese e per tutti i componenti della loro società.

D. – Vent’anni dopo, la guerra Sarajevo può essere da esempio?

R. – Credo che Sarajevo, sì, lo possa essere. Il Papa ha sottolineato che c’è un enorme potenziale: Sarajevo e la Bosnia ed Erzegovina possono essere un grande esempio! Però, dobbiamo anche dire che c’è ancora molto lavoro da fare, come purtroppo in molti altri posti del mondo. Quello di cui dobbiamo renderci conto è che viviamo un momento storico molto delicato. E’ doveroso, quindi, che tutti noi, rappresentanti religiosi, fedeli e cittadini, lavoriamo insieme per i nostri Paesi e per le nostre città per costruire la pace, per far comprendere sempre di più la ricchezza della diversità, per combattere il fondamentalismo e l’estremismo e per essere veramente agenti di pace nelle nostre società. Perché viviamo un momento molto, molto difficile, senz’altro.

A ricordare l’attenzione che la comunità internazionale deve prestare ai valori religiosi è stato il relatore speciale delle Nazioni Unite, Heiner Bielefeldt, che raccomanda: “Attenzione a una mal pensata laicità, che fa fuori le religioni dal dialogo”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, Accordo sul clima al g7; I leader chiedono un’azione urgente e concreta. Impegno a contenere entro i due gradi l’aumento della temperatura globale. Sotto, Piccoli burundesi in fuga dalle violenze causate dalla crisi politica.

Nelle pagine della cultura, l'Armenia raccontata da Antonia Arslan e dalle fotografie di Antonella Monzoni "Il tavolo d’Europa. Duecento anni fa si chiudeva il Congresso di Vienna" di Gabriele Nicolò, "Non una di meno", Silvina Perez a colloquio con Cristina Fernández, Futuro e memoria. Le religiose e il decreto «Perfectae caritatis» di Lucetta Scaraffia e Tra eutanasia e accanimento terapeutico. La Corte europea per i diritti dell’uomo sulla dolorosa vicenda di Vincent Lambert, di Ferdinando Cancelli.

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Oggi in Primo Piano



Grecia: Tsipras prepara nuovo piano per i creditori internazionali

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Dopo il vertice G7, conclusosi ieri in Baviera, la crisi greca torna in evidenza. Di fronte alle richieste di far fronte al debito estero e dare vita a riforme decisive, il premier ellenico, Tsipras, e il suo ministro delle Finanze, Varoufakis, preparano un nuovo piano per i creditori, ma sullo sfondo rimane la possibile uscita di Atene dall’Euro. Giancarlo La Vella ne ha parlato con l’economista, Francesco Carlà

R. - Si ha molto la sensazione che ci siano schermaglie negoziali e tattiche molto rigide… Però la scadenza si approssima perché il 30 giugno c’è la scadenza da 1.6 miliardi di Atene che deve essere pagata al Fondo monetario internazionale: soldi che, a quanto pare, la Grecia non si sa se ha e non si sa se è intenzionata a pagare, almeno sulla base dei piani che ci sono in questo momento sul tavolo.

D. – Sembra che soprattutto sulle pensioni, Tsipras e Varoufakis non vogliano intervenire. Questo è un passo che tutti gli altri Paesi hanno fatto, Italia in primis, perché c’è questa resistenza?

R.  – La resistenza c’è, io immagino, per ragioni essenzialmente politiche perché la piattaforma con la quale è stato così tanto votato alle ultime elezioni greche è piuttosto rigida su questi temi. Però il problema più grosso è il problema delle riforme perché in sostanza i creditori dicono: “Prima le riforme e poi i denari”, e Atene dice invece: “Prima i denari”. E dice anche: “Allunghiamo le scadenze dei debiti e poi le nostre riforme”, cioè le riforme che hanno in testa loro.

D. – E’ come se Tsipras volesse un po’ salvaguardare quanto promesso in campagna elettorale?

R. – Sì, perché credo che lui abbia fatto un test un mesetto fa, approssimandosi alle richieste della Ue e ha avuto una vera rivolta all’interno del partito e anche in Grecia, quindi ha capito che i suoi margini di manovra politici sono molto limitati e che, probabilmente, se accedesse alle richieste principali di riforme dei creditori, quindi della Ue, dell’Fmi e della Banca Centrale Europea sarebbe poi inevitabile la caduta del suo governo e il ritorno alle elezioni per l’ennesima volta ad Atene. Io credo che la questione autentica sul tavolo in questo momento sia un’altra: cosa conviene di più all’Europa e all’Euro, una Grecia dentro o una Grecia fuori? Secondo me, il rischio di mostrare un Euro reversibile, lasciando accadere il “Grexit”, in questo momento comincia a essere inferiore al rischio di mantenere in fibrillazione per chissà quanti altri anni la moneta unica e anche l’Unione europea.

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Curdi e crisi del Medio Oriente. Rosselli: un’incognita anche per l’Occidente

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La questione curda torna in primo piano nell’attuale scenario di crisi del Medio Oriente e dopo le elezioni politiche in Turchia, che domenica scorsa hanno decretato - per la prima volta nella storia di questo Paese - l’entrata nel Parlamento di deputati del partito moderato filo curdo Hdp. Roberta Gisotti ha intervistato Alberto Rosselli, esperto di area mediorientale e anatolica: 

D. - Stimati in circa 30 milioni,  i curdi sono sparsi nella grande regione del Kurdistan, 200 mila chilometri quadrati, divisi tra cinque Stati: Turchia, Siria, Iraq, Iran, Armenia. Potrebbe il popolo curdo avvantaggiarsi dell’attuale stato di crisi del Medio oriente? Alberto Rosselli:

R. - Va ricordato che i partiti che compongono – diciamo - il direttivo curdo sono quattro sostanzialmente, che vanno dall’ala tradizionale di sinistra fino a quella liberal nazionalista, ed hanno delle idee, però, abbastanza dissimili su come trovare una nuova unità nazionale.

D. – Ma a che punto è la questione curda nel suo insieme?

R. – Gran parte della popolazione curda vive in territorio turco: la Turchia non ha mai riconosciuto il diritto del popolo curdo a farsi nazione. La situazione dei curdi in Iraq, invece, è più favorevole sotto questo aspetto, perché già dopo la caduta di Saddam Hussein effettivamente i curdi hanno iniziato a godere di una certa autonomia. Infine, per quanto concerne la situazione dei curdi in Siria  - tralasciando quella dei curdi in Iran che godono di una certa autonomia -  qui  il fattore Is è determinante in quanto si contrappone a quello che è il 'sogno' curdo. Se si potrà arrivare ad uno sviluppo del progetto di unificazione curda, bisognerà aspettare che le varie componenti nazionali, che inglobano il popolo curdo trovino, in qualche modo, una intesa fra di loro. Cosa, questa, che al momento mi sembra abbastanza improbabile.  Bisognerà vedere poi quale posizione assumerà la Russia di Putin e gli Stati Uniti in merito alla questione.

D. – Una patria per il popolo curdo è stata sempre avversata, non solo in Medio Oriente: forse anche in Occidente ci sono obiezioni…

R. – Effettivamente anche in Occidente si guarda con una certa perplessità a quella che può essere una unificazione curda e chi guarda con perplessità – secondo me – sono anche gli Stati Uniti, che hanno  un colloquio in corso con la Turchia, che non è più il colloquio amichevole e tranquillo che avevano negli anni passati. Quindi gli Usa devono tener conto anche della suscettibilità turca riguardo la costituzione di uno Stato curdo, che di fatto ed inevitabilmente tenderebbe a sottrarre dello Stato nazionale turco. Faccio un esempio: abbiamo delle città e delle regioni in Turchia - la regione di Bitlis e la regione di Van – che sono abitate in gran parte da curdi, ma sono regioni molto strategiche per quello che riguarda anche l’autodifesa turca. Quindi  penso che di sicuro la Turchia non sarà d’accordo sul progetto di unificazione curda e chi vuole mantenere dei rapporti o vuole normalizzare i rapporti con la Turchia sicuramente seguirà questa strada.

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Convegno a Roma per parlare di Ritorno volontario assistito

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Oggi a Roma, presso lo Spazio Europa, la Rete italiana per il ritorno volontario assistito (Rirva) presenta in un convegno i risultati e le sfide di un sistema che sta aiutando sempre più i migranti sul suolo italiano a rientrare nella loro patria con dignità, grazie anche al sostegno del Fondo Europeo Rimpatri. Il servizio di Eugenio Murrali

Si chiama Ritorno Volontario Assistito e aiuta concretamente i migranti che vogliono o sono costretti a tornare in patria. I progetti sono differenti e vanno dall’organizzazione e dal pagamento del viaggio a veri e propri sussidi per favorire il rientro e il reinserimento nel proprio Paese. Tra il 2009 e il 2015,  3.219 persone hanno potuto usufruire dei servizi offerti dalla Rirva e dai suoi partner. Ma perché vanno via dall’Italia queste persone? Lo spiega Simona Sordo, coordinatrice della Rete Rirva:

“Si trovano in una situazione di difficoltà economica, legata alla crisi, legata alla carestia del lavoro e rischiano di tornare di nuovo in situazioni di marginalità sociale. Hanno un permesso di soggiorno scaduto o in scadenza. Ce ne sono altri, anche se sono in numero ridotto, che tornano per ragioni di carattere sanitario oppure perché rinunciano al proprio sistema di protezione”.

Un aiuto particolarmente importante per uomini e donne che sicuramente si trovano in un momento di difficoltà e di fragilità anche psicologica. Il vice prefetto Martha Matscher, responsabile del Fondo per conto del Ministero degli interni sottolinea come adesso il rimpatrio assistito sia possibile anche per gli irregolari:

“Con il nuovo programma Fami, cioè il Fondo asilo, migrazione e integrazione, noi avremo la possibilità anche di rimpatriare gli irregolari, una categoria che è venuta sempre più a galla in questo periodo di crisi economica, in cui si trova l’Italia”.

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Tar: illegittimo campo nomadi La Barbuta di Roma

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Il Tribunale Civile condanna il Comune di Roma e riconosce il carattere discriminatorio del campo nomadi "La Barbuta". ”Una sentenza storica e un precedente giuridico”, dichiarano l’Associazione 21 Luglio e Asgi, promotrici dell’azione legale contro l’amministrazione capitolina, attraverso il sostegno dell’"Open Society Foundation" e il supporto di Amnesty Internation e del Centro Europeo per i diritti dei Rom, e che oggi hanno presentato la sentenza nel corso di una conferenza stampa in Senato. Il servizio di Elvira Ragosta

Una sentenza che sancisce il superamento dei campi nomadi perché riconosce, per la prima volta in Europa, il carattere discriminatorio di una soluzione abitativa riservata a soli rom. In 54 pagine, il Tribunale civile di Roma definisce illegittimo il campo rom la Barbuta, l’ultimo costruito dal Comune di Roma nel 2012, perché è stato indicato per un gruppo etnico, quello rom, e non rappresenta un’azione positiva, ovvero di supporto al gruppo. “Una sentenza che ha effetto immediato e carattere nazionale e rappresenta un precedente necessario per superare definitivamente la stagione dei campi rom", spiega Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio:

“Possiamo dire che da oggi diventa illegittima la progettazione e la costruzione di qualsiasi campo sul territorio italiano. Adesso, si possono aprire una serie di azioni contro il Comune di Roma… Noi, però, vogliamo dialogare con il Comune di Roma e la proposta, che come “21 Luglio” facciamo, è riconvertire i 23 milioni di euro spesi nel 2013 in progetti di inclusione e reimmettere in cassa i soldi che finora sono stati spesi per concentrare i rom nei campi, per progetti di uscita”.

Sulla valenza politica di questa sentenza, Luigi Manconi, presidente della Commissione Tutela e promozione dei diritti umani del Senato:

“La valenza politica, e ancora prima giuridica e amministrativa, è la dichiarazione di illegittimità di quella soluzione che sono stati in questi anni i campi nomadi. Una soluzione non soluzione: luoghi orribili che – oltre a essere stati dichiarati illegittimi – hanno violato e continuano a violare i diritti fondamentali della persona e ad attuare politiche di discriminazione”.

Sugli effetti giuridici della sentenza, Salvatore Fachile, avvocato dell’Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, che con l’Associazione 21 Luglio ha promosso l’azione legale:

“Il Comune ha l’obbligo giuridico di trovare per queste persone una soluzione abitativa non discriminante e quindi non legata all’appartenenza al popolo rom ma uguale e così come deve essere uguale per tutte le persone. E’ un precedente giuridico molto importante, perché ci dice che il campo in sé è una soluzione abitativa collettiva discriminatoria”.

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Impagliazzo: è ora di un nuovo inizio tra Oriente e Occidente

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Nel mondo plurale, nella società globalizzata, non si può costruire una riconciliazione tra Oriente e Occidente se non si parte da un punto comune: la condanna, il rigetto di ogni tipo di violenza e della guerra. E’ la base sulla quale si è lavorato ieri e oggi a Firenze, alla conferenza promossa dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema "Oriente e Occidente: dialoghi di civiltà". A confronto numerose autorità del mondo islamico, tra cui il grande imam dell'Università Al Azhar del Cairo, Muhammad Al-Tayyeb. Francesca Sabatinelli ha intervistato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio: 

R. – La prima fase del cammino è il rifiuto della violenza, della guerra, facendo anche un’autocritica perché nei due mondi la guerra purtroppo è stata uno strumento di regolazione dei conflitti per troppi anni. Penso all’Europa con le due Guerre mondiali o alle tante guerre che sta vivendo oggi il Medio Oriente. Quindi, il primo punto è questo. La seconda è quella di leggere la realtà – perché la realtà sta cambiando – con occhi nuovi, con occhi diversi e quindi di proporre modelli educativi ai nostri giovani che siano modelli educativi corrispondenti alla realtà dell’oggi. Sostanzialmente, per prendere in prestito una parola del Concilio Vaticano II, fare un “aggiornamento” dei nostri modelli educativi perché i nostri giovani crescano in una società migliore.

D. – Grandi spunti di riflessione sono stati lanciati ieri, nella prima giornata lavori, e sono arrivati da voci autorevoli: dal professor Riccardi e dal grande imam Al-Tayyeb. Da una parte, si è sottolineata la necessità di colmare il vuoto di incontro e dialogo tra Oriente e Occidente, dall’altra si è denunciato in modo chiaro quasi il fallimento finora del dialogo tra le religioni e le civiltà, e a testimoniarlo è lo scontro evidente tra il mondo arabo islamico e l’Occidente…

R. – Il problema è circoscrivere questo scontro che c’è in atto, che è generato soprattutto da motivazioni politiche ed economiche e molto poco da motivazioni religiose. Anche perché chi usa la religione per la violenza o per l’estremismo ha una falsa idea della religione. Quindi, l’idea di Firenze è proprio quella di circoscrivere lo scontro iniziando un nuovo incontro che forse non c’è mai stato. Nonostante le nostre civiltà si siano incontrate anche nel passato, oggi c’è la speranza di gettare un nuovo seme che porti frutti un giorno. Quindi, questi intrecci da Oriente a Occidente possono rappresentare una piattaforma comune in grado di contribuire all’avvio di un avvicinamento tra le due civiltà.

D. – Il messaggio che esce da Firenze è quello di voler circoscrivere le forti diffidenze che ci sono tra Oriente e Occidente, che hanno generato paura, che hanno generato rabbia… Come farete in modo concreto a portare avanti questo messaggio?

R. – Purtroppo, il nostro mondo è segnato, in questo tempo di paura e di crisi, dalla rassegnazione. A Firenze abbiamo fatto un passo fuori dalla rassegnazione, perché nella rassegnazione non nasce nulla. Qui abbiamo invece detto che l’incontro che ci fa conoscere, che ci fa superare le paure reciproche è il primo passo per superare una rassegnazione che in realtà crea solo deserti e per far fiorire invece giardini laddove sono deserti. Il modo pratico è venirsi incontro nei momenti di difficoltà. Oggi, noi occidentali dobbiamo soccorrere in un certo senso, essere solidali con un mondo musulmano che sta soffrendo le gravi crisi di una guerra, di una violenza terroristica che è nata dal suo stesso interno, dalla sua stessa gente e che ormai ne sta subendo profondissime conseguenze. Il primo modo è quello di non condannarci reciprocamente, di non ignorarci, ma quello di conoscerci a fondo e per far questo incontrarci perché la lontananza è frutto di ignoranza. Oggi, noi scegliamo la via dell’incontro.

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Vigilia ritiro mondiale sacerdoti del Rinnovamento Carismatico

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“Chiamati alla santità per la nuova evangelizzazione”. E’ il tema del terzo Ritiro mondiale dei Sacerdoti, organizzato dal Rinnovamento Carismatico Cattolico Internazionale e dalla Catholic Fraternity, che si apre domani pomeriggio a Roma nella Basilica di San Giovanni in Laterano. All’incontro, che si concluderà domenica prossima, partecipano oltre 1.000 sacerdoti provenienti da 90 Paesi dei cinque continenti. Marina Tomarro ne ha parlato con Oreste Pesare, direttore esecutivo di Rinnovamento: 

R. – Noi sentiamo che questo è un titolo, “profetico”: vuol dire che ha qualcosa da dire da parte di Dio. Sicuramente, da una parte c’è tutta una storia che dobbiamo riprendere: questo è il nostro terzo Ritiro mondiale per i sacerdoti e noi abbiamo sentito fortemente che la chiamata per i preti di oggi è quella di essere santi, per poter essere veri protagonisti di una nuova evangelizzazione.

D. – Perché è importante che i sacerdoti di tutto il mondo partecipino al Ritiro mondiale?

R. – Noi vogliamo metterci all’ascolto e sappiamo che lo Spirito Santo sta lavorando. E stiamo comprendendo che Egli ci sta spingendo a una nuova vita di santità per una nuova evangelizzazione. I preti, saranno circa un migliaio al ritiro, hanno sentito questa voce del Pastore e hanno risposto con generosità.

D. – Come si svolgeranno queste giornate?

R. – L’incontro comincerà con una Messa di apertura presieduta dal cardinale Stanislao Ryłko, che è il presidente del Pontificio Consiglio per i Laici. Nella mattinata, ci saranno dei temi in cui si parlerà della santità e della nuova evangelizzazione, mentre i pomeriggi saranno pieni di testimonianze e ci saranno dei momenti di preghiera, che sarà fatta in otto lingue diverse. Chiaramente, il momento più bello di tutto il ritiro sarà il momento speciale con Papa Francesco. Egli ha deciso di essere con i sacerdoti per tutto il pomeriggio: arriverà per le 16, risponderà ad alcune domande fatte da loro e poi presiederà l’Eucarestia finale. Sarà veramente un momento dello Spirito.

D. – L’ultimo dei temi delle cinque giornate è proprio “Inviati per la nuova evangelizzazione”: quanto è importante oggi evangelizzare?

R. – Certamente, nella vocazione sacerdotale questo invio all’evangelizzazione già è presente. Ma quello che noi sentiamo che lo Spirito ci sta dicendo è che deve essere fatta con la vita. Oggi, abbiamo sempre più bisogno di persone che sappiano toccare il cuore della gente “assetata” di Dio. Anche se non lo sa, la gente è assetata di Dio.

Ma sull’importanza di questo Ritiro mondiale, ascoltiamo il commento di Michelle Moran, presidente di Rinnovamento Carismatico Cattolico Internazionale:

R. – The Priests’ Retreat…
Il terzo Ritiro mondiale dei Sacerdoti, organizzato dal Rinnovamento Carismatico è stato costruito nel tempo. Ci sono stati due ritiri in precedenza: il primo, nel 1984, dal tema “Chiamata alla santità”, e poi, nel 1990, il secondo Ritiro mondiale dal titolo “Per una nuova evangelizzazione”. Quindi, avvicinandoci al 50.mo anniversario dall’inizio del Rinnovamento Carismatico cattolico e al Giubileo, abbiamo voluto tenere un terzo Ritiro Mondiale dei Sacerdoti. Quando abbiamo pregato per il tema, volevamo mettere insieme i due aspetti importanti dei precedenti incontri. Abbiamo così unito “Chiamati alla santità per una nuova evangelizzazione”. Questi due temi, infatti, mettono a fuoco entrambi l’aspetto missionario. Durante il ritiro, i sacerdoti avranno l’opportunità di riflettere sul proprio personale viaggio spirituale, per essere maggiormente preparati al loro ministero e alla loro missione. Penso che una delle ragioni per cui noi volevamo in questo momento unire queste cose insieme sia in risposta ad alcune delle cose di cui Papa Francesco ha parlato, specialmente ai sacerdoti. Egli ha messo in guardia contro un eccessivo attivismo e ha detto che le nostre azioni e le nostre attività devono provenire dall’essere in Cristo. Ha anche invitato i sacerdoti a non rimanere nascosti e vivere solo in chiesa e nella sacrestia, ma di impegnarsi nel mondo, nella missione e nell’evangelizzazione. Quindi, speriamo che durante queste giornate i sacerdoti possano riflettere sul vivere una ricca e buona vita interiore con la forza dello Spirito Santo e poi di essere in grado, di andare in missione per il mondo, in modo che il Vangelo possa essere divulgato davvero fino alle estremità della Terra.

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La "magia della musica" insegnata dai Gesuiti agli indios

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La straordinaria esperienza di educazione alla musica, e non solo, vissuta tra il 17.mo e il 18.mo secolo dai Gesuiti nelle loro missioni in Sudamerica – denominate “Riduzioni” – è riecheggiata lo scorso 2 giugno in Vaticano nel concerto-conferenza organizzato dalla Pontificia Commissione per l’America Latina, in collaborazione con le ambasciate presso la Santa Sede di Bolivia, Ecuador e Paraguay, in vista del viaggio apostolico di Papa Francesco in quei Paesi. Il concerto “La Magia della musica nelle riduzioni indo-gesuitiche del Sud America” è stato interpretato dal "Domenico Zipoli Ensemble”. Il direttore dell’Ensemble, Giorgio Fornasier, ne parla al microfono di Patricia Ynestroza

R.  – La storia  dell’Ensemble è legata alla storia di questo fenomeno straordinario, unico nella storia dell’umanità. Una delle caratteristiche delle Riduzioni gesuitiche del Sudamerica era proprio che i Gesuiti che avevano creato queste città ideali nell’arco di 150 anni, dal 1609 al 1767, e avevano fatto crescere culturalmente gli indios guaraní, portati fuori dalla foresta a un livello addirittura protoneolitico a un livello culturale europeo, creando scuole, creando opifici, insegnando loro a essere imprenditori ma soprattutto creando cultura tramite conservatori di musica. I bambini, fin in tenera età, venivano cresciuti col canto, la danza, la musica, imparavano a suonare gli strumenti ed eseguivano nelle chiese delle Riduzioni tutte le parti liturgiche. Ma non solo, perché accompagnavano anche le feste con la loro musica e addirittura giravano per i campi con piccoli ensemble per allietare il lavoro degli indios che lavoravano nei campi. All’interno delle Riduzioni era una comunità molto aperta, molto libera, dove lavoravano due giorni alla settimana per la comunità e il resto per la loro famiglia. Questa era una cosa straordinaria.

D. – C’è stato un momento molto particolare di questo concerto-conferenza in cui avevate uno strumento particolare?

R. – Verso la fine del concerto, eseguiamo un brano molto particolare che è un "canone inverso", un brano che viene eseguito da due strumenti diversi: uno lo suona con la partitura in un verso e l’altro suona la stessa partitura però capovolta. L’abbiamo fatto con un oboe e un violino, ma il violino era un violino particolare e qui è uscita la capacità, l’abilità manuale degli indios. Infatti, abbiamo usato un violino guarayos trovato nella foresta, costruito da un indio che ha imparato l’arte del liutaio dal suo papà che naturalmente l’aveva imparata dal  nonno, dal bisnonno – una tradizione di famiglia – e ancora usavano gli stampi originali dei gesuiti. Un violino rozzo, costruito di legno di cedro dell’orchestra, con le corde originali che erano di budello di scimmia. Quindi, è stata una grande emozione perché abbiamo riconosciuto sia la capacità di costruire un brano così difficile da un punto di vista armonico e di contrappunto – che è un canone inverso scritto da un indio che si chiamava Julian Atirahù – sia la particolarità di uno strumento costruito ai giorni nostri, seguendo la tradizione dei gesuiti, da un liutaio indio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Cinque patriarchi d'Antiochia: no alla disgregazione della Siria

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L'unica via da seguire per provare a uscire della crisi siriana è quella di una “soluzione politica”, accompagnata dall'impegno delle potenze globali e regionali a contrastare i jihadisti dello Stato Islamico, o perlomeno a sospendere ogni tipo di appoggio a loro vantaggio. Sono questi - riferisce l'agenzia Fides - alcuni dei punti chiave contenuti nel comunicato diffuso dai cinque patriarchi che portano il titolo di Antiochia al termine del summit che li ha visti riuniti ieri, 8 giugno a Damasco, nella sede del patriarcato greco ortodosso.

Calorosa accoglienza a Damasco per i cinque patriarchi
La presenza nella capitale siriana dei cinque patriarchi – il maronita Boutros Bechara Rai, il greco-ortodosso Yohanna X, il greco-cattolico Grégoire III, il siro-ortodosso Aphrem II e il siro-cattolico Ignace Youssef III – è stata accolta calorosamente dai cristiani di Damasco, che hanno affollato la parte della Città Vecchia tra Bab Tuma e Bab Sharqi, dove si trova il patriarcato greco-ortodosso e sono concentrate molte altre chiese.

Invito a difendere l'unità della Siria
Nel comunicato finale, pervenuto all'agenzia Fides, si ribadisce l'urgenza di contrastare ogni ideologia integralista con un'adeguata educazione religiosa, secondo la prospettiva – ripetono i patriarchi – sostenuta anche dalla stragrande maggioranza dei musulmani. Nel documento si invitano i siriani a difendere l'unità della Siria e il loro diritto a “determinare liberamente il proprio avvenire, fuori da ogni ingerenza straniera”. Si ricordano anche i nomi dei vescovi di Aleppo Boulos Yazigi (greco ortodosso) e Mar Gregorios Yohanna Ibrahim (siro ortodosso), elencati insieme a quello di padre Jacques Murad nella lista delle persone rapite di cui si è persa ogni traccia. 

Il pensiero all'esodo dei cristiani dai Paesi martoriati dai conflitti
I cinque patriarchi orientali, tra le altre cose, condannano “i disegni razzisti e confessionali, estranei alla nostra cultura” che alimentano le campagne di pulizia etnico-religiosa messe in atto in varie aree del Medio Oriente. Parole eloquenti vengono anche dedicate all'esodo dei cristiani dai Paesi martoriati da conflitti e derive settarie: “Noi non condanniamo quelli che scelgono di andare via” scrivono i patriarchi “ma ricordiamo ai cristiani che l'essere saldi nella fede passa spesso anche attraverso molte tribolazioni”. (G.V.)

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Ghana: appello dei vescovi per incidenti e inondazioni

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“Abbiamo appreso con profondo sgomento della forte esplosione presso il distributore di carburante vicino al Kwame Nkrumah Circle. Ci rammarichiamo profondamente per l’incredibile perdita di vite e per la carneficina causata dal conseguente incendio infernale” affermano i vescovi del Ghana in una dichiarazione ripresa dall’agenzia Fides, nella quale esprimono la loro vicinanza alle famiglie delle vittime dell’esplosione del distributore di benzina avvenuta nei pressi di un importante svincolo stradale della capitale, Accra.

Le alluvioni hanno causato 10mila sfollati
L’incidente è avvenuto il 3 giugno quando, a seguito delle piogge torrenziali che da settimane colpiscono la città, centinaia di persone avevano cercato rifugio nei pressi della stazione di servizio. L’esplosione, avvenuta mentre l’installazione era allagata, ha provocato almeno 150 morti e diverse decine di feriti. A questi danni umani si aggiungono le oltre 10.000 persone sfollate a causa delle alluvioni.

Disastri naturali a causa della cattiva amministrazione
I vescovi attribuiscono il dramma e le inondazioni che stanno piagando Accra, alla cattiva amministrazione. “Non si è pianificato sul lungo termine nel corso degli anni per affrontare le continue inondazioni ad Accra e in altre parti del Ghana” affermano i vescovi. “Da tempo immemorabile, la nostra capitale soffre l’ignominia di essere inondata da piene che provocano massicce distruzioni di proprietà e la perdita di vite umane. Ogni volta che questo accade, abbiamo visto ministri visitare le zone alluvionate per compiangere le vittime e fare lunghe e vuote promesse per risolvere la situazione”.

Invito ai cittadini a rispettare le regole
​La dichiarazione richiama anche i semplici cittadini a rispettare le regole, perché una della cause delle alluvioni sono le costruzioni illegali costruite sui canali di scolo delle acque “Ogni ghaniano deve essere pronto a imparare e ad accettare il fatto che quando non si rispettano le leggi, un giorno o l’altro sarà inevitabilmente chiamato a far fronte alle conseguenze delle sue azioni”. (L.M.)

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Chiesa Venezuela: presidente non sia sordo alle grida del popolo

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"Il Paese non vuole vedere i prigionieri politici, quindi il governo non può essere sordo. Perché se il presidente ha l’otite, come lui stesso ha detto, non sia otite per non ascoltare il popolo. Speriamo che non sia sordo a queste grida": lo ha detto in un'intervista a una Radio locale, il presidente della Conferenza episcopale del Venezuela, mons. Diego Padrón, arcivescovo di Cumaná.

Mons. Padron farà visita all'ex sindaco Daniel Ceballos
"Il fatto che un venezuelano debba fare lo sciopero della fame per essere ascoltato non ha senso in un Paese democratico" ha ribadito mons. Padron, ritenendo che lo sciopero della fame da parte dei politici dell'opposizione, Leopoldo Lopez e Daniel Ceballos, esiga delle risposte da parte del governo. Domani, 10 giugno, mons. Diego Padrón si recherà nella capitale dello Stato di Guárico per fare visita a Daniel Ceballos, ex-sindaco di San Cristóbal, detenuto nel Centro di reclusione.

Il governo non può essere sordo alle richieste della maggioranza
Secondo la nota ripresa dall'agenzia Fides, per mons. Padron è essenziale che i cittadini siano informati sulla convocazione per le elezioni per l'Assemblea Nazionale, perché "il governo non può essere sordo alle richieste della maggioranza o comunque di un grande gruppo in Venezuela che vuole sapere quando dovranno svolgersi le elezioni, perché questa è un'ansia che fa male".

Il Presidente ha annullato per un'otite, l'incontro in Vaticano con il Papa
​Una situazione particolare si è creata nel Paese in seguito alla sospensione, dietro "raccomandazione medica", del viaggio del Presidente Maduro in Vaticano per la visita a Papa Francesco, prevista per domenica 7 giugno. In seguito è stata diffusa la notizia che il Presidente soffre di una "grave otite" che non gli ha permesso di prendere l’aereo. (C.E.)

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Conferenza Latinoamericana dei Religiosi sulla tratta

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Durante il Congresso della Vita Consacrata organizzato della Clar (Conferenza LatinoAmericana dei Religiosi), che si terrà a Bogotà, in Colombia, dal 18 al 21 giugno, si svolgerà il workshop "La tratta degli esseri umani: un nuovo areopago dove la vita grida, interpella e sfida la Vita Consacrata". A guidarlo sarà suor Genoveva Nieto, che ha una lunga esperienza nella pastorale delle periferie per liberare le donne da questo flagello.

Promuovere ed accompagnare nuove comunità di Vita Consacrata
Secondo gli organizzatori, “i workshop danno 'spirito e vita' al Congresso”, che è caraterizzato da una forte proiezione verso il futuro della vita consacrata, e per questo “ha bisogno di prospettive suggestive, di germi e di stimoli. Pertanto i workshop sono 'fuoco che accende altri fuochi’, dinanzi all'urgenza di promuovere ed accompagnare nuove comunità di Vita Consacrata, con l'impegno per la nuova evangelizzazione, per una Chiesa in uscita e dei poveri, e per la venuta del Regno".

Alternative nuove nella Vita Consacrata
Il Congresso ha per tema "Orizzonti di novità nel vivere i nostri carismi oggi” e fra gli obiettivi concreti si prefigge di “proporre alternative nuove nella Vita Consacrata, individuare le vie per una Vita Consacrata discepola missionaria”. Il tema della tratta degli esseri umani è stato preso in considerazione dalla Clar fin dal 2013 (a Panama), quando si svolse un seminario per verificare la gravità del problema e l’impegno in questo settore di molte comunità religiose in diverse parti del continente latinoamericano. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 160

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.