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Sommario del 08/06/2015
- Il Papa: no a ideologia gender, custodire matrimonio uomo-donna
- Riforma Curia. Francesco, riunioni col C9 fino a mercoledì
- Il Papa nomina mons. Koch arcivescovo di Berlino
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Ucraina: leader G7 fermi nel sostenere rispetto accordi Minsk
- Elezioni turche: in calo il partito del presidente Erdogan
- Iraq: bimba rapita dall'Is. Mobilitazione dei Francescani
- Consiglio d'Europa: libertà religiosa crea società inclusive
- Da Silva: Fao, ancora riforme e risparmi per vincere la fame
- Mons. Perego: migranti sono risorsa, negarlo è una vergogna
- Difendere i figli dal gender, presentata manifestazione a Roma
- Sant'Egidio. Conferenza per il dialogo tra Oriente e Occidente
- Libia: rapiti dall'Is 86 migranti cristiani eritrei
- Iraq: Califfato trasforma in moschea la chiesa di Sant'Efrem
- Acs: oltre 105 milioni di euro per la Chiesa che soffre
- Chiese cattoliche orientali: famiglia, palestra di umanità
- Vescovi Africa centrale: istituto per la pace nei Grandi Laghi
Il Papa: no a ideologia gender, custodire matrimonio uomo-donna
La bellezza del matrimonio è messa in pericolo dall’ideologia gender. E’ quanto denunciato da Papa Francesco nel discorso ai vescovi di Porto Rico ricevuti in visita ad Limina. Il Pontefice ha dedicato una parte importante del suo intervento, il cui testo è stato consegnato ai presuli, proprio alla pastorale familiare. Ancora, Francesco invita la Chiesa a mantenersi sempre distanti da ideologie e tendenze politiche e chiede ai pastori di vivere in comunione fraterna per affrontare i tanti problemi che affliggono il Paese caraibico. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Difendere il Sacramento del matrimonio, questo è “un tesoro tra i più importanti che hanno i popoli latinoamericani”. E’ uno dei passaggi forti del discorso di Francesco consegnato ai vescovi di Porto Rico. Il Papa ribadisce che è necessario “consolidare” la pastorale familiare davanti ai “gravi problemi sociali” che destano preoccupazione: “la difficile situazione economica, l’emigrazione, la violenza domestica” e ancora “la disoccupazione, il narcotraffico e la corruzione”. Quindi, si sofferma sul valore della “bellezza del matrimonio”.
No a ideologia gender, tutelare la complementarità uomo-donna
La “complementarità tra un uomo e una donna, vertice della creazione divina, viene messa in discussione dalla cosiddetta ideologia gender, in nome di una società più libera e più giusta”. In realtà, avverte Francesco, “le differenze tra uomo e donna non sono per la contrapposizione o la subordinazione ma piuttosto per la comunione e la generazione, sempre a immagine e somiglianza di Dio”. “Senza il reciproco contributo – aggiunge – nessuno dei due può comprendersi in profondità”.
Vescovi siano uniti per affrontare problemi del Paese
Francesco invita dunque i pastori a ricorrere non solo alla preghiera ma anche “all’amicizia e all’aiuto fraterno” reciproco per affrontare i tanti gravi problemi che affliggono il Porto Rico. E li mette in guardia dal “disperdere energie in divisioni e scontri”. “Quanto più è intensa la comunione – ricorda – tanto più si favorisce la missione”. Ancora, il Papa incoraggia i vescovi a “prendere distanza da ogni ideologizzazione o tendenza politica che può far perdere loro tempo e il vero ardore per il Regno di Dio”. La Chiesa, sottolinea, “in ragione della sua missione, non è legata ad alcun sistema politico per poter essere sempre”, come afferma il Concilio, “segno e salvaguardia del carattere trascendente della persona umana”.
Essere pastori misericordiosi, curare la pastorale vocazionale
Il vescovo, prosegue il discorso, “è modello per i suoi sacerdoti e li anima a cercare sempre il rinnovamento spirituale e riscoprire la gioia di guidare il proprio gregge nella grande famiglia della Chiesa”. In vista del prossimo Anno giubilare della Misericordia, il Pontefice chiede dunque a vescovi e sacerdoti di essere “servitori del perdono di Dio, soprattutto nel Sacramento della Riconciliazione, che permette di sperimentare nella propria carne l’amore" del Signore. Per avere buoni pastori, annota, “è necessario prendersi cura della pastorale vocazionale", a partire dai seminari, in modo che si abbia un numero adeguato di vocazioni. Ed esorta i fedeli portoricani, in particolare associazioni e movimenti, a collaborare generosamente nell’annuncio del Vangelo in tutti gli ambiente compresi i più ostili e lontani dalla Chiesa.
Riforma Curia. Francesco, riunioni col C9 fino a mercoledì
È iniziata questa mattina in Vaticano, alla presenza di Francesco, la decima riunione del Consiglio di cardinali, l’organismo istituito dal Papa per il lavoro di riforma della Curia Romana. La sessione di lavori in corso proseguirà fino a mercoledì prossimo.
Il Papa nomina mons. Koch arcivescovo di Berlino
In Germania, Papa Francesco ha nominato arcivescovo metropolita di Berlino mons. Heiner Koch, finora vescovo di Dresden-Meiβen.
In Venezuela, il Papa ha nominato vescovo Ordinario Militare per il Paese mons. Benito Adán Meńdez Bracamonte, finora amministratore diocesano del medesimo Ordinariato.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Passato e futuro: in prima pagina, un editoriale del direttore a conclusione della visita del Papa a Sarajevo, con la cronaca degli avvenimenti dell'inviato Gaetano Vallini e con i testi dei discorsi pronunciati dal Pontefice.
L'Europa che non vuole i migranti: nuove polemiche mentre proseguono gli sbarchi.
Sul debito rischio spaccatura fra Atene e Bruxelles.
Erdogan perde la maggioranza assoluta: il partito filo curdo Hdp entra per la prima volta nel Parlamento turco.
Ucraina: leader G7 fermi nel sostenere rispetto accordi Minsk
Contrastare “con fermezza l’aggressione all’Ucraina”. Questa la linea del presidente statunitense, Barack Obama, nei confronti della Russia emersa al Vertice G7 in Baviera, a cui non ha partecipato - per il "formato G8" - il presidente russo, Vladimir Putin, proprio a causa della crisi ucraina. D’accordo con Washington, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, secondo la quale la durata delle sanzioni imposte a Mosca per il conflitto nel Donbass “dovrà essere chiaramente collegata alla piena applicazione degli accordi di Minsk e al rispetto della sovranità dell’Ucraina”. Ai lavori, in corso al castello di Elmau, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha parlato di un “rafforzamento” delle sanzioni, di cui i Ventotto discuteranno a fine mese. Da Mosca, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha invece invitato a non evidenziare del Vertice G7 soltanto le discussioni sulle sanzioni, ma “anche dichiarazioni sulla necessità di promuovere il dialogo” con la Russia. Sulla fermezza del G7 nei confronti di Mosca, Giada Aquilino ha intervistato Paolo Mastrolilli, inviato del quotidiano ‘La Stampa’ al seguito di Obama in Germania:
R. – Gli Stati Uniti avevano chiarito che questa era la loro posizione anche prima che iniziasse il G7: nella sostanza, Washington dice che la possibilità di allentare le sanzioni nei confronti della Russia è legata al rispetto degli accordi di Minsk e quindi naturalmente al rispetto della sovranità dell’Ucraina. Quello che sta accadendo in questi giorni dimostra invece che Mosca non sta applicando quegli accordi: secondo Washington, ha ancora una presenza militare forte all’interno dell’Ucraina, non sta facilitando la soluzione politica e quindi, in sostanza, gli Usa ritengono che le sanzioni debbano restare fino a quando Putin non cambierà linea e non comincerà ad applicare gli accordi di Minsk. Se questo non avverrà, bisognerà anche considerare eventualmente la possibilità di inasprire le sanzioni. In generale, gli Stati Uniti stanno rivedendo la loro "policy" nei confronti della Russia e questo potrebbe comportare anche un cambiamento di strategia dal punto di vista militare. È una cosa di cui si discuterà nei prossimi mesi, probabilmente già da luglio quando questa nuova ‘policy’ dovrebbe essere rivista dalla Casa Bianca ed eventualmente approvata.
D. – Ci sono delle notizie su questa possibile nuova strategia degli Stati Uniti nei confronti di Mosca?
R. – Sì, questo era già stato anticipato ai diplomatici dei Paesi alleati nelle settimane scorse, per avvertirli riguardo al tipo di ragionamento che stanno facendo gli Stati Uniti. In sostanza, la sensazione a Washington è che Mosca abbia deciso di cambiare linea: da quella di collaborazione che aveva scelto dopo il crollo del Muro di Berlino, sta passando ad una linea di contrapposizione. Questo non significa che stiamo tornando alla rivalità dei tempi della Guerra Fredda, ma che comunque Mosca ha intenzione di perseguire i propri interessi in una maniera diversa da quella degli ultimi anni. Questo naturalmente comporta da parte degli Stati Uniti, ma in generale da parte di tutti gli alleati occidentali, una revisione del loro rapporto, del loro approccio, nei confronti della Russia, per evitare che questo vada a ledere gli interessi del blocco occidentale.
D. – Al G7 è emersa una posizione diversa all’interno dell’Unione Europea. Ci sono Paesi più "morbidi" rispetto alla linea di Mosca. Se le sanzioni non dovessero bastare, a cosa si potrebbe arrivare?
R. – Al momento, la strada che tutti vogliono seguire naturalmente è quella diplomatica. Ci sono dei punti di vista diversi fra gli alleati occidentali, però sono delle sfumature. Anche l’Italia è stata un po’ sotto la lente di osservazione, perché c’è stata l’impressione che fosse un po’ più morbida rispetto agli altri Paese nei confronti della Russia, perché Roma ha anche degli interessi economici molto forti nei confronti di questo Paese. A ora, la linea che si sta seguendo è appunto quella di trovare una soluzione diplomatica. Quindi, la prima ipotesi è prorogare queste sanzioni per far capire che l’atteggiamento attuale non è accettabile. Poi, eventualmente, la possibilità di imporne delle altre è sempre aperta. Altre soluzioni al momento non si stanno discutendo, anche se poi – visto che c’è una revisione della strategia degli Stati Uniti nei confronti della Russia – il Pentagono deve prepararsi a tutte le eventualità. Quindi, anche dal punto di vista militare ci sono delle considerazioni che vengono fatte, soprattutto per garantire la protezione di quei Paesi, in particolare quelli baltici e la Polonia, che si sentono più minacciati dalla Russia.
D. – E il ruolo della Nato in questo contesto qual è?
R. – Il ruolo della Nato naturalmente torna a essere cruciale, perché è l’alleanza militare che era stata creata all’epoca della Guerra Fredda per difendersi appunto dall’Unione Sovietica. La situazione è cambiata: la speranza è che non si torni a quel periodo, però ovviamente la Nato deve essere pronta a ogni contingenza e ha già avviato un mutamento del suo assetto strategico nelle regione. Ci sono delle esercitazioni e una presenza a rotazione delle truppe Nato nei Paesi di confine, come i Paesi baltici e la Polonia, che stanno già avvenendo, per dare un segnale alla Russia. Poi, da qui si potrebbe passare ad un’escalation di misure che però al momento vengono considerate soprattutto come delle ipotesi remote, che nessuno pensa e spera di dover attuare.
Elezioni turche: in calo il partito del presidente Erdogan
Elezioni a sorpresa in Turchia. L’AKP il partito islamico, del presidente Erdogan, che da 13 anni governa il Paese, non ha più la maggioranza assoluta. Questo l’esito delle elezioni legislative svoltesi ieri e i cui risultati hanno presentato anche altri inattesi esiti. Tra tutti la crescita del partito filo-curdo HDP, che entra in parlamento superando nettamente la soglia di sbarramento del 10%. Per un commento su queste consultazioni decisive per il futuro politico turco, Federico Piana ha intervistato Nathalie Tocci, vicedirettore dell'Istituto Affari Internazionali ed esperta di questioni europee e turche:
R. – Innanzitutto, si possono leggere come l’inizio del declino dell’Akp. La seconda grande novità – e chiaramente i due fattori vanno letti assieme – è l’entrata in Parlamento, per la prima volta, del partito curdo. Perché Demirtas, un leader estremamente giovane, carismatico, una figura importante nella politica turca di oggi, è riuscito sì a mantenere un’identità curda del partito, ma in realtà a posizionare l’Hdp - appunto questo partito curdo - in senso molto più ampio, cercando di attrarre voti tra i turchi, tra le varie minoranze di ogni genere, tra i liberali… Di fatto l’Hdp non soltanto è riuscito a superare la soglia del 10 per cento, ma si avvicina al 13 per cento. E questa è la vera novità, che appunto apre adesso il gioco di quello che potrebbe eventualmente essere un governo di coalizione.
D. – I rapporti con l’Unione Europea miglioreranno oppure no? Sappiamo che sono stati un po' tesi negli ultimi tempi?
R. – Queste elezioni sono il segnale di un rinnovamento della democrazia turca. Negli ultimi anni questo aveva molto incrinato i rapporti con l’Unione Europea e si parlava di un crescente autoritarismo turco, soprattutto della figura di Erdogan, che in qualche modo la Turchia stesse prendendo una deriva autoritaria. Queste elezioni hanno riconfermato la maturità democratica del popolo turco. Il dato che rafforza, appunto, la democrazia turca c’è, e questo non può che migliorare i rapporti con l’Unione Europea.
Iraq: bimba rapita dall'Is. Mobilitazione dei Francescani
La ferocia del sedicente Stato Islamico non sembra avere limiti. Cristina, una bimba irachena di tre anni è stata rapita dai jihadisti. I francescani di Assisi hanno raccolto la richiesta di aiuto dei genitori e hanno lanciato un appello per salvare la bambina e strapparla dalle mani dei miliziani. Intanto sino al 27 giugno prosegue l’iniziativa solidale tramite sms e chiamata da rete fissa al numero telefonico 45505 per sostenere i profughi iracheni. Giancarlo La Vella ha intervistato il portavoce del Sacro Convento di Assisi, padre Enzo Fortunato:
R. – Noi abbiamo raccolto il grido di dolore di una mamma, alla quale è stata strappata dalle braccia la figlia di tre anni dai miliziani dell’Is. Potete immaginare quale sia stato il suo racconto: solcato dalle lacrime sul viso, ma con una tale dignità che ci ha veramente turbati profondamente. Ci ha fatto soprattutto comprendere che è necessario, oggi, sensibilizzare l’opinione pubblica su un dramma, di cui i mass media fanno fatica a parlare: sono 12 mila i profughi cristiani solo a Erbil, per non parlare poi dei 7 mila profughi tra Libano e Giordania… Questa è sicuramente una situazione che ci fa capire l’efferatezza e la brutalità dei miliziani dell’Is. Di fronte a gesti di violenza noi vogliamo contrapporre gesti di pace, convinti che questi – prima o poi – porteranno il loro frutto.
D. – E’ possibile, secondo lei, parlare a persone che si sono macchiate di crimini indicibili?
R. – San Francesco di Assisi ci invita a non demordere, a tentare ogni strada, a solcare ogni mare, purché il tutto sia ancorato al Vangelo. Noi lo facciamo ancorati a quella bussola, che è sempre giovane e che è la Parola di Gesù. Invito anche a ritwittare #Savecristina attraverso il Twitter Francesco Assisi, perché questo nostro modo di agire possa davvero arrivare al cuore di chi si sta macchiando di tale efferatezza.
Consiglio d'Europa: libertà religiosa crea società inclusive
La dimensione religiosa del dialogo interculturale: al centro del dibattito organizzato oggi pomeriggio a Strasburgo dalla Missione permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. Partecipano l’arcivescovo Paul R. Gallagher, segretario per le Relazioni con gli Stati della Santa Sede, il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione e di credo. Guida il dibattito il vicesegretario generale del Consiglio d’Europa, Gabriella Battaini-Dragoni, che ascoltiamo nell’intervista di Fausta Speranza:
R. – E’ una dimensione fondamentale, perché è una dimensione che fa parte della nostra cultura più generale. Osserviamo sempre al Consiglio d’Europa la questione religiosa come una parte intrinseca dell’identità e della cultura di ciascun individuo. Quindi, è portatrice di valori e quindi ispira il nostro modo di comportarci con noi stessi e con gli altri e anche le responsabilità che possono derivarne per quanto si vive nella società. Allora, non può restare al di fuori delle nostre considerazioni e del ruolo che proprio la religione svolge in seno alle società, in altre parole.
D. – Le sembra che ultimamente ci sia stata in qualche modo una riscoperta nelle istituzioni e anche nella sensibilità dei cittadini dell’importanza della dimensione religiosa?
R. – Per quanto riguarda i cittadini, in senso più ampio, senz’altro. Per quanto riguarda il Consiglio d’Europa, sono già sette anni che noi riflettiamo regolarmente sull’impatto e sul ruolo che la religione può svolgere in senso alle società europee in ogni caso e quindi anche alle società in senso più ampio. Dal 2008, abbiamo iniziato ad avere riunioni regolari con rappresentanti sia religiosi che non religiosi, con rappresentanti di società e di organizzazioni agnostiche o atee per discutere su temi che per noi – come Consiglio d’Europa – sono fondamentali e che mi permetto di indicarle attraverso gli articoli pertinenti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: l'art. 9 che indica molto chiaramente il principio della libertà di religione, il che significa anche il volere avere eventualmente una religione. Il secondo articolo è quello sulla libertà di espressione, che è un tipo di diritto che va comunque esercitato con un senso profondo di responsabilità, dal momento che non si tratta di un diritto assoluto, ma di un diritto relativo. E poi il diritto di associazione, come ad esempio la realtà di una comunità religiosa: anche in questo caso, c’è un diritto fondamentale che è quello della possibilità nelle nostre società democratiche di poterci associare e condividere dei valori comuni. E’ molto interessante ora il modo in cui la Santa Sede cerca di affrontare il tema della radicalizzazione e del come si possa lottare contro la radicalizzazione – che può condurre anche a fenomeni molto più gravi, come quello della violenza estrema o del terrorismo – e del ruolo dei leader religiosi come mediatori sociali – mi permetterei di utilizzare questa espressione – quindi come responsabili in seno alla società e alle diverse comunità religiose, affinché possano contribuire a de-radicalizzare la società e i gruppi che rischiano, appunto, di diventare pericolosi.
D. – L’obiettivo finale di tutto, si può dire, è costruire società inclusive…
R. – Assolutamente. Società, quindi, nelle quali tutte le diverse comunità possano ritrovarsi e rispettosamente coesistere nonostante le loro differenze e, con questa volontà, costruire un progetto, che è un progetto comune. E come ci si arriva se non si condividono gli stessi valori? Ecco che allora la libertà di religione, di coscienza, di opinione, accompagnata alla libertà di espressione e alla libertà di associazione diventano fondamentali per capire che tutti possono partecipare a condizione che tutti rispettino – al di là della loro differenza – tutti i principi fondamentali. Ecco perché mi sono permessa di accennarli, perché una coesistenza pacifica può farsi solo se le regole del gioco, se – come si dice spesso tra virgolette – il contratto sociale, in qualche modo, è chiaramente definito.
Da Silva: Fao, ancora riforme e risparmi per vincere la fame
“Non è stato facile trasformare la Fao in un’organizzazione a misura del 21 secolo”, ha dichiarato José Graziano da Silva - rieletto sabato scorso direttore generale dell’Agenzia Onu per l’agricoltura e l’alimentazione - nel rivolgersi all’Assemblea plenaria dei 194 Paesi membri, riuniti a Roma, tracciando le linee guida del suo secondo mandato. Il servizio di Roberta Gisotti:
Successi ne ha raccolti il brasiliano Graziano da Silva, 72 Paesi su 129 hanno raggiunto l’obiettivo del Millennio di dimezzare la percentuale di affamati, ma non il numero totale che ancora sfiora gli 800 milioni. In compenso, la Fao ha risparmiato negli ultimi tre anni 108 milioni di dollari, decentrando il personale (16%) e aumentando i finanziamenti (fino al 42%) sul campo. Da qui la piena fiducia espressa da 177 Paesi su 182 votanti perché resti lui al timone della Fao per altri 4 anni. “Ma voi mi state chiedendo di fare di più, molto di più”, ha detto da Silva, prospettando politiche di rigore e ricordando che i costi del personale - decisi in massima parte a New York - rappresentano il 75% del bilancio, sceso negli ultimi 20 anni del 25%. “Un grande taglio”, ha sottolineato.
“We are now starting to see…"
E, ora siamo vedendo - ha spiegato i direttore generale della Fao - i primi benefici di questa trasformazione strategica per raggiungere i risultati concreti che tutti vogliamo".
“I would like to highlight that this is the first time…"
Per la prima volta, la Conferenza - ha rimarcato - inizia con un consenso sulla revisione di bilancio, pari a 1.036 milioni di dollari, una “impresa storica”, “segno di forza” e di un “terreno comune” su cui andare avanti - ha promesso da Silva - per eradicare infine la fame nel mondo, garantendo “quantità e qualità”.
Nell’odierna Giornata mondiale degli Oceani, da Silva ha infine lanciato un allarme sugli ecosistemi marini, sempre più acidi e degradati per effetto dei cambiamenti climatici, che ne stanno anche alzando i livelli e le temperature. Se continua cosi, ha ammonito, avremo conseguenze devastanti.
“There is no time for pessimism…"
“Non è tempo di pessimismo. E’ tempo di agire e la Fao farà la sua parte", ha aggiunto da Silva, per favorire la cosiddetta “Crescita Blu”, integrando le attività di pesca e la gestione ambientale sostenibile delle coste marine e degli oceani. Per questo, la Fao ha costituito un Fondo di supporto alle realtà più colpite dai cambiamenti climatici, chiedendo a tutti gli Stati un contribuito grande o piccolo.
“Big o small, all your contributions are very welcome.
Grandi o piccoli, tutti i vostri contributi sono i benvenuti".
Mons. Perego: migranti sono risorsa, negarlo è una vergogna
L’accoglienza dei profughi in Italia sta suscitando una nuova ondata di polemiche politiche dopo l’affermazione del presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, che ieri ha minacciato di tagliare i fondi ai Comuni che dovessero aprire le porte ai migranti. Dall’Ue arriva un appoggio all’Italia attraverso il commissario all'Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, che ha affermato: “Sul sistema dell'accoglienza l'Italia non è sola”. Fabio Colagrande ha parlato della situazione con il direttore della Fondazione Migrantes, mons. Gianfranco Perego, che nei giorni scorsi ha presentato il Rapporto sull’immigrazione assieme alla Caritas:
R. – Purtroppo, molto spesso l’attenzione in chiave di sicurezza che si dà al tema dell’immigrazione fa dimenticare la grande risorsa che è, è stata, e continua ad essere. Cinque milioni di persone – di cui metà sono lavoratori, un milione sono bambini, 800 mila sono studenti delle nostre scuole – sono una risorsa economica significativa. In un’Italia in cui ne muoiono dieci e ne nascono nove, in un’Italia in cui avremmo bisogno di 100 mila badanti ogni anno – perché sono soltanto 50 mila i posti nelle strutture sociosanitarie per anziani non auto-sufficienti, rispetto ai 150 mila che ogni anno entrano nelle nostre famiglie – parlare di risorse significa parlare con verità di questa realtà che è importante.
D. – Eppure, il vostro Rapporto lo ricorda: nonostante questo importante contributo al Prodotto interno lordo (Pil), gli occupati stranieri guadagnano meno, sono impiegati in professioni non qualificate, hanno un basso prestigio sociale. Cosa significa questo?
R. – Significa che purtroppo non si presta attenzione alla esigibilità di alcuni diritti: il diritto al riposo settimanale, che manca per tante badanti, il diritto a una giusta retribuzione – si arriva al 50% in meno per quanto riguarda le donne straniere in Italia – il tema della sicurezza sul lavoro che tante volte vede gli immigrati – il 200% in più – essere soggetti di incidenti sul lavoro. Credo che tutti questi siano aspetti importanti. L’immigrazione deve essere letta anche come una scuola, un luogo fondamentale su cui si tutelano i diritti fondamentali dei lavoratori e delle loro famiglie.
D. – 52.671 approdati quest’anno, con oltre 80 mila da assistere, e c’è questo scontro politico proprio sull’accoglienza…
R. – Credo che anche di fronte al fenomeno delle migrazioni forzate – che ha visto arrivare in Italia, attraverso il Mediterraneo, 300 mila persone dal 2011 ad oggi, ma permanere in Italia, in questo momento, 80 mila persone – ci debba essere un’attenzione a dire la verità. Per quanto riguarda le regioni del Centro e del Sud, arriva ad esserci una persona ogni 400-500 abitanti, e invece, per quanto riguarda le regioni del Nord, una persona ogni 2.000 abitanti. La verità dovrebbe essere quella di allargare la rete dei Comuni – oggi sono solo meno di 500 che stanno accogliendo i migranti – e riuscire veramente a costruire una rete che entri in maniera strutturale nei Servizi sociali di tutte le persone di ogni comune italiano.
D. – Quindi, con questo rifiuto, secondo lei, le regioni del Nord fanno perdere credibilità all’Italia?
R. – Stanno indebolendo profondamente un diritto fondamentale, su cui è fondata la nostra Costituzione, e fanno vergognare l’Italia con 80 mila persone da accogliere nei confronti di un Libano che ne sta accogliendo tre milioni: cioè la stessa popolazione del Paese, già sotto la guerra, in difficoltà e in una grave situazione di povertà. È veramente impressionante come ci siano due pesi e due misure su cui lavorare e su cui creare solidarietà nel nostro Paese e nel contesto mondiale.
Difendere i figli dal gender, presentata manifestazione a Roma
La maggioranza silenziosa degli italiani che non si identifica con l'ideologia gender diventi cittadinanza attiva. Questo l'auspicio del “comitato difendiamo i nostri figli" che oggi a Roma ha presentato la prossima manifestazione nazionale in programma il prossimo sabato 20 giugno alle 15,30 in piazza San Giovanni in Laterano per dire "no" a quella che il Papa ha definito "colonizzazione ideologica". Numerose le denunce da parte dei genitori di progetti nelle scuole ispirati ad un’ideologia omosessualista finalizzata a decostruire la differenza sessuale, l’umano e la famiglia. A seguire la conferenza c'era per noi, Paolo Ondarza:
Non un’adunata del mondo cattolico o di qualche movimento ecclesiale o associazione e neanche un nuovo "Family Day": quella del prossimo 20 giugno a Roma sarà una manifestazione della maggioranza silenziosa degli italiani. Il commento del portavoce del comitato promotore, Massimo Gandolfini:
R. – Cerchiamo di dare voce ad una larga piazza nazionale del nostro Paese, costituita da famiglie, che sono preoccupatissime da quanto sta avvenendo nelle scuole di ogni ordine e grado, con questa invasione dell’ideologia gender, attraverso dei percorsi e dei progetti di educazione all’affettività, alla sessualità, che in realtà sono dei veicoli attraverso i quali passa l’idea dell’indifferentismo sessuale. Noi riteniamo che questa strategia sia una strategia terribile, che distrugge innanzitutto il percorso evolutivo del bambino e, naturalmente, in secondo luogo, distrugge la famiglia.
D. – Il Papa per definire il gender ha parlato di “colonizzazione ideologica”…
R. – Noi ci siamo permessi di utilizzare delle bellissime, felicissime espressioni del Santo Padre. Una è quella della "colonizzazione ideologica": non si fa sperimentazione sui bambini; l’altra è "sbaglio della mente umana". Efficacissima forma di definire la ideologia di genere: uno sbaglio della mente umana. Vorremmo fare qualcosa per riportare le persone a ragionare in maniera razionale, pulita, semplice, libera dalle ideologie.
D. – Veniamo alla natura di questa manifestazione: si è formata dal basso, è partita dalle richieste di genitori allarmati…
R. – Esatto. Siamo abituati ad avere un comando, un invito che nasce dall’alto, invece questa volta è successo il contrario: si è partiti proprio dal basso! Molti di noi hanno fatto centinaia di conferenze sul territorio nazionale. La mia personale testimonianza ed esperienza è che la gente non sapeva nulla. Io uso sempre la metafora del sommergibile: non è una corazzata quella che ci viene addosso, è un sommergibile nucleare, che nessuno vede a pelo d’acqua, ma che sott’acqua è terribile. E questo è quello che stava accadendo. Allora, raccogliendo poi la preoccupazione, la sensazione di abbandono di queste famiglie, abbiamo pensato di costituire un comitato, direi quasi, organizzativo. Mettiamoci insieme e facciamo sentire la voce delle famiglie.
D. – Non è una “piazza” che vuole andare contro qualcuno…
R. – Esatto. Noi non stiamo facendo questa manifestazione contro le persone omosessuali o gay. Noi vogliamo costituire una “piazza” in cui le persone, le famiglie, possano farsi sentire. Parlando chiaro, infatti, le nostre famiglie sono totalmente oscurate nei grandi canali della comunicazione. C’è, invece, un appiattimento su tutte queste forme ideologiche, e allora speriamo che la popolazione italiana - ma in modo particolare anche coloro che poi nel Parlamento siedono e devono fare le leggi - sappia che il senso comune della gente non è quello orientato in senso ideologico gender, ma è quello della naturalità: un papà, una mamma che hanno il diritto – art. 30 della Costituzione e 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo – di allevare, di crescere, di educare i loro figli in base ai valori che loro sentono come prioritari.
D. – Proprio perché la spinta viene dal basso è difficile anche quantificare, immaginare quale sarà il risultato della piazza…
R. – E’ superfluo dire che stiamo lavorando perché la piazza sia gremita. Dare dei numeri è proprio impossibile, ovviamente, ma le assicuro che abbiamo trovato una sintonia enorme.
D. – Solo pochi giorni fa, intervenendo alla presentazione del portale web nazionale per i temi Lgbt, la vice presidente del Senato, Fedeli, che tra l’altro è la firmataria del disegno di legge sull’educazione di genere nelle scuole, ha parlato di grave ritardo dell’Italia su questi temi, quindi esortando a rincorrere gli altri Paesi, che, stando a questa metafora del ritardo, sono più avanti…
R. – Non è detto che tutto ciò che fa l’Europa sia la traduzione della verità in termini politici. L’Europa fa delle cose buone, ma fa anche delle cose pessime. Fra le cose pessime c’è sicuramente la propaganda di ordine gender nelle scuole. Per cui l’Italia dovrebbe sentirsi onorata di essere un Paese che ha il coraggio di alzare la testa, di alzare la voce, e di dire che a queste forme di traviamento, soprattutto della mentalità e della costruzione della personalità dei minori, noi non ci stiamo.
D. – Sono vari gli stimoli recepiti da questa piazza, pensiamo anche al ddl Cirinnà relativo alle unioni civili, il cui iter procede spedito...
R. – Noi ci muoviamo soprattutto sul terreno dell’educazione, cui però è strettamente correlato l’altro tema. E’ fuori discussione, infatti – ripeto – che se dovesse passare l’idea che ci sono modelli di famiglia – oggi si dice omogenitoriale – con due maschi o due femmine, è chiaro che poi i bambini nelle scuole verranno educati all’idea che può esistere una famiglia con due maschi e con due femmine. I due temi, quindi, sono molto correlati.
Sant'Egidio. Conferenza per il dialogo tra Oriente e Occidente
“Oriente e Occidente. Dialoghi di civiltà”. Questo il significativo titolo del Convegno promosso dalla Comunità di Sant’Egidio oggi e domani a Firenze. All’incontro partecipano importanti personalità dell’Islam sunnita, come il Grande Imam dell’Università al-Azhar del Cairo Ahmad Mohammad al-Tayyeb. Prendono inoltre parte al dialogo con gli esponenti del mondo musulmano alcuni noti rappresentanti politici e istituzionali europei. Eugenio Murrali ha intervistato uno degli organizzatori delle giornate, don Vittorio Ianari:
R. – Si è voluto pensare a questo scenario largo rispetto al più classico dialogo islamo-cristiano proprio per significare un desiderio di coinvolgere questi due mondi – queste due civiltà – in un cammino di riconciliazione che vuole contrastare quello che è sotto gli occhi di tutti: una crescita della distanza, della incomprensione, e anche – ahimé – dello scontro.
D. – Quindi, non un incontro interreligioso, ma un dialogo tra culture: qual è la differenza?
R. – La differenza è che si aprono delle prospettive, ovviamente sempre all’interno e nel solco di una considerazione dell’importanza delle tradizioni religiose. Ma guardare all’Oriente e all’Occidente come a due mondi che sono chiamati con urgenza, proprio nella difficoltà e nella crisi, a comprendersi e a fare dei passi di riavvicinamento vuol dire poter coinvolgere anche altre voci di altre confessioni religiose, di altri mondi. E, per quanto riguarda l’Oriente, non bisogna dimenticare le minoranze – in particolare quella cristiana – che vivono, sperano e purtroppo soffrono in questo periodo proprio nella regione orientale. Tanto più la crisi è acuta, tanto più c’è bisogno della voce, dell’energia e della speranza di tutti.
D. – Sant’Egidio auspica la nascita di una Unione dei Paesi musulmani sul modello dell’Unione Europea: perché ?
R. – Perché probabilmente vediamo in questa prospettiva la possibilità di dare spazio a un ragionamento meno scomposto rispetto al presente e soprattutto al futuro di questi Paesi, affidandolo invece, in maniera più robusta, a un ragionamento di tipo culturale e senza dubbio anche politico.
D. – Oriente e Occidente: una questione annosa, per non dire antica. Che prese di coscienza sono necessarie oggi da entrambe le parti?
R. – La presa di coscienza mi sembra quella di dover scrivere – sollecitati da questa crisi – una pagina nuova, in cui cadano antichi pregiudizi, che di fatto finiscono per allontanare, creare sospetto, divisione, talvolta anche disprezzo. Questa è la prima basilare necessità. La seconda è rendersi conto che, al di là delle identità che ovviamente continuano a segnare la realtà dell’Occidente, così come quella dell’Oriente, questa dimensione decisamente nuova della globalizzazione “mescola molto le carte”. Per tanti aspetti, l’Oriente è già presente o è più vicino all’Occidente, e viceversa. In concreto, in questi due giorni ci saranno delle tavole rotonde che vogliono un po’ provare ad affrontare i temi e le domande più urgenti: cosa vuol dire convivere? Come comprendersi? L’Oriente ha un messaggio positivo da dare al mondo? L’Occidente ha ancora un messaggio positivo da dare, non solo all’Oriente, ma al mondo intero? E credo che la domanda di molti, da entrambe le parti, sia quella di trovare effettivamente un ambito e delle persone concrete, che siano determinate a camminare su questa strada.
Libia: rapiti dall'Is 86 migranti cristiani eritrei
“Stiamo cercando di avere maggiori dettagli sulla notizia del rapimento di migranti eritrei cristiani da parte dello Stato Islamico (Is) in Libia” dice all’agenzia Fides padre Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo, dopo che un’altra ong che assiste gli eritrei in fuga dal loro Paese, la International Commission on Eritrean Refugees di Stoccolma, aveva riferito il rapimento di 86 eritrei cristiani, tra cui 12 donne e bambini, mentre erano in viaggio su un automezzo verso Tripoli. I membri dell’Is hanno separato i migranti cristiani da quelli musulmani, lasciando liberi solo questi ultimi. “Sappiamo che tre persone sono riuscite a fuggire dalle mani dei loro rapitori e ci hanno dato questa prima testimonianza. La nostra preoccupazione è mettere in salvo queste persone per poi riascoltarle con calma per comprendere meglio la situazione di quelli che sono rimasti nella mani dell’Is” dice padre Mussie Zerai.
Le complicità dell'Is con i trafficanti di esseri umani
“Il rapporto tra i trafficanti di esseri umani e l’Is in Libia è difficile da descrivere” spiega il sacerdote. “A volte è di complicità, altre volte invece rapiscono dei migranti che si erano affidati alle organizzazioni di trafficanti, per estorcere loro altri soldi. Ci sono quindi dei momenti in cui gruppi che si richiamano all’Is si alleano con altre milizie libiche o con i trafficanti, ai quali chiedono un pedaggio per far passare i loro convogli. In questo episodio invece hanno bloccato un convoglio, forse per un atto dimostrativo nell’ambito della loro propaganda anti cristiana”.
L’Is in Libia ha già commesso crimini crudeli contro i cristiani
Gli ultimi ad aprile quando sono stati diffusi dei video dell’esecuzione sommaria di fedeli etiopici ed eritrei. “In quel caso la maggioranza degli uccisi erano eritrei, a parte un gruppo di una decina di etiopi” precisa padre Mussie Zerai. “I cristiani eritrei ed etiopici frequentano le comunità copte egiziane presenti in Libia. Forse l’Is li prende di mira perché li vedono in rapporti con gli egiziani” ipotizza il sacerdote.
Gli eritrei in fuga da un regime che viola i diritti umani
Gli eritrei fuggono da un regime che è stato accusato dal Consiglio per i diritti umani dell'Onu di gravi violazioni dei diritti umani, in un rapporto di 448 pagine, pubblicato oggi, nel quale si documentano massacri, diffuso ricorso alla tortura, riduzione in schiavitù sessuale e lavori forzati. (L.M.)
Iraq: Califfato trasforma in moschea la chiesa di Sant'Efrem
Avvisi diffusi per le strade di Mosul dai miliziani del sedicente Stato Islamico (Is) hanno annunciato l'imminente apertura della “moschea dei mujiahiddin”, ricavata dalla trasformazione in luogo di culto islamico della ex chiesa dedicata a Sant'Efrem. Lo riferiscono fonti locali rilanciate dal sito iracheno ankawa.com e contattate anche dall'agenzia Fides. L'annuncio arriva a pochi giorni dal primo anniversario della conquista jihadista di Mosul, avvenuta nella notte tra il 9 e il 10 giugno 2014.
La chiesa di Sant'Efrem era già stata devastata dall'Is
Sant'Efrem era uno dei luoghi di culto cristiano più grandi tra quelli disseminati nel centro urbano di Mosul, e apparteneva alla Chiesa siro-ortodossa. Alcuni indizi lasciavano da tempo supporre l'intenzione dei jihadisti di trasformarlo in moschea, dopo che miliziani del Califfato già a luglio dello scorso anno avevano scelto gli edifici annessi alla chiesa come sede del Consiglio di stato dei mujiahiddin. La croce che svettava sulla cupola era stata divelta. Poi, durante lo scorso autunno, la chiesa era stata svuotata dei suoi arredi interni: i banchi e altre suppellettili erano stati esposti come merce in vendita nell'area antistante il luogo sacro.
I raid aerei avevano devastato gli edifici adiacenti la chiesa
Lo scorso 9 settembre, i raid aerei compiuti per colpire le postazioni dei jihadisti del sedicente Califfato avevano danneggiato gravemente alcuni edifici adiacenti alla chiesa di Sant'Efrem e a quella siro-cattolica dedicata a San Paolo, anch'essa situata nel cosiddetto “quartiere della polizia”. (G.V.)
Acs: oltre 105 milioni di euro per la Chiesa che soffre
La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre nel 2014 ha raccolto più di 105 milioni di euro. È la prima volta nella storia di Acs che si raggiunge un tale traguardo, superiore di oltre 17milioni alla raccolta fondi del 2013. Lo scorso anno la generosità degli oltre 600mila benefattori Acs ha permesso di finanziare 5.614 progetti in 145 Paesi, quasi 200 in più rispetto al 2013. Acs ha garantito un’istruzione a 9.669 seminaristi - ovvero un seminarista ogni dodici nel mondo – e offerto sussistenza a 9.790 religiose. Altissimo anche il numero di intenzioni di Messe per i sacerdoti che operano in Paesi in cui la Chiesa è povera o perseguitata. 1.219.063 Messe sono state infatti celebrate secondo le intenzioni dei benefattori Acs: una ogni 26 secondi.
In aumento gli aiuti di emergenza per i profughi del Medio Oriente
A livello internazionale i contributi sono stati così suddivisi: aiuti all’edilizia 43%, intenzioni di Sante Messe 15%, sostegno alla formazione teologica 11% e alla catechesi 9%, motorizzazione 8%, aiuti d’emergenza 7%, apostolato biblico e mediatico 4%, e sostentamento 3%. Il drammatico aumento del numero di rifugiati, specie in Medio Oriente, ha spinto la fondazione ad accrescere gli aiuti di emergenza, che nel 2013 rappresentavano il 4,5% del totale delle donazioni.
Finanziati strutture ecclesiali, mezzi di trasporto e testi religiosi
Nel 2014 Acs ha finanziato la costruzione di 1.508 tra chiese, cappelle, seminari, centri pastorali ed altri edifici religiosi. Tra i numerosi progetti anche l’acquisto di mezzi di trasporto per consentire a sacerdoti, religiosi e catechisti di raggiungere le aree più remote. La fondazione ha donato 488 auto e 320 tra moto e biciclette, e mezzi più “originali” quali barche, gommoni e trattori. Oltre al grande impegno nell’apostolato mediatico attraverso tv, radio e altri media cristiani, Acs ha sostenuto la pubblicazione di un milione e 400mila testi religiosi. Tra questi si ricordano il catechismo per i giovani, Youcat, e la Bibbia del Fanciullo, bibbia illustrata per bambini nata nel 1979 della quale sono state distribuite quasi 52milioni di copie in 178 lingue diverse.
Il sostegno ai 120mila cristiani iracheni rifugiatisi in Kurdistan
Nel 2014 una parte consistente degli aiuti è stata devoluta all’assistenza delle centinaia di migliaia di rifugiati in Medio e Vicino Oriente. A loro è andato il 13,1% delle donazioni, con un incremento del 5,1 % rispetto al 2013. In particolare in Siria e in Iraq, dove dall’inizio della crisi siriana nel 2011 Acs ha sostenuto progetti per oltre 12milioni di euro. Considerevole è il sostegno di Acs agli oltre 120mila cristiani iracheni rifugiatisi in Kurdistan – 7milioni e 200mila euro dal giugno 2014 ad oggi – che come ha dichiarato recentemente l’arcivescovo caldeo di Erbil, mons. Bashar Warda, «rappresenta più del 60% del totale di donazioni ricevute dalla nostra diocesi dall’inizio di quest’ultima drammatica crisi».
Aiuti ai filippini colpiti dal tifone Haiyan
Più di un milione e 900mila euro sono stati devoluti alle diocesi filippine colpite nel novembre 2013 dal tifone Haiyan. Dopo una prima risposta all’emergenza umanitaria, Acs è ora impegnata in numerosi progetti di ricostruzione nell’arcipelago. Anche le offerte all’Asia hanno visto un pur lieve incremento: dal 17,4% del 2013 al 18,7% dello scorso anno. In questo continente l’India è il Paese che ha maggiormente beneficiato del supporto di Acs, per un totale di 4.949.670 euro.
Acs per l'Africa povera e carente di infrastrutture
Anche nel 2014 la maggior parte di aiuti è stata destinata all’Africa, ovvero il 29,1% delle donazioni. Qui la Chiesa è dinamica ed in continua crescita, ma soffre a causa dell’estrema povertà e della mancanza di infrastrutture. Oltre a diverse guerre civili ancora in corso, il continente affronta l’aumento e la radicalizzazione dell’estremismo islamico. Mentre il raggio d’azione della setta islamista Boko Haram si è esteso ben aldilà dei confini nigeriani, dalla Libia giunge la minaccia dello Stato Islamico.
Sostegno all'Ucraina ed alla Bosnia-Erzegovina
Infine l’Europa dell’Est, dove Acs è attiva sin dagli anni ’50. Nel 2014 la parte più significativa degli aiuti è stata rivolta a Ucraina, che con 5.124.211 euro ricevuti è il Paese che più di tutti ha beneficiato del sostegno della fondazione. È tuttavia costante l’impegno anche nei Paesi balcanici. In Bosnia-Erzegovina, Acs ha donato oltre mezzo milione di euro per la costruzione del Centro giovanile Giovanni Paolo II, visitato da Papa Francesco durante il suo recente viaggio a Sarajevo. Il Centro fornirà un decisivo contributo al processo di pace e riconciliazione in atto nel Paese. (R.P.)
Chiese cattoliche orientali: famiglia, palestra di umanità
La difesa della famiglia, “laboratorio e palestra di umanità”; la situazione in Ucraina, ed il confronto delle Chiese dell’Europa centro-orientale con la società civile: è stata questa l’agenda dei lavori che ha visto impegnati i vescovi cattolici orientali nel loro incontro annuale, conclusosi ieri a Praga, nella Repubblica Ceca. Oltre 40 i presuli presenti per un evento che si è posto anche nel percorso preparatorio al prossimo Sinodo generale ordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 4 al 25 ottobre.
Sì alla famiglia, cellula fondamentale della società
In primo luogo, si legge nel comunicato finale dei lavori, “le Chiese cattoliche orientali dell’Europa dicono il loro sì alla famiglia, cellula fondamentale della società umana”, luogo, per ciascuno, di “crescita culturale e intellettuale, emotiva e sociale”, in cui “si compie il disegno di Dio su ogni uomo”. La famiglia, prosegue la nota, è “Chiesa domestica”, “laboratorio e palestra di umanità”, è “il luogo in cui avviene la trasmissione della fede e dove si imparano anche i principi fondamentali del vivere insieme”. Ed il sì al nucleo familiare viene ribadito perché “nei momenti bui della storia di numerosi Paesi dell’Europa centro-orientale, sono state le famiglie a mantenere viva la libertà della persona, le varie identità nazionali, il loro ricco patrimonio culturale e spirituale. E sono state le famiglie cristiane a mantenere viva la fede in Dio e la speranza in un futuro migliore”.
Appello ai governi: leggi giuste per la famiglia
In vista del prossimo Sinodo, dunque, i partecipanti all’incontro confermano “la priorità della famiglia nella pastorale ordinaria delle rispettive Chiese”, impegnandosi “a promuovere una sempre più accurata preparazione al sacramento del matrimonio, ad accompagnare e guidare spiritualmente le famiglie; a sostenere e promuovere le comunità familiari e le parrocchie”, per “testimoniare la bellezza di essere una comunione di persone ad immagine di Dio”. Particolare vicinanza, poi, viene espressa nei confronti di tutte le famiglie, in particolare di quelle che “attraversano momenti di crisi o di difficoltà, le famiglie povere e disagiate che si sentono escluse dalla società”: “La Chiesa è e sempre sarà loro accanto – scrivono i vescovi - pronta a tendere una mano amica, portando il sollievo e la misericordia di Dio”. Di qui, l’appello ai governi affinché, “in tempi di grande vulnerabilità e di grande crisi morale, economica e sociale”, diventino “sempre più consapevoli dell’importante ruolo di coesione sociale ed educativo della famiglia, quando legiferano su di essa, sul lavoro e sulle migrazioni”.
Solidarietà per l’Ucraina, “il più grande disastro umanitario”
Riguardo, invece, alla situazione dell’Ucraina, definita “il più grande disastro umanitario dalla caduta del regime totalitario”, i partecipanti all’incontro “hanno mostrato la loro solidarietà” alla popolazione locale, “soprattutto ai greco cattolici”, esortandoli a “proseguire il cammino di dialogo ed unità tra le Chiese cristiane del Paese”, contrastando così “un particolare atteggiamento di disinformazione”, riscontrabile soprattutto “a livello internazionale”. Anche perché “la ricostruzione della coesione sociale passa innanzitutto attraverso un cammino di conversione, unica arma di fronte a quanti pensano alla corruzione quale unico principio regolatore della società”. In quest’ottica, i presuli ricordano la generosità delle varie Caritas nazionali ed esortano ad una rinnovata solidarietà, perché “fame e indigenza non vanno in ferie!”.
Chiesa cattolica sotto attacco, atteggiamento discriminatorio di alcuni Paesi
I vescovi cattolici orientali lamentano, inoltre, “particolare preoccupazione” per “un atteggiamento troppo ‘discrezionale’, ed al limite della discriminazione, di numerose amministrazioni locali che sembrano voler attaccare la Chiesa cattolica sotto il profilo amministrativo, economico e finanziario”. Di qui, due sottolineature: da una parte, quella relativa a “la necessità che le Chiese nazionali e locali lavorino per una sempre maggiore trasparenza nella gestione delle loro finanze e si allineino ai modelli di gestione in vigore nei rispettivi Paesi”; dall’altra, “di fronte ai vari tentativi di screditare la Chiesa in questo campo e dopo aver appurato l’infondatezza delle accuse” in esame, i partecipanti all’incontro invitano la magistratura “ad operare con imparzialità e sulla base di un diritto che deve essere uguale per tutti”. Infine i vescovi cattolici orientali hanno affidato alla protezione di Maria, Madre di Dio, “le sfide, le attese e le speranze di tutte le famiglie e i lavori del prossimo Sinodo”.
Prossimo incontro a Fatima, ad ottobre 2016
I lavori si sono conclusi ieri con la celebrazione della Divina Liturgia nella cattedrale greco cattolica di San Clemente. All’incontro, patrocinato dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (Ccee), hanno partecipato, tra gli altri, mons. Cyril Vasil’, Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali che ha portato il saluto del Prefetto del dicastero, il card. Leonardo Sandri; padre Lorenzo Lorusso, sotto-Segretario della medesima Congregazione, e mons. Duarte da Cunha, Segretario generale del Ccee, che ha portato i saluti del presidente dell’organismo, il card. Péter Erdő. Il prossimo incontro si svolgerà a Fatima, in Portogallo, ad ottobre 2016. (I.P.)
Vescovi Africa centrale: istituto per la pace nei Grandi Laghi
“Il nostro desiderio è riportare la pace nella regione, perché senza la pace non è possibile lo sviluppo tanto atteso dalle popolazioni locali” ha affermato don Edouard Mobili, Segretario generale dell’Associazione delle Conferenze Episcopali dell’Africa Centrale (Aceac), nel presentare l’Istituto per la pace e la riconciliazione nella regione dei Grandi Laghi africani, che da decenni al centro di diversi conflitti. L’iniziava è stata intrapresa dall’Aceac, che raggruppa i vescovi di Burundi, Repubblica Democratica del Congo e Rwanda.
La sede dell'Istituto a Bukavu
Non a caso è stata scelta come sede dell’Istituito la città congolese di Bukavu, alla frontiera dei tre Paesi. Bukavu è inoltre il capoluogo del Sud Kivu, la provincia dell’est della Repubblica Democratica del Congo che, insieme al Nord Kivu, è sconvolta delle attività di diversi gruppi armati, alcuni originati nei Paesi confinanti.
L'Istituto uno strumento pastorale ed accademico
Il nuovo Istituto, che diverrà operante a ottobre, è visto come uno strumento allo stesso tempo pastorale e accademico. Verranno offerti cinque Master complementari sui seguenti temi: pace, ambiente e risorse naturali; pace, gender e problematiche della famiglia; pace e media; pace e buon governo; pace ed educazione civica. L’istituto, la cui sede è stata ricavata in un’ala del seminario maggiore di Bukavu, ha come partner l’Università cattolica di Bukavu, l’Università cattolica e quella pubblica di Kinshasa, la cattedra Unesco di Bukavu; l’Università del Rwanda e l’Università di San Diego negli Stati Uniti. Le lingue di lavoro sono francese e inglese. (L.M.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 159