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Sommario del 06/06/2015
- Messa del Papa: mai più la guerra, siate artigiani di pace
- Francesco: Sarajevo esempio per il mondo che la pace è possibile
- Francesco ai media: vado a portare pace a chi ha sofferto
- Padre Lombardi: il messaggio del Papa nella primavera di Sarajevo
- I telegrammi di sorvolo del Papa a Italia e Croazia
- Udienze e nomine di Papa Francesco
- Presto beatificati martiri uccisi in Spagna e Laos
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Grecia: no alla bozza dei creditori, crollano i mercati
- Nigeria: l’Onu denuncia gravi violazioni dei diritti umani
- I pediatri italiani: necessaria alleanza tra famiglia e medici
- Alle suore missionarie di Kormakiti il premio Pavoncella 2015
- La rassegna "I Teatri del sacro", quando va in scena l'anima
- Commento di don Pasotti al Vangelo del Corpus Domini
- Vescovi del Venezuela: amnistia per i prigionieri politici
- Iraq: al via il Sinodo della Chiesa assira d'Oriente
- Niger: aiuti di Caritas Maradi a 2.400 vittime di Boko Haram
- Vietnam. L’"Evangelii Gaudium", nuovo dono di evangelizzazione
- Pakistan: corsi professionali per le superstiti di Peshawar
Messa del Papa: mai più la guerra, siate artigiani di pace
Siate "artigiani di pace" in un tempo in cui si percepisce un clima di guerra: la parola di Francesco è per una folla immensa, che si perde a vista d’occhio nello stadio Kosevo di Sarajevo, gremito in ogni suo angolo. Sono ben oltre 60 mila i fedeli davanti ai quali il Papa celebra la Messa, tra loro, in un apposito spazio, mutilati e feriti del conflitto degli anni ’90. E alto si leva il suo appello: "Mai più la guerra!" Il servizio di Francesca Sabatinelli:
Il messaggio di riconciliazione che il Papa porta a Sarajevo, alla Bosnia ed Erzegovina, ai Balcani tutti, si concretizza di fronte alle decine di migliaia di persone che lo salutano e lo abbracciano nello stadio Kosevo, laddove si aprirono le Olimpiadi invernali del 1984, otto anni prima della tragedia della guerra, e laddove a pochi metri di distanza si snoda una distesa di tombe bianche: è il cimitero che prende il nome dallo stadio, nella Sarajevo sotto assedio i morti venivano sepolti ovunque si potesse. Di fronte alla memoria di migliaia di innocenti risuona il richiamo alla pace, “parola profetica per eccellenza!” – dice il Papa nell'omelia – “pace è il sogno di Dio, è il progetto di Dio per l’umanità, per la storia, con tutto il creato”, ma è anche un progetto “che incontra sempre opposizione da parte dell’uomo e da parte del maligno":
"Anche nel nostro tempo l’aspirazione alla pace e l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto numerosi conflitti armati. È una sorta di terza guerra mondiale combattuta a pezzi; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di guerra".
La guerra colpisce bambini, donne e anziani. Mai più la guerra!
Chi cerca “lo scontro tra le diverse culture e civiltà”, chi specula “sulle guerre per vendere armi” vuole deliberatamente creare e fomentare il clima di guerra:
"Ma la guerra significa bambini, donne e anziani nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade, fabbriche distrutte; significa soprattutto tante vite spezzate. Voi lo sapete bene, per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione, quanto dolore! Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà: mai più la guerra!"
La pace è un lavoro artigianale da portare avanti ogni giorno
“Beati gli operatori di pace” è “un appello attuale – dice il Papa – che vale per ogni generazione”. E’ la parola di Gesù nel Vangelo, che non dice “Beati i predicatori di pace”, perché “tutti – avverte Francesco – sono capaci di proclamarla, anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera”:
"Dice: 'Beati gli operatori di pace', cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Beati sono coloro che seminano pace con le loro azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia… Questi sì, 'saranno chiamati figli di Dio', perché Dio semina pace, sempre, dovunque; nella pienezza dei tempi ha seminato nel mondo il suo Figlio perché avessimo la pace! Fare la pace è un lavoro da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo, senza mai stancarsi".
Non c'è pace senza giustizia
Francesco pone un interrogativo drammaticamente pesante: “Come si costruisce la pace?”. “La pace è opera della giustizia”, che deve però essere “praticata, vissuta” e non “declamata, teorizzata, pianificata”. La giustizia “è amare il prossimo come se stessi”:
"Quando, con la grazia di Dio, noi seguiamo questo comandamento, come cambiano le cose! Perché cambiamo noi! Quella persona, quel popolo, che vedevo come nemico, in realtà ha il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima. Abbiamo lo stesso Padre nei cieli."
Moralismo illlusorio pensare che la pace dipenda da noi. E' dono di Dio
Tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnanimità, perdono e reciproca sopportazione: sono gli atteggiamenti “necessari per fare la pace”, così come indicato da San Paolo, sono gli atteggiamenti – indica Francesco – “per essere artigiani di pace nel quotidiano, là dove viviamo”. “Non illudiamoci però che questo dipenda solo da noi! Cadremmo in un moralismo illusorio”:
"La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui, con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace".
Nel congedarsi da un’immensa folla che ancora insegue il sogno di una pace stabile e duratura, Francesco invoca per tutti la grazia di “un cuore semplice, della pazienza, di lottare e lavorare per la giustizia, di essere misericordiosi, di operare per la pace, di seminare la pace e non guerra e discordia”.
Francesco: Sarajevo esempio per il mondo che la pace è possibile
Sono a Sarajevo “come pellegrino di pace e dialogo”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nel suo primo discorso in Bosnia ed Erzegovina, tenuto alle autorità del Paese nel Palazzo presidenziale. Il Pontefice, ricordando la storica visita di San Giovanni Paolo II, 18 anni fa, ha sottolineato che la concordia che oggi si vive a Sarajevo, dopo gli anni della guerra, è un esempio per il mondo intero. L’indirizzo di saluto al Papa è stato rivolto dal presidente di turno della Presidenza del Paese, Mladen Ivanić. Il servizio di Alessandro Gisotti:
E’ un motivo di gioia per me trovarmi a Sarajevo, una città che dopo aver “sofferto per i sanguinosi conflitti del secolo scorso” è tornato ad essere “luogo di dialogo e pacifica convivenza”. Papa Francesco ha esordito così nel suo intervento alle autorità della Bosnia ed Erzegovina, il primo discorso della sua visita apostolica. Sarajevo, ha soggiunto a braccio, "è passata da una cultura dello scontro, della guerra a una cultura dell’incontro". Quindi, ha subito voluto sottolineare che questo piccolo Paese riveste “uno speciale significato per l’Europa e per il mondo intero”.
Sarajevo ci esorta a valorizzare il dialogo e sanare le ferite del passato
Da secoli, ha osservato, “in questi territori sono presenti comunità che professano religioni diverse e appartengono a diverse etnie e culture”, senza che questo “abbia impedito per lungo tempo l’instaurarsi di relazioni reciproche amichevoli e cordiali”. Anche la stessa struttura “architettonica di Sarajevo – ha detto – ne porta visibili e consistenti tracce, poiché nel suo tessuto urbanistico sorgono, a breve distanza l’una dall’altra, sinagoghe, chiese e moschee, tanto che la città ricevette l’appellativo di Gerusalemme d’Europa”:
“Abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui”.
Sono venuto come pellegrino di pace e dialogo
Oggi, ha proseguito, “anche le gravi ferite del recente passato possono essere rimarginate e si può guardare al futuro con speranza, affrontando con animo libero da paure e rancori i quotidiani problemi che ogni comunità civile è chiamata ad affrontare”:
“Sono venuto come pellegrino di pace e di dialogo, 18 anni dopo la storica visita di San Giovanni Paolo II, avvenuta a meno di due anni dalla firma degli Accordi di Pace di Dayton. Sono lieto di vedere i progressi compiuti, per i quali occorre ringraziare il Signore e tante persone di buona volontà. È però importante non accontentarsi di quanto finora realizzato, ma cercare di compiere passi ulteriori per rinsaldare la fiducia e creare occasioni per accrescere la mutua conoscenza e stima”.
La Bosnia ed Erzegovina è parte integrante dell’Europa
“Per favorire questo percorso – ha sottolineato – sono fondamentali la vicinanza e la collaborazione della Comunità internazionale, in particolare dell’Unione Europea, e di tutti i Paesi e le Organizzazioni presenti e operanti sul territorio della Bosnia ed Erzegovina”:
“La Bosnia ed Erzegovina è infatti parte integrante dell’Europa; i suoi successi e i suoi drammi si inseriscono a pieno titolo nella storia dei successi e dei drammi europei e sono nel medesimo tempo un serio monito a compiere ogni sforzo perché i processi di pace avviati diventino sempre più solidi e irreversibili”.
Opporsi alla barbarie di chi non accetta le differenze
In questa terra, ha detto ancora, “la pace e la concordia tra Croati, Serbi e Bosgnacchi, le iniziative volte ad accrescerle ulteriormente, le relazioni cordiali e fraterne tra musulmani, ebrei e cristiani, rivestono un’importanza che va ben al di là dei suoi confini”:
"Esse testimoniano al mondo intero che la collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene comune è possibile, che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere e dare vita a soluzioni originali ed efficaci dei problemi, che anche le ferite più profonde possono essere sanate da un percorso che purifichi la memoria e dia speranza per l’avvenire. Io ho visto oggi questa speranza, in quei bambini che ho salutato all’aeroporto – islamici, ortodossi, ebrei, cattolici e altre minoranze – tutti insieme, gioiosi! Quella è la speranza! Facciamo la scommessa su questo”.
Francesco ha così ribadito che “abbiamo tutti bisogno, per opporci con successo alla barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate, di riconoscere i valori fondamentali della comune umanità, valori in nome dei quali si può e si deve collaborare, costruire e dialogare, perdonare e crescere, permettendo all’insieme delle diverse voci di formare un nobile e armonico canto, piuttosto che urla fanatiche di odio”.
Garantire diritti della persona, a partire dalla libertà religiosa
I responsabili politici, ha proseguito, “sono chiamati al nobile compito di essere i primi servitori delle loro comunità con un’azione che salvaguardi in primo luogo i diritti fondamentali della persona umana, tra i quali spicca quello alla libertà religiosa”. In tal modo, ha ripreso, “sarà possibile costruire, con concretezza d’impegno, una società più pacifica e giusta, avviando a soluzione, con l’aiuto di ogni componente, i molteplici problemi della vita quotidiana del popolo”.
“Perché ciò avvenga è indispensabile l’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e nella sua attuazione, qualunque sia la loro appartenenza etnica, religiosa e geografica: così tutti indistintamente si sentiranno pienamente partecipi della vita pubblica e, godendo dei medesimi diritti, potranno attivamente dare il loro specifico contributo al bene comune”.
La Bosnia ed Erzegovina viva la primavera dopo l’inverno della guerra
La Santa Sede, ha concluso il Papa, “si felicita per il cammino fatto in questi anni ed assicura la sua sollecitudine nel promuovere la collaborazione, il dialogo e la solidarietà, sapendo che la pace e il reciproco ascolto in una convivenza civile e ordinata sono le condizioni indispensabili per un autentico e duraturo sviluppo”.
“Essa auspica vivamente che la Bosnia ed Erzegovina, con l’apporto di tutti, dopo che le nuvole nere della tempesta si sono finalmente allontanate, possa procedere sulla via intrapresa, in modo che, dopo il gelido inverno, fiorisca la primavera. E si vede fiorire qui la primavera”.
Uscendo dal palazzo presidenziale, Francesco ha liberato delle colombe simbolo di pace davanti ad una folla festante.
Francesco ai media: vado a portare pace a chi ha sofferto
Sono 65 i giornalisti di varie testate internazionali che stamattina sono saliti a bordo dell’aereo papale per seguire e raccontare le varie fasi dell’ottavo viaggio apostolico del Papa. Durante il volo, Francesco ha rivolto qualche parola ai rappresentanti dei media. Ecco un passaggio del suo un breve saluto:
“Sarajevo è chiamata la Gerusalemme dell’Occidente, è una città di culture religiose ed etniche tanto diverse; è anche una città che ha sofferto tanto nella storia e adesso è in un bel cammino di pace. E’ per parlare di questo che io faccio il viaggio: come segno di pace e come preghiera di pace. Vi ringrazio della vostra compagnia”. (A cura di Alessandro De Carolis)
Padre Lombardi: il messaggio del Papa nella primavera di Sarajevo
Sulla calorosa accoglienza che la città di Sarajevo ha riservato a Papa Francesco, Roberto Piermarini ha raggiunto telefonicamente nella capitale della Bosnia ed Erzegovina il direttore della nostra emittente e della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi:
R. – Diciamo che è stato accolto benissimo, naturalmente: sia l’accoglienza all’aeroporto, che è stata molto bella, non solo per le autorità ma in particolare per i bambini. C’era un bellissimo gruppo di bambini con i costumi locali, un gruppo piuttosto numeroso, e il Papa li ha salutati tutti ed è stato molto colpito da questo. Tant’è vero che poi vi ha fatto riferimento nel discorso successivo, alla Presidenza, dicendo: “Eh, sì, la speranza – perché il Papa parla di speranza – l’abbiamo vista con i bambini che ho salutato all’aeroporto, che erano così gioiosi; di diverse etnie, di diverse culture, ma tutti insieme nella gioia”. Quindi, la prima accoglienza che ha colpito è stata quella all’aeroporto, in particolare dei bambini. Poi, dopo, nel Palazzo presidenziale, naturalmente, il Papa è stato accolto con gli onori classici protocollari, se vogliamo così dire, ma con molta cordialità, perché le autorità della Bosnia Erzegovina si rendono conto che la visita del Papa è un grande sostegno, non solo per la Chiesa cattolica, naturalmente, ma anche per tutto il Paese, per il suo desiderio di pace, per il suo bisogno di armonia, di convivenza serena fra le diverse componenti del Paese. Ecco, quindi anche lì un’accoglienza estremamente cordiale che metteva in luce l’importanza di questo dono fatto dalla visita del Papa a questo Paese.
D. – Quale risonanza ha avuto – a caldo – l’appello che il Papa ha fatto contro la guerra e in favore della pace, nell’omelia alla Messa?
R. – Bè, questo è il messaggio centrale di tutta la giornata, evidentemente. Nella Messa questo è stato il momento più cruciale dell’omelia. E’ stato accolto, naturalmente, con tanti applausi: del resto, si ricordava che questo era lo stesso appello fatto qui anche da Giovanni Paolo II. La situazione dello stadio, però, questa mattina, era completamente diversa, perché allora, tanti anni fa c’era un freddo terribile, c’era una tempesta di neve e quindi era una vera impresa seguire la Messa nello stadio, e per il Papa celebrarla. Quest’oggi, invece, siamo in un giorno primaverile, caldo, di sole e quindi il clima è molto sereno, tranquillo: si poteva seguire la celebrazione con grande intensità, ascoltare ogni parola del Santo Padre, che è stata tradotta, naturalmente, in croato; e direi che il clima di festa era caratteristico di questa giornata. Il Papa dice che la speranza è una delle parole importanti di questo viaggio. E direi che mentre con la celebrazione di Giovanni Paolo II noi eravamo un po’ in inverno, alla fine dell’inverno, adesso possiamo sperare di essere già un poco in primavera, nonostante che le difficoltà continuino ad esserci.
I telegrammi di sorvolo del Papa a Italia e Croazia
Vado in Bosnia in Bosnia ed Erzegovina “per favorire l’incontro e il dialogo tra culture e religioni diverse, per rafforzare il cammino dell’unità dei cristiani e per confermare la comunità cattolica nella fede”. È quanto scrive Papa Francesco nel telegramma inviato al presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, durante il volo verso Sarajevo.
“L'Italia e l'Europa – scrive di rimando il capo dello Stato italiano – guardano con particolare attenzione alla sua missione nella certezza che la sua presenza in Bosnia-Erzegovina recherà un importante messaggio di pace e riconciliazione per tutta la
regione balcanica, impegnata in un complesso cammino per superare le dolorose ferite di un passato ancora vivo nella memoria di molti”.
Papa Francesco ha inviato un messaggio di saluto anche al presidente della Croazia, Kolinda Grabar-Kitarović, nel quale, benedicendo il Paese, afferma di voler pregare affinché “Dio Onnipotente guidi la nazione intera sulla strada della pace, della giustizia e del comune”.
Udienze e nomine di Papa Francesco
Papa Francesco ha ricevuto ieri pomeriggio in udienza: mons. Jorge Eduardo Lozano, vescovo di Gualeguaychú (Argentina); mons. Vicente Bokalic Iglic, C.M., vescovo di Santiago del Estero (Argentina).
In Messico, Papa Francesco ha nominato vescovo di Tuxtepec il rev.do José Alberto González Juárez, del clero della diocesi di Tuxtla Gutiérrez, finora parroco e vicario episcopale per il Clero e la Vita Consacrata.
Presto beatificati martiri uccisi in Spagna e Laos
La Chiesa avrà presto un gruppo di nuovi Beati. Si tratta di un sacerdote brasiliano, Francesco di Paola Victor, e della cofondatrice della Congregazione delle Ancelle del Sacratissimo Cuore di Gesù, la religiosa polacca Clara. Insieme con loro saranno beatificati anche numerosi martiri uccisi durante la Guerra civile spagnola, nel 1936, e nelle persecuzioni in Laos, tra il 1954 e il 1970. Riconosciute anche le virtù eroiche di tre sacerdoti e una religiosa italiani. Papa Francesco ne ha autorizzato la promulgazione dei decreti durante l’udienza concessa ieri pomeriggio al cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
In particolare, i decreti riconoscono il miracolo, attribuito all’intercessione del Venerabile Servo di Dio Francesco di Paola Victor – sacerdote diocesano, nato a Campanha (Brasile) il 12 aprile 1827 e morto a TrêsPontas (Brasile) il 23 settembre 1905 – e il miracolo, attribuito all’intercessione della Venerabile Serva di Dio Clara (al secolo: Ludovica Szczęsna), cofondatrice della Congregazione delle Ancelle del Sacratissimo Cuore di Gesù, nata a Cieszki (Polonia) il 18 luglio 1863 e morta a Cracovia (Polonia) il 7 febbraio 1916.
Il martirio durante la Guerra civile in Spagna è quello subito nel 1936 da Federico da Berga (al secolo: Martí Tarrés Paigpelat) e 25 Compagni, sacerdoti e fratelli laici dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Il martirio in Laos è quello patito in odio alla fede da Giuseppe ThaoTiên, sacerdote diocesano, e da 10 Compagni, sacerdoti professi della Società delle Missioni Estere di Parigi e della Congregazione dei Missionari Oblati della Beata Maria Vergine Immacolata, nonché 4 compagni laici.
I decreti autorizzati da Papa Francesco riconoscono inoltre le virtù eroiche di quattro personalità ecclesiali italiane:
il Servo di Dio Antonio Celona, sacerdote diocesano, fondatore della Congregazione delle Suore Ancelle Riparatrici del Sacro Cuore di Gesù, nato a Ganzirri il 13 aprile 1873 ed ivi morto il 15 ottobre 1952),
il Servo di Dio Ottorino Zanon, sacerdote fondatore della Congregazione della Pia Società di San Gaetano, nato ad Anconetta il 9 agosto 1915 e morto a Brescia il 14 settembre 1972),
il Servo di Dio Marcello Labor, Sacerdote diocesano, nato a Trieste l’8 luglio 1890 ed ivi morto il 29 settembre 1954),
la Serva di Dio Maria Antonia del Sacro Cuore di Gesù (al secolo: Rachele Lalia), Fondatrice della Congregazione delle Suore Domenicane Missionarie di San Sisto, nata a Misilmeri il 20 maggio 1839 e morta a Ceglie Messapica il 9 aprile 1914. (A cura di Alessandro De Carolis)
Oggi su "L'Osservatore Romano"
In prima pagina, un editoriale del direttore sulla visita del Papa a Sarajevo.
Piantati a terra come una piramide: Paolo Vian sui canonici del capitolo della cattedrale di Torino fra XI e XV secolo.
Manoscritti d’eccezione: Luisa Nieddu recensisce la mostra, a Parigi, che racconta otto secoli di missione domenicana a Mosul.
Riscrivere don Quijote: Silvia Guidi su una traduzione in castigliano contemporaneo del capolavoro di Cervantes e Arturo Lopez sulla terra di mezzo dello spanglish.
Un uomo solido: Cristiana Dobner su Albert Schweitzer e l’etica dell’Ottocento.
Grecia: no alla bozza dei creditori, crollano i mercati
Ancora troppa distanza tra la proposta dei creditori internazionali e la Grecia sul risanamento del debito. Il premier Alexis Tsipras rifiuta la bozza Juncker, ma si dice ottimista sul raggiungimento, a breve, di un accordo, annunciando una riforma definitiva del mercato del lavoro. Intanto, di fatto, i negoziati sono in stallo e le borse crollano. Degli scenari che ora possono aprirsi, Roberta Barbi ha parlato con il direttore della rivista on-line “Mondo greco”, Francesco De Palo:
R. – A questo punto gli scenari sono due: Tsipras accetta per intero la richiesta avanzata dal “Bruxelles group” per impedire il default di Atene, e quindi ancora austerità e Iva che azzoppa l’unico settore che funziona, ovvero quello del turismo; altri tagli a welfare e pensioni; in sostanza, un terzo memorandum che però non risolve il problema perché il debito resta intatto. Oppure, Tsipras propone una terza via: non conduce in porto la trattativa, interrompe il pagamento così come ha fatto l’altro giorno al Fondo monetario internazionale riguardo alla prima tranche; ma si interrompono anche i finanziamenti da parte di Bruxelles, il default si avvicina e si immagina una seconda moneta, almeno per uso interno, che sarà sì svalutata del 50 per cento ma che forse, in prospettiva, potrebbe portare investitori stranieri che decidessero di investire in Grecia.
D. – I nodi ancora da sciogliere sono il cosiddetto “surplus primario”, che significherebbe ancora forti sacrifici in termini di austerity, il paventato aumento dell’Iva in alcuni settori e nuovi tagli alle pensioni: tutti argomenti forti nelle promesse elettorali di Syriza …
R. – Assolutamente! Tsipras ha basato e ha vinto la campagna elettorale dicendo che le pensioni non si toccano, di voler portare il salario minimo a livelli di dignità e sopravvivenza, di utilizzare la sanità non come un mercimonio ma come un servizio che è garantito dalla Costituzione: ricordiamo che oggi i nuovi poveri greci sono il ceto medio e che c’è una situazione drammatica dal punto di vista sanitario, che è sanata in parte anche grazie all’intervento italiano della Croce Rossa e di associazioni non governative. Quindi se Tsipras accettasse per intero quel memorandum, darebbe uno schiaffo morale non solo ai suoi elettori, ma anche a quegli altri elettori di centro e di destra che hanno scelto di votarlo a gennaio scorso.
D. – Nonostante il rinvio a fine mese del pagamento al Fondo monetario internazionale, Tsipras si dice ancora ottimista in merito al raggiungimento di un accordo. Intanto, però, le posizioni del premier fanno crollare i mercati: Atene ieri ha chiuso a meno 5 per cento …
R. – Tsipras ha una linea retta. Il problema è dato dal fatto che i mercati forse ignorano che la Grecia è già fallita, perché non ha più denari in cassa. Quindi i mercati ne debbono solo prendere atto. Su questo, un’ancora di salvezza è data dal meccanismo di salvaguardia delle banche, portato in essere da due anni a questa parte dall’Unione Europea: quindi un eventuale fallimento di Atene non avrebbe l’effetto contagio e dunque anche per l’Italia non ci sarebbe un rischio. Il problema, oggi, è che il tavolo non è su Atene: la battaglia su Atene si combatte a Washington e a Mosca. Perché? Perché è il gas il vero protagonista della crisi greca, con Tsipras pronto a chiudere un accordo con la Russia per la presenza del “Turkish Stream”, mossa che è sgradita a Washington. Quindi, il problema è legato all’energia, oggi più che mai, piuttosto che al debito.
D. – Secondo un sondaggio di “Alco”, il 74 per cento dei greci è favorevole a rimanere nell’Eurozona e il 47 per cento ritiene che il governo non stia agendo correttamente: qual è l’umore della popolazione?
R. – Rispetto alle elezioni di gennaio, l’umore della popolazione sta cambiando, perché i greci si sono resi conto che i sacrifici portati in essere dal 2012 a oggi non hanno portato dei risultati; le sforbiciate alle pensioni, agli stipendi, alle indennità, i tagli verticali alla sanità che impediscono a circa 150 ambulanze in Grecia di essere operative sono i sacrifici che non hanno portato a oggettivi miglioramenti. Perché il debito è peggiorato, le casse dello Stato sono vuote, tutti promettono di licenziare gli statali ma né la Troika l’ha fatto né i governi precedenti l’hanno fatto: è chiaro che ci vorrebbe una terza via che armonizzasse le esigenze dei cittadini greci e quindi la sovranità nazionale con l’esigenza di restare – se si vuole – nella famiglia europea. La sintesi di questa storia si ritrova nella metafora della dieta: se un paziente in sovrappeso decide di adottare un piano di austerità, per un certo periodo di tempo avrà dei benefici e quindi dimagrirà; in seguito, tornerà ad un’alimentazione normale. Se la dieta dovesse diventare un metro, così come l’austerità sta facendo in Grecia e nel resto d’Europa, quel cittadino non dimagrirebbe: semplicemente morirebbe per denutrizione!
Nigeria: l’Onu denuncia gravi violazioni dei diritti umani
Ennesimo attentato la notte scorsa in Nigeria. Due kamikaze si sono fatti esplodere in un mercato della città di Yola, nell’est del Paese, provocando almeno 30 morti. Le autorità locali puntano il dito contro gli estremisti islamici di Boko Haram. Intanto, l’Onu denuncia gravi violazioni dei diritti umani anche da parte delle forze regolari, come l’uccisione di migliaia di persone detenute. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Massimo Alberizzi, storico corrispondente del Corriere della Sera e direttore del quotidiano on line "www.africa-express.info":
R. – Il rispetto dei diritti umani anche da parte delle autorità, quindi della polizia e dell’esercito, è abbastanza precario. In questa situazione drammatica, oserei dire ci sono intere zone che sono sotto il controllo di Boko Haram in Nigeria. E’ ovvio che quando arrivano le Forze dell’ordine, compreso l’esercito, prendono chiunque: o in qualità di guerrigliero oppure come sostenitore e favoreggiatore dei miliziani. Non c’è molta differenza. L’ulteriore dramma di questa situazione – direi il dramma nel dramma – riguarda la condizione dei minori che vengono anche torturati per estorcere informazioni sui miliziani. Però questo non giustifica assolutamente le torture.
D. – Fonti dell’Onu parlano di almeno 15 mila bambini usati da Boko Haram in Camerun…
R. – Sì, i bambini vengono utilizzati come bambini soldato. Vengono addestrati brevemente a sparare, ma non c’è un vero e proprio addestramento. Meettono nelle loro mani un mitra e gli dicono: “Guarda che se tu non spari da quella parte e spari contro di noi, noi ti ammazziamo subito”. Le bambine, invece, vengono utilizzate come schiave di sesso, diventando magari mogli dei comandanti… Forse, devo dire che la situazione delle bambine è ancora più drammatica di quella dei maschi.
D. – Cosa dire delle migliaia di persone morte in regime di detenzione?
R. – Si tratta soprattutto di scomparsi, nel senso che non ci sono neanche le prove che siano stati uccisi: cioè spesso non ci sono neanche i cadaveri, perché li fanno scomparire. Però, è gente che viene prelevata soprattutto dall’esercito più che alla polizia e viene portata da qualche parte. Dove non si sa: scompaiono, si danno per morti anche perché qualcuno è scomparso da qualche anno. Quindi, questa è una situazione più difficile da affrontare anche da parte dei difensori dei diritti umani visto che,, appunto, non ci sono neanche i cadaveri di queste persone. E stiamo parlando delle azioni dell’esercito e della polizia. Però, è la stessa cosa da parte dei militanti di Boko Haram. Boko Haram arriva in un villaggio e dice: “Ah, voi siete sostenitori del governo”, prende tutti, li porta via e anche questa gente scompare, ovviamente. Come al solito i neutrali, chi non sta da una parte e dall’altra, sono quelli che ne fanno le spese perché poi non sono protetti né dagli uni né dagli altri.
R. – Quale può essere la risposta della nuova presidenza nigeriana?
R. – La nuova presidenza della Nigeria si presenta benissimo con grandi promesse. Ma questo accade dappertutto nel mondo della politica: si promette, tanto poi una volta eletti si può anche non mantenere. E’ il suo entourage che è un dramma: personaggi che non possono andare in America perché sono inquisiti dal Senato americano per riciclaggio di denaro, per corruzione, per distrazione dei fondi pubblici. Questa è la Nigeria, un Paese ricchissimo dove la gente, anche se sono tanti ed è il Paese più popoloso dell’Africa, potrebbe vivere non dico a livello scandinavo però a livello europeo. E invece vive al di sotto della soglia di povertà, mentre solo alcune famiglie vivono al di sopra delle ricchezze dei nostri considerati ricchi.
D. – Secondo te, è inutile pensare che ci saranno inchieste indipendenti su queste violazioni dei diritti umani?
R. – No, è inutile sperarlo. Le indagini indipendenti dovrebbero farle i governi e comunque i Paesi che sono connessi in qualche modo con la Nigeria e che garantiscono questa ricchezza enorme, spropositata, a poche famiglie nigeriane. Ma a parte gli Stai Uniti d’America e un pochino la Francia gli altri, compresa l’Italia, non si muovono in questo senso.
I pediatri italiani: necessaria alleanza tra famiglia e medici
Il rischio anoressia e bulimia a partire dagli otto anni, la necessità di una carta dei diritti per i bambini disabili in ospedale, e di una piramide alimentare transculturale per integrare i popoli. Se ne è parlato al 71° Congresso congresso italiano di Pediatria, organizzato a Roma dalla Sip, Società Italiana di Pediatria. Medici e operatori sanitari provenienti da tutta Italia hanno discusso su come prevenire i disturbi alimentari nei piccoli pazienti e su come garantire cure immediate a chi ha una malattia cronica o rara. Maria Gabriella Lanza ha intervistato il presidente della Sip, Giovanni Corsello:
R. – Uno dei messaggi emersi dal congresso è stato l’importanza di un’alleanza strategica tra la pediatria e le famiglie. La comunicazione con le famiglie è importante per cercare di contrastare quel calo di coperture vaccinali che sta facendo riemergere malattie infettive che ritenevamo controllate, come il morbillo in primo luogo, e che è riesploso in Italia nel 2014, dovuto alle paure di possibili malattie neurologiche collegate alle vaccinazioni. Nelle famiglie questo ha creato paura.
D. – Avete creato una piramide alimentare arricchita con cibi tipici degli stranieri che vivono nel nostro Paese. L’integrazione quindi può partire anche dalla tavola?
R. – All’insegna dei principi salutari della dieta mediterranea, che prevede un uso privilegiato di vegetali, frutta, cerali, riteniamo che sia necessario integrare, dal punto di vista multiculturale, l’alimentazione rispettando quelli che sono gli alimenti delle varie culture. Quindi, abbiamo prodotto questa piramide nutrizionale multiculturale che è uno strumento in più per favorire, anche in queste popolazioni, i principi di un’alimentazione equilibrata, evitando le carenze di alcuni nutrienti.
D. – Secondo i vostri dati l’anoressia e la bulimia possono cominciare già all’età di otto anni. Quali sono i segnali a cui i genitori devono prestare attenzione?
R. – I genitori devono prestare attenzione a cambiamenti bruschi nello stile, nei comportamenti dei loro bambini, dei loro adolescenti, non solo in termini di relazione con il cibo, ma anche tendenze all’isolamento, rifiuto di attività relazionali, abuso del tempo dedicato ai social network.
D. – Avete realizzato anche la carta dei diritti dei bambini disabili in ospedale. Cosa prevede e perché è importante?
R. – Insieme alla Società di malattie genetiche pediatriche, abbiamo portato avanti questa iniziativa di elaborare una sorta di carta dei diritti dei bambini con disabilità che preveda i diritti del bambino non solo quando si trova in ospedale, ma anche quando è nel territorio, nel suo ambiente, quando va a scuola, quando deve svolgere attività, ludiche o sportive, e questo per mettere l’accento sull’importanza di una qualità della vita all’insegna del rispetto della persona.
Alle suore missionarie di Kormakiti il premio Pavoncella 2015
E’ l’unica comunità religiosa cattolica rimasta nell’autoproclamata Repubblica di Cipro del Nord: è a Kormakiti, villaggio cattolico-maronita, che ha resistito all'occupazione delle truppe turche del 1974. E sin da allora, dalla chiusura delle frontiere, quattro suore francescane missionarie del Sacro Cuore sono al fianco degli abitanti, tra senti e difficoltà. In tutti questi anni si sono spese particolarmente nell’educazione e nell’assistenza agli ammalati e offrendo aiuti di ogni genere. Oggi Kormakiti conta solo 200 abitanti, per lo più anziani, il villaggio è isolato ma le religiose non hanno smesso il loro apostolato. Per il loro impegno sociale oggi ricevono il Premio Pavoncella 2015, un riconoscimento dedicato alle donne e al loro impegno sociale. Al microfono di Tiziana Campisi, suor Bernadetta Visentin racconta come sono trascorsi gli ultimi quarant’anni:
R. – Noi, come comunità, abbiamo cercato di stare molto vicino a chi soffriva, assistendo, aiutando. In tutte queste cose, però, abbiamo anche cercato di essere amiche delle personei, in quanto religiose neutrali a tutto, per essere sia con gli uni che con gli altri, facendo del bene. Ci dispiaceva che soffrissero, sia da una parte che dall’altra, perché veramente soffrivano. Per quello che ci è stato possibile abbiamo cercato di aiutare: una suora portava la comunione agli ammalati, assistevamo i moribondi. Qui prima c'erano l’asilo e anche la scuola elementare, poi però i bambini sono diminuiti ogni anno di più, finché hanno dovuto chiuderli. Però le suore sono sempre rimaste al fianco della gente. Adesso ci occupiamo degli anziani, anche se grazie a Dio c’è anche qualche giovane che può aiutarli. Ora noi cerchiamo di sostenere queste persone che così si sentono sicure, quasi rafforzate dalla nostra presenza. Visitiamo gli ammalati, li soccorriamo quando hanno bisogno. La porta è sempre aperta per ogni loro necessità, per ogni loro difficoltà, andiamo a trovarli nelle case…
D. - Quali sono le difficoltà più grandi che avete dovuto affrontare in questi anni?
R. – Non eravamo libere all’inizio. Dovevamo essere in casa a una certa ora perché c’era il coprifuoco, non si poteva girare per le strade. Erano venuti i turchi, i militari giravano giorno e notte, non eravamo libere di comperare, per esempio. Dovevamo aspettare che venissero le Nazioni Unite a portarci il cibo, e continuano a farlo anche oggi, ogni 15 giorni. Le Nazioni Unite portano i viveri a tutto il Paese, però tante altre cose, come le medicine, non possiamo averle. Se chiediamo, loro ci vengono incontro, però nel momento del bisogno non ci sono.
D. – Avete avuto momenti di scoraggiamento?
R. – Scoraggiamento, no, ci siamo affidate alla Divina Provvidenza e all’aiuto del Signore, quello non ci è mai mancato. La fede, anzi, aumentava sempre più, perché quando pensavamo di essere un po’ perdute, qualcuno ci veniva incontro. E questo per noi era un continuo grazie al Signore, che non dimentica nessuno, specialmente quando si è in difficoltà, il Signore viene incontro, se ci fidiamo di Lui.
D. – Qual è la realtà di Kormakiti oggi?
R. – E’ cambiata. Adesso anche le case che erano vecchie vengono ricostruite. Le famiglie il sabato e la domenica vengono qui, vedono i loro genitori, chi ancora li ha, li aiutano, hanno le loro proprietà, la frontiera è aperta, quando abbiamo bisogno andiamo, grazie a Dio. D’estate la gente viene qui, adesso incominciano a venire anche i turisti, quindi, in qualche maniera, ci si riprende.
D. – Che cosa si augura per il futuro di Kormakiti?
R. – Noi ci auguriamo che ritorni com’era prima, che si riprenda la vita della scuola, che tornino i giovani che prima eranto tanti, e tante, tante altre cose. Adesso speriamo che il futuro sia migliore. Molti desiderano ritornare e rimanere, però ancora non c’è questa possibilità.
D. – Voi suore francescane missionarie del Sacro Cuore di Kormakiti siete state insignite del Premio Pavoncella 2015 per il vostro impegno sociale. Come avete accolto questa notizia?
R. – Con molto piacere, con tanta gioia, perché abbiamo sentito che qualcuno ha pensato a noi! Ecco, è la Provvidenza! Il Signore non abbandona nessuno. Per noi è stata una grande gioia e siamo rimaste sorprese di questa notizia.
D. – C’è un messaggio che vorreste dare?
R. – Il messaggio dell’amore, dell’unità, della fratellanza, dell’amore misericordioso, per potere comunicare e sensibilizzare gli animi e i cuori.
La rassegna "I Teatri del sacro", quando va in scena l'anima
E’ stata presentata ieri nella Sala Marconi della nostra emittente la quarta edizione de “I Teatri del Sacro”, l’appuntamento teatrale dedicato ai temi dello spirito in programma a Lucca dall’8 al 14 giugno. Il servizio di Luca Pellegrini:
Torna il teatro a interrogarsi sul sacro, un palcoscenico sul quale la parola e il gesto aprono a riflessioni dello spirito e sulla vita, il suo senso. Venti debutti assoluti animano quest’anno la rassegna diretta da Fabrizio Fiaschini. Per lui non è una vetrina di spettacoli. Il significato è altro, e più profondo.
R. – Sì: perché credo che oggi il teatro sia chiamato a qualcosa di più di un processo estetico, cioè il teatro deve tornare a essere quello che in fondo era: un luogo profondo di incontro, di relazione e di riconoscimento. E il “sacro” credo sia il contenitore ideale per questo riconoscimento che è anzitutto umano e poi ovviamente si apre anche a una sfera spirituale, trascendentale ma che parte sempre dal corpo, dall’esperienza umana. Quello è ciò che abbiamo voluto fare del Festival fin dall’inizio, e credo che sia quello che il Festival è diventato.
D. – Diversi temi, anche quest’anno, percorrono le visioni del sacro che la parola, il testo e il gesto illuminano sul palcoscenico…
R. – Come sempre, quando interpelli il mondo degli artisti, ma innanzitutto l’uomo, sul tema del “sacro” si aprono dei sentieri innumerevoli e anche molto eterogenei tra loro. Ma sempre ci sono degli interrogativi che hanno molto a che fare con i temi del presente. Ed ecco, quindi, che anche quest’anno ai “Teatri del Sacro” avremo per esempio il tema della “mistica”, perché la “mistica” viene riletta oggi non tanto come qualcosa che ha a che fare con lo straordinario della vita, ma come qualcosa che è dentro l’ordinario delle cose, perché esiste una mistica della quotidianità, una mistica dell’incarnazione che è quella che spettacoli come “Senza volontà di cattura” su San Francesco, oppure “Sante di scena”, oppure “Per obbedienza” di San Giuseppe da Copertino, tentano di riproporre. Altrettanto presenti i temi legati al “Libro”: il “Libro” che è il Vangelo, che è la Bibbia, che sono alcune figure in particolare del Vangelo e della Bibbia oggi molto attuali anche per la loro forza provocatoria – penso a Caino, a Giuda – che sono protagonisti di due spettacoli presenti al Festival, oppure i Re Magi che sono ormai in qualche modo figure mitiche, forse dei relitti che vagano in quella nostra società post-moderna, ma che vengono ripescati proprio per poter interrogare di nuovo il presente. E poi, la dimensione della ricerca filosofica che è molto presente, quest’anno, con due lavori in particolare: uno di César Brie, che interroga Simone Weil nello spettacolo “La volontà”, e l’altro, Carullo Minasi, con una sorta di capriola un po’ paradossale, vanno a intercettare le “Operette morali” di Leopardi. Non escluderei, anzi, direi che un altro tema centrale è proprio anche quello relativo al miracolo, perché l’esperienza del miracolo oggi chiama in causa molto la società, perché il miracolo non è semplicemente qualcosa che accade di imperscrutabile o di misterioso, ma il miracolo è riuscire a vivere e a ritrovare la speranza nella vita quotidiana. Ecco quindi spettacoli come “Lourdes”, di Andrea Cosentino, “Io, mia moglie e il miracolo” della giovane Compagnia di Punta Corsara, e “Prego” di Giovanna Mori dove, appunto, c’è questa esperienza surreale di una donna che improvvisamente si trova a dialogare con una gallina e questa gallina, che sembra l’essere più povero, più inutile, più ignorante del Creato, diventa invece per questa donna una rivelazione sulla sua vita e, in generale, sull’uomo.
Per Vittorio Sozzi, il responsabile del Servizio nazionale per il progetto culturale della Conferenza episcopale itaIiana (Cei) che partecipa all’organizzazione della rassegna, i “Teatri del Sacro” sono anche una risorsa per l’evangelizzazione.
R. – Sì, perché ormai è sempre più chiaro che una comunità ecclesiale che voglia uscire e annunciare il Vangelo, debba fare il conto con i diversi linguaggi. E la tradizione e la ricchezza del teatro è frutto anche dell’esperienza della comunità ecclesiale, ma può anche – se vissuta intelligentemente, oggi – rigenerare le forme di comunicazione perché permette un incontro con persone e con circuiti che abitualmente non partecipano alla vita della comunità cristiana. Penso che questa sia una grande opportunità.
D. – La bellezza anche di riscoprire, attraverso la parola e il gesto, le radici profonde dell’umanità e anche questa dimensione della sacralità che sfugge, forse, attraverso altri tipi di comunicazione…
R. – Io penso che l’esperienza teatrale ci permetta di aiutare le persone a interrogarsi sulla loro esistenza, proprio nell’incontro personale, incontro personale che avviene tra attori che mettono in scena un testo ma anche l’incontro personale che avviene tra attori e spettatori. Questo incontro personale che si materializza appunto attraverso la parola, il gesto, lo sguardo aiuta la persona a interrogarsi su se stessa, sulla sua natura e anche sui suoi fini, sul suo destino. Questa è apertura al “sacro”.
D. – Questa iniziativa dei “Teatri del Sacro” ben si situa, poi, all’interno del cammino verso il Convegno ecclesiale di Firenze che proprio all’umanesimo sarà dedicato…
R. – Io ritengo che il percorso dei “Teatri del Sacro” stia perfettamente dentro a questa riflessione che la Chiesa italiana sta facendo sulla dimensione dell’umano e sull’umanesimo, sulla nuova proposta di dignità e di ricchezza per la persona, oggi. Perché proprio questo percorso ci ha permesso di mettere in campo prospettive diverse, ma tutte centrate sulla ricerca della ricchezza della persona, della dignità della persona, passando anche attraverso i grandi interrogativi e i grandi drammi. I testi che sono stati rappresentati in questi anni dicono questo.
Commento di don Pasotti al Vangelo del Corpus Domini
Nella Solennità del Santissimo Sangue e Corpo di Cristo, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù, nell’Ultima Cena, prende il pane e recita la benedizione, lo spezza e lo dà ai discepoli, dicendo:
«Prendete, questo è il mio corpo».
Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti:
Il Vangelo di Luca, proclamato nella festa di oggi, racconta l’“istituzione dell’Eucaristia”. Nel contesto della celebrazione annuale della Pasqua, Cristo, come ogni capofamiglia ebreo, compie con i suoi Apostoli i riti che rendono presente e attuante la liberazione operata da Dio in favore del popolo d’Israele. Ma in questa cena davvero particolare, Gesù non si limita a far memoria liturgica del passato. Mangiare quel pane azzimo, per Israele significava far presente e diventare partecipi della schiavitù d’Egitto per esserne liberati. Ora Gesù dà a quel pane un significato nuovo: quel pane è il suo corpo consegnato alla morte per noi, mangiare di esso significa morire con Cristo, per partecipare alla sua vittoria sulla morte. Bere il vino della terra promessa non sarà più solo fare presente la fedeltà di Dio alle sue promesse di introdurre il popolo d’Israele nella terra, ma rendere presente la risurrezione del Signore dalla morte, il banchetto escatologico, la vita eterna. Ecco nei segni eucaristici reso presente e attuale per ogni tempo il mistero della Pasqua del Signore: la sua morte in croce e la sua risurrezione; l’offerta, il sacrificio del suo corpo, e il suo sangue sparso per amore, perché la morte non abbia più potere su di noi. Il Cielo, chiuso dal peccato, torna ad aprirsi, davanti all’uomo si apre la via della salvezza: oggi possiamo passare con Cristo da questo mondo al Padre, uniti a Lui nel suo corpo, dato a morte per noi, riceviamo nel suo sangue il sigillo della vita eterna.
Vescovi del Venezuela: amnistia per i prigionieri politici
Il presidente della Conferenza episcopale venezuelana, mons. Diego Padròn ha chiesto una legge di amnistia per la liberazione dei prigionieri politici e il ritorno di quelli che sono in esilio. In visita, ieri, ai dirigenti dell’organizzazione Gioventù Unita del Venezuela, che scioperano nella chiesa di Guadalupe a Caracas in solidarietà con i politici detenuti, l’arcivescovo di Cumanà si è unito alle voci che sollecitano il governo a dare accesso all’assistenza medica ed alla visita dei familiari e dei legali di Leopoldo Lòpez, di Daniel Ceballos e degli altri prigionieri che da circa 15 giorni sono in sciopero della fame. “Uno sciopero della fame deve essere fatto in piena libertà e consapevolezza dei propri rischi, ma lo Stato deve comunque offrire delle garanzie perché è in gioco la vita e la salute degli scioperanti” ha affermato mons. Padròn
Mons. Padròn fiducioso dell’incontro domani tra Maduro e Papa Francesco
In dichiarazioni al giornale “El Nacional”, mons. Padròn si è detto “fiducioso” degli esiti positivi che avrà l’incontro di domani tra il Presidente Nicolàs Maduro e Papa Francesco. “Il Papa conosce bene la nostra situazione e, magari, darà dei consigli al nostro Presidente e anch’io confido che il Presidente ascolterà il Santo Padre”, ha detto. Infine, il presidente della Cev ha affermato che le tensioni nel Paese potrebbero ridursi se il governo fissasse la data delle elezioni parlamentari che è una delle richieste degli scioperanti. L’incontro con gli studenti è avvenuto all’indomani della diffusione di un comunicato della Commissione di giustizia e di pace dell’episcopato venezuelano che chiede il rispetto dei diritti umani dei prigionieri.
L’episcopato denuncia la violazione dei Diritti Umani dei prigionieri politici.
La nota dei vescovi critica “lo sconcertante trasferimento” dell’ex-sindaco Daniel Ceballos, lo scorso 23 maggio, ad un carcere giudiziario a 150 km da Caracas, senza avvertimento previo dei legali e dei familiari. “Questo ha generato - si legge nel documento - il deterioramento della salute fisica che, unito alle condizioni disumane della reclusione, hanno messo in grave rischio la vita e l’integrità personale di Ceballos”.
Appello dei vescovi: garantire la salute e l’integrità personale dei prigionieri politici
Il comunicato condanna anche il rifiuto delle autorità all’assistenza medica e alla visita dei familiari al dirigente politico Leopoldo Lòpez, promotore dello sciopero della fame per chiedere al governo di fissare la data delle elezioni legislative e la presenza di osservatori internazionali come l’Unione Europea e la Oea (Organizzazione degli Stati Americani). Nel testo, l’episcopato esorta il governo a rispettare le raccomandazioni dell’Alto Commissariato delle Nazione Unite per i diritti umani, affinché vengano garantite la salute e l’integrità personale dei prigionieri politici. Inoltre, i vescovi sollecitano i permessi per gli organismi di carattere umanitario, come la Croce Rossa e la stessa Commissione episcopale di giustizia e pace.
Appelli dal mondo al Papa
Domani, è prevista l’udienza di Papa Francesco al presidente venezuelano Nicolas Maduro, in visita a Roma per partecipare all’Assemblea annuale della Fao. L’annuncio della visita in Vaticano ha mobilitato innumerevoli organizzazioni di diritti umani e leader politici del mondo che hanno scritto al Pontefice, chiedendo la sua mediazione per la liberazione dei prigionieri politici nel Paese sudamericano. Tra questi, gli ex presidenti di Colombia e Bolivia, il leader dell’opposizione in Venezuela, Henrique Capriles, il responsabile per l’America Latina di Human Rights Watch e i membri del Club di Madrid che, dal 2002, riunisce più di un centinaio di ex Presidenti ed ex premier democratici del mondo. (A cura di Alina Tufani)
Iraq: al via il Sinodo della Chiesa assira d'Oriente
Si è aperto in questi giorni a Dahuk, nel Kurdistan iracheno, il Sinodo della Chiesa assira d’Oriente, al quale partecipano quattordici presuli, tra cui l’attuale locum tenens, il metropolita dell’India, Mar Aprem Mooken, in rappresentanza di circa quattrocentomila fedeli sparsi nel mondo. Tra gli argomenti in agenda, precisa L’Osservatore Romano, l’elezione del successore di Mar Dinkha IV e il possibile ritorno della sede patriarcale in Iraq.
La nomina del nuovo Catholicos
Grande attesa, dunque, per l’elezione del successore di Mar Dinkha IV – morto il 26 marzo scorso - che aveva guidato la comunità assira d’oriente per ben 39 anni, durante i quali aveva avuto modo di incontrare tre Pontefici: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Anni, tra l’altro, per larga parte segnati dalle sofferenze e dalla persecuzione delle popolazioni cristiane mediorientali.
Il ritorno della sede patriarcale dagli Usa all’Iraq
Secondo quanto annunciato dal vicario patriarcale per l’Australia e la Nuova Zelanda, nonché metropolita del Libano, Mar Meelis Zaia, il Sinodo avrà un compito altrettanto importante: quello di sancire il ritorno della sede patriarcale dagli Stati Uniti, dove si trova tuttora, all’Iraq, precisamente a Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. Era il 1933 quando l’allora patriarca, Mar Eshai Shimun XXIII, venne esiliato a Cipro dal governo iracheno, da dove nel 1940 si trasferì negli Stati Uniti. Tra gli obiettivi del ritorno della sede patriarcale in Iraq, c’è il raggiungimento di una maggiore coesione tra gli assiri e il miglioramento delle relazioni con gli altri patriarchi d’Oriente, ma anche l’agevolazione del processo di unificazione tra la Chiesa assira dell’est e la Chiesa antica dell’est - nata per uno scisma dalla prima nel 1964 e guidata da Mar Addai II che risiede a Baghdad – auspicato dai vescovi di entrambe le parti.
Solidarietà con i cristiani perseguitati al centro dell’incontro con Francesco
Il tema delle violenze compiute contro i cristiani era stato al centro dell’incontro che Mar Dinkha IV aveva avuto il 2 ottobre in Vaticano con Papa Francesco. “Quanti nostri fratelli e sorelle — ha detto in quella occasione il patriarca — stanno soffrendo una persecuzione quotidiana! Quando pensiamo alla loro sofferenza, ci viene spontaneo andare al di là delle distinzioni di rito o di confessione: in essi è il corpo di Cristo che, ancora oggi, viene ferito, colpito, umiliato. Non vi sono ragioni religiose, politiche o economiche che possano giustificare ciò che sta accadendo a centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini innocenti. Ci sentiamo profondamente uniti nella preghiera di intercessione e nell’azione di carità verso queste membra del corpo di Cristo che stanno soffrendo”. (R.B.)
Niger: aiuti di Caritas Maradi a 2.400 vittime di Boko Haram
La Caritas della diocesi di Maradi, in Niger, ha lanciato un programma di aiuto per 464 conducenti di moto-taxi e 200 famiglie sfollate, colpite dalle azioni di Boko Haram in quest’area del Paese. Maradi si trova a 540 km dalla capitale Niamey, nel sud del Niger, al confine con la Nigeria, da dove i militanti di Boko Haram conducono raid e azioni di guerriglia in territorio nigerino.
Lo stato d'emergenza penalizza i moto-taxi
Per contrastare le azioni della setta islamista, a febbraio le autorità di Niamey hanno imposto lo stato d’emergenza nella regione di Diffa, rientrante nel territorio della diocesi. A farne le spese sono stati soprattutto i conducenti di moto-taxi, popolare mezzo di trasporto, ai quali è stato vietato di circolare. Centinaia di giovani si sono così trovati all’improvviso disoccupati. In loro aiuto è intervenuta la Caritas locale, che a maggio ha elargito 40.000 franchi Cfa a 464 conducenti disoccupati, dei quali beneficeranno indirettamente circa mille persone, ovvero i loro congiunti. A fine giugno verrà donata la stessa somma.
Aiuti Caritas agli sfollati
La Caritas ha poi donato razioni alimentari a 200 famiglie di sfollati, per un totale di circa 1.400 persone. A giugno queste famiglie oltre all’aiuto alimentare riceveranno anche una somma di 35.000 franchi Cfa per sopperire alle loro esigenze più urgenti. In totale 2.400 vittime di Boko Haram ricevono aiuti alimentari e/o in denaro da parte della Caritas. In totale tra maggio e giugno, l’impegno della Caritas per le persone colpite da Boko Haram nella regione di Diffa, sarà di 100.000 euro. La Caritas locale è aiutata da Caritas Germania e dal Catholic Relief Services. (L.M.)
Vietnam. L’"Evangelii Gaudium", nuovo dono di evangelizzazione
L’Evangelii Gaudium di Papa Francesco è il nuovo dono di evangelizzazione del Vietnam. A riportare la notizia è l’agenzia Fides, che riferisce della traduzione che dell’esortazione apostolica ha fatto il direttore delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) del Vietnam, padre Dominique Ngo Quang Tuyen, diffondendola, poi, nelle 26 diocesi del Paese. Ieri, poi, durante l’udienza concessa alle Pom, il sacerdote ha consegnato il suo lavoro proprio nelle mani di Papa Francesco che ha detto di “apprezzare molto”.
Un’intensa opera di traduzione
Il sacerdote vietnamita, inoltre, si sta dedicando a un servizio molto importante: la traduzione immediata dei discorsi di Francesco, in modo da renderli direttamente e presto fruibili dai fedeli del Paese. “È un modo per rimanere in sintonia con il Papa – ha detto – oggi in Vietnam abbiamo sempre più libertà e ci sforziamo di promuovere il dialogo interreligioso, molto importante in una nazione a maggioranza non cristiana”. “Oggi la Chiesa vietnamita è fiorente – ha concluso – nutriamo buone speranze. Le vocazioni non mancano e nella Chiesa ci sono molti laici competenti e attivi”. (R.B.)
Pakistan: corsi professionali per le superstiti di Peshawar
Aiutare le donne pakistane che hanno visto la loro vita sconvolta dal terribile attentato del settembre 2013 alla All Saint Church di Peshawar, in Pakistan. È questo l’obiettivo che si pone il secondo corso di formazione al taglio e cucito organizzato dalla Cecil & Iris Chaudhry Foundation, frequentato da 19 donne che al termine hanno ricevuto un attestato di frequenza e una macchina per cucire in dono.
L’ong Cecil & Iris Chaudhry Foundation
Tra loro ci sono vedove, orfane e in generale persone le cui famiglia sono state colpite da gravissimi lutti e che non sapevano più come risollevarsi: “Oggi vederle sorridere ancora, piene di speranza e capaci di sostenere la propria famiglia significa molto per noi”, ha dichiarato all'agenzia Fides Michelle Chaudhry, presidente della ong che si pone come obiettivo di aiutare 80 donne entro il 2015: un terzo corso di formazione, infatti, è già in progetto.
L’attentato
Il 22 settembre 2013 due attentatori suicidi si fecero esplodere all’esterno della chiesa protestante All Saints di Peshawar, causando la morte di un centinaio di cristiani e il ferimento di 130 persone, alcune delle quali hanno riportato danni permanenti. All’epoca fu unanime la condanna dei leader religiosi del Paese. (R.B.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 157