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Sommario del 04/06/2015
- Corpus Domini. Messa del Papa a S. Giovanni in Laterano
- Card. Parolin: Francesco a Sarajevo per promuovere pace e dialogo
- Sala Stampa: il 18 giugno la pubblicazione dell’Enciclica del Papa
- Il 10 giugno Francesco riceve Putin in Vaticano
- Tweet Papa: Bisogna costruire la società alla luce delle Beatitudini
- I poveri davanti alla Sindone grazie a Papa Francesco
- Nomina episcopale di Francesco in Vietnam
- Cuba: Vergine del Cobre nell'anima del popolo che attende il Papa
- Assemblea Pom: la testimonianza dal Sud Sudan
- L’Iraq invoca l’aiuto internazionale per sconfiggere l’Is
- Rinviate elezioni in Burundi. Un missionario: opposizione proseguirà
- In Usa il Freedom Act cambia 14 anni di normativa sui dati
- Mafia Capitale, 44 arresti. Le coop: perseguire atti criminosi
- Rapporto Caritas-Migrantes: lavoro immigrati vale otto punti del Pil
- Giuristi cattolici: impresentabile legge su unioni civili
- Sant’Egidio. Conferenza “Oriente e Occidente: dialoghi di pace”
- Il card. Scola inagura il Refettorio Ambrosiano per i poveri
- Libri: "Campioni di vita", sport tra solidarietà e riscatto sociale
- India. West Bengal: vandali attaccano una scuola missionaria
- Veglia di preghiera a Hong Kong per la strage di Tienanmen
- Chiese orientali: incontro a Praga su famiglia in Europa
- Coree: card. Yeom Soo-jung incontra gruppo di pacifìste
- Filippine: boom di pellegrini nei luoghi visitati dal Papa
Corpus Domini. Messa del Papa a S. Giovanni in Laterano
Nell’odierna Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, alle ore 19, Papa Francesco celebrerà la Santa Messa sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano. Di seguito si svolgerà la tradizionale Processione Eucaristica che, percorrendo via Merulana, raggiungerà la Basilica di Santa Maria Maggiore.
Card. Parolin: Francesco a Sarajevo per promuovere pace e dialogo
"La pace sia con voi”: è il motto dell’ottavo viaggio apostolico internazionale di Papa Francesco che vedrà il Pontefice – sabato prossimo – a Sarajevo. In un fitto calendario di incontri, il Successore di Pietro incoraggerà i cattolici della Bosnia ed Erzegovina e porterà un messaggio di pace e di riconciliazione. Sul significato di questa visita, Barbara Castelli del Centro Televisivo Vaticano (Ctv) ha intervistato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano:
R. - Lui intende prima di tutto incoraggiare i fedeli cattolici che vivono in Bosnia ed Erzegovina; e poi, suscitare fermenti di bene in quella terra e promuovere tutto quello che favorisce l’amicizia, la fraternità, il dialogo interreligioso fra le varie componenti del Paese; e la pace. E’ interessante notare – mi soffermo un po’ su questo – che questi temi sono ripresi sia dal logo, sia dal motto di questo viaggio. Nel logo vediamo una colomba, che tiene nel becco il ramoscello della pace; poi c’è la croce, che al suo interno ha un triangolo, che richiama – in modo stilizzato – i confini della Bosnia; i colori sono quelli della bandiera del Paese; e poi c’è un richiamo anche alla comunità cattolica, che è composta in maggioranza da croati. E il motto: ‘La pace sia con voi’, il saluto di Gesù risorto ai suoi apostoli. Il Papa va in quella città che San Giovanni Paolo II ha definito la ‘Gerusalemme d’Europa’ come pellegrino di dialogo e di pace.
D. - Sono note purtroppo a tutti le vicende di guerra e di morte della Bosnia ed Erzegovina. Qual è il Paese che oggi accoglierà Papa Francesco?
R. - Si è tenuto e si tiene poco in conto di quelle che sono state le conseguenze della guerra che ha interessato la Bosnia e l’Erzegovina. Le conseguenze della guerra si sono fatte sentire soprattutto sulla comunità cattolica, che praticamente – dagli inizi degli anni Novanta ad oggi – si è quasi dimezzata: da 800 mila a 400 mila persone. Ormai in alcune parrocchie non restano che poche famiglie, e soprattutto anziani. Oggi si registra soprattutto il fenomeno dell’emigrazione dei giovani, causata dalla disoccupazione, dalla mancanza di lavoro e dalla ricerca di prospettive migliori in altri ambienti. E poi c’è anche un generale calo della demografia, che colpisce in maniera particolare la comunità cattolica. C’è poi una complessità nella struttura politica di questo Paese, che è frutto degli Accordi di Dayton, una complessità che si manifesta nella convivenza di tre etnie costitutive: quella dei bosniaci, quella dei serbi e quella dei croati e che – a livello di strutture – si esprime attraverso la convivenza di queste tre realtà che sono da una parte la Federazione Bosniaca, la Repubblica Srpska e il Distretto di Brčko. Il prossimo dicembre si ricorderanno i 20 anni dalla fine della guerra; però questa guerra continua ancora a lasciare le sue tracce, le sue ferite. Comunque, tutti aspettano il Papa con tanta ansia e con tanta speranza, e davvero confidano che lui potrà aiutare a fare della Bosnia ed Erzegovina una casa accogliente per tutti i suoi abitanti.
D. - Qual è nel dettaglio la situazione della Chiesa? Quali sono gli orizzonti di intervento più impellenti?
R. - La Chiesa, pur tra le difficoltà, continua a svolgere la sua missione, a compiere la sua missione di annuncio del Vangelo e di carità nei confronti di tutte le persone. Ecco, io credo che possiamo riferirci fondamentalmente alle indicazioni che sono state date dal Papa stesso nel marzo scorso durante la visita ‘ad Limina’ dei vescovi della Bosnia ed Erzegovina. Il Papa ha detto loro soprattutto: ‘Aiutate i poveri, aiutate i deboli, mettete in atto tutto quello che è possibile per far sì che la gente, soprattutto i giovani, non lascino il Paese, rimangano nel Paese; quindi, che si creino le condizioni anche di occupazione, soprattutto, e di sicurezza sociale per cui incontrano un presente e soprattutto un futuro. E poi, siate presenti nella società: siate presenti nella società con la freschezza del Vangelo’. E quindi, sempre, qui, una maggiore attenzione ai giovani, un’attenzione al clero … insomma, una Chiesa che sia fermento vivo nella società, anche se è una società complessa e per certi versi difficile.
D. - Ancora un viaggio all’insegna della pace e della convivenza tra i popoli, mentre nel mondo – purtroppo – si allargano i confini dei conflitti, spesso portati avanti in nome della religione. E’ possibile individuare la radice del problema? Oltre agli interventi più immediati, cosa si può fare per risolvere la questione per il futuro?
R. - Per quello che riguarda la Bosnia ed Erzegovina vorrei sottolineare un altro aspetto, che mi pare di grande importanza, e cioè la necessità di realizzare una sostanziale uguaglianza tra tutti i cittadini e tra tutte le fasce sociali, culturali e politiche che compongono il Paese, in modo tale che tutti si sentano a pieno titolo cittadini con la loro identità specifica, indipendentemente dal numero. Questa credo che sia una condizione, per quanto riguarda la Bosnia ed Erzegovina, che potrà senz’altro aiutare la pace. E naturalmente questo, con l’aiuto anche della comunità internazionale, che è presente nel Paese a livello di organizzazioni internazionali, potrà favorire anche le naturali aspirazioni della Bosnia ed Erzegovina di integrarsi nell’Unione Europea. In questo senso potrebbe diventare un esempio anche per quelle tante situazioni che oggi esistono nel mondo dove non si riesce a coniugare e ad accettare le diversità, che diventano motivo di conflitto e di contrasto e di contrapposizione, invece che di ricchezza reciproca. Quindi, speriamo che questo viaggio del Papa non solo contribuisca al bene e al miglioramento della situazione in quel Paese, ma che sia anche un invito a tutti gli uomini e a tutti i Paesi a ritrovare le ragioni della pace, della riconciliazione e del progresso, umano, spirituale e materiale.
Sala Stampa: il 18 giugno la pubblicazione dell’Enciclica del Papa
Per “evitare confusioni dovute alla diffusione di informazioni non confermate”, la Sala Stampa vaticana “comunica che la data prevista per la pubblicazione dell’attesa Enciclica del Papa è il prossimo 18 giugno, giovedì”. “Le modalità della presentazione pubblica – prosegue la nota – verranno rese note sul Bollettino della Sala Stampa nel corso della prossima settimana”.
Il 10 giugno Francesco riceve Putin in Vaticano
Nel pomeriggio di mercoledì 10 giugno, Papa Francesco riceverà in udienza il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Ne dà conferma il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Il Pontefice aveva già ricevuto in udienza il presidente Putin il 25 novembre 2013. Durante la sua permanenza in Italia, il presidente russo visiterà l’Expo di Milano. Previsto anche un incontro con il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, e con il premier, Matteo Renzi.
Tweet Papa: Bisogna costruire la società alla luce delle Beatitudini
"Bisogna costruire la società alla luce delle Beatitudini, camminare verso il Regno in compagnia degli ultimi". E' il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex.
I poveri davanti alla Sindone grazie a Papa Francesco
“Si sono lasciati guardare dalla Sindone”: così don Pablo Castiglia, viceparroco della chiesa romana di Santa Lucia che ha accompagnato oltre 40 poveri nel pellegrinaggio, ieri e oggi, a Torino. Un viaggio donato da Papa Francesco e che si ripeterà la prossima settimana per la parrocchia di Sant'Agostino in Campo Marzio. Ce ne parla Benedetta Capelli:
Il pranzo al Cottolengo, il luogo che a Torino è sinonimo dell’accoglienza di tanti malati, delle braccia aperte verso chi ha bisogno. E’ il modo migliore per concludere il pellegrinaggio alla Sindone di 42 poveri partiti ieri mattina da Roma. Un viaggio donato da Papa Francesco e che in qualche modo prepara la strada alla sua visita il prossimo 21 giugno. Il viceparroco di Santa Lucia, don Pablo Castiglia, racconta così la mattinata vissuta:
“Prima di andare a vedere la Sindone abbiamo visitato un po’ la struttura, la casa del Cottolengo e l’opera meravigliosa che si fa, di accoglienza degli ultimi, di chi è nel bisogno, nella difficoltà. Quindi, questa visita che abbiamo fatto stamattina ha già in qualche modo preparato il cuore poi per la visita alla Sindone. Poi, a piedi ci siamo recati in cattedrale e siamo entrati. Prima abbiamo fatto il percorso che un po’ prepara nel vedere la Sindone poi abbiamo pregato… Credo che le esperienze di questi due giorni di pellegrinaggio ci abbiano fatto toccare con mano e far vivere nel cuore la certezza che è veramente l’amore che salva: l’amore del Signore, che abbiamo visto lì, di cui la Sindone è segno, ma poi l’amore di tutte le persone che hanno reso possibile questo pellegrinaggio. Anche l’accoglienza che abbiamo avuto qui a Torino è espressione di quell’amore di cui la Sindone è segno. E questo è stato percepito, è stato colto, è stato vissuto da tutti noi”.
Prima di salire sul pullman per Torino, nel cortile della parrocchia di Santa Lucia, i poveri hanno ricevuto di buon’ora "la carezza" di Papa Francesco come l’ha definita il suo Elemosiniere, mons. Konrad Krajewski. Ancora don Pablo:
“Ieri mattina, alla partenza, è venuto l’Elemosiniere a salutarci, a portarci l’affetto, il sostegno del Papa, proprio concretamente ha lasciato una piccola “carezza” a ciascuno di loro perché potessero magari comprarsi un cappuccino, un caffè, durante questi due giorni. Percepiscono tantissimo che il Papa vuole loro bene, li sostiene, è orgoglioso di loro”.
Un pellegrinaggio fatto di tanti momenti significativi, di condivisione e che è stato, per don Pablo, un modo per mettersi in gioco, per dare un nuovo slancio alla sua missione pastorale:
“La mia missione cambia perché ho trovato in loro un aspetto che forse non avevo colto. Noi li incontriamo in parrocchia perché vengono per il pranzo, quindi magari il tempo è poco, ma forse in quell’occasione ci sfugge magari una sete e un interesse più profondi, è molto più di un semplice assistenzialismo, l’occasione che possiamo vivere insieme”.
Nomina episcopale di Francesco in Vietnam
In Vietnam, Francesco ha nominato vescovo coadiutore della Diocesi di Xuân Lôc, mons. Joseph Đinh Đúc Đąo, finora vescovo tit. di Gadiaufala e ausiliare della medesima diocesi.
Cuba: Vergine del Cobre nell'anima del popolo che attende il Papa
“La Vergine della Carità del Cobre nell’anima del popolo cubano”. È il titolo del libro, presentato ieri a Roma, alla parrocchia dei Santi Aquila e Priscilla, in occasione dell’80° anniversario dei rapporti tra Santa Sede e Repubblica di Cuba. Tra i presenti anche il card. Jaime Ortega, Arcivescovo di San Cristobal de la Habana di Cuba, che ha sottolineato la grande attesa con cui il popolo cubano vive la vigilia della visita che Papa Francesco farà a Cuba a settembre. Il servizio di Elvira Ragosta:
Cinquecento pagine con più di mille immagini; una ricerca storica e iconografica, con cui lo scrittore cubano Emilio Cueto, ripercorre i quattrocento anni di devozione alla Vergine della Carità del Cobre, divenuta patrona dell’isola nel 1916 su richiesta del popolo cubano a Papa Benedetto XV. L’autore del volume:
“El pueblo cubano se identifica…
Il popolo cubano si è identificato con la Vergine, perché durante la guerra contro la Spagna aveva capito che la Vergine si identificava con il popolo cubano. Nel momento in cui noi, quindi, ci siamo dotati dei nostri simboli patriottici, che sono la bandiera, l’inno e la Costituzione, abbiamo aggiunto la Vergine come riferimento spirituale della nostra identità.
Una devozione sempre forte, in tutte le vicende storiche che hanno caratterizzato la vita dei cubani, ricorda l’arcivescovo di San Cristobal de la Habana, il card. Jaime Ortega, intervenendo alla presentazione del volume, organizzata in occasione dell’80° anniversario dei rapporti tra Santa Sede e Cuba. E alla vigilia del viaggio di Papa Francesco a Cuba, nel settembre prossimo, il card. Jaime Ortega racconta l’attesa dei cubani:
R. – E’ una notizia, che è stata accolta bene da tutti: dai cattolici e da tutto il popolo in generale. Il Papa è molto conosciuto, perché adesso i mezzi di comunicazione a Cuba danno sempre più informazioni sulla Chiesa rispetto a 15, 20 anni fa. Adesso è frequente la presenza del Papa in Tv. E’ conosciuto. Il Papa è latino americano, parla spagnolo e per noi, dunque, è stato qualcosa di molto sorprendente. In tanti Paesi dell’America Latina e a Cuba, infatti, lui ha avuto un ruolo importantissimo. E nel nuovo rapporto tra Cuba e gli Stat Uniti ha partecipato al dialogo iniziale e lo ha favorito. I passi che seguono, allora, sono molto importanti.
D. – Quali sono le speranze per il futuro di Cuba, nella sua ripresa delle relazioni…
R. – Adesso siamo in una nuova tappa. La frase di Giovanni Paolo II “Che Cuba si apra al mondo, che il mondo si apra a Cuba”, è una realtà che diventa sempre più motivo di gioia per il popolo. Allora, per il futuro c’è la speranza di un ulteriore miglioramento della situazione nazionale. Il che è visibile, perché il turismo sta crescendo e cominciano ad arrivare i turisti americani; le famiglie possono viaggiare ed incontrarsi. Questa sarà un bene per tutti, non solamente per l’economia , ma anche per la vita sociale, per la nostra vita di cittadini.
E sul tema “Missionario della misericordia” scelto dalla Conferenza episcopale cubana per accompagnare il periodo di preparazione al viaggio apostolico di Papa Francesco, mons. Dionisio Garcia, presidente della conferenza episcopale cubana:
“Vamos a proponer en determindos…
Proporremo in alcuni momenti del tempo che rimane, a tutti gli uomini di buona volontà che lo vogliano, di esercitare la misericordia con chi ci sta accanto, magari con la propria famiglia, magari con il vicino, sempre con la gente che soffre, sempre con la gente che ha bisogno di qualcuno che gli tenda la mano. Ci sono i dettami evangelici e, quindi, conosceremo anche i dettami evangelici. Così come vogliamo che questa visita non sia solamente un evento – non può essere un evento – ma che si inserisca nel nostro piano pastorale e che, allo stesso tempo, lasci questo piacere di avvicinarsi ai fratelli.
Assemblea Pom: la testimonianza dal Sud Sudan
L’opera missionaria in Sud Sudan: non più solo sviluppo di strutture ma sviluppo dell’essere umano nella sua totalità. E’ questa l’esigenza primaria dell’ evangelizzazione nel Paese africano e può essere uno strumento valido anche per riportarvi la pace. E’ quanto racconta al microfono di Gabriella Ceraso, padre Mark Opere Omol della diocesi di Torit in Sud Sudan. La sua testimonianza in occasione dell’Assemblea generale delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) in corso a Roma:
R. – L’interesse che mi spinge, come rappresentante della Chiesa cattolica sud-sudanese, è soprattutto l’invito del Santo Padre a promuovere il volto di una Chiesa che va nelle periferie per incontrare le persone. Intanto è una risposta a questo invito, poi c'è anche il desiderio di portare il contributo preciso della mia Chiesa, spiegare cioè come la mia Chiesa locale vive l’impegno missionario oggi.
D. – Che cosa riuscite a fare voi come Opere missionarie, e che cosa invece manca alla vostra azione?
R. – Considerata la situazione attuale, abbiamo capito che ottenere l’indipendenza dal nord del Paese, non era sufficiente. Abbiamo preso seria coscienza del fatto che c'è un preciso impegno da intraprendere, con la massima priorità: l’evangelizzazione. Il nostro compito è questo, evangelizzare tutte le persone che è anche la salvezza per il Paese. Un punto importante, secondo me fondamentale, che va sottolineato in questa Assemblea, è quello di passare dai progetti e dallo sviluppo delle strutture, ai programmi cioè allo sviluppo delle persone. Quindi evangelizzare oggi vuol dire sviluppare l’uomo nella sua totalità: la mente, la psiche, il cuore, l’animo, e lo spirito, in modo che sia capace e recettivo delle esigenze e i valori del Vangelo.
D. – Questo si può fare anche in un’area di guerra, come quella del vostro Paese?
R. – L’uomo ha bisogno di approfondire il Vangelo per poter capire l’importanza del vivere fraterno, della coesistenza pacifica, della bontà, della solidarietà, della misericordia, ecc. Se ora ci impegniamo di più nel campo dell’evangelizzazione, le cose cambieranno. Questa è una guerra diabolica, che dice "assenza di Dio nella vita di ciascuno"; quindi bisogna riportare Dio nella vita,è questo il nostro compito.
D. – Ci sono particolari difficoltà che la vostra Chiesa locale vive?
R. – Ora come ora, la difficoltà è proprio come riconciliare le persone, e il Paese, fortemente spaccato a causa del conflitto attuale. Questo non è un progetto sociale è un progetto ecclesiale, missionario, pastorale, preciso che i vescovi hanno messo a punto. Poi ci sono difficoltà per quanto riguarda i mezzi, le strutture… Noi cercheremo d’ora in poi di attivare un’altra logica, che consiste nel mettere l’uomo al centro e nell’ impegnarsi per il suo sviluppo, in modo che poi sia la persona stessa a sentire l’esigenza di sviluppare le cose che usa nella vita. Questa è la rivoluzione mentale che quest’Assemblea sta portando al centro dell’impegno pastorale, soprattutto nelle Chiese giovani.
L’Iraq invoca l’aiuto internazionale per sconfiggere l’Is
L’Iraq chiede il sostegno del mondo intero contro il sedicente Stato Islamico che ieri ha chiuso la grande diga di Ramadi privando di acqua intere zone della provincia di Anbar. Oggi ancora raid della Coalizione internazionale, con decine di vittime, anche in Siria dove il fronte Al Nusra, il braccio di al-Qaeda nel Paese, ha dichiarato illegittimo l’Is. Massimiliano Menichetti:
"Chiediamo che il mondo si schieri a nostro sostegno, perché combattendo l’Is stiamo difendendo l'intera umanità”. Così ieri a Montecitorio ricevuto dalla presidente della Camera Laura Boldrini, il Presidente del Consiglio dei rappresentanti della Repubblica dell'Iraq, Salim Al-Jubouri. Il leader ha ricordato le difficili condizioni in cui vive il popolo iracheno sottoposto alla continua minaccia da parte di Daesh, il sedicente Stato Islamico. Ieri i Jihadisti hanno chiuso le condotte della grande diga di Ramadi abbassando e deviando il letto del fiume Eufrate. Si teme che i miliziani usino il corso prosciugato per nuove incursioni, comunque è già allarme unitario nella provincia di Anbar, senza acqua i villaggi di al Habbaniyah e al Khalidiya. Sul fronte governativo esercito e milizie sciite avanzano verso Samarra con l’obiettivo anche di riconquistare la strada che conduce a Fallujah, roccaforte jihadista proprio nella provincia di Anbar. A Baghdad una serie di attentati hanno ucciso ieri 11 persone, decine i feriti. 22 i raid aerei della Coalizione, in meno di 24 ore, tra Iraq e Siria, decine le vittime. E sono oltre 10mila i jihadisti che hanno perso la vita, secondo fonti militari, in 9 mesi d’incursioni. Comunque rimane incandescente la situazione in Siria dove gli scontri ora sono concentrati nord est del Paese.
Per un'analisi della situazione abbiamo intervistato l’analista politico Matteo Bressan coautore del libro “Libano nel baratro della crisi Siriana” edito da Poiesis:
R. – Stiamo assistendo alla disgregazione di quei Paesi nati con l’Accordo Sykes-Picot, alla fine della I Guerra Mondiale, che hanno avuto le loro storie particolari con vari regimi - penso all’Iraq di Saddam Hussein, penso alla Siria di Assad – e che oggi si stanno disgregando. Ritengo che questo sia un processo molto pericoloso, perché probabilmente avremo una frammentazione che potrà anche portare alla nascita di nuove entità e di fatto lo Stato Islamico è l’aggregatore - sostanzialmente l’epicentro – di questo fenomeno: lo Stato Islamico ha cancellato le frontiere e dalla sua proclamazione – lo scorso giugno – ad oggi non si è visto affatto un ritiro delle posizioni dello Stato Islamico.
D. – Quali le cause di questa situazione?
R. – In primo luogo il fatto che la coalizione internazionale si sia limitata ad una serie di operazioni dall’aria e che quindi fatto interventi di terra non siano stati attuati. Sul campo ci sono stati i curdi, le milizie iraniane in Iraq e in Siria e gli hezbollah libanesi. Stiamo parlando ovviamente di due soggetti, volendo accumulare ovviamente gli hezbollah libanesi all’Iran, che rispetto alla coalizione hanno obiettivi tattici probabilmente in comune, ma certamente non strategici: in Siria le operazioni di iraniani e di hezbollah non coincidono con la coalizione che vorrebbe la rimozione di Assad. Secondo punto le debolezze del governo iracheno: il governo iracheno non garantisce la sicurezza e non ha la credibilità della comunità sunnita e quindi ancora lo Stato Islamico è visto come una opportunità.
D. – Ma la presenza di eventuali truppe di terra di una coalizione internazionale non potrebbe essere un altro aggregatore per le forze dello Stato Islamico?
R. – E’ verosimile che un intervento di terra può offrire degli aspetti anche – se vogliamo – di propaganda utile allo Stato Islamico; ma è altresì vero che ad oggi lo Stato Islamico in Iraq sta continuando ad avanzare e in Siria si sta registrando una impennata delle capacità militari dello Stato Islamico e – questo è un aspetto collegato alle vicende libanesi – è in atto uno scontro fortissimo nella Regione del Calamone, a ridosso del confine tra Libano e Siria, tra hezbollah e le milizie sia dello Stato Islamico che di al-Nusra. Un focolaio pericolosissimo, ma che ci fa capire come in questo momento hezbollah stia tenendo in vita i collegamenti di Assad tra Damasco e la costa in previsione anche di uno smembramento della Siria, perché ormai non possiamo più negarcelo: lo Stato Islamico controlla enormi porzioni di Siria, altre porzioni di Siria sono nelle mani e semi gestite dai curdi. Quindi lo scenario è che, in assenza di un intervento di terra, non si è riusciti a fermare questa realtà.
D. – In Iraq la situazione è del tutto frammentata ed è un terreno di guerra continuo. Dal Paese si chiedono armi e aiuto alla Comunità internazionale per fermare l’Is. E’ una strategia possibile?
R. – E’ una strategia che non ha funzionato! E’ questo il dramma: quando lo scorso anno, le forze irachene si sono dissolte come neve al sole, l’esercito iracheno aveva un arsenale importante e mezzi importanti che erano stati forniti dagli americani. L’esercito iracheno non ha combattuto! La precedenza amministrazione del premier Maliki e l’attuale presidente al-Abadi non hanno creato le condizioni affinché tutte le comunità dell’Iraq si sentissero rappresentante. Se non si risolve questo, che è un problema squisitamente politico, è difficile avere delle forze armate in grado di fronteggiare lo Stato Islamico.
Rinviate elezioni in Burundi. Un missionario: opposizione proseguirà
Sono state nuovamente rinviate a data da destinarsi le elezioni legislative e comunali che avrebbero dovuto tenersi domani in Burundi, dando il via alle elezioni generali il cui calendario fissava le presidenziali per il 26 giugno prossimo. Lo hanno deciso le autorità di Bujumbura, di fronte al crescente rischio di un bagno di sangue. Da fine aprile infatti si susseguono le proteste contro il presidente uscente Pierre Nkurunziza, candidato per un terzo mandato e al potere dal 2005; in più occasioni l’esercito è intervenuto con la forza: almeno una trentina le vittime negli scontri. Giada Aquilino ne ha parlato con padre Gabriele Ferrari, missionario saveriano che insegna nel seminario maggiore di Gitega, ad Est di Bujumbura, appena rientrato dal Burundi:
R. – Dalle telefonate che ho avuto, il clima della città di Bujumbura - perché è lì che si concentra soprattutto l’opposizione - è molto teso e la paura è altissima. La gente è sgomenta, ma contemporaneamente è decisa ad andare avanti nell’opposizione. E’ vero che tutto questo è diventato pesante per la popolazione, perché non c’è più commercio, non c’è più modo di muoversi, non c’è più possibilità di andare a fare la spesa, ma l’opposizione continua ad andare avanti.
D. – Perché l’opposizione va avanti? Per i precedenti due mandati Nkurunziza che presidente è stato?
R. – Il presidente Nkurunziza è un presidente che è stato eletto “democraticamente” alla maniera un po’ africana, però dopo non solo ha governato con pugno di ferro, ma ha anche cercato di eliminare progressivamente tutte le opposizioni possibili. La seconda volta, è stato eletto semplicemente dal suo partito, perché l’opposizione si è ritirata vedendo che non c’era spazio. Questa volta, invece, l’opposizione è rimasta in lizza, ma è stata pesantemente condizionata dal governo, che è sostenuto da un gruppo che l’Onu ha definito una “milizia”: un gruppo di giovani del partito del presidente che circolano in città seminando terrore. Penso sia stato un bene che le elezioni le abbiano rinviate, perché non ci sarebbe stato modo di fare delle consultazioni in questo clima. Ci sono stati oltre 30 morti nelle manifestazioni popolari! Del resto anche la Conferenza episcopale ha ritirato i preti che occupavano posti importanti all’interno della Commissione elettorale nazionale: li ha ritirati perché ha detto che, in questo modo, non vuole sentirsi garante di elezioni che sono organizzate con troppe lacune.
D. – Ci sono segnali che, in qualche modo, Nkurunziza possa cambiare idea e ritirarsi?
R. – Non se ne vedono di questi segnali. C’è un ribadire un punto, in modo indiscutibile, in ogni negoziato: cioè il terzo mandato.
D. – La popolazione, invece, cosa chiede per il futuro?
R. – Chiede libertà democratica; chiede di poter votare il presidente che vuole e non il presidente che è imposto. E’ un po’ un vizio africano quello di non mollare il potere una volta che lo si è preso.
D. – La comunità cattolica di Bujumbura e del Burundi ha vissuto, nel tempo, momenti difficili accanto alla popolazione: ricordiamo l’assassinio di tre suore l’anno scorso, ma non solo; ricordiamo anche il vostro contributo a fianco della popolazione durante il conflitto civile. Che Paese è oggi il Burundi?
R. – Il Burundi è un Paese che sogna la pace. Da un punto di vista religioso, è una Chiesa fiorente, ma il vescovo di Bujumbura è scampato ad un attentato. E non è il primo, è il secondo che gli fanno: non nel contesto delle elezioni, ma in gennaio o in febbraio ha avuto un altro attentato, del quale si è saputo solo recentemente. Pare fosse in connessione con la morte delle suore, perché il vescovo è stato molto duro nel condannare quegli omicidi.
D. – La speranza per il Paese a questo punto qual è?
R. – La speranza del Paese, a questo punto, è che vedendo l’opposizione della gente finalmente si aprano gli occhi e ci si chieda a cosa serva governare contro il Paese. La speranza a questo punto – io sono un prete, un missionario – penso sia in Dio.
In Usa il Freedom Act cambia 14 anni di normativa sui dati
Gli Stati Uniti hanno una nuova normativa in materia di sorveglianza delle comunicazioni: il Senato ha approvato il Freedom Act, legge che limita la sorveglianza elettronica delle comunicazioni telefoniche degli americani dalla National Security Agency (Nsa). Il controllo era venuto alla luce nello scandalo Datagate, sollevato dalle dichiarazioni di Edward Snowden. Il Freedom Act ribalta il Patrioct Act, entrato in vigore dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Subito dopo l’approvazione, il presidente Obama ha firmato il provvedimento. Per capire l’importanza di questo cambiamento e cosa preveda la nuova legge, Fausta Speranza ha intervistato Marco Lombardi, docente di Politiche della sicurezza all’Università del Sacro Cuore:
R. – Sempre più il tema della sicurezza deve essere articolato anche rispetto alla necessità di avere un minimo di privacy e non sentirsi costantemente sorvegliati. Diciamo che questo è un punto al quale Obama teneva molto, anche sul piano simbolico, e sul quale direi che ha ottenuto un risultato. Per esempio, non cambia la sorveglianza portata avanti dalle compagnie telefoniche, però la comunicazione dei dati al governo non è necessaria né automatica. Entra in gioco un giudice al quale il governo fa riferimento per ottenere le informazioni che vengono raccolte. Quindi, non cambia di fatto la mole dell’informazione, cambia la modalità con cui queste informazioni soprattutto vengono messe a disposizione del governo. Tra l’altro, è anche un provvedimento che prevede una clausola di lungo termine, per cui in realtà nulla cambia per le indagini che fossero cominciate prima dell’introduzione di questa nuova norma, quindi prima del 1° giugno 2015.
D. – Sembrerebbe che ci si avvicini di più alla filosofia della normativa europea, ma è vero che il presidente francese Hollande sta cercando invece una stretta un po’ simile a quella degli Stati Uniti?
R. – E’ divertente questo punto perché in effetti ci si sta avvicinando di più da parte americana a quelle che sono le tendenze molto critiche - si veda il caso Snowden - di pervasività, penetrazione delle agenzie nei siti privati e nelle mail private dei cittadini in Europa, mentre contemporaneamente c’era una sorta di avvicinamento di europei - la Francia è stata citata - verso una stretta di tipo americano. Sì, spesso c’è questo pendolarismo. Potrebbe portare un incontro, una via di mediazione, potrebbe anche essere utile. Una convergenza, anche a livello globale, delle grandi potenze o comunque dei diversi Paesi per avere una gestione comune delle informazioni è assolutamente fondamentale.
D. – A proposito di terrorismo, la normativa comunque mantiene certi paletti per l’estero?
R. – Assolutamente sì, perché poi all’estero si rimanda ad altre normative. Credo sia opportuno distinguere tra una normativa interna e una normativa esterna.
D. - Quattordici anni: un bilancio? La privacy è stata sacrificata per la sicurezza, ma questa sicurezza è stata davvero rafforzata? Questa norma in realtà la si cambia non perché non c’è più bisogno, non c’è più il terrorismo, ma forse perché non era un’arma così essenziale…
R. - La norma è stata una norma tipicamente di reazione. Il Patrioct Act nasce dopo l’attacco terrificante alle Torri Gemelle, quindi è stato un momento di reazione giustificato proprio dalla sua reattività e giustificato da una domanda che emergeva fortemente dal pubblico. Dopodiché, in questi 15 anni, le cose sono ampiamente cambiate. Sempre più la pervasività delle nuove tecnologie ha fatto sì che ci si rendesse conto che quella norma diventava altamente intrusiva nella posta personale, nella privacy di ciascuno e ci si è resi conto in 15 anni che di per sé non è neppure così efficace. E ci si è anche resi conto, allontanandoci da quell’11 settembre, che appunto reattivamente aveva giustificato la norma ma che altre preoccupazioni prendevano piede. C’è di mezzo una grande riflessione sulla privacy, c’è di mezzo un cambiamento del terrorismo, c’è di mezzo un rendersi conto che tantissime informazioni raccolte dal web – stiamo parlando di miliardi e miliardi di informazioni – non hanno senso se non organizzate attraverso modelli che possano interpretarle in maniera efficace. Quindi, ben venga il cambiamento, anche se non è forse ancora quello che ci aspettava e può essere migliorato. E’ una tendenza positiva sulla quale lavorare.
Mafia Capitale, 44 arresti. Le coop: perseguire atti criminosi
Sta scuotendo il mondo politico romano e non solo la nuova ondata di arresti nel nuovo filone dell’inchiesta "Mafia Capitale". I carabinieri hanno eseguito ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 44 indagati. Nel mirino il "business dei migranti". Una parte dell’opposizione chiede le dimissini del sindaco Marino, che risponde: "andiamo avanti perché stiamo cambiando tutto". Per mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, è un'inciviltà lucrare sui migranti. Il servizio di Alessandro Guarasci:
Gli arresti coinvolgono destra come sinistra. Segno che il malaffare ha attraversato in modo trasversale la politica romana. Le accuse sono per associazione a delinquere e altri reati, tra cui corruzione, turbativa d'asta, false fatturazioni. In manette il consigliere regionale del Lazio, Luca Gramazio, di Forza Italia che rappresentava la parte politica dell'associazione mafiosa che interagiva con imprenditori e criminali come Massimo Carminati a capo del sodalizio assieme a Salvatore Buzzi. Ai domiciliari il consigliere comunale Giordano Tredicine, sempre di Fi. Nel Pd invece arresti per Miko Coratti, Daniele Ozzimo e Andrea Tassone. Coinvolto pure Massimo Caprari del Centro Democratico. E poi tutta una serie di funzionari, imprenditori che gravitavano nella gestione dell’emergenza immigrazione. Le indagini hanno coinvolto anche Emilia Romagna e Sicilia. Sotto accusa anche l'operato di alcune cooperative, come "La Cascina", che aderisce a Confcoopeerative. Giuseppe Guerini, presidente di Federsolidarietà-Confcoopeerative:
R. – Vicende molto gravi, molto spiacevoli, ma se ci sono atti criminosi è giusto che vengano perseguiti, per cui non ho ansie persecutorie o dico che c’è qualcuno che ce l’ha con noi. Poi, si conferma un quadro patologico della gestione degli acquisti della pubblica amministrazione con un sistema di regolazione che è davvero inquietante. Leggevo un’intercettazione dove Odevaine chiedeva alle cooperative un euro per ogni migrante che lui decideva di mandare.
D. – Secondo lei va aperto un nuovo capitolo nella gestione dell’emergenza dei migranti e sul modo di intervenire delle cooperative?
R. – Gestire tutte queste attività col meccanismo dell’emergenza, con una centralizzazione emergenziale delle decisioni poi provoca queste distorsioni, mentre noi sappiamo purtroppo che il fenomeno migrazioni è soggetto a queste ondate. Si sapeva da tempo. Si sa da tempo che c’è gente che si sta muovendo dall’Africa subsahariana, dalle zone di guerra, dal Medio Oriente per fuggire dalle zone di guerra. Di queste cose siamo al corrente da due anni, eppure dobbiamo sempre aspettare di muoverci sull’onda dell’emergenza anche in queste ore, di nuovo. Poi quando si gestisce l’emergenza c’è sempre chi approfitta. L’economia dell’emergenza è quella che fa nascere grandi speculazioni, come le economie di guerra.
D. – Pensate di aumentare i controlli nei confronti dei vostri associati oppure qualche forma suggerita è qualche forma di gestione differente?
R. –Già Confcooperative sta facendo modifiche importanti sul sistema delle revisioni per individuare campanelli di allarme. Però occorre anche che sia molto chiaro che chi deve esercitare le funzioni di controllo è la pubblica amministrazione dove purtroppo invece, al contrario, sembra di capire che è il punto da cui parte la distorsione del meccanismo.
Rapporto Caritas-Migrantes: lavoro immigrati vale otto punti del Pil
In un convegno in corso a Milano, nella cornice dell’Expo, è stato presentato oggi il 24.mo Rapporto Nazionale Caritas-Migrantes. Presenti all’evento anche il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino, il direttore della Caritas Italiana, don Francesco Soddu e il neo presidente di Caritas italiana, il cardinale Francesco Montenegro. Proprio quest’ultimo, al microfono di Gabriele Beltrami, ha commentato il rapporto tra impegno della Chiesa e nuove povertà:
R. – La società in cui viviamo è una società un po’ particolare: sta perdendo valori, si sta frantumando, si sta sbriciolando. L’egoismo sembra che prenda il sopravvento e quindi il rispetto dell’altro e l’attenzione all’altro non c’è! Io credo che soprattutto noi credenti abbiamo delle “istruzioni per l’uso” che sono preziose per poter andare controcorrente, ma anche per vivere la buona vita in questa società. Mi riferisco alle Beatitudini. Può sembrare strano che uno debba appellarsi a quella pagina che sembra che dica tutt’altro, ma se quei valori delle Beatitudini diventano stile di vita, credo che certi scandali, certe situazioni, certe povertà non saranno più così come sono, perché se si sta facendo acqua è perché i valori sono scomparsi. Allora tocca a noi credenti rimettere in campo quei valori, senza timore che gli altri possano prendere le distanze. E se Gesù è morto in Croce è perché ci ha creduto in quello che diceva e non è morto tra lenzuola profumate perché ha voluto ad ogni costo dire come l’uomo sia al centro.
D. – Questo tema di oggi come si situa in un impegno concreto della Chiesa, della Caritas italiana?
R. – Il Papa ci sta dando tutte le indicazioni. Non si può pensare a un mondo, a una Chiesa senza pensare a chi è povero. E allora mettere il povero al centro, ripartire dagli ultimi forse è la formula segreta che dovremmo utilizzare di più per poter reimpostare e resettare il nostro lavoro nella società. Purtroppo gli ultimi li stiamo continuando a lasciare dietro la fila e non riusciamo ad avere gli input che loro ci danno.
D. – Don Francesco Soddu, la Caritas ha organizzato una giornata come questa proprio all’Expo: quale messaggio intendete trasmettere circa il binomio lavoro e migranti?
R. – Questa domanda si pone naturalmente all’interno del contesto del tema dell’Expo, perché i migranti e il lavoro con il cibo hanno sicuramente a che fare. Molti si muovono, soprattutto oggi, così come ci ha ricordato Papa Francesco, per motivi legati non soltanto al lavoro, ma legati anche al cibo e quindi all’equa distribuzione dei beni della terra, da cui possono nascere la solidarietà e la giustizia. Però molto è ancora sommerso dal fango dell’ingiustizia, delle guerra, della sopraffazione. Pertanto la nostra presenza qui vuole essere la rappresentanza di tutte queste persone che, in tutti i casi, rappresentano il mondo dei poveri, dei poveri tra i poveri.
D. – Mons. Nunzio Galantino, quale l’impegno della Chiesa Italiana per i migranti?
R. – Mi pare che sia sotto gli occhi di tutti l’attenzione che la Chiesa italiana sta vivendo e sta aiutando anche a far vivere nei confronti di questa realtà, che è quella dei migranti. Soprattutto mi pare che il nostro impegno, l’impegno della Chiesa italiana stia nell’aiutare a capire che dietro quei volti ci sono delle storie, che quelle persone arrivano da noi anche con la loro qualifica, con la loro capacità di aiutarci a produrre di più: non dimentichiamo che in Italia 8 punti di Pil sono da attribuire agli immigrati, a coloro che lavorano non solo con noi ma anche per noi.
“Viviamo nella pratica dell’accoglienza ma siamo bombardati da messaggi distorti di cattiveria e negatività”. Lo ha sottolineato il cardinale Francesco Montenegro, presidente di Caritas Italiana, proprio alla presentazione del Rapporto Immigrazione Caritas e Migrantes, dal titolo “Migranti, attori di sviluppo”. Un documento nel quale si descrive la situazione della mobilità internazionale. Benedetta Capelli ne ha parlato con Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas Italiana:
R. – Da un lato registriamo una costante crescita dell’immigrazione a livello globale. In Italia la crisi ha determinato un arresto delle indicazioni e dei motivi di lavoro, ma chiaramente stiamo vivendo un aumento delle migrazioni forzate, quelle collegate cioè alle crisi internazionali.
D. – I migranti sono impegnati in settori strategici dell’economia Italia?
R. – I migranti costituiscono un importante contributo all’economia italiana: pensiamo che l’8,8 del Pil nazionale è frutto del contributo e del lavoro dei cittadini stranieri. E’ chiaro che molte di queste attività sono ancora caratterizzate da una dimensione di sfruttamento, da una dimensione di precarietà, di lavoro nero ed è proprio su questi ambiti che noi cerchiamo di contribuire come Caritas per far uscire queste situazioni dal grave sfruttamento.
D. – Sono proprio queste le caratteristiche che descrivono il lavoro immigrato, ci sono anche delle ripercussioni sociali non indifferenti…
R. – Assolutamente! La percezione che nasce spesso da queste realtà è di una immigrazione che non risulta essere utile al nostro Paese, quando invece anche chi lavora in queste condizioni di grave marginalità è attore di uno sviluppo che poi noi registriamo sulle nostre tavole. Pensiamo solo ai pomodori che vengono raccolti e diventano salsa per la nostra pasta o ai succhi di arancia che sono il frutto del lavoro a Rosarno di migliaia di persone che, sottopagate e senza contratti, garantiscono il cibo a tanti italiani e non solo.
D. – Nel suo intervento lei ha parlato delle cosiddette “3d”, che caratterizzano proprio il lavoro immigrato: di che si tratta?
R. – Le “3d” si riferiscono al lavoro degli immigrati e sono sostanzialmente l’iniziale di tre termini: dirty, dangerous and demanding, ovvero lavori di basso profilo, pericolosi, spesso sporchi, ma sporchi perché evidentemente vengono svolti in condizioni ambientali non adeguate ed anche difficili e pericolose. Questo è un mercato del lavoro che – non in tutti i casi, vorrei sottolinearlo – riguarda i lavoratori stranieri.
D. – Il legame con l’Expo è dovuto anche a due argomenti che avete preso in considerazione: il cibo come causa dell’emigrazione e il cibo come occasione di sviluppo. Come avete declinato queste due tematiche?
R. – Il cibo, nell’attività quotidiana di lavoro con i cittadini immigrati, è una parte centrale - penso solo a progetti come quelli degli “orti solidali” che abbiamo implementato in tante parti del nostro Paese, da Roma fino ad alcune regioni del Nord – e vedono nell’attività agricola un’occasione di sviluppo per la società, per il territorio, ma anche di grande emancipazione professionale e umana per i migranti. Quindi il cibo veramente come luogo per ritrovare quell’equilibrio tra – ripeto – uno sfruttamento che in alcuni casi è dilagante e come occasione di sviluppo umano e professionale.
D. – Nel suo intervento il cardinale Montenegro ha detto: “Viviamo nella pratica dell’accoglienza, ma siamo bombardati da messaggi distorti, di cattiveria e di negatività”. In questo senso il rapporto Caritas-Migrantes fotografa proprio una realtà diversa…
R. – Decisamente! Siamo ormai in un periodo nel quale quotidianamente vengono dati in pasto all’informazione situazioni di malcostume che, però noi diciamo, non devono in alcun modo inficiare né gettare un’ombra sulle migliaia di persone che stanno lavorando a sostegno e a tutela di queste persone. Quindi, senza nulla togliere alla necessità di estirpare tutto ciò che in qualche modo viene condotto in forma criminale, ricordiamo che però oltre il 90 per cento di quello che si fa nel nostro Paese è certamente buono, virtuoso e da sostenere.
Giuristi cattolici: impresentabile legge su unioni civili
Unioni civili, “una legge impresentabile”. Lo scrivono a deputati e senatori italiani 58 intellettuali sottolineando che il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, attualmente in discussione al Senato, propone un istituto sostanzialmente uguale al matrimonio. Tra i firmatari della lettera il vice presidente nazionale dell’Unione giuristi cattolici italiani, l’avvocato Giancarlo Cerrelli. Amedeo Lomonaco lo ha intervistato:
R. – In questo disegno di legge, in realtà, non sono previste unioni civili, ma matrimoni veri e propri. Questo disegno di legge fa riferimento a tutte le norme previste sul matrimonio. Quindi, in realtà, quello a cui si vuole giungere è un matrimonio omosessuale, che nel nostro ordinamento non è ammissibile.
D. – Si propone dunque un istituto uguale, sostanzialmente, al matrimonio e già aperto alle adozioni?
R. – Il disegno di legge Cirinnà non prevede in prima battuta l’adozione piena ma unioni civili, che sono praticamente un para-matrimonio, proprio perché sono simili al matrimonio. Ed è già “telefonata” [scontata] la decisione della Corte Costituzionale, su pressione della Corte Europea dei diritti umani, a disciplinare in seguito l’adozione piena da parte delle persone omosessuali.
D. – Come raggiungere l’obiettivo di una società rispettosa, aperta nei confronti delle persone omosessuali, dando anche maggiori diritti a queste persone?
R. – Il nostro ordinamento prevede già tutti i diritti, tranne tre, che sono il diritto di adozione, il diritto alla reversibilità della pensione e poi il diritto alla quota legittima di eredità. Questi diritti sono diritti propri del matrimonio.
D. – Si sta andando incontro ad una ridefinizione del matrimonio…
R. – Ridefinizione del matrimonio - sappiamo che la legge fa cultura – vuol dire far cambiare modo di intendere il matrimonio all’opinione pubblica. Non si saprà più, quindi, cos’è un matrimonio. Ormai si va incontro alla famiglia ‘on demand’: ognuno considererà matrimonio quello che soggettivamente ritiene. Perderà essenza e verrà depotenziata la famiglia fondata sul matrimonio.
Sant’Egidio. Conferenza “Oriente e Occidente: dialoghi di pace”
Conferenza internazionale a Firenze, l’8 e 9 giugno, promossa dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema “Oriente e Occidente: dialoghi di civiltà”. A confronto numerose autorità del mondo islamico, tra cui il grande imam dell’Università Al Azhar del Cairo, Muhammad Al-Tayyeb, insieme a personalità della politica e della cultura di diversi Paesi occidentali e rappresentanti delle istituzioni europee. Roberta Gisotti ha intervistato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio.
D. - Un titolo che può apparire perfino ingenuo nell’attuale scenario bellico che coinvolge il Medio Oriente e il Nordafrica e di fronte al proliferare del fondamentalismo islamico. Professor Impagliazzo cosa vi aspettate da questa Conferenza di Firenze?
R. – Noi ci aspettiamo che la comprensione profonda della cultura l’una dell’altra possa portare all’apertura di nuove vie di dialogo, sempre più necessarie oggi, in questo tempo di grande rassegnazione sulle guerre e sulle violenze, che attraversano molte regioni del mondo.
D. – Questo termine, “rassegnazione”, è forse l’aspetto più negativo di quest’epoca che stiamo vivendo…
R. – Direi di sì. Prendiamo il caso della Siria, e particolarmente della città di Aleppo, che vive da settemila anni una profondissima cultura - essendo luogo di incontro tra musulmani e cristiani, dove sono presenti antichissime comunità cristiane – e che è una città che sta morendo. E’ una guerra, quella della Siria, che dura da quattro anni; è lunga, cioè, quanto la Prima Guerra mondiale; e nessuno a livello internazionale riesce ad affrontare in maniera definitiva questo problema. Nel caso dei cristiani perseguitati in Iraq, invece, che sono dovuti fuggire in Kurdistan, non si è riusciti a proteggerli, a creare un’area di salvezza, un porto sicuro per loro. Questi due esempi, tra i tanti che si potrebbero fare, mostrano la grande rassegnazione, la grande impotenza che c’è oggi nella comunità internazionale. Noi speriamo che dall’incontro di Firenze sorgano nuove vie, anche spinti da un dialogo tra le religioni per la pace.
D. – Nuove vie alternative a quelle della politica, anche della diplomazia internazionale…
R. – Sì, quantomeno alternative, ma anche di supporto, perché la rassegnazione è tanta e non si crede più, a livello internazionale, di poter fare veramente qualcosa per chi soffre.
D. – La Comunità di Sant’Egidio va a questo incontro, forte di tanti successi ottenuti in situazioni altrettanto disperate…
R. – Sì, in realtà, ogni cristiano ha in sé una forza di pace, è un uomo di pace, come ci ripete Papa Francesco. Noi vogliamo mettere questa forza di pace, maturata in tanti anni di attenzione ai popoli sofferenti – dal Mozambico, in Africa, ad altri popoli del mondo – per dare un contributo, per quello che è possibile. Sentiamo di non doverci rassegnare.
Il card. Scola inagura il Refettorio Ambrosiano per i poveri
Al vecchio teatro parrocchiale di quartiere andrà in scena quotidianamente la solidarietà. Il cibo che rischia di essere sprecato in molti luoghi di Milano e anche del sito Expo sarà qui recuperato e nobilitato da grandi chef che cucineranno per i più poveri. Giornalmente Caritas Ambrosiana vi invierà persone bisognose inserite in un percorso di recupero dell’autonomia. Il servizio da Milano di Fabio Brenna:
Nato da un’idea dello chef Massimo Bottura e di Davide Rampello, il Refettorio Ambrosiano vuole immergere nella bellezza le persone ai margini e per questo si è avvalso della collaborazione delle eccellenze della cucina internazionale, dell’arte e del design: da Antonio Citterio a Mimmo Paladino, Aldo Cibic e Matteo Thun. Maurizio Riva ha realizzato e donato i tavoli; di Gaetano Pesce è la fontana che impreziosisce l’ingresso. Una "mensa 2.0" in cui saranno grandi cuochi a cucinare durante il periodo di Expo, utilizzando eccedenze alimentari, evitando che diventino scarti. Già nel solo primo mese di Expo sono state recuperate due tonnellate di cibo, reimmesse nel circuito degli enti no profit.
La sfida del Refettorio Ambrosiano è di dare il meglio ai poveri e non soltanto gli avanzi del "ricco Epulone"; vuole essere un lascito tangibile di Expo alla città di Milano, come sottolinea l’arcivescovo, il cardinale Angelo Scola:
“Nasce dal desiderio di dare speranza alla città, perché è suo questo cibo. Expo è la grande occasione di mettere in moto una forte speranza per la Milano del futuro e il nuovo milanese verrà fuori da lì. Io vorrei quindi che il Refettorio fosse un dar da mangiare in senso bello, buono, pieno, capace di rispondere al desiderio, ma il desiderio dell’umano è – in ultima analisi – il desiderio di infinito”.
Il Refettorio servirà ogni sera 90 pasti ad altrettanti ospiti, ma senza code o bivacchi, per favorire l’integrazione col quartiere. Una sfida per Davide Rampello:
“L’idea che mi è venuta è di far qualcosa di assolutamente permanente, che rimanga alla città; dotare la città di un luogo che la rappresenti in tutti i sensi. Operosa, creativa, progettuale: la città della generosità. Allora ho chiamato il Politecnico che ha fatto tutto il progetto di ristrutturazione; ho chiamato i designer più importanti, per dare a ciascuno l’idea di un tavolo: dodici tavoli, ognuno diverso dall’altro, ciascuno con le motivazioni. E tutto quello che è stato fatto è opera della generosità: dei progettisti, degli artisti”.
Grandi marchi hanno sostenuto la ristrutturazione del Teatro di Greco, diventato ora il Refettorio Ambrosiano.
Libri: "Campioni di vita", sport tra solidarietà e riscatto sociale
I valori dello sport possono essere un mezzo di riscatto sociale e fornire un quadro di riferimento per aiutare il prossimo. Il volume “Campioni di vita”, edito da Zenit Books, raccoglie sedici storie che lo testimoniano. Sedici esperienze di chi, grazie alle proprie qualità morali, è riuscito a “vincere”, spesso a prescindere dal risultato sportivo. Il servizio di Michele Raviart:
Sacrificio, rispetto delle regole, lealtà con gli avversari. Valori che accomunano tanto le leggende dello sport, come Abdon Pamich, oro nella marcia alle olimpiadi di Tokyo, che alternava l’allenamento con l’impiego alla 'Sip', quanto il ciclista Alessandro Proni, che ha donato il suo midollo osseo alla sorella per cercare di salvarla dalla leucemia. “Campioni di vita” racconta di questo, di come lo sport può aiutare a superare le difficoltà della vita. Felice Pulici, ex-portiere della Lazio campione d’Italia nel '74 e ora dirigente del Coni:
"Lo sport insegna che può succedere a tutti di essere in un momento di difficoltà, però invita a non abbandonarti troppo a questo tipo di momento perché, come tu hai perso una partita oggi e sei in difficoltà, domani mattina lo sport ti ripropone ancora un confronto. Ma non è solo lo sport che te lo pone, te lo pone anche la vita ogni giorno e quindi non ti devi lasciare andare perché comunque la possibilità di una rivalsa, di un modo di riprendersi e camminare un’altra volta esiste sempre e comunque. Lo sport aiuta".
Una volta terminata l’attività agonistica, l’esperienza maturata può essere messa al servizio degli altri. E’ quanto è successo a Vincenzo Cantatore, campione europeo di boxe nel 2007, che ha insegnato pugilato ai detenuti del carcere di Rebibbia:
"Portare uno sport duro, uno sport dove ci sono valori, regole, in un posto dove le regole non ci sono è stata una combinazione fantastica. Come vedere persone che magari si odiavano fra di loro aiutarsi negli allenamenti o vedere persone che non rispettavano il prossimo rispettare il più debole in una seduta di allenamento. Ci sono cose che sono fondamentali e che mi hanno veramente segnato positivamente in questa esperienza".
Lo sport è anche una medicina. Lo psichiatra Sandro Rullo da 25 anni utilizza il calcio per aiutare i disabili psichici, migliorando le loro relazioni con il mondo esterno. Un’iniziativa nata in Italia, che conta ora 800 squadre e che, per il suo successo e fondamento scientifico, è stata esportata in tutto il mondo:
"Il passaggio all’interno di una squadra è uno strumento comunicativo. Noi abbiamo dei ragazzi che sono chiusi nel loro autismo, chiusi nel loro 'evitamento' della realtà che, chiaramente messi su un campo di calcio, riprendono ad avere relazioni sociali e non solo. Sono relazioni sociali che hanno regole e che sono regole che non si perdono, non si abbandonano: chi è appassionato di calcio sa bene che il pallone non si tocca con le mani, che comunque la palla va passata per raggiungere un obiettivo comune. Tutte queste sono le cose che normalmente un paziente psichiatrico perde, per cui diffida della persona che ha a fianco, per cui si sente in qualche modo osservato, perseguitato. All’interno della squadra, riesce a trovare compagni".
Tra le testimonianze, anche quelle di atleti paralimpici, come Annalisa Minetti - un passato da cantante e record del mondo nei 1500 metri per i non vedenti - e quella del maestro di scherma Renzo Musumeci Greco, ideatore del progetto “Scherma senza limiti”, dedicato ai disabili in carrozzina.
India. West Bengal: vandali attaccano una scuola missionaria
“Si tratta del secondo, gravissimo episodio di attacco contro i cristiani nel West Bengal” e per questo “esprimo la mia più ferma condanna”. Interpellato dall'agenzia AsiaNews, non usa mezzi termini l’attivista cristiano Sajan K. George, presidente di Global Council of Indian Christians (Gcic), contro “il gruppo di miscredenti” che ha “vandalizzato” la Believers Church School a Madhyamgram, nel distretto dei 24 Pargana Nord, nell’India orientale.
Panico e terrore tra i presenti nell'Istituto
L’attacco contro la scuola missionaria è avvenuto ieri; un gruppo di anonimi assalitori ha attaccato la struttura, distrutto suppellettili e mobili, spruzzato del disinfettante nei filtri dell’acqua. I vandali hanno anche preso scorte alimentari e altro materiale depositato nei magazzini, sparpagliandolo in diverse aree del campus. Testimoni raccontano che l’attacco ha seminato “panico” e “terrore” fra le persone presenti nell’istituto educativo. I responsabili della struttura cristiana hanno sporto denuncia alle forze di polizia di Madhyamgram, aggiungendo che sono state rinvenute anche scritte ingiuriose sui muri. Gli inquirenti hanno aperto un fascicolo e stanno dando la caccia agli autori del gesto, anche se finora gli assalitori non hanno un nome, né una precisa identità.
Appello al governo per gli attacchi contro le minoranze
Ad AsiaNews l’attivista cristiano Sajan K. George ricorda che “i cristiani sono una comunità minuscola e pacifica” dell’India, impegnata a “servire la nazione attraverso gli istituti educativi, senza praticare alcuna discriminazione”. Per questo “è ancor più grave”, avverte il leader di Gcic, che ad essere colpita da anonimi assalitori sia proprio una scuola. Il portavoce dell’arcidiocesi di Delhi padre Savarimuthu Sankar sottolinea che “é necessario mantenere la pace” e la “sicurezza” di ciascun “cittadino”. Egli ricorda anche i numerosi episodi avvenuti di recente di discriminazioni, abusi e violenze contro minoranze e luoghi di culto, appellandosi al governo perché tuteli la salute e i diritti di tutti.
Aumentati gli attacchi degli estremisti indù contro le minoranze religiose
L’incremento di episodi di violenze e intolleranze a sfondo confessionale in India è confermato anche dal Rapporto 2015 sulla libertà religiosa in India, presentato il 1 maggio scorso dalla Commissione Usa per la libertà religiosa nel mondo. Dalle elezioni generali dello scorso anno e la conseguente vittoria del premier Narendra Modi “sono aumentati gli attacchi compiuti da estremisti indù contro le minoranze religiose. Inoltre si sono moltiplicati i commenti sprezzanti e discriminatori da parte di politici collegati al Bharatiya Janata Party al governo, che non vengono sanzionati per il loro comportamento”. (N.C.)
Veglia di preghiera a Hong Kong per la strage di Tienanmen
Le vittime del massacro di Tiananmen sono “nostri martiri” e non possiamo “dimenticarli”: così il card. Joseph Zen risponde ai tentativi di far passare sotto silenzio la memoria degli eventi del 4 giugno 1989, che a Hong Kong ha il suo acme nella Veglia a lume di candela che si svolge da 25 anni al Victoria Park. Il vescovo emerito di Hong Kong spiega all'agenzia AsiaNews che nei giorni precedenti l’anniversario in molte chiese del territorio si sono celebrate Messe per i defunti, per le centinaia di giovani uccisi in piazza Tiananmen e che prima della Veglia di stasera, i cattolici e i protestanti terranno – come sempre – un incontro di preghiera, che confluirà poi nel grande raduno del Victoria Park. A guidare la preghiera sarà mons. Joseph Ha, vescovo ausiliare di Hong Kong, responsabile di Giustizia e Pace.
Tienanmen si commemora solo a Hong Kong
Il card. Zen ha spesso spiegato che il destino democratico di Hong Kong è legato a quello della Cina. Il territorio è l’unico luogo cinese in cui si commemorano gli eventi di Tiananmen. Negli anni, molti dalla Cina sono giunti ad Hong Kong proprio per partecipare alle manifestazioni in ricordo degli uccisi. Anche molti dissidenti e Madri di Tiananmen (l’associazione dei parenti degli uccisi) guardano con riconoscenza alla Veglia e a tutte le attività che fanno memoria del movimento degli studenti e operai falciato dall’esercito e dai carri armati. (P.W.)
Chiese orientali: incontro a Praga su famiglia in Europa
“L’incontro annuale dei gerarchi cattolici orientali d’Europa si svolge quest’anno a Praha-Břevnov” nella Repubblica Ceca, “su invito di mons. Ladislav Hučko, esarca apostolico per i cattolici di rito bizantino residenti” nel Paese. Dell’incontro, che si svolge da oggi al 7 giugno presso l’abbazia benedettina di Břevnov, dà notizia il Ccee ripreso dall'agenzia Sir. A Břevnov, i vescovi rappresentanti 14 Chiese cattoliche orientali in Europa “si confronteranno sulla realtà della famiglia in Europa e il ruolo e la missione delle Chiese orientali cattoliche anche in previsione delle future discussioni in occasione del prossimo Sinodo ordinario”.
I temi delle due relazioni dell'incontro
I lavori si articoleranno a partire da due relazioni di base: quella su “La famiglia contemporanea in Europa” da parte del diacono ceco Jaroslav Max Kašparů, e quella su “Il potenziale sacramentale della famiglia” di don Volodymyr Los, sacerdote della diocesi di Buchach della Chiesa greco-cattolica d’Ucraina. Nel corso dell’incontro, mons. Ladislav Hučko informerà i partecipanti sulla situazione e la missione della Chiesa greco-cattolica in Repubblica Ceca.
All'incontro presente anche mons. Cyril Vasil
A Praga i partecipanti incontreranno il card. Dominik Duka, arcivescovo della capitale. I lavori si concluderanno il 7 giugno con la celebrazione della Divina liturgia insieme alla comunità locale nella cattedrale di san Clemente. All’incontro parteciperanno tra l’altro mons. Cyril Vasil’, segretario della Congregazione per le Chiese orientali e mons. Duarte da Cunha, segretario generale Ccee. (R.P.)
Coree: card. Yeom Soo-jung incontra gruppo di pacifìste
“Non ho mai visitato la Corea del Nord, anche se sono amministratore apostolico di Pyeongyang. La vostra è dunque un’iniziativa molto importante e significativa, proprio perché promossa da donne. Continuerò a pregare per la pace”. Con queste parole l’arcivescovo di Seoul, card. Andrew Yeom Soo-jung, ha incontrato nei giorni scorsi il premio Nobel per la Pace, Mairead Maguire, insieme ad un gruppo di attiviste provenienti da diversi Paesi, noto come Women Cross Dmz. Il 24 maggio scorso le donne avevano attraversato in marcia la zona demilitarizzata tra le due Coree per ricordare il 70° anniversario della divisione del Paese asiatico.
L'arcivescovo di Seul insiste sul dialogo
L’iniziativa era stata pienamente supportata dal porporato con una lettera pubblicata una settimana prima della marcia. L’arcivescovo di Seoul si è intrattenuto con la delegazione, spiegando che al di là del 38esimo parallelo non ci sono né sacerdoti, né religiose. Il porporato ha insistito sul dialogo: “La pace e la riconciliazione passano inevitabilmente attraverso il confronto” ha detto al gruppo di pacifiste.
Molti giovani pregano insieme per la pace
Dopo aver incassato il sostegno della Chiesa locale, Mairead Maguire si è detta pienamente soddisfatta: “Ringrazio tutte le organizzazioni che hanno sono state al nostro fianco, i funzionari del Nord, del Sud e le Ong per l’ospitalità. Abbiamo avuto l’occasione di conoscere tanti giovani e vederli pregare insieme per la pace. Per noi è stato un segno di speranza”. Il card. Yeom ha donato al gruppo di donne l’annullo postale commemorativo della visita di Papa Francesco in Corea, unitamente ad una pubblicazione riguardante la storia e l’attività dell’arcidiocesi di Seoul. (A cura di Davide Dionisi)
Filippine: boom di pellegrini nei luoghi visitati dal Papa
Il viaggio apostolico di Papa Francesco nelle Filippine non ha lasciato solo una “eredità spirituale” per i fedeli, in particolare quanti sono stati colpiti dal tifone Yolanda e da altre calamità naturali. La visita del pontefice argentino a Leyte e in altre aree della provincia delle Visayas Orientali - riferisce l'agenzia AsiaNews - ha infatti determinato anche una spinta decisa nel settore del turismo religioso. Padre Chris Militante, portavoce dell’arcidiocesi di Palo, conferma l’influenza esercitata dalla visita del papa nella regione, che ha già portato all’incremento di visitatori - locali e stranieri - in concomitanza con l’inizio della stagione estiva.
Flusso di pellegrini per la Madonna col bambino Gesù a Palo
Di particolare interesse per i turisti i luoghi visitati da Francesco nel suo passaggio a Palo. Fra questi vi è la cattedrale, oggetto di un flusso continuo di pellegrini e turisti, desiderosi di vedere la statua della Madonna col bambino Gesù posizionata accanto a Papa Bergoglio nella solenne concelebrazione eucaristica all’aeroporto di Tacloban. Il sacerdote filippino riferisce che “la gente sta visitando l’immagine della beata Vergine Maria”, un’opera “unica” perché “fatta per illustrare le sofferenze della gente”, come le vittime del tifone Yolanda. Prima della Messa, aggiunge padre Militante, Papa Francesco ha pregato e toccato l’immagine, opera dello scultore locale Willy Yalug, realizzata con materiale tratto dalle macerie della cattedrale anch’essa devastata dal tifone.
Le visite al Centro Papa Francesco
Padre Militante aggiunge inoltre che, fra le altre mete prese d’assalto dei pellegrini, vi è anche la residenza dell’arcivescovo in cui Papa Francesco ha consumato un pasto assieme ad un gruppo di vittime del tifone. Altri visitano il Centro Papa Francesco, un’area intitolata al Pontefice e che ospita un orfanotrofio, una clinica e una casa di riposo per anziani.
L'aiuto della Chiesa filippina per 2 milioni di superstiti del tifone Yolanda
Durante il viaggio apostolico nelle Filippine - a maggioranza cattolica del continente asiatico -, il Papa ha più volte ricordato il bisogno di aiutare poveri, bambini e vittime dei disastri naturali che hanno sconvolto di recente sul Paese. La Chiesa filippina ha già stanziato circa 9,7 milioni di euro in progetti di recupero, assistenza, riabilitazione a favore di oltre 2 milioni di persone colpite dal supertifone Yolanda.
Yolanda ha colpito 11 milioni di persone. Oltre 5mila le vittime
Abbattutosi sulle isole Visayas l'8 novembre 2013, Haiyan/Yolanda ha colpito a vario titolo almeno 11 milioni di persone, sparsi in 574 fra municipalità e città diverse; per un ritorno alla normalità saranno necessari otto miliardi di dollari. Ancora oggi risultano oltre 1.700 dispersi; il numero delle vittime sarebbe superiore a 5mila, anche se il presidente Benigno Aquino ha voluto ridimensionare le cifre, sottolineando che le prime stime [superiori a 10mila] erano frutto della reazione emotiva alla tragedia e il numero dei morti non supera i 2.500. (R.P.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 155