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Sommario del 03/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: famiglie rendono umano il mondo, siano difese da miseria

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La guerra è la “madre” di tutte le povertà. Così il Papa all’udienza generale in Piazza San Pietro, durante la quale ha riflettuto sulla vulnerabilità della famiglia “nelle condizioni della vita che la mettono alla prova”. L’auspicio di Francesco è stato dunque ad “aiutare le famiglie a andare avanti”, nonostante povertà e miseria che colpiscono affetti e legami. Il servizio di Giada Aquilino

Sono “tanti” oggi i problemi che “mettono alla prova la famiglia”, primo tra tutti la povertà per chi vive nelle “periferie delle megalopoli” come nelle “zone rurali”. Il pensiero di Francesco è subito andato alla miseria, al degrado di tali realtà, spesso aggravate dalla guerra:

“La guerra è sempre una cosa terribile. Essa inoltre colpisce specialmente le popolazioni civili, le famiglie. Davvero la guerra è la “madre di tutte le povertà”, la guerra impoverisce la famiglia, una grande predatrice di vite, di anime, e degli affetti più sacri e più cari”.

Pianificatori benessere non capiscono che la famiglia è scuola di umanità
Eppure, ha osservato il Papa, “ci sono tante famiglie povere che con dignità cercano di condurre la loro vita quotidiana”, confidando nella benedizione di Dio. Ciò, però, “non deve giustificare la nostra indifferenza”, semmai il fatto che “ci sia tanta povertà” – ha proseguito – deve aumentare la nostra vergogna. La famiglia comunque, anche in tali condizioni, continua “a formarsi e persino a conservare – come può – la speciale umanità dei suoi legami”:

“Il fatto irrita quei pianificatori del benessere che considerano gli affetti, la generazione, i legami famigliari, come una variabile secondaria della qualità della vita. Non capiscono niente! Invece, noi dovremmo inginocchiarci davanti a queste famiglie, che sono una vera scuola di umanità che salva le società dalla barbarie”.

Non cedere a violenza e denaro
L’invito del Pontefice è infatti a non cedere “al ricatto” della violenza e del denaro, rinunciando agli affetti familiari:

“Una nuova etica civile arriverà soltanto quando i responsabili della vita pubblica riorganizzeranno il legame sociale a partire dalla lotta alla spirale perversa tra famiglia e povertà, che ci porta nel baratro”.

Famiglia come pilastro
D’altra parte l’economia odierna, ha constatato Francesco, “si è spesso specializzata nel godimento del benessere individuale”, praticando “largamente” lo sfruttamento dei legami familiari e cadendo in “una contraddizione”:

“L’immenso lavoro della famiglia non è quotato nei bilanci, naturalmente! Infatti l’economia e la politica sono avare di riconoscimenti a tale riguardo. Eppure, la formazione interiore della persona e la circolazione sociale degli affetti hanno proprio lì il loro pilastro. Se lo togli, viene giù tutto”.

I bambini vogliono l’affetto familiare
La questione, ha sottolineato, non è solo di pane, bensì anche di istruzione, di sanità. Lo sanno bene, ha fatto notare il Papa, i bambini, quelli “denutriti e malati” in tante parti del mondo o quelli, “privi di tutto”, a cui brillano gli occhi pur stando “in scuole fatte di niente”, che “mostrano con orgoglio la loro matita e il loro quaderno” o guardano “con amore il loro maestro o la loro maestra”:

“Davvero i bambini lo sanno che l’uomo non vive di solo pane! Anche l’affetto famigliare; quando c’è la miseria i bambini soffrono, perché loro vogliono l’amore, i legami famigliari”.

Miseria sociale distrugge famiglia
L’esortazione del Papa è stata allora a “noi cristiani” ad essere “sempre più vicini alle famiglie che la povertà mette alla prova”, invitando a pensare ai tanti papà o alle tante mamme senza lavoro, la cui “famiglia soffre, i legami si indeboliscono”:

“La miseria sociale colpisce la famiglia e a volte la distrugge. La mancanza o la perdita del lavoro, o la sua forte precarietà, incidono pesantemente sulla vita familiare, mettendo a dura prova le relazioni. Le condizioni di vita nei quartieri più disagiati, con i problemi abitativi e dei trasporti, come pure la riduzione dei servizi sociali, sanitari e scolastici, causano ulteriori difficoltà”.

La Chiesa sia povera
Per non parlare - ha aggiunto - del “danno causato alla famiglia da pseudo-modelli”, diffusi dai mass-media e “basati sul consumismo e il culto dell’apparire, che influenzano i ceti sociali più poveri e incrementano la disgregazione dei legami familiari”. La Chiesa – ha poi ricordato il Pontefice – “è madre” e per questo “non deve dimenticare questo dramma dei suoi figli”:

“Anch’essa dev’essere povera, per diventare feconda e rispondere a tanta miseria. Una Chiesa povera è una Chiesa che pratica una volontaria semplicità nella propria vita – nelle sue stesse istituzioni, nello stile di vita dei suoi membri – per abbattere ogni muro di separazione, soprattutto dai poveri”.

L’esortazione è stata alla preghiera e all’azione, “per rendere le nostre famiglie cristiane protagoniste di questa rivoluzione della prossimità famigliare”, che ora è così “necessaria”, non dimenticando che “il giudizio dei bisognosi, dei piccoli e dei poveri anticipa il giudizio di Dio”.

Nei saluti nelle varie lingue, ricordando che stiamo per celebrare la Solennità del Corpo e Sangue di Cristo, il Papa si è rivolto in particolare ai giovani polacchi che si radunano a Lednica, invitandoli ad aprire i cuori allo Spirito Santo. Quindi ha ricordato la Congregazione dell’oratorio di San Filippo Neri, nel quinto centenario della nascita del fondatore, i lavoratori del ‘Gruppo Menù’ di Medolla, industria ricostruita dopo il terremoto in Emilia del 2012, i giovani atleti del Pellegrinaggio Macerata-Loreto con la “fiaccola della pace”.

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Francesco: prego per le vittime del traghetto in Cina

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All’udienza generale, Papa Francesco ha pregato per le vittime del traghetto cinese, capovoltosi tra lunedì e martedì scorsi mentre viaggiava lungo fiume Yangtze, investito da un ciclone. Finora, solo 14 sono i sopravvissuti dei 456 passeggeri totali, 26 i corpi recuperati dai soccorritori. Il servizio di Alessandro De Carolis

È una “Stella d’Oriente” molto triste quella che è tramontata bruscamente tra le acque in tempesta dello Yangtze. “Stella d’Oriente” era il nome del traghetto con 456 passeggeri a bordo, ribaltato su se stesso dal vento e dalle onde che hanno spazzato la zona di Jianli, nel meridione della Cina. Centinaia di famiglie consumano da lunedì sera le speranze residue di ricevere la notizia più bella, mentre la Cina si interroga sul più grave disastro nel settore dei trasporti da decenni. Quattromila tra poliziotti, soldati e vigili del fuoco lottano contro il maltempo per cercare eventuali sopravvissuti e recuperare le salme di chi non ce l’ha fatta. Per tutti loro e per i loro parenti, Papa Francesco ha voluto pregare durante l’udienza generale con queste parole:

“Esprimo la mia vicinanza al popolo cinese in questo momento difficile a causa del disastro del traghetto sul fiume di Yangtze. Prego per le vittime, per le loro famiglie, e per tutti coloro che sono coinvolti nel lavoro di salvataggio”.

Il traghetto era salpato da Nanchino diretta a Chongqing, per un viaggio per il quale si era prenotato un gruppo di persone tra i 50 e gli 80 anni. Ci sono stati momenti di tensione tra le forze dell’ordine e i familiari dei dispersi, alla ricerca di notizie sulla sorte dei loro cari. Il primo ministro cinese, Li Keqiang, è giunto ieri mattina sul luogo dell’incidente chiedendo “aggiornamenti regolari e trasparenti” da parte delle autorità locali. Tra i sopravvissuti ci sono il capitano e l’ingegnere capo della "Stella d’Oriente", tratti subito in arresto: rischiano l’incriminazione per il disastro.

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Whirlpool. Francesco: si trovi soluzione equa e rapida

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Al termine dell’udienza generale, il Papa ha levato un forte appello per la difficile situazione degli operai della fabbrica Indesit Whirlpool di Carinaro, in provincia di Caserta. Oltre 800 i posti di lavoro a rischio secondo il piano della multinazionale statunitense. Pensando alla difficile situazione in cui si trova l’intero Paese, Francesco ha chiesto “un incisivo impegno per aprire vie di speranza”. Presente in Piazza san Pietro una delegazione di 50 dipendenti dello stabilimento campano. Ascoltiamo le parole del Santo Padre nel servizio di Paolo Ondarza: 

“Un pensiero speciale rivolgo agli operai della Fabbrica Whirlpool di Carinaro, ed auspico che la loro grave congiuntura occupazionale possa trovare una rapida ed equa soluzione, nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle famiglie. La situazione nell’intero Paese è particolarmente difficile. È importante che ci sia un incisivo impegno per aprire vie di speranza”.

Ad ascoltare le parole di Francesco in Piazza San Pietro tra i 50 lavoratori Indesit Whirlpool di Carinaro questa mattina c’era anche Giacinto Gravante. “Siamo qui – spiega – per non farci rubare la speranza”:

R. – Siamo stati molto felici, con la speranza che questo saluto veramente possa dare frutti nei confronti della vertenza che ormai da 45 giorni ci sta distruggendo, sia moralmente che fisicamente e anche economicamente. E non vediamo ancora una via d’uscita.

 D. – Come mai siete venuti dal Papa?

 R. – Chi è più vicino a questa situazione che il Papa?

 D. – A che punto è la situazione?

 R. – Diciamo che la vertenza è in stallo. L’azienda non indietreggia: capisce la difficoltà che c’è, soprattutto nella nostra zona, con i licenziamenti di massa. Dice sempre che andando avanti con la vertenza, essa acquisisce possibilità di non-licenziamento. Noi dobbiamo capire cosa significa “non-licenziamento”: se portare le persone fino al 2018, e poi nel 2018 nasce il problema, si tratta in realtà di un licenziamento ritardato. Noi vogliamo lavorare!

D. – Voi qui siete venuti in 50: quanti sono i lavoratori che state rappresentando?

R. – Noi siamo circa 850.

D. – Perdere il lavoro vuol dire anche uscire dalla legalità?

R. – Soprattutto per persone che si trovano per strada a 40 anni! Io non dico che tutti finiscano nella non-legalità, però saranno tante le persone che per mettere un piatto in tavola, rischiano di allontanarsi dalla legalità… Io credo ci sia questo pericolo. E togliere 800 persone… Non dimentichiamoci che ci sono anche 600 persone di indotto e così arriviamo a 1.400. Cioè, parliamo di 1.400 famiglie, non persone! Abbiamo fede… Speriamo che le parole del Papa avvolgano i massimi dirigenti, perché trovino una soluzione industriale alla vertenza.

D. – Il Papa ha chiesto, infatti, una rapida ed equa soluzione nel rispetto dei diritti di tutti, specialmente delle famiglie…

R. – Sì, perché se non c’è lavoro, purtroppo, poi c’è questa difficoltà: non c’è lavoro, non c’è dignità, c’è illegalità… Tante cose si accumulano, una dietro all’altra.

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Cappellano carcere Civitavecchia: dal Papa segni di speranza

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In Piazza San Pietro oggi, tra i fedeli presenti all'Udienza generale, anche una rappresentanza della Casa Circondariale di Civitavecchia a testimonianza della grande attenzione e del profondo interesse che chi vive e chi lavora in carcere nutre nei confronti del messaggio e del carisma di Papa Francesco. Il servizio di Davide Dionisi

“Una Chiesa povera è una Chiesa che pratica una volontaria semplicità nella propria vita – nelle sue stesse istituzioni, nello stile di vita dei suoi membri – per abbattere ogni muro di separazione, soprattutto dai poveri”.

 Le parole di Papa Francesco pronunciate oggi nel corso dell’Udienza generale hanno commosso e, al tempo stesso, spronato chi lavora ogni giorno affinché quel muro non venga mai eretto. Tra questi, i rappresentati della Casa Circondariale di Civitavecchia che hanno voluto portare al Papa il messaggio, le preghiere e, non ultimo, l’affetto dei detenuti  Il racconto della giornata nella testimonianza del cappellano, Don Lazare Relewende Yelyaore: 

R. – L’emozione di questa mattina è stata grandissima. Noi ci siamo preparati per incontrare il Santo Padre e siamo venuti carichi della gioia di questi detenuti, che volevano salutare il Santo Padre di persona. Ci hanno chiesto di salutarlo, dunque, e di riportare a casa con noi la speranza e la fede che trasmette Papa Francesco a chi sta nelle periferie, nel carcere, che è una realtà molto complessa.

D. – Qual è la situazione del carcere di Civitavecchia?

R. – Il carcere di Civitavecchia accoglie 450 detenuti e ha una fisionomia particolare, perché è vicino all’aeroporto e quindi accoglie tantissime persone, che partono per il viaggio della speranza e che finiscono lì. Ci troviamo, quindi, a gestire situazioni umane alcune volte non facili. Approfitto del microfono per dire a chi ci può aiutare, che ci venga in aiuto in tutto, per poter ridare speranza anche a chi è già deluso del proprio viaggio e aspetta di vedere il volto umano di Cristo anche in questo contesto carcerario.

D. – Cosa pensano i detenuti di Papa Francesco?

R. – I detenuti sono entusiasti. Quando abbiamo detto che andavamo dal Papa, tutti volevano venire; c’è stato un momento di entusiasmo in chiesa; erano contenti. Chi non poteva venire ha detto: “Padre, le mando una lettera per Papa Francesco, una poesia”. Sono colpiti dal messaggio del Papa e vogliono incontrarlo. Mi dicono: “Padre, quando vai, dì a Papa Francesco che l’aspettiamo qui a Civitavecchia, l’aspettiamo”. E’ così: Papa Francesco porta entusiasmo nelle carceri.

D. – Cosa racconterete agli ospiti di Civitavecchia della giornata di oggi?

R. – Della giornata di oggi noi riportiamo semplicemente la benedizione del Santo Padre, riportiamo la gioia del Santo Padre, la speranza che il Santo Padre ci ha dato, per ritrasmetterla anche nel nostro operare quotidiano.

D. – Cosa vuol dire essere cappellano a Civitavecchia?

R. – Essere cappellano a Civitavecchia significa tante cose: un’assistenza sia spirituale che materiale. Il lavoro è quello di incontrare i giovani, parlare con loro, incoraggiarli, ascoltare le storie, ridare a ciascuno la speranza e la gioia. E’ un lavoro che prende tante energie, tanto tempo.

D. – Lei è un sacerdote camilliano, quindi ha un quarto voto, ispirato a San Camillo De Lelli: è pronto, quindi, a dare la sua vita per gli ammalati. Un camilliano all’interno di un istituto di pena: qual è il suo approccio?

R. – Io mi sono ritrovato un po’ come in un ospedale. Perché, se conosce l’esperienza di San Camillo, lui si occupava dei malati, ma andava nelle carceri a visitare i carcerati. Fa parte quindi del carisma camilliano. E’ sempre la compassione di Cristo che dobbiamo portare alla persona che soffre. La prima sofferenza, infatti, che abbiamo è quella di essere privati della libertà, di trovarsi in un ambiente chiuso come quello del carcere. Lì dentro quindi questo provoca una grandissima sofferenza. Come camilliano, quello che cerco di fare è: testimoniare la compassione di Cristo, cercare di sollevare e far sentire a ciascuno la vicinanza di Cristo e anche questo volto della Chiesa, che sta lì semplicemente come segno di speranza e che fa quello che riesce a fare con fede, con speranza e con carità.

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Nomine episcopali in Italia e Sri Lanka

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Nello Sri Lanka, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Trincomalee, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Joseph Kingsley Swampillai. Al suo posto, ha nominato il sacerdote Christian Noel Emmanuel, finora vicario episcopale ed economo generale della medesima Diocesi. Il neo presule è nato il 25 dicembre 1960, a Trincomalee. Dopo la scuola secondaria, è entrato nel St. Joseph’s Minor Seminary. Negli anni 1978 – 1981 ha svolto gli studi filosofici nel Seminario Nazionale di Kandy. Dal 1981 al 1982 ha effettuato un anno di pastorale (regency). Nel 1983 è entrato nel St. Paul’s Major Seminary, Triruchirappally, in India, dove, nel 1986, ha terminato gli studi teologici. È stato ordinato Diacono il 12 marzo 1985 ed è stato incardinato nell’allora indivisa Diocesi di Trincomalee-Batticaloa. Ha ricevuto l’Ordinazione sacerdotale il 21 maggio 1986, nella chiesa Cattedrale di Trincomalee. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1986-1988: Vicario parrocchiale nella chiesa con-Cattedrale di Batticaloa; 1988-1989: Parroco della chiesa di Iruthayapuram, Batticaloa; 1989-1993: Parroco della chiesa di Our Lady of good Health, di Akkaraipattu; 1993-1999: direttore dell’Apostolato catechetico, biblico e liturgico, Batticaloa; 1999-2001: Studi superiori presso l’Università Urbaniana, in Roma, risiedendo presso il Convitto Ecclesiastico Leoniano; 2001-2011: Professore presso il Seminario Nazionale di Kandy; dal 2011: Vicario Episcopale della Diocesi; dal 2012: Economo Generale della Diocesi.
La Diocesi di Trincomalee (1893), suffraganea dell’Arcidiocesi di Colombo, ha una superficie di 2.727 kmq e una popolazione di 378.182 abitanti, di cui 19.606  sono cattolici. Ci sono 13 Parrocchie, servite da 36 sacerdoti  ( 20 diocesani e 16 religiosi), 18 Fratelli Religiosi,  34 suore e 4 seminaristi.

Il Papa ha nominato arcivescovo abate dell’arcidiocesi metropolitana di Modena-Nonantola (Italia) il Reverendo Erio Castellucci, del clero della diocesi di Forlì-Bertinoro, finora Vicario episcopale, Docente e Parroco della parrocchia “S. Giovanni Apostolo ed Evangelista”, in Forlì. Mons. Castellucci è nato a Forlì l’8 luglio 1960. Ha conseguito il diploma Magistrale ed ha compiuto gli studi istituzionali per il sacerdozio al Pontificio Seminario Regionale “Benedetto XV” di Bologna, conseguendone il baccalaureato in Teologia (1983), dopodiché, come alunno del Seminario Lombardo di Roma, ha conseguito la laurea in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana (1988), con una tesi su “Dimensione cristologia ed ecclesiologica del presbitero nel Concilio Vaticano II”. È stato ordinato presbitero il 5 maggio 1984 per la diocesi di Forlì-Bertinoro, dove è incardinato e risiede. Dal 1984 al 1986 è stato Collaboratore pastorale presso la parrocchia di San Gregorio Magno alla Magliana (Roma); dal 1984 al 1992 Parroco a S. Tommaso Apostolo a Durazzanino; dal 1995 è Responsabile diocesano della Pastorale Giovanile e nel 1988 è stato nominato Vice-Rettore del Seminario Minore; dal 2005 al 2009 è stato Preside della Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna; dal 2009 al 2012 Membro del Consiglio Presbiterale e Pastorale diocesano; dal 1993 Assistente diocesano degli Scout Agesci; dal 2009 Vicario Episcopale per la cultura, l’Università e scuola, la famiglia, i giovani, vocazioni e turismo. Dal 2009 è Vicario episcopale per la Cultura, l’Università e la Scuola, la Famiglia, i Giovani, le Vocazioni e il Turismo; Parroco di San Giovanni Apostolo ed Evangelista in Forlì. Inoltre è Padre spirituale nel Seminario Vescovile e Docente presso l’Istituto Interdiocesano di Scienze Religiose a Forlì.

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Forum “Educare oggi e domani”. Parolin: domina l'"homo oeconomicus"

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“Educare oggi e domani” è il tema del Forum ospitato oggi a Parigi, in Francia, nella sede dell’Unesco, promotrice dell’evento insieme con la Congregazione per l’Educazione Cattolica e la Missione permanente della Santa Sede presso l’organizzazione dell’Onu per l’Educazione, la Scienza e la Cultura. Ad aprire i lavori è stata la direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova. A seguire gli interventi dell'arcivescovo Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede, del cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, e del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Il servizio di Roberta Gisotti

Tre importanti ricorrenze sullo sfondo di questo evento parigino: 70 anni dalla nascita dell’Unesco, 50 anni dalla Dichiarazione conciliare "Gravissimus educationis" e 25 anni dalla Costituzione apostolica "Ex corde Ecclesiae" sulle università cattoliche. E se l’Unesco nasceva dopo la Seconda Guerra mondiale – ha messo in luce il cardinale prefetto Grocholewski – “sulla spinta di un irrefrenabile desiderio di pace, di rispetto reciproco e di cooperazione internazionale”, oggi “l’educare – ha osservato il porporato – se mai è stato facile, assume caratteristiche più ardue”, per una formazione completa della persona umana “nella sua dimensione naturale e trascendente”, al servizio responsabile della società per edificare il “bene comune”. Per vincere questa sfida, l’educazione ha bisogno di formatori formati. Non è sufficiente – ha ammonito il prefetto Grocholewski – essere maestri di quello che si insegna, affidando il successo educativo all’efficacia dei metodi, delle tecniche e tecnologie. E' necessario essere credibili testimoni della verità e del bene, attraverso la coerenza della propria vita”. Non ha nascosto il porporato i tanti “insuccessi” negli sforzi compiuti “per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita”. Da qui, l’invito a rispondere all’emergenza educativa, risalendo alle “cause profonde” che hanno provocato la “fragilità della situazione odierna”.

Oggi, “l’educazione – ha aggiunto l’osservatore permanente, mons. Follo – deve essere anzitutto trasmettere “il senso della vita” e, a seguire, veicolare “conoscenza di sapere e di saperi, di diversità culturale”, per rispettare veramente “quello che conosciamo e che quello che non conosciamo cessi di essere considerato come ‘barbaro’”. Educare – ha spiegato mons. Follo – non significa solamente dare delle informazioni, inculcare conoscenze, ma formare ai principi di una cultura in grado di umanizzare ulteriormente l’uomo. “Non si deve educare per potere o per servire (questa è una visione strumentale dell’educazione) qualcosa ma qualcuno, educare non è dare solamente ragioni per vivere ma per chi vivere”.

Per questo, “la Chiesa cattolica, esperta di umanità – ha sottolineato il cardinale Parolin, segretario di Stato – ha posto l’educazione al centro della sua missione e continua a considerarla una priorità ai nostri giorni, specialmente in un contesto d’urgenza globale, provocata sia da un processo di cambiamento che da un approccio riduzionista che tende a limitare la portata universale dell’educazione all’aspetto puramente economico”. Per questo, ha aggiunto il porporato, “la recente crisi finanziaria” “di tipo entropico”, ovvero interna al sistema, “ha originato una perdita di senso e quindi di apatia sociale” verso il bene comune, “in nome di un’antropologia minimalista dell’"homo oeconomicus", che soffoca le relazioni interpersonali e intrappola le potenzialità razionali”.

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Opere Missionarie a Cuba: vitalità in mezzo a tanta miseria

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Povertà estrema e viva attività missionaria: sono due aspetti che caratterizzano Cuba, il Paese dove il disgelo con gli Stati Uniti fa sognare gli stranieri, ma lascia fuori il popolo e dove il prossimo settembre è attesa la visita del Papa. Ne parla al microfono di Gabriella Ceraso padre Castor Josè Alvarez Devesa che all’Assemblea generale delle pontificie opere missionarie in corso a Roma porta le attese di una chiesa giovane e bisognosa di sostegno . Sentiamo la sua testimonianza: 

R. – Il popolo si domanda “cosa sarà di noi?”. Tanta gente vuole andarsene da Cuba. Non ci sono aperture per la gente. Continuiamo, quindi, a vedere il popolo in una grande sofferenza per mangiare, per riuscire a mangiare.

D. – C’è, dunque, preoccupazione per la realtà sociale, per quale sarà il futuro del popolo?

R. – Grandissima, grandissima. Lo Stato ha detto che ogni dollaro del salario di provenienza straniera equivarrà a due pesos per i cubani, quando un dollaro equivale a 20 pesos o più. Diciamo quindi che il 90% va allo Stato e il 10% al lavoratore. Il futuro, quindi, vede forse un lavoratore che guadagnerà un po’ di più, ma sempre senza libertà. Non si parla più di libertà per noi: si parla solo di possibilità per gli stranieri.

D. – L’arrivo del Papa, lei pensa possa significare qualcosa?

R. – Io penso di sì. Certamente ringrazio Papa Francesco. E’ una grande sfida per lui: andare a Cuba e non essere lontano dal popolo sofferente. Per questo il nome che ha scelto per questa visita è quello di “missionario della misericordia”. Un popolo nella miseria ha bisogno di misericordia, di amore, di speranza e pure di vicinanza.

D. – Che testimonianza porta qui all’Assemblea, un’Assemblea che si interroga sulla universalità della missione, ma anche sui problemi che ci sono oggi?

R. – A Cuba c’è un grande lavoro missionario della Chiesa, grazie a Dio. In mezzo al deserto, che abbiamo avuto per tanti anni, prima di Giovanni Paolo II, adesso la Chiesa è uscita, e noi siamo molto lieti delle parole di Francesco, che incoraggiano il popolo cristiano ad andare fuori, in missione. Noi, infatti, grazie a Dio, andiamo in missione. A Cuba, lo Stato non ci lascia edificare nuove chiese regolarmente, ma  nelle case delle famiglie noi diciamo Messa, la domenica, e raduniamo il popolo. Sono sorte a Cuba più di 2.300 case di missione. Lo Spirito Santo ci ha regalato questa opportunità e per noi è una grande gioia. A volte i missionari cubani percorrono più di 100 km in una giornata, per esempio la domenica, per andare nei villaggi di campagna e fare i catechisti, gli animatori della missione, dalle 8 del mattino alle 20 di sera.

D. – C’è, quindi, una grande vitalità, ma ci sono anche dei bisogni…

R. – Per esempio, i progetti, i sussidi per le diocesi. C’è la speranza che le Pontificie Opere Missionarie aiutino Cuba e i vescovi cubani con i progetti missionari  che alle volte includono anche i bisogni dei sacerdoti.

D. – Alla fine dei lavori dell’Assemblea, voi andrete in udienza dal Papa. Che cosa lei vorrebbe portare al Papa nello specifico e c’è qualcosa che vorrebbe ricevere?

R. – Io ringrazio grandemente il Papa e gli chiederò di stare accanto al popolo cubano, alla sua sofferenza.

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Ctv presenta documentario: "Sindone. Storia di un mistero"

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In preparazione alla visita di Papa Francesco a Torino, il 21 e 22 giugno prossimi, è stato presentato oggi alla stampa il dvd: “Sindone. Storia di un mistero” realizzato dal Centro Televisivo Vaticano assieme all’Officina della Comunicazione. Da domani sarà reperibile anche in edicola e poi visibile su Tv2000 e su Sky. C’era per noi Benedetta Capelli

“Nel Volto sfigurato della Sindone vediamo la sofferenza dei più deboli e ci immergiamo nel silenzio dell’amore”. Le parole di Papa Francesco, pronunciate due anni fa in occasione dell’Ostensione televisiva della Sindone, sembrano guidare il documentario realizzato dal Ctv insieme all’Officina della Comunicazione. E’ un immergersi nel mistero, senza l’intenzione di proporre una tesi, senza scegliere di avere una prospettiva scientifica o di fede, ma semplicemente ponendosi dinanzi al Sacro Lino con tutti gli sguardi possibili e svelarne così enigmi e segreti. Mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano:

R. – E il racconto di un mistero perché il telo della Sindone costituisce un mistero sia nella datazione, ma soprattutto per ciò che rappresenta. Per noi credenti, indipendentemente dai risultati della scienza, questo Lino è il rimando a un uomo che ha sofferto che è stato ucciso in croce e che rimanda con evidenza all’uomo dei Vangeli. Per un non credente diventa semplicemente un telo su cui poter fare nuovi studi. Questo documentario è stato preparato in vista della visita di Papa Francesco a Torino e diventa un’occasione importante anche per una catechesi per un approfondimento. In fondo, la Sindone molto spesso spacca: chi è a favore o chi è contro. Io ritengo che un’immagine come la Sindone è ricca dello sguardo di chi guarda. E per noi connotarlo cristianamente significa riconoscere lì un mistero che è il mistero di Cristo morto e risorto e soprattutto, come dice Papa Francesco, più che guardare la Sindone, più che uno sguardo curioso, è uno sguardo che si lascia attrarre dallo sguardo della Sindone.

Il progetto è stato realizzato grazie al contributo dello scrittore Marco Roncalli e dal vaticanista de “La Stampa” Andrea Tornielli:

R. – Credo sia il tentativo di offrire allo spettatore un percorso che entri dentro il mistero della Sindone, lasciando da parte le tesi contrapposte – relative all’autenticità o alla non autenticità – ma fermandosi sull’immagine, su ciò che contiene. Ed è un’immagine che, oggettivamente, rimane misteriosa per come si è formata e resta soprattutto uno specchio fedelissimo del racconto dei Vangeli della Passione. Questo è il motivo per cui milioni di persone vanno a vedere la Sindone. Il punto però è il mistero dell’immagine, e ciò che questa immagine evoca e richiama.

Un lavoro che è stato, per Andrea Tornielli, un’esperienza personale:

R. – Io ho fatto un libro, una prima volta nel 2010, seguendo quell’ostensione e, da allora, faccio tanti incontri per accompagnare le persone che vanno a vedere l’ostensione, in questo modo con una preparazione previa. È una cosa che mi colpisce tantissimo: io credo che la Sindone non lasci indifferente nessuno se uno ci si mette di fronte. Per quanto riguarda i tentativi di analizzare la Sindone, in vista dell’autenticità o della non autenticità, è giusto che la scienza faccia tutti i suoi passi e compia tutte le prove che deve compiere. Ripeto, secondo me, c’è un valore che prescinde anche da tutto questo discorso scientifico. Innanzitutto, non è provato in alcun modo la falsità della Sindone, così come non ne è provata l’autenticità. Non è provato il fatto che sia un falso e sono tante le cose che vanno contro l’idea anche sia un falso. A tutt’oggi, infatti – nel 2015 – nessuno è riuscito a riprodurre questa immagine in una maniera soddisfacente: nessuno è riuscito a fare una copia della Sindone con le conoscenze che abbiamo oggi. Dunque, forse oggi, ancora di più che 50 anni fa, possiamo dire che dietro quell’immagine c’è un mistero.

Singolare la sinergia con “Famiglia Cristiana” e “Credere” ma soprattutto con il quotidiano torinese “La Stampa” e “il Secolo XIX” che nell’area Piemonte-Liguria e Valle D’Aosta allegheranno il dvd alle copie dei giornali. Il 21 giugno, quando il Papa sarà a Torino,  il documentario sarà visibile su Tv 2000 mentre su Sky3D andrà in onda uno speciale di 15 minuti nel quale si proporrà l’immagine dell’Uomo della Sindone, frutto di tecnologie di "modelling" e di tecniche avanzatissime che hanno preso in esame le informazioni tridimensionali impresse nel negativo del telo. Una assoluta novità che però non vuole proporsi come un lavoro scientifico. Ancora mons. Viganò:

R.  – Questa è un’esperienza nuova, una post-produzione che è stata resa possibile grazie a un team tecnologico molto raffinato. Ed è per la prima volta la presentazione virtuale di un’immagine tridimensionale di quel corpo che è stato avvolto dal Lino. Quindi, rappresenta un primo step di quello che magari il futuro ci riserverà.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, Economia a misura di famiglia. All’udienza generale il Papa denuncia le conseguenze della povertà e invoca una nuova etica civile

Sotto, Nessuna svolta contro l’Is. La coalizione internazionale assicura sostegno all’Iraq ma non cambia strategia

Nella pagine della cultura "La bellezza terapeutica. Chiesa cattolica ed educazione a settanta anni dalla fondazione dell’Unesco" del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin.

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Oggi in Primo Piano



Card. Scola: vado in visita tra i rifugiati iracheni di Erbil

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L’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, sarà in Libano e in Iraq dal 16 al 20 giugno. In Libano, interverrà ai lavori del Sinodo dei vescovi locali sulla presenza cristiana in Libano e Medio-Oriente e sul tema della Famiglia. Il 19 giugno, in Iraq visiterà i campi profughi allestiti ad Erbil, nel nord del Paese. Per contribuire a sostenere concretamente le necessità immediate delle migliaia di famiglie che lì hanno trovato rifugio, è in corso nella Chiesa ambrosiana una raccolta di fondi straordinaria. Sui motivi della visita, Adriana Masotti ha intervistato lo stesso cardinale Scola: 

R. – Direi che la visita si colloca anzitutto in maniera immediata nell’amicizia con il Patriarca Béchara Raï dei maroniti e con il Patriarca Sako dei caldei. Loro mi hanno invitato caldamente: soprattutto in Iraq, sentono molto il bisogno che la nostra solidarietà si esprima anche in gesti tangibili. Sono molto contenti della preghiera che noi facciamo per loro, anche del sostegno economico, per quanto possiamo, ma hanno insistito, soprattutto i vescovi dell’Iraq, per una presenza fisica. E io mi sono deciso a questo proprio in occasione della preghiera indetta dalla Conferenza episcopale, che è stata ripresa qui a Milano nelle parrocchie, nei decanati, in una veglia per i perseguitati e per i martiri a Sant’Ambrogio, e ho visto che dovevo interpretare la partecipazione del mio popolo di fedeli al dolore e alla grandissima fede di questi fratelli, facendomi presente fisicamente. Poi, in particolare, per quanto riguarda Beirut da tempo il Patriarca Béchara Raï mi aveva invitato all’incontro dei 40 vescovi del Sinodo maronita per dire un po’ che tipo di valutazione noi diamo, come Occidente, di quello che sta succedendo, che peso abbia per noi in Europa. E poi, avrò anche l’occasione di incontrare gli operatori familiari. Quindi, è uno scambio di comunione tra le Chiese.

D. – L’importanza di questo: una grande diocesi in Italia e una comunità che vive particolari difficoltà e a volte anche persecuzioni…

R. – Io la sento, io lo dico parlando per me, come un pugno nello stomaco e una provocazione nobile, a noi cristiani europei, a essere più seri nella testimonianza. Speriamo che sia, il nostro, il martirio della pazienza e non quello del sangue, come per molti nostri fratelli. Ma in ogni caso è impossibile che noi non riceviamo il loro invito, diretto o indiretto, a una fede che incida molto di più sulla realtà, che sia un punto di attrattiva per noi stessi e per tutti i nostri fratelli uomini, che sia una comunicazione piena di ascolto e con un abbraccio – come ci dice Papa Francesco – di misericordia verso tutti, nella lealtà e nella verità della proposta che Cristo è per l’uomo contemporaneo.

D. – Vicinanza spirituale reciproca, dunque, ma anche concreta: infatti lei, insieme con la Caritas ambrosiana, ha lanciato domenica scorsa una raccolta fondi straordinaria per i profughi iracheni…

R. – Sì, perché la verità della comunione si vede anche nel riconoscimento del grande principio della Dottrina sociale, della destinazione universale dei beni. Tutto ciò che abbiamo, anche come cosiddetta proprietà privata, l’abbiamo ultimamente in uso e se il bisogno – e il bisogno di questi nostri fratelli – non ci muove a rinunciare a qualcosa, non soltanto del superfluo, ma anche del necessario per aiutarli, vuol dire che la nostra comunione è ancora troppo una parola.

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A Parigi, le difficoltà della coalizione contro l'Is

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Nonostante la forte unità e la comunità di intenti, ieri a Parigi si è parlato di “fallimento” della strategia della coalizione a guida statunitense che combatte il sedicente Stato islamico. Le accuse sono arrivate proprio dal primo ministro iracheno, Al Abadi, che chiede all’Occidente forniture di armi per fronteggiare più efficacemente il Califfato. Sull’esito dell’incontro di Parigi, Giancarlo La Vella ha intervistato Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della sera per la politica estera: 

R. – Non mi sorprende il fatto che non si sia raggiunto un accordo, perché tutto è reso complicato dai giochi che non riusciamo fino in fondo a comprendere. Per esempio, proprio in queste ore, il giornale “Haaretz”, della sinistra israeliana, scrive che Assad potrebbe avere stretto un accordo segreto con l’Is. Ora, se dovesse accadere questo, sarebbe una cosa veramente drammatica: significherebbe la rottura di tutti gli schemi sui quali siamo stati abituati a ragionare. Io non credo che questo sia possibile, ma in una guerra “sporca” come quella siro-irachena, è comprensibile che persino tra nemici si cerchi di trovare un modo per contenere quello che può essere il nuovo comune nemico.

D. – Secondo alcuni osservatori, l’Occidente sarebbe poco preoccupato dello Stato islamico finché opera in Medio Oriente. È questa anche la tua idea?

R. – Certo, e questo mi preoccupa: l’indifferenza mi ha sempre fatto paura. Anche l’indifferenza davanti a un problema che non ci riguarda da subito, ma ci potrebbe riguardare domani. È vero che l’Is non è ancora sulle nostre coste, però io temo che i jihadisti abbiano propaggini che sono già presenti nei nostri Paesi: in Italia, in Francia, in Germania... E quindi questo può – e deve – provocare un certo allarme.

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Yemen, oltre mille vittime civili: Onu chiede tregua umanitaria

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Si aggrava la situazione umanitaria in Yemen e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite chiede una nuova tregua umanitaria tra i ribelli Houti e le forze della coalizione saudita che sostengono il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale, Abd Rabbo Mansour Hadi. Eugenio Murrali ha sentito Eleonora Ardemagni, esperta dell’area del Golfo: 

R. – La nuova richiesta da parte dell’Onu per una tregua umanitaria giunge mentre sono in corso in Oman, da alcuni giorni, dei colloqui informali tra emissari americani – in particolare l’Alto funzionario per il Medio Oriente, Anne Patterson – e le parti yemenite: quindi gli Houthi, i ribelli del Nord, e i rappresentanti del governo legittimo di Hadi. Questa richiesta di tregua, dunque, ci fa capire che in Oman le parti stanno discutendo sulla possibilità di giungere a un punto di dialogo politico, che possa portare a una ripresa dei colloqui di pace – magari a Ginevra – come si era auspicato già settimane fa. C’è già stata una tregua umanitaria di cinque giorni nel mese di maggio, in concomitanza con il viaggio dei leader delle monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo a Camp David, invitati da Barack Obama. Dunque, gli Stati Uniti seguono molto da vicino quello che sta avvenendo in Yemen: ricordiamoci che, sullo sfondo della questione yemenita, per gli Stati Uniti c’è il rapporto con il principale alleato – l’Arabia Saudita – e quello con l’Iran, nella delicatissima fase in cui il negoziato sul nucleare sta giungendo a un punto di arrivo.

D. – Amnesty International riferisce anche di 16 milioni di persone senza accesso all’acqua potabile: una crisi di così vaste dimensioni che risvolti può avere da un punto di vista umanitario e politico?

R. – Da quando l’intervento della coalizione militare araba a guida saudita è iniziato, in Yemen è in atto un blocco aereo e navale. Dunque, la situazione umanitaria – già grave – della popolazione yemenita è ulteriormente peggiorata. Lo Yemen è il Paese più povero del mondo arabo e dipende per il 90% dalle importazioni alimentari. In una situazione di blocco navale, quindi, questo ci fa capire quanto i bombardamenti abbiano inciso sulla vita quotidiana degli yemeniti. La crisi idrica è poi un altro elemento che questa fase di guerra ha peggiorato. Tra l’altro, in una situazione di violenza diffusa e di instabilità, i flussi migratori sono cambiati: perché, se prima i somali arrivavano in Yemen per cercare riparo, adesso sono gli yemeniti – chi di loro può – a lasciare il Paese per raggiungere Gibuti, che è l’area più sicura della zona, grazie anche alle basi militari statunitense e francese, e per raggiungere la Somalia. Assistiamo, quindi, a una situazione umanitaria davvero pesante.

D. – L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani sostiene che, tra il 26 marzo e il 20 maggio 2015, hanno perso la vita almeno 1.037 civili, 234 bambini e 130 donne. Quali le ragioni, anche tecniche, di un conflitto così sanguinoso?

R. – L’intervento aereo della coalizione militare araba è iniziato mentre in Yemen era già presente una forte tensione tra fronti militari del Nord – gli Houthi – e le parti dell’esercito ancora fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh contro il governo in carica del presidente Hadi. Non dimentichiamoci che nella penisola arabica c’è una forte presenza di Al Qaeda, che ha stretto alleanze significative con alcune tribù del Sud dello Yemen, in particolare in Hadramaut. E lo stesso Al Qaeda sta dunque approfittando di una situazione di crescente violenza interna per espandere il proprio controllo territoriale. Oltretutto, in una fase già così convulsa, una cellula che rivendica di essere affiliata al cosiddetto Stato Islamico in Yemen ha organizzato già diversi attentati negli ultimi mesi, tra cui il più grave a Sana’a contro alcune moschee frequentate in particolare dagli sciiti, che è costato la vita a circa 130 persone nel mese di gennaio.

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Ocse, ripresa c'è ma poca produttività. In Italia più lavoro

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In Grecia, servono le riforme per far ripartire crescita e investimenti. Lo afferma l’Ocse che oggi a Parigi ha presentato l’"Economic Outlook". Sul fronte globale, la crescita globale "si rafforzerà gradualmente” e verso la fine del 2016 ritornerà al livello pre-crisi, anche se ci sono spazi per migliorare ancora. Sul fronte lavoro arrivano notizie positive in Italia. Per l’Istat, la disoccupazione ad aprile è scesa al 12,4%. Il servizio di Alessandro Guarasci

La ripresa c’è a livello globale, eppure per l’Ocse “le prospettive non sono soddisfacenti: nonostante i venti favorevoli e le azioni politiche, l'investimento reale è stato tiepido e la crescita della produttività deludente”. Fatto sta che l’organizzazione di Parigi taglia le stime del Pil. Sull'area Ocse si attende rispettivamente un +1,9% sul 2015 e +2,5% nel 2016, sull'area euro +1,4% e +2,1%. Meglio vanno gli Usa. Difficile, molto, la situazione in Grecia dove, dice l’organizzazione, “le incertezze legate al programma di riforme e al deterioramento  delle condizioni di liquidità hanno minato la fiducia delle imprese e  gli investimenti”.
Per l’Italia ci sarà un +0.6 nel 2015 e 1.5% nel 2016. Le riforme però devono essere portate avanti. D’altronde, sul mercato del lavoro, per l’Ocse effetti positivi arriveranno dal "Jobs Act". E proprio dal lavoro arrivano buone notizie. Per l’Istat, la disoccupazione ad aprile è scesa al 12,4% dopo l'incremento degli ultimi due mesi. Rispetto al mese prima, si contano 159 mila occupati in più. Renzi chiede di andare avanti con le riforme. Il parere di Gigi Petteni, segretario confederale Cisl:

“Io credo che gli sgravi alle assunzioni siano un incentivo. E’ vero che in questa prima fase c’è molta trasformazione di lavoro: noi stiamo concludendo molti accordi, secondo i quali i lavoratori che venivano assunti con collaborazioni e così via vengono portati a contratti a tutele crescenti. Per cui, da un lato questa riforma sta dando alcuni primi risultati che riguardano anche la qualità del lavoro, che io non sottovaluterei, perché uno dei problemi forti degli ultimi anni è stato anche quello di un degrado delle forme di lavoro. E' chiaro che se incominciamo a far costare meno i contratti a tempo indeterminato e incominciamo a far pagare meno l’Irap rispetto agli assunti, tutto questo è uno stimolo a incentivare il livello di occupazione. Però, siamo all’inizio. Il nostro Paese, un Paese manifatturiero, deve porre grande attenzione, più di quanto non sia stato fatto in passato, a fare una politica industriale perché questa è una base forte della formazione e della ricchezza del nostro Paese. I Paesi in cui il livello del manifatturiero industriale è buono, sono anche i Paesi che hanno una maggiore inclusione sociale”.

Per il giurista esperto di lavoro, Nunzio Bevilacqua, è ancora troppo presto per dire se la ripresa dell’occupazione è frutto del "Jobs Act":

"Il clima favorevole per le politiche di assunzione, comunque, conta tanto. Certo, dire che queste oscillazioni sul breve termine possano essere la diretta conseguenza delle politiche del "Jobs Act", forse è ancora troppo presto: bisognerà attendere la fine del terzo trimestre di quest’anno. Certo è che comunque, per quanto riguarda le politiche del lavoro, le nuove normative che sono entrate in campo hanno comunque iniziato a sortire i primi effetti. Ora, bisognerà cercare di coltivare questo clima anche attraverso una successiva collaborazione, anche eventualmente con il governo. Diciamo che se riusciamo ad allineare una diminuzione del costo del lavoro con un aumento della domanda interna e uno snellimento burocratico, le tre componenti insieme potranno farci pensare che presumibilmente a fine anno ci possa essere un aumento consolidato dei dati occupazionali".

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"Chiesa in uscita". Mons. Feroci: siamo vicini agli anziani

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“Chiesa in uscita: una comunità che si fa prossima con gli anziani”. Questo il titolo del Seminario organizzato dalla Caritas di Roma nell’ambito dell’iniziativa “Quartieri soldali”. Il servizio di Alessandro Filippelli

Sono più di 500 gli anziani accolti da 200 volontari di 16 parrocchie. Questi i dati che descrivono i primi due anni di attività del progetto che coinvolge i volontari delle comunità parrocchiali verso l’organizzazione di azioni rivolte agli anziani in condizioni di fragilità. L’iniziativa intende favorire la partecipazione dell’anziano alla vita sociale per contrastare fenomeni come la solitudine e l’isolamento che, vissuti in età avanzata, costituiscono la prima reale forma di emarginazione. Mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia:

“Ci si rende sempre più conto che la società di oggi, senza l’attenzione alla famiglia in tutte le sue articolazioni, rischia di finire nell’imbuto di quell’individualismo, che sta indebolendo sempre più le nostre società. Il problema è che bisogna riscoprire la bellezza del 'noi', di un 'noi differente', di un 'noi' plurale, perché questo, se riscoperto fin da bambini, significa dare un impulso all’intera società, che oggi è sfidata esattamente su questo terreno”.

Il quartiere, dunque, inteso come "villaggio" in grado di recuperare e creare risorse umane e non un luogo di problemi e criticità, che vede nelle parrocchie il perno centrale di una rete estesa alla comunità. Mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma:

“Cerchiamo di mettere in piede nelle parrocchie quello che chiamiamo 'sale di socializzazioni': laboratori presso locali parrocchiali, il rafforzamento delle conoscenze manuali, culturali e sociali... E abbiamo anche un’assistenza domiciliare, che chiamiamo 'leggera', dove anche i nostri operatori oppure i volontari, oppure le persone della parrocchia vanno a intercettare persone sole, per poterle non solamente servire, ma per poterle prendere, farle uscire di casa e immetterle nel circuito dei rapporti le une con le altre”.

L’iniziativa si è così sviluppata attraverso percorsi che hanno permesso ai volontari di realizzare per gli anziani in difficoltà. Alessia Celentano, operatrice dell’iniziativa “Quartieri solidali”:

“I vari progetti, all’interno delle parrocchie, sono stati personalizzati. Quindi, ogni parrocchia ha studiato un po’ quello che è il bisogno di quartiere e non si improvvisa dunque in un servizio. A seconda del bisogno del quartiere, e anche delle risorse della parrocchia, abbiamo creato dei progetti che potessero comprendere sia l’assistenza domiciliare – quindi andare a cogliere proprio il bisogno specifico, quello dell’isolamento, della non autosufficienza, dell’impossibilità di gestire alcune pratiche – che, dall’altra parte, l’aspetto della socializzazione per tutti quegli anziani che vivono una situazione di isolamento, non legata a criticità o a problemi fisici, e che quindi ancora sono in grado di muoversi e di vivere una vita di comunità – nella gioia, però, nell’allegria, insomma nella socializzazione, con le persone che vivono anche la parrocchia. Un’altra cosa che aggiungo è la relazione di quartiere: l’apertura della Chiesa, dunque, non solo a chi va in Chiesa, ma anche a tutte le persone che sono fuori, che magari hanno anche la disponibilità e l’attenzione cristiana, anche se non sono praticanti, e che vogliono dare una mano. In tantissime parrocchie, queste persone si sono avvicinate perché è stata data loro un’opportunità di prossimità”.

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L'arte e la Luce: in mostra a Roma le opere di Rodolfo Papa

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Trent’anni di studio sulla luce: è questo il contenuto della mostra “Lux Lucis” del pittore Rodolfo Papa allestita a Roma dal 3 al 5 giugno presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. L’evento si inserisce all’interno della Conferenza internazionale “Fiat Lux” organizzata in occasione dell’Anno internazionale della Luce e che vede riuniti Premi Nobel, fisici, filosofi e teologi di tutto il mondo. “La pittura scrive con la luce”, spiega Rodolfo Papa, al microfono di Paolo Ondarza: 

R. – Rappresentare la luce, mettere la luce nei colori, nella pittura, è la “missione impossibile” perché con una materia opaca – come sono i colori – bisogna cercare di rappresentare una realtà fisica, ma che ovviamente ha tutt’altra consistenza.

D. – La luce è fenomeno naturale da osservare, la luce è simbolo, la luce è una Persona per il cristianesimo…

R. – Certo, questo è il punto fondamentale. Se si osservano tutti i miei lavori, il filo che li lega è per esempio il titolo: tutti i paesaggi in realtà hanno come titolo “teofania”, cioè chi osserva la natura, osserva il Creato, chi osserva il Creato, attraverso di esso guarda al Creatore. Quindi, la quantità di dipinti che parlano di un’alba, di un sole che nasce, di fatto simbolicamente non fanno altro che rappresentare quel volto di Dio che si specchia nella creatura, che è la natura da Lui creata.

D. – E’ un elemento, la luce, che ha ispirato generazioni di artisti, sia per le sue connotazioni simboliche ma anche perché la luce – per definizione – svela una realtà…

R. – Infatti, c’è uno dei percorsi della mostra che ha al centro dei drappi che si spostano con il vento e fanno apparire la luce: velata dalle nuvole o direttamente il sole che sorge… Hanno un titolo classico, un titolo rinascimentale: “Il tempo che svela la verità”, e “Lo spazio che svela il tempo”...

D. – La luce unifica, unifica vari elementi, ed è bello anche l’approccio di questo convegno che riflette sulla luce interpellando l’arte, oltre alle materie scientifiche. Lei è stato chiamato a esporre le sue opere nell’ambito di questo consesso di studiosi, Nobel fisici, filosofi, teologi di tutto il mondo, che si interrogano sulla luce…

R. – Io ringrazio gli organizzatori perché hanno scelto il mio lavoro e questo veramente mi riempie di gioia e di soddisfazione. Il connubio tra fede e scienza è un connubio antichissimo: alla fine del 1100 e inizio del 1200, i Francescani capirono che più scienza permette di arrivare a comprendere meglio Dio, a riflettere profondamente su Dio. La “Fides et Ratio” di Giovanni Paolo II dice che queste sono le due ali che fanno volare l’uomo e il pensiero. Io, in occasione di uno degli ultimi libri che ho scritto, ho sottolineato che tra lo spazio della fede e lo spazio della ragione c’è in mezzo lo spazio dell’arte. Perché l’arte si nutre profondamente di fede e profondamente di scienza, profondamente di filosofia e profondamente di teologia, di spiritualità, e non può stare senza le due cose. Quindi, l’arte è lo spazio, l’incontro profondo, sperimentale, attuativo delle due discipline.

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Nella Chiesa e nel mondo



Sud Sudan: migliaia di sfollati a causa dei combattimenti

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I pesanti combattimenti degli ultimi due mesi negli Stati di Unity e Upper Nile nel Sud Sudan hanno provocato la migrazione forzata di più di 100mila persone e bloccato le consegne di aiuti umanitari per circa 650mila persone, dal momento che le Organizzazioni umanitarie sono state costrette a ritirarsi. Dall'inizio dell'anno, circa 60mila cittadini sud sudanesi hanno lasciato il Paese, per raggiungere soprattutto il Sudan (30.000), l’Etiopia (15.000) e l’Uganda (15.000), portando il numero di sud sudanesi fuggiti dal Paese da dicembre 2013 a circa 555.000, mentre gli sfollati all’interno del Paese sarebbero circa 1,5 milioni.

Un terzo di sud sudanesi non hanno cibo a sufficienza
I rifugiati citano la recrudescenza dei combattimenti, ma anche la crescente insicurezza alimentare tra le principali ragioni che li hanno indotti a fuggire dalle loro case. Si stima che non abbiano cibo a sufficienza più di 3,8 milioni di persone, cioè un terzo della popolazione del Sud Sudan, che è di 11 milioni di persone. Tutti gli uffici dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr) in Sudan, Etiopia e Uganda hanno registrato un forte aumento degli arrivi nel mese di maggio.

In fuga donne e bambini
Solo la scorsa settimana, circa 6.000 sud sudanesi sono arrivati ​​nel White Nile State e nel Sud Kordofan in Sudan. La maggior parte si trovano nel White Nile State, dove l’87% delle famiglie di rifugiati hanno per capofamiglia una donna e il 72% sono bambini. Attualmente, i rifugiati che arrivano sono ospitati nella zona del confine e all’interno di un sito aperto di recente, chiamato El Redis II. Considerato il peggioramento delle condizioni di sicurezza e della situazione umanitaria sul lato sud sudanese del confine, l'Unhcr e i suoi partner si stanno preparando per un aumento del flusso di rifugiati. 

La stagione delle piogge aggraverà la situazione
L’imminente stagione delle piogge rende necessario predisporre gli aiuti in anticipo, dal momento che molte delle aree in cui si trovano i rifugiati possono diventare inaccessibili. Per garantire continuità all’assistenza umanitaria, ò'agenzia dell'Onu sta costruendo una banchina sul Nilo Bianco e nuove strade per raggiungere i siti in cui si trovano i rifugiati. Le condizioni dell'acqua e dei servizi igienico-sanitari in molti di questi siti devono essere rapidamente migliorate.

Preoccupazione Onu per la carenza di fondi
​Con il rapido aumento del numero di sud sudanesi in fuga dal proprio paese, l’Unhcr esprime grave preoccupazione per il fatto che il Piano di risposta regionale per i rifugiati del Sud Sudan per il 2015, che copre i programmi per i rifugiati nei Paesi limitrofi, gestito dall'Onu e da 39 partner, sia finanziato solo al 10%. Molte attività di vitale importanza, come la fornitura di acqua potabile, di servizi igienico-sanitari, di cibo e di alloggi rimangono pertanto gravemente sottofinanziate. (R.P.)

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Venezuela: appello card. Urosa per studenti in sciopero della fame

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E’ ancora alta la tensione in Venezuela, dove prosegue lo sciopero della fame iniziato il 23 maggio in carcere dai due leader dell'opposizione Leopoldo Lopez e Daniel Ceballos, insieme ad altri prigionieri politici, mentre il 30 maggio migliaia di venezuelani hanno manifestato in diverse città del Paese per la loro liberazione. In questo clima l’arcivescovo di Caracas, card. Jorge Urosa Savino, rinnova l’appello al dialogo tra il governo e l’opposizione. Sul blog cattolico “Guardiàn Catolico”, il porporato si dice preoccupato dal fatto che gli oppositori politici abbiano dovuto ricorrere a questo gesto estremo per essere ascoltati. “Penso che questo sia un segno che la situazione politica del Paese non è migliorata negli ultimi mesi”, ha detto il porporato.

Vescovi esortano ad avviare dialogo per uscire dalla crisi
L’arcivescovo di Caracas ricorda che lo scorso gennaio la Conferenza episcopale venezuelana aveva pubblicato un lungo documento sulla crisi economica, politica e sociale del Paese, nel quale ribadiva la necessità di avviare un dialogo per risolvere la drammatica situazione del Paese. “Purtroppo - afferma - la risposta del governo è stata un’altra: non ascoltare chi dissente dalla sua linea politica e inasprire la repressione contro privati cittadini e politici, accusandoli di condurre una guerra economica e politica contro il governo”. Il card. Urosa osserva che questo si riflette anche nei maltrattamenti inflitti ai prigionieri politici. “Questo - afferma - viola i loro diritti umani e la loro dignità. Ceballos, Leopoldo e le altre persone incarcerate per la loro azione politica - aggiunge - non meritano questo trattamento, come non lo merita nessun altro detenuto”. 

Meno conflitto, meno radicalizzazione
Per l’arcivescovo di Caracas, occorre allentare la tensione politica seguendo la strada indicata da Papa Francesco: con il dialogo e abbassando i toni dello scontro politico. “E’ necessario - afferma - abbandonare il conflitto e la radicalizzazione che non conducono da nessuna parte”. Commentando infine la situazione del popolo venezuelano, il porporato ribadisce che è urgente uscire dalla crisi economica causata dall’aumento dell’inflazione e rimediare alla grave carenza di generi di prima necessità e all’insicurezza in cui vivono i cittadini. (A cura di Alina Tufani)

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Cuba: piano pastorale per una Chiesa più missionaria

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“Ci auguriamo che questo Piano pastorale sia per tutti, un camminare della Chiesa pellegrina, nella fede e nella speranza che non delude; per questo proponiamo un semplice itinerario spirituale e di atteggiamenti”: si apre con queste parole il Piano pastorale della Chiesa cattolica a Cuba intitolato “Por el camino de Emaus".

Cammino in quattro punti
Nell’introduzione - riferisce l'agenzia Fides - si esortano “Evangelizzatori ed evangelizzati” a compiere questo cammino “a passi, non a salti”, nella serenità e nella gioia. Vengono quindi proposti quattro passaggi: nel primo viene rivolto a tutti, come battezzati, l'invito a vivere ogni giorno la conversione a Gesù Cristo e alla sua Parola. Fase due: ognuno, come discepolo, annunci la gioia del Vangelo come Buona Novella della salvezza, sentendosi inviato. Fase tre: la testimonianza di amore e di speranza delle nostre comunità e famiglie, sia espressione della comunione e partecipazione missionaria della Chiesa. Fase quattro: portiamo a tutti gli uomini e le donne del nostro Paese, la tenerezza e la misericordia di Dio Padre.

Il documento guarda alla realtà del Paese
L’ampio documento della Conferenza episcopale cubana comprende: una introduzione e una conclusione, il primo capitolo dedicato all’analisi della realtà (sociale, politica, economica, demografica, internazionale, religiosa…), il secondo di carattere biblico-teologico che prende come modello l’incontro dei viandanti di Emmaus con il Signore risorto, quindi il terzo capitolo che presenta una serie di indicazioni operative.

Formazione permanente dei sacerdoti e sostegno dei laici
Tra le proposte “per rendere le nostre comunità autentici focolari di fede”, il documento suggerisce: Promuovere la formazione iniziale e permanente dei sacerdoti come operatori di comunione, partecipazione e responsabilità. Avere chiaro il modello di comunità che vogliamo avere e creare a Cuba. Promuovere la creazione e il consolidamento dei consigli pastorali nelle parrocchie e nelle comunità. Coinvolgere e sostenere i laici, soprattutto coloro che possono esercitare i vari ministeri laicali a servizio della vita comunitaria e del lavoro missionario. 

Parrocchia come comunità di comunità
​Operare perché la parrocchia sia comunità di comunità, comunità di piccole comunità e di case di missione, comunità di gruppi e movimenti. Incoraggiare in ogni diocesi una comunione dinamica, aperta e missionaria. Sensibilizzare tutti sul loro dovere di sostenere la vita della Chiesa e della sua missione evangelizzatrice. Promuovere esperienze di collaborazione, ecumenismo e dialogo religioso con le altre Chiese. (S.L.)

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Congo: i vescovi chiedono un dialogo nazionale

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“Un dialogo nazionale nel rispetto della Costituzione”. È quanto hanno auspicato il 1°giugno i vescovi della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) nell’incontro con il Presidente Joseph Kabila, dedicato alla stesura del nuovo calendario elettorale. L’opposizione contesta che le scadenze elettorali (elezioni locali, provinciali, politiche e presidenziali da qui al 2016) finora proposte, sono troppo fitte e ravvicinate, e chiede un nuovo calendario elettorale. Il sospetto è che in questo modo Kabila intenda prolungare oltre il dovuto il suo mandato che scade nel 2016. L’ipotesi di un terzo mandato di Kabila, in violazione della Costituzione, aveva suscitato a gennaio forti proteste, sfociate in scontri con morti e feriti.

Appello della Chiesa per un clima di fiducia reciproca
Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, per risolvere la controversia il Capo dello Stato ha avviato una serie di incontri con rappresentanti politici, della società civile e delle religioni presenti nella Rdc, tra i quali i vescovi cattolici. Nel corso dell’incontro, i rappresentanti della Cenco (Conferenza episcopale nazionale del Congo), mons. Nicolas Djomo (vescovo di Tshumbe, presidente della Cenco), mons. Fulgence Muteba (vescovo di Kilwa Kasenga, in Katanga) e don Léonard Santedi (Segretario generale della Cenco), hanno lanciato un appello perché si instauri un clima di fiducia reciproca.

Vescovi chiedono consenso nazionale sul calendario elettorale
“Abbiamo ringraziato il Presidente della Repubblica di averci associato alle consultazioni. Per noi il dialogo è la via maestra e pacifica per uscire da una crisi. Ma occorre definire i contorni, l’oggetto e gli obiettivi. Poi occorre vedere gli avvenimenti, perché è tassativo avere un consenso nazionale sul calendario elettorale” ha dichiarato dopo l’incontro don Léonard Santedi. “Il dialogo deve farsi nello stretto rispetto della Costituzione, dei tempi costituzionali e delle istituzioni” ha aggiunto.

I vescovi chiedono di guardare al benessere della popolazione
“La messa in sicurezza delle operazioni elettorali e dei candidati sono punti importanti che devono portare il Paese verso ciò che è importante per i vescovi: la costruzione di un avvenire migliore, e soprattutto, del benessere della popolazione” ha concluso il Segretario generale della Cenco. (L.M.)

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Thailandia: concluso il Sinodo della Chiesa cattolica

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“Il Sinodo plenario della Chiesa cattolica in Thailandia, appena conclusosi a Bangkok, è stato un momento importante per fare memoria del passato, delle nostre radici, e per guardare al futuro: i cattolici cercano nuove strade per incarnare il Vangelo nel Paese e viverlo nella società, nell’economia, nella politica, per contribuire al bene comune della nazione”: è quanto riferisce all’agenzia Fides padre Peter Watchasin, direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie in Thailandia.

Anno Santo della Chiesa per celebrare il primo Sinodo del 1664
La Conferenza episcopale della Thailandia ha dichiarato il 2015 «Anno Santo» per commemorare i 350 anni dal primo Sinodo di Ayutthaya (antica capitale del Paese), tenutosi nel 1664, che gettò le basi per la presenza stabile della Chiesa nella nazione del sudest asiatico. Momento centrale dell’anno giubilare è stato il Sinodo plenario della Chiesa cattolica in Thailandia, tenutosi tra aprile e maggio, centrato sul tema “I discepoli di Cristo vivono la nuova evangelizzazione”.

Nuove vie per proclamare la Buona Novella di Cristo
Il direttore racconta a Fides: “E’ stato un secondo Sinodo, dopo quello di 350 anni fa. E’ stato un momento fecondo di riflessione, dialogo e confronto tra tutte le componenti della comunità cattolica. Ci siamo interrogati su come poter essere discepoli di Cristo oggi in Thailandia e su quali sono le nuove vie per proclamare la Buona Novella di Cristo. Ora si attende il documento finale, che è in fase di redazione. Nella prima parte si descrive la situazione della nazione, nella seconda si indicano le vie per l’azione pastorale della Chiesa”.

Se non ritorna la democrazia c'è il rischio di conflitti
Attualmente il Paese è sotto un governo militare, ma, rimarca padre Watchasin, “i generali hanno promesso nuove elezioni. Speriamo che mantengano questa promessa. Il loro intervento, dicono, è servito a rimettere ordine e a pacificare il Paese. Ma oggi la gente chiede di tornare alla democrazia, che noi sosteniamo. Se così non sarà, potrebbero nascere seri problemi e conflitti nel Paese”, conclude. (P.A.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 154

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.