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Sommario del 02/06/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: a Sarajevo come messaggero di pace e dialogo

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A pochi giorni dal viaggio apostolico a Sarajevo, il prossimo 6 giugno, Papa Francesco ha inviato un videomessaggio alla comunità della Bosnia ed Erzegovina. Riprendendo il motto della visita, “La pace sia con voi”, il Papa sottolinea come sia sua intenzione sostenere il “dialogo ecumenico e interreligioso” e la “convivenza pacifica” nel Paese. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Mancano pochi giorni alla visita a Sarajevo, ma Papa Francesco vuole già farsi presente ai tanti che in Bosnia ed Erzegovina lo aspettano con trepidazione e invia dunque un videomessaggio per rivolgere il suo saluto più cordiale e offrire già alcuni spunti sul valore di questo viaggio:

“Vengo tra voi, con l’aiuto di Dio, per confermare nella fede i fedeli cattolici, per sostenere il dialogo ecumenico e interreligioso, e soprattutto per incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro Paese. Vi invito ad unirvi alle mie preghiere, affinché questo viaggio apostolico possa produrre i frutti sperati per la Comunità cristiana e per l’intera società”.

Vengo come messaggero di pace per annunciare la misericordia di Dio
La pace sia con voi”. Questo, ha rammentato, “è il motto della mia Visita. Sono le parole con le quali Gesù risorto salutò i suoi discepoli quando apparve in mezzo a loro nel Cenacolo, la sera di Pasqua. È Lui, il Signore, nostra forza e nostra speranza, che ci dona la sua pace, perché la accogliamo nel nostro cuore e la diffondiamo con gioia e con amore”:

“Da parte mia, mi preparo a venire tra di voi come un fratello messaggero di pace, per esprimere a tutti – a tutti! – la mia stima e la mia amicizia. Vorrei annunciare a ogni persona, a ogni famiglia, a ogni comunità la misericordia, la tenerezza e l’amore di Dio.

I cattolici siano testimoni della fede e dell’amore di Dio
“Cari fratelli di Bosnia ed Erzegovina – conclude il Papa – assicuro a tutti voi il mio affetto e la mia forte vicinanza spirituale”:

“Incoraggio voi cattolici ad essere a fianco dei vostri concittadini quali testimoni della fede e dell’amore di Dio, operando per una società che cammini verso la pace, nella convivialità e nella collaborazione reciproca”.

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Udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza: il card. Agostino Vallini, vicario generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma; mons. Ivo Scapolo, Arcivescovo tit. di Tagaste, nunzio apostolico in Cile; mons. Antonio Sozzo, arcivescovo tit. di Concordia, nunzio apostolico in Marocco e il dottor Michel Roy, segretario generale di Caritas Internationalis.

Il Santo Padre Francesco ha nominato Membri della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra: Mons. Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, Delegato del Pontificio Consiglio della Cultura; e i prof. Marcello Rotili, Professore Ordinario di Archeologia Cristiana e Medievale presso la Seconda Università di Napoli; prof. Paolo Liverani, Professore Associato di Topografia dell’Italia Antica presso l’Università degli Studi di Firenze.

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Tweet Papa: la luce del Vangelo è guida per chiunque

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“La luce del Vangelo è guida per chiunque si pone al servizio della civiltà d’amore”. E’ il tweet pubblicato da Papa Francesco oggi sul suo account Twitter @Pontifex, seguito da oltre 20 milioni di fedeli.

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Pontificie Opere Missionarie, sostegno a missione universale

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Al via oggi, all’Assemblea Generale delle Pontificie Opere Missionarie in corso a Roma, la sessione pastorale sul tema“ Come sostenere la missione universale oggi e domani”. Sono oltre 100 i rappresentanti delle Chiese di tutto il mondo che si confrontano in gruppi di lavoro. ”Saremo strumento privilegiato della Chiesa se manterremo la caratteristica dell’universalità, fatta di condivisione e solidarietà”. Così al microfono di Gabriella Ceraso il presidente delle POM l’arcivescovo Protase Rugambwa illustrando gli obiettivi di questa assemblea: 

R. – Questa è l’identità delle Pontificie Opere Missionarie: l’universalità; e questa è la prima cosa.Siamo inoltre anche nel 50.mo anniversario del decreto “Ad Gentes” e quindi vogliamo vedere come rilanciare questo mandato, quest’opera di evangelizzazione.

D. – Il confronto tra voi servirà anche a pensare a nuovi progetti?

R. – Sì, ci sono diversi temi che abbiamo scelto, nell’ottica della ricerca di un nuovo slancio di evangelizzazione. Ad esempio, la questione della famiglia: come fare perché la famiglia sia protagonista. E poi c’è la questione dell’aiuto alle Chiese giovani e la promozione del “fund raising”, ma sempre per le chiese, per tutte le chiese, e soprattutto per quelle che ne hanno bisogno.

D. – È vero che c’è una diminuzione delle offerte per le opere missionarie?

R. – Sì, questo è ovvio, e ogni anno ci sarà un calo delle offerte, ma ci sono anche dei motivi: c’è la crescita delle organizzazioni e degli enti caritativi, che sono tanti, quindi non è che la gente non sia generosa, ma si trova di fronte ad altre agenzie che chiedono offerte. Poi, sicuramente, c’è la crisi finanziaria, ma c’è anche il problema della mancanza di animazione, di coinvolgimento della nostra gente. E su questo punto dobbiamo insistere con una sensibilizzazione senza sosta.

D. – Tra le riflessioni principali, anche seguendo quello che ha detto il cardinale Filoni in apertura dell’assemblea, c'è da puntare alla cooperazione missionaria, oggi: cioè coordinarsi e collaborare …

R. – Sì: noi dobbiamo essere consapevoli del fatto che la missione è unica, è la missione di Cristo. Ora per esempio abbiamo un problema: la questione delle vocazioni. Anche questa è una crisi. E quindi dobbiamo stabilire dei programmi, e vedere come possiamo lavorare insieme: per esempio, promuovere la pastorale vocazionale per avere agenti pastorali che possano aiutare a portare avanti quest’opera di evangelizzazione. C’è quindi la questione di mettersi insieme per vedere come poter fare questo lavoro.

D. – Voi andrete dal Papa al termine di questa assemblea: cosa vorrebbe portare al Papa come risultato dei lavori, e cosa invece si aspetta da Papa Francesco?

R. – Per noi già è una gioia incontrarlo, e vogliamo sentire cosa ci suggerirà. Sicuramente noi andiamo a ribadire che siamo  sempre pronti e vogliamo andare in quei luoghi dove c’è bisogno della presenza di Gesù. "Uscire" va benissimo: dobbiamo fare questo lavoro.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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A Sarajevo per incoraggiare la convivenza pacifica: videomessaggio del Papa in vista della visita di sabato.

Milioni di iracheni in fuga, dopo la conquista di Ramadi da parte dell’Is.

Anime: il cardinale Loris Francesco Capovilla ricorda l’ultimo giorno di Giovanni XXIII, il 3 giugno 1963. 

Racconto di formazione: Emilio Ranzato su eroismo e umanità del nemico nel film “Fury”.

Medioevo nel sangue: Felice Accrocca ricorda Edith Pásztor.

Simbolo della presenza: Andrea Dall’Asta spiega le dinamiche di architettura sacra.

Eloquenza della luce: Jean-Pierre Sonnet sulla dolce sovranità della Parola.

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Oggi in Primo Piano



Grecia propone accordo ai creditori internazionali

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La Grecia ha presentato ai creditori internazionali una proposta di accordo che dovrebbe consentire lo sblocco dei prestiti. Lo ha annunciato il premier greco Alexis Tsipras, all'indomani del vertice di Berlino tra Francia, Germania, Bce, Fmi e Commissione Ue. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

"Un compromesso tra Grecia e creditori internazionali non è lontano". Lo ha affermato ll governatore della Banca centrale di Atene, Yannis Stournaras, dicendosi "molto ottimista" sul fatto che il suo Paese non uscirà dall’Europa. Dichiarazioni che fanno seguito all’annuncio di questa mattina del premier Alexis Tsipras il quale ha detto di aver presentato ai creditori internazionali una proposta di accordo per consentire lo sblocco dei prestiti. Per ora non si hanno altri dettagli. Ieri a Berlino i leader di Francia, Germania, Bce, Fmi e Commissione Ue, in una riunione straordinaria, hanno concordato sul fatto che "il lavoro deve continuare con maggiore intensità''. Mario Draghi, Angela Merkel, Christine Lagarde, Francois Hollande e Jean-Claude Juncker, usando come piattaforma comune un documento tecnico preparato dalla Commissione europea, hanno ribadito ancora una volta la volontà di procedere a "stretto contatto" per seguire passo passo le trattative con Atene, per evitare il default greco e che la crisi economica abbia pesanti ripercussioni in tutta Europa. In questo scenario il ministro del Lavoro greco, Panagiotis Skourletis, ha comunque affermato che non è esclusa la possibilità di elezioni politiche nel suo Paese se il governo non fosse in grado di raggiungere "un compromesso onesto e vantaggioso". Intanto fonti interne all’esecutivo ellenico confermano che venerdì 5 giugno Atene effettuerà un pagamento di 300 milioni di Euro al Fondo Monetario Internazionale, anche se entro tale data non si arriverà ad un accordo con i creditori. Comunque per ora non sono previste manovre di forza, infatti, l'unica scadenza programmata è per fine di giugno, quando terminerà la proroga di quattro mesi del programma di sostegno finanziario.

Per un'analisi sulla situazione attuale abbiamo intervistato il prof. Luigi Paganetto, presidente della "Fondazione economia" dell'Università Tor vergata: 

R. – Questo tira e molla non aiuta, perché i mercati finanziari ne risentono. Credo che ci sia l’esigenza forte di evitare che si discuta di Grexit, di uscita della Grecia, dall’Unione Europea: di questo ne sono tutti consapevoli. Credo che, alla fine, si troverà una soluzione che non potrà che essere una ristrutturazione del debito della Grecia, con una maggiore lungimiranza da parte di quelli che oggi sono intransigenti. Questo è l’unico modo per consentire all’esecutivo greco di non ripetere le formule che già hanno portato alla caduta dei precedenti governi, e – allo stesso tempo – di impegnarsi in scelte che sono necessarie, perché è anche vero che interventi sull’uso delle risorse – i cosiddetti risparmi – vanno fatti. Credo che alla fine una posizione di equilibrio si troverà, perché questo è interesse della Grecia ed è interesse di tutti.

D. – Una crisi che può destabilizzare l’Europa?

R. – Se si arrivasse ad una uscita, questo sarebbe un colpo molto serio all’equilibrio tra Euro, governance europea e crescita dell’Europa. Credo che di questo siano consapevoli tutti gli attori. Diciamo che è un tiro alla fune, alla fine del quale la Grecia qualche prezzo dovrà pagarlo, ma anche i creditori – allo stesso tempo – dovranno prendere atto che altrimenti non se ne esce.

D. – Professore, si ha un po’ l’impressione che tutti gli attori contribuiscano al dibattito anche con dichiarazioni che poi vengono riprese dalle testate di tutto il mondo, che cioè sia anche un tiro alla fune un po’ mediatico…

R. – Indubbiamente! Se ne parlato tanto, se ne è parlato troppo! Poi certamente la Grecia deve essere pronta a fare qualcosa, ma il qualcosa dovrà andare fuori dalle dichiarazioni roboanti che hanno molti, ma non tutti, perché in effetti c’è chi è più ragionevole e chi è meno.

D. – Tempi brevi o tempi lontani?

R. – Credo che, a questo punto, che i tempi debbano essere relativamente brevi perché c’è questa scadenza del 30 giugno. Lì ci sarà probabilmente anche un documento da parte delle grandi istituzioni internazionali per dire “almeno questo fatelo!”. 

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Ucraina: sale bilancio vittime, riunione a Minsk

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Riunione del Gruppo di contatto oggi in Bielorussia, tra Osce, Russia, Ucraina e gruppi separatisti, per attuare gli accordi di "Minsk-2" e cercare una soluzione pacifica al conflitto nel Donbass. L’incontro nella capitale bielorussa mira a fare il punto sul cessate-il-fuoco raggiunto a febbraio scorso, dopo una prima intesa del settembre 2014, e giunge quando il Ministero degli esteri di Mosca ha fatto sapere che la Russia si riserva il diritto di schierare, se necessario, armi nucleari in qualsiasi parte del proprio territorio, compresa la penisola di Crimea, annessa lo scorso anno nonostante la contrarietà della comunità internazionale. L’Onu ha intanto denunciato che il bilancio del conflitto nell’est dell’Ucraina è di oltre 6.400 vittime dall’aprile dell’anno scorso. In questo quadro, quanto di fatto nelle regioni di Donetsk e Lugansk è stato rispettato il cessate-il-fuoco? Risponde Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana e profondo conoscitore dell’area ex sovietica, intervistato da Giada Aquilino

R. – Questo cessate-il-fuoco è in larga parte certamente rispettato ma in una parte minore, anche se non meno significativa, non lo è. Non meno significativa perché è il segnale che comunque in quell’area c’è un’instabilità di fondo che non è stata ancora regolata e, soprattutto, ci sono le attività e la presenza di molti “provocatori”, che hanno interesse a tenere la situazione in ebollizione: “provocatori” che sono sul fronte ucraino, come sul fronte dei cosiddetti indipendentisti aiutati dalla Russia.

D. – Perché tutto ciò, di fatto, succede?

R. – Succede proprio perché in realtà questa è una crisi che è stata largamente inseguita da ambo le parti e, comunque, è una crisi di portata mondiale. Sul Donbass convergono gli interessi non solo appunto di Mosca e di Kiev, dei cosiddetti indipendentisti, degli estremisti ucraini, ma anche interessi che riguardano la Nato, interessi che riguardano i Paesi europei, dell’ex “blocco sovietico”, interessi americani, addirittura interessi legati al mercato mondiale dell’energia. Quindi, è veramente un quadro difficilissimo da comporre adesso che la crisi si è scatenata e si è acuita in ormai anni di confronto armato.

D. – C’è poi la questione della Crimea annessa da Mosca. Lì, la Russia potrebbe davvero arrivare a schierare armi nucleari o le dichiarazioni dei vari dirigenti russi in tal senso hanno altri scopi?

R. – Penso che si debba scindere la retorica dai fatti concreti. Non credo proprio che la Russia abbia intenzione di arrivare a una provocazione simile. Vorrei anche ricordare, a proposito di provocazioni, che nel 2008 è stato installato in Polonia uno scudo stellare che, allora, fu detto serviva a proteggere l’Europa dai missili nucleari iraniani e che, in realtà, serve solo a garantire alla Nato la certezza di un eventuale primo colpo nucleare senza rappresaglia da parte della Russia. Quindi, sulla questione delle armi nucleari bisognerebbe essere cauti e un po’ più obiettivi.

D. – Una soluzione davvero pacifica al conflitto nel Donbass allora per dove può passare oggi?

R. – L’Ucraina non può rinunciare al Donbass. Il Donbass è la spina dorsale dell’economia ucraina, lo è sempre stato e quindi un’Ucraina senza Donbass è un’Ucraina almeno dimezzata. D’altra parte, ormai, per come sono andate le cose anche per la Russia è difficile fare dei passi indietro. Una soluzione di compromesso potrebbe essere uno statuto speciale per queste regioni. Ma con quali criteri? Con quali misure? Con quale livello di autonomia rispetto a Kiev? Insomma, è davvero una questione difficilissima.

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Ong di varie confessioni ripetono: non si uccide in nome di Dio

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Negli odierni conflitti, spesso la religione viene ritenuta esserne la causa. Per sconfiggere l’idea che si uccida “in nome di Dio”, l’Ordine di Malta ha organizzato all'Onu di Ginevra nei giorni scorsi un Simposio, "Religions together for humanitarian action", chiamando a partecipare Ong di varie confessioni. Un appuntamento importante in vista del "World Humanitarian Summit", l’iniziativa lanciata dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che si svolgerà a Istanbul nel 2016 e dove verranno presentate le linee guida e le raccomandazioni emerse durante il dibattito a Ginevra. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Sempre più vittime civili, sempre meno rispetto del diritto umanitario internazionale. Sono i tratti caratteristici dei conflitti dell’era attuale: le guerre oggi sono segnate da una straordinaria ferocia e da una complessità che spesso viene semplificata dando erroneamente alla violenza una radice religiosa, quando all’origine invece non mancano fattori culturali, territoriali, e pressioni esterne. Le organizzazioni umanitarie confessionali sono uscite da Ginevra rafforzate nella convinzione di volersi unire per sconfiggere il settarismo nel mondo, per promuovere un senso di pluralismo e di rispetto per gli altri. Jamilah Mahmoud a capo del segretariato del "World Humanitarian Summit" del 2016:

The faith base organizations form a very large…
"Le organizzazioni religiose rappresentano gran parte delle organizzazioni che effettivamente rispondono durante le crisi. A offrire assistenza sono le chiese locali, i templi e le moschee. Penso che non si capisca mai davvero quanto sia importante l’influenza di queste organizzazioni, che sono in prima linea nel dare una risposta umanitaria. E si sottovaluta anche l’azione di queste organizzazioni religiose a sostegno del dialogo, dell’apertura, di una migliore comunicazione interconfessionale, aperta anche ad altri attori. La realtà del mondo di oggi, nel nostro periodo storico, è davvero molto buia. E la fede si suppone che unisca, che dia solidarietà e pace. Alle volte viene usata male, per la guerra. E penso sia molto importante che le persone di fede comincino ad affrontare questa cosa. Quindi, quando andremo al Summit di Istanbul, nel maggio 2016, forse ci saranno organizzazioni religiose che saranno alleate, che faranno rete, e che impareranno l’una dall’altra, in modo da arrivare alle persone che sono più difficili da raggiungere. Sono molto fiduciosa. Lavoro sul campo da tanti anni ed effettivamente le organizzazioni religiose possono avere accesso alle persone. Non è importante tanto che le persone condividano la stessa fede, ma che abbiano fiducia, e ce l’hanno".

Per Oliver McTernan, autore del libro “Violenza nel nome di Dio”, fondatore e direttore di “Forward Thinking”, associazione britannica impegnata anche nel dialogo interreligioso, non si possono però trascurare i fattori di rischio legati all’attività di organizzazioni confessionali:

R. - I think the risk is that if the faith…
Penso che il rischio sia che gli interventi basati sulla religione possano essere fraintesi, che la gente ci legga un modo per fare proselitismo, o per rafforzare la propria presenza nel Paese, invece di aiutare la popolazione dal punto di vista umanitario e questo può alimentare il rischio di ulteriori conflitti. Ma non è un rischio insormontabile, si può vincere. Non bisogna dare per scontato che le persone capiscano tutte le nostre motivazioni o quale sia il nostro scopo, occorre spiegare il motivo per cui si fanno determinate cose. Tutte le attività devono essere basate sulla persona, mettendovi la persona, l’essere umano, al centro. Penso che questo sia fondamentale per evitare quel rischio di cui si parlava.

D. - Molti conflitti sono portati avanti in nome di Dio. È così difficile spiegare alle persone che Dio non è guerra?

R. - You know, I think it is true to say…
Credo sia giusto dire che quando ci sono conflitti, la religione può essere un fattore. Diverse tradizioni di fede, il settarismo, possono essere delle reali motivazioni. Nella mia esperienza, guardando ai differenti conflitti non ho mai visto la religione come solo fattore di una guerra, sia che si parli dell’Irlanda del Nord che dell’Iraq. Penso ci sia anche, in questi conflitti, dove c’è una grande dimensione religiosa e settaria, un rancore alla base. Spesso la religione, infatti, viene identificata con la propria identità, o comunque ne è spesso parte. Ecco perché senti che il tuo gruppo, la tua etnia o il tuo gruppo di fede è stato discriminato. Quindi, è comprensibile che chi sta al di fuori veda solamente la religione come la maggiore causa scatenante, dove invece la causa è effettivamente il rancore, e la religione è solo una parte di tutto ciò. Questo è il motivo per il quale dobbiamo fare delle distinzioni. E io sono molto d’accordo circa l’importanza dell’educazione religiosa, come strumento per aiutare le persone a capire meglio la loro fede. Questa è una responsabilità che hanno tutti i leader religiosi.

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Malawi "assetato", Progetto Marco costruisce nuovi pozzi

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Opera da anni in Malawi e nelle parti più povere dell’Africa l’Associazione senza scopo di lucro "Progetto Marco". Sta costruendo pozzi d’acqua in un continente dove la mancanza d’acqua è ancora il problema più grave per il quale milioni di persone soffrono la sete. Al microfono di Maria Cristina Montagnaro, Salvatore Spinosa, presidente di progetto Marco, ha spiegato come si presenta la situazione in questo momento in Malawi: 

R. – Il Malawi, purtroppo, ha avuto alcuni mesi fa una grande inondazione che ha creato veramente grossi problemi all’agricoltura. In questi giorni, siamo presenti con i nostri volontari nei villaggi sperduti, a 120 chilometri da Lilongwe, la capitale. Siamo in zone veramente molto, molto impervie. Attraverso i nostri volontari stiamo portando avanti un ennesimo progetto acqua, nel senso che stiamo ripristinando tanti pozzi abbandonanti da sempre, rendendoli ricchi di acqua: sta sgorgando acqua!

D. – Come viene estratta l’acqua?

R. – La facciamo uscire da pozzi a pompa manuale: ne sono già stati ripristinati 18.

D. – Quanto tempo ci mettete a scavare un pozzo?

R. – Abbiamo comprato un'escavatrice, che è partita con il container verso il Malawi. Dipende dalle zone e dal tipo di terreno e quindi il lavoro di questa escavatrice varia da due giorni a una settimana. In più stiamo cercando anche di dare sollievo con micro-aiuti a quelle popolazioni che, ripeto, sono in zone veramente impervie e sperdute. Pensi che a noi ci chiamano gli “angeli venuti dal cielo” perché non immaginavano proprio che qualcuno potesse pensare a loro...

D. – Cosa riguardano queste piccole iniziative?

R. – Sappiamo benissimo che l’Africa è ricca di tante cose. E’ il frigorifero dell’Occidente. Noi abbiamo iniziato con l’acqua, adesso stiamo ampliando anche i nostri progetti di formazione: abbiamo già realizzato 18 scuole. Seguiamo anche piccoli progetti di artigianato, che ci hanno permesso anche di costruire dei mulini…

D. – Dove siete impegnati?

R. – Adesso siamo impegnati principalmente nella Repubblica Democratica del Congo e in Malawi. A settembre, torneremo a dare sollievo anche in Zambia: già lo scorso settembre siamo andati e abbiamo costruito diversi pozzi. Ci hanno ora chiesto di realizzare altri progetti: li valuteremo mano mano.

D. – Voi avete un sito che mostra cosa fate concretamente…

R. – Tutto ciò che diciamo, lo documentiamo. Noi siamo contro il solo credere alle parole. Chi vuole, quindi, può cliccare sul nostro sito "www.progettomarco.it", oppure andare sulla pagine Facebook "Progetto Marco Onlus". Non soltanto è un bene, ma è anche nostro dovere – è nostro dovere – documentare. Sappiamo benissimo che se dopo 14 anni siamo riusciti a realizzare 350 pozzi, 18 scuole e portare avanti tanti altri progetti è dovuto principalmente alla trasparenza e alla documentazione dei nostri progetti.

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2 giugno. Mons. Marcianò: per Italia sia festa del bene comune

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La tradizionale parata militare in Via dei Fori Imperiali, a Roma, alla presenza del capo dello Stato, Sergio Mattarella, e degli altri vertici istituzionali, è stata il fulcro delle celebrazioni per la 69.ma Festa della Repubblica italiana. Nel messaggio inviato al Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, il presidente ha rivolto prima di tutto il pensiero “alla memoria dei militari italiani che hanno perso la vita al servizio della Patria". "Ieri, ha precisato Mattarella, nel lungo e travagliato percorso che ha reso l'Italia una nazione libera, democratica e in pace. Oggi, in Paesi attraversati da conflitti e devastazioni, in aiuto a popolazioni sofferenti che nella presenza delle Forze Armate italiane ritrovano la fiducia nel futuro e la speranza per un mondo migliore". Sul clima e i motivi di questa giornata, Luca Collodi ha intervistato l’arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia, mons. Santo Marcianò

R. – Credo che la Festa della Repubblica sia la festa del bene comune, cioè di un’Italia unita che vive la democraticità, che vive la libertà. Credo che si debba ripartire da questa giornata di festa per rilanciare all’Italia il grido dei valori: prima di tutto, il valore dell’unità. Penso che in questo momento storico l’Italia abbia bisogno di ritrovare unità nella solidarietà dei suoi cittadini, senza differenze tra Nord e Sud, senza discriminazioni, senza bisticci. Il Capo dello Stato, ultimamente, ha fatto riferimento proprio a questo riguardo alla politica, perché c'è il rischio di una diminuzione della democrazia: l’abbiamo visto anche nell’astensionismo alle ultime elezioni amministrative. La Festa della Repubblica del 2 giugno, deve diventare questo grido per un’Italia che è un Paese democratico, per un’Italia che si contraddistingue, direi, per la sua unità. Mi ha colpito quest’anno, a differenza degli altri anni – per me è il terzo anno – la partecipazione di tanta gente alla sfilata dei Fori Imperiali a Roma. Mi chiedevo: forse la gente ha bisogno di ritrovarsi insieme, ha bisogno di ritrovarsi insieme attorno a dei simboli, attorno a dei punti di riferimento – la bandiera italiana, il Presidente della Repubblica, il governo… Credo che questa festa debba rimanere tale per continuare a stimolare il popolo italiano a vivere sempre più profondamente la sua civiltà.

D. – Mons. Marcianò, riscoprire i valori che tengono insieme una comunità offre identità. Identità che può favorire apertura all'altro, accoglienza e integrazione…

R. – L’identità non è da cancellare. L’identità dell’Italia è quella di un Paese aperto, di un Paese accogliente, di un Paese che non discrimina, di un Paese che non è razzista. E noi lo abbiamo visto, ultimamente, nelle operazioni di salvataggio dei nostri fratelli che da lontano vengono qui per trovare civiltà, libertà, per ritrovare il senso della propria vita e la possibilità di vivere. Credo che questi siano i valori che identificano il Paese. E credo che questi valori, e in modo particolare il valore dell’unità, oggi più che mai siano da rimarcare, da far valere. Penso agli estremismi del fondamentalismo: credo che questi estremismi si combattano con l’assunzione di questi valori. Gli italiani ne sono convinti, ma forse hanno bisogno ancora di più di rendersi conto che più si è uniti, più si vive quell’identità legata a quei valori a cui ho fatto riferimento, più si è capaci, abilitati – direi quasi – a respingere le pressioni e addirittura le provocazioni dei fondamentalismi. 

D.- La Festa della Repubblica richiama il ruolo delle Forze Armate al servizio del Paese...

R.- La Gaudium et Spes fa riferimento a quello che è il compito, a quelli che sono i compiti dei militari: i militari sono a servizio della sicurezza; i militari sono a servizio della libertà, della difesa della libertà e quindi sono i difensori della pace. Il Concilio questo lo dice con estrema chiarezza e se il Concilio parla della vita militare e della militarità evidentemente i militari hanno una loro - tra virgolette - importanza all’interno di una società, di un popolo, di un Paese; sono necessari proprio perché costituiscono questa garanzia, questa possibilità di difesa in senso ampio. Qui si comprende il senso autentico della militarità, che per noi si identifica con la custodia della pace, con il sentire la necessità che tutti possano vivere nella serenità e nel rispetto dei valori umani.

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Family Day a Roma il prossimo 20 giugno

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Di fronte alla “colonizzazione ideologica” della teoria del gender e al ddl Cirinnà sulle unioni civili che tenta di snaturare l’istituto del matrimonio, le famiglie italiane non stanno a guardare: a otto anni di distanza dalla manifestazione con cui riempirono di un milione di persone Piazza San Giovanni a Roma, lanciano un nuovo "Family Day". L’appuntamento è per sabato 20 giugno alle 15 di fronte alla Basilica Lateranense. Ma perché questa nuova mobilitazione? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Filippo Savarese, portavoce della Manif pour Tous Italia: 

R. – Perché le famiglie lo chiedono. In questi due anni, abbiamo girato con tante altre associazioni città, Comuni, facendo convegni, organizzando incontri, informando su quella che Papa Francesco ha definito: “la nuova colonizzazione ideologica”. E quando le famiglie hanno scoperto che cosa sta entrando nelle scuole dei loro figli e che cosa si sta cercando di approvare in parlamento, solo una cosa ci hanno chiesto: “Andiamo a manifestare pacificamente, ma pubblicamente, il nostro dissenso e la nostra proposta”.

D. – Quindi, un "Family Day£ per dire “no” all’ideologia del gender nelle scuole, e per dire “no” anche al provvedimento sulle unioni civili, che porta la firma di Monica Cirinnà, la cui votazione in Commissione Giustizia del Senato è calendarizzata nelle prossime ore…

 R. – Questa sarà una grande manifestazione per dire “sì” alla libertà educativa della famiglia, sancita da tutte le dichiarazioni universali dei diritti – dalla Costituzione italiana – e quotidianamente negata da tanti corsi e progetti finanziati dalle Regioni e dai Comuni, appaltati all’associazionismo Lgbt, che portano nelle classi dei nostri figli teorie ascientifiche, scandalose. Sarà una manifestazione per dire “sì” al matrimonio, come istituzione giuridica, antropologica, laica, che ancora conta, ancora vale, e serve ancora per proteggere la famiglia e le sue parti più deboli: i bambini.

D. – E perché il Ddl Cirinnà rappresenta un attacco al matrimonio?

R. – Si scrive “unioni civili”, ma si legge “matrimonio gay”. Le unioni civili sono un vero e proprio matrimonio, ma riservato alle persone dello stesso sesso. La diversità sessuale è un requisito essenziale del matrimonio, che lo caratterizza e lo costituisce. Paragonare – equiparare anzi – al matrimonio altri tipi di unione, che non hanno questi requisiti specifici, che non riguardano dunque la filiazione, svilisce l’istituto del matrimonio, e va nella direzione di negarne la necessità nell’ambito sociale. Oggi, si elimina l’importanza del requisito sessuale, domani si eliminerà la dualità, la necessità di una coppia, e si penserà che siccome il nuovo fondamento del matrimonio è soltanto l’amore e il sentimento, allora anche tre o quattro persone, che senz’altro possono amarsi, potranno accedere al matrimonio.

D. – Parlare di "Family Day" richiama quella grande manifestazione del 12 maggio del 2007, quando in Piazza San Giovanni scesero oltre un milione di persone con lo slogan. Oggi i tempi sono cambiati? E, se sì, come e in cosa differisce quella piazza da quella che voi andate adesso organizzando?

 R. – I tempi cambiano sempre. La peculiarità dei nostri è che l’emergenza contro la famiglia è aumentata, perché nel 2007 noi non avevamo questa vera e propria “colonizzazione ideologica”, che ha definito Papa Francesco, nelle scuole. L’ideologia gender circolava ancora negli ambiti accademici, ma non si era fatta strumento politico che nei parlamenti di tutto il mondo – soprattutto in quelli di stampo occidentale – cerca costantemente, ogni giorno, di distruggere l’istituto della famiglia. Quindi, i tempi sono cambiati, nel senso che l’urgenza oggi è ancora più grave ed è quindi ancora più necessario che tutti – veramente tutti – ci ritroviamo il 20 giugno in Piazza San Giovanni. Non sarà una piazza confessionale, e men che meno politica, perché tutti noi abbiamo figli, nipoti, tutti noi abbiamo comunque a cuore la libertà educativa della famiglia. Ogni famiglia è libera di insegnare quello che crede ai propri figli, nel rispetto della laicità. La piazza del 20 giugno a Roma a San Giovanni sarà una piazza per celebrare e festeggiare la laicità. L’ideologia  fuori dalla scuola e fuori dal parlamento.

D. – Lei ha detto: “Le famiglie ce lo chiedono”. Stimate una partecipazione alta a questa iniziativa?

 R. – Sì, appena data la notizia, che è già un po’ in circolazione anche sui profili Facebook e Twitter della "Manif pour tous Italia", la risonanza è stata immediata ed enorme, perché la gente non aspettava altro. Noi crediamo che ci ritroveremo in piazza con centinaia di migliaia di persone, perché veramente in questi due anni la tolleranza delle famiglie nei confronti di questa devastazione culturale ha raggiunto un limite che non può essere superato. Questa è una piazza aperta a tutti coloro che hanno a cuore la libertà educativa della famiglia e il diritto dei bambini ad avere un papà e una mamma. A chi crede che questi siano valori fondanti della nostra società, diamo appuntamento il 20 giugno a Roma a Piazza San Giovanni alle 15.

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Italia: pochi leggono libri, le donne più degli uomini

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In Italia si legge sempre meno. Secondo dati Istat riferiti al 2013-2014, quasi una famiglia su dieci non ha libri in casa. Nel corso di questi due anni, i lettori di libri sono scesi dal 43% al 41,4% ma è nel Mezzogiorno che la lettura è meno diffusa. A leggere è soprattutto la popolazione femminile a partire dai sei anni di età, con una percentuale del 48%, contro il 35% di quella maschile. Al microfono di Elisa Sartarelli, il presidente dell’Associazione Italiana Editori Marco Polillo

R. – Almeno in Italia le donne leggono decisamente di più degli uomini e sono lettrici più stabili nel senso che quando leggono, leggono. Mentre, invece, l’uomo può avere il momento in cui legge e poi a un certo punto si disperde in mille altre occupazioni e abbandona il libro.

D. – I cosiddetti “lettori forti”, cioè le persone che leggono almeno un libro al mese, sono una categoria stabile, al 14,3% C’è stata invece una diminuzione dei “lettori deboli”: uno su due dichiara di aver letto tre libri al massimo in un anno. Questo calo ha inciso sull’editoria?

R. – Per sfortuna, i lettori forti sono percentualmente una cifra minoritaria, però all’interno di quel 14% c’è una grande concentrazione del nostro fatturato, quindi la perdita del lettore forte sarebbe una perdita disastrosa per le sorti delle nostre aziende. La perdita del lettore debole è una perdita che fa molta paura e dà grandi preoccupazioni, perché vuol dire che noi non siamo riusciti – noi come editori e il libro come prodotto – a conquistare in qualche modo il lettore occasionale e a farlo diventare un oggetto al quale ci si rivolge in maniera continuativa. D’altra parte, il lettore occasionale che in qualche modo viene influenzato dalle mode viene distratto da tante cose, magari si accosta a un libro perché in quel momento se ne parla in maniera particolare, ma non è un lettore “affezionato”.

D. – La fascia di età in cui si legge di più è tra gli 11 e i 14 anni: si potrebbe pensare che gli editori tendano ad accontentare di più questi piccoli lettori, pubblicando più libri per ragazzi?

R. – La produzione di libri per ragazzi è molto cresciuta negli ultimi anni, ma è molto cresciuta in quanto era l’unico settore che aveva un "trend" positivo. Il lettore bambino – quello di una fascia di età da scuola elementare, inizio scuola media – certamente è un acquirente per interposta persona: sono i genitori che comprano l’oggetto che poi regalano al bimbo. La cosa curiosa è il fatto che mentre i genitori si rendono conto che l’acquisto di un libro è importante per la crescita del loro figlio, non si rendono conto che il mantenimento anche per loro della frequentazione di quel prodotto potrebbe essere importante.

D. – Dal quinto osservatorio sull’editoria cattolica, è emerso un dato interessante: sono sempre di più gli italiani che leggono i libri di argomento religioso e 4 su 10 si dichiarano non praticanti o non credenti…

R. – La stragrande popolarità di Papa Francesco certamente ha dato impulso a queste cose, è una specie di marketing applicato alla Chiesa, insomma. Nel momento in cui c’è il grande comunicatore con la “g” e la “c” maiuscole  – e che non solo comunica benissimo ma che ha anche una grande affabilità – è chiaro che in automatico cresce anche l’interesse per le cose di cui si occupa e le cose di cui si occupa sono fondamentalmente la religione.

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Nella Chiesa e nel mondo



Card. Parolin inaugurerà la seconda chiesa di Abu Dhabi

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Cinquant'anni dopo l’apertura della Chiesa di San Giuseppe ad Abu Dhabi, nel 1965, gli Emirati Arabi Uniti hanno ora nella capitale la loro seconda chiesa cattolica. La chiesa, costruita nel quartiere industriale di Mussafah alla periferia della capitale, è dedicata a San Paolo e sarà inaugurata nella mattinata dell’11 giugno.

Card. Parolin presente a inaugurazione chiesa
A presiedere la cerimonia inaugurale sarà lo Sheikh Nahyan bin Mubarak Al Nahyan, ministro della Gioventù, della Cultura e dello Sviluppo Comunitario degli Emirati Arabi Uniti, alla presenza del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, di mons. Petar Rajic, nunzio in Kuwait, Bahrein, Quatar e delegato apostolico nella Penisola Arabica e di mons. Camillo Ballin, vicario per l’Arabia Settentrionale. All’evento è atteso anche lo Sheikh Ali Al Hashemi, consigliere per gli affari religiosi e altri dignitari e autorità locali. La benedizione della chiesa avrà invece luogo il 12 giugno con la partecipazione di circa 5mila fedeli della variegata comunità cattolica di Abu Dhabi, formata da immigrati provenienti da varie nazioni.

Circa un milione di fedeli tutti immigrati
Come in tutti i Paesi della Penisola arabica, la cura pastorale delle comunità di immigrati rappresenta il cuore della missione degli operatori pastorali presenti negli Emirati. Essi sono il Paese della regione con la presenza cristiana in percentuale più elevata, proprio in virtù del fatto che gli immigrati per lavoro rappresentano il 70 per cento dei 4 milioni di residenti, e tra loro più della metà sono battezzati. Soltanto i cattolici – in gran parte filippini e indiani – sono intorno al milione. La situazione della Chiesa locale è buona, grazie alla politica della famiglia regnante improntata al rispetto delle diverse comunità straniere insediatesi nel territorio per motivi di lavoro, anche sul piano religioso. Una linea confermata lo scorso ottobre dallo Sheikh Nahyan Bin Mubarak Al Nahyan in occasione dell’inaugurazione del nuovo Centro parrocchiale della parrocchia di San Giuseppe della capitale, in cui aveva incoraggiato la comunità cattolica a sostenere gli Emirati nel loro impegno per la promozione dello sviluppo economico e della convivenza pacifica nel Paese. (Zengarini - www.avosa.org)

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Filippine. Vescovi: nuovo impegno per i poveri e l'evangelizzazione

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Orgoglio ed egoismo: sono questi i due peccati più comuni che impediscono ai cristiani l'ingresso nel Regno dei Cieli. Lo ha detto mons. Socrates B. Villegas, arcivescovo di Lingayen-Dagupan e presidente della Conferenza episcopale filippina (Cbcp), durante la Messa per la Conferenza nazionale sulla Nuova evangelizzazione (Nec), svoltasi sabato a Pasay City con la partecipazione di circa 6 mila fedeli.

Chi non dona se stesso si allontana da Dio
“L’orgoglioso non potrà mai conoscere Dio. Non ci può essere alcun vero incontro tra Dio e un uomo pieno di sé che si vede come un dio”, ha detto mons. Villegas nell’omelia, sottolineando che solo con l’umiltà i fedeli possono conoscere intimamente Dio. Ma all’umiltà è strettamente legata la generosità: “Chi non dona se stesso si allontana da Dio che ci ama donando tutto”. Il presule ha quindi esortato i presenti a donare e a condividere per avvicinarsi a Dio: “Puoi portare in Paradiso solo quello che hai donato sulla Terra. Quando rinuncerete a tutto sulla Terra, ne raccoglierete ogni frutto in Paradiso”. Quindi l’esortazione ad imitare Cristo: “Non abbiate paura di fare quello che farebbe Gesù, perché questa è la sola strada per la felicità”.

La Chiesa per i poveri al centro della Conferenza
L’esortazione alla condivisione e alla generosità di mons. Villegas faceva riferimento al tema al centro di questa seconda Conferenza sulla nuova evangelizzazione dedicata all’impegno della Chiesa per i poveri. A questo tema i vescovi filippini hanno infatti consacrato il 2015 nell’ambito dell’iniziativa “Nove anni per la Nuova Evangelizzazione” promossi in vista delle celebrazioni del quinto centenario dell’evangelizzazione del Paese nel 2021. Iniziati nel 2013, in coincidenza con l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI per il 50.mo del Concilio Vaticano II, i “Nove anni” hanno riflettuto l’anno scorso sulla formazione integrale alla fede e sul ruolo dei laici, intesi come “agenti di evangelizzazione e promotori di trasformazione sociale”. (L. Zengarini)

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Reliquia di Wojtyla in Colombia come simbolo di pace

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Una reliquia del sangue di San Giovanni Paolo II arriva oggi in Colombia per portare un messaggio di pace nel Paese e in particolare, per incoraggiare tutte le persone vittime di violenze. Il pellegrinaggio, che proseguirà fino al 5 giugno, è stato organizzato dalla Fondazione "Vittime Visibili" in preparazione a una possibile visita di Papa Francesco nel Paese sudamericano. 

Il pellegrinaggio della reliquia in vista di un possibile viaggio di Papa Francesco nel Paese
Lo scorso aprile, in una lettera a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il Santo Padre aveva ringraziato la Conferenza episcopale colombiana per l’invito a visitare il Paese, esprimendo il desiderio di compiere la visita “in uno dei suoi prossimi viaggi in America Latina” ed esortando la Chiesa colombiana a diventare un “ospedale da campo” e un luogo sicuro per accogliere tutte quelle persone che negli anni hanno sofferto violenze. Da allora il popolo colombiano si sta preparando a questo possibile evento. Alla presentazione del pellegrinaggio della reliquia di San Giovanni Paolo II il card. Ruben Salazar, arcivescovo metropolita di Bogotá, ha precisato che i numerosi impegni del Pontefice, in particolare durante il Giubileo della Misericordia, allungheranno i tempi, ma che intanto i fedeli colombiani sono comunque chiamati a prepararsi “lavorando a favore della giustizia fraterna, della solidarietà e del dialogo per costruire una società rinnovata”, come chiede Papa Francesco.

Il percorso della reliquia
Il pellegrinaggio della reliquia di Giovanni Paolo II inizia oggi dalla Chiesa di Santa Beatrice della capotale Bogotá. Domani sarà nella Chiesa di Nostra Signora dell’Assunzione, a Marinilla, nella regione di Antoquia e giovedì 4 giugno nella cattedrale Santiago Apostolo di Fontibòn. La reliquia arriva da Miami, è accompagnata da quattro religiose della Missione Apostolica delle Serve dei Cuori Trafitti di Gesù e Maria . (A.Tufani)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 153

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.