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Sommario del 01/06/2015
- Francesco: è dallo scarto che Dio “tira fuori la salvezza"
- Francesco in visita ad alcuni dicasteri della Curia Romana
- Papa nomina mons. Rodríguez Vega arcivescovo di Yucatán
- P. Lombardi: le parole del card. Pell meritano rispetto
- Chiusura Mese mariano. Comastri: la devozione alla Madonna è nel Vangelo
- P. Fares: per Bergoglio vescovo è uomo di comunione che veglia sul popolo
- Oggi su "L'Osservatore Romano"
- Iraq nella morsa dell'Is. Card. Scola visita la Chiesa locale
- L’Europa critica la "black list" stilata dalla Russia
- Nepal: riaprono le prime scuole a un mese dal terremoto
- Regionali. Pd, M5S e Lega primi tre partiti. Cala l'affluenza
- Omicidio avvocato Piccolino. Don Patriciello: gente alzi la voce
- Social network ed evangelizzazione, l'esperienza del vescovo di Aversa
- Alzheimer: nuovo impegno Federazione italiana contro patologia
- Castel S. Angelo: "Lo Stato dell'Arte: L'Arte dello Stato"
- Burundi: sventato attentato contro arcivescovo di Bujumbura
- Attivisti pakistani: “Peggiora la condizione delle minoranze”
- Siria: appello leader islamici per il rilascio di padre Mourad
- Curia di Milano raccoglie fondi per i cristiani iracheni
- A Roma tre giorni tra scienza e teologia per "spiegare" la luce
Francesco: è dallo scarto che Dio “tira fuori la salvezza"
Troppe volte abbiamo detto a Gesù “vattene” non riconoscendolo in un fallimento. Ma la “vittoria dell’amore di Dio” per l’uomo si manifesta proprio nell’apparente “fallimento” della Croce di suo Figlio. È questo che racconta la parabola dei vignaioli omicidi, commentata da Papa Francesco durante la Messa del mattino celebrata a Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Una pietra di scarto che diventa fondamento. Un patibolo scandaloso che sembra la fine di una storia piena di speranze e invece è l’inizio della salvezza del mondo. Dio costruisce sulla debolezza, ma se uno ne legge le pagine la “storia di amore fra Dio e il suo popolo – osserva Papa Francesco – sembra essere una storia di fallimenti”. Come la parabola dei vignaioli omicidi, proposta dal Vangelo del giorno, che appare, dice Francesco, come il “fallimento del sogno di Dio”. C’è un padrone che costruisce una bella vigna e ci sono gli operai che uccidono chiunque sia l’inviato del padrone. Ma è proprio da quelle morti che tutto prende vita:
“I profeti, gli uomini di Dio che hanno parlato al popolo, che non sono stati ascoltati, che sono stati scartati, saranno la sua gloria. Il Figlio, l’ultimo inviato, che è stato scartato proprio, giudicato, non ascoltato e ucciso, è diventato la pietra d’angolo. Questa storia, che incomincia con un sogno d’amore, e che sembra essere una storia di amore, ma poi sembra finire in una storia di fallimenti, finisce con il grande amore di Dio, che dallo scarto tira fuori la salvezza; dal suo Figlio scartato, ci salva a tutti”.
Non dimentichiamo la Croce
È qui che la logica del fallimento “si rovescia”, afferma il Papa. E Gesù lo ricorda ai capi del popolo, citando la Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”. Ed è “bello leggere nella Bibbia”, prosegue Francesco, anche dei “lamenti di Dio”, del Padre che “piange” quando il popolo “non sa ubbidire a Dio, perché vuole diventare dio lui” stesso:
“La via della nostra redenzione è una strada di tanti fallimenti. Anche l’ultimo, quello della croce, è uno scandalo. Ma proprio lì l’amore vince. E quella storia che incomincia con un sogno d’amore e continua con una storia di fallimenti, finisce nella vittoria dell’amore: la croce di Gesù. Non dobbiamo dimenticare questa strada, è una strada difficile. Anche la nostra! Se ognuno di noi fa un esame di coscienza, vedrà quante volte, quante volte ha cacciato via i profeti. Quante volte ha detto a Gesù: ‘Vattene’, quante volte ha voluto salvare se stesso, quante volte abbiamo pensato che noi eravamo i giusti”.
Memoria di quel seme d'amore
Allora, non dimentichiamo mai, conclude Francesco, che è nella morte in croce del Figlio che si manifesta “l’amore di Dio col suo popolo”:
“Ci farà bene fare memoria, memoria di questa storia di amore che sembra fallita, ma alla fine vince. E’ la storia di fare memoria nella storia della nostra vita, di quel seme di amore che Dio ha seminato in noi e come è andata, e fare lo stesso che ha fatto Gesù a nome nostro: si umiliò”.
Francesco in visita ad alcuni dicasteri della Curia Romana
Papa Francesco, dopo la Messa a Casa Santa Marta, si è recato stamani in visita ai dicasteri della Curia Romana ubicati in Piazza Pio XII n. 10.
Papa nomina mons. Rodríguez Vega arcivescovo di Yucatán
In Messico, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Yucatán, presentata da mons. Emilio Carlos Berlie Belaunzarán, per sopraggiunti limiti d’età. Il Santo Padre ha nominato arcivescovo metropolita di Yucatán mons. Gustavo Rodríguez Vega, finora Vescovo di Nuevo Laredo.
P. Lombardi: le parole del card. Pell meritano rispetto
Disponibilità e collaborazione sempre confermate senza reticenze, accompagnate da parole che meritano “rispetto e attenzione”. È questo l’atteggiamento sempre mantenuto dal cardinale George Pell con le autorità australiane, sottolinea il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, che ha risposto a domande dei giornalisti riguardanti la trasmissione della tv australiana “60 Minutes”, andata in onda ieri sera.
Padre Lombardi ha fatto riferimento alle affermazioni fatte nel corso della trasmissione dal Sig. Saunders – uno dei 17 membri della Commissione per la tutela dei minori. Ciò che ha Saunders ha detto – ha commentato padre Lombardi – “è stato evidentemente dichiarato a titolo del tutto personale e non a nome della Commissione, che non ha il compito di investigare e pronunciare giudizi specifici su casi singoli”.
Inoltre, ha proseguito il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, risulta che “il card. Pell ha sempre risposto attentamente e in modo argomentato alle accuse e alle domande formulate dalle autorità australiane competenti e la sua posizione è stata resa nota ancora nei giorni scorsi da una sua dichiarazione pubblica, che deve essere considerata attendibile e meritevole di rispetto e di attenzione”.
Chiusura Mese mariano. Comastri: la devozione alla Madonna è nel Vangelo
E’ stato dedicato al Sinodo sulla famiglia, in programma il prossimo ottobre, la conclusione del mese mariano che si è svolta ieri sera nei Giardini Vaticani. La processione, a cui hanno preso parte numerosi fedeli, è partita dalla Chiesa di Santo Stefano degli Abissini per poi concludersi alla Grotta di Nostra Signora di Lourdes. C'era per noi Marina Tomarro:
Un cammino alla luce del tramonto per raggiungere la grotta che ricorda quella originale che si trova a Lourdes e dove c’è Lei, Maria, la donna vestita di sole. Erano tanti i fedeli che hanno voluto partecipare alla chiusura del mese di maggio in Vaticano. Il cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano che ha presieduto alla cerimonia:
R. - E’ importante il mese di maggio, perché è importante la Madonna. La Madonna è una scelta di Dio: è Dio che ha voluto la collaborazione di questa donna straordinaria, nell’opera di recupero, di ricostruzione, di salvezza dell’umanità, che è ancora in corso. Quindi è ancora necessaria la collaborazione di Maria. E la devozione alla Madonna è nel Vangelo: il primo devoto di Maria è l’Arcangelo Gabriele; la seconda devota è Elisabetta, e così fino ad oggi.
D. – Perché ci si rivolge sempre a Maria nei momenti difficili della vita?
R. – Dio ha voluto la collaborazione di Maria, perché la mamma esprime l’amore più vicino a quello di Dio, e di fronte ad una mamma tutti si commuovono, anche i cuori più duri. Per questo Dio ha voluto che ci fosse la collaborazione di questa Mamma.
D. – E per lei quanto è importante la figura della Madonna nella sua vita?
R. – Tantissimo, perché ho imparato ad amarla attraverso la mia mamma. Sono due mamme, quindi, che si sovrappongono. Quando prego la Madonna io ci sento ancora la mia mamma accanto a Lei, che mi ha insegnato l’Ave Maria.
E forti le emozioni dei partecipanti di fronte alla bella immagine della Vergine di Lourdes. Ascoltiamo i loro commenti:
R. – Veramente un momento emozionante, perché durante tutto questo mese, Maria, la Madonna, ci ha accompagnato. Allora la vogliamo ringraziare per la sua compagnia e la sua protezione di Madre.
D. – Quanto è importante la figura della Madonna nella sua vita?
R. – La Madonna è la mia Mamma del cielo, che mi accompagna sempre.
R. – Per noi il mese di maggio finisce, ma non finisce la devozione a Maria. E’ un punto di riferimento costante e illuminante nella nostra vita. Ci auguriamo di essere sempre sotto il suo manto, protetti per il resto della nostra vita, come lo siamo stati finora.
R. – La conclusione, alla fine di questo mese, è per me, assieme col popolo di Dio, l’offerta dell’intenzione del Santo Padre e della Chiesa intera, in questa giornata solenne per la Santa Trinità. Per me il convergere verso la Madonna è veramente una grazia.
D. – Lei quanto si affida alla Madonna nella sua vita quotidiana?
R. – Già da bambino avevo una devozione incredibile, e nei momenti di solitudine - specialmente perché non c’è più la mamma terrena - penso che il mio rifugio sia la Mamma del Cielo.
R. – Sempre, perché Maria è proprio la compagna più bella e più grande di questo affidamento al Signore.
D. – Il Papa, durante l’Angelus, ha invitato ad essere comunità accogliente come Maria. Cosa vuol dire?
R. – Chiedere un cuore umile, semplice, come il suo, che è la casa più accogliente, che ha ospitato proprio Gesù.
R. – Maria è la Madre e accoglie tutti. Anche noi cerchiamo nella nostra vita di avere il cuore aperto verso tutti quelli che bussano in qualche maniera alla nostra porta, per chiedere di conoscere Gesù.
P. Fares: per Bergoglio vescovo è uomo di comunione che veglia sul popolo
"Francesco, appena eletto, si é collocato nella grande tradizione della Chiesa e del Vaticano II". É uno dei passaggi dell'articolo di apertura dell'ultimo numero di Civiltà Cattolica dal titolo "La figura del vescovo in Papa Francesco" a firma del teologo gesuita argentino Diego Fares. Alessandro Gisotti ha chiesto a padre Diego Fares, legato a Jorge Mario Bergoglio da quarant'anni, di soffermarsi sul tema del suo articolo:
R. – Appena eletto Papa Francesco fa due movimenti – parlo della sua corporalità, senza metafore: il primo, quello di abbassarsi. Invece di mettersi molti paramenti lui ha chinato la testa per ricevere la benedizione del popolo fedele che stava nella piazza e in tutto il mondo, vedendolo. Questo è Vaticano II: "Lumen Gentium 8". Cristo che si spoglia, che viene a cercare I poveri; la Chiesa che “quantunque abbia bisogno di mezzi umani per compiere la sua missione, non è fatta per cercare la gloria terrena, bensì per far conoscere anche con il suo esempio l’umiltà e l’abnegazione” (LG 8). L’altro gesto è quello che fa ogni volta che sale sulla papamobile e gira la piazza in tutta la sua ampiezza, o quando sceglie i luoghi di frontiera come meta delle sue visite. I suoi movimenti ci fanno sperimentare un’immagine di come un vescovo possa essere in mezzo al suo popolo. Questo è la "Lumen Gentium 12": Vescovo e popolo fanno un cammino insieme, in cui “la totalità dei fedeli che hanno l’unzione ricevuta dal Santo Spirito (cfr 1 Gv 2,20.27) non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua particolare proprietà mediante il soprannaturale senso della fede di tutto il Popolo, quando ‘dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici’ esprime il suo consenso universale in materia di fede e di morale” (LG 12). Ma soprattutto è importantissimo capire che per il Concilio e per Gesù, pastorale non si oppone a dottrinale. La pastorale non è un’applicazione d’una “dottrina” gestita per i dottori della legge, che hanno le mani pure perché non toccano mai la gente, ma agiscono soltanto con le idee chiare e distinte di Cartesio, mentre i pastori se le sporcano. La Rivelazione che ci ha consegnato il Signore, si ordina alla salvezza del suo popolo non a una conoscenza astratta della Trinità ma a una conoscenza amorosa ed operante. La dottrina è pastorale, è riflettuta nell’azione di comunicare la grazia mediante i Sacramenti e le opere di misericordia. E la fede che opera per la carità.
D. – Spesso Francesco ripete ai vescovi di essere “pastori, non principi” e ha destato un certo scalpore la definizione di “vescovi-pilota”, utilizzata da Francesco nel recente discorso alla Cei. Alcuni leggono questo come un “rimprovero” del Papa ai suoi confratelli. Qual è la sua opinione conoscendo Bergoglio da prima ancora che lui stesso fosse nominato vescovo?
R. – Questo di essere pastori, di avere l’odore delle pecore e non essere principi né piloti (gestori), viene da quarant’anni, da quando eravamo novizi e studenti e lui era il nostro provinciale e dopo rettore. Mi ricordo di un compagno che, passeggiando per l’orto del nostro Collegio Massimo, dove avevamo maiali, mucche e pecore, ha visto che Bergoglio, il nostro rettore, stava aiutando una pecora a partorire. Sorpreso il mio compagno, gli ha offerto il suo aiuto. La pecora aveva rifiutato un agnellino dei tre che aveva partorito. Bergoglio ha riflettuto un attimo e improvvisamente ha preso quell’agnellino e glielo ha consegnato dicendogli: “Custodiscilo!”. “E come si fa”, ha detto questo? “Vai all’infermeria e riscalda un po’ di latte e daglielo con il biberon”. Per cinque mesi, questo studente ha avuto l’agnello in camera sua, che propriamente puzzava di odore di pecora... L’agnello lo seguiva per tutta la casa, fino in chiesa e nelle aule. Bergoglio gli ha detto: “Ti ho provato. Tu hai imparato questo: se tu la custodisci, la pecora ti segue. Fa’ cosi”. Dire ai vescovi di essere pastori, non principi né piloti è un rimprovero di quelli cha danno vita. Ho sentito dire: “Con tutti ha tanta misericordia e ai vescovi li calpesta”. Ma le opere di misericordia spirituale dicono: insegnare a quello che non sa, dare buoni consigli a quello che ne ha bisogno e correggere quello che sbaglia. Sono “rimproveri misericordiosi”. Una cosa è perdonare ai peccatori (pecore e pastori) i peccati e un’altra cosa è essere misericordioso con la missione del Pastore. La missione va corretta: Pietro è stato corretto “impietosamente” da Gesù: “Vai dietro di me, Satana questi pensieri non sono da Dio”. E questi rimproveri di Gesù l’hanno fatto un Pastore misericordioso con le pecore. Le opere di misericordia spirituale sono propriamente diversi gradi di rimprovero amoroso: insegnare e dire "si fa così e non così". Consigliare vuol dire: ti consiglio di fare questo e non quello. Correggere vuol dire: "Senti, tu sbagli!" Meno male che il Papa ci dice di non essere pilota. Come fai a pilotare una Chiesa che è barcone di rifugiati, ospedale da campo… e società ipertecnologica… Invece, essere pastori significa che uno conta con l’amore e l’aiuto delle pecore per trovare l’acqua: il senso del popolo fedele che aiuta il pastore ad ascoltare lo Spirito…
D. – Una delle categorie molto presenti in Francesco, quando parla dei vescovi, è il “vegliare”, cioè il pastore deve “vegliare sul suo popolo”. Cosa vuol dire esattamente per il Papa?
R. – Un’immagine molto bella e forte dell’uomo che veglia è quella di San Giuseppe. È lui che veglia fino in sogno sul Bambino e sua Madre. Da questo vegliare profondo di Giuseppe nasce quel silenzioso sguardo d’insieme capace di curare il suo piccolo gregge con poveri mezzi. E germoglia anche lo sguardo vigile e astuto che riuscì a evitare tutti i pericoli che minacciavano il Bambino. Il San Giuseppe dormiente, al quale Papa Francesco affida i suoi “foglietti” affinché “li sogni”, è l’immagine del vescovo, del pastore che veglia sul suo popolo. C’è un carisma specifico espresso nel nome stesso di ‘vescovo’ — in greco "episkopos" — sul quale l’allora cardinale Bergoglio rifletteva nel Sinodo del 2001, dedicato a “Il vescovo: servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”. Quel carisma, che è anche una missione propria del vescovo consiste nel “vegliare”. Vale la pena di riportare il testo per intero: “Il vescovo è colui che veglia; cura la speranza vegliando per il suo popolo (1 Pt 5,2). Un atteggiamento spirituale è quello che pone l’accento sul sorvegliare il gregge con uno sguardo d’insieme”; è il vescovo che cura tutto ciò che mantiene la coesione del gregge. Un altro atteggiamento spirituale pone l’accento sul vigilare stando attenti ai pericoli. Entrambi gli atteggiamenti hanno a che fare con l’essenza della missione episcopale e acquisiscono tutta la loro forza dall’atteggiamento che considero più essenziale, e che consiste nel vegliare. “Una delle immagini più forti di questo atteggiamento è quella dell’Esodo, in cui ci viene detto che Yahvé vegliò sul suo popolo nella notte di Pasqua, chiamata per questo “notte di veglia” (Es 12,42). Quel che desidero sottolineare è questa peculiare profondità del vegliare rispetto a un sorvegliare in modo più generale o rispetto a una vigilanza più puntuale. Sorvegliare fa riferimento più alla cura della dottrina e dei costumi, mentre vegliare allude piuttosto al curare che vi sia sale e luce nei cuori. Vigilare parla dello stare all’erta dinanzi al pericolo imminente, vegliare invece parla di sostenere con pazienza i processi attraverso i quali il Signore porta avanti la salvezza del suo popolo. Per vigilare è sufficiente essere svegli, astuti, rapidi. Per vegliare occorre avere in più la mansuetudine, la pazienza e la costanza della carità comprovata. Sorvegliare e vigilare ci parlano di un certo controllo necessario. Invece, vegliare ci parla di speranza, la speranza del Padre misericordioso che veglia sul processo dei cuori dei suoi figli. Il vegliare manifesta e consolida la "parresia" del vescovo, che mostra la Speranza “senza snaturare la Croce di Cristo”.
D. – Lei su "Civiltà Cattolica" scrive che il modello a cui guarda Bergoglio è il vescovo come “uomo di comunione”. Una sua riflessione al riguardo…
R. – È stato questo il nucleo dei discorsi ai vescovi italiani, l’anno scorso e quest’anno. Nel 2014, Papa Francesco ha compiuto un gesto significativo: ha regalato ai vescovi il testo del discorso con cui Paolo VI richiedeva, alla stessa Conferenza episcopale italiana, 50 anni fa, il 14 aprile 1964, “un forte e rinnovato spirito di unità” che provochi una “animazione unitaria nello spirito e nelle opere”. Questa unione è la chiave affinché il mondo creda, affinché si possa essere “Pastori di una Chiesa [...] anticipo e promessa del Regno”, che esce verso il mondo con “l’eloquenza dei gesti” di “verità e misericordia”. E come il Pontefice ha detto ai vescovi italiani il 18 maggio scorso, essere uomini di comunione richiede una speciale “sensibilità ecclesiale”. L’unione è opera dello Spirito che agisce grazie a vescovi pastori e non a “vescovi-pilota”. Essi rinforzano “l’indispensabile ruolo di laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono”. La loro sensibilità ecclesiale “si rivela concretamente nella collegialità e nella comunione tra i Vescovi e i loro Sacerdoti; nella comunione tra i Vescovi stessi; tra le Diocesi ricche – materialmente e vocazionalmente – e quelle in difficoltà, tra le periferie e il centro, tra le Conferenze episcopali e i Vescovi con il Successore di Pietro”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Quando facciamo il segno della croce: all'Angelus il Papa ricorda che tutta la vita cristiana ruota intorno al mistero della Trinità.
Campionario di guerra: alla fame quasi metà della popolazione sud sudanese.
Ascoltando Caterina: l'omelia del cardinale segretario di Stato in occasione del seminario internazionale "La Chiesa di fronte alla condizione delle donne oggi" organizzato da "donne chiesa mondo" mensile dell'Osservatore Romano; un articolo di Lucetta Scaraffia dal titolo "Per proiettarsi al futuro" e Silvia Gusmano sulle conclusioni dei lavori. Allegato al giornale, il numero di giugno del mensile, dedicato alle donne anziane che "tengono in piedi il mondo".
Medicina personalizzata: Carlo Petrini illustra il metodo adattivo nella sperimentazione dei trattamenti.
Un dialogo aperto con l'islam: Maria Laura Conte sulla nuova "Oasis".
Iraq nella morsa dell'Is. Card. Scola visita la Chiesa locale
La lotta contro il sedicente Stato islamico fa registrare alti e bassi. In Iraq, ucciso in un raid il regista dei video del terrore, ma cresce la preoccupazione per le minoranze, soprattutto quella cristiana, alla quale porterà la sua solidarietà la Chiesa ambrosiana nella persona dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Scola. Oggi, almeno 75 soldati e poliziotti sono stati uccisi oggi in due attentati suicidi compiuti dai jihadisti nella provincia di Al Anbar, nell’ovest dell'Iraq. Intanto, anche a Misurata, in Libia, ieri sanguinoso attacco dei jihadisti. Come fronteggiare questa ulteriore offensiva del Califfato? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Eric Salerno, esperto di Medio Oriente del Messaggero:
R. – Forse, la cosa più importante sarebbe riuscire a capire e agire contro chi in qualche modo, direttamente o indirettamente, sta finanziando e aiutando il Califfato, che si sta estendendo un po’ ovunque. Purtroppo, varie forze – anche mediorientali – per motivi interni delle volte, legati alla rivalità tra il mondo sciita e quello sunnita, hanno finanziato diverse organizzazioni, che poi si sono trasformate. E, in questo caso, il Califfato è diventato ora una minaccia un po’ per tutti.
D. – La comunità internazionale, che non ci ha pensato su due volte ad abbattere Saddam Hussein o il regime dei talebani in Afghanistan, sembra che comunque stia aspettando a prendere una posizione netta nei confronti dell’Is…
R. – Perché non sa cosa fare in questo momento: sta cercando di fare qualcosa, però non sa come intervenire. La comunità internazionale si trova oggi nel grande dilemma di dire: riusciamo a combattere, come innanzitutto? Con quali armi e con quali strumenti: con eserciti europei o statunitensi che atterrino in Siria, in Iraq? E per fare che cosa? Chi sarà poi quello che dovrà gestire il futuro di queste regioni? Quale sarà il leader? Non esiste un leader in Siria e non esiste evidentemente un leader in Iraq, che sia in grado di unificare il Paese in questo momento. E l’Is va avanti.
L’Europa critica la "black list" stilata dalla Russia
La Russia si dice "delusa" dalle reazioni dell’Europa riguardo alla cosiddetta "black list" stilata da Mosca che vieta l’ingresso nel Paese a 89 personalità politiche e militari europee. Si tratta di una reazione del Cremlino alle sanzioni imposte in seguito alla crisi ucraina che sta suscitando molte polemiche da parte delle cancellerie occidentali. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Fabrizio Dragosei del "Corriere della Sera":
R. – Questa lista non è nuova. E’ una lista creata circa un anno fa, in risposta alla "black list" americana ed europea e solamente adesso è stata resa nota. All’epoca questa risposta russa non suscitò molto clamore: ne suscitò molto meno di quanto ne avessero suscitato le contro sanzioni, che effettivamente colpirono poi le esportazioni di diversi Paesi in Russia: per esempio, l’Italia per l’agroalimentare, e così via. La lista nera di europei ed americani, che non possono andare in Russia e non possono magari tenere soldi nelle istituzioni finanziarie russe, credo che lasci il tempo che trova. Non vedo, infatti, questa folla di europei vogliosi di recarsi in Russia o, ancora meno, di aprire conti in banche russe.
D. – Questa iniziativa è capace di minare il dialogo fra la Russia e l’Occidente?
R. – Sicuramente crea nuovi problemi. Diciamo, intanto, che questo dialogo ancora non è ripreso veramente: c’è stata una ripresa di contatti, ma non è un "reset del reset". Siamo semplicemente in una fase nella quale si dice: “Ok, abbiamo posizioni molto diverse su molti punti. Su alcuni punti - in particolare l’Ucraina - le nostre posizioni sono, almeno per ora, quasi inconciliabili, però parliamoci e vediamo di fare le cose che possiamo fare assieme”, che mi pare semplicemente – forse – un ritorno alla politica realistica degli anni ’70 e ’80, la "realpolitik".
D. – Che valore ha la visita di Putin, in programma nei prossimi giorni a Milano, per Expo?
R. – La scusa è quella dell’Expo, ma l’Italia è certamente uno dei Paesi – assieme alla Germania – che tiene maggiormente le relazioni con la Russia e rappresenta l’ala più morbida dell’Europa. Nel caso dell’Italia, diciamo l’ala più realistica. L’Italia, infatti, non pensa di abbandonare la linea europea sulle sanzioni e così via, però pensa di dover continuare il dialogo e di dover continuare il confronto anche duro con la Russia, che poi alla fine è anche la linea americana. Se Kerry, infatti, va a Soči ad incontrare Putin, mi pare abbastanza logico che poi Putin si veda con gli europei, ai quali è più vicino: quindi la Merkel e quindi anche l’Italia di Matteo Renzi.
Nepal: riaprono le prime scuole a un mese dal terremoto
A poco più di un mese dal sisma che ha causato oltre 8 mila morti, continua la ricostruzione in Nepal. In questi giorni sono state riaperte le prime scuole, con 14 mila bambini che hanno potuto riprendere gli studi in 137 “spazi aperti per l’istruzione”. Per loro ci saranno professori che forniranno un’assistenza psicologica per superare il trauma del terremoto. Intanto, in tutto il Paese sono ancora migliaia gli sfollati, che vivono con preoccupazione l’inizio della stagione dei monsoni. Per un punto sulla situazione, Michele Raviart ha raggiunto in Nepal Alberto Luzzi, dell’associazione “Jay Nepal”:
R. - La bella notizia è che le scuole hanno riaperto e si torna a una certa normalità. Si cerca anche di superare il trauma. La brutta notizia è che molti di questi professori facevano volontariato nei campi di rifugiati e vengono dalle montagne, da zone dove non si può più vivere. Là è stato distrutto tutto. Ci sono le valanghe, non c’è acqua, non c’è nulla. E da questi luoghi noi riceviamo, come associazione "Jay Nepal", una richiesta di aiuto in termini di volontari che possano andare lì e, chiaramente, aiutare perché hanno fatto molto per i bambini e per i ragazzi di questi campi.
D. – Alcune scuole sono spazi aperti. E’ già ricominciata la ricostruzione degli edifici?
R. – Alcune scuole si sono spostate fuori dagli edifici, quindi sono in accampamenti provvisori. Altre hanno deciso comunque di aprire perché hanno reputato che non ci sono rischi di crolli. La situazione, chiaramente, dal punto di vista degli edifici è tragica. Ci sono intere comunità che si trovavano nell'epicentro del terremoto che si sono interamente spostate come rifugiati all’interno della valle di Kathmandu.
D. – In generale qual è la situazione degli sfollati?
R. – La situazione è difficile perché si stanno per avvicinare i monsoni e le piogge. E quindi cerchiamo di prepararci a quello che accadrà… Io parlo mentre c’è una bellissima giornata di sole però da un momento all’altro, settimana più o settimana meno, qui inizieranno le piogge. Gli sfollati in questo momento sono in accampamenti di fortuna, tende che non possono reggere la forza del vento e delle piogge che arriveranno. C’è tantissima preoccupazione, c’è preoccupazione anche da parte nostra, perché gradualmente l’acqua raccogliendosi sui tetti farà scendere più detriti, più macerie e purtroppo la situazione da questo punto di vista è ancora per il 90 per cento irrisolta.
D. – C’è differenza tra quello che si vive a Kathmandu nella città, nella capitale, e il resto del Paese?
R. – Io non vedo tanta differenza perché fuori hanno avuto la difficoltà e vivono una situazione di povertà maggiore di quella che c’è in città. Dentro c’è il problema delle macerie e non hanno spazio. Quindi se devo dire, la situazione è drammatica per motivi diversi sia nella valle che fuori: nella valle non c’è spazio per poter campeggiare a 10 metri di casa tua, quindi finisce che campeggi sotto le macerie e vivi in una situazione di continua paura che ti cada qualcosa addosso con i bambini che ci giocano dentro.
D. – Ad un mese dal terremoto, il Paese si sta riprendendo?
R. - Noi vediamo situazioni, andando sul campo, di smarrimento totale. Paradossalmente ne vediamo più adesso che la situazione si è leggermente normalizzata che a ridosso del terremoto, quando la gente aveva la paura dell’immediato, quindi di perdere la vita. Come riprende un po’ di normalità, purtroppo, il livello di smarrimento e depressione da parte dei terremotati è altissimo. Questo è un Paese poverissimo senza risorse, senza strumenti, che si trova probabilmente 30 anni indietro dopo una botta di terremoto e non ha le forze per risalire.
Regionali. Pd, M5S e Lega primi tre partiti. Cala l'affluenza
Il Pd è il primo partito seguito dal Movimento 5 Stelle e, al terzo posto, dalla Lega. E’ questa una delle istantanee delle elezioni regionali tenutesi ieri in Italia. L’affluenza, nelle sette regioni dove si è votato, è stata del 52,2%, un dato nettamente inferiore rispetto a quello della tornata elettorale del 2010, quando aveva votato il 61% degli elettori. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
La partita delle regionali si è chiusa con un risultato di 5 a 2 per il Pd che si afferma con Michele Emiliano in Puglia, Luca Ceriscioli nelle Marche, Enrico Rossi in Toscana, Catiuscia Marini in Umbria e con Vincenzo De Luca in Campania. Il centrodestra vince in Liguria con Giovanni Toti e in Veneto con il candidato della Lega, il governatore uscente Luca Zaia. Il commento, raccolto da Antonella Palermo, di Fabio Bordignon, docente di Metodologia della ricerca sociale e politica all'Università di Urbino:
"Si partiva da una situazione di 5 a 2 del centrosinistra e si finisce con un risultato di 5 a 2. Solo che, dietro questa apparente stabilità, si cela un piccolo terremoto che poteva diventare un terremoto vero e proprio, quando nel corso della notte sembrava che addirittura il centrodestra potesse strappare l’Umbria al Pd. Le due regioni che vanno al centrodestra sono il Veneto e la Liguria, che effettivamente è il dato più importante. La Liguria era stata descritta, alla vigilia del voto, come l’Ohio italiano, cioè quel contesto che avrebbe dato il segno e la chiave di lettura generale del voto. Ed è sicuramente la ferita che fa più male per Renzi, che aveva puntato molto su questa regione. Una ferita che fa male soprattutto perché mostra i possibili effetti di una rottura a sinistra. Ricordiamo che in Liguria correva, in contrapposizione al candidato del Pd, il civatiano Pastorino, cioè frutto di questa rottura che va maturando alla sinistra del Pd renziano".
Il Movimento 5 Stelle è diventato il primo partito in tre regioni e la Lega, su scala nazionale, ha sorpassato Forza Italia:
"Lega e Movimento 5 Stelle sono sicuramente i soggetti emergenti che hanno caratterizzato anche questa tornata. All’interno del centrodestra si assiste ad un riequilibrio dei rapporti di forza tra il partito di Salvini e Forza Italia. In generale, però, in merito al centrodestra emerge un dato: la coalizione riesce a essere forte in quei contesti nei quali si presenta unita. Il Movimento 5 stelle ha sicuramene ottenuto un buon risultato, innanzitutto perché omogeneo dal punto di vista territoriale. Ed è lusinghiero anche perché, comunque, ricordiamo che quando le elezioni si svolgono sul territorio, il Movimento 5 stelle, un partito molto nazionale e molto centralizzato, generalmente arranca".
In netto calo, rispetto alle consultazioni del 2010, l’affluenza. Come si spiega questo dato? Ancora Fabio Bordignon:
"Si spiega con un "trend" generale, innanzitutto, che ormai prosegue da qualche anno e che segna un atteggiamento più disincantato dei cittadini nei confronti della politica ma anche, in parte, di rabbia nei confronti del Palazzo. E su questo sicuramente le vicende poco edificanti delle ultime settimane, in particolare con l’epilogo di campagna elettorale sulla vicenda campana, ha inciso paradossalmente più nelle altre regioni che nella stessa Campania. Tuttavia, vorrei anche in parte cercare di ridimensionare questo dato nel senso che dobbiamo tenere presente che noi, nel momento in cui interpretiamo questi dati, ci stupiamo soprattutto facendo riferimento ai livelli di partenza, quando ai tempi della prima Repubblica la partecipazione in Italia era molto elevata. Invece, in altre democrazie consolidate, penso su tutte agli Sati Uniti, abbiamo una situazione dove le istituzioni convivono da tempo con tassi di partecipazione molto bassi. E allo stesso tempo quel riferimento ad un passato, spesso idealizzato deve essere un po’ interpretato in modo critico. Infatti, sappiamo che, molto spesso, elevati tassi di partecipazione anche elettorale non sono sempre sinonimo di una buona democrazia. Ma dietro l’impennata della partecipazione, spesso si nascondono meccanismi di tipo clientelare, se non di voto di scambio".
Omicidio avvocato Piccolino. Don Patriciello: gente alzi la voce
Proseguono le indagini per far luce sulla morte dell’avvocato Mario Piccolino, ucciso con un colpo d’arma da fuoco venerdì scorso a Formia. Considerato un paladino della legalità, l’avvocato aveva condotto indagini e inchieste sul coinvolgimento delle locali organizzazioni criminali in attività legate al gioco d’azzardo. A ricordarlo al microfono di Federica Bertolucci è don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, in prima linea contro la camorra:
R. – L’avvocato era impegnato soprattutto per quanto riguarda l’azzardo. D’altronde – anche ieri l’ho detto dall’altare in parrocchia – su questo problema che sta rovinando intere famiglie, mi sembra che, fino ad oggi, soltanto la Chiesa stia alzando la voce per dire che è qualcosa di inconcepibile. Mi sembra che ci sia troppo silenzio intorno, e anche troppa complicità. I guadagni che si ricavano dall’azzardo sono enormi, sono immensi. Però – noi pastori, che conosciamo le famiglie e sappiamo davvero come tante di queste si rovinano – io stesso mi meraviglio di come lo Stato abbia lasciato tanta libertà a questi signori, e si faccia ancora così poco! So che era impegnato su questo campo; dopodiché, non mi meraviglierei se per questo motivo avesse pagato con la vita.
D. – Qual è, secondo lei, il significato della sua morte?
R. – Se l’avvocato è stato ammazzato per questo motivo, sarebbe bene che Formia e tutti quanti noi ci facessimo un esame di coscienza. Tutte le volte che si ammazza un prete, una persona, io mi chiedo sempre perché non sia successo a me, perché abbiano ammazzato don Peppino Diana e don Puglisi - perché questi due preti - don Puglisi in Sicilia, don Peppino nella mia diocesi di Aversa. “Perché non me?” Evidentemente perché – diciamoci la verità – hanno detto delle cose molto importanti, però sono stati lasciati soli. Se l’avvocato aveva cominciato a combattere questa autentica schiavitù che è l’azzardo, perché doveva essere lasciato solo? Dovremmo essere tutti quanti ad alzare la voce!
D.- Invece molte voci restano emarginate…
R. - Quando si lasciano le persone sole, queste possono diventare bersagli: dobbiamo impedire a qualcuno di diventare un simbolo, perché il simbolo, quando va troppo in alto, e – soprattutto – quando è lasciato troppo solo, diventa un bersaglio facilissimo. Deve essere invece un popolo a mobilitarsi, perché non si può uccidere un popolo intero. Se fosse un popolo ad alzare la voce contro la piaga della camorra, della corruzione in politica sarebbe diverso. Sarebbe stato bello se avessimo potuto dire “Voto di qua perché c’è più onestà”, ma purtroppo non c’è! Se è un popolo ad alzare la voce contro la corruzione, contro la camorra, contro un sistema che non va bene, qualcosa cambia. Se invece tanta gente continua ad andare per la propria strada, aspettando che ci sia qualcuno che prenda sulle sue spalle tutto il peso di un peccato che non vuol morire, allora - diciamoci la verità - è normale che facilmente lo si condanni a morte.
Social network ed evangelizzazione, l'esperienza del vescovo di Aversa
I social network nuovi mezzi per dialogare con i fedeli, confrontarsi con quanti vogliono porre domande o conoscere meglio la Chiesa. A sperimentarli con diverse iniziative è la diocesi di Aversa, in Campania, dove in questi giorni il vescovo locale, mons. Angelo Spinillo, si è intrattenuto su Facebook, sulla pagina “Chiesa di Aversa”, con un centinaio di utenti che gli hanno posto domande e hanno condiviso riflessioni. Tiziana Campisi ha chiesto al presule di commentare l’esperienza:
R. – Abbiamo avuto tante richieste e tanti segnali di presenze. Certamente, quando ci si apre ad una platea così vasta, le domande sono state varie. Non era soltanto il rivolgere delle domande come se si parlasse ad un esperto che poi, su certi strumenti di comunicazione, dà le risposte come fosse la persona più competente! Ho cercato piuttosto di dare a questo momento la veste di un dialogo tra amici, tra persone che possono condividere una stima reciproca e quindi anche la possibilità di sviluppare una ricerca comune di ciò che è buono, di ciò che è giusto, di ciò che è bello, di ciò che insomma è la verità.
D. – Ricorda in particolare qualcuna delle domande che le sono state poste?
R. – Le domande sono state molto varie: dal bambino che chiedeva qualcosa sulla vocazione – come si avverte e come si vive una vocazione – a chi chiedeva aiuto per un discernimento vocazionale. Le domande sono state anche riflessioni sui grandi cambiamenti, sulle grandi forme di rinnovamento della vita del mondo e quindi su tutte le problematiche che chiedono uno sguardo di fede che possa essere di aiuto e di orientamento nel cammino, in forma migliore e in forma più nuova.
D. – Come vescovo, come pastore, come vede l’utilizzo dei social network oggi?
R. – Credo che siano uno strumento di grande possibilità e di grande opportunità. Uno strumento che permette davvero questo dialogo, che, se sviluppato con tanta serenità e con atteggiamento veramente pastorale, può anche comunicare contenuti condividendoli – come dicevo – in quella ricerca di ciò che è verità, di ciò che è anche l’attenzione e l’incarnazione – possiamo dire – della fede del Vangelo nel nuovo, nel mondo nel quale ci troviamo, nelle situazioni che ci sono oggi. Credo che lo strumento permetta di poter entrare in condivisione e quindi in amicizia con tante persone.
D. – Cosa si augura dall’utilizzo dei social network?
R. – Mi auguro che possa esserci - anzitutto nella nostra Chiesa - la consapevolezza che il mondo, nel suo dinamismo, è sempre in movimento, è sempre in crescita. Quindi non possiamo fermarci ad un tipo di pastorale che si è consolidata nel tempo, si è consolidata nelle modalità, nei linguaggi. Siamo chiamati ad incontrare realtà assolutamente nuove, ad imparare noi stessi linguaggi nuovi. Imparare a concentrare un pensiero in 140 battute, come avviene su Twitter; cercare di essere essenziali quando parliamo davanti ad una telecamera o nel dialogo che si può svolgere su Facebook - per noi che siamo abituati ad un linguaggio più elaborato, più costruito - è dover imparare un nuovo linguaggio, che sia più rapido, più diretto. Tutto questo ci dice che siamo chiamati a sviluppare una disponibilità: una disponibilità al dialogo, una disponibilità ad un dialogo che sappia ascoltare e imparare e che sappia poi comunicare; ma significa anche entrare in un dinamismo, che è quello del tempo che viviamo e che richiede certamente presenze pastorali che sono – diciamo – antiche e nuove. Possiamo dire come dice Gesù nel Vangelo: lo scriba per il Regno dei Cieli è colui che trae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.
Alzheimer: nuovo impegno Federazione italiana contro patologia
Un altro passo in avanti è stato fatto per aiutare i malati di Alzheimer e le loro famiglie: è stata infatti tradotta in italiano la "Dichiarazione di Glasgow", che ora è possibile leggere e sottoscrivere online sul sito delle Federazione italiana Alzheimer, che da oltre 20 anni si batte per salvaguardare i diritti delle persone affette da demenza. Sugli scopi della dichiarazione ascoltiamo il presidente della Federazione, Gabriella Salvini Porro, al microfono di Maria Cristina Montagnaro:
R. – Prima di tutto, i diritti che hanno questi malati: il diritto ad avere un’assistenza centrata sulla persona, e non tanto sulla malattia; perché, attualmente, non ci sono terapie che possano influenzare la malattia realmente. Quindi, bisogna considerare tutti gli strumenti che abbiamo in mano, e che sono il modo di curarli, di assisterli, di prendersi cura di questi malati.
D. – Che cosa chiedete alle istituzioni europee?
R. – Chiediamo di mettere a punto dei piani che coinvolgano tutti questi attori: malati in prima persona, famiglie, ricercatori, e tutte le istituzioni deputate ad assisterli; e chiediamo anche di finanziare le strutture che svolgono tutta questa attività.
D. – E ai governi nazionali che cosa chiedete?
R. – Ai governi nazionali chiediamo la stessa cosa: che considerino la malattia, e considerino non solo la malattia, ma il malato.
D. – Quali sono i primi sintomi della malattia?
R. – I primi sintomi non sempre sono gli stessi per tutte le persone: ogni malato è molto diverso dall’altro. Le manifestazione più evidente è la perdita di memoria importante. Non bisogna però spaventare le persone, perché la memoria la perdiamo un po’ tutti… Chi non ha dimenticato le chiavi di casa, della macchina o dove si trovava la macchina? Devono quindi essere perdite di memoria, ma sempre importanti. E poi un’altra manifestazione è il disorientamento.
D. – E qual è la dimensione di questa malattia?
R. – In Italia, parliamo di 1 milione e 200 mila persone con demenza, di cui almeno 600-700 mila sono malati di Alzheimer.
D. – Per sensibilizzare su questa malattia avete organizzato anche delle passeggiate in bicicletta: quanto è importante lo sport?
R. – Lo sport è sempre importante, perché ci sono degli studi che dimostrano che l’attività fisica - quella piacevole naturalmente - può essere utile per prevenire o affrontare il problema della malattia.
Castel S. Angelo: "Lo Stato dell'Arte: L'Arte dello Stato"
A Castel Sant'Angelo, è stata inaugurata nei giorni scorsi, e si protrarrà fino al 29 novembre, la mostra "Lo Stato dell'Arte: l'Arte dello Stato" ideata dal Centro Europeo per il Turismo. L'allestimento raccoglie capolavori acquisiti dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo o donate da privati per accrescere il patrimonio culturale italiano. Eugenio Murrali ha intervistato Mario Lolli Ghetti che insieme con Maria Grazia Bernardini ha curato l'esposizione:
R. – E’ una mostra che presenta un aspetto poco noto o forse proprio negletto della politica del nostro Ministero, dello Stato italiano nei confronti dei beni culturali e cioè quello delle acquisizioni. Si parla in continuazione di sovrabbondanza di opere nei nostri musei, di vendita dei materiali di deposito e si ignora, invece, che nel frattempo il Ministero continua, silenziosamente o a volte anche con grande clamore mediatico, ad acquisire moltissime opere d’arte. Una elencazione che è strabiliante, perché ci sono opere che vanno dalla più remota antichità fino al contemporaneo, a volte di qualità eccezionale. Quello che è importante spiegare è che le acquisizioni delle opere sono mirate a riempire vuoti nelle collezioni, a completare delle serie storiografiche, a chiarire i nessi tra le opere che già esistono nei Musei. Insomma, in una parola, a ricostituire quel tessuto connettivo delle arti, che è molto importante.
D. – Quali sono i punti forti della mostra, le opere salienti?
R. – La mostra intende presentare opere che siano poco note e poco conosciute. Quindi, mancheranno opere che, invece, sono state molto pubblicizzate quando sono state acquisite: sia perché sono opere molto conosciute, e che sono state spesso già esposte e quindi diventerebbero quasi dei doppioni di esposizione, sia perché intorno a certe opere c’è stato un eccessivo clamore mediatico, mentre meriterebbero altre fonti e altri modi di approfondimento, divversi da una mostra come questa, che è piuttosto antologica. Quindi, non ci saranno i capolavori assoluti, anche perché – diciamo la verità – i capolavori assoluti sono difficili da comprare, compaiono raramente sul mercato e a prezzi che non sono accessibili per i bilanci dello Stato. Invece quello che si è comprato, e che viene presentato in mostra, sono le opere del tessuto che una volta si dicevano “le opere minori”, ma che minori assolutamente non sono, perché costituiscono invece quel tessuto connettivo dentro il quale le grandi opere e i grandi capolavori prosperano, si sviluppano e possono essere compresi.
D. – Vi sono ovviamente anche opere di ispirazione religiosa…
R. – L’arte italiana è per buona parte un’arte religiosa, ovviamente. I polittici, per esempio, sono quasi sempre, anzi sempre, religiosi. Del polittico che faceva parte già delle collezioni di Castel Sant’Angelo – attribuito agli Zavattari, artisti milanesi, lombardi, del Quattrocento – lo Stato ha ritrovato sul mercato due pannelli e li ha ricomprati per reintegrarlo e quindi adesso diventa più ampio di come era prima. Sono stati comprati anche due laterali di una tavola che lo Stato già possedeva e che così ricostruisce un trittico di cui si aveva la memoria storica, ma non la presenza fisica. Ci sono poi anche dei capolavori assoluti di arte religiosa: uno Stomer straordinario – per esempio – con una "Annunciazione", che è stato comprato sul mercato per gli Uffizi.
D. – Non solo lo Stato, anche i privati possono contribuire al recupero e all’accrescimento del patrimonio culturale italiano?
R. – Direi proprio di sì. La domanda è molto pertinente e anche interessante, per creare uno spiraglio su un aspetto non troppo frequentato nella società civile italiana. Nel senso che le donazioni e i lasciti, che pure ci sono, non sono nella quantità che ci si aspetterebbe: se leggiamo le statistiche, l’Italia è un Paese in cui ci sono tantissime persone in possesso di grandissimi patrimoni, ma è molto raro che le persone – anche in possesso di ingenti fortune – comprino cose per lo Stato, facciano donazioni, facciano rientrare capolavori che sono sul mercato internazionale. Cosa, questa, che è molto frequente invece negli altri Paesi: pensiamo agli Stati Uniti, pensiamo alla Francia. Forse questo avviene anche per una differente legislazione, cui si è tentato recentemente di ovviare con l’“Art Bonus”. Vedremo i risultati quali saranno. Si spera proprio che una mostra del genere, facendo vedere quanto si è comprato, come si è comprato e anche le donazioni invogli altri a operare in questo senso, che è assolutamente virtuoso.
Burundi: sventato attentato contro arcivescovo di Bujumbura
Sventato un attentato contro mons. Evariste Ngoyagoye, l’arcivescovo di Bujumbura, capitale del Burundi, durante la processione di questa domenica per la chiusura del mese mariano. È quanto hanno riferito all’agenzia Fides fonti della Chiesa burundese, secondo le quali il servizio di sicurezza, formato dai giovani dell’arcidiocesi, ha contribuito a sventare l’attacco. Anche uno dei presunti componenti del commando che doveva agire ha confermato alla radio "Voice of America" che tutto era pronto per sferrare l’attacco al presule.
Vescovi del Bururndi avevano chiesto rinvio elezioni presidenziali
Questo esodio arriva dopo che la Conferenza Episcopale, con due recenti dichiarazioni, ha preso una posizione netta nella crisi scaturita per la decisione del presidente Pierre Nkurunziza di presentarsi alle elezioni previste il 26 giugno per un ottenere un terzo mandato, in violazione della Costituzione e degli Accordi di pace di Arusha. In un messaggio del 12 maggio i vescovi hanno chiesto il rinvio delle elezioni, mentre con quello di giovedì scorso hanno annunciato il ritiro dei sacerdoti che avevano ricevuto il permesso di far parte delle commissioni elettorali indipendenti.
Vertice a Dar es Salaam sulla crisi in Burundi
Intanto, ieri, si è tenuto a Dar es Salaam in Tanzania, il vertice dei Capi di Stato dell’Africa orientale sulla crisi in Burundi. Secondo fonti di Fides, “l’opposizione burundese è delusa del vertice dei capi di Stato perché hanno preso una posizione giudicata molto debole”. Sempre secondo le testimonianze raccolte dall’agenzia “i partecipanti hanno solo chiesto di rimandare le elezioni di un mese e mezzo, non si è invece parlato della riapertura delle radio dell’opposizione e della questione del terzo mandato di Nkurunziza”. “I leader dell’opposizione hanno quindi annunciato la ripresa delle manifestazioni dopo una pausa di alcuni giorni. La situazione rimane quindi molto tesa”, concludono le fonti locali di Fides. (M.G.)
Attivisti pakistani: “Peggiora la condizione delle minoranze”
In Pakistan, lo spazio e la libertà per le minoranze etniche e religiose e per le comunità emarginate si va continuamente restringendo e quanti difendono i diritti umani sono presi di mira. È la denuncia lanciata dai partecipanti alla conferenza dal titolo “Minoranze religiose e la libertà di espressione in Pakistan”, organizzata nei giorni scorsi dall'Istituto Jinnah, prestigioso centro studi con sede a Karachi, intitolato al fondatore della patria Ali Jinnah. Il convegno, di cui ha dato notizia l’agenzia Fides, ha riunito attivisti e rappresentanti delle minoranze, attivisti della società civile per discutere sulla questione delle minoranze religiose in Pakistan. Fra i temi affrontati dai presenti anche le carenze nel sistema di comunicazione e informazione: i giornalisti stessi, infatti, vengono minacciati e non possono scrivere liberamente dei problemi relativi alle minoranze.
Società pakistana si è radicalizzata contro le minoranze
Durante la conferenza si è ricordato che uomini politici, attivisti, accademici, professori, agenti di polizia, uomini d'affari e gli altri, sono stati colpiti e uccisi. Tra loro, menzionati i casi di Saleem Shahzad, Salmaan Taseer, Rashid Rehman, Sabeen Mahmud e molti altri. Questo accade perché la società si è eccessivamente radicalizzata. “La glorificazione di un unico sistema di credenze, quello islamico, a spese di tutti gli altri ha danneggiato la nostra società. Nessuno oggi ammette che le nostre leggi sono discriminatorie. Il dissenso e la modernizzazione sono stati costantemente demonizzati”, hanno detto i presenti.
Diffusione dell'odio nelle scuole, serve più impegno dei politici
Il politico Ramesh Kumar Vankwani, intervenendo alla conferenza ha ammesso che la leadership politica non ha mostrato molto interesse a risolvere i problemi delle minoranze, e ha ricordato che la Costituzione garantisce i diritti fondamentali. La cattolica Romana Bashir ha notato che dopo l’attacco alle chiese di Youhanabad a Lahore, i mezzi di comunicazione hanno dato più spazio all’episodio successivo, il linciaggio di due musulmani, piuttosto che agli attentatati kamikaze. Tra le radici di questo atteggiamento, la diffusione dell’odio che viene coltivato sia nelle scuole, sia nelle moschee. (M.G.)
Siria: appello leader islamici per il rilascio di padre Mourad
I leader musulmani della comunità, i capi del villaggio, i capi dei clan hanno stigmatizzato il rapimento di padre Jaques Mourad - il sacerdote sequestrato nella zona di Homs il 21 maggio - che era noto e apprezzato nell’area di Al-Qaryatayn, dove viveva, nel monastero di Sant’Elia. Così riferisce una fonte, riportata da Fides, secondo la quale i principali esponenti della comunità sunnita di Al-Qaryatayn stanno cercando in tutti i modi di aprire un canale e individuare una strada per il rilascio del sacerdote gesuita, che nel recente passato ha prestato la sua opera di prossimità, dialogo, vicinanza e amicizia verso tutta la comunità locale. Tuttavia, ha aggiunto la fonte di Fides, nella Chiesa locale, “per ora gli sforzi sono vani, in quanto sembra che le persone o i gruppi che lo hanno sequestrato siano estranei al tessuto sociale, etnico e religioso dell’area”. “La tempestività tra la caduta di Palmira, città vicina, e il sequestro di padre Mourad, avvenuto subito dopo - ha proseguito la fonte - lascia supporre un collegamento con lo Stato islamico. Se questo fosse confermato, non sarebbe un segnale promettente: le autorità islamiche locali non hanno influenza sull’Is. L’ipotesi circolante è che alcuni abitanti della zona, per puro odio settario, lo abbiano preso per poi consegnarlo o venderlo allo Stato Islamico”.
Padre Mourad, una vita impegnata nel dialogo ecumenico e interreligioso
Padre Mourad risiedeva nel villaggio di Al-Qaryatayn, nei pressi di Homs, da oltre 10 anni. Fin dal 1991 aveva contribuito a scavare per recuperare i resti dell’antico monastero di Sant’Elia, dove poi si era stabilito. Ora il monastero è chiuso. Il sacerdote, della stessa comunità monastica di padre Paolo Dall’Oglio, animava la parrocchia siro-cattolica locale, con circa 300 fedeli, promuovendo molte iniziative a livello ecumenico e interreligioso, costruendo una sostanziale armonia fra tutte le diverse componenti etniche e religiose locali. Negli ultimi due anni, con lo scatenarsi della guerra, la propaganda settaria si è acuita e gruppi jihadisti hanno iniziato a screditare e disprezzare i non musulmani. Nonostante il deteriorarsi della situazione “padre Jaques viveva una costante dedizione al dialogo, alla preghiera, alla riconciliazione - ricorda ancora la fonte -. Promuoveva il lavoro comune, la solidarietà tra le famiglie di diverse religioni, era un esempio di servizio umanitario senza etichette religiose o etniche. La sua vita era un esempio per disinnescare il settarismo”. La fonte Fides conclude la sua testimonianza spiegando che le speranze di un suo rilascio oggi “vengono solo dalla comunità locale, dalle autorità islamiche, dalle persone di buona volontà. Ma sarà difficile, in quanto non ci sono ponti con l'Is, dato che questa è una entità senza legami con la comunità sul territorio”. (M.G.)
Curia di Milano raccoglie fondi per i cristiani iracheni
Aiutare i cristiani fuggiti dalle zone nel Nord dell’Iraq occupate dai jihadisti dello Stato Islamico. È questo lo scopo della raccolta fondi lanciata dalla Caritas Ambrosiana e dall’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, in vista del viaggio che porterà lo stesso porporato in Medio Oriente dal 16 al 20 giugno prossimi. Secondo quando riferisce l’agenzia Sir, l’arcivescovo di Milano ha risposto a due inviti: il primo del patriarca libanese di Antiochia dei Maroniti, cardinale Béchara Boutros Raï, per intervenire ai lavori del Sinodo dei vescovi libanesi sulla presenza cristiana in Libano e Medio Oriente e sul tema della famiglia con la Commissione episcopale delle diocesi; il secondo è giunto dal patriarca di Babilonia dei Caldei Louis Raphaël I Sako, per visitare i campi profughi nel nord dell’Iraq.
Il cardinale Scola visiterà Erbil come segno di solidarietà ai cristiani pereseguitati
In particolare il 19 giugno il cardinale Scola sarà ad Erbil “per portare - chiarisce una nota della diocesi - la solidarietà della Chiesa ambrosiana ai cristiani perseguitati e costretti a fuggire dalle proprie terre”. A tale scopo l’arcivescovo e Caritas Ambrosiana hanno avviato “una raccolta fondi straordinaria per sostenere le necessità immediate delle migliaia di famiglie profughe che hanno trovato riparo nella capitale del Kurdistan iracheno, dopo la conquista da parte di Is di Mosul e dei villaggi della piana di Ninive, nel nord dell’Iraq”. La Curia milanese spiega che “le condizioni di vita nei campi profughi di Erbil sono precarie. Da quasi un anno si vive nelle tende allestite nei cortili delle chiese, oppure in alloggi di fortuna sovraffollati. Nei campi di Erbil, Dohuk e Zakho - aggiunge un comunicato della Curia - i bambini necessitano di assistenza, cure, attività educative e scolastiche”.
Caritas ambrosiana raccoglie fondi per chi ha perso tutto
A scuotere la macchina della solidarietà ha contribuito anche un messaggio del vescovo di Erbil, mons. Bashar Warda, fatto giungere a Milano, nel quale il presule riferisce che “nell’ultimo anno, più di 125mila cristiani sono stati costretti a fuggire dai loro villaggi solo perché hanno scelto di rimanere cristiani, rifiutando le condizioni imposte dall’Is. Hanno dovuto abbandonare i loro villaggi di notte, nell’oscurità”. “Molti hanno percorso il loro personale Calvario per lunghe ore – spiega ancora il vescovo iracheno -, dopo essersi lasciati alle spalle tutto tranne i vestiti che avevano indosso. Oggi abbiamo famiglie che vivono solo grazie alla carità degli altri”. La raccolta di fondi avviata ha per causale “Cristiani perseguitati in Iraq”. Per tutte le informazioni necessarie: www.caritasambrosiana.it. (M.G.)
A Roma tre giorni tra scienza e teologia per "spiegare" la luce
Il 2015 è stato indicato dall’Unesco come “Anno Internazionale della Luce” e l’Istituto di Scienza e Fede dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum insieme alla Facoltà di Ingegneria dell’Università "La Sapienza" di Roma hanno organizzato nei giorni 3, 4 e 5 giugno la conferenza internazionale “Fiat Lux – Let there be light”. Il programma della "tre giorni", di cui riferisce l'agenzia Zenit, vedrà gli interventi di due premi Nobel, il vicedirettore di Google, i presidenti delle Società di Filosofia Italiana e Internazionale, un direttore di un Dipartimento del CNR, professori di Fisica, di Ottica, di Filosofia e di Astronomia di più parti del mondo, un membro del comitato Nobel, un teologo, un presidente della Società Europea di Fisica dell’Unesco, artisti, architetti, un direttore di un museo tattile in rappresentanza dell’Unione Ciechi e Ipovedenti ed anche un mago dell’illusionismo, che si troveranno tutti a Roma per presentare le proprie ricerche e discutere di "Luce", quella che vediamo e quella che i nostri occhi non percepiscono.
Dialogo tra scienza e fede per scoprire i "segreti" della luce
La Conferenza Fiat Lux è animata dallo spirito di conciliare la fisica, la chimica, la matematica, con la filosofia, la teologia e la cultura umanistica. Nel presentare il convegno alla stampa, il prof. Eugenio Fazio della Facoltà di Ingegneria de "La Sapienza", ha spiegato infatti che non c’è contraddizione tra uomo e natura, l’uomo è parte integrante della natura, e nello stesso tempo non è solo forza di gravità e razioni chimiche è anche pensiero, coscienza, esperienza. Alla presentazione è intervenuto anche padre Rafael Pascual, dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, il quale ha spiegato invece il significato filosofico e teologico della luce che emerge dal buio. Se nei testi sacri la luce è indicata come la manifestazione di Dio, il rifiuto di Dio è spiegato come il buio che opprime e congela l’umano.
La luce delle stelle e la luce primordiale
Dal canto suo, l’astrofisico Marco Bersanelli ha sottolineato che la luce che gli umani percepiscono dal sole e dalle stelle è solo lo 0,004 per cento della luce primordiale del cosmo. Nonostante l’esistenza di quasi duecento miliardi di stelle della nostra galassia che è una di miliardi di galassie, l’energia luminosa è solo una piccola frazione della luce totale. Bersanelli ha poi sostenuto che la maggior parte della energia luminosa non viene dalle stelle. Il 90 per cento della radiazione luminosa viene da una luce primordiale, e di questa i nostri occhi riescono a captarne solo una piccola parte. Infine qualche anticipazione sui temi dell’iniziativa è stata fatta anche dal prof. Alberto Diaspro, direttore del Dipartimento di Nanofisica dell’Istituto Italiano di Tecnologia che ha precisato che i nostri occhi percepiscono solo una piccola parte del reale. Infatti non tutta la materia, le cellule, le sostanze, sono visibili. Il prof. Diaspro ha inoltre raccontato come solo grazie a microscopi ottici è stato possibile vedere le macromolecole e cioè rendere visibile quello che era invisibile. A questo proposito è interessante che alla conferenza parteciperà anche il Mago Silvan, proprio per spiegare come è possibile ingannare l’occhio attraverso tecniche di illusionismo. (M.G.)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 152