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Sommario del 30/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Appello del Papa: soluzione negoziata per tragedia immensa Iraq e Siria

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La guerra in Iraq e Siria è un’immensa tragedia che ha bisogno di una soluzione negoziata urgente: è quanto ha detto Papa Francesco incontrando in Vaticano i membri della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali. Il servizio di Sergio Centofanti

Soluzione a conflitto estenuante
Un incontro fraterno che si è svolto sullo sfondo delle drammatiche notizie che continuano a giungere dalla regione. “In questo momento, in maniera particolare – ha affermato Papa Francesco - noi condividiamo la costernazione e il dolore per quanto accade in Medio Oriente, specialmente in Iraq e in Siria”:

“Ricordo tutti gli abitanti della regione, compresi i nostri fratelli cristiani e molte minoranze, che vivono le conseguenze di un estenuante conflitto. Insieme a voi prego ogni giorno affinché si trovi presto una soluzione negoziata, supplicando la bontà e la pietà di Dio per quanti sono colpiti da questa immensa tragedia”.

Cristiani al servizio della pace e della giustizia
“Tutti i cristiani – ha proseguito il Papa - sono chiamati a lavorare insieme in mutua accettazione e fiducia per servire la causa della pace e della giustizia”:

“Possano l’intercessione e l’esempio di molti martiri e santi, che hanno dato coraggiosa testimonianza di Cristo in tutte le nostre Chiese, sostenere e rafforzare voi e le vostre comunità cristiane”.

Lavoro della Commissione per il dialogo teologico
Papa Francesco ha quindi espresso la sua gratitudine per il lavoro della Commissione, iniziato nel gennaio del 2003, e che negli ultimi dieci anni, “seguendo una prospettiva storica, ha esaminato le strade attraverso cui le Chiese hanno espresso la loro comunione nei primi secoli, e che cosa questo significhi per la nostra ricerca della comunione oggi”. Durante l’incontro di questa settimana, è stato avviato anche un approfondimento sulla natura dei Sacramenti, in particolare del Battesimo. L’auspicio del Papa è che “il lavoro compiuto possa portare frutti abbondanti per la comune ricerca teologica e aiutarci a vivere in maniera sempre più profonda la nostra fraterna amicizia”.

Infine, il Pontefice ha ricordato “con vivo apprezzamento” l’impegno ispiratore per il dialogo del Patriarca della Chiesa Siro Ortodossa di Antiochia e di tutto l’Oriente, Ignazio Zakka Iwas, morto lo scorso anno: “Mi unisco alla preghiera di voi tutti, del clero e dei fedeli di questo zelante servitore di Dio, chiedendo per la sua anima l’eterna gioia”.

Quali sono le Chiese Ortodosse Orientali
Le Chiese Ortodosse Orientali sono quelle che hanno accettato solo i primi tre Concili ecumenici (di Nicea, Costantinopoli ed Efeso). Sono in tutto sei: Patriarcato copto ortodosso d’Egitto; Patriarcato siro ortodosso d’Antiochia e di tutto l’Oriente, Damasco; Chiesa Apostolica Armena: Sede di Etchmiadzine, Armenia – Catholicossato di Antelias, Libano; Chiesa ortodossa d’Etiopia; Chiesa ortodossa di Eritrea; Chiesa ortodossa sira del Malankar.

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Francesco: memoria e speranza, i "parametri" del cristiano

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Un cristiano deve sempre custodire in sé la “memoria” del suo primo incontro con Cristo e la “speranza” in Lui, che lo spinge ad andare avanti nella vita con il “coraggio” della fede. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino, presieduta nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Non ama sul serio chi non ricorda “i giorni del primo amore”. E un cristiano senza più memoria del suo primo incontro con Gesù è una persona svuotata, spiritualmente inerte, come solo sanno essere i “tiepidi”.

Cristiani tiepidi, un fallimento
A orientare l’omelia di Francesco è anzitutto la frase iniziale della Lettera agli Ebrei, nella quale l'autore invita tutti a richiamare “alla memoria quei primi giorni”, quelli in cui avete ricevuto, dice, “la luce di Cristo”. Quello in particolare, il “giorno dell’incontro con Gesù” – osserva il Papa – non va mai dimenticato perché è il giorno di “una gioia grande”, di “una voglia di fare cose grandi”. E assieme alla memoria, mai smarrire il “coraggio dei primi tempi” e l’“entusiasmo”, la “franchezza” che nascono dal ricordo del primo amore:

“La memoria è tanto importante per ricordare la grazia ricevuta, perché se noi cacciamo via questo entusiasmo che viene dalla memoria del primo amore, questo entusiasmo che viene dal primo amore, viene quel pericolo tanto grande per i cristiani: il tepore. I cristiani 'tiepidi'. Eh, ma stanno lì, fermi, e sì, sono cristiani, ma hanno perso la memoria del primo amore. E, sì, hanno perso l’entusiasmo. Anche, hanno perso la pazienza, quel 'tollerare' le cose della vita con lo spirito dell’amore di Gesù; quel 'tollerare', quel 'portare sulle spalle' le difficoltà… I cristiani tiepidi, poverini, sono in grave pericolo”.

Attenzione al male che bussa
Quando pensa ai cristiani tiepidi, due immagini tanto incisive quanto sgradevoli all’apparenza colpiscono Francesco. Quella evocata da Pietro, del “cane che torna al suo vomito”, e l’altra di Gesù, per il quale ci sono persone che nel decidere di seguire il Vangelo hanno, sì, cacciato via da sé il demonio, ma quando questi torna in forze gli aprono la porta senza stare in guardia e così il demonio “prende possesso di quella casa” inizialmente pulita e bella. Che è come dire, tornare al “vomito” di quel male in un primo tempo rifiutato. Viceversa, afferma Francesco:

“Il cristiano ha questi due parametri: la memoria e la speranza. Richiamare la memoria per non perdere quella esperienza tanto bella del primo amore, che alimenta la speranza. Tante volte è buia, la speranza, ma va avanti. Crede, va, perché sa che la speranza non delude, per trovare Gesù. Questi due parametri sono proprio la cornice nella quale possiamo custodire questa salvezza dei giusti che viene dal Signore”.

Memoria e speranza uguale fede
Una salvezza afferma il Papa, citando il passo del Vangelo, che va protetta “perché il piccolo grano di senape cresca e dia il suo frutto”:

“Danno pena, fanno male al cuore tanti cristiani – tanti cristiani! – a metà cammino, tanti cristiani falliti in questa strada verso l’incontro con Gesù, partendo dall’incontro con Gesù. Questa strada nella quale hanno perso la memoria del primo amore e non hanno la speranza".

"Chiediamo al Signore - è la preghiera conclusiva del Papa - la grazia di custodire il regalo, il dono della salvezza”.

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Messico: dolore del Papa per la morte di 2 bimbi e infermiera

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Il Papa ha espresso il suo profondo dolore per le vittime dell’esplosione di un camion cisterna avvenuta ieri davanti a un ospedale pediatrico a Città del Messico: hanno perso la vita due neonati e un’infermiera. Oltre 70 i feriti, in gran parte bimbi di poche settimane. Un neonato è stato tratto in salvo dalle macerie.

Papa Francesco, attraverso il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ha inviato un messaggio di cordoglio al cardinale Norberto Rivera Carrera, arcivescovo di Città del Messico, e in un tweet in spagnolo invita a pregare per le vittime e per i familiari perché il Signore conceda loro pace e fortezza.

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Padre Secondin guiderà gli Esercizi spirituali per il Papa e la Curia

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Esercizi spirituali ad Ariccia dal 22 al 27 febbraio
“Servitori e profeti del Dio vivente”: è il tema degli esercizi spirituali per la Quaresima in programma dal 22 al 27 febbraio nella Casa Divin Maestro di Ariccia e ai quali parteciperanno Papa Francesco e i membri della Curia romana.

Padre Bruno Secondin
Le meditazioni, che presenteranno una lettura pastorale del profeta Elia, saranno tenute dal padre carmelitano Bruno Secondin, docente ordinario emerito di Spiritualità moderna e Fondamenti di vita spirituale alla Gregoriana e nominato nel luglio scorso da Papa Francesco consultore della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Autore di numerosi libri e animatore di incontri di Lectio Divina, padre Secondin ha curato in passato i commenti al Vangelo della Domenica trasmessi dal nostro Radiogiornale delle 14.00.

Il programma degli Esercizi spirituali
Il programma degli esercizi prevede per la domenica iniziale, alle 18.00, l’Adorazione eucaristica e la recita dei Vespri. Le giornate successive si apriranno con le Lodi alle 7.30, seguite da una prima meditazione alle 9.30 e poi dalla Concelebrazione eucaristica. Quindi, alle 16.00, si terrà la seconda meditazione, che precederà l’Adorazione eucaristica e i Vespri. Nella giornata conclusiva, venerdì 27, sono in programma la Concelebrazione eucaristica alle 7.30 e una conclusione alle 9.30.

Le meditazioni
Le meditazioni saranno inaugurate domenica 22 da una riflessione sul tema «Uscire dal proprio “villaggio”» e saranno scandite da questo programma giornaliero: «Cammini di autenticità» (le radici della fede e il coraggio di dire no all’ambiguità), «Sentieri di libertà» (dagli idoli vani alla pietà vera), «Lasciarsi sorprendere da Dio» (l’incontro con un Dio che è altrove e il riconoscimento del povero che ci evangelizza), «Giustizia e intercessione» (testimoni di giustizia e solidarietà). La giornata conclusiva sarà dedicata al tema «Raccogliere il manto di Elia» (per divenire profeti di fraternità).

Sospese udienze private e speciali
Durante il periodo di ritiro, come di consueto, vengono sospese le udienze private e speciali, compresa l’udienza generale del mercoledì.

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Il Papa riceve mons. Paglia e il capo delle Guardie Svizzere

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata in successive udienze mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, mons. Pietro Lagnese, vescovo di Ischia, l’ambasciatore d'Italia, in visita di congedo, Francesco Maria Greco, e il Colonnello Daniel Rudolf Anrig, comandante della Guardia Svizzera Pontificia, in visita di congedo.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura, "Immensa tragedia. Prego ogni giorno affinché si trovi presto una soluzione negoziata". Costernazione e dolore per il perdurare del conflitto nella regione mediorientale, in particolare in Iraq e in Siria, sono stati espressi dal Papa venerdì mattina, 30 gennaio, durante l’udienza — svoltasi nella Sala del Concistoro — alla Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali. 

Di spalla, sempre in prima pagina, "Truppe africane contro Boko Haram; approvato un piano di intervento regionale". Sotto, L’inverno dei profughi siriani; cinque milioni di persone senza aiuti.

A pagina 4 "Usanze difficili da sradicare;  due film sui diritti negati in Etiopia e negli Stati Uniti" di Emilio Ranzato e "Seduttore seriale. Giovanni Boldini in mostra a Forlì" del direttore dei Musei Vaticani Antonio Paolucci.

Nella pagina seguente "Ritorno alle radici. Il concilio Vaticano ii e le religiose" di Caterina Ciriello e "Destinazione Lourdes" di Giulia Galeotti.
A pagina otto, «Non perdere la memoria del primo amore» — cioè «la gioia del primo incontro con Gesù». È un invito a non restare «a metà strada» quello formulato da Francesco nella messa celebrata venerdì mattina, 30 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta.

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Oggi in Primo Piano



Siria, mons. Marayati: solo il perdono riporterà la pace

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Sono almeno 44 le vittime e circa 70 i feriti di un duplice attentato che ha colpito questa mattina il centro di Baghdad. Lo riferisce l'agenzia di stampa locale "al Sumaria", secondo cui tra le vittime ci sarebbero diversi agenti di polizia e militari dell'esercito. Mentre  in Siria – secondo quanto riferito dall'Osservatorio  siriano – a oggi sono circa 350 villaggi intorno Kobane, la città a maggioranza curda, che restano ancora nelle mani dello Stato islamico. Sulla situazione attuale in Siria, Marina Tomarro ha intervistato mons. Boutros Marayati, Arcivescovo di Aleppo degli Armeni Cattolici: 

R. – La situazione sta peggiorando, perché le condizioni di vita sono molto drammatiche, sono andate sempre indietro... Abbiamo un’ora di elettricità e di luce in tutta la giornata e un’ora per avere un po’ d’acqua. Qualche volta non abbiamo né elettricità, né acqua… Il cibo è scarso e in questo inverno così duro non c’è neanche la benzina, non c’è niente per riscaldarsi: vedi questi bambini, questa gente, questi vecchi che stanno sempre lì, con le coperte… Prima non era così. E poi, il governo lancia i barili sulla parte occupata dagli jihadisti e quegli jihadisti, al contrario, mandano razzi e colpi di mortaio sulla parte che è sotto il controllo del governo. In questa parte ci siamo noi, ci sono i quartieri cristiani e riceviamo tanti colpi di mortaio. L’ultima volta, ho qui le foto, è stata colpita della mia cattedrale, così come anche altre chiese… Perciò, non diciamo che la situazione si è calmata. Al contrario, è diventa ancora più drammatica, questo è quello che volevo dire. E la gente comincia a scappare e c’è un esodo ancora più forte di prima: prima speravamo ancora in una soluzione, ma vedono sul terreno che non cambia niente.

D. – E’ una situazione di forte caos, causata da più gruppi di ribelli…

R. – Questo è vero. Non c’è un gruppo di ribelli, ma sono tanti tanti gruppi e questo non ci aiuta per arrivare a un dialogo, perché per avere un dialogo è necessario avere qualcuno con chi parlare… Credo che adesso anche i ribelli, piano piano, si stiano organizzando per avere un portavoce, per avere qualcuno che possa parlare a nome loro. Ma – come diceva lei – ci sono realmente tanti, tanti diversi gruppi e non sappiamo chi ha rapito chi, in quale regioni si trovino i vescovi, in quale parte, sotto il controllo di chi... E questo è un altro dramma ancora, che non ci aiuta a riprendere questo processo di pace.

D. – Quanto riuscite a vivere una vita normale? Quanta voglia c’è di normalità ad Aleppo dove vive lei, ma in Siria in generale?

R. – In generale, questo è il nostro sogno, questo è il nostro desiderio. Questo è qualcosa che noi cerchiamo con tutto il cuore, ma sentiamo che la nostra voce è come fosse una voce del deserto: nessuno può aiutarci e neanche fa un passo, perché ci sono i grandi governi, i grandi poteri, che stanno lì a fare il loro gioco. Quindi, dovrebbe esserci un’intesa fra di loro, fra i grandi poteri, e poi piano piano si viene sul posto. Se sul terreno non c’è l’accordo dei grandi poteri - quello dell’Onu e quello dei grandi Paesi - rimaniamo lì, a non far nessun passo in avanti!

D. – Qual è il ruolo della Chiesa in questo momento? In che modo voi cercate di dare una mano a coloro che soffrono?

R. – Adesso la Chiesa è diventata un luogo per aiutare la gente, per la solidarietà. La Chiesa è diventata una grande "Caritas"... Ormai, non hanno più bisogno solo di lezioni di morale, di preghiere, ma hanno bisogno di aiuti! Ogni chiesa e ogni arcivescovado ha aperto un centro di accoglienza e di aiuto, senza alcuna discriminazione: ci sono anche musulmani, ortodossi, protestanti… Siamo aperti a tutti per aiutare questa gente in questo momento. Non vengono più solamente per le cose pastorali o religiose o canoniche, l’arcivescovado è diventato un centro di accoglienza e di aiuto.

D. – Lei spesso incontra le persone e sente la voce di coloro che vivono in questo momento in Siria: che cosa dicono? Quali sono le loro richieste?

R. – Quelli che vengono da noi hanno una sola domanda: rimaniamo o andiamo? Cosa ci dice la Chiesa? Ci date un consiglio: rimaniamo o andiamo? E lì si tratta veramente una questione alla quale non possiamo rispondere! Perché è una questione di coscienza e devono essere loro a prendere una decisione. Se vogliono rimanere, bisogna aiutarli a rimanere, ma vedono anche che non c’è alcun passo positivo in questo senso. Sono disperati e decidono di andare…

D. – Lei ha detto che “c’è tanta gente che ha le mani macchiate di sangue, ma noi crediamo nel perdono di Dio”. Ma allora è proprio la strada del perdono quella che deve condurre verso la pace?

R. – Senz’altro! Bisogna fare un processo di riconciliazione e quando c’è riconciliazione vuole dire un perdono: tutti e due devono perdonarsi. Così, attraverso questo perdono, ci si può riconciliare e ricominciare una nuova vita.

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L'Is attacca ancora il Sinai egiziano: oltre 40 i morti

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Sale la tensione nel Nord dell'Egitto, anche oggi si registrano scontri nella penisola del Sinai, uccisi due bambini. Ieri la strage in cui sono morte 40 persone, per lo più militari. Gli attacchi sono stati rivendicati dal ramo locale del sedicente Stato Islamico. Massimiliano Menichetti: 

Sono ripresi i combattimenti nella penisola del Sinai tra l'esercito e i jihadisti, due bambini sono rimasti senza vita, per un proiettile vagante e per un colpo di mortaio. Ieri ennesimo giorno di scontri, oltre 40 i morti, decine i feriti. Colpite Sheikh Zuweid e Al Arish nella parte egiziana di Rafah, al confine con la striscia di Gaza. Sparati razzi, colpi di mortaio, usata anche un’autobomba e armi da fuoco per centrare alcuni edifici delle forze dell'ordine, una stazione di polizia, un albergo militare, un checkpoint. Un poliziotto è stato ucciso da una bomba nella città di Suez. L'operazione dei terroristi, che ha distrutto anche la redazione del quotidiano di Stato Al Ahram, è stata rivendicata da un gruppo egiziano affiliato all’Is. L’attentato è tra i più sanguinosi, nel Sinai settentrionale, fin dalla svolta politica che ha portato al potere l'ex generale Abdel Fattah al-Sisi. Una strage che si è consumata nel giorno in cui la Suprema commissione elettorale ha reso noto che dall’8 febbraio potranno essere registrate le candidature alle elezioni parlamentari che si terranno in due fasi: tra il 21 marzo e il 7 maggio prossimi.

Per un'analisi di quanto sta accadendo in Egitto, ai nostri microfoni Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento e autore del libro edito da Il Mulino, “Le rivolte arabe e l’islam”: 

Destabilizzazione del Sinai
R. – Il Sinai, ormai, è diventato una sorta di zona franca in cui gli infiltrati, appartenenti alle più diverse organizzazioni radicali, si inseriscono in un quadro di potenziale destabilizzazione. Gli obiettivi sono naturalmente quelli di creare un punto di riferimento in cui le forze qaediste possano poi allargarsi verso la Siria e lo Stato islamico, e a ovest – evidentemente – verso l’Egitto.

D. – Perché l’ex generale, il presidente, l’uomo forte, al Sisi, non riesce a contenere questa situazione?

R. – Forse anche perché lo interessa poco, nel senso che comunque una circoscrizione, una localizzazione del pericolo islamista in una zona come il Sinai che in qualche modo è geograficamente separata, e poi deserta, può condurre ad un maggiore controllo di queste forze destabilizzanti.

Pugno di ferro contro opposizioni
D. – Lei è appena rientrato dal Cairo, e questa è la settimana in cui si sono svolte e si svolgono le manifestazioni a quattro anni dalla caduta di Mubarak. Qual è la situazione?

R. – Sembra che ci siano stati anche più di 20 morti, ma questo dipende dal fatto che il regime ha colpito con il pugno duro quelle manifestazioni che si opponevano alla linea ufficiale, mentre la grande massa della popolazione restava assolutamente inerte. Le manifestazioni, quelle “serie”, sono pilotate dal regime per scaricare sui Fratelli Musulmani, che sono definiti terroristi e alleati dell’Is e di al Qaeda, la responsabilità dei mali dell’Egitto. Al Sisi applica veramente un pugno di ferro e gli oppositori devono rendersi conto che non solo non hanno gli spazi per protestare, ma che se osano protestare possono venire repressi con la violenza, sul posto.

D. – Ma che cosa è rimasto di quella che veniva definita una “rivoluzione democratica”?

R. – Una evoluzione veramente democratica della rivoluzione egiziana non mi sembra ancora in prospettiva, e anche gli intellettuali che ho potuto incontrare sono molto divisi: ne ho sentiti alcuni che sostenevano la politica di al Sisi ritenendo che in qualche modo al Sisi potesse essere la chiave di risoluzione dei rischi e dei pericoli dell’Egitto; ma ne ho sentiti altri che invece vedono la situazione attuale come una pericolosa involuzione che, oltretutto, colpisce anche le – semmai ci fossero state – speranze dell’islam di poter essere protagonista delle cosiddette “rivoluzioni arabe”.

Verso le elezioni
D. – Che speranze ci sono per le prossime elezioni parlamentari, che ci saranno tra marzo e maggio?

R. – Mi sembra che sia difficile aspettarsi o sperare che queste elezioni siano veramente elezioni libere, anche perché non è vero che tutti i partiti potenzialmente sul terreno – tipo i partiti religiosi – abbiano spazio per esprimersi. Io credo che non ci sarà da aspettarsi molto dalla presa del presidente, ma anche del governo, sulla situazione, sul Parlamento: sarà senza dubbio una presa molto forte. Anche perché, certo, c’è la giustificazione di una potenziale destabilizzazione terroristica, c’è il fatto che l’Egitto ha un’economia in grave difficoltà che deve essere raddrizzata … Certamente, una frantumazione parlamentare non va nella direzione di una stabilità del Paese.

Popolazione passiva
D. – Ma la popolazione, che percezione ha?

R. – E’ assolutamente passiva. Quando ci sono stati gli scontri con i morti, la vita ha continuato a scorrere tranquillamente … Obiettivamente, che si veda un coinvolgimento diretto della popolazione o una popolazione che fosse pronta a riprendere la bandiera della rivoluzione, direi proprio di no. Il mio auspicio è che al Sisi, nel momento in cui si sentisse saldamente al potere, riuscisse a imboccare una strada di vero miglioramento economico delle condizioni di giustizia sociale. Questo vuol dire che noi non dobbiamo guardare tanto al processo con in mente il cammino “democratico” che è usuale nelle società occidentali, ma con quello che è veramente funzionale all’interno degli equilibri politici dell’Egitto. Un Egitto forte dal punto di vista economico, e stabile dal punto di vista sociale credo che possa giocare anche più positivamente, ad esempio relativamente al problema palestinese, un ruolo più decisivo.

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Alluvioni Malawi: contadini alla fame, 200 mila gli sfollati

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Dopo le alluvioni che hanno sconvolto il sud del Malawi e l’appello del Papa che ha chiesto alla comunità internazionale di rispondere ai bisogni di chi soffre, il Paese fa la conta dei danni: è di almeno 54 milioni di dollari, secondo il governo, la cifra che servirebbe per rimettere in piedi l’economia locale, una delle più povere del mondo. Le inondazioni sono state anche al centro della plenaria dei vescovi malawiani, che stanno mobilitandosi per dare accoglienza alle famiglie che hanno perso tutto. Della situazione della popolazione, in particolare dei contadini rimasti senza niente, Roberta Barbi ha parlato con Francesco Coco, un italiano che da anni vive e lavora in Malawi: 

R. – La situazione è molto critica, soprattutto nel Sud del Paese, dove le piogge e le inondazioni sono state più forti. A Lilongwe, nella capitale, non ci si accorge molto di quello che sta succedendo: ci sono black-out quotidiani, ma a parte quello non c’è grande emergenza. Nel sud del Paese, invece, che è la zona più popolata e più produttiva, ci sono quasi 200 mila sfollati, quasi 80 morti e 100 mila famiglie che hanno perso quel poco che avevano. A questo si aggiunge poi anche il rischio, ovviamente, delle malattie.

D. – Il Malawi è essenzialmente un’economia agricola. L’anno scorso ha registrato una produzione record di mais e un aumento del raccolto di cereali pari all’8%, che aveva contribuito a ridurre l’insicurezza alimentare nel Paese. Quali sono le conseguenze delle alluvioni su questo settore?

R. – Le conseguenze sono abbastanza serie non solo sul settore agricolo, ma su tutti gli altri settori, perché il settore agricolo è quello trainante dell’economia, quello principale. L’agricoltura rappresenta circa il 30% del prodotto interno lordo. L’85% della popolazione si dedica all’agricoltura, con tutto quello che ne deriva: tutte le attività economiche fondamentalmente dipendono dalla salute dell’agricoltura. Agricoltura che resta un’agricoltura – salvo il tabacco e il tè – di sussistenza, con tutte le conseguenze che ne derivano per le famiglie che sono legate fondamentalmente al ciclo delle piogge. Se un raccolto va male, si ritrovano in una situazione molto, molto drammatica.

D. – Il governo locale ha stanziato 16 milioni di dollari per l’emergenza e anche la Fao ha fatto sapere che si mobiliterà. Di cosa hanno bisogno i contadini?

R. – Intanto, chi ha perso la casa ha bisogno di ritrovare un tetto; chi ha perso il raccolto, ha bisogno di semi, di fertilizzanti e di rimettersi in carreggiata il più presto possibile, altrimenti questo rischia di essere un anno terribile per la maggior parte della popolazione. Oltre a questo, ovviamente, c’è bisogno di sapone e di tutto quello che può aiutare a mantenere un livello d’igiene accettabile, affinché non si propaghino malattie legate alla mancanza di misure sanitarie basiche, come la diarrea, il colera e la malaria, che qui possono uccidere molto facilmente.

D. – E poi, come sempre accade in caso di calamità naturale, c’è il problema degli sfollati…

R. – Ci sono circa 200 mila sfollati che vivono nelle tende, in questo momento, probabilmente con un accesso all’acqua molto difficile, con un accesso al cibo molto difficile e con un accesso a strutture sanitarie quasi impossibile. Alcune zone sono addirittura raggiungibili solo via elicottero in questo momento, oppure con cinque, sei, sette ore di “quattro-per-quattro”. C’è anche da dire che normalmente le condizioni di vita di queste persone non sono molto al di sopra di quelle in cui si trovano adesso: le case in cui vivono normalmente non hanno acqua corrente, non hanno elettricità, però rappresentano tutto quello che hanno, assieme al loro bestiame e a tutte le cose che servono per vivere quotidianamente. E per la maggior parte di queste persone, tutto questo è andato irrimediabilmente e per sempre perduto, probabilmente.

D. – Cosa può fare la comunità internazionale?

R. – Direttamente non può fare molto, oltre che occuparsi delle emergenze: portare cibo dove c’è bisogno, portare sapone, portare medicine… Questo nell’immediato. Nel lungo termine, però, è il governo malawiano che deve occuparsi di questa situazione e quello che può fare la comunità internazionale è supportare il governo sia da un punto di vista economico, ovviamente, ma anche da un punto di vista della capacità. Il problema è che il Malawi è in uno stato di povertà permanente. Parliamo di uno dei Paesi più poveri al mondo: al di là del disastro, c’è un bisogno costante. Ogni anno ci sono centinaia di migliaia di persone che sono a rischio sicurezza alimentare: questo non vuol dire che tutti muoiano di fame, ma vuol dire che basta poco perché questa soglia venga scavalcata, venga superata.

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Sudan: Msf costretta a fermare aiuti sanitari in zone conflitto

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Grandissimo rammarico da parte di Medici senza Frontiere (MsF) che si è vista costretta ad annunciare la chiusura delle proprie attività nelle aree di conflitto del Sudan. La dolorosa scelta dell’organizzazione umanitaria è stata presa poiché le autorità sudanesi hanno sistematicamente impedito l’accesso alle centinaia di migliaia di persone bloccate nelle aree del conflitto. Totale il divieto di accedere allo Stato del Blue Nile, ostacoli e blocchi che si registrano anche nel Darfur orientale e in quello meridionale. Marco Guerra ne ha parlato con il direttore del supporto alle operazioni, Stefano Zannini: 

R. – Sono accadute tre cose negli ultimi anni: la prima, il sistematico diniego da parte delle autorità di Khartoum a verificare i bisogni della popolazione nello Stato del Blue Nile, che si trova nel Sud Est del Paese; la seconda: l’improvviso e, a nostro modo di vedere, ingiustificato arresto di alcuni dei nostri operatori nel Darfur che stavano portando soccorso medico alla popolazione, e la terza, l’arbitraria negazione di alcuni permessi di viaggi ad alcuni nostri colleghi che stavano andando nel Darfur a lavorare. Pensiamo che la misura sia francamente colma e che l’atteggiamento delle autorità di Khartoum oltre che irritante sia anche irresponsabile di fronte alla popolazione.

D. – Secondo quanto denunciato, un jet della forza aerea sudanese la scorsa settimana ha bombardato deliberatamente un ospedale di Medici senza Frontiere. Ma la situazione è davvero così deteriorata sul terreno?

R. – Sì, la situazione è molto grave nel Sud Kordofan, una regione controllata in parte dai movimenti ribelli; ci sono oltre 225mila sfollati. Purtroppo, il 20 gennaio un aereo delle forze armate sudanesi ha sganciato 13 bombe, due delle quali sono cadute all’interno del recinto ospedaliero ed altre 11 all’esterno. È un atteggiamento irresponsabile, deliberato, in quanto le forze armate sudanesi conoscono esattamente le coordinate del nostro ospedale; è un atteggiamento che mette a rischio la vita dei pazienti, degli operatori umanitari che vi lavorano e delle migliaia di persone che possono contare solamente sul nostro ospedale per poter ricevere cure mediche.

D. – In riferimento alle tre aree in cui operavate, parlate di azioni disperatamente necessarie, quindi rivolte alla popolazione. Com’è la situazione umanitaria in generale?

R. – Io penso che per inquadrare bene la situazione nel Sudan di oggi si possono utilizzare i dati delle persone che hanno disperatamente bisogno di aiuti: nella sola regione del Darfur ci sono circa 400mila sfollati che possono contare su un accesso molto limitato alle cure mediche; se poi allarghiamo il discorso all’intero Sudan, si contano circa 2 milioni e 300mila sfollati e si stima che oggi quasi sette milioni di persone abbiano bisogno di assistenza umanitaria immediata.

D. – Avete provato a riavviare un dialogo con le autorità di Khartoum?

R. – Di fatto il dialogo con le autorità di Khartoum è già in essere. Alcune delle nostre sezioni sono ancora presenti nel Paese ed operano. Il problema è legato alle operazioni umanitarie nelle zone di conflitto. In quelle zone per quanto abbiamo negoziato, per quanto abbiamo coinvolto attori molto importanti a livello nazionale ed internazionale, sistematicamente c’è sempre stato negato l’accesso. È una cosa estremamente grave, perché priva milioni di persone di assistenza assolutamente necessaria ed immediata.

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Timori per il blogger saudita condannato a mille frustate

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Mentre in Arabia Saudita si assiste al rimpasto di governo dopo la morte de re Abdullah, non si spengono le polemiche per la vicenda del blogger, Raif Badawi, condannato a mille frustate per aver offeso l’Islam. Dopo le prime 50, le autorità hanno deciso di sospendere le altre sessioni nel timore di provocare danni permanenti. Secondo Amnesty International, sono oltre 30 i Paesi africani che non la vietano per legge e la tortura resta una pratica molto diffusa in Cina e Corea e in diversi Paesi dell’area ex sovietica, in crescita il suo ricorso in Messico. Benedetta Capelli ha intervistato in proposito il dott. Aldo Morrone, autore del libro “Oltre la tortura": 

R. – Certamente, è una situazione drammatica che non si immaginava più che potesse accadere nel terzo millennio… Queste erano forme del passato, in cui si credeva che il dolore fisico potesse determinare un cambiamento di atteggiamento. Oggi, tutte le più recenti ricerche sulla tortura dimostrano assolutamente la totale follia di questi gesti e soprattutto gli effetti “post” che ottengono, oltre ad un danno che, in questi soggetti, diventa irreversibile sia dal punto di vista fisico che psichico.

D. – Cosa significa per lei, che è medico, insistere nella pratica della tortura su una persona che già l’ha subita?

R. – Significa annientare la capacità di pensare, di questa persona, la capacità della sua umanità, di essere umano. Un po’ come quello che insegnava Hannah Arendt nel tema della “banalità del male”: si crede che frustando una persona si possa avere un atteggiamento di cambiamento di opinione o un cambiamento di atteggiamento e questo è folle. In più, il rischio è che queste persone muoiano. Talvolta, accade la follia che siano presenti anche dei medici proprio per evitare che la persona muoia … Il Comitato internazionale per l’abrogazione della tortura nel mondo ha invitato ogni medico ad essere contrario anche ad una sola presenza ad avallare queste forme folli di atteggiamento.

D. – Dal punto di vista psicologico, poi, quali sono le conseguenze, e come un medico può riuscire a recuperare una persona vittima di tortura?

R. – La persona vittima di tortura soffre di un atteggiamento drammatico nei confronti della propria fiducia. E’ convinta di aver sbagliato qualche cosa, e le ferite sia fisiche sia psicologiche rimangono per anni e anni e anni. E una delle tematiche più drammatiche delle persone che hanno subito la tortura e rimangono vive è quella di pensare che possano aver sbagliato qualcosa, che possano aver detto qualcosa che abbia loro risparmiato la vita. Quindi, torturare una persona è letteralmente distruggerla, annientarla nel fisico e nella psiche. Ci vogliono anni e anni di riabilitazione fisica e anche psicologica, di supporto ambientale, familiare, mentale, per poter recuperare alla vita normale queste persone: è veramente difficile.

D. – C’è un’esperienza emblematica di riscatto, anche, di persone vittime di tortura che lei ha incontrato?

R. – Posso dire che la prima persona che ho incontrato tantissimi anni fa, per cui poi mi sono dedicato all’accoglienza e al prendersi cura di queste persone, è stata una vittima di tortura nell’Argentina del generale Videla: una persona che era stata torturata con gli aghi elettrici così tanto, che al solo ricordo e al solo rumore dell’ago elettrico, sveniva. Recentemente, c’è stata invece una situazione ancora più drammatica: è stata torturata una donna, in maniera violenta, nella propria intimità genitale, nella propria sessualità. E questa persona per anni e anni ha cercato in tutti i modi di reprimere e condannare la propria sessualità e la propria affettuosità e questo è stato un evento veramente drammatico. Abbiamo impiegato anni per recuperare alla vita e alla gioia della vita questa donna, che proveniva da uno di questi Paesi orientali.

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Quirinale: nulla di fatto anche nel secondo scrutinio

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Proseguono a Montecitorio le votazioni delle Camere in seduta comune per eleggere il presidente della Repubblica italiana: alle 15.00 la terza tornata. Come previsto, anche il secondo scrutinio di questa mattina si è risolto in un nulla di fatto. Il Pd in modo compatto candida dalla quarta votazione Sergio Mattarella. Ma per Berlusconi il premier Renzi tradisce il patto del Nazareno. Servizio di Giampiero Guadagni

Una lunga giornata di confronti a margine delle votazioni di oggi. Il premier e segretario del Pd Renzi è alla ricerca della più larga convergenza possibile sul nome di Sergio Mattarella. Ieri Renzi ha chiesto e ottenuto dall’assemblea dei grandi elettori del suo partito unità sulla candidatura del giudice della Corte costituzionale, ex ministro e padre della riforma elettorale del ’93. Uomo della legalità e della politica con la P maiuscola, lo ha definito il presidente del Consiglio. Dalla quarta votazione in programma domattina, nella quale basterà la maggioranza assoluta, voteranno per Mattarella anche gli altri partiti di centrosinistra, il Sel di Vendola e probabilmente anche il gruppo di fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle. Un numero sulla carta sufficiente per l’elezione. Anche senza  il sostegno di Forza Italia e di Area Popolare, il raggruppamento che comprende Nuovo Centrodestra e Udc: un no che non riguarda la persona di Mattarella, infatti non sarà contrapposto un altro candidato. Quanto il metodo utilizzato da Renzi. Berlusconi lo accusa di avere scelto da solo e di avere così tradito il patto del Nazareno sulle riforme. Ma Berlusconi deve anche fronteggiare la contestazione interna a Forza Italia da parte di chi, come Fitto, quel patto aveva sempre osteggiato. Molto critico con il premier anche Alfano, leader del Nuovo centrodestra e ministro dell’Interno, per il quale però non è in discussione l’alleanza di governo. Renzi comunque si dice convinto che a Berlusconi non conviene la rottura sulle riforme e che il governo arriverà a fine legislatura. Ma il premier si trova a dover gestire di fatto tre maggioranze diverse: una di governo, appunto con Area Popolare e Scelta civica; una sulle riforme, che coinvolge Forza Italia; e quest’ultima che si sta formando per il Quirinale, costruita anche insieme alle forze politiche di sinistra. Una sfida complessa, che sarà più chiara dopo l'elezione del presidente della Repubblica.

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Mons. Galantino: su ideologia gender "polpetta avvelenata"

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Sul gender rischiamo una colonizzazione ideologica. Lo ha affermato il segretario generale della Cei, monsNunzio Galantino, nella conferenza stampa alla fine del Consiglio episcopale permanente, chiusosi mercoledi a Roma. Ma mons. Galantino ha parlato anche delle elezioni per il capo dello Stato, affermando che essere appertenuti ad "associazioni cattoliche non è una garanzia di per sé". Annunciato poi che sarà l’Evangelii Gaudium, il tema dell’assemblea generale di maggio. Il servizio di Alessandro Guarasci: 

Il segretario generale della Cei non si esprime nello specifico sui nomi che vengono fatti per il Quirinale. Ma è certo che il prossimo capo dello Stato deve avere una caratteristica ben precisa:

“Penso che l’unico criterio dovrebbe essere quello di avere una persona capace di aiutare i governanti, aiutare noi italiani a sintonizzarci un poco di più con la realtà, con l’essenziale. Perché io ho l’impressione che troppi diversivi si siano un po’ inseriti nella politica, nell’amministrazione pubblica italiana”. 

E la legittimazione dell’ideologia gender rientra in questo discorso. Per mons. Galantino questo tema introdotto nelle scuole è letteralmente una “polpetta avvelenata”. E questo perché i diritti individuali sono sacrosanti, ma non possono contrabbandati come una strada per arrivare prima al bene comune. Il pericolo è evidente:

“La ‘colonizzazione ideologica’ del gender ... tende a capovolgere l’alfabeto umano”.

Dunque, no alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, come proposto a Roma dal sindaco Ignazio Marino. “A me sembra che per non guardare le buche della strada, che ci sono - ha detto il segretario generale della Cei riferendosi ai bisogni della gente - offriamo diversivi”. Sulla riforma delle banche popolari, non sembra che sia ispirata da “una più equa distribuzione della ricchezza". E’ stato fatto poi il punto sull’organizzazione del Convegno Ecclesiale nazionale di Firenze, dal 9 al 13 novembre.

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"Sì alla famiglia" propone testo unico su unioni civili

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Mentre l’assemblea capitolina, presieduta da Marino, ha dato il via libera all’istituzione del registro delle unioni civili, a livello nazionale prosegue il lavoro in Commissione Giustizia del Senato sul ddl Cirinnà in materia. Secondo le associazioni cattoliche il testo equipara le unioni civili al matrimonio aprendo la strada alle adozioni gay. In questo contesto il comitato “Sì alla famiglia” lancia un testo unico che non introduce nuove norme, ma offre un elenco di diritti che già spettano ai conviventi, ma di cui spesso si ignora l’esistenza. Lo spiega il presidente Massimo Introvigne al microfono di Paolo Ondarza

Vogliono introdurre "matrimonio omosessuale" con adozioni
R. – In questo momento in Parlamento ci sono due alternative, per rispondere anche alle sollecitazioni della Corte Costituzionale su questa tematica. Ci sono proposte che vogliono introdurre qualcosa che si chiama ‘matrimonio omosessuale’, con pieno accesso alle adozioni, e c’è il disegno di legge Cirinnà, che vuole introdurre qualcosa che si chiama ‘unioni civili’, con una porta aperta alle adozioni. E, come diciamo non noi, ma l’onorevole Scalfarotto, sottosegretario, che si spende molto per questa materia, non si tratta di una cosa diversa dal matrimonio - lo ha detto lui in un’intervista a Repubblica – ma è la stessa cosa sotto un altro nome.

Pochi sanno che esistono già 33 diritti per i conviventi
D. – E voi come “Sì alla famiglia” che cosa proponete?

R. – “Sì alla famiglia” ha pensato, con un lavoro in cui sono stati coinvolti giuristi, magistrati e anche alcuni amici parlamentari - che poi presenteranno speriamo con una base ampia e trasversale – non ad una legge nuova ma ad un testo unico, che per definizione di testo unico è una ricognizione, una collazione dei diritti che i conviventi tutti - sia dello stesso sesso sia anche un uomo e una donna che convivono - già hanno nel diritto in vigore. Forse molti non conoscono questi diritti che ci sono già, ma sono 33, un elenco abbastanza impressionante, e sono i diritti che riguardano la visita in ospedale, la decisione su operazioni che mettono a rischio la vita, l’accesso alle cartelle cliniche, che riguardano la visita in carcere, che riguardano il risarcimento del danno. Perfino le misure e i risarcimenti in materia di usura, di mafia e di terrorismo, già nella legge in vigore si estendono alla protezione e al risarcimento del convivente, anche dello stesso sesso.

D. – Eppure chi chiede una legge  ad hoc in materia sostiene che ciò che lei ha appena elencato manca per le unioni civili?

R. – Assolutamente sì e anche naturalmente nei confronti di una certa parte dell’opinione pubblica, specie cattolica, si dice che ci sono due proposte: c’è il matrimonio omosessuale e ci sono le unioni civili: “pigliatevi le unioni civili, che almeno non sono il matrimonio”. Ecco, da adesso le proposte sono tre: c’è il matrimonio omosessuale e ci sono le unioni civili o, come dice l’onorevole Scalfarotto, il matrimonio sotto altro nome, e poi c’è un testo unico che, senza nulla innovare, quindi senza in nessun modo favorire, organizzare, promuovere le convivenze, però è un testo che elenca, mette in ordine, fa chiarezza – come dice la Corte Costituzionale – su tutti quei complessi diritti  - sono 33 – elencati dal testo, che il nostro ordinamento già riconosce alle persone che vivono una convivenza.

Sistema pensionistico potrebbe crollare
D. – Poi c’è la questione della reversibilità della pensione: chi chiede un riconoscimento delle unioni civili sostiene che questo è un punto mancante nell’attuale quadro legislativo…

R. – E’ qualcosa che è tipico del matrimonio, quindi è un primo segnale nei confronti di una totale equiparazione delle convivenze anche omosessuali, anzi solo omosessuali, nel progetto Cirinnà, al matrimonio. Ma a parte questo aspetto simbolico, molte voci ci hanno ricordato che ci sono anche problemi pratici. Già oggi lo Stato non ce la fa a pagare tutte le pensioni, se si aggiungessero anche queste il sistema pensionistico potrebbe veramente crollare.

Abbiamo culruta dei diritti ma non dei doveri
D. – Parlando di altre forme di matrimoni o unioni civili, spesso si dimentica che a diritti devono corrispondere doveri. Così accade nel matrimonio, riconosciuto dalla Costituzione…

R. – Senza dubbio. Oggi abbiamo una cultura dei diritti - lo ripete spesso Papa Francesco - e non abbiamo una cultura dei doveri. Nella nostra idea di raccogliere le norme esistenti in un testo unico, noi facciamo vedere che queste norme mostrano come da ogni convivenza derivino diritti e doveri. Di questi doveri nei testi legislativi non è che ci sia tanta traccia.

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Nella Chiesa e nel mondo



Attaccata una scuola cristiana in Pakistan, 4 feriti

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Una scuola cristiana in Pakistan è stata presa d'assalto da circa 300 studenti musulmani armati di spranghe e bastoni, che protestavano contro la pubblicazione di vignette da parte del giornale francese “Charlie Hebdo”.

Scuola danneggiata, 4 studenti rimasti feriti
Come riferito a Fides, gli studenti hanno scavalcato i muri, aperto i cancelli e sono entrati nella scuola compiendo atti vandalici e danneggiando le strutture. Nell’attacco, avvenuto lo scorso 27 gennaio, quattro studenti cristiani sono rimasti feriti. L’istituto attaccato è la “Panel High School”, liceo maschile che si trova nella città di Bannu, nella provincia di Khyber Pakhtunkhwa, nel nord del Pakistan. Da due giorni, la scuola è chiusa e il preside ha deciso di adottare misure di sicurezza supplementari.

Nasir Saeed: cristiani sono cittadini pakistani
Il direttore dell’Ong “Center for Legal Aid Assistance & Settlement”, Nasir Saeed, sottolinea che “i cristiani hanno condannato le vignette blasfeme” pubblicate da Charlie Hebdo. “E’ davvero un peccato – aggiunge – che, anche dopo 67 anni dalla nascita del Pakistan, i cristiani non siano ancora considerati cittadini pakistani, ma sono visti come alleati dell'Occidente”.

Cristiani indifesi e sotto attacco
"Ogni volta che incidenti si verificano nei Paesi occidentali, i fedeli pakistani finiscono sotto attacco. I cristiani, che già vivono sotto costante timore per la propria vita, diventano ancora più vulnerabili. E’ compito dei politici – conclude Nasir Saeed – creare un ambiente culturale e una società in cui i cristiani e le minoranze religiose si sentano al sicuro”. (A.L.)

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Stato islamico: ultimatum scaduto, angoscia per gli ostaggi

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Sono ore di angoscia per la sorte del giornalista giapponese, Kenji Goto, e del pilota giordano, Muath al-Kasaesbeh, tenuti in ostaggio da miliziani del sedicente Stato islamico. L’ultimatum lanciato dal gruppo jihadista è scaduto. Su Twitter è stata già annunciata l’imminente esecuzione del militare giordano.

Trattativa arenata
Per la liberazione dell’ostaggio giapponese, il cosiddetto Stato islamico ha richiesto il rilascio della terrorista irachena, Sajida al-Rishawi, un’aspirante kamikaze arrestata nel 2005 e detenuta nelle carceri giordane. La trattativa, secondo alcune fonti, si è arenata perché la Giordania non ha ricevuto alcuna prova sul fatto che Muath al-Kasaesbeh sia ancora vivo.

Proseguono gli sforzi del governo giapponese
Il premier nipponico, Shinzo Abe, ha affermato in parlamento che "sono stati fatti tutti gli sforzi per la liberazione di Kenji Goto". Il primo ministro giapponese ha anche chiesto al ministro degli Esteri, Fumio Kishida, "di continuare a lavorare" per arrivare alla liberazione del giornalista. Kenji Goto è un giornalista "freelance" che si è recato in Siria per cercare di rintracciare l’amico Haruna Yukawa, il "contractor" militare dipendente di una società di sicurezza privata sequestrato da miliziani del sedicente Stato islamico. Anche Kenji Goto è stato rapito dal gruppo jihadista che ha richiesto, in un primo momento, un riscatto di 200 milioni di dollari per la liberazione dei due ostaggi giapponesi.

La nuova richiesta dello Stato islamico
Il giornalista "freelance" è stato costretto ad annunciare la morte di Yukawa mostrando un’orribile foto in cui si vede il compagno di prigionia decapitato. Dopo l’uccisione di Yukawa, lo Stato islamico ha posto, come condizione per il rilascio di Kenji Goto, la liberazione della terrorista irachena, Sajida al-Rishawi. L’irachcena Sajida al-Rishawi è l’unica sopravvissuta a un attacco kamikaze compiuto insieme con il marito ad Amman nel 2005, costato la vita a 58 persone. La donna, che nell’attentato non è morta perché il suo giubbotto esplosivo non si è azionato, è stata condannata alla pena capitale ed è in attesa della sentenza d’appello.

Chi è Muath al-Kasaesbeh
In Giordania, intanto, è forte l’apprensione per la sorte di Muath al-Kasaesbeh. Muadh al Kassasbe è un pilota militare giordano, catturato da terroristi dello Stato islamico alla vigilia di Natale. Sulla sua sorte si sono alternate voci discordanti. Secondo alcune fonti, sarebbe stato ucciso all’inizio di questo mese. La Giordania, per il rilascio di Sajida al-Rishawi, ha chiesto garanzie sul fatto che il pilota sia ancora vivo. (A.L.)

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L’Ue chiede alla Grecia di rispettare gli impegni presi

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Nuovo richiamo dell'Unione Europea alla Grecia. Il vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, oggi a Francoforte, mette in guardia Atene: "Ci aspettiamo che il governo mantenga gli impegni presi". Chi ha prestato soldi alla Grecia – ha detto Katainen in un'intervista – deve potersi fidare del fatto che il Paese realizzi le riforme. "Finora non abbiamo informazioni su come sarà finanziato il tutto".

Tsipras: nessuno scontro frontale con l’Ue
"La Grecia non andrà in default". Alexis Tsipras ha aperto il suo primo Consiglio dei ministri soffermandosi sul tema dei negoziati con l’Unione Europea per la riduzione del debito. “Non vogliamo andare allo scontro frontale con i nostri creditori – ha detto Tsipras – ma questa catastrofe sociale non può andare avanti”. “Di sicuro – ha aggiunto – andremo al tavolo dei negoziati a testa alta e non saremo sottomessi”.

Tsipras incontra Dijsselbloem
Il premier ellenico, Alexis Tsipras, incontra oggi il presidente dell'Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. L’incontro – si legge in un comunicato del ministero delle Finanze di Tena – apre “i negoziati con i partner della Grecia per giungere ad un accordo totale e sostenibile per la ricostruzione dell'economia sociale del aese nell'ambito di un'Europa in evoluzione".

Possibili aiuti alla Grecia dalla Russia
La Russia è disponibile a fornire aiuti finanziari alla Grecia. Lo ha dichiarato in un'intervista esclusiva alla Cnbc a Mosca il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov, dopo che Atene ha espresso dubbi sull'imposizione di nuove sanzioni da parte dell'Unione Europea contro il Cremlino. La Grecia non ha ancora avanzato alcuna richiesta, ha precisato il ministro, ma se lo facesse tale ipotesi sarebbe presa in considerazione. (A.L.)

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Migrazioni, America centrale: i vescovi chiedono una riforma

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I vescovi di Messico, Guatemala, El Salvador, Honduras e Nicaragua hanno pregato per i migranti sulle rive del fiume Suchiate, che confina con il Guatemala, e da dove passano ogni giorno centinaia di migranti centroamericani che cercano di raggiungere gli Stati Uniti d’America.

Pellegrinaggio dei vescovi
Nell’ambito dell'incontro che si sta svolgendo in questi giorni a Tapachula, in Messico, per analizzare la dolorosa realtà di migliaia di migranti che, attraverso il Messico per raggiungere gli Stati Uniti, i vescovi - ricorda l'agenzia Fides - hanno compiuto un breve pellegrinaggio, accompagnati da alcune decine di fedeli, dalla chiesa di S. Andrea Apostolo verso la riva del fiume, dove hanno concelebrato la Messa.

I vescovi chiedono una riforma delle norme sulle migrazioni
I vescovi delle nazioni dell’America centrale maggiormente impegnati nel fenomeno delle migrazioni, si sono nuovamente espressi sulla necessità di riformare le norme sulla migrazione tra i paesi, per facilitare il passaggio delle persone e garantire il rispetto dei loro diritti umani. "E' doloroso e triste vedere che ci sono trattati per il libero commercio: vale a dire che può passare la merce, ma non può passare un essere umano. E' più importante il denaro, l'affare, la merce e per questo sì che ci sono accordi", ha affermato mons. Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo di San Cristóbal de Las Casas, in Chiapas.

La Chiesa chiede alla società di aiutare i migranti
Ancora una volta, è stato messo in luce dai partecipanti all’incontro, che i migranti, nel loro percorso, attraversano infinite sofferenze, subiscono estorsioni, rapine, stupri, omicidi e rapimenti. "Diciamo che siamo tutti fratelli in Messico e in America Centrale, ma a volte è solo a parole piuttosto che nei fatti", ha osservato mons. Arizmendi Esquivel. La Chiesa quindi chiede alla società di aiutare i migranti e di non rimanere indifferente alla loro sofferenza: le 60 case di accoglienza gestite dalla Chiesa nel paese infatti non sono sufficienti. (A.L.)

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Sud Sudan: una grave minaccia l’accaparramento delle terre

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“L’accaparramento delle terre può portate alla spaccatura del Paese”. E’ quanto denunciano i vescovi del Sud Sudan che, al termine della riunione plenaria della Conferenza episcopale locale, “hanno riconosciuto l’accaparramento delle terre come un potenziale rischio di violenza”. Un rischio che “il governo deve affrontare prima che si verifichi un’escalation”.

Si moltiplicano i casi di accaparramento di terre
“I casi di accaparramento delle terre sono molto diffusi a Juba. L’episodio più grave si è verificato nel villaggio di Kömiru nel 2012, dove diverse famiglie sono state massacrate da uomini in uniforme, ricorda il Catholic Radio Network.

Emergenza anche in Kenya
Dall’indipendenza, nel luglio 2011, in Sud Sudan si sono verificati diversi episodi di violenza provocati da dispute sull’accaparramento delle terre e delle risorse idriche. Il fenomeno – riferisce l’agenzia Fides – è stato denunciato anche nel confinante Kenya, dove i vescovi locali hanno invitato il governo “ad identificare e a portare di fronte alla giustizia i cosiddetti ‘costruttori privati’ che stanno platealmente accaparrandosi le terre delle scuole pubbliche, minacciando l’educazione e il benessere dei bambini”. (A.L.)

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Eurispes: quasi un italiano su due non arriva a fine mese

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E' un'Italia a tinte fosche quella che emerge dal 27.mo Rapporto Italia dell’Eurispes. Mentre la crisi continua a mordere – ha spiegato il presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, presentando il dossier – "lo Stato sopravvive nutrendosi dei propri cittadini e delle proprie imprese”. “Assistiamo – ha aggiunto Fara – al trionfo di un apparato burocratico onnipotente e pervasivo, in grado di controllare ogni momento e ogni passaggio della nostra vita”.

Economia in peggioramento
Quasi il 90% degli italiani considera la situazione economica del Paese peggiorata nell'ultimo anno, mentre il 55,7% non crede nella ripresa. Circa un terzo del campione (33,9%) pensa invece che la situazione resterà stabile (36,4% le risposte raccolte lo scorso anno). Sono ben pochi gli ottimisti: solo il 4,6%.

Bilancio mensile insostenibile per quasi un italiano su due
La condizione economica delle famiglie è peggiorata nel 76,7% dei casi. Con un aumento di 16,4 punti percentuali rispetto al 2014, quest'anno il numero di quanti non riescono ad arrivare alla fine del mese con le proprie entrate si attesta al 47,2%. Moltissimi, il 62,8%, sono costretti ad usare i propri risparmi per far quadrare i conti.

Potere d’acquisto in calo per le famiglie
L'erosione del proprio potere d'acquisto è ormai un dato di fatto per 7 italiani su 10 (71,5%) che hanno visto nell'ultimo anno diminuire nettamente o in parte la capacità di affrontare le spese con le proprie entrate. Ci si rivolge più spesso a punti vendita economici come grandi magazzini, mercatini, outlet (lo fa l'84,5%) e si rimandando gli acquisti ai saldi (l'88,2%).

Una “sfortuna” vivere in Italia per 1 su 4
Vivere in Italia è una “sfortuna” per un italiano su quattro (39,5%) tanto che aumentano anche le persone che vorrebbero trasferirsi all'estero (quasi il 45,4%).I più propensi ad andare a vivere in un altro Paese sono gli studenti (quasi il 65%).

Aumentano gli italiani che chiedono il ritorno alla Lira
Sempre più persone rimpiangono la vecchia Lira: oggi il 40,1% degli italiani pensa che l'Italia dovrebbe uscire dall'euro, una quota che si attestava al 25,7% ad inizio 2014. Il 55,5% degli euroscettici ritiene che l'Italia dovrebbe uscire dall'euro poiché è stata proprio la moneta unica ad indebolire l’economia italiana.

In aumento la richiesta di prestiti
Un italiano su tre (33,3%) ha chiesto un prestito bancario nel corso degli ultimi tre anni, che nel 7% dei casi è stato negato. Prestiti vengono contratti soprattutto per l'acquisto dell'abitazione (42%), ma anche per far fronte alla necessità di pagare debiti accumulati (29,3%), saldare prestiti contratti con altre banche/finanziarie (23,9%), affrontare le spese per cerimonie (23,3%) e per le cure mediche (23,3%).

Cresce il fenomeno dell’usura
A causa della crisi, in Italia aumenta il rischio usura che segna +5,4%. Rivolgersi agli strozzini negli ultimi cinque anni sono state per il 52% persone con un reddito fisso. Nel 2004, la categoria più vessata dagli usurai era quella dei commercianti. Ora sono invece soprattutto i dipendenti a cadere nella rete dell’usura.

In calo la stima nelle istituzioni
Sette italiani su dieci (69,4%) vedono diminuita la propria fiducia nelle istituzioni. Il governo raccoglie un tasso di fiducia al 18,9%, basso ma lievemente in crescita rispetto alle rilevazioni passate. Il parlamento continua a segnare una diminuzione del grado di fiducia 10,1% (-6% rispetto al 2014). Male quest'anno la magistratura che fa molti passi indietro (28,8%), con un crollo di consensi del 12,6%.

Cresce la fiducia nel Papa e nella Chiesa
L’89,6% esprime consensi sull’operato di Papa Francesco. In aumento i consensi per la Chiesa, condivisi dal 62,6% degli italiani. In particolare, il consenso nei confronti della Chiesa cresce in tutte le fasce d’età, ma con un netto miglioramento soprattutto tra i giovani.

Smartphone sempre più diffusi
L'apparecchiatura tecnologica più diffusa nelle famiglie italiane è lo smartphone (67%). La diffusione dei telefoni cellulari collegati ad Internet batte dunque, seppure di poco, quella dei computer portatili (64,4%) e dei computer fissi (62,7%). La quasi totalità del campione (95,7%) è attiva su Facebook. il 43,1% di chi ha un profilo su Facebook afferma di aver sentito violata la propria privacy. (A.L.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 30

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.