Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 29/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: non seguono via di Gesù élites ecclesiali che disprezzano altri

◊  

Non seguono la via nuova inaugurata da Gesù quanti privatizzano la fede chiudendosi in “élites” che disprezzano gli altri: è quanto ha affermato Papa Francesco durante la Messa mattutina presieduta a Casa a Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

Non privatizzare la fede

Commentando la Lettera agli Ebrei, Papa Francesco afferma che Gesù è “la via nuova e viva” che dobbiamo seguire “secondo la forma che Lui vuole”. Perché ci sono forme sbagliate di vita cristiana. Ci sono dei "criteri per non seguire i modelli sbagliati. E uno di questi modelli sbagliati è privatizzare la salvezza”:

“E’ vero, Gesù ci ha salvati tutti, ma non genericamente. Tutti, ma ognuno, con nome e cognome. E questa è la salvezza personale. Davvero io sono salvato, il Signore mi ha guardato, ha dato la sua vita per me, ha aperto questa porta, questa via nuova per me, e ognuno di noi può dire ‘Per me’. Ma c’è il pericolo di dimenticare che Lui ci ha salvato singolarmente, ma in un popolo. In un popolo. Sempre il Signore salva nel popolo. Dal momento che chiama Abramo, gli promette di fare un popolo. E il Signore ci salva in un popolo. Per questo l’autore di questa Lettera ci dice: ‘Prestiamo attenzione gli uni agli altri’. Non c’è una salvezza soltanto per me. Se io capisco la salvezza così, sbaglio; sbaglio strada. La privatizzazione della salvezza è una strada sbagliata”.

Tre criteri: comunicare fede, speranza e carità
Tre sono i criteri per non privatizzare la salvezza: “la fede in Gesù che ci purifica”, la speranza che “ci fa guardare le promesse e andare avanti” e “la carità: cioè prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone”:

“E quando io sono in una parrocchia, in una comunità – qualsiasi sia – io sono lì, io posso privatizzare la salvezza ed essere lì un po’ socialmente soltanto. Ma per non privatizzarla devo chiedere a me stesso se io parlo, comunico la fede; parlo, comunico la speranza; parlo, faccio e comunico la carità. Se in una comunità non si parla, non ci si dà animo l'uno all’altro in queste tre virtù, i componenti di quella comunità hanno privatizzato la fede. Ognuno cerca la sua propria salvezza, non la salvezza di tutti, la salvezza del popolo. E Gesù ha salvato ognuno, ma in un popolo, in una Chiesa”.

Gruppetti ecclesiali che disprezzano gli altri
L’autore della Lettera agli Ebrei – prosegue il Papa – dà un consiglio “pratico” molto importante: “non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare”. Questo accade “quando noi siamo in una riunione - nella parrocchia, nel gruppo – e giudichiamo gli altri”, “c’è una sorta di disprezzo verso gli altri. E questa non è la porta, la via nuova e vivente che il Signore ha aperto, ha inaugurato”:

“Disprezzano gli altri; disertano dalla comunità totale; disertano dal popolo di Dio; hanno privatizzato la salvezza: la salvezza è per me e per il mio gruppetto, ma non per tutto il popolo di Dio. E questo è uno sbaglio molto grande. E’ quello che chiamiamo e che vediamo: ‘le élites ecclesiali’. Quando nel popolo di Dio si creano questi gruppetti, pensano di essere buoni cristiani, anche – forse – hanno buona volontà, ma sono gruppetti che hanno privatizzato la salvezza”.

Dio ci salva in un popolo, non nelle élites
“Dio – sottolinea il Papa - ci salva in un popolo, non nelle élites, che noi con le nostre filosofie o il nostro modo di capire la fede abbiamo fatto. E queste non sono le grazie di Dio". Quindi invita a domandarsi: "Io ho la tendenza a privatizzare la salvezza per me, per il mio gruppetto, per la mia élite o non diserto da tutto il popolo di Dio, non mi allontano dal popolo di Dio e sempre sono in comunità, in famiglia, con il linguaggio della fede, della speranza e il linguaggio delle opere di carità?”. E conclude: “Che il Signore ci dia la grazia di sentirci sempre popolo di Dio, salvati personalmente. Quello è vero: Lui ci salva con nome e cognome, ma salvati in un popolo, non nel gruppetto che io faccio per me”.

inizio pagina

Mons. Marini: modifica consegna del pallio arricchisce comunione

◊  

In una lettera inviata a tutte le nunziature apostoliche e datata 12 gennaio 2015 il maestro delle cerimonie pontificie, mons. Guido Marini, rende nota la decisione del Papa di modificare la modalità di consegna del pallio ai nuovi arcivescovi metropoliti. La striscia di lana bianca, simboleggiante la pecora sulle spalle di Gesù Buon Pastore, sarà consegnata e non più “imposta” dal Santo Padre, come da tradizione il 29 giugno, nella festa dei Santi Pietro e Paolo. L'imposizione del pallio ai nuovi arcivescovi avverrà nella loro diocesi di origine per mano dei nunzi apostolici locali. Mons. Marini parla del significato di questa decisione di Papa Francesco al microfono di Paolo Ondarza

R. – Recentemente, il Santo Padre – dopo aver riflettuto – ha deciso di apportare una piccola modifica al tradizionale rito di imposizione del pallio agli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno. La modifica è la seguente: il pallio, generalmente, veniva imposto in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo dal Santo Padre ai nuovi metropoliti. Dal prossimo 29 giugno, in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, gli arcivescovi – come consuetudine – saranno presenti a Roma, concelebreranno con il Santo Padre, parteciperanno al rito di benedizione dei palli, ma non avranno l’imposizione: semplicemente, riceveranno in forma più semplice e privata dal Santo Padre il pallio a loro destinato. L’imposizione, poi, si effettuerà nelle loro diocesi di appartenenza, e dunque in un secondo momento, alla presenza della Chiesa locale e in particolare dei vescovi delle diocesi suffraganee accompagnati dai loro fedeli.

D. – Qual è il significato di questa modifica?

R. – Il significato di questa modifica è quello di mettere maggiormente in evidenza la relazione degli arcivescovi metropoliti – i nuovi nominati – con la loro Chiesa locale, quindi dare anche la possibilità a più fedeli di essere presenti a questo rito così significativo per loro, e anche particolarmente ai vescovi delle diocesi suffraganee, che in questo modo potranno partecipare al momento della imposizione. In questo senso, si mantiene tutto il significato della celebrazione del 29 giugno, che sottolinea la relazione di comunione e anche di comunione gerarchica tra il Santo Padre e i nuovi arcivescovi; allo stesso tempo, a questo si aggiunge – con un gesto significativo – questo legame con la Chiesa locale.

D. – Potremmo dire che si tratta di un gesto che arricchisce e quindi non svuota il senso della comunione …

R. – Certamente: lo arricchisce di questo significato, sicuramente molto bello, che si accompagna all’altro che permane in tutta la sua interezza e profondità.

inizio pagina

Udienze e nomine

◊  

Il Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza:
- Em.mo Card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli;
- S.E. Mons. Jan Romeo Pawłowski, Arcivescovo tit. di Sejny, Nunzio Apostolico nella Repubblica del Congo e in Gabon;
- S.E. Mons. Walmor Oliveira de Azevedo, Arcivescovo di Belo Horizonte (Brasile);
- S.E. Mons. Guglielmo Borghetti, Vescovo Coadiutore di Albenga-Imperia (Italia).
- S.E. il Signor Germán Cardona Gutiérrez, Ambasciatore di Colombia, in visita di congedo;
- il Senatore Claudio Zin, con una Delegazione parlamentare italo-latino americana.

Ieri pomeriggio il Santo Padre ha ricevuto in Udienza:
- l’Em.mo Card. Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, con il Sotto-Segretario S.E. Mons. Fabio Fabene, Vescovo tit. di Acquapendente.

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Lolo, nella Repubblica Democratica del Congo, presentata da S.E. Mons. Ferdinand Maemba Liwoke, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo della diocesi di Lolo il Rev.do Jean-Bertin Nadonye Ndongo, O.F.M. Cap., Definitore dei Frati Minori Cappuccini a Roma. Il Rev.do Jean-Bertin Nadonye Ndongo, O.F.M. Cap., è nato il 24 marzo 1965 a Botuzu, Provincia dell’Equateur, diocesi di Molegbe. Dopo le scuole primarie a Bozene (1971-1978), ha frequentato quelle secondarie a Bongisa/Bwamanda (1978-1984). Ha studiato Filosofia nel Convento Saint Laurent a Bwamanda (1985-1988) e Teologia presso l’Istituto Saint Eugène de Mazenod a Kitambo (1989-1993). Ha poi conseguito una Licenza in Teologia all’Università Cattolica di Kinshasa (1994-1996). Possiede anche un diploma di Enseignement secondaire, degré supérieur. Ha emesso la prima professione religiosa il 17 settembre 1989 e quella perpetua il 17 settembre 1992. È stato ordinato sacerdote il 2 agosto 1993. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha esercitato i seguenti incarichi: 1993-1995: Vicario parrocchiale a Ste Elisabeth a Gemena, diocesi di Molegbe; 1995-1996: Vice Rettore del Filosofato dei Frati Cappuccini a Kinshasa; 1996-1997: Maestro dei Novizi e docente presso l’Istituto di Scienze Religiose di Bwamanda; 1997-1998: Primo Consigliere della Vice-Provincia Generale del Congo; 1998-2001: Parroco di Sacré Coeur de Jésus, a Bwamanda e membro del Consiglio economico della diocesi di Molegbe; 2001-2005: Formatore e Rettore della Maison d’études a Kinshasa; Vice Coordinatore della Famille Franciscaine a Kinshasa; Membro della Commissione di revisione delle Costituzioni e Statuti generali (2003); 2005-2009: Vice-Ministro e poi Ministro Provinciale dei Frati Cappuccini nella Repubblica Democratica del Congo e Presidente della Conferenza dei Cappuccini dell’Africa Centrale e Occidentale (C.O.N.C.A.O); 2009-2011: Presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto Saint Augustin di Kinshasa; 2011-2012: Presidente dell’ASUMA (Assemblée des Supérieurs majeurs). Dal 2012 è Definitore Generale dei Frati Minori Cappuccini, a Roma.

inizio pagina

Tweet: vero amore non bada a male ricevuto. Gioisce nel fare il bene

◊  

Il Papa ha lanciato oggi un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue: “Il vero amore non bada al male ricevuto. Gioisce nel fare del bene”.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

Se la salvezza è privatizzata: Messa a Santa Marta.

L’unità? Non lasciamola ai dittatori: intervista di Nicola Gori al cardinale Kurt Koch.

Torna lo spettro della guerra: l’Onu condanna i sanguinosi scontri al confine tra Israele e Libano.

Dalla parte dei vinti: Giuseppe Sangiorgi sulla difesa di Roma nel 1870.

Il codino dei samurai: Cristian Martini Grimaldi su isolazionismo e apertura all’Occidente nella storia del Giappone.

Non uno dei soliti cappellani: Ferdinando Cancelli su Don Bosco e un paziente di nome Marc.

L’ultimo crociano: Bruno Zanardi ricorda Gianfranco Fiaccadori.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Roma, unioni civili. Vallini: pressione politica. Solmi: contro Costituzione

◊  

"Ci aspettiamo presto una legge nazionale come affermato dal premier Renzi”. Così il sindaco di Roma, Ignazio Marino, dopo il via libera dell’Assemblea capitolina all’istituzione del registro delle unioni civili. Le opposizioni parlano di provvedimento ideologico e senza valore legale; le associazioni gay invece ringraziano il sindaco “per aver rispettato gli impegni presi”. Al microfono di Luca Collodi il cardinale vicario Agostino Vallini

Atto di pressione politica
R. – Di questo problema se ne è parlato più volte. Io stesso ne ho parlato anche al sindaco, sapendo bene che non si tratta di un atto di valenza giuridica, ma soltanto di un gesto che ha tutto il sapore di essere una pressione politica, cioè di creare una cultura che è una realtà diversa dalla esperienza umana, dalle relazioni umane, particolarmente del matrimonio. Il matrimonio è un fatto di natura, è un fatto sancito dalla Costituzione e, dunque, qui si vorrebbe stravolgere anche il dettato costituzionale, sapendo che non lo si può fare, perché non ha valore.

Nessuna proibizione, ma non forzare istituto matrimonio
D. – Secondo lei, non c’è una deriva un po’ libertaria nell’attuale società proprio sul tema dei diritti?

R. – Vede, il diritto è una attesa di giustizia delle persone, che deve avere un fondamento. Nessuno proibisce, nell’ambito della legalità, che ogni persona umana eserciti i suoi diritti personali, le sue espressioni anche affettive e così via. Il problema è la modifica delle modalità, dell’esercizio di questi diritti. A che cosa l’uomo e la donna hanno diritto? Hanno diritto a poter essere liberi nell’espressione dell’amore, ma poi se questo amore si concretizza in un progetto di vita qual è il matrimonio ha delle sue regole secondo natura. In questo senso, quindi, non è che si vada a violare la libertà dei sentimenti: noi rispettiamo ogni persona umana, ma poi l’ambito etico-morale è un aspetto diverso. Naturalmente, per noi cristiani, l’etica dei sentimenti e l’esercizio anche dei sentimenti dell’amore, della sessualità, ha delle regole precise, che noi intendiamo rispettare, ma che peraltro sono poi secondo natura. Qui invece la cosa è diversa: si vuole forzare un istituto di natura sancito da tutta la storia del diritto. Penso a certe espressioni del diritto romano, dove già le nozze avevano una precisa connotazione, in un ambito che si dice che deve cambiare perché la cultura è diversa. Ma chi induce la cultura? Si possono anche esprimere sul piano del forzare le cose. Ora, capisco, mi rendo conto che in una visione laicista della vita si voglia dire che questo è un bene della persona e quindi configurerebbe un diritto. Sinceramente, se ragioniamo in modo pacato e approfondito, non lo è.

D. – Perché non lo è?

R. – Non lo è perché il matrimonio, cioè l’incontro dell’affetto e dell’amore tra uomo e donna, regolato dal diritto societario, è un fatto e i sentimenti, i modi di esprimere le relazioni, anche tra persone dello stesso sesso, sono un’altra cosa. Nessuno va ad impedire – poi ognuno se la vede con la sua coscienza -, ma chiamare matrimonio ciò che matrimonio per natura non è, è un’altra cosa. Quindi in questo senso non possiamo essere d’accordo. E’ una pressione di tipo politico, per indurre una diversa concezione della vita matrimoniale, sulla quale non siamo d’accordo.

Necessario impegno su altri fronti
D. – Lei cosa si sente di dire, per concludere, al sindaco Marino?

R. – Ma io mi sentirei di dire quello che già ho avuto modo di dirgli in privato, e cioè che Roma dinanzi a problemi enormi, di cui i cittadini esprimono anche in maniera sofferta la difficoltà, avrebbe bisogno di un impegno su fronti diversi e non quelli certamente di una pressione politica per modificare l’istituto matrimoniale.

Intervistato da Massimiliano Menichetti, mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma, presidente della Commissione per la Vita e la Famiglia della Cei, parla di "attentato al matrimonio": 

Decisione per avallare cosiddetti matrimoni gay
R. – Noi ci troviamo davanti ad un attentato al matrimonio inteso nella forma in cui lo vuole la Costituzione. In questo modo, l’amministrazione municipale non si mette nella linea in ordine a questa relazione fondamentale, che si sancisce con un patto pubblico che è il matrimonio, ma va per altre direzioni, indebolendo sia il matrimonio come istituto, sia la stessa coesione sociale. Il Comune di Roma ha calato la maschera e mostrato la vera finalità di questi registri delle unioni di fatto: quella di avallare i cosiddetti matrimoni gay, ribadisco “cosiddetti”, e introdurre in modo indiretto questa possibilità che in Italia non è data per legge.

Non byapassare legge Stato
D. – Siamo di fronte, di nuovo, ad un qualcosa che minaccia il matrimonio, la famiglia?

R. – Assolutamente sì. Perché ci troviamo davanti a quel tentativo di mistificare come matrimonio quello che non è. Il matrimonio è l’incontro di un uomo e di una donna che viene sancito con un patto pubblico con una prospettiva generativa. Quando due persone dello stesso sesso decidono di vivere insieme, certamente ne hanno la libertà, ma questo non può configurarsi come matrimonio, e i diritti che loro vanno acquisendo sono diritti che derivano dalle loro dignità di persone. Pertanto, questo registro delle unioni di fatto, ben conosciuto in tante parti d’Italia, è una modalità per cercare di bypassare la legge dello Stato o per così dire fare forza, oserei dire violenza, perché questa legge sia introdotta.

Carattere sociale del matrimonio
D. – Perché nel matrimonio c’è una responsabilità di carattere sociale …

R. – Assolutamente. Uno dei caratteri del matrimonio è il carattere sociale, cioè relazionale. Un atto che coinvolge, per così dire, una scelta intima delle persone, ma che di per se stesso diventa sociale. Ciò implica una relazione pubblica che ha forte incidenza sulla società perché da questa relazione inizia un vivere insieme. Questa relazione feconda genera dei figli che sono un bene comune e attraverso la generazione si trasmette un patrimonio di cultura che è stato sviluppato nei secoli, nelle generazioni, che viene offerto in modo creativo verso il futuro.

Lavorare sul Codice civile
D. – Come rispondere a chi dice che queste unioni civili servono anche per rafforzare la tutela di due persone che però decidono di vivere insieme, ad esempio, anche amici?

R. – Credo che il tema sia giusto, ma si può benissimo operare lavorando sul codice civile. Diritti che possono essere anche acquisiti e modificati … in ordine, ad esempio, l’aiuto reciproco, il sostegno reciproco, l’offerta anche l’uno all’altro di aiuti economici, la salute e anche l’asse ereditario…

Vere priorità
D. – A questo punto qual è il suo auspicio?

R. – Auspico che ci sia una riflessione profonda da parte degli amministratori pubblici, perché mi pare che i problemi dell’Italia siano certamente questi, ma che ce ne siano anche altri. Noi ci troviamo davanti a situazioni nelle quali non è tutelata la salute delle persone, l’istruzione, la sicurezza. Ci sono persone che faticano a portare a casa quanto necessita per il proprio sostentamento e quello della famiglia. Allora, oserei dire, queste sono priorità che non vanno assolutamente sminuite. Non bisogna ricorrere ad altre cose, quasi per distogliere il pensiero da questi dati primari.

inizio pagina

Elezione presidente italiano. Il commento di Marco Tarquinio

◊  

Dalle 15.00, a Montecitorio, i grandi elettori della Repubblica italiana iniziano le votazioni per eleggere il 12.mo presidente della storia repubblicana. Da Enrico De Nicola, 1948, a Giorgio Napolitano, (2006-2015) passando per Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro e Ciampi. Venerdì seguiranno altre votazioni: sabato potrebbe essere eletto il nuovo capo di Stato. L'assemblea dei grandi elettori del Pd ha infatti approvato all'unanimità la proposta di Matteo Renzi di indicare, dalla quarta votazione, Sergio Mattarella come candidato per il Quirinale. Nessun contrario e nessun astenuto. Luca Collodi ha chiesto a Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, se c’è realmente spazio per un cattolico al Quirinale: 

R. – C’è sempre spazio per un cattolico al Quirinale! Qualcuno può dubitare, forse, che la tradizione del cattolicesimo politico abbia dato a questo Paese figure di estremo rilievo? La fondazione della nostra Repubblica, poi, non è frutto potente della cultura politica dei cattolici? Qualcuno può, forse, pensare una Conventio ad excludendum oggi? Sono fra quanti non credono ad una logica dell’alternanza per quanto riguarda il servizio della Suprema Magistratura della Repubblica, però credo che non possa esserci un ‘partito preso’ che escluda una figura che si riferisca alla cultura cattolica, per un ruolo di così importante garanzia.

D. – Se un nome restasse ancora coperto, si può pensare che questo sia un rappresentante del laicato cattolico?

R. – Si possono pensare molte cose… Io credo che ci sia una riserva della Repubblica formata da persone che hanno servito delle Istituzioni, anche per brevi periodi, o da persone che sono ai margini in questo momento della vicenda pubblica, diciamo così… Sono molto realista: per le condizioni date, per il quadro politico che abbiamo davanti, per il tipo di grande assemblea elettorale, credo che difficilmente si pescherà al di fuori di coloro di cui si parla. Se dovesse accadere, vorrebbe dire che siamo di fronte ad una situazione grave. Sappiamo che una rete di sicurezza, eventualmente, c’è. Ma sarebbe un’altra sconfitta della politica che non è in grado di esprimere un nome credibile e all’altezza. E questo sarebbe un problema!

D. – La minoranza del Pd sarà sotto il controllo di Renzi?

R. – Onestamente credo che questo sia uno dei punti chiave: Renzi si presenta forte e può uscire debole. Questa è la tentazione di coloro che lavorano contro l’attuale quadro di governo, contro il processo di riforma che è stato avviato.

D. – I grandi elettori si possono permettere di eleggere un capo dello Stato che non piace al popolo italiano?

R. – Tutti i presidenti che sono stati eletti, anche quando sono stati eletti di forza, nell’attimo esatto in cui venivano eletti diventavano, nel cuore e nella testa degli italiani, un punto di riferimento, una delle personalità, comunque, più stimate e amate ‘ipso facto’. Di questo bisogna tenere conto, perché carica di responsabilità la scelta. Però non si può pensare di dare agli italiani un segnale che non sia, per ripetere l’immagine che ha utilizzato l’arcivescovo di Genova, il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, una figura di chiara e dignitosa operosità per il Paese: qualcuno che abbia lavorato con vera dignità e fattività per l’Italia e per gli italiani. Se fosse una figura palesemente figlia solo di giochi politici, sarebbe una contraddizione! Rispetto a questo, penso che la classe politica pagherebbe un alto prezzo nei confronti dell’opinione pubblica, già scettica e un po’ disgustata a tratti.

D. – Comunque vada, direttore Tarquinio, sarà una vittoria della Prima Repubblica?

R. – Io credo che questo presidente sarà un presidente che dovrà necessariamente accompagnare la fase del riequilibrio, della riforma di un sistema che è palesemente logorato in alcune parti, che ha un patrimonio da preservare, che è il sistema dei valori, che costituiscono le fondamenta della nostra Carta Costituzionale e del vivere e convivere civile degli italiani; farlo nel tempo nuovo e accelerato nel quale dobbiamo di nuovo imparare a convivere con le differenze, perché sono fra noi, nella nostra società, in un momento duro e difficile, anche sullo scenario mondiale. Avere un punto di riferimento alto e sicuro a cui guardare aiuta a mantenere la rotta e a sentirsi a casa propria.

D. I parlamentari cattolici sono fuori gioco nel decidere il nuovo presidente della Repubblica Italiana?

R. – I cattolici possono fare una cosa molto grave, in questo frangente: potrebbero giocare, nel nome di piccole fazioni, contro uno di loro. E’ già accaduto nelle vicende delle elezioni al Qurinale, è accaduto per tutto i vent’anni della cosiddetta Seconda Repubblica. Credo che sarebbe un pessimo inizio del tempo nuovo, se si riproducessero questi vizi! Questa è la parte che non vorrei vedere! Ma ho molta fiducia, perché penso nel cattolicesimo politico, quello che già vediamo sulla scena, quello che può contare nella straordinaria vitalità dell’impegno sociale dei cattolici, un giacimento di valori e di energie che sono una vera riserva del nostro Paese. C’è bisogno di spenderla ed investirla, perché questo è un Paese che ha bisogno di rimettersi in modo con slancio. I cattolici non sono mai stati così attenti alle nuove povertà, alle difficoltà, alle opportunità, che nel nostro Paese è necessario e possibile cogliere, e non sono stati mai così scettici nei confronti della politica. C’è bisogno di un cambio di passo. La scelta di un presidente della Repubblica all’altezza, può aiutare a credere che questo sia possibile. Io me lo auguro, perché penso che sia anche necessario: l’Italia è un Paese che senza un laicato cattolico impegnato nel sociale è più povero e meno lucido nelle scelte che bisogna fare per il domani.

inizio pagina

Libano. Scontri Israele-Hezbollah, rischio escalation conflitto

◊  

Israele sotto attacco da parte delle milizie sciite libanesi di Hezbollah. Un missile  anticarro è stato lanciato contro una pattuglia dell'esercito israeliano, provocando vittime. Immediata la risposta armata di Israele. Da Beirut, Marina Calculli

Due soldati israeliani morti e sette feriti: è il bilancio dell’attacco sferrato ieri contro una pattuglia israeliana, rivendicato da Hezbollah, partito e milizia libanese. L’attacco è avvenuto nell’area di Sheba, una lingua di territorio libanese occupata da Israele. La risposta di Tel Aviv è stata immediata: una cinquantina di colpi di mortaio è piombata sul Sud del Libano. L’unica vittima è un Casco Blu del contingente spagnolo Unifil. Che Hezbollah volesse rispondere a Tel Aviv, per avere assassinato sette suoi combattenti sulle alture del Golan, lo scorso 18 gennaio, era noto. In quell’attacco era morto anche il generale iraniano, Mohammad Ali Allahdadi. Teheran aveva avvertito Israele attraverso la diplomazia americana e il premier israeliano Netanyahu ha detto ieri: “Chi osa sfidarci nel Nord guardi cosa abbiamo fatto a Gaza l’estate scorsa”. In serata Washington ha condannato l’attacco. Dopo un rullo di tamburi, adesso le armi tacciono. Le prossime ore sveleranno se è stato solo molto rumore per nulla o se il Libano e Israele sono nuovamente in guerra.

Una situazione esplosiva, ribadisce Matteo Bresson autore del libro: "Hezbollah. Tra integrazione politica e lotta armata", edito da Datanews. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: 

R. – Il conflitto che può esplodere sul Golan, ma anche in Libano – non ce lo nascondiamo – è un conflitto macroregionale. Abbiamo le forze che si autodefiniscono della resistenza – Hezbollah, Assad e Iran – impegnate in un fronte contro l’Isis. Il paradosso è che sul Golan, da una parte c’è Hezbollah, con quello che è rimasto dell’esercito di Assad, e insieme – perché è avanzato anche lì – il gruppo al-Nusra, che è alleato dell’Isis. Ora, non è un mistero che più volte analisti israeliani hanno definito l’Isis una minaccia di pochissimo conto rispetto a quello che per Israele è il fronte principale, ovvero Hezbollah.

D. – Hezbollah non ha colpito Israele sul Golan, ma ha scelto le fattorie di Sheba, il Libano meridionale…

R. – E’ andata esattamente a colpire nell’ultimo lembo di territorio, che è ancora occupato da Israele, in un’area che fa parte di quello che è stato storicamente l’obiettivo di Hezbollah: la liberazione, il ritiro da parte di Israele da tutto il Libano.

D. – Un’azione prevedibile, anche perché annunciata da Hezbollah…

R. – E’ impressionante come dal 18 gennaio non ci siano stati voci autorevoli della comunità internazionale, che abbiano tentato di frenare la possibile escalation nell’area, e devo dire, onestamente, che gli unici che stanno cercando con enormi difficoltà di frenare il baratro sono i militari dell’Unifil. Il generale italiano della missione, Portolano, sta cercando di dialogare con l’esercito israeliano e con Hezbollah, per fermare l’escalation, perché un conflitto militare vero, senza limiti – perché di questo parliamo – fra Hezbollah e Israele sarebbe catastrofico.

D. – Viene comunque sottolineato che il Libano come Stato, in questo momento, non è in conflitto, anche se il rischio è alto…

R. – Lo Stato formalmente non è coinvolto, ma nel momento in cui c’è una situazione di guerra latente nella seconda città più importante del Libano, che è Tripoli - dove due quartieri sono in guerra da mesi -, dove sul confine con la Siria c’è questa pressione umanitaria di profughi e di milizie che entrano ed escono, con una Hezbollah impegnato in Siria ed è arrivato a portare 5 mila uomini contro i gruppi che erano contro Assad, e con un fronte al Sud, con Israele, di queste proporzioni,  è difficile non dire che il Paese non sia già al collasso. L’anomalia di questo Paese è che se da una parte leggiamo queste notizie, dall’altra c’è una parte di Libano – lo vedo anche guardando i social network – che continua, non so come e con quale forza, a mettere foto delle località sciistiche. Questo è il Paese dei paradossi: è ormai un focolaio che sta esplodendo e vedo tanti che mettono ancora queste immagini delle bellezze del Libano. Ma stiamo parlando di un Paese che ormai è accerchiato.

D. – Ma quindi, secondo lei, su cosa bisogna puntare per non aggiungere un altro tassello esplosivo di queste dimensioni?

R. – Bisogna necessariamente che si metta in atto un coinvolgimento degli attori regionali nell’area. Parliamo delle monarchie del Golfo, parliamo dell’Iran, dei Paesi che premono e hanno un peso diplomatico sul Libano come la Francia, dell’Unione Europa, parliamo di un’azione degli Stati Uniti. Non si può, cioè, lasciare una situazione esplosiva come quella nelle mani di Hezbollah da una parte e delle forze armate israeliane dall’altra.

inizio pagina

Onu chiede 3 miliardi di dollari per aiutare sfollati e rifugiati siriani

◊  

Continua l’emergenza umanitaria in Siria. Le Nazioni Unite hanno reso noto di aver bisogno di 2,9 miliardi di dollari per gli aiuti umanitari alla popolazione, dopo che la comunità internazionale quest’anno ha versato solo la metà di quanto pattuito. In oltre quattro anni di conflitto sono ormai 12 milioni i siriani che vivono in condizioni di difficoltà. 4 milioni sono i rifugiati e 7 milioni e mezzo gli sfollati. Per un punto sulla crisi nel Paese, Michele Raviart ha intervistato Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Alto Commissario Onu per i rifugiati: 

R. – Siamo di fronte ad un Paese – la Siria – che si è svuotato per la metà: un Paese di 22 milioni di persone che vivevano con un certo livello di prosperità e che ora per metà è vuoto. E’ come se potessimo pensare ad alcune città italiane che al momento fossero state svuotate del tutto dei loro abitanti. Sono almeno 4 milioni i siriani fuggiti nei Paesi vicini e che sono registrati con noi come rifugiati, ma riteniamo che ve ne siano anche molti altri in altri Paesi molto più lontani: al momento ci sono siriani che hanno trovato riparo addirittura in Malesia, in Brasile … E poi, ve ne sono quasi 7 milioni che sono scappati all’interno del Paese e che continuano a fuggire, perché in media queste persone sono già scappate 10 volte da un posto all’altro …

D. – Come vivono queste persone?

R. – La maggior parte di loro vive svegliandosi, ogni giorno, nella speranza che tutto questo finisca il prima possibile, perché hanno difficoltà materiali enormi. In più, hanno anche grandi difficoltà psicologiche: infatti, molte di queste persone sono scappate perché hanno perso i parenti più stretti – figli, genitori – o loro stessi sono stati feriti, anche gravemente, per cui abbiamo molti disabili; abbiamo moltissime donne sole, i cui mariti sono scomparsi; abbiamo bambini orfani che vengono presi in carico da famiglie loro vicine … Siamo di fronte ad una crisi umanitaria senza precedenti e purtroppo, al momento, non abbiamo è in vista una soluzione politica …

D. – Per la maggior parte, i rifugiati si trovano in Giordania, Libano e Turchia. Come sono accolti, e quali sono le loro prospettive di vita nei Campi profughi?

R. – In quei Paesi, solo una minima parte di loro vive nei Campi. Per farvi l’esempio della Turchia: circa 230 mila rifugiati siriani vivono nei Campi che sono costruiti dal governo turco – sono 26 Campi lungo il confine tra Turchia e Siria; ma si calcola che almeno un milione e mezzo, un milione e 700 mila persone invece siano nelle città, nei villaggi della Turchia. Lavorano quando è possibile, perché non hanno un reale permesso di lavoro e quindi lavorano in nero, fanno piccoli lavori e cercano di guadagnarsi la sopravvivenza giorno per giorno, minuto per minuto. La stessa situazione si trova in Giordania, dove solo il 20% di rifugiati vive nei Campi, e in Libano, dove ci sono moltissimi rifugiati: una popolazione di circa 4 milioni di abitanti ha una popolazione di un milione e mezzo di rifugiati; ci sono 400mila bambini siriani che devono andare a scuola su 300mila bambini libanesi che vanno a scuola. Quindi, lì hanno dovuto fare due, tre, quattro turni al giorno. In particolare in questi mesi, in cui c’è stata una terribile tempesta che ha portato neve, freddo e gelo abbiamo avuto, purtroppo, anche dei bambini che sono morti di freddo.

D. – I siriani che hanno bisogno di aiuti umanitari sono – abbiamo detto – 12 milioni; il 40% di loro ha difficoltà a ricevere, proprio materialmente, questi aiuti. Quali sono i problemi? Perché avviene questo?

R. – Il problema è l’entità degli aiuti. Altre agenzie delle Nazioni Unite, come il World Food Program, a dicembre – per esempio – ha dovuto sospendere le razioni alimentari e poi ridurle; noi pensiamo ad un programma che permetta di soddisfare le persone e di far fare loro una vita dignitosa e adeguata, ma chiaramente se abbiamo la metà dei fondi a disposizione, dobbiamo ridurre, ridurre, ridurre. Quindi, quello che ricevono è la metà di quello di cui hanno bisogno. In più, le operazioni particolari di distribuzione degli aiuti talvolta possono essere molto difficili, soprattutto in quelle zone in cui i gruppi che si contendono il territorio cambiano in continuazione. Vi sono situazioni estremamente volatili.

D. – In particolare, 600mila siriani non riescono a ottenere aiuti nelle città controllate dal sedicente Stato Islamico: qual è la situazione in queste zone?

R. – Estremamente drammatica, perché non ci sono le condizioni per poter fare la distribuzione in sicurezza, né per il personale ma neanche per la popolazione che li riceve, perché rischiano di essere attaccati entrambi. Recentemente sono state attaccate, nei Campi, persone che avevano tirato su tende spontaneamente, e sono morte decine di persone. Questa situazione è presente anche in molte province del Nord dell’Iraq, ad esempio, che sono controllate dalle milizie del cosiddetto Stato Islamico. Noi facciamo operazioni che chiamiamo "cross-border", cioè operazioni che partono da un Paese, entrano velocemente in Siria per consegnare e stiamo cercando di potenziarle, anche appoggiandoci su associazioni locali che possono aiutarci.

inizio pagina

Tsipras rilancia dialogo con Ue. Juncker: debito si paga

◊  

Ad Atene oggi il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, e venerdì il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem: si tratta dei primi incontri con il nuovo governo, uscito dalle elezioni di domenica. Intanto, il premier Alexis Tsipras annuncia riassunzioni nel settore pubblico, rialzo dei salari e blocco delle privatizzazioni, ma ridimensiona i toni della campagna elettorale, parlando di dialogo con l’Ue. Da Bruxelles si ribadisce la disponibilità a ascoltare proposte ma anche l’impegno preso da Atene a restituire, seppure con adeguate modalità, il prestito di 240 miliardi avuto dagli altri cittadini Ue. Il presidente della Commissione europea Juncker afferma: "Cancellare il debito greco non è possibile". Dell'attuale situazione economica della Grecia e delle prospettive di braccio di ferro con l'Ue Fausta Speranza ha parlato con Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all’Università Tor Vergata: 

R. – La Grecia adesso ha un surplus primario dell’un per cento, quindi le entrate sono superiori alle uscite. Dal punto di vista del bilancio, un aggiustamento c’è stato. Anche perché l’Unione europea si è decisa finalmente a fare quello che gli Stati Uniti hanno fatto sette anni fa e il tasso di cambio è sceso; quindi la macroeconomia, che regola un po’ queste cose, ha avuto il sopravvento. Poi, ovviamente, la Gecia non deve esagerare, adesso non deve allentare completamente la disciplina: il Pil sta ripartendo, sarebbe un peccato perdere questo momento con una spesa di nuovo fuori controllo, di nuovo esagerata.

D. - Però c’è il debito da ripagare?

R. - Il debito intanto è stato ristrutturato due volte, quindi le ristrutturazioni sono all’ordine del giorno. A mio avviso, il punto di equilibrio è quello di fare  pagare un tasso di interesse più basso alla Grecia. Questo non vuol dire che nessuno ci perde perché i conti del debito vanno fatti molto bene. I Paesi che hanno fatto il prestito, tra cui il Fondo monetario e la Banca centrale europea e gli Stati membri, guadagnano interessi su questo debito e hanno anche fatto guadagni in capital gain, rivendendo i titoli che erano stati comprati a prezzi stracciati. Quindi, io credo che si potrebbe trovare un punto di equilibrio, di mezzo e far pagare alla Grecia meno di quello che dovrebbe nominalmente in questo momento.

D . – Il risanamento è stato possibile anche con la solidarietà dell’Unione europea e c’è da dire pure che per anni Atene ha presentanto a Bruxelles conti truccati; e poi c’erano anche problemi strutturali nel Paese: pensioni a 40 anni non sostenibili, un’amministrazione pubblica assolutamente elefantiaca, sproporzionata al numero di abitanti. In questo momento, ci sono ancora riforme fondamentali da fare nel Paese. O sono state fatte? Com’è la situazione?

R. - Senz’altro, questa era la situazione pregressa che ha portato poi i problemi della Grecia. Da questo punto di vista, bisogna combinare i due principi. Il primo è quello del mantenimento della disciplina, che è comunque un principio importante, e il secondo è il principio invece del “dono”. Il principio del dono esiste nelle trattative, nelle negoziazioni: pensiamo al piano Marshall dopo la Seconda Guerra mondiale e pensiamo a cosa è successo con la mancata applicazione del dono dopo la Prima Guerra Mondiale con la Germania. Questa è un po’ la sfida che si ha di fronte, al di là delle schermaglie dialettiche che saranno sicuramente molto aspre. Quello che è importante è che si trovi un punto di incontro intermedio tra l’Ue e la Grecia.

D. – Ci permettiamo un flash su altri Paesi, perché abbiamo lasciato anche l’Irlanda con un prestito da parte dell’Unione europea e tutto un programma da rispettare. Anche il Portogallo e altri Paesi hanno avuto delle crisi, ma forse il paragone più calzante è quello tra Grecia e Irlanda per i tracolli vissuti..

R. – Sì, gli altri Paesi sicuramente hanno saputo recuperare meglio. Teniamo conto di una cosa: l’Irlanda si avvale anche di una disciplina fiscale che fa dumping nei confronti degli altri Paesi. Il problema dell’armonizzazione fiscale è un altro problema enorme che l’Unione europea sta, per fortuna, iniziando a risolvere, anche sotto spinta del governo italiano. L’Irlanda in altri termini sottrae risorse fiscali agli altri Paesi perché ha tasse molto basse. Ora, non ci sarebbe niente di male in questo ma all’interno di un’Unione come quella europea le aliquote dovrebbero essere in un certo senso armonizzate per non creare squilibri. In ogni caso, sicuramente ci sono Paesi che hanno fatto meglio, come l’Irlanda, e Paesi che hanno fatto peggio.

D. – In campagna elettorale sono volate parole grosse: uscita di Atene dall’euro, uscita dall’Unione europea… Sapevamo che non ci credeva nessuno e che erano slogan di campagna elettorale… E infatti, nell’immediato post voto, già abbiamo visto che i toni sono diversi…

R. – Assolutamente. Abbiamo visto che la Svizzera, la Danimarca, piccoli Paesi ma molto solidi e con una grande reputazione finanziaria, fanno una fatica enorme a navigare da soli con le loro valute in un mondo difficile come quello globale, attraversato da tempeste speculative praticamente quasi ogni giorno. Quindi, io credo che nessuno oggi sogni di poter andare da solo, soprattutto Paesi che non hanno una reputazione forte, come la Grecia e l’Italia.

inizio pagina

Abuso di bevande alcoliche tra i giovani, un convegno a Roma

◊  

L’abuso delle bevande alcoliche è un problema sempre più sottovalutato. A lanciare l’allarme è la “Società italiana di scienza dell’alimentazione”, che ha organizzato a Roma un convegno scientifico sull’argomento. Ce ne parla Elvira Ragosta

Sono alti i rischi e i danni per la salute fisica e mentale, soprattutto se ad abusare di alcolici sono giovani e giovanissimi. E in Italia si inizia a consumare alcol a 11 anni, prima che in altre nazioni. Ma perché si tratta di un fenomeno sottovalutato? Risponde il professor Pietro Migliaccio, presidente della Società Italiana di scienza dell’alimentazione:

R. – Perché è correlato ad una serie di patologie, ma non solo: nei giovani, oggi, c’è l’abitudine di bere e poi di guidare. Per cui si hanno molti incidenti e specialmente nei giovani si hanno delle alterazioni non solo a livello epatico, cioè a livello del fegato, ma anche a livello celebrale con disturbi della memoria e dell’apprendimento ed una alterazione del quoziente intellettivo che si prolunga poi nel tempo, cioè negli anni successivi della maturità.

Le soluzioni proposte in ambito scientifico sono: proibire il consumo ai giovani, alle donne in gravidanza e allattamento e ai soggetti già colpiti da patologie epatiche; ma, soprattutto, l’informazione sui rischi e la sensibilizzazione a un uso consapevole e moderato delle bevande alcoliche. Ancora il prof Migliaccio:

R. – Deve essere una educazione continua, che si protrae nel tempo e che deve iniziare nelle scuole, ma – e non si stupisca adesso – addirittura nelle scuole elementari, per arrivare poi fino all’università. Ma in modo continuativo: è inutile farlo per pochi giorni o per una campagna di un mese. Deve essere una cosa continuativa nel tempo. Dobbiamo fare educazione, ma anche informazione per sapere quali sono i rapporti con la salute.

8 milioni gli italiani a rischio perché consumano ogni giorno quantità di alcol eccedenti rispetto a quelle che l’organismo può tollerare. A questi vanno aggiunti i giovani di età compresa tra 18 e i 24 anni, dediti all’abuso di alcol nel fine settimana. Numerose le patologie legate al fenomeno, come ricorda il professor Emanuele Scafato, presidente dell’Osservatorio nazionale alcol dell’Istituto Superiore di Sanità:

R. – Sono più di 200 e tra queste 14 tipo di cancro. Un esempio: una evidenza che è stata sottolineata abbastanza di recente è che il consumo tra le donne – che sono poi le più vulnerabili al consumo di alcol, anche se moderato - espone in maniera molto significativa all’insorgenza di cancro della mammella, proprio perché l’alcol interagisce con i recettori degli estrogeni all’interno del tessuto mammario. Quindi superato un bicchiere di bevanda alcoolica, incrementa del 7 per cento il rischio di cancro della mammella, che arriva al 27 per cento se quella donna ha i recettori per gli estrogeni positivi. Quindi estrema attenzione e soprattutto messaggio di salute pubblica: mai superare dall’età adulta in poi – prima è assolutamente sconsigliato nelle linee guida che abbiamo prodotto – non più di una bevanda alcolica per le donne adulte e per gli ultrasessantacinquenni e non più di due per gli uomini adulti, tenendo conto che si tratta di limiti da non superare mai. Non sono livelli raccomandabili, perché purtroppo l’alcol è un tossico: quando si beve troppo, si dice che ci si intossica.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Usa: lettera leader religiosi a Obama per la pace in Medio Oriente

◊  

Si chiama “Nili” e si legge “Iniziativa nazionale interreligiosa per la pace in Medio Oriente”; ne fanno parte i leader religiosi cristiani, ebrei e musulmani degli Stati Uniti. La Chiesa cattolica, in particolare, è rappresentata dal mons. Oscar Cantù, presidente della Commissione episcopale statunitense per la Giustizia e la pace internazionale, ed il card. Theodore McCarrick, arcivescovo emerito di Washington. Sono loro ad aver firmato, insieme ad undici esponenti cristiani, undici rappresentanti ebrei e nove leader musulmani, una lettera aperta al capo della Casa Bianca, Barack Obama. Al centro della missiva, la richiesta di un “rinnovato e determinato sforzo degli Stati Uniti” per porre fine al conflitto israelo-palestinese e “raggiungere un accordo, prima che sia troppo tardi”.

Non c’è soluzione militare, serve accordo tra le parti
“Non c’è una soluzione militare per un simile conflitto – si legge nella lettera – Se non si raggiunge un accordo, c’è il rischio che ulteriori azioni unilaterali ed ulteriori violenze portino ad un’altra guerra”. I recenti scontri avvenuti a Gerusalemme, infatti, dimostrano che “esortare semplicemente le parti in causa a sedere al tavolo dei negoziati non è più sufficiente”. Per questo, i firmatari della missiva ritengono che “l’accordo di pace per il riconoscimento reciproco di due Stati sarebbe ben accetto dalla maggioranza di israeliani e palestinesi se venisse presentato dai rispettivi leader come l’unica alternativa ad ulteriori guerre e violenze”.

Pace, sicurezza e riconoscimento reciproco tra israeliani e palestinesi
Occorrono, dunque, prosegue la missiva “idee pratiche e ragionevoli per risolvere tutti i problemi, inclusi quelli riguardanti i confini, la sicurezza, gli insediamenti, i rifugiati ed il futuro di Gerusalemme”, perché l’obiettivo è quello di avere “due popoli che possano vivere in pace, in sicurezza e nel riconoscimento reciproco”. Di qui, il richiamo dei leader religiosi: “Per gli Stati Uniti e per la comunità internazionale – scrivono - è giunto il momento di lavorare per lanciare una nuova e sempre più determinata iniziativa per la pace tra israeliani e palestinesi”. E per questo, i firmatari chiedono al presidente Obama di autorizzare il Segretario di Stato, John Kerry, ad “offrire ai rappresentanti delle istituzioni israeliane e palestinese, in accordo con la comunità internazionale, un quadro equilibrato e completo che faccia da base ad un negoziato sulla fine del conflitto ed un accordo di pace relativo a due Stati”.

Il sostegno di chiese, sinagoghe e moschee
Naturalmente, concludono i firmatari, tale “iniziativa di pace richiede un supporto pubblico molto forte, soprattutto da parte delle comunità religiose” ed è per questo che gli esponenti cristiani, ebrei e musulmani “si impegnano a mobilitare il sostegno di chiese, sinagoghe e moschee in tutti gli Stati Uniti”, mettendosi anche a disposizione per un eventuale incontro con Kerry, così da “discutere le modalità specifiche con cui i leader religiosi possono offrire il loro aiuto”. (A cura di Isabella Piro)

inizio pagina

Lussemburgo: cancellati i corsi di religione nelle scuole

◊  

È stata firmata lunedì scorso a Lussemburgo, la “Convenzione” tra il governo di Xavier Bettel, che guida una coalizione di verdi-sinistra-liberali, e il “consiglio dei culti convenzionati”, di cui fanno parte le comunità ebraica e musulmana, le chiese cattolica, protestante, anglicana e ortodossa. Un mini-concordato valido per i prossimi 20 anni.

Insegnamento della religione sostituito con corsi 'sui valori'
I tre punti della Convenzione prevedono anzitutto che il sostegno economico dello Stato alle comunità religiose passi progressivamente da 24,6 a 8,3 milioni di euro (di cui 6,75 alla chiesa cattolica che ora ne riceve 23,72); la comunità musulmana, che fino ad ora non ne aveva mai beneficiato, viene ammessa ai finanziamenti statali. D’altronde la chiesa cattolica dovrà retribuire con quei soldi anche i sacerdoti e i collaboratori che da qui in poi assumeranno incarichi pastorali. In secondo luogo gli attuali corsi di religione o formazione morale saranno sostituiti da un corso di “educazione ai valori”. Terzo elemento: gli edifici ecclesiali (ad eccezione della cattedrale, la basilica di Echternach e il “Centre Jean XXIII”) saranno sotto piena responsabilità economica della Chiesa e non più dei Comuni. 

Per la Chiesa cattolica una sconfitta su molti punti
La “Convenzione” è stata definita un compromesso raggiunto con la comunità politica, ma per la chiesa cattolica sembra rappresentare una sconfitta su molti punti come spiega all'agenzia Sir l’arcivescovo del Lussemburgo, mons. Jean-Claude Hollerich. “Ci sono dei punti molto dolorosi, afferma il presule. Il più doloroso per me è che non ci siano più i corsi di religione nelle scuole. Anche il finanziamento dallo Stato sarà progressivamente ridotto a circa il 30% di quanto riceviamo ora, e quanto alle chiese significherà probabilmente che non potremo prenderci cura di tutti gli edifici sacri che abbiamo ora: naturalmente fa male all’arcivescovo dover abbandonare delle chiese. Ma abbiamo una libertà più grande per il futuro. La Chiesa continua comunque a ricevere un sussidio dallo Stato e le religioni restano nella Costituzione del Lussemburgo. Quindi la Chiesa - afferma l'arcivescovo - potrà vivere e continuare la sua missione nei prossimi 20 anni”. 

Più poveri per proclamare meglio il Vangelo
"Dopo questa Convenzione la nostra sarà una Chiesa più povera ma di questa povertà non ho paura - afferma mons. Hollerich - sentiamo quello che dice Papa Francesco e come parla al cuore della gente, proclamando il Vangelo. Le nostre possibilità nella proclamazione del Vangelo sono un po’ più grandi quando siamo più poveri”. (R.P.)

inizio pagina

Sri Lanka: card. Ranjith invoca pace e armonia religiosa

◊  

“Il nuovo governo del presidente Mahinda Sirisena ha intrapreso l'importante compito di garantire lo stato di diritto nel Paese e promuovere la pace e l'armonia tra le diverse comunità”: lo ha detto l’arcivescovo di Colombo, il card. Malcolm Ranjith, commentando le prime nomine di ministri del nuovo governo.

Plauso per i Ministeri affidati a persone di fedi diverse
L'arcivescovo - riferisce l'agenzia Fides - ha ricordato che nei mesi scorsi si era creata una situazione in cui, in particolare, le comunità religiose minoritarie si sentivano “un po 'a disagio a causa delle attività di alcuni gruppi estremisti nel paese”. “E’ dunque una intuizione felice vedere diversi ministeri assegnati a persone di fedi diverse, che credono nella loro religione” ha detto il cardinale, il quale ha apprezzato che il governo abbia assegnato la tutela degli affari religiosi buddisti a un buddista, la cura degli affari religiosi indù a un indù, e così per quelli islamici, affidati a un musulmano, e per quelli cristiani affidati a un cattolico.

Pace ed armonia tra persone di fedi diverse
Ricordando che la religione è un elemento fondante per ogni persona, l’arcivescovo di Colombo ha notato che “non si può avere l'armonia tra le diverse comunità escludendo la religione dall'interno della persona”. Il cardinale ha concluso: “Noi viviamo su questa terra per un breve periodo di tempo. Dobbiamo vivere felici e vivere uniti con tutti gli altri, avendo fiducia l'uno dell'altro. Per guidare un Paese sulla via dello sviluppo, ci deve essere la pace e l'armonia, ci deve essere la comprensione tra i diversi tipi di persone appartenenti a religioni diverse, con differenti idee e classi sociali. L’essenziale è il rispetto della dignità di tutti. Così lo Sri Lnaka può diventare una nazione con un cuore solo e un'anima sola”. (R.P.)

inizio pagina

Messico: atti vandalici nella cattedrale di Hermosillo

◊  

Il Santissimo Sacramento gettato a terra, immagini sacre danneggiate, quattro altari devastati, una porta di ingresso distrutta, oggetti liturgici rubati: questo il drammatico scenario che si sono trovati davanti i fedeli della cattedrale dell’Assunzione ad Hermosillo, in Messico, colpita da un attacco vandalico nei giorni scorsi. Si tratta del secondo episodio avvenuto nella cattedrale nel giro di neanche un mese: a dicembre, infatti, una tela raffigurante la Vergine di Guadalupe era stata strappata via dalla cornice.

Episodio simbolo di intolleranza religiosa
“Quanto accaduto – scrive in una nota la Conferenza episcopale messicana (Cem) – denota intolleranza ed un triste disprezzo di un diritto umano fondamentale quale è quello della libertà religiosa”. “È dovere dello Stato – continuano i presuli – rendere realmente effettiva, in tutti gli ambiti sociali e culturali, la libertà religiosa, così come quella di pensiero e di espressione”. Quindi, la Cem assicura le sue preghiere a Dio “per la conversione di coloro che hanno commesso tali atti sacrileghi” e, al tempo stesso, si dice fiduciosa nel fatto che “le autorità civili faranno il possibile per trovare i colpevoli e sanzionarli secondo la legge, al fine di assicurare a tutti una convivenza pacifica”.

Card. Robles Ortega: lavorare per la giustizia e la pace
Da sottolineare, inoltre, che proprio in questi giorni la Cem ha tenuto la riunione del Consiglio permanente, cui hanno preso parte i vescovi rappresentanti di diciotto Province ecclesiastiche del Paese. Nella Messa inaugurale dei lavori, il card. José Francisco Robles Ortega, presidente della Cem, ha esortato tutti a “contribuire alla giustizia ed alla pace in Messico”: “Gesù – ha detto – non ha cercato il luogo ed il tempo migliore per incarnarsi; come Lui, dunque, dobbiamo affrontare i nostri luoghi ed i nostri tempi con amore e responsabilità”. Nel corso dell’incontro, si è anche stabilito che la prossima Plenaria della Cem sarà dedicata al tema dei giovani; infine, sono state valutate alcune proposte, avanzate da esponenti della società civile, per la creazione di un “Sistema nazionale anticorruzione”. (I.P.)

inizio pagina

Myanmar: chiesta la rimozione di una croce nello Stato di Chin

◊  

Il governo dello Stato Chin, nell'ovest del Myanmar, ha ordinato la rimozione di una croce alta più di 16 metri, costruita da un gruppo di cristiani e innalzata sulle colline che dominano Hakha. Le autorità - riferisce l'agenzia AsiaNews - hanno inoltre incriminato un fedele della zona, Tial Cem, anziano rappresentante della comunità Chin e fra i promotori dell'iniziativa che ha portato alla realizzazione del simbolo cristiano. A denunciare il nuovo caso di violazione alla libertà religiosa in Myanmar è il movimento attivista Chin Human Rights Organization (Chro), secondo cui le autorità della zona hanno imposto la data di domani, 30 gennaio, come termine ultimo per l'abbattimento della croce piantata sul colle di Caarcaang.

Rischiano il processo due cristiani
Per il governo dello Stato - forse sostenuto in questa battaglia dalle autorità centrali a Naypyidaw - la croce sarebbe stata innalzata lo scorso aprile "senza i permessi necessari"; a questo si aggiunge l'uso di legno di pino, tagliato in modo illegale e senza la preventiva autorizzazione da parte delle autorità Chin. Per questi due "reati" rischiano di essere processati alcuni esponenti della comunità cristiana locale, fra cui lo stesso Tial Cem e J.P. Biak Tin Sang, un altro fedele coinvolto nel progetto.

Abbattute altre 13 croci
Del resto già in passato, come emerge da un rapporto pubblicato dal Chro, i cristiani Chin sono stati oggetto di restrizioni e vincoli alla pratica del culto; le autorità hanno negato la costruzione di chiese e simboli religiosi e hanno abbattuto almeno 13 croci in varie zone dello Stato, quattro delle quali sotto l'attuale governo. Anche per questo la comunità di Hakha, capitale dello Stato, non ha chiesto autorizzazioni prima di procedere alla costruzione della croce, ben sapendo che non sarebbe stata concessa. Per l'abbattimento "illegale" dei pini, che peraltro si trovavano all'interno della proprietà di J.P. Biak Tin Sang, il cristiano Tial Cem rischia fino a due anni di prigione. Tuttavia, lo stesso Tial Cem non intende rinunciare al proprio lavoro e conferma che "non rimuoveremo la croce" e "affronteremo tutto quello che ci toccherà: se le autorità mi diranno che devo andare in prigione, non mi spaventerò... Sono pronto alla galera per tutto questo".

I cristiani di Chin pronti a manifestare
In queste ore la comunità cristiana Chin intende promuovere una grande manifestazione a difesa della libertà religiosa, anche se le autorità non sembrano intenzionate a concedere l'autorizzazione (necessaria per una dimostrazione di piazza). Salai Bawi Lian Mang, direttore esecutivo Chro, sottolinea che "l'ordine di smantellare e rimuovere la croce è il seguito di una decennale discriminazione contro i cristiani Chin". Egli auspica che le autorità acconsentano a "lasciare la croce dove è" e "facciano cadere le accuse contro Tial Cem". (F.K.T.)

inizio pagina

Sudafrica: i vescovi rendono omaggio ai missionari scomparsi

◊  

“Uomini e donne consacrati hanno fondato la Chiesa locale nelle nostre diocesi e in molte delle nostre parrocchie, mettendosi al servizio di persone di ogni tipo in innumerevoli modi” affermano i vescovi della Southern African Catholic Bishop’s Conference (che riunisce i vescovi di Sudafrica, Swaziland e Botswana) nella loro Lettera Pastorale dedicata all’Anno della Vita Consacrata.

Omaggio ai consacrati sepolti nelle terre di missione
“Rendiamo omaggio ai religiosi scomparsi che hanno servito nei nostri Paesi e sono sepolti nelle nostre terre, a volte in tombe nascoste o dimenticate. Apprezziamo tutti questi religiosi che sono invecchiati tra noi, che hanno condotto una vita esemplare rendendo una coraggiosa testimonianza” continua il documento, pervenuto all’agenzia Fides.

La ricchezza dei consacrati da ogni parte del mondo
I vescovi, dopo aver ricordato che la missione evangelizzatrice è un dovere di ogni consacrato, sottolineano la ricchezza derivante dalla presenza di religiosi e religiose provenienti da diverse parti del mondo. “La testimonianza offerta da vite che hanno una dimensione internazionale e multiculturale è un baluardo contro il nazionalismo estremo. Prendersi cura l’uno dell’altro superando i confini dell’età e della diversa cultura, e ascoltarsi a vicenda con rispetto, incoraggia tutti a vivere secondo il Vangelo, aprendosi al mistero di Dio in ognuno”. “Affidiamo i nostri fratelli e sorelle consacrati in modo speciale alle preghiere e all’amore della Nostra Madre. Possa Ella condividere con loro, e con tutti noi, l’amore che permette loro di offrire la loro vita ogni giorno per Cristo e cooperare con Lui alla salvezza del mondo” concludono i vescovi. (R.P.)

inizio pagina

Cambogia: veglia di preghiera per le vocazioni

◊  

“Nella vita, non c’è vera felicità se non ci si prende cura degli altri”: sono le parole di mons. Olivier Schmitthaeusleur, vicario apostolico di Phnom Penh, in Cambogia. Nei giorni scorsi, il presule ha guidato la 34.ma “Notte di preghiera per le vocazioni”, svoltasi nella parrocchia di Gesù Bambino nel settore sud della città, alla presenza di circa 300 fedeli. “Si tratta – ha detto il vescovo – di un’opportunità di pregare per le vocazioni e per chiedere a Dio la benedizione della pace nel mondo, così che gli uomini possono trovare Dio e intraprendere il cammino dell’amore reciproco”, secondo il comandamento “Ama il prossimo tuo”.

Le quattro vie per raggiungere la felicità
Quindi, mons. Schmitthaeusleur ha indicato quattro vie per raggiungere la felicità: la prima è, appunto, prendersi cura degli altri; la seconda è conoscere bene se stessi e capire cosa si vuole realmente fare nella vita; la terza consiste nel “condividere con gli altri la vera felicità” ed infine la quarta significa “capire che la fonte del nostro amore si trova in Dio”. Poi, ricordando che la Chiesa cambogiana sta celebrando il secondo anno del piano pastorale dedicato alla carità, il presule ha ribadito l’importanza di “continuare la riflessione sulla pace, la felicità, la libertà e la sincerità dei cuori”, il tutto con lo sguardo rivolto al Signore, “fondamento di ogni azione umana”.

Seguire i giovani che si sentono insicuri
Dal suo canto, padre Vincent Senechal, parroco della chiesa di Gesù Bambino, si è soffermato sulla necessità di seguire in particolare i giovani che “si sentono insicuri, ma vorrebbero essere felici”: a loro, bisogna ricordare che “quando si comunica con Dio, ci si sente riempiti, fortificati ed illuminati da Lui e questa è la vera felicità”. (I.P.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 29

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.