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Sommario del 27/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Quaresima, Messaggio Papa: non globalizzare l'indifferenza

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I cristiani affrontino la globalizzazione dell’indifferenza. Papa Francesco nel Messaggio per la Quaresima 2015 invita a lottare contro l’attitudine egoistica che oggi ha assunto una dimensione mondiale e che spinge a dimenticarsi, o peggio, a ignorare le persone che soffrono, le ingiustizie che subiscono e, più in generale, i loro problemi; ma anche a ignorare Dio stesso, che “non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo”. Il servizio di Stefano Leszczynski

E’ compito della Chiesa mantenere aperta la porta tra Dio e Uomo – spiega Francesco -  “mediante la proclamazione della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la testimonianza della fede che si rende efficace nella carità.” Anche se il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui. Il tempo di rinnovamento rappresentato dalla Quaresima diventa quindi un’occasione per intraprendere un percorso che permetta al popolo di Dio di evitare di diventare indifferenti.

“Se un membro soffre, tutte le membra soffrono”
Papa Francesco propone tre passi evangelici da meditare, tre segnavia: Il primo, tratto dalla prima Lettera ai Corinzi-  “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono” - è dedicato alla Chiesa universale, communio sanctorum, comunione di cose sante. “La carità di Dio principale arma contro l’indifferenza ci viene offerta dalla Chiesa con la sua testimonianza. Ma, scrive Francesco, non si può testimoniare ciò che non si sia sperimentato prima. Grazie all’Eucarestia “diventiamo ciò che riceviamo: il Corpo di Cristo”; e in questo corpo l’indifferenza non trova spazio.

Dov’è tuo fratello?
Il secondo passo, citato dal Papa nel Messaggio per la Quaresima è tratto dal Libro della Genesi – Dov’è tuo fratello? – spinge a meditare sul ruolo delle parrocchie e delle comunità. La preghiera, innanzitutto, per unirsi alla Chiesa del cielo, per instaurare “una comunione di reciproco servizio e di bene che giunge fino al cospetto di Dio”. E poi anche la missionarietà: “ogni comunità cristiana – si legge nel Messaggio -  è chiamata a varcare la soglia che la pone in relazione con la società che la circonda, con i poveri ed i lontani”. Francesco auspica che “i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!”.

“Rinfrancate i vostri cuori!”
Infine, il Messaggio del Papa si rivolge al singolo fedele, ispirandosi alla Lettera di Giacomo “Rinfrancate i vostri cuori!”. Lo spavento e il senso di impotenza che colgono ciascuno di noi di fronte alle sofferenze umane e alle immagini sconvolgenti che ci raggiungono possono essere sconfitte con la forza della preghiera di tanti. Ed è proprio a questo scopo – spiega il Papa - che è pensata l’iniziativa 24 ore per il Signore che si svolgerà il 13 e il 14 marzo. In secondo luogo, si può aiutare spiega Francesco con  gesti di carità, concreti, anche piccoli. La Quaresima – si legge nel Messaggio - è un tempo propizio per mostrare questo interesse all’altro con un segno della nostra partecipazione alla comunità intera. Non è possibile salvarsi da soli – spiega Francesco – è una tentazione diabolica. Serve, invece, quello che Benedetto XVI ha definito un percorso di formazione del cuore, un cuore che conosca le proprie povertà e che si spenda per l’altro.

“Rendi il nostro cuore simile al Tuo!”
“Rendi il nostro cuore simile al tuo!” E’ la supplica del Papa a conclusione del Messaggio per la Quaresima, così da avere “un cuore forte e misericordioso, vigile e generoso, che non si lascia chiudere in se stesso e non cade nella vertigine della globalizzazione dell’indifferenza".

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Messaggio Quaresima. Cor Unum: carità volto della Chiesa

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Il Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2015 è stato presentato oggi in Sala Stampa della Santa Sede. Sono intervenuti mons. Giampietro Dal Toso, segretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, mons. Segundo Tejado Muñoz, sotto-segretario del medesimo dicastero, Michel Roy, segretario generale di Caritas Internationalis, e il portavoce vaticano padre Federico Lombardi. Il servizio di Giada Aquilino

Nel Messaggio per la Quaresima 2015, Papa Francesco invita a “superare l’indifferenza e le nostre pretese di onnipotenza”, vivendo i 40 giorni che conducono alla Pasqua “come un percorso di formazione del cuore”. Mons. Giampietro Dal Toso ha sottolineato il significato del tempo di Quaresima:

“La Quaresima è un tempo di cambiamento, di rinnovamento, esattamente per superare questa globalizzazione della indifferenza, entrare in una nuova fase di riconoscimento della differenza tra me e l’altro, tra uno stile di vita e un altro, tra me e Dio”.

Cristiani, "isole di misericordia"
Il Messaggio del Pontefice propone tre ambiti per superare l'indifferenza: la Chiesa, la comunità e il singolo. Per ogni persona, ha spiegato il segretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, è necessario un “cambiamento”, per conoscere Cristo e “diventare come Lui”:

“L’indifferenza nasce proprio da un atteggiamento di vita per cui l’alterità non fa la differenza e, dunque, la persona si chiude in se stessa. E anche la fede può diventare strumentale a questa ricerca di sé. E il percorso, quindi, della Quaresima è per andare oltre, uscire da sé, vivere la fede guardando a Cristo e, in Cristo, trovare il Padre e dei fratelli”.

Le comunità cristiane sono chiamate ad essere - ha aggiunto il presule - “isole di misericordia”, dove “uno vive per l’altro”. La Chiesa, come “corpo vivente di coloro che credono in Cristo”, “si deve rinnovare”, “cambia, cresce, si sviluppa”, perché - ha proseguito - “le membra si prendono cura le une delle altre, anzi vivono una grazie all’altra”.

Francesco in aiuto del mondo
In questo quadro, “Cor Unum” si è sempre fatto strumento della vicinanza del Papa agli ultimi. Come nel caso di Haiti, colpita dal terribile terremoto del gennaio 2010: mons. Dal Toso ha ricordato i 21,5 milioni di dollari spesi dalla Chiesa cattolica per progetti di ricostruzione; lì è nata anche una scuola, da poco inaugurata. O della crisi umanitaria in Medio Oriente, in particolare in Siria e in Iraq, dove a farne le spese sono le minoranze più deboli come quella cristiana, “diventate di nuovo le carte con cui giocano i potenti”. O ancora in Asia, recentemente visitata dal Papa: nelle Filippine colpite dal tifone Yolanda, “Cor Unum” ha costruito a Tacloban un grande centro di assistenza a giovani e anziani, costato un milione di dollari. Ma non sono le cifre che ‘fanno’ la carità, ha spiegato mons. Segundo Tejado Muñoz:

“La carità è anche e soprattutto questa parte ‘inquantificabile’ che è il lavoro delle persone volontarie, il lavoro della gente che dà la vita personalmente: è la carità di ciascuno di noi, alla quale il Papa ci chiama seriamente a conversione in questo Messaggio di Quaresima. Quella è la carità! Quella istituzionale è la punta dell’iceberg - penso - di ciò che veramente si fa e si è fatto nelle Filippine così come in tutte le parti dove succede una disgrazia e dove la nostra fede ci chiama a metterci al servizio, ad aiutare, a stare lì con chi ha bisogno”.

L'azione di Caritas Internationalis
In questo quadro, ha detto Michel Roy, la globalizzazione dell’indifferenza va superata ascoltando “il grido di coloro che soffrono ogni forma di povertà, di esclusione e di oppressione”. È quello che fa Caritas Internationalis, con le sue 164 organizzazioni che operano in 200 Paesi e territori e con i suoi due milioni di ‘attori’ nel mondo:

“Si tratta di opporre alla globalizzazione dell’indifferenza la globalizzazione della solidarietà. In questo senso occorre ascoltare, come ci invita il Papa all’inizio del Messaggio, i profeti dei nostri tempi, nella Chiesa e nella società: soprattutto i poveri stessi come profeti. Dice il Papa: “I poveri sono un dono per la Chiesa e per l’umanità”. Quindi essere prossimi ai poveri e, come profeti, a coloro che agiscono accanto a loro per sfidare e contestare il dominio del denaro. Questo è molto importante oggi. Anche la distruzione dell’ambiente è molto importante; lo sfruttamento delle risorse dei Paesi più poveri; il traffico degli esseri umani; il commercio delle armi e così via”.

La carità apre molte porte
Rispondendo alle domande dei giornalisti, che lo sollecitavano a proposito di una eventuale revisione degli organismi caritativi della Chiesa nell’ambito del progetto di riforma della Curia romana, mons. Dal Toso ha sottolineato che si tratta di competenze che comunque “non vanno perse”:

“Il mondo della carità in genere è una enorme chance per la Chiesa. Questo possiamo dirlo per tutte le parti del pianeta: la carità apre molte porte. E’ una grande carta di presentazione della Chiesa e quindi avrà sicuramente anche la sua considerazione nella revisione delle strutture della Curia. E direi ancora di più, se posso permettermi: posso immaginarmi che anche una eventuale revisione, una eventuale ristrutturazione, serva esattamente per rendere più incisivo questo grande mondo della carità, per rendere più forte questa presenza della Chiesa in mezzo al mondo, per la promozione dell’uomo”.

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Francesco: chiedere a Dio la “voglia” di fare la sua volontà

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Bisogna pregare Dio e chiedere ogni giorno la grazia di capire la sua volontà, la grazia di seguirla e la grazia di compierla fino in fondo. È questo l’insegnamento ricavato da Papa Francesco dalla liturgia del giorno e spiegato all’omelia della Messa del mattino, presieduta in Casa S. Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

C’era una volta la legge fatta di prescrizioni e divieti, di sangue di tori e capri, “sacrifici antichi” che non avevano né la “forza” di “perdonare i peccati”, né di dare “giustizia”. Poi nel mondo venne Cristo e con il suo salire sulla Croce – l’atto “che una volta per sempre ci ha giustificato” – Gesù ha dimostrato quale fosse il “sacrificio” più gradito a Dio: non l’olocausto di un animale, ma l’offerta della propria volontà per fare la volontà del Padre.

Volontà di Dio, strada di santità
Letture e Salmo del giorno indirizzano la riflessione del Papa su uno dei fulcri della fede: l’“obbedienza alla volontà di Dio”. Questa, afferma Francesco, “è la strada della santità, del cristiano”, cioè che “il piano di Dio venga fatto”, che “la salvezza di Dio venga fatta”:

“Il contrario incominciò in Paradiso, con la non obbedienza di Adamo. E quella disobbedienza ha portato il male a tutta l’umanità. E anche i peccati sono atti di non obbedire a Dio, di non fare la volontà di Dio. Invece, il Signore ci insegna che questa è la strada, non ce n’è un’altra. E incomincia con Gesù, sì, nel Cielo, nella volontà di obbedire al Padre. Ma in terra incomincia con la Madonna: lei, cosa ha detto all’Angelo? ‘Che si faccia quello che tu dici’, cioè che si faccia la volontà di Dio. E con quel ‘sì’ al Signore, il Signore ha incominciato il suo percorso fra noi”.

Tante opzioni sul vassoio
“Non è facile”. Questa espressione torna diverse volte sulle labbra del Papa quando parla del compiere la volontà di Dio. Non è stato facile per Gesù che, ricorda, su questo fu tentato nel deserto e anche nell’Orto degli Ulivi con lo strazio nel cuore accettò il supplizio che lo attendeva. Non fu facile per alcuni discepoli, che lo lasciarono perché non capirono cosa volesse dire “fare la volontà del Padre”. Non lo è per noi, dal momento che – nota il Papa – “ogni giorno ci presentano su un vassoio tante opzioni”. E allora, si chiede, come “faccio per fare la volontà di Dio?”. Chiedendo “la grazia” di volerla fare:

“Io prego, perché il Signore mi dia la voglia di fare la sua volontà, o cerco i compromessi perché ho paura della volontà di Dio? Un’altra cosa: pregare per conoscere la volontà di Dio su di me e sulla mia vita, sulla decisione che devo prendere adesso… tante cose. Sul modo di gestire le cose… La preghiera per voler fare la volontà di Dio, e preghiera per conoscere la volontà di Dio. E quando conosco la volontà di Dio, anche la preghiera, per la terza volta: per farla. Per compiere quella volontà, che non è la mia, è quella di Lui. E non è facile”.

“Volere” la volontà di Dio
Dunque, riassume Francesco, “pregare per avere la voglia di seguire la volontà di Dio, pregare per conoscere la volontà di Dio e pregare – una volta conosciuta – per andare avanti con la volontà di Dio”:

“Il Signore ci dia la grazia, a tutti noi, che un giorno possa dire di noi quello che ha detto di quel gruppo, di quella folla, che lo seguiva, quelli che erano seduti attorno a Lui, come abbiamo sentito nel Vangelo: ‘Ecco mia madre e i miei fratelli. Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre”. Fare la volontà di Dio ci fa essere parte della famiglia di Gesù, ci fa madre, padre, sorella, fratello”.

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Papa: Auschwitz grida dolore immane e invoca futuro di pace

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"Auschwitz grida il dolore di una sofferenza immane e invoca un futuro di rispetto,pace ed incontro tra popoli". Così il Papa in un tweet dal suo account @Pontifex parla dell’odierna Giornata della Memoria delle vittime della Shoah. La ricorrenza, adottata nel 2005 dalle Nazioni Unite, coincide quest’anno con il 70.mo dall’abbattimento dei cancelli di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche. Alle commemorazioni in Polonia, sul luogo in cui sorgeva il più grande campo di concentramento nazista, prendono parte questo pomeriggio 38 delegazioni da tutto il mondo. Il servizio di Paolo Ondarza: 

Una giornata per ricordare la Shoah, dalle leggi razziali alla persecuzione, dalla deportazione allo sterminio di circa 12 milioni di persone nei lager, 6 milioni dei quali ebrei, ma anche dissidenti politici, disabili, sinti e rom, omosessuali, testimoni di Geova. 1,5 milioni i bambini. Una giornata per ricordare anche coloro che a rischio della propria esistenza protessero i perseguitati. Nel campo di concentramento di Auschwitz, costruito dai nazisti per realizzare la "soluzione finale" contro gli ebrei in Europa, vennero eliminate oltre un milione di persone. Piero Terracina: fu deportato lì con tutta la famiglia, composta da 8 persone. Fu l’unico a tornare in Italia e il negazionismo è oggi per lui un insulto insopportabile:

"Come si può negare? Quando io dico: siamo partiti in otto della mia famiglia e quando sono ritornato mi sono ritrovato solo, ma dove sono finiti gli altri? Quando io parlo della deportazione del 16 ottobre 1943 da Roma – quando furono deportati 1.023 innocenti, compreso un bambino ancora senza nome, e sono tornati in 16! – che cosa possono dire? Che sono scomparsi? Certo, ad Auschwitz non risulta che siano arrivati. Ma io me li ricordo. Me li ricordo lì, sulla rampa dell’arrivo, l’abbraccio di mamma, le parole di papà… ricordo tutto! Sono tornato solo, di otto persone…".

A Birkenau, a soli 13 anni, Sami Modiano, ebreo di Rodi, perse tutti gli affetti. Oggi, spende ogni energia nel raccontare l’orrore subito perché non si ripeta più:

"Poi, ad un certo momento, quando stai in quell’inferno, ti rendi conto che da Birkenau non c’era nessun’altra via di uscita che la morte. E di fatto, molti si rendevano conto di questo e decidevano di farla finita: si buttavano contro i fili spinati nei quali passava l’alta tensione, e morivano fulminati… Ho una piaga che non si chiuderà mai più. Ho i miei silenzi, i miei incubi, le mie depressioni. Continuo ancora a soffrire. Specialmente quando incontro i ragazzi e devo spiegare tutto questo: per me è un dolore enorme, ma lo faccio. Lo faccio perché ho capito che il Padre Eterno mi ha scelto per trasmettere a questi ragazzi, che fanno parte di questa nuova generazione la memoria di ciò che ho vissuto, perché non si ripeta".

Varie le manifestazioni organizzate oggi in tutto il mondo. Nel suo messaggio, il segretario Onu, Ban Ki-moon, mette in guardia da nuove forme di antisemitismo e intolleranza e chiede di intensificare ogni sforzo contro una minaccia ancora viva.

Per Liliana Segre, deportata a 13 anni ad Auschwitz-Birkenau, la Giornata della Memoria è un'occasione per riaprire l'armadio della vergogna che qualcuno ancora vorrebbe chiudere: i suoi ricordi sono raccolti nel libro edito da Piemme “Fino a quando la mia stella brillerà”. Fabio Colagrande l’ha intervistata: 

R. – Io ero una bambina molto serena, molto amata, anche viziata, coccolata, in una famiglia che era tutta proiettata verso di me, e da quel momento ho conosciuto un mondo diverso, indifferente a quello che succedeva a un piccolo gruppo di cittadini italiani di religione ebraica, che sono stati per lo più ignorati dai vicini di casa. Tanto che dopo la guerra, quando io ho ritrovato delle compagne di scuola, che non si erano neanche accorte della mia assenza, mi hanno chiesto: “Ma tu dov’eri finita?” Io avrei dovuto rispondere “ad Auschwitz”, ma allora non avevo ancora la forza per farlo.

D. – Nel treno che la portava ad Auschwitz, con suo padre e con tante altre persone, a un certo punto dice: “Mi resi conto di essere diventata adulta”…

R. – Fu questo un viaggio verso ignota destinazione di persone normali, che salivano come persone e scendevano come scendono gli animali che vanno al macello da quei vagoni: c’era tutto un percorso, che non era solo di chilometri attraverso la Foresta Nera o altri luoghi a noi sconosciuti. Era un percorso interiore: di affetti, di amore, di ultime parole, di ultimi sguardi di gente che poi all’arrivo è morta.

D. – Perché in quel momento lei si è sentita adulta?

R. – Beh, io ero sempre stata la bambina di mio papà, ma ormai ero io che proteggevo lui nella sua disperazione, perché è molto più facile sopportare una cosa simile da figli che da genitori. Quando io sono diventata mamma e poi nonna ho capito fino in fondo la disperazione che doveva avere avuto il mio papà. E io in quel momento ero contenta di fargli sentire tutto il mio amore.

D. – Lei racconta che nei giorni trascorsi ad Auschwitz si affidò all’istinto di sopravvivenza e riuscì con la mente a fuggire da ciò che viveva…

R. – Con il mio papà ero abituata a guardare il cielo. Mi aveva portato anche al Planetario. Era un mondo affascinante quello delle stelle e quindi io avevo cercato di guardare il cielo anche ad Auschwitz e avevo fatto un gioco infantile con me stessa: identificarmi in una stellina. Non bastavano, però, questi piccoli giochi per sopravvivere, bisognava farcela giorno dopo giorno…

D. – Lei racconta il grande rimorso che ha avuto nei confronti di una ragazza morta ad Auschwitz, Janine…

R. – Lavoravo alla macchina con questa ragazza francese da tempo e quindi si era creata fra noi una vicinanza, che non era poco nel campo di concentramento. Ma io non accettavo più distacchi, non potevo più sopportare di attaccarmi a qualcuno e poi vedermelo strappare. Mi ero fatta, quindi, una corazza. Così quando, dopo una selezione da cui ero appena passata viva, sentii che fermavano Janine, perché la macchina le aveva trinciato due falangi di due dita – fu orribile e lo racconto sempre ogni volta che parlo ai ragazzi –  non ho avuto la forza di voltarmi, di guardarla e di dirle una parola buona, di chiamarla per nome. Ho fatto un passo avanti, mi sono rivestita, anche se sapevo che andava al gas. Non me lo sono mai perdonato.

D. – Ormai da 25 anni ha deciso di raccontare questa pagina oscura della sua vita. Sente che la gente vuole sapere?

R. – Nelle scuole sicuramente sì. I ragazzi danno una risposta molto interessante, fanno un’infinità di domande. In altri casi, fuori dell’ambito scolastico, io parlo pochissimo di questo argomento. Soprattutto tra i miei coetanei, ormai tutti vecchi, c’è sempre o un po’ di morbosità o di grande ignoranza o volontà di chiudere quell’armadio della vergogna, una vergogna anche italiana.

D. – Chi vorrebbe che leggesse questo libro “Fino a quando la mia stella brillerà”?

R. – Mah, io sono una nonna e le nonne hanno sempre raccontato le storie, che una volta erano fiabe cattive, ma finte. Invece io ho scritto una storia vera, dedicata ai miei nipoti ideali e come tale spero che la leggano.

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Le celebrazioni del Papa tra febbraio e aprile

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Il Concistoro e i riti di inizio Quaresima, con il ritiro spirituale ad Ariccia, in febbraio. La visita a Napoli e Pompei in marzo. Infine, i giorni intensi del Triduo pasquale, seguiti  dalla solennità della Pasqua e dalla Messa in rito armeno in aprile. Sono tra gli appuntamenti di rilievo di Papa Francesco nei prossimi tre mesi, ufficializzati dal maestro delle Celebrazioni pontificie, mons. Guido Marini.

Concistoro e parrocchia
Il mese di febbraio si aprirà il 2, nella Festa della Presentazione del Signore, con la Messa del Papa nella Basilica Vaticana, alle 17.30, con i membri  degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica, nel giorno in cui si celebra la 19.ma Giornata Mondiale della Vita Consacrata. L’8 febbraio, alle 16, Francesco tornerà a visitare una parrocchia romana, quella di San Michele Arcangelo a Pietralata. Sei giorni dopo, il 14, il Papa aprirà alle 11 il Concistoro ordinario pubblico per la creazione di 20 nuovi cardinali e per alcune Cause di Canonizzazione. Con i nuovi porporati, il Papa concelebrerà il giorno dopo, alle 10, la Messa in San Pietro.

Inizio Quaresima ed esercizi spirituali
Mercoledì 18 la Chiesa vivrà l’inizio della Quaresima nel giorno delle “Ceneri”. Come consuetudine, Papa Francesco presiederà alle 16.30 la Statio e la processione penitenziale dalla Basilica di Sant’Anselmo fino a quella di Santa Sabina, dove alle 17 celebrerà la Messa con la benedizione e l’imposizione delle Ceneri. La domenica successiva, 22 febbraio, il Papa e i membri della Curia romana partiranno alla volta di Ariccia per vivere, come lo scorso anno, gli esercizi spirituali quaresimali fino a venerdì 27.

Visita a Napoli e Pompei
La seconda visita alla una parrocchia romana avverrà l’8 marzo, quando Francesco incontrerà nel pomeriggio alle 16 la comunità del “Santissimo Redentore”, in uno dei quartieri periferici di Roma, Tor Bella Monaca. Dopo la liturgia penitenziale del pomeriggio del 13 in San Pietro, alle 17, il successivo appuntamento porterà il Papa a Napoli e Pompei nella giornata di sabato 21 marzo, per un’attesa visita pastorale. Il mese si chiuderà con la Messa della Domenica delle Palme di domenica 29, alle 9.30 in Piazza San Pietro, con i riti della Benedizione delle Palme e della processione.

Triduo, Pasqua e Messa in rito armeno
I primi giorni del mese di aprile proietteranno subito Papa Francesco nel “cuore” del Triduo pasquale. Primo evento, la Messa del Crisma, nella Basilica Vaticana, la mattina del Giovedì Santo, alle 9.30. Sempre in San Pietro, alle 17 del Venerdì Santo, sarà il momento della celebrazione della Passione del Signore, poi in serata il Papa si sposterà al Colosseo per presiedere in diretta mondovisione, alle 21.15, il rito della Via Crucis. La Veglia Pasquale del 4 aprile inizierà in San Pietro alle 20.30, mentre alle 10.15 del giorno di Pasqua, Papa Francesco darà inizio sempre in Piazza San Pietro alla Messa solenne che sarà conclusa alle 12 dalla Benedizione “Urbi et Orbi”, impartita dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana. Sette giorni dopo, domenica della Divina Misericordia, alle 10 Francesco sarà ancora sull’altare della Basilica di San Pietro per celebrare la Messa per i fedeli di rito armeno.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Cuori forti per vincere l'indifferenza: messaggio di Papa Francesco per la Quaresima.

Il grido di Auschwitz: tweet del Papa nel giorno della memoria.

Un articolo di Anna Foa dal titolo "Modernità di uno sterminio": ripubblicato "L'Olocausto" dello storico americano David Engel.

L'odore della fine: Giulia Galeotti recensisce i romanzi di due scrittrici italiane sulla seconda guerra mondiale.

Anche il volto ha una storia: Lucetta Scaraffia sul saggio dell'antropologo Hans Belting.

All'ombra del campanile: Antonio Paolucci su una mostra, a Viterbo, dedicata al culto della Vergine.

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Oggi in Primo Piano



Al via il governo Tsipras: Varoufakis alle Finanze

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La Grecia muove i primi passi dopo le elezioni-spartiacque di domenica scorsa. In neoeletto primo ministro, Tsipras, si è messo al lavoro per definire il nuovo esecutivo. Al ministero chiave delle Finanze nominato l’economista Varoufakis, anch’egli, come il premier, del partito vincitore "Syriza". Al microfono di Emanuela Campanile, l’economista Riccardo Moro analizza i possibili scenari economici europei: 

R. – Secondo me, ci sono delle carte economiche e delle carte politiche e le carte economiche sono sicuramente quelle che dicono "no" all’austerità, con buona pace di tanti paurosi. Queste politiche di austerità hanno portato, alla fine, a situazioni in cui i bilanci degli Stati sono in condizioni peggiori di quelli che avevamo ieri, a situazioni in cui abbiamo addirittura un’inflazione negativa, che è una cosa terribile, perché vuol dire che i consumatori decidono di rinviare gli acquisti a quando i prezzi scenderanno, se hanno un’aspettativa di discesa dei prezzi. E l’economia come si muove? Come si rilancia l’occupazione se la gente non compra? Allora, noi dobbiamo dare degli stimoli che siano positivi, che siano espansivi. Indebitiamoci se necessario, pur di rilanciare positivamente la domanda. Questo è, in qualche modo, totalmente altro rispetto a quello che è stato imposto dalla troika e dalla voce un po’ più forte di una parte della Germania, nemmeno di tutta, all’Europa in questi anni. Non basta questo, ovviamente: bisogna che ci sia anche una lettura intelligente di che cosa succede al di fuori dell’Europa. La difficoltà che io vedo è soprattutto quella della politica: se qualche carta economica la abbiamo, io vedo una immaturità – almeno oggi – della politica... L’unico laboratorio vero politico che abbiamo avuto in questi ultimi anni è effettivamente quello della Grecia, anche con questa capacità di spiazzare che Tsipras ha avuto. Dopodiché, vediamo che cosa succederà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi… Però, non mi sembra ci sia una capacità di provare a ragionare in termini internazionali. Prendiamo l’agenda italiana, l’agenda francese, l’agenda tedesca: quando si parla di dimensioni sovrannazionali, si parla di Europa e lo si fa – perdonatemi – con una prospettiva un po’ "ombelicale": austerity o non austerity.

D. – Forse c’è anche un po’ di paura, c’è poco coraggio nell’affrontare un cambio di rotta. Il problema, però, è anche il tempo: quanto tempo serve o quanto tempo abbiamo ancora a disposizione per poter migliorare le cose?

R. – Se non c’è fiducia, non ci sono investimenti; se non ci sono investimenti, non si capisce come si possa ritornare a dar lavoro a tutti o almeno a tutti quelli che lo cercano. Perché si costruisca fiducia, bisogna cercare di evitare fratture nella società. Da questo punto di vista, vedo bene l’idea trasgressiva di Tsipras di allearsi con un gruppo di destra, che permette di evitare di dire che il suo governo è un gruppo solamente di un lato di un’estrema e basta.

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L'Is libico attacca Tripoli, mentre in Siria perde Kobane

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L’Is, con la sua branca libica, voleva assassinare il premier islamista Omar al Hasi attaccando l’hotel in cui vive: il lussuoso Corinthia hotel di Tripoli. Ma nell’azione del commando sono rimaste uccise altre nove persone, tra loro cinque stranieri di cui non si conosce la nazionalità. Uno degli attentatori sarebbe stato arrestato, gli altri sarebbero fatti esplodere prima della cattura. L’attacco sarebbe la vendetta per la morte in un carcere degli Stati Uniti, lo scorso 2 gennaio, di Abu Anas al-Libi, l’organizzatore degli attacchi del 1998, i primi firmati da Al Qaida, contro le ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania. L’Is però nelle ultime ore ha incassato una forte sconfitta: la perdita della città siriana di Kobane, nei pressi del confine con la Turchia, strappata alle sue mani dopo quattro mesi di assedio, dall’azione combinata dei i curdi turchi del Pkk, delle milizie curde siriane e dei peshmerga curdi iracheni. Francesca Sabatinelli ha intervistato il giornalista dell’Ansa a Beirut, Lorenzo Trombetta

R. – E’ una vittoria simbolica per gli Stati Uniti che guidano la coalizione anti-Stato islamico e per tutti coloro che hanno in qualche modo scommesso e puntato su questa iniziativa militare, ancora molto discussa e molto controversa. Quindi, in qualche modo, è un punto un po’ a favore dell’amministrazione americana, avevano puntato molto, anche a livello di immagine e di icone, sull’intervento per aiutare i curdi di Kobane ed ecco che, dopo quattro mesi di battaglia, anche i raid della colazione, ma soprattutto l’arrivo di armi e degli esperti peshmerga curdo-iracheni, hanno mostrato che un successo minimo sul terreno c’è. Dico minimo perché a livello strategico per i curdi non si aprono grande novità, Kobane rimane comunque ancora una area se non sotto il pieno controllo dello Stato Islamico certamente un territorio dove non sarà così facile avere la meglio, anche perché Kobane è una enclave, ha le spalle coperte dal confine turco. Se le milizie curdo-siriane e curdo-irachene dovessero tentate di andare oltre il territorio che hanno ora in mano, non saremmo così sicuri che potrebbero continuare a sconfiggere lo Stato islamico. Ecco perché la vittoria di Kobane è simbolicamente importante, ma sul terreno cambia poco gli equilibri. E’ un segnale senza dubbio di positività per il fatto che le milizie curde, armate dall’Occidente e sostenute a livello politico-diplomatico anche da russi ed iraniani, in questo specifico caso, hanno dimostrato di essere un po’ gli unici che possono fare il lavoro sporco, che possono cioè andare sul terreno e tentare di sconfiggere lo Stato islamico.

D. – Viene da ricordare ciò che fonti del Pentagono hanno detto non più tardi di pochissimi mesi fa e cioè che prima di arrivare veramente a sconfiggere l’Is ci vorrà una guerra addirittura di tre anni, se non di più…

R. – Sì, ma è impossibile dare delle date, comunque lo Stato islamico c’è e rimane, almeno nei confini disegnati un po’ demograficamente dalla marea arabo-sunnita. Nei luoghi dove si sono spinti oltre: Mosul, Kobane e in aree dove gli arabi e i sunniti sono minoritari e dove la popolazione locale ha un motivo in più per opporsi all’offensiva jihadista, in queste aree per l’Is è più difficile conquistare e tenere il controllo. In altre aree, come abbiamo visto in Iraq e in Siria, nessuno fino adesso è riuscito ad organizzare una armata, un esercito, delle milizie locali, quindi arabo-sunnite, che possano contrastare veramente lo Stato Islamico. I curdi nel nord Iraq gradualmente stanno riprendendo importanti posizioni, ma sempre nell’area che loro considerano propria, i curdi non andranno a combattere più a sud del Kurdistan iracheno. Per i curdi si tratta della difesa dei loro confini, questo è un po’ il discrimine. Quindi, potremo avere ottimi risultati sul fronte curdo, curdo siriano e curdo iracheno, ma non faranno certo il lavoro sporco fuori dalle loro regioni.

D. – Dai giornali di questi giorni, ancora una volta, si legge delle donne yazide rapite dai miliziani dell’Is, ridotte in stato di schiavitù, stuprate… Oggi si parla delle  loro gravidanze non disiderate, perché “figli di terroristi”, e quindi dei loro aborti. Un drammatico destino per queste donne, che le accomuna a tutte le donne sul cui corpo si è fatta la guerra, pensando appunto allo stupro come arma di guerra…

R. – Sì, senza dubbio lo stupro come arma di guerra è uno dei crimini più feroci! La questione va al di là del caso drammatico e più recente delle denunce delle donne yazide. Nella stessa guerra siriana ci sono state, sin dal 2011, denunce di donne siriane per lo più arabe e sunnite, non curde o cristiane, colpite, anche loro, da questo tipo di crimine all’interno delle carceri di regime che ormai, con sempre maggior insistenza, le Cancellerie europee e anche gli Stati Uniti considerano il male minore rispetto all’Isis.

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Argentina. Caso Nisman, Kirchner riforma l'intelligence

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La Presidente argentina Cristina Kirchner è comparsa per la prima volta in tv dopo la morte del procuratore, Alberto Nisman, che l'aveva accusata di aver negoziato in segreto l'impunità degli iraniani accusati dell'attentato antiebraico del 1994 a Buenos Aries. Nell’intervento, trasmesso a reti unificate, il capo dello Stato si è scagliato contro un collaboratore del procuratore incriminato per avergli dato la pistola che lo ha ucciso in circostanze ancora non chiarite. La Presidente Kirchner ha poi ribadito i suoi sospetti sulla partecipazione del servizio di intelligence – la Side - in tutta la vicenda, annunciando una vasta riforma dei servizi che comprende la sostituzione della Side stessa con un altro organismo. Per un commento Marco Guerra ha intervistato Alfredo Somoza, Presidente dell’Icei, Istituto Cooperazione Economica Internazionale: 

R. - La lettura fatta dalla Presidente Kirchner, che in un primo momento aveva avallato la teoria del suicidio, per poi invece smentirla, è quella di un complotto: cioè, di come questi fatti di 20 anni fa, per cui – lei dice - il suo governo e quello prima di lei, guidato da suo marito, avevano fatto molto, perché si potesse chiarire una volta per tutte chi erano i responsabili. Ecco queste, che secondo lei dovrebbero essere vicende da addebitare a quel mondo occulto, vengono buttate addosso a lei. Quindi lancia la teoria del complotto, dicendo che, secondo lei, l’assassinio di Nisman fa parte di un complotto contro la sua figura per crearle un danno di immagine e per creare un danno al suo governo. E da qui lo scioglimento della Side, il servizio di Intelligence dello Stato, che è vero - come dice lei - è un debito storico della democrazia, perché sono i servizi che arrivano dai tempi della dittatura militare, ma non sono stati mai modificati, mai riformati con il ritorno della democrazia nel 1983. Lei lo fa in questo momento, ovviamente, perché in questo modo indica chiaramente il mondo all’interno del quale sarebbe maturato questo complotto.

D.  – Quindi è da escludere l’ipotesi di un semplice suicidio?

R. – L’inchiesta ufficiale, il procuratore che ha in mano il fascicolo su questa inchiesta ancora non ha stabilito il titolo e quindi ancora rimane morte sospetta, non è ancora stato detto né che sia stato un omicidio né che sia stato un suicidio. L’opinione pubblica in Argentina non ha mai avuto dubbi dal primo momento. Certo, ci si divide,  tra chi dice che sia un attentato maturato nelle vicinanze della Presidenza della Repubblica - visto che sia la Presidente, sia il suo ministro degli Esteri erano indicati da Nisman come responsabili dell’insabbiamento di quel processo – e chi, come dice la Presidente, afferma che si tratta un complotto fatto dai servizi, forse anche in collegamento con uno spezzone dell’opposizione per danneggiare il suo partito. Comunque in Argentina nessuno, onestamente, crede in un suicidio.

D. – La Kirchner interviene con una riforma di servizi segreti. Che peso ha avuto e che peso ha ancora l’intelligence argentina nella vita del Paese e perché è importante questa  mossa della Kirchner?

R. – L’attuale Agenzia unica, quella che attualmente è sciolta, la Side, che adesso diventerà un’Agenzia federale con competenze anche sul narcotraffico - che è un’emergenza che oggi c’è e che venti anni fa non c’era - paradossalmente ha avuto molta importanza in questi anni perché l’esercito, le forze armate, sono state fortemente ridimensionate dopo il ritorno alla democrazia. Quindi, insomma si tratta di servizi malgovernati, poco controllati, ancora pieni di persone che provengono dall'esperienza della dittatura e che in questi anni più che fare un servizio al popolo e al Paese hanno fatto soprattutto contro-informazione. Ecco: lo scioglimento della Side, in qualche modo, è il riconoscimento da parte della Presidente che effettivamente quello era un mondo che andava fortemente rivisto.

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Card. Bagnasco: dignità e operosità per il nuovo presidente

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Un appello all’impegno collettivo e personale quello espresso dal card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, aprendo ieri pomeriggio a Roma il Consiglio Episcopale Permanente in programma fino a domani. La scelta del nuovo presidente della Repubblica italiana, la crisi, la minaccia del terrorismo di matrice islamica, nuove visioni della famiglia e della persona che vorrebbero imporsi in Occidente, chiamano in causa la Chiesa e i credenti per il bene di tutti. Il servizio di Adriana Masotti: 

E’ dai prossimi appuntamenti ecclesiali che prende le mosse l’intervento del card. Bagnasco che, in apertura, non dimentica di ringraziare Papa Francesco per l’infaticabile impegno e di augurargli forza e luce per il suo ministero. Il primo tra gli impegni dei vescovi e di tutta la Chiesa è il Sinodo Ordinario del prossimo ottobre sulla famiglia. Bagnasco cita alcune parole forti del papa nelle Filippine in cui egli afferma la necessità di proteggere la famiglia perché “ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società stessa”. Sempre a novembre ci sarà poi il Convegno ecclesiale di Firenze “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” in cui la Chiesa italiana affronterà la sfida antropologica in atto in Occidente. Di quale uomo si sta oggi parlando in Europa, si domanda il card. Bagnasco? Oggi la persona, anziché in relazione con gli altri, è “concepita come individuo sciolto da legami etici e sociali”. “Si dice famiglia, continua, ma si pensa a qualunque nucleo affettivo a prescindere dal matrimonio e dai due generi. Si parla dei figli come se fossero un diritto degli adulti, anziché un dono da accogliere. In Europa si vuole far dichiarare l’aborto come un diritto fondamentale. Si afferma la qualità della vita, ma la si concepisce come efficienza e produzione. Si discute sulla malattia e sulla morte come qualcosa che deve essere a nostra disposizione. Insomma, si ricerca la garanzia dei diritti individuali, ma si dimentica la serie dei corrispettivi doveri sociali. Per questo, conclude, l’impegno nella vita sociale è aspetto irrinunciabile della presenza dei cattolici nel nostro Paese.

Fondamentalismo islamico
Il porporato passa poi a esaminare la minaccia del fondamentalismo islamico violento e si chiede il perché dell’attrattiva che esso esercita anche su tanti occidentali. “Una ragione è che un certo islamismo fondamentalista riempie il vuoto nichilista dell’Occidente. Quanto è accaduto recentemente a Parigi ha suscitato giustamente l’indignazione del mondo ma, sottolinea il presidente della CEI, “non abbiamo potuto non pensare anche alle migliaia di fratelli e sorelle perseguitati, straziati e uccisi perché cristiani o per motivi etnici”. Anche l’affermazione del diritto inalienabile alla libertà religiosa andrebbe proclamata pubblicamente specialmente dall’Occidente che si fa paladino dei diritti umani. Le parole del Papa: sì alla libertà di espressione, no alla libertà di offendere, è per il porporato, “un passo avanti per superare la dittatura del pensiero unico”.

L'Italia
Guardando all’Italia Bagnasco esprime gratitudine al Presidente Napolitano.Preghiamo il Signore della storia, continua, perché il Parlamento, riesca, in tempi brevi, ad esprimere la persona che possa rappresentare con dignità riconosciuta e operosità provata la Nazione”. Per quanto riguarda la crisi economica che ancora perdura sottolinea che la questione più urgente su tutte: il lavoro e l’occupazione. Ormai non basta richiamare ad uno stile di vita più essenziale: la forbice tra ricchi e poveri si allarga pericolosamente anche per la tenuta sociale. E’ il sistema Paese che deve ripartire e lavorare per attirare investimenti produttivi che creino nuovo lavoro. Non basta neppure rincorrere i debiti vendendo i gioielli di casa. Se però la politica ha determinanti responsabilità per facilitare lo sviluppo e la creazione di lavoro, questa non è l’unica via per perseguire il bene comune. La prima è per tutti: fare con onestà, sacrificio e competenza il proprio dovere di lavoratore e di cittadino. Ed esorta: il Paese non deve cedere alla sfiducia. Neppure davanti ai tanti cattivi esempi di malaffare e di corruzione e conclude: “Alla disonestà dobbiamo reagire con una onestà più fiera, una professionalità più convinta, una laboriosità più generosa. È questo il modo più costruttivo per reagire al male: con un bene più grande”. 

Colonizzazione ideolgica
Ritorna infine sul concetto di “colonizzazione ideologica” usato di recente dal Papa in riferimento alla famiglia. Colonizzazione è l’operazione con cui gli imperi imponevano delle condizioni cercando di far perdere ai popoli la loro identità e si chiede: non è quanto, in un certo modo, sta accadendo anche da noi, ad esempio per quanto riguarda l’educazione a scuola che sul tema della diversità sessuale tenta di imporre la teoria del gender? Si vuole colonizzare le menti dei bambini con una visione antropologica distorta e senza l’esplicita autorizzazione dei genitori. Noi Vescovi, assicura, su questo saremo sempre in prima linea a qualunque costo.

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MpT: importanti parole Papa e card. Bagnasco contro gender

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Le recenti parole del Papa, riprese dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, per la famiglia, contro la “colonizzazione ideologica del gender” sono un grande incoraggiamento. Così, al microfono di Massimiliano Menichetti, il portavoce di La Manif Pour Tous Italia, Filippo Savarese: 

R. – La premessa fondamentale è che quando noi parliamo di libertà educativa della famiglia stiamo parlando di un diritto che riguarda qualsiasi famiglia di qualsiasi credo religioso, di qualsiasi convinzione politica, filosofica, culturale: è veramente un diritto laico e non a caso è sancito e riconosciuto nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Quindi, in questo senso, chiunque dovrebbe voler e poter difendere la propria libertà di educare i propri figli. E questi pronunciamenti ufficiali della Chiesa cattolica italiana, e del Santo Padre in persona, sono fondamentali perché aiutano questo movimento, che nel popolo italiano già fermenta da tempo, a farsi sentire più direttamente presso le istituzioni che hanno il potere di far sì che questo fenomeno, questo indottrinamento vero e proprio, nelle scuole si fermi.

D. – Lo ricordiamo ancora una volta, cosa è questa ideologia e qual è lo stato attuale della teoria del gender nelle scuole?

R. – Le cosiddette teorie di genere sono quel comparto ideologico che serve ad alcuni movimenti, ad alcuni associazionismi, in particolare quello Lgbt, conosciuto anche come movimento gay, per dare legittimità filosofica ad alcune battaglie politiche e sociali, come ad esempio la modifica del matrimonio con la sua estensione alle coppie dello stesso sesso, che secondo noi significa negare la realtà del matrimonio, la sua ragion d’essere giuridica, sociale, antropologica. Si vuole andare anche verso l’adozione – sempre per una coppia di due persone dello stesso sesso – di minori, o avere l’accesso, per queste due persone, a tecniche di procreazione medicalmente assistita o, ancor peggio, alla barbara pratica dell’“utero in affitto”. Si insegna ai ragazzi che l’unico modo per combattere l’omofobia e la discriminazione sia essere favorevoli a questa forma di omogenitorialità, cioè che un bambino possa avere due mamme o due papà – tra virgolette, perché in natura nessuno può avere due mamme e due papà – oppure, bisogna essere favorevoli al cosiddetto matrimonio gay. Allo stato attuale, questo è molto diffuso nelle scuole italiane: la Regione Lazio ha, nello scorso anno, ma è ancora in corso, un progetto finanziato con 100 mila euro: un progetto cosiddetto “anti-omofobia”, che nasconde però tutte queste insidie del gender e che coinvolgerà 25 mila studenti di Lazio.

D. – La teoria del gender sostenuta dai gruppi Lgbt minaccia sicuramente la famiglia, ma strumentalizza anche la realtà omosessuale…

R. – Sì, assolutamente sì. Infatti, come è noto, la grande maggioranza delle persone omosessuali che non si riconoscono minimamente nel movimento gay che ha, appunto, questa sfaccettatura ideologica dell’approccio all’orientamento sessuale, sono contrari all’estensione del matrimonio, tanto più sono contrari all’idea di sottrarre in modo premeditato il padre o la madre ad un bambino, dandolo a due persone dello stesso sesso. Basti pensare che il portavoce della “Manif pour tous” francese è omosessuale convivente.

D. – I vescovi si sono detti in prima linea contro chi propone una visione antropologica distorta. Un messaggio di questo tipo deve scuotere le coscienze, non soltanto dei cattolici, ma di tutti…

R. – Non a caso tutti i totalitarismi ideologici, specialmente quelli del secolo scorso, quando hanno dovuto impossessarsi della mente delle giovani generazioni, hanno impedito alla famiglia di esercitare la propria libertà educativa. Quindi, non si tratta qui di fare guerre o battaglie, né di attaccare qualcuno; si tratta di dire: “Noi abbiamo famiglia, noi abbiamo le nostre convinzioni che non fanno male a nessuno e sfidiamo a dimostrare il contrario. Lasciateci educare i nostri figli in pace”.

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Maternità surrogata: sentenza Ue contrasta la legge italiana

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Una decisione in contrasto con la normativa italiana che lede i diritti della donna e del bambino. Così, Alberto Gambino, direttore del Dipartimento di Scienze Umane presso l'Università Europea di Roma, si esprime sul caso della Corte di Strasburgo in materia di maternità surrogata. I magistrati Ue hanno sanzionato l’Italia per aver tolto a una coppia il bambino nato, un anno e mezzo prima, in Russia da una madre surrogata. L’Unione Europea sostiene che non è stato dimostrato che l'allontanamento del piccolo dalla coppia era necessario. Corinna Spirito ha intervistato lo steso prof. Gambino: 

R. – La decisione di Strasburgo è una decisione che fa leva sull’art. 8 della Convinzione europea per i diritti dell’uomo, cioè l’assolutizzazione del diritto alla vita privata e familiare. Dentro a questo diritto alla vita familiare c’è anche il diritto ad avere figli che non siano nati naturalmente dalla coppia, né siano arrivati attraverso la procedura di adozione, ma attraverso la surrogazione di maternità. Questo però si scontra in modo molto chiaro con l’ordinamento civile italiano, che invece vieta la surrogazione di maternità.

D. – A novembre, la Corte Costituzionale ha sancito che la pratica della maternità surrogata lede la dignità della donna e il diritto, perché solo l’adozione è consentita in Italia. Dunque, che seguito avrà nel nostro Paese la decisione di Strasburgo?

R. – Credo si apra un conflitto tra Strasburgo e l’ordinamento italiano, perché la materia familiare è radicata negli ordinamenti con le loro tradizioni e con i loro principi, che non è detto coincidano in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Normalmente, si lascia proprio una clausola di salvaguardia con riferimento alla materia familiare, proprio perché non c’è un comun denominatore con riferimento ai Paesi che partecipano all’Europa. Non solo: il tema della maternità surrogata – che alla fine è un contratto che si fa con una donna, la quale porterà nel suo grembo un bambino che poi all’atto della nascita verrà in realtà dato ad un’altra coppia – ecco, questo anche da un punto di vista dell’ordine pubblico è qualcosa che contrasta. Quindi, la maternità surrogata non è un tema teorico, ma è un tema molto concreto, fatto di contratti – e ovviamente fra i contratti c’è dietro anche un pagamento – che cozza decisamente con la dignità della donna, la dignità anche del nascituro e in particolare la concezione di famiglia civile – e non famiglia religiosa – che c’è all’interno del nostro ordinamento civilistico.

D. – Ancora una volta, “il figlio ad ogni costo” sembra giustificare qualsiasi cosa?

R. – Infatti. Il figlio a ogni costo proprio perché si fa leva su questo diritto alla vita privata e familiare, come se la famiglia fosse un fatto privato e cioè si crea una famiglia con quelle che sono le proprie opzioni di vita, che sono i propri desideri. Mentre la famiglia è un momento comunitario, è un momento di entrata nella comunità dello Stato, che ha come riferimenti soprattutto i diritti di chi nasce in seno a quella famiglia. Un bambino strappato dal grembo di una donna e portato all’interno di un nucleo familiare cozza decisamente con i diritti di quel bambino, che invece è quello di vedere una continuità tra chi lo ha generato e quello che sarà il suo status familiare. Molto diverso è il caso, invece, dell’adozione: nell’adozione c’è uno stato di abbandono, il bambino non ha più i genitori e quindi viene ricondotto nell’albero di un’altra famiglia, che lo accoglie.

D. – La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia perché non avrebbe dimostrato che l’allontanamento del bambino dalla coppia fosse necessario. Utilizzare l’affetto tra bambino e genitori – sicuramente esiste – risulta un po’ uno "escamotage" per scardinare una norma prevista dalla legge italiana...

R. – Sì. Tra l’altro, è molto delicato questo discorso. Bisogna verificare il bambino per quanto tempo ha convissuto con la coppia che lo ha accolto aggirando questo divieto di maternità surrogata, perché certamente il nostro ordinamento prevede anche delle forme di adozione speciale, ma sempre attraverso l’adozione si passa laddove si sia già instaurato un rapporto importante e significativo con una coppia. Però, lì non si può aggirare la norma sull’adozione: bisogna vedere se i genitori hanno comunque quell’idoneità ad adottare e se siamo davanti ad uno dei casi speciali. Quindi, c’è anche una via di uscita. Ma non, invece, se questa serve semplicemente per aggirare il divieto di maternità surrogata. Quindi, Strasburgo, in realtà, sta capovolgendo il discorso e dice non c’erano motivi per allontanarlo. Viceversa, bisogna vedere se c’erano i motivi per accoglierlo.

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Nel Giorno della memoria rivive la musica composta nei lager

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“Tutto ciò che mi resta, il miracolo della musica composta nei lager”: questo il titolo del concerto tenutosi ieri sera all’Auditorium Parco della musica di Roma per la Giornata della Memoria. L’evento, organizzato sotto l’alto patronato della Presidenza della Repubblica, ha proposto una selezione di musiche e di video sulla vita e le composizioni dei musicisti nei campi di concentramento nazisti. C’era per noi Elvira Ragosta

La voce di Ute Lemper, quella del coro delle voci bianche dell’Accademia di Santa Cecilia e numerosi musicisti, riuniti al Parco della Musica di Roma per mettere in scena alcune delle migliaia di composizioni, partiture, registrazioni fongrafiche che compongono l’immensa produzione musicale di ebrei, ma anche di rom, nei campi di sterminio nazisti. “Compositori – ha ricordato il presidente dell’Unione comunità ebraiche italiane RenzoGattegna – coscienti di scrivere negli ultimi giorni della loro vita e nonostante questo dotati di armi più potenti dei loro carnefici”. Una ricerca durata anni, alla quale si è dedicato con passione il musicologo Francesco Lotoro per recuperare materiale prezioso, spesso scritto su mezzi di fortuna, come lui stesso ci ha raccontato:

“Sacchi di iuta rivoltati, soprattutto laddove si lavorava, si maneggiava il cartone nei campi di lavoro coatto. Poi di carta igienica abilmente incollati tra di loro, in modo da conferire spessore, sui quali veniva ricavata tutta la musica che andava poi nascosta perché solitamente si trattava di musica scritta da prigionieri politici”.

Ci sono anche musiche scritte da cattolici a Dachau e in altri campi, come ricorda Lotoro:

“A Dachau, ci fu volutamente un internamento, una concentrazione di religiosi, soprattutto in due block: centinaia e centinaia di ecclesiastici ma anche preti ortodossi, vescovi delle chiese riformate o veterocattoliche, che per varie ragioni di natura squisitamente politica si ritenne di far confluire a Dachau. Molti religiosi sono stati grandi musicisti che hanno lasciato un patrimonio di cui non conosciamo ancora l’ampiezza e la bellezza, salvo casi specifici, come per esempio la “Dachauer-Messe” di padre Gregor Schwake, monaco benedettino che la eseguì nel settembre del 1944 a Dachau”.

E sull’importanza di conservare e riproporre queste musiche scritte nei campi di sterminio nazista, Francesco Lotoro conclude:

“E’ un punto di arrivo, questo, ora finalmente questa musica può attingere alla normalità. Deve essere sentita non più come eccezionale. Occorre lavorare perché questa musica si riprenda decenni di vita interdetta e possa essere un giorno suonata come Beethoven, Mozart, Mahler, nelle chiese, nelle sinagoghe, negli auditorium. La normalità è il punto di arrivo di questa musica”.

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Cinema. "Corri ragazzo corri", il bimbo che sfuggì la Shoah

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Oggi e domani, in occasione della Giornata della Memoria, è nelle sale italiane il film "Corri ragazzo corri" che il regista Pepe Danquart ha tratto dall’omonimo romanzo di Uri Orlev, il più importante scrittore israeliano per ragazzi: la Shoah realmente vissuta da un bambino alle prese con l'orrore della storia e la tenacia per la sopravvivenza. Il servizio di Luca Pellegrini: 

"Il papà di Yurek: 'Figliolo, ascoltami, devi sopravvivere! Non mollare mai! Devi dimenticare il tuo cognome, potrai dimenticare tutto: il tuo nome, e tua madre e me! Però non devi mai dimenticare che sei ebreo, mi hai capito bene?'
Yurek: 'Va bene, papà, lo prometto'”. (clip del film)

Deve nascondere a tutti chi è veramente, ma non dimenticare mai la propria origine, la propria discendenza, radicati in una fede e in una tradizione. I tempi terribili che il popolo ebraico sta vivendo, i più orribili di tutta la sua storia, dettano, scaturito dal cuore di un padre, quest'ordine al figlioletto Jurek: nascondersi, privarsi dell'identità senza mai perderla, per tentare di sopravvivere all'immane persecuzione nazista.

Corsa per la vita
E' il gelido inverno del 1943 e dopo quelle parole, quelle lacrime e il sacrificio del padre, per Jurek, di appena otto anni, fuggito dal ghetto di Varsavia, inizierà la vera corsa per la vita, tra boschi e villaggi, campi e acquitrini, rifugiandosi sotto un ponte, in un fienile, tra le sterpaglie, incontrando il meglio e il peggio dell'umanità: chi gli offre un pezzo di pane e un tetto, chi lo disprezza con indifferenza, violenza e tradimenti. Il regista tedesco Pepe Danquart ha cercato a lungo una storia che fosse emotivamente potente e ricca di significato, straordinaria e commovente, raccontata da un punto di vista inedito, quello di un bambino. E, soprattutto, realmente accaduta. L'ha trovata.

Una storia vera
Jurek che sporco e impaurito, coraggioso e indomito, corre e corre e si nasconde e subisce il peggio che l'umanità sa esprimere quando la ragione, il cuore e l'amore collassano dinanzi al male, è Yoram Fridman: oggi vive in Israele con figli e nipoti e i ricordi di quella sua tragica odissea impressi nell’anima e sulla carne. Il film, nel finale, ce lo fa vedere sulla spiaggia di Tel Aviv come se tutto ciò che ha vissuto e che è stato così ben romanzato fosse stato soltanto un ricordo lontano nel tempo. E' bello che nel film anche il cristianesimo, adottato da Jurek per passare indenne tra l'orrore e la morte, non sia mai strumentalizzato: una donna cattolica, come hanno fatto tante famiglie polacche, lo aiuta consegnandogli un rosario e spiegandogli che cosa dire, lei mostrando il segno della sua carità e insegnando a lui quello della Croce, cuore del dolore del mondo. cg
Nel momento della scelta, Jurek semplicemente prenderà la strada che lo riconduce a casa e in seno al suo popolo.

Oltre l'orrore della guerra
Il film, come scrive il regista, "è la storia dell'impietosa brutalità di qualsiasi guerra, ma anche quella di quanti riuscirono a elevarsi al di sopra dei suoi orrori e aiutarono coloro che altrimenti non sarebbero sopravvissuti. Volevo raccontare una storia senza pessimismo, vera, fatta di forza, di speranza e di coraggio". Jurek corre: nel suo affanno e nel suo tremore vediamo tutti i bambini che oggi nel mondo combattono per restare vivi, come se la storia non avesse insegnato, la violenza non fosse scemata e il peccato fosse rimasto impunito.

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Nella Chiesa e nel mondo



Auschwitz: il card. Dziwisz ricorda "il grido delle vittime"

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"Il grido delle vittime soffocato con terribile violenza" è stato oggi ricordato dal cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo di Cracovia, durante la liturgia in memoria delle vittime del campo di concentramento e di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau a 70 anni dalla liberazione del lager da parte dell‘Armata rossa nell‘avanzata verso Berlino. Alla celebrazione, oltre al presidente polacco Bronislaw Komorowski e i rappresentanti delle massime autorità di più di 40 Paesi, ha partecipato un gruppo dei 300 sopravvissuti allo sterminio che costò la vita a oltre un milione e 200mila persone di cui il 90% di origine ebrea.

La preghiera interreligiosa ed ecumenica
La celebrazione - riferisce l'agenzia Sir - è stata seguita da un momento di preghiera a carattere interreligioso ed ecumenico conclusosi con l‘accensione dei lumi nel luogo delle esecuzioni dei prigionieri da parte dei nazisti. Manfred Deselaers, sacerdote tedesco che dal 1995 lavora presso il Centro di dialogo e di preghiera alle porte del campo ricorda le parole del Papa Benedetto XVI pronunciate durante la sua visita ad Auschwitz: "Possiamo sperare che dal luogo dell‘orrore spunti e cresca una riflessione costruttiva e che il ricordare aiuti a resistere al male e a far trionfare l’amore". (R.P.)

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Usa: plauso card. O’Malley per esclusione finanziamento pubblico dell’aborto

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“Un passo decisivo verso il rispetto della vita non nata che riflette la volontà del popolo americano”. Così il card. Seán O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente del Comitato per le attività pro-vita della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) , ha salutato l’approvazione alla Camera dei Rappresentanti della “No Taxpayer Funding for Abortion and Abortion Insurance Full Disclosure Act of 2015”.

Una proposta bipartisan
Si tratta di un provvedimento bi-partisan che vuole escludere il finanziamento pubblico dell’aborto e togliere la segretezza nei piani assicurativi al fine di garantire una assoluta trasparenza in tema di copertura dei costi per i servizi abortivi. Fino adesso infatti un assicuratore poteva evitare di specificare nei piani proposti ai clienti, indipendentemente dalle loro convinzioni morali o religiose, quale quota dei premi pagati può andare al sostegno collettivo di questi “servizi” definiti di prevenzione e cura per la salute delle donne. La proposta di legge è stata approvata il 22 gennaio con una maggioranza di 249 voti contro 179, come auspicato dal card. O’Malley che nelle scorse settimane aveva rivolto un appello ai membri del Congresso a sostegno del provvedimento.

Una legge che riflette la volontà della maggioranza degli americani
La nuova legge, sottolinea l’arcivescovo di Boston, è in linea con il sentire della maggioranza dei cittadini americani e la giurisprudenza negli Stati Uniti, secondo la quale “lo Stato non può usare fondi pubblici per sostenere e promuovere l’interruzione volontaria della gravidanza, costringendo i contribuenti a finanziare questa violenza”. “La maggior parte dei contribuenti americani non vuole che le proprie tasse vengano usate per l’aborto, così come non vuole che lo siano le quote dei loro premi assicurativi”, osserva il card. O’Malley esprimendo l’auspicio che la legge venga presto approvata anche dal Senato. .
(A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi delle Filippine: violenza a Mindanao non fermi processo di pace

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Ferma condanna dei vescovi filippini per l’uccisione di 43 poliziotti caduti in uno scontro a fuoco con le milizie del Milf (Moro Islamic Liberation Front) e del Biff (Bangsamoro Islamic Freedom Fighters). Lo scontro è avvenuto il 25 gennaio a Mamasapano, nella provincia di Maguindanao, situata nella Regione autonoma del Mindanao Musulmano. I poliziotti avevano fatto irruzione in un villaggio, alla ricerca di due sospetti estremisti islamici. Tuttavia, essi non avrebbero chiesto l'autorizzazione alle milizie del Milf, che controllano la zona come prevede l'accordo di pace. Da qui la risposta dei miliziani, che ha portato all'agguato e alle decine di morti.

Chiesta resta impegnata nel processo di pace a Mindanao
In una nota la Conferenza episcopale (Cbcp) oltre a condannare “l’atto di violenza contro la vita umana” conferma il deciso sostegno della Chiesa alla pace e ai colloqui in corso fra Governo e milizie ribelli. Il presidente dei vescovi, mons. Socrates B. Villegas, avverte che la Chiesa "non può certo schierarsi con quanti invocano l'interruzione dei colloqui di pace". Secondo il vescovo di Lingayen-Dagupan "la triste vicenda" di questi giorni "mostra la necessità e l'urgenza di una soluzione che non sia affrettata, ma inclusiva, basata su principi giusti per tutti". La Cbcp esprime quindi vicinanza alle famiglie dei poliziotti, “vittime di una violenza senza senso a Mindanao", una terra peraltro "già stanca di guerre ".

Per i ribelli l’incidente non fermerà il processo di pace a Mindanao
Commentando l'incidente il ministro filippino degli Interni Manuel Roxas – riferisce l’agenzia Asianews che la vicenda "potrebbe influire" sui colloqui di pace, ma "siamo speranzosi e fiduciosi" che il lavoro di anni non vada perduto. Secondo Mohagher Iqbal, capo del comitato di pace dei gruppi ribelli, si è trattato di un episodio di "legittima difesa". Tuttavia, ha assicurato che questo singolo episodio di violenza non non rimetterà in discussione la pace a cui aspirano tutte le parti. Sulla stessa linea il vice capo dei ribelli, Ghazali Jaafar, che ha dichiarato che la pace “è la sola soluzione possibile al conflitto". (L.Z.)

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Niger: vescovi riaffermano amicizia con la comunità islamica

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“Vogliamo rinnovare la nostra amicizia e fratellanza all’insieme della comunità musulmana del nostro Paese” scrivono i vescovi del Niger in un messaggio alla comunità musulmana, inviato all’agenzia Fides, dopo le violenze anticristiane che hanno pesantemente colpito la Chiesa nei giorni scorsi. Precisando di parlare “in comunione profonda con le nostre comunità duramente provate dagli avvenimenti inattesi e tragici subiti senza comprenderne le ragioni”, i vescovi ringraziano tutti i musulmani “per i gesti e gli atti di solidarietà” dimostrati durante gli assalti alla comunità cristiana.

Le nostre fedi per ricostruire ciò che i nemici hanno annientato
“Siamo uniti nel dolore che condividete con noi. I nostri luoghi di culto e la maggior parte delle nostre infrastrutture sono state demolite ma la nostra fede è intatta” scrivono i vescovi. “È con essa e con la vostra che costruiremo di nuovo quello che i nostri nemici comuni hanno deliberatamente voluto annientare”.

Le attività pastorali non sono ancora riprese
La Chiesa cattolica in Niger ha sospeso fino a nuovo ordine tutte le sue attività: “Le attività della Chiesa cattolica, che non hanno altro scopo che quello di servire le popolazioni, riprenderanno poco a poco, dove è possibile, in funzione di ogni singola situazione” precisano i vescovi. (R.P.)

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Costa d'Avorio: appello dei vescovi alla pace e all'unità

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“Salviamo la coesione sociale e la stabilità del nostro Paese”: lo scrivono i vescovi della Costa d’Avorio nel messaggio finale della loro Assemblea plenaria, svoltasi dal 19 al 25 gennaio ad Abengourou. Ribadendo la necessità che la nazione ritrovi – “dopo un decennio di grave crisi” – “stabilità, pace e progresso”, e che “coltivi la riconciliazione attraverso la verità, il perdono e la giustizia”, i presuli si soffermano innanzitutto sulle problematiche attuali del Paese che provocano “conseguenze incalcolabili”: in particolare, sono chiamati in causa la corsa al guadagno facile, la smania di potere, il rapimento di minori, l’uccisione degli albini, la profanazione di tombe, la malnutrizione infantile e la morte di bambini nei crimini rituali, la tossicodipendenza e l’alcoolismo, le gravidanze precoci e i numerosi aborti che ne conseguono.

Lottare contro “malattie morali e spirituali”
“La società ivoriana è malata sul piano spirituale e morale – sottolinea la Conferenza episcopale, di fronte a tale drammatico scenario – Non abbiamo il diritto di renderci complici di tale declino, restando indifferenti o distogliendo lo sguardo dalle sofferenze di tante famiglie”. Per questo, i presuli lanciano “un pressante appello” a tutti i componenti della società affinché ciascuno “si assuma le proprie responsabilità” e “si lotti tutti insieme contro queste piaghe”. Di qui, l’invito ai governanti affinché “rendano più visibile la lotta contro la corruzione, continuino gli sforzi per la riconciliazione e creino condizioni di lavoro per i cittadini”.

No alle violenze e al guadagno facile
Agli uomini politici, in generale, la Chiesa di Abidjan chiede di “non incitare alla violenza e di evitare le pratiche di sacrifici rituali a scopo elettorale”, tanto più che nel 2015 si terranno le votazioni presidenziali. Ai leader religiosi l’invito è a “promuovere nella società una vita morale e spirituale degna della persona umana, perché tale opera di rinnovamento è essenziale”, mentre alle famiglie i vescovi ricordano l’importanza di educare i figli secondo quei valori che li renderanno capaci di essere, “i responsabili di domani”; e uguale responsabilità viene attesa da capi-tribù affinché “non svendano le loro terre”.

Appello ai giovani in questa terra di speranza
L’ultimo appello i vescovi lo lanciano ai giovani: “Rifiutate il profitto facile – scrivono – e mettetevi a lavorare per guadagnarvi onestamente e dignitosamente la vostra vita”. Il messaggio si conclude con l’invito a non disperare, perché “la Costa d’Avorio è terra di speranza”. (I.P.)

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Sudafrica. Scontri a Soweto: appello dei vescovi alla calma

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Episodi “inaccettabili per la maggior parte della popolazione sudafricana”: così, in una nota, la Conferenza episcopale di Johannesburg (Sacbc) condanna i violenti scontri avvenuti negli ultimi giorni a Soweto, dove alcuni negozi di commercianti stranieri sono stati saccheggiati e incendiati. Almeno sei le vittime e numerosi i feriti. A scatenare il conflitto è stata la morte di un adolescente, ucciso da un venditore straniero nel corso di un tentativo di rapina. Oltre 120 gli arresti fino ad ora e una decina i commerciati denunciati per porto d’armi abusivo.

Distruggere gli edifici equivale a distruggere il Paese
Invitando le persone coinvolte negli scontri a non incitare a simili comportamenti, la Sacbc ricorda che chi distrugge gli edifici distrugge anche “la vita morale dei giovani ed il nome della nazione”. “È tragico – scrivono i vescovi – che alcune persone abbiano perso la vita; preghiamo per i loro familiari”. E vicinanza viene espressa per tutti coloro che hanno visto distrutti i loro negozi ed i loro mezzi di sussistenza.

Necessario guidare i giovani
"Quello che è accaduto – afferma la Sacbc – ci turba profondamente; per questo, chiediamo ai cattolici ed alle comunità cristiane di offrire tutto l’aiuto materiale possibile”, incluse “la cooperazione” e “le informazioni necessarie alla polizia, in difesa delle vittime”. Ai genitori, in particolare, i vescovi chiedono di “intervenire per essere un punto di riferimento per i loro figli e tutti i giovani coinvolti”. Infine, i presuli assicurano la loro preghiera per tutti i defunti nel corso degli scontri. (I.P.)

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Colombia: no dei vescovi alle adozioni per le coppie gay

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“L’adozione è un modo per tutelare un minore, non un ‘diritto’ di chi adotta”: è quanto afferma la Conferenza episcopale colombiana (Cec) in una nota in cui ribadisce la sua opposizione alla possibilità di adottare figli per le coppie omosessuali. La dichiarazione della Cec arriva nel momento in cui la Corte Costituzionale del Paese si appresta ad emettere una sentenza proprio su questo tema.

Dare ai bambini possibilità di uno sviluppo adeguato ed integrale
Ribadendo, in primo luogo, che “la Chiesa accoglie tutti gli uomini e le donne, indipendentemente dai loro orientamenti, inclusi quelli sessuali” e sottolineando che “ogni persona ha la stessa dignità umana davanti a Dio ed allo Stato”, i vescovi di Bogotà, tuttavia, ricordano alla Corte Costituzionale i numerosi studi scientifici in cui “si evidenziano molti dubbi sull’idoneità dei genitori dello stesso sesso a dare ai bambini un adeguato sviluppo psico-affettivo, accompagnata dall’integrazione sociale”. Tanto più l’adozione deve sempre “offrire al minore le massime garanzie per un crescita sana non solo in ambito materiale, ma anche psicologico, affettivo, etico e morale”.

Famiglia è unione tra uomo e donna, nucleo essenziale della società
“L’adozione per persone tra lo stesso sesso non può essere considerata un modo adatto per garantire i diritti dei bambini – continua la Chiesa di Bogotà – neppure nel caso in cui il minore sia figlio biologico di uno dei due componenti della coppia omosessuale”, perché “i bambini e le bambine hanno il diritto di crescere e di svilupparsi integralmente all’interno di una famiglia formata da una padre e una madre di sessi biologicamente diversi e complementari”. La nota episcopale, inoltre, si appella all’articolo 42 della Costituzione nazionale che definisce la famiglia come “l’unione tra un uomo ed una donna” e ne evidenzia la qualità di “nucleo essenziale della società”.

Non si può violare la Costituzione
Per questo, incalzano i vescovi, “la Corte Costituzionale non può violare il diritto fondamentale dei minori, soppiantando la famiglia con altre forme di convivenza”, perché “la democrazia non progredisce con imposizioni unilaterali”, che ignorano “i valori etici, sociali e religiosi dei cittadini”. “La Chiesa cattolica ed il popolo colombiano – conclude la nota – sperano che i magistrati della Corte Costituzionale prendano una decisione pienamente conforme alla Carta fondamentale ed ai valori morali che fondano ed arricchiscono la convivenza della nazione”. (I.P.)

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Malaysia: parola “Allah” si può usare nella Bibbia e a Messa

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Il divieto di utilizzo della parola "Allah" è limitato solo al settimanale cattolico Herald Malaysia, ma non si applica alla Bibbia, alle Messe e alle altre funzioni religiose in cui essa può essere usata senza per questo infrangere la legge. È quanto sottolinea l'arcivescovo di Kuala Lumpur, mons. Julian Leow, in una lettera pastorale pubblicata sul sito web dell'arcidiocesi e ripresa dall'agenzia AsiaNews. Il prelato torna sulla controversia giuridica che ha riguardato la rivista diretta da padre Lawrence Andrew, confermando che la battaglia giuridica può dirsi conclusa con la sentenza della scorsa settimana, perché "sono ormai state tentate tutte le vie legali". Tuttavia, la decisione della Corte di appello è limitata "solo" all'Herald, mentre non riguarda tutte le altre attività e pubblicazioni della Chiesa cattolica.

Respinto il ricorso della Chiesa
Lo scorso 21 gennaio il tribunale federale della Malaysia ha respinto per l'ennesima - e forse ultima - volta il ricorso presentato dalla Chiesa cattolica, che intendeva portare fino alla Corte suprema la vicenda relativa all'uso della parola "Allah" anche per i non musulmani. I cinque giudici che costituivano la giuria hanno votato all'unanimità, negando la possibilità di ogni ulteriore azione legale perché "non vi sono stati errori procedurali" nei precedenti gradi di giudizio.

Divieto limitato solo all'Herald
Nella lettera pastorale mons. Leow ricorda che il divieto di usare "Allah" non riguarda la Bibbia o la Messa, le sessioni di preghiera e le adorazioni. "Il governo ha detto che la decisione della Corte di appello - aggiunge il presidente della Conferenza episcopale della Malaysia - è limitata al caso sollevato dall'Herald. E noi dobbiamo prendere in parola il governo". Il prelato non nasconde possibili incertezze sul futuro e possibili ripercussioni per la decisioni dei giudici, in particolare per quanto concerne i diritti delle minoranze e la libera pratica del culto. Tuttavia, i cattolici sono gente di "fede e speranza", per questo continueranno a lottare per i loro diritti e resteranno saldi nella ricerca della giustizia e della verità.

Decisione anti-costituzionale
"Dobbiamo difendere i diritti della minoranza e di chi non ha voce - avverte l'arcivescovo di Kuala Lumpur - e dobbiamo perdonare e andare incontro nell'amore a quanti, in particolare, non capiscono o sono male informati". Il prelato conclude ricordando che la restrizione imposta dal ministero degli Interni sull'uso di "Allah" all'Herald è anti-costituzionale, ma è solo attraverso l'amore che si vincono le battaglie e "Dio è amore".

Il termine Allah usato dai cristiani da 400 anni
In Malaysia, nazione di oltre 28 milioni di abitanti in larga maggioranza musulmani (60%), i cristiani sono la terza confessione religiosa (dietro ai buddisti) con un numero di fedeli superiore ai 2,6 milioni; la pubblicazione di un dizionario latino-malese vecchio di 400 anni dimostra come, sin dall'inizio, il termine "Allah" era usato per definire Dio nella Bibbia in lingua locale. Su una popolazione di oltre 11 milioni di persone, i cattolici di Kuala Lumpur sono oltre 180mila; i sacerdoti sono 55, i religiosi 154, mentre vi è un solo diacono permanente. (R.P.)

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Vescovi spagnoli: lavoro è riconoscimento della dignità umana

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“Il lavoro è il riconoscimento della sacra dignità della persona umana, sia essa uomo o donna”: lo scrive la Conferenza episcopale spagnola (Cee) in una nota diffusa in occasione del 20.mo anniversario dalla pubblicazione di un suo documento, intitolato “La Pastorale del lavoro di tutta la Chiesa”. Una ricorrenza – sottolinea la Cee – che offre l’occasione di “proporre una rinnovata riflessione sulla mutata e mutevole situazione del mondo del lavoro, a partire dal Vangelo e dalla Dottrina sociale della Chiesa”. L’intento, dunque, è quello di dare “chiavi di lettura” a tutti i membri della Chiesa affinché “possano sentirsi nuovamente inviati ad annunciare il Vangelo, con parole ed opere, nella realtà essenziale del lavoro umano”.

Il lavoro contribuisce alla realizzazione del piano di Dio per l’uomo
La nota – a firma di mons. Javier Salinas Viñals, presidente della Commissione episcopale per l’Apostolato dei laici – mette innanzitutto in evidenza che “attraverso il lavoro umano si costruisce anche la vita sociale e politica, contribuendo alla realizzazione del piano di Dio per l’umanità”. Di qui, la sottolineatura forte dei presuli iberici: “Se manca il lavoro, la dignità umana viene ferita”. Poi, la Cee guarda ai mutamenti avvenuti nel mondo dell’occupazione negli ultimi venti anni ed elenca alcuni fenomeni preoccupanti: il precariato, il lavoro spersonalizzato, i salari minimi che impediscono alle persone di uscire dalla povertà e dall’esclusione sociale, l’eccessivo individualismo che porta a lavorare in modo egoistico e non per la costruzione del bene comune, le occupazioni che ostacolano i rapporti sociali e che, spesso, impediscono la vita personale e familiare.

Negare dignità umana significa negare Dio
Di fronte a questa “nuova configurazione del lavoro umano”, prosegue la Chiesa di Madrid, “si riscontra la nascita di un nuovo soggetto la cui esistenza è orientata alla produzione ed al consumo, lontana dall’umanità”; ma “negare la dignità umana del lavoratore, mercificando il suo lavoro, equivale a negare Dio stesso”, mettono in guardia i presuli iberici. Per questo, esortando i fedeli a percorrere “sentieri di giustizia”, la nota episcopale esprime vicinanza alle vittime di incidenti sul lavoro, agli invalidi civili, ai disoccupati, ai lavoratori precari o catturati dalla “spirale del lavoro nero, senza diritti”, ai giovani “senza speranza di fronte ad un futuro lavorativo pieno di incertezze”, alle donne discriminate sul lavoro, ai migranti “costretti ad abbandonare le loro case e le loro famiglie in cerca di un’occupazione che permetta loro di vivere con dignità”.

Occorre nuova evangelizzazione del mondo del lavoro
L’auspicio della Chiesa spagnola, dunque, è che “si possano proporre nuovi orientamenti che aiutino a realizzare la missione evangelizzatrice della Chiesa nel mondo del lavoro”. Pubblicato nel 1994 nell’ambito della 62.ma Assemblea plenaria della Cee, il documento “La Pastorale del lavoro di tutta la Chiesa” affrontava il tema ad ampio spettro: rivolgendosi a sacerdoti, religiosi, consacrati, seminaristi, ma anche a laici, teologi, movimenti apostolici, operatori dei mass-media, scuole sociali, il documento insisteva sull’urgenza di una nuova evangelizzazione del mondo del lavoro e sulla necessità di uno stile di vita delle persone che fosse coerente con il Vangelo di Cristo. I presuli si appellavano, quindi, ad una pianificazione realistica di tale Pastorale, guardando alla dignità ed alla giustizia del lavoro, nell’ottica della “carità che anima la vera solidarietà”. (I.P.)

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Lev. Presentata nuova Bibbia con testo in italiano e latino

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Uno "strumento provvidenziale", che "permetterà al lettore italiano di leggere la Bibbia in maniera comprensibile per l'oggi, ma radicata nella universalità della fede della Chiesa e della sua storia". Così il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, ha definito "La Sacra Bibbia – Testo bilingue. Latino-Italiano", pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana (Lev), durante la presentazione che si è svolta nel pomeriggio di ieri presso l’Istituto Patristico Augustinianum di Roma. Questa ponderosa edizione (ben 4.480 pagine) – indicata da L’Osservatore Romano  come “un vero monumento scritturistico ed editoriale” – presenta due versioni affiancate in parallelo ad ogni pagina: la Nova Vulgata, riedita nel 2005, e la versione italiana della Conferenza Episcopale Italiana del 2008. Le due traduzioni "si legano perché si tratta delle due forme fondamentali, nella versione più recente, della presenza del testo biblico nel cattolicesimo e nella cultura del nostro Paese", ha notato il cardinal Betori. 

In un ampio excursus sulle diverse traduzioni della Bibbia, il porporato ha ricordato che "per lungo tempo la tradizione culturale italiana non ha conosciuto la presenza di un testo biblico autorevole nella lingua corrente del Paese". Riferendosi alla edizione della Cei del 2008, che ha richiesto "12 anni di lavoro", il porporato ha osservato che il suo obiettivo è quello di "offrire un testo più sicuro nei confronti degli originali, più coerente nelle dinamiche interne, più comunicativo nei confronti della cultura contemporanea, più adatto alla proclamazione nel contesto liturgico", facendo "risplendere il contenuto della Bibbia nelle modalità proprie del nostro linguaggio". Questo perché "i Libri Sacri non sono soltanto un contenitore di pensiero religiosi, ma una vera e propria letteratura, che affida le potenzialità del suo messaggio anche allo stupore che la Parola suscita nel lettore e negli ascoltatori".

La pubblicazione di questa edizione bilingue è stata curata da mons. Fortunato Frezza, canonico vaticano e dottore in Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma, già sottosegretario del Sinodo dei Vescovi, che ha sviluppato l’elaborazione dei testi in un arco temporale di 28 mesi. Questa Bibbia bilingue “è destinata a proporre due versioni dell’unico testo originale, disposte in parallelo su una medesima pagina, con evidenti scopi comparativi”, spiega mons. Frezza.

All’incontro, coordinato da don Giuseppe Costa, direttore della Lev, sono intervenuti anche Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale e monsignor Romano Penna, ordinario emerito di Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Lateranense.

Per Mirabelli "avere i due testi a fronte consente di nutrirsi doppiamente, in una fruizione agevole e moderna del testo italiano, con la possibilità di un riferimento alla tradizione latina". Un'operazione al contempo "scientifica, culturale e religiosa", che fornisce "uno strumento di migliore comprensione, diretto a valutare come il contesto della Bibbia vada sempre approfondito, con il ricorso al testo originale". 

"La Bibbia non è stata scritta né in latino, né in italiano - ha osservato monsignor Penna -. La traduzione è la prima interpretazione del testo. Tradurre è allora un atto d'amore: si accoglie l'alterità in se stessa, senza volerla colonizzare con le nostre precomprensioni". 

Il primo esemplare della Bibbia bilingue latina e italiana è stato offerto in cofanetto a Papa Francesco, la mattina del 23 gennaio scorso, dal curatore monsignor Frezza, insieme al direttore della Libreria Editrice Vaticana, don Giuseppe Costa e al coordinatore editoriale dell’opera, padre Edmondo Caruana. Presenti in sala, tra gli altri, i cardinali  Baldisseri, Farina, O'Brien e Saraiva Martins; gli arcivescovi De Andrea, Farhat e Marra, il vescovo Fabene.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 27

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.