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Sommario del 20/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: filippini mi hanno commosso. Forse in Africa a fine anno

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Un bilancio dell’intensa visita nelle Filippine e una serie di considerazioni su temi di grande rilievo pubblico: dalla corruzione nelle istituzioni civili ed ecclesiali al problema della “colonizzazione ideologica”, dalla teoria del gender al tema della contraccezione. E poi una serie di possibili mete per i prossimi viaggi apostolici, Africa e America Latina entro il 2015. Tutto questo ha occupato l’incontro di Papa Francesco con i giornalisti sul volo da Manila a Roma. Il servizio del nostro inviato, Alessandro De Carolis: 

Francesco commosso da un popolo che sa soffrire
Soprattutto “i gesti”. E l’amore genuino che li accompagnava. Alla domanda su cosa porti via dalle Filippine, Papa Francesco dice e poi ripete ancora “i gesti”: quelli lo hanno commosso, perché non erano “protocollari”, perché erano espressioni di un “entusiasmo non finto”. Mi ha “commosso” soprattutto, aggiunge, quando vedevo un papà sollevare il figlio sulla folla per farlo benedire dal Papa ed essere felice di quella benedizione, come se loro volessero dire: “Questo è il mio tesoro, il mio futuro, il mio amore”:

"Il gesto della paternità, della maternità, dell’entusiasmo, della gioia (...) Un popolo che sa soffrire, e che è capace di alzarsi e andare avanti. Ieri, nel colloquio che ho avuto con il papà di Crystal, la ragazza volontaria che è morta a Tacloban, sono stato edificato (da quello che mi ha detto – ndr.): 'È morta in servizio'. E cercava parole per conformarsi, per accettare questo”.

I gesti che hanno scavato nel cuore di Francesco sono anche quelli dei sopravvissuti del tifone a Tacloban. “Vedere – dice – tutto quel popolo di Dio pregare dopo quella catastrofe”, mi ha fatto sentire “come annientato, quasi non mi veniva la voce”.

I prossimi viaggi internazionali
E’ evidente che il rievocarlo lo commuove ancora un po’, ma il tono di Francesco cambia quando un giornalista gli chiede a quali viaggi apostolici pensi per i prossimi mesi. Come d’abitudine il Papa non risponde glissando, anzi spunta mentalmente dalla sua agenda, precisando però che si tratta di ipotesi “in bozza”:

“Rispondo ipoteticamente. Ma il piano è andare nella Repubblica Centrafricana e in Uganda. Questi due. Quest’anno. Credo che sarà verso la fine (…)i tre paesi latinoamericani sono previsti per quest’anno – tutto è ancora in bozza – l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay. Questi tre. L’anno prossimo, Deo volente, vorrei fare – ma ancora non è previsto niente – Cile, Argentina e Uruguay”.

Francesco esclude per ragioni logistiche la California nel caso della Canonizzazione di Junipero Serra in settembre – avverrà “al santuario di Washington”, precisa – e per motivi analoghi  esclude anche di entrare negli Usa dal Messico, pur riconoscendo il valore di un gesto di “fratellanza” verso gli emigranti.

Corruzione problema mondiale, no a preti mondani
Quando una domanda lo sollecita sul tema mille volte denunciato della corruzione, Papa Francesco ribadisce che questo male, e il malaffare che ne consegue, sono “un problema mondiale” che “trova subito facilmente il nido nelle istituzioni”, oltre che nei singoli, e che fa le sue vittime preferite tra i “poveri”. In modo non dissimile avviene quando i corrotti sono della e nella Chiesa e qui Francesco racconta di un episodio al tempo del suo ministero episcopale a Buenos Aires, quando due funzionari governativi vennero a proporgli un cospicuo versamento in denaro per le sue “Villas miserias”, a patto di intascarne la metà, e furono rispediti indietro con elegante scaltrezza:

“Credo che la Chiesa debba dare esempio ogni volta di più di questo, di rifiutare ogni mondanità. A noi consacrati, vescovi, preti, suore, laici che credono davvero, la minaccia più grave è la mondanità. Ma è tanto brutto guardare quando si vede un consacrato, un uomo di Chiesa, una suora, mondano. È brutto. Questa non è la strada di Gesù. È la strada di una Ong che si chiama Chiesa. Ma questa non è la Chiesa di Gesù, quella Ong”.

Un'offesa ripetuta può scatenare reazione sbagliata
Un paio di giornalisti domandano al Papa di chiarire due considerazioni espresse nella conferenza stampa sul volo da Colombo a Manila. Una è la questione del “pugno” – come etichettata da giorni sui media – cioè quali siano i limiti della libertà di espressione. Francesco riafferma che “in teoria” tutti sono d’accordo col porgere l’altra guancia in caso di provocazione, ma la realtà è che “siamo umani” e dunque un’offesa ripetuta può scatenare una reazione sbagliata. Per cui, afferma il Papa, non è male “essere prudenti”.

Colonizzazione ideologica: gender come le dittature
Il secondo argomento torna sull’espressione usata da Francesco, quella della “colonizzazione ideologica”. Anche qui il Papa racconta un episodio di 20 anni fa in cui un ministro della Pubblica istruzione, che aveva chiesto un forte prestito “per costruire le scuole per i poveri”, si vide porre come condizione l’introduzione nelle scuole di un libro che insegnava la teoria del gender:

“Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che niente ha da fare col popolo; sì, con gruppi del popolo, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura (...) Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo. Ma quanta sofferenza. I popoli non devono perdere la libertà”.

Paternità responsabile
Altro tema è quello della contraccezione connesso al falso mito che i cristiani debbano fare molti figli. Papa Francesco ricorda che la Chiesa ha sempre promosso il principio della paternità e maternità responsabili, contenuto nell’“Humanae vitae” di Paolo VI, definito “un profeta”, non un Pontefice “chiuso”:

“Lui guardava al neo-Malthusianesimo universale che era in corso (...) Quel neo-Malthusianesimo che cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Questo non significa che il cristiano deve fare figlie in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo, dopo sette cesarei: ‘Ma lei vuole lasciare orfani sette?’. Questo è tentare Dio. Si parla di paternità responsabile”.

Islam, Dalai Lama e Cina
Sul suo appello ai Paesi islamici perché prendano posizione contro le frange terroristiche, Francesco si dice fiducioso che col tempo la molta “gente buona” del mondo musulmano riuscirà a incidere maggiormente. Il Papa ha poi precisato che la mancata udienza al Dalai Lama non è stata concessa perché “è abitudine nel protocollo della Segreteria di Stato” non ricevere capi di Stato o di quel livello quando sono impegnati a Roma in un incontro internazionale:

“Ma il motivo non era il rifiuto alla persona o paura per la Cina. Sì, noi siamo aperti e vogliamo la pace con tutti. E come vanno i rapporti? Il Governo cinese è educato. Anche noi siamo educati e facciamo le cose passo passo, come si fanno le cose nella storia, no? Ancora non si sa, ma loro sanno che io sono disposto a ricevere o andare. Lo sanno”.

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Papa: colonizzazione ideologica del gender come le dittature

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Nel volo di rientro da Manila il Papa, come aveva già fatto nell’incontro con le famiglie filippine, è tornato a denunciare la “colonizzazione ideologica” del gender che attraverso le scuole tenta di “ridefinire l’istituzione del matrimonio” e “distruggere la famiglia”. Francesco ha paragonato tale ideologia alle dittature totalitarie del secolo scorso ricordando come anche al Sinodo sia stato denunciato il tentativo  di condizionare lo sviluppo dei Paesi poveri all’introduzione del gender. Paolo Ondarza ha raccolto la riflessione di Riccardo Cascioli, direttore de “La Nuova Bussola Quotidiana”: 

R. – Papa Francesco si ricollega a quello che già Papa Giovanni Paolo II aveva detto con grande forza: che la battaglia del Terzo Millennio sarebbe stata intorno all’uomo, all’uomo immagine e somiglianza di Dio. Un attacco che ha proprio l’obiettivo di sfigurare la famiglia, di ridefinire lo stesso concetto di matrimonio. Ed è un discorso che parte  da lontano: l’abbiamo visto fiorire alla Conferenza (Onu su Popolazione e Sviluppo) del Cairo, nel 1994. E’ lì che per la prima volta in sede internazionale è stato cercato di sostituire il riferimento a maschio e femmina con l’idea che ci fossero cinque generi, oggi ne sono stati teorizzati molti di più. Ma non è neanche casuale che il Papa questo discorso l’abbia fatto nelle Filippine, perché le Filippine negli ultimi decenni sono state al centro di un’offensiva ideologica, una vera e propria colonizzazione che ha ormai imposto il controllo delle nascite, nella concezione, nell’idea che si vuol far passare, che l’aumento della popolazione sia la causa della povertà e del sottosviluppo.

D. – Una colonizzazione geografica, potremmo dire, con i Paesi ricchi che condizionano lo sviluppo di quelli poveri all’introduzione del gender, ma, più in senso lato, una colonizzazione antropologica, che riguarda il concetto di natura umana…

R. – Certo, questo riguarda anche i nostri Paesi. Vediamo benissimo cosa sta succedendo in Italia, ma più in generale in tutta Europa, dove si cerca di imporre questa ideologia già dalle scuole. Guai a chi prova ad obiettare. E teniamo conto che ormai sta diventando un’ipotesi di reato quella di sostenere che l’unica famiglia possibile sia la famiglia naturale, quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna. E’ interessante che il Papa abbia parlato di forti potenze che non si identificano con un governo o uno Stato in particolare, ma è una cosa molto più complessa, ramificata, e che però ha nelle Nazioni Unite il suo epicentro. Non è un caso che il Papa continui a citare il libro di Benson “Il padrone del mondo”, perché anche lì appunto si capisce che si tratta di un potere che non ha il nome di un governo, ma è un’entità sovranazionale, che ad un certo punto tenta di omologare a livello globale tutte le culture.

D. – L’ideologia del gender non ammette contraddittorio, impone un pensiero unico. Il Papa l’ha paragonata alle dittature del secolo scorso…

R. – Certo, come ogni ideologia per potersi affermare ha bisogno di essere totalitaria, perché l’ideologia è costantemente smentita dalla realtà. Quindi, tanto per fare un esempio: se un’ideologia dicesse che il cielo è verde, ha bisogno di imporlo con la forza, perché ci sarà sempre qualcuno che magari alzando gli occhi al cielo proverà a dire “ma, a me sembra blu”, e questo potrebbe aprire gli occhi a tutti gli altri. E’ per questo che necessariamente una ideologia di questo genere poi sfocia in un totalitarismo, come sono state appunto le dittature spietate del secolo scorso: il nazismo, il fascismo, il comunismo.

D. – Se ne sottovaluta, tuttavia, il pericolo…

R. – Sì, sicuramente, ma questo va di pari passo con un processo di secolarizzazione, perché si perde la forza della ragione di una evidenza, che pure nel popolo è abbastanza diffusa. Perdendone le ragioni, però, si perde anche la capacità di resistere e rendersi conto del pericolo mortale che questa ideologia comporta.

D. – Come non si resero conto gli uomini e le donne del secolo scorso del lento avanzare delle grandi ideologie?

R. – Certamente. Funziona così. Poi, oggi, in più, c’è questa idea de “il segno dei tempi”, dei “tempi che cambiano”. Ma qui il cambiamento non è soltanto esteriore, di costume, è un cambiamento, una rivoluzione antropologica vera e propria, quindi comporta davvero dei pericoli enormi per l’umanità.

D. – Ecco perché il Papa ha chiesto “proteggiamoci da questa minaccia contro la famiglia che di fatto è una minaccia alla società stessa”…

R. – Certo, la famiglia, con la sua evidenza anche di appartenenza e di legame, è già una forma di resistenza a questa ideologia. Non è un caso che oggi la reazione, ad esempio, a questa ideologia comincia a venire nella nostra società da genitori che si accorgono che nella scuola i loro figli vengono attaccati e minacciati da questa ideologia: anche a questo aveva già accennato Papa Francesco, quando ha parlato di scuole che rischiano di essere ridotte a campi di rieducazione.

D. – La scuola dicono gli esperti è uno strumento dell’ideologia del gender, assieme ad alcune leggi, per aggredire la società e decostruirla…

R. – La scuola è il teatro di battaglia per eccellenza, quello che è stato scelto come punto fondamentale per far passare questa ideologia, e non a caso: convincere gli adulti che sono cresciuti e che hanno già una loro formazione è più complicato, ma se si comincia dalla scuola materna a spiegare che non esistono i sessi, ma esistono soltanto i generi e che uno può scegliere a suo piacimento, quando vuole, sicuramente il cambiamento avviene in modo più efficace.

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"Il Padrone del Mondo" il libro consigliato da Francesco

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Il Papa durante il colloquio con i giornalisti di ritorno dalle Filippine, parlando della “colonizzazione ideologica”, ha suggerito la lettura del libro “Il Padrone del Mondo” di Robert Benson per capire cosa intendesse dire. Un'opera d'inizio '900 che descrive l'instaurazione, nel 2000, di una dittatura di stampo umanitarista, che predica la tolleranza universale per tutti, tranne che per la Chiesa, che viene perseguitata. Ce ne parla Massimiliano Menichetti: 

La dittatura del pensiero unico
Anglicano, quarto figlio dell’arcivescovo di Canterbury, Robert Benson, si converte al cattolicesimo e nel 1907 scrive “The Lord of the World”, “Il Padrone del mondo”. Testo visionario in cui si concretizza la battaglia finale tra il bene ed il male. Da una parte il trentatreenne Giuliano Felsenburgh che evita lo scontro tra Occidente ed Oriente, acclamato poi presidente d’Europa che instaurerà di fatto la dittatura del pensiero unico; dall’altra gli si oppone il sacerdote Percy Franklin, anche lui 33 anni, che diventerà Papa. Claudio Siniscalchi, docente all’Università Lumsa di Roma nel corso di lingue e culture moderne:

R. - Giuliano è la materializzazione dell’anticristo. Promette l’abolizione di ogni preoccupazione: non ci sarà più guerra, non ci sarà più violenza, non ci sarà più povertà… Si presenta come colui che, sotto le sembianze del salvatore, in realtà assoggetta l’umanità. Diventa non il padrone di una nazione, ma il padrone del mondo. L’organismo globale della terra concede a lui il potere, perché la cosa straordinaria non è tanto che questo “messia capovolto” prenda il potere con la forza, con il colpo di Stato, ma lo prende con il consenso di coloro ai quali sta togliendo la libertà. E naturalmente la prima cosa che fa: deve fare a meno della religione.

Cattolici perseguitati
D. - Benson immagina un mondo dove Dio è ridotto a mero individualismo in cui viene creata una entità “La Grande fratellanza universale” che propugna la pace e l’allontanamento di ogni forma di dolore:

R. - Come si rivolve la sofferenza della morte? Con l’eutanasia! Non c’è più destra, sinistra; non c’è più religione positiva o negativa; non c’è più partito o sindacato. Benson, per primo, ha la visione del partito unico totalitario. Chi si oppone - e naturalmente sono i cattolici che si oppongono a questa deriva che il mondo sta prendendo – sono perseguitati. La pace di Giuliano è la pace di chi accetta quello che dice lui e nel momento in cui non si accetta è la guerra. L’intuizione di Benson è quella di contestare un elemento che è stato devastante per il novecento: la perfezione dell’uomo, l’insaturazione del paradiso artificiale sulla terra. Perché questa visione paradisiaca del mondo ha bisogno che il trattore del progresso distrugga tutto.

La propaganda della menzogna
D. - Questa modalità è definita da Papa Francesco “colonizzazione ideologica” in cui in nome di un presunto benessere tutto il resto deve essere annientato:

R. - Perché è la forza della menzogna contro la forza della verità. La propaganda fa sì che ci sia una nuova schiavitù dell’uomo. La fratellanza del mondo è importantissima, ma il prezzo che l’anticristo  fa pagare a quella parte dell’umanità che si oppone, perché vede il vero pericolo, è il contrario di quello che viene detto.

Distruzione di Roma
D. - Il testo parla di rischio di scontro tra Oriente ed Occidente, di attacchi kamikaze… Benson arriva ad ipotizzare la distruzione di Roma:

R. - Questo fondamentalmente è un libro per dire: ‘Fate attenzione, avete preso una strada sbagliata’!”

Il Padrone del Mondo non trionferà
D. - Ma chi vince la battaglia nel libro di Benson?

R. - Il padrone del mondo non trionferà mai, perché in Benson c’è una visione affidata alla Onnipotenza di Dio, che non lascerà mai solo l’uomo: lo aiuterà. Ci saranno sofferenze enormi che l’uomo dovrà affrontare, ma alla fine trionferà il bene. Benson non aveva una visione oscura.

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Nomine

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Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ambato (Ecuador), presentata da S.E. Mons. Germán Trajano Pavón Puente, in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Ambato (Ecuador) il Rev.do P. Jorge Giovanny Pazmiño Abril, O.P., finora Vicario Generale della Provincia Domenicana Ecuadoriana Santa Catalina de Siena. Il Rev.do P. Jorge Giovanny Pazmiño Abril, O.P., è nato il 3 luglio 1965 a Baños, diocesi di Ambato. Entrato nell’Ordine dei Predicatori nel 1986, ha studiato filosofia e teologia presso la Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador. Successivamente, ha ottenuto la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino in Roma. Il 16 dicembre 1995 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale. Ha svolto i seguenti incarichi pastorali: Professore di Teologia Pastorale e Filosofia nella Scuola di Scienze Religiose della Pontificia Università Cattolica dell’Ecuador, Promotore vocazionale del Vicariato Generale domenicano dell’Ecuador, Presidente della Conferenza Ecuadoriana dei Religiosi, Parroco, Professore nel Seminario Maggiore di Guayaquil e Segretario Generale della Conferenza interprovinciale dei Padri Domenicani dell’America Latina e Caraibe. Attualmente è Vicario Generale del Vicariato Generale Santa Catalina de Siena dell’Ecuador e Responsabile della Vita contemplativa nell’arcidiocesi di Quito.

Il Santo Padre ha accolto le dimissioni presentate a norma del can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico dall’Arcivescovo di Ispahan dei Latini, S.E. Mons. Ignazio Bedini, S.D.B.

Il Papa ha nominato Amministratore Apostolico sede vacante et ad nutum Sanctae Sedis della medesima Arcidiocesi il Rev.do P. Jack Youssef, C.M. Il Rev.do P. Jack Youssef, C.M., è nato a Teheran il 22 novembre 1971. Ha studiato ingegneria informatica specializzandosi nelle "Intelligenze Artificiali". Dal 1990 al 1999 è stato professore di Matematica al Liceo. Entrato nel Seminario interdiocesano di Avignone nel 1999, ha poi concluso il ciclo istituzionale presso la Facoltà dei Padri Gesuiti a Parigi, conseguendovi la laurea magistrale in Teologia Fondamentale. L’11 settembre 2002 ha emesso la professione religiosa nella Congregazione della Missione e il 1° luglio 2005 è stato ordinato sacerdote nella cattedrale di Teheran. Ha ricoperto l’incarico di Responsabile diocesano per la formazione presso l’Eparchia Caldea di Teheran dal 2006 fino al 2010, quando è stato nominato nella medesima circoscrizione Parroco di Santa Maria. Dal 2007 è anche Superiore della Comunità dei Lazzaristi in Iran e Direttore nazionale delle Opere Pontificie Missionarie. Dal 2011 è Presidente di due fondazioni riconosciute dalla Conferenza Episcopale Iraniana, da lui stesso create.

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Mons. Farrel: dialogo ecumenico importante anche su ruolo donna

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Domenica prossima 25 gennaio, alle ore 17.30, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Papa Francesco presiederà la celebrazione dei Secondi Vespri della Solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani sul tema: «Dammi un po’ d’acqua da bere», parole rivolte da Gesù alla Samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Ascoltiamo in proposito la riflessione di mons. Brian Farrel, segretario del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani, al microfono di Philippa Hitchen

Il dialogo per superare le differenze
R. – La dinamica della ricerca dell’unità tra i cristiani è un’interazione tra quello che abbiamo in comune e quello che ci differenzia. Pertanto abbiamo qui Gesù che passa per una terra non sua, che si incontra con una donna che appartiene ad un popolo non suo, ma vediamo che si incontrano, si parlano, discutono, eppure, alla fine, c’è un accordo tra loro. Questo è un po’ il modello dell’incontro ecumenico: arriviamo con le nostre differenze, ma sappiamo anche di avere tante cose in comune. Dobbiamo incontrarci per vedere come possiamo superare quelle cose differenti, che ci tengono separati.

Ruolo della donna
D. – Il fatto che Gesù parli con una donna, e con questa donna in particolare, crea una certa sorpresa, anche scandalo tra i suoi discepoli. E’ una spinta per tutte le nostre tradizioni a rivedere il ruolo della donna nella Chiesa di oggi?

R. – Bene, può anche essere un richiamo, perché credo che tutti possiamo ammettere tranquillamente che la donna non abbia veramente il posto che le corrisponde nella vita ecclesiale, e che dobbiamo imparare a creare le condizioni perché la donna possa prendere questo suo posto, avere il ruolo che le corrisponde. Ora, questa è una grande discussione. Le risposte dovranno venire. Credo che siamo in ritardo, nel senso che la cultura ci ha lasciato indietro. Penso che il confrontarsi nel dialogo ecumenico faccia chiarezza su molti temi ed anche sul modo di vivere il messaggio cristiano nel mondo di oggi. E, naturalmente, una delle questioni molto sentite in tutto questo stare insieme con i nostri amici delle altre Chiese è la questione della donna e il suo ruolo. In questo senso, credo che il dialogo ecumenico aiuterà anche noi cattolici a chiarire le cose fondamentali.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura: La lezione dei poveri; durante il lungo volo di ritorno da Manila il colloquio con i giornalisti, riportato integralmente a pagina 4 e 5. Sotto, sempre in prima pagina,Yemen sull’orlo del baratro; intensi combattimenti tra esercito e ribelli. Di spalla, "Papa del mondo", l'editoriale di Lucetta Scaraffia.

Nella pagina dedicata alla cultura "I due tarli" di Jorge Milia, dedicato ai neologismi o alle espressioni dialettali di Papa Bergoglio, L’urgenza di piantare la croce nei gesti di Papa Francesco in Asia, di Paolo Trianni

Sotto il segno di Agnese, la sorpresa del  Collegio Capranica di Lorenzo Cappelletti.

A pagina 7, "Come gli aerei"; Nicola Gori intervista il cardinale il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero.

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Oggi in Primo Piano



Arcivescovo di Nyamey: voi pubblicate vignette, qui bruciano le chiese

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Comunità cristiana sotto shock in Niger: circa 45 chiese sono state attaccate e bruciate da estremisti islamici in segno di protesta per le vignette pubblicate da Charlie Hebdo su Maometto. Almeno 10 i morti. Secondo una fonte umanitaria, alcune donne cristiane sarebbero state stuprate. Il ministro degli Interni ha denunciato la presenza di bandiere del gruppo islamista Boko Haram alla manifestazione che si è svolta a Zinder, una citta vicina al confine con la Nigeria. 90 persone sono state arrestate. Oltre 300 cristiani sono stati posti sotto la protezione militare in campi male equipaggiati, altri sono rifugiati in una chiesa evangelica. Drammatico appello dell’arcivescovo di Nyamey, mons. Michel Cartatéguy. Jean-Baptiste Cocagne lo ha intervistato: 

Chiese bruciate, non c'è rimasto più nulla
R. – Nous sommes, nous communauté chrétienne, encore sous le choc. …
Noi, come comunità cristiana, siamo ancora sotto shock. Tutte le nostre chiese – 12 su 14 – sono state completamente saccheggiate: non c’è rimasto più nulla. E quando dico “saccheggiate”, “profanate”, significa che non c’è rimasto più niente, niente: tutto è bruciato. Soltanto la cattedrale è rimasta in piedi, perché su mia richiesta è stata sorvegliata a oltranza. Ma non so fino a quando questo sarà possibile. Incontrerò le autorità politiche affinché si impegnino con ogni mezzo perché la cattedrale non sia ancora presa d’assalto. Intorno alla cattedrale si sono svolti combattimenti per quattro ore e abbiamo potuto salvarla soltanto grazie alle forze di sicurezza. La cattedrale è un simbolo, per questo vogliono distruggerla. Noi non riusciamo a capire quello che sta succedendo. Io ho convocato tutti i sacerdoti e i responsabili delle comunità per pregare in silenzio, e abbiamo meditato sull’amore per i nemici. Forse ci stiamo accingendo a vivere l’agonia di Gesù sulla nostra carne, e io ne sono molto felice, e ogni prete e ogni laico afferma: “Abbiamo avuto forti testimonianze di solidarietà da parte della comunità musulmana”. Molti nostri religiosi, che oggi hanno perso tutto, sono stati protetti e lo sono ancora, da famiglie musulmane. Io ho detto alle più alte autorità: “Non abbiamo niente contro la comunità musulmana, al contrario”. Anzi, dobbiamo ulteriormente rafforzare i legami di unità, di fratellanza che abbiamo costruito. Abbiamo avuto tantissime testimonianze di fratellanza, di sostegno, piccoli gesti che però sono grandi nei nostri cuori.

Attacchi guidati
D. – Come leggere questi eventi? Lei sa chi c’è dietro questi attacchi?

R. – Nous venons de suspendre toutes les activités de la mission catholique …

Abbiamo sospeso ogni attività della missione cattolica; abbiamo chiuso le nostre scuole, i nostri dispensari e ho dato come motivazione che dobbiamo leggere questi eventi dolorosi nella serenità. Non posso interpretare nulla, perché siamo veramente sconvolti: dopo tanti anni di amicizia, non riusciamo a comprendere. Abbiamo bisogno di tanta, tanta serenità per leggere questi eventi. Ma è vero che tutto questo è manipolato, organizzato; ci sono indizi che starebbero a indicare che sia stato questo o quel gruppo. A Zinder è stata vista sventolare la bandiera di Boko Haram … Ma non posso dire di più, perché non ho potuto riflettere con le persone competenti su quello che sta accadendo. Vorrei essere certo prima di parlare, ho bisogno di avere determinati elementi per poter dire esattamente da dove vengono questi attacchi.

Tutto è in rovina: abbiamo salvato una croce
D. – La comunità cristiana cattolica del luogo è stata fatta oggetto di violenze, in passato?

R. – Oui, dans certaines églises, comme à Zinder, mais pas de cette nature, …

Sì, in alcune chiese, come a Zinder, ma mai di questo genere. Bisogna vedere sul posto per vedere e capire cosa significhi incendiare e saccheggiare: non c’è rimasto più assolutamente niente. Tutto è in rovina, c’è solo polvere! Le dirò che cosa sono riuscito a salvare, a recuperare: ho trovato una piccola croce che stava su una boccetta di olio santo: ecco, questo è tutto quello che ho trovato… è tutto quello che abbiamo. Ma l’essenziale di questo “nulla” che è rimasto, è là. Ora dobbiamo tutti volgerci a questa croce: il tappo di una boccetta che conteneva olio benedetto, è tutto quello che abbiamo.

Perché continuano a pubblicare le vignette blasfeme?
D. – Sabato sera, una ventina di ulema hanno richiamato la popolazione alla calma. Lei è in contatto, in dialogo con le autorità musulmane?

R. – Bien sûr, je suis en contact non pas dans ces situations, ma tout le temps! ..

Certo: sono in contatto non soltanto in queste situazioni, ma sempre! C’è una grande fratellanza che si è intessuta prima di tutto questo. Ed è proprio per questo che non riusciamo a capire! Noi non abbiamo niente contro la comunità musulmana: non è questa che ha fatto tali cose! Sono persone manipolate dall’esterno … Tutto è manipolato! E poi, è ovvio, la caricatura di Maometto che è stata moltiplicata in decine di milioni di copie - e continuiamo ancora? - fa dire alla gente di qui: “Sono i cristiani d’Occidente che ci fanno questo!”. Ma perché? Perché si continua ancora su questa strada? Dov’è il rispetto per la fede degli altri? Qui la gente non risponde più alle domande dei giornalisti europei e non rispondono più perché sono in collera e rispondono soltanto dicendo cose cattive contro questa libertà di essere blasfemi … A livello della comunità musulmana qui, sul posto, noi non abbiamo alcun problema. Al contrario, siamo uniti gli uni agli altri: tutti gli ulema che hanno parlato in televisione, io li conosco tutti, personalmente! In questo campo, non c’è alcun problema. Noi non riusciamo a comprendere quello che sta succedendo. Siamo ancora così sconvolti … E tutto questo potrebbe continuare se noi non abbiamo alcuna tutela! Sono costretto a chiedere alle autorità di governo di proteggerci a oltranza, perché ormai ci sono persone che, girando per le strade, chiedono: “Ma tu sei “Allah akbar” o “Halleluja”? Questo significa che si stanno cercando i cristiani... Ma dopo, cosa accadrà? Tra 15 giorni avrei dovuto passare il testimone: avrebbe dovuto essere un grande evento, perché l’avrei passato ad un figlio del Paese, un nigerino, quindi un vescovo del Niger. Ovviamente, tutto questo sarà rimesso in discussione: non possiamo certo fare questo passaggio episcopale in questo modo! Quel poco denaro che eravamo riusciti a mettere insieme per questa celebrazione, che per noi sarebbe stata un evento storico, dovremo impiegarlo per comprare dei teloni: così domenica prossima potremo pregare, almeno, sotto questi teloni …

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Yemen: alta tensione, spari contro auto ambasciata Usa

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Resta alta la tensione in Yemen dopo la giornata di ieri a Sanaa conclusasi con 9 morti e quasi 70 feriti. E’ infatti esplosa la violenza tra i ribelli sciiti houti e l’esercito fedele al presidente Hadi. Dopo l’assalto al palazzo presidenziale e l’occupazione della sede della tv da parte dei ribelli è stato siglato un cessate il fuoco alquanto precario. Oggi colpi d'arma da fuoco sono stati sparati contro un'auto dell'ambasciata Usa. Quali evoluzioni ipotizzare e quali le incognite che pesano sulla realizzazione del piano di pace sponsorizzato dalle Nazioni Unite? Benedetta Capelli ne ha parlato con Francesca Corrao, docente di lingua e cultura araba alla Luiss di Roma:  

R. – Trattative si stavano portando avanti e non soltanto grazie all’Onu, ma con supporti di altri Stati arabi, come ad esempio gli Emirati, e avevano dato risultati. Tuttavia, l’errore è stato, secondo la stampa araba, quello di non avere fermato l’avanzata degli houthi verso la capitale. E questa posizione di attesa avrebbe favorito l’attacco.

D. – Terrorismo e corruzione sono i due mali che affliggono lo Yemen. Il governo non ha fatto molto su questi due fronti: quali, secondo lei, le ragioni di questo immobilismo?

R. – Terrorismo e corruzione sono legati ad altri due elementi fondamentali. Innanzitutto, il Paese, in generale, aveva raggiunto una pacificazione dopo l’unificazione, ma aveva lasciato molti scontenti e tra gli scontenti – ovviamente - c’erano diversi clan tribali, importanti e forti, da una parte, e al sud i vecchi governanti socialisti. Quindi, diciamo che con la primavera araba si sono rimessi in discussione gli equilibri che si erano raggiunti tra i gruppi tribali e l’esercito. Dopodiché si è tentato di trovare una soluzione politica di ampio respiro, ma l’intervento degli houthi  - che, come ricordo, sono gruppi sciiti che vorrebbero maggiore spazio, se non prevaricare la maggioranza sunnita del Paese - ha fatto saltare gli equilibri di questi già difficili rapporti all’interno dello Stato. Quindi noi sappiamo già che è un Paese diviso, da molto tempo, che aveva trovato un equilibrio - equilibri di potere che sono saltati. Dobbiamo tenere conto che non è soltanto un problema di terrorismo e corruzione che sicuramente incidono, ma è anche un problema di forze straniere, che giocano dall’esterno per cambiare gli equilibri nel Paese. Non dimentichiamo che il Paese si trova in una posizione strategica delicatissima, perché di fronte c’è la Somalia, c‘è una porta verso l’Africa, c’è la Nigeria che sta soffrendo pesantemente a causa delle aggressioni di Boko Haram.

D.  – Quali sono queste potenze straniere interessate al futuro dello Yemen?

R.  – Il problema non sono tanto i governi, sono anche le forze all’interno di Paesi limitrofi, che non riescono a trovare espressioni politiche e quindi cercano, da fuori, di destabilizzare e rafforzarsi, per poi poter di nuovo ritornare all’attacco all’interno dei diversi Paesi. Credo che a livello internazionale bisogna sostenere il più possibile il dialogo.

D. – Ipotizzare uno Yemen nella mani dei ribelli sciiti è una prospettiva possibile? E  che conseguenze potrebbe portare nell’intera area, in particolare anche in Arabia Saudita?

R. – Io non la vedo positivamente una soluzione del genere e penso che comunque nel Paese - sia nel Sud del Paese che nel Nord - ci sia il rifiuto di una prospettiva del genere, per ragioni diverse. Perché ricordiamoci che, per esempio, alcuni dei capisaldi di al Qaeda sono nel Sud: la famiglia di Bin Laden si colloca in un’area del Sud dello Yemen. Quindi diciamo che non c’è un interlocutore, ce ne sono diversi: il partito sunnita religioso che non è ovviamente dalla parte degli houthi, l’ex partito di Saleh, l’altro presidente, e il partito socialista. Sono non soltanto partiti, ma anche gruppi etnici, culturali diversi e dunque le trattative non sono semplici, anche se stanno cercando di procedere. Perché è interesse, ovviamente, dei gruppi terroristici fomentare il disordine e il panico, ma anche - da parte opposta - gli Stati della regione sono assolutamente interessati a trovare delle soluzioni non violente a questo conflitto.    

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Ucraina: combattimenti nelle regioni separatiste dell’Est

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Nelle regioni separatiste dell’Ucraina orientale la tregua sembra ormai saltata. Da almeno due giorni sono ripresi violenti combattimenti su tutta la linea del fronte e in particolare a Donetsk, roccaforte dei ribelli filo-russi, dove nelle ultime 24 ore hanno perso la vita almeno 7 civili e altri 24 sono rimasti feriti. E la guerra e l’inverno inaspriscono la situazione anche dal punto di vista umanitario. Il servizio di Marco Guerra: 

Il fronte più caldo rimane l'aeroporto di Donetsk ormai ridotto in macerie e passato più volte di mano tra governativi e filorussi. Ma colpi di artiglieria sono caduti sul centro abitato anche questa mattina, facendo almeno altre due vittime tra i civili. Si spara poi da Gorlovka fino al mar di Azov a Mariupol, ieri il bollettino di Kiev era di 3 soldati uccisi e 66 rimasti feriti. I bilanci di ribelli e governativi restano tuttavia difficili da verificare. Sempre ieri i ministri degli Esteri dell'Ue hanno escluso - almeno per il momento - un alleggerimento delle sanzioni alla Russia e hanno chiesto a Mosca di far rispettate agli insorti gli accordi di Minsk, mentre le Forze Armate ucraine hanno denunciato il presunto sconfinamento di circa 700 soldati russi. Il governo di Kiev dal canto suo ha lanciato una nuova mobilitazione militare per reclutare altri 50mila uomini. Intanto l’Osce esprime preoccupazione per la sorte dei civili.  L’Organizzazione mondiale della sanità e Medici senza frontiere hanno lanciato l’allarme sulla precaria situazione sanitaria in tutta l’Ucraina orientale. Per un commento sentiamo Danilo Elia, collaboratore dell’osservatorio Balcani – Caucaso:

R.  – Nel discorso di ieri Poroshenko sembra aver parlato chiaro. Lui ha detto che rispettano, continuano a rispettare la tregua  ma nei limiti del piano di pace previsto a Minsk e, nello stesso tempo, ha detto anche: “Non cederemo neanche un pezzettino del nostro territorio, ci riprenderemo tutto il Donbass”. Sembrano dichiarazioni contrastanti tra loro. E quello che stiamo vedendo sul campo ne è il riflesso. Questa tregua formalmente è ancora in piedi ma nella realtà si combatte, e si combatte anche molto forte da alcuni giorni.

D.  – C’è una mobilitazione da parte di Kiev di 50 mila uomini. Si può parlare di una vera e propria offensiva per riprendere il controllo del territorio da parte del governo ucraino?

R.  – Bisogna cercare di interpretare un po’ le parole delle autorità. Il portavoce militare del governo ucraino ha dichiarato recentemente, ieri o l’altro ieri, che non c’è alcuna intenzione di rientrare in Donetsk. Nello stesso tempo è stata lanciata una offensiva aperta alle forze separatiste, sembrerebbe, per rafforzare le posizioni preesistenti. In realtà, si sta combattendo molto intorno all’area di quello che era l’aeroporto di Donetsk, un mucchio di ruderi. Probabilmente stiamo parlando di uno spostamento della linea di qualche centinaio di metri, non di una reale conquista territoriale. Nello stesso tempo si combatte e si spara tanto.

D.  – C’è da attendersi una reazione di Mosca; cosa potrà succedere nei prossimi giorni, nelle prossime ore?

R.  – In realtà ci si può aspettare di tutto. I ribelli separatisti dell’est dell’Ucraina sono, in maniera abbastanza palese, supportati dalla Russia, in parte come fornitura di armi e ci sono state diverse prove su questo, da questo punto di vista. Difficile ipotizzare un intervento diretto della Russia. Sta di fatto che da un lato, l’Ucraina, Kiev, chiede alla Russia di interrompere il supporto ai separatisti e dall’altra parte la Russia chiede a Kiev di interrompere le azioni militari nell’est dell’Ucraina. Quindi, siamo nella solita situazione di stallo in cui c’è un rimpallo delle responsabilità da parte dei governi.

D. – Con l’inverno non è facile stare sotto i colpi di artiglieria. Si può parlare anche di emergenza umanitaria in quelle zone?

R.  – La situazione tra la popolazione è molto difficile. Forse non tanto a Donetsk, città dove bene o male, le cose funzionano: il riscaldamento c’è, i negozi sono piuttosto forniti di beni, gli stipendi, mi risulta, che siano pagati… Le pensioni sono in ritardo perché sono pagate da Kiev. La reale emergenza forse è più nel resto del territorio, nelle piccole cittadine, nei villaggi, dove l’approvvigionamento dei viveri è molto più difficoltoso, il riscaldamento, la corrente elettrica vanno a singhiozzo… Sicuramente a tutto questo si aggiunge poi la guerra vera, insomma, le zone che sono sottoposte poi al fuoco dell’artiglieria. Il numero delle persone che hanno abbandonato la regione ancora non precisamente stimato ne è la riprova; c’è tantissima gente che cerca di abbandonare quelle terre.

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Chiara Lubich: si apre la causa di beatificazione

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Un motivo di grande gioia per tutti membri del Movimento dei Focolari, e per tanti altri nel mondo, cattolici e non solo, la notizia dell’inizio ufficiale della Causa di beatificazione di Chiara Lubich, la fondatrice dei Focolari. L’annuncio è stato fatto dal vescovo di Frascati, mons. Raffaello Martinelli, che ha scelto il prossimo 27 gennaio come data per la cerimonia di apertura del processo nella cattedrale di Frascati. E’ nella sua diocesi infatti che la Lubich è vissuta gran parte della sua vita ed è morta 6 anni fa. Ma come ha accolto questa notizia Maria Voce, l’attuale presidente del Movimento? Ascoltiamola al microfono di Adriana Masotti: 

R. – Con una grande gioia, moltiplicata dall’eco di gioia che è venuto dal mondo intero. Ho comunicato subito a tutti questa gioia e questa gratitudine, anche al vescovo, che è stato veramente attento nel cercare di portare avanti tutto quanto che era necessario, come lavoro preliminare, per arrivare a questo momento. E una grande gratitudine anche alla Chiesa, che ci permette di mostrare la bellezza di una vita impegnata come quella di Chiara.

D. – Lei ha scritto una lettera ai membri del Movimento, invitando tutti a pregare “affinché la Chiesa possa comprendere la novità della santità collettiva proposta e vissuta da Chiara”. Ci può spiegare meglio queste parole?

R. – Chiara ha sempre sognato il giorno in cui si potesse veramente parlare di una santità di popolo, perché lei vedeva che ci si fa santi facendo la volontà di Dio, che è un qualcosa che Dio chiede ad ogni persona che viene sulla terra. Quindi il suo desiderio non era tanto di diventare santa lei -  anche se logicamente aveva anche presente che la volontà di Dio è la ‘vostra santificazione’ - ma il suo desiderio era che tante, tante persone entrassero in questa strada di santità. Io credo che siccome questo è il motivo per il quale lei ha vissuto, lavorare perché sia riconosciuta la santità di Chiara, significa lavorare proprio perché sia riconosciuta questa possibilità aperta a tutti di farsi santi.

D. – Nella stessa lettera, lei si augura che tutti quelli che condividono la spiritualità di Chiara possano dare viva testimonianza di questa santità. Dunque, tutto il Movimento è coinvolto in questo cammino…

R. – Tutto il Movimento è coinvolto in questo cammino e tutte le lettere che mi sono arrivate come eco a questo annunzio dicono proprio questo: un rinnovato impegno, perché la Chiesa veda nei seguaci di Chiara la testimonianza viva di quel modello che Chiara è stata per noi e che continua ad essere.

D. – La testimonianza di affetto di tanti verso Chiara Lubich continua immutato…

R. - Immutato e crescente, direi: è una testimonianza di affetto che viene anche da chi non l’ha conosciuta personalmente. Certamente quelli che l’hanno conosciuta personalmente sentono – anche loro – questo momento come un particolare momento di grazia: e parlo sia di autorità della Chiesa, sia di presidenti o fondatori di altri movimenti, sia di persone di altre religioni e di altre Chiese, che sentono di partecipare di questo dono che la Chiesa cattolica fa, cominciando a valutare questa causa che può essere partecipata al mondo intero.

D. – Non sarà un lavoro facile quello di chi dovrà esaminare tante carte, discorsi, video…

R. – Certamente, certamente… Infatti, c’è un mare di documenti e di scritti, che già sono stati consegnati per questo esame. E poi ci sono video, ci sono bobine di discorsi che Chiara ha fatto; lettere che Chiara ha scritto… C’è tantissimo materiale e sicuramente sarà un impegno grande per tutto il Tribunale e un impegno che coinvolge noi nel preparare tutti questi documenti nel modo migliore affinché la Chiesa possa fare il suo esame.

D. – Per concludere, in estrema sintesi, una parola per dire la santità di Chiara…

R. – Direi la normalità: si può essere santi conducendo una vita normale. I frutti straordinari di questa vita normale sono frutti che vengono da Dio, dal rapporto di Chiara con Dio e dal rapporto normale di Chiara con il suo popolo. Vivere normalmente una cosa straordinaria: Chiara ci ha dato l’esempio di questo, anche se logicamente ci sono stati anche momenti straordinari nella sua vita, però lei ci ha dato l’esempio della santità nella normalità e non solo nei momenti straordinari.

D. – Vivendo il Vangelo?

R. – Vivendo il Vangelo, certo! Vivendo il Vangelo e trascinando gli altri a viverlo, anche quelli che non lo conoscono, ma che sono stati trascinati dalla parola e dall’esempio di Chiara a mettere in atto principi evangelici.

D. – Chiara Lubich è stata anche definita “donna del dialogo”, quanto mai necessario in questi giorni: quindi una grande attualità…

R. – Assolutamente. Io penso che in questo campo Chiara abbia ancora molto da dire proprio per costruire rapporti veri, profondi fra le civiltà, fra le etnie, fra le religioni per contrastare questa ondata di violenza che sembra aver invaso il mondo. Quindi un’affermazione della santità di una persona che ha fatto della sua vita un simbolo di dialogo, penso che potrebbe essere anche questo un segno di questo momento.

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Nella Chiesa e nel mondo



Card. Filoni: in Vietnam “una Chiesa viva”

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“Sono molto lieto di essere qui con voi e ringrazio di cuore la Conferenza episcopale per l’invito che mi permette di visitare il vostro Paese. In questa occasione, potrò vedere con i miei occhi la vitalità della vostra Comunità, la fede salda dei fedeli vietnamiti”: sono i sentimenti espressi dal card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nell’incontro con la Conferenza episcopale del Vietnam, avvenuto questa mattina ad Hanoi, all’inizio della sua visita pastorale nel Paese asiatico. Quindi è seguito l'incontro con i sacerdoti di Hanoi.

Sforzi dei fedeli per lo sviluppo della Chiesa e del Paese
In Vietnam la pratica religiosa è alta (80-93%) “non solo la domenica, ma anche nei giorni feriali” ha sottolineato il cardinale. In tutte le diocesi e le parrocchie, sono fiorenti le organizzazioni d’apostolato laicale. Ovunque i fedeli “mostrano un interesse particolare per la Parola di Dio e lo studio del catechismo. Inoltre, sono desiderosi di contribuire con i propri sforzi e con le proprie capacità all’edificazione e allo sviluppo della Chiesa, nonché del Paese”.

La forza dell'Evangelii Gaudium
Quindi il prefetto ha richiamato l’attenzione dei vescovi sulla Esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “è un documento prezioso, perché è il documento programmatico della Chiesa oggi e rappresenta la visione che ne dà il Papa Francesco per i prossimi anni. Egli dice che la gioia del Vangelo è la base dell’evangelizzazione. La gioia del Vangelo nasce e rinasce dall’incontro personale con Gesù, da cui derivano il cambiamento nella vita e la missionarietà”.

L'opera dei primi evangelizzatori
Dopo aver citato il 50mo anniversario del Decreto conciliare “Ad Gentes” sull’attività missionaria della Chiesa, il card. Filoni ha ricordato che i primi semi della fede furono portati in Vietnam dai Gesuiti, dai Padri delle Missions Etrangères de Paris, dai Domenicani, dagli Agostiniani, dai Francescani e da tanti altri. “I piccoli semi si sono radicati nella cultura e nei costumi, cosicché oggi la fede è entrata nella vita di tanti cristiani vietnamiti. Nel 2010, la Chiesa in Vietnam ha celebrato un Anno Giubilare commemorando i 350 anni dalla creazione dei primi due vicariati apostolici e i 50 anni dalla creazione della Gerarchia. Oggi vogliamo ricordare i 400 anni dell’inizio dell’evangelizzazione”.

I sacerdoti siano sale e luce della società
Parlando ai sacerdoti della regione di Hanoi il card. Filoni ha indicato loro l’esempio del santo Andrea Dung-Lac, sacerdote, e dei suoi 126 compagni martiri. “Come sacerdoti e responsabili di queste vostre Chiese del Vietnam, voi siete chiamati ad essere ‘il sale e la luce’ in questa società. Imitate i vostri eroici antenati martiri e siate degni di esserne i loro successori”. Nel suo discorso il prefetto del Dicastero Missionario ha parlato prima di tutto della vita spirituale, perchè “il sacerdozio non è un mestiere o un ufficio burocratico che si può svolgere in un tempo e poi basta".

Indicazioni sulla vita pastorale
Per dedicare tutta la vita e tutte le forze al servizio della Chiesa, abbiamo bisogno della carità pastorale di Gesù che ha dato la sua vita al suo gregge. Dobbiamo imitare Gesù nella sua donazione di sé e nel suo servizio. L’oggetto privilegiato della carità pastorale - ha affermato il card. Filoni - sono i poveri, gli emarginati, i piccoli, gli infermi, i peccatori e gli increduli. Nelle grandi città, poi, bisogna prestare attenzione agli immigrati e agli ‘schiavi’ odierni”. (R.P.)

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Vietnam: i 400 anni della missione dei Gesuiti

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A Ho Chi Minh più di 3.000 persone hanno partecipato insieme a 210 Gesuiti alle celebrazioni di chiusura organizzate per ricordare l’arrivo dei primi religiosi della Compagnia di Gesù in Vietnam, 400 anni fa. Mons. Cosma Hoang Van Dat, vescovo gesuita di Bac Ninh, diocesi vicino a Hanoi, nel nord del Vietnam, ha celebrato la Messa presso la sede principale dei Gesuiti a Thu Duc, un sobborgo della città.

I primi Gesuiti arrivarono nel 1615
Erano un italiano e due portoghesi - riferisce l'agenzia Misna - e giunsero in compagnia di un gruppo di fedeli giapponesi che si stabilirono a Cua Han, vicino a Da Nang, per sfuggire alla persecuzione dei cristiani in Giappone. Venuti inizialmente per servire i giapponesi, i primi gesuiti presto rivolsero la loro attenzione alle popolazioni del Paese allora suddiviso in due regni, Tonchino a nord e Cocincina a sud. L’arrivo dei Gesuiti in Vietnam avvenne poco dopo la morte di Matteo Ricci a Pechino, nel 1610. Nel loro lavoro missionario, i Gesuiti seguirono il suo approccio: amicizie tra le popolazioni locali, apprendimento della lingua e della cultura come basi per la diffusione del Vangelo.

Il ritorno nel 1957 e le espulsione nel 1975
I Gesuiti, dopo 158 anni dal loro arrivo in Vietnam, vennero soppressi dal Papa e scomparvero dal Paese fino al loro ritorno, nel 1957, su invito del governo sud-vietnamita per aiutare a sviluppare le università. Nel 1975, quando la guerra del Vietnam si concluse con la vittoria del Vietnam del Nord, a regime comunista, tutto cambiò nuovamente. 41 Gesuiti stranieri furono espulsi, lasciando 26 Gesuiti vietnamiti, metà dei quali finirono in prigione quasi immediatamente, mentre altri vennero arruolati nell’esercito o messi a lavorare nelle fattorie statali.

Oggi 210 Gesuiti
Oggi, in Vietnam, ci sono 210 Gesuiti, 140 dei quali in formazione. Il governo limita le loro attività nelle scuole, nell’università e in altre attività sociali. (P.L.)

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Card. Ravasi all'Unesco: "La luce non è Dio ma Dio è luce"

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“La luce non è Dio, ma Dio è luce”. Lo ha detto il card. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, nel discorso tenuto ieri a Parigi, presso l’Unesco, in occasione della cerimonia di apertura dell’Anno internazionale della luce. “In tutte le civiltà - l’esordio del porporato come riferisce l'agenzia Sir - la luce passa da fenomeno fisico ad archetipo simbolico, dotato di uno sterminato spettro di iridescenze metaforiche, soprattutto di qualità religiosa.

Cristo ‘luce vera che illumina ogni uomo'
La connessione primaria è di natura cosmologica: l’ingresso della luce segna l’incipit assoluto del creato nel suo essere ed esistere”. La luce, secondo il card. Ravasi, possiede una qualità “teo-logica” per cui “essa è un’analogia per parlare di Dio”. Tuttavia, “a differenza di altre civiltà che, in modo semplificato, identificano la luce (soprattutto solare), con la stessa divinità”, la Bibbia “introduce una distinzione significativa: la luce non è Dio, ma Dio è luce”. Di qui il riferimento all’inno che apre il Vangelo di Giovanni “ove il Lógos, il Verbo-Cristo, è presentato come ‘luce vera che illumina ogni uomo’”.

Antitesi luce-tenebre
Il presidente del Consiglio vaticano si è quindi soffermato sull’antitesi luce-tenebre come paradigma spirituale: la luce è “un segno glorioso e vitale, è una metafora sacra e trascendente, ma non è inoffensiva perché genera tensione col suo opposto, la tenebra, trasformandosi in simbolo della lotta morale ed esistenziale”. (R.P.)

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Francia: dichiarazione dei vescovi sul fine vita

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Con un appello alla “fraternità” verso le persone più vulnerabili si conclude la Dichiarazione sul fine vita presentata oggi a Parigi dal pool di esperti promosso dalla Conferenza episcopale francese e guidato dall’arcivescovo di Rennes mons. Pierre d’Ornellas. Il testo - suddiviso in cinque paragrafi - è stato presentato alla vigilia del dibattito sul fine vita che comincerà domani in Assemblea Nazionale dopo tre anni di discussione e la presentazione a fine 2014 di un Rapporto finale stilato dai deputati Claeys e Leonetti.

Rispettare il diritto delle persone vulnerabili
Nel rapporto - riferisce l'agenzia Sir - i due deputati chiedono una revisione dell’attuale legge che regola dal 2005 l’eutanasia in Francia e l’introduzione del diritto dei pazienti “a una sedazione profonda e continua” in caso di malattia giudicata incurabile e “con prognosi infausta a breve termine”. “La lunga marcia verso la piena cittadinanza, compresa fino all’ultimo momento della vita - scrivono gli esperti dei vescovi francesi - non si realizza rivendicando nuovi diritti: è indispensabile sviluppare una cultura di cura mettendo in luce e in opera la solidarietà e la fraternità. Se la cittadinanza richiede parità di accesso per tutti alle cure palliative, esige anche la fraternità che dà senso all’accompagnamento e al dovere di rispettare il diritto delle persone vulnerabili”. 

Causa nazionale prioritaria
Gli esperti della Conferenza episcopale lanciano nella dichiarazione un “grido d’allarme” sullo stato della medicina palliativa e dei trattamenti nel Paese e parlano in questo senso di “una causa nazionale prioritaria”. “Rispondere in modo insufficiente a questa urgenza - si legge nel testo - è rendersi complici del male di morire attuale in Francia ed è anche favorire le domande sempre dolorose di eutanasia”.

Il testo si sofferma poi sui diversi aspetti del fine vita 
Secondo gli esperti della Cef, il diritto alla sedazione “profonda e continua”, “se votato e promulgato rischia di contribuire a una strumentalizzazione del medico al servizio della volontà del paziente e a una forma di deresponsabilizzazione”. Riguardo invece alle direttive anticipate, gli esperti ritengono “necessario chiarire le condizioni” in cui sono state redatte dal paziente “nel rispetto della libertà”. Il paragrafo 4 si sofferma invece sulla limitazione e l’arresto dei trattamenti e, cioè, l’alimentazione e l’idratazione. A questo riguardo, gli esperti in bioetica avvertono: “La constatazione di uno stato irreversibile non è sufficiente per qualificare una cura irragionevole né per definire inutile una vita umana”. In ogni caso, “non esiste un criterio medico che giustificherebbe a priori e in modo automatico” l’arresto dei trattamenti. “Ogni decisione deve essere presa caso per caso”. (R.P.)

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Zambia: il Paese al voto per le presidenziali

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Urne aperte fino alle sei del pomeriggio in Zambia per eleggere il presidente dopo l’improvvisa scomparsa, in ottobre, del capo di Stato Michael Sata. Gli aventi diritto possono scegliere tra 11 candidati ma secondo molti osservatori la sfida è tra Edgar Lungu, candidato del partito di governo Patriotic Front (Pf), e Hakainde Hichilema, dirigente dello United Party for National Development (Undp).

In carica fino al settembre 2016
Chiunque risulterà vincitore - riferisce l'agenzia Misna - resterà in carica solo fino al settembre 2016, scadenza naturale del mandato di Sata. In questo arco di tempo il potere legislativo continuerà a essere nelle mani del Parlamento eletto nel 2011, dominato dal Pf (74 seggi), con lo Undp (32) e il Movement for Multiparty Democracy (37) in posizione di minoranza. (R.P.)

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Burkina Faso: vescovi chiedono elezioni trasparenti e leali

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“Una competizione leale e trasparente”. E’ quanto auspicano i vescovi del Burkina Faso in vista delle prossime elezioni presidenziali e parlamentari nel Paese previste alla fine dell’anno. In una dichiarazione diffusa al termine di un incontro nei giorni scorsi con il Presidente ad interim Michel Kafando, i presuli hanno precisato che la Chiesa “farà la sua parte con preghiere e un accompagnamento spirituale dei leader politici in lizza”.

Il Paese ha bisogno di pace e sviluppo
Oltre ad eleggere il nuovo Presidente e il Parlamento, dopo la fine del regime quasi trentennale del Presidente Blaise Compaoré lo scorso autunno, i cittadini burkinabé saranno chiamati a votare la nuova Costituzione che definirà il nuovo quadro istituzionale del Paese. “Preghiamo perché Dio riempia il 2015 del Suo amore, della Sua pace, perché sappiamo che ne abbiamo bisogno”, ha dichiarato con Kafando il presidente della Conferenza episcopale, mons. Paul Yembuado Ouédraogo, arcivescovo di Bobo-Dioulasso, al termine del colloquio durante il quale si è parlato anche dell’attuale transizione politica. “Speriamo di avere elezioni i cui risultati saranno accettati da tutti gli attori politici”, ha aggiunto il presule, citato dall’agenzia Apic, sottolineando che questo permetterà lo sviluppo del Paese. Secondo il presidente dei vescovi “le autorità hanno bisogno non solo del sostegno della comunità internazionale, ma anche di consigli per la costruzione di un Burkina Faso di pace e giustizia”.

Anche l’episcopato contrario a un terzo mandato per Campaoré
Compaoré, era stato costretto alle dimissioni e all’esilio in Costa d’Avorio e sostituito dai militari, il 31 ottobre scorso, dopo l’insurrezione popolare contro la contestata riforma della Costituzione che gli avrebbe consentito di presentarsi alle elezioni per ottenere un terzo mandato presidenziale. Una riforma alla quale si era opposto anche l’episcopato. (L.Z.)

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Sud Sudan: a Malakal riapre Radio missionaria

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“Le bombe avevano colpito la torre di trasmissione e messo fuori uso le antenne, ma ora siamo pronti a rompere il silenzio” dice all'agenzia Misna suor Elena Balatti, comboniana in Sud Sudan. La sua radio missionaria, che in arabo si chiama "Sout al Mahaba" e in inglese "Voice of Love", vuole tornare a essere segno di speranza e “normalità” per la gente di Malakal.

Riparata la torre
“Le riparazioni della torre, alta 72 metri, sono state appena ultimate” annuncia suor Elena ringraziando Ido Menegaz, il tecnico italiano che ha gestito i lavori, lo stesso che nel 2009 aveva predisposto le installazioni. “Il suo è stato un aiuto prezioso – sottolinea la missionaria – perché in Sud Sudan di questi tempi anche solo per trovare un bullone al mercato ci possono volere delle ore”.

Trasmissioni interrotte un anno fa
La radio aveva interrotto le trasmissioni il 18 febbraio dello scorso anno, tre giorni dopo l’ingresso a Malakal dei ribelli legati all’ex vice-presidente Riek Machar, in lotta contro il governo del capo dello Stato Salva Kiir. “Le bombe – ricorda suor Elena – avevano colpito la torre a 30 metri di altezza, rischiando di provocare il crollo dell’intera struttura”. Adesso, per la ripresa delle trasmissioni si attende solo il via libera delle autorità diocesane. Più del palinsesto, sottolinea suor Elena, conterà il messaggio: “La radio dovrà aiutare i sud-sudanesi a guarire dal trauma della violenza subita e far capire, nei villaggi e nei campi profughi, che un ritorno alla normalità è possibile”.

Malakal devastata dai combattimenti
È un messaggio particolarmente importante a Malakal, capoluogo della regione dell’Upper Nile, ricca di petrolio e per questo più di altre zone del Paese devastata dai combattimenti. “Gli ultimi – dice suor Elena – si sono verificati a circa 200 chilometri di distanza, in direzione del confine con il Sudan; in città, però, la situazione appare relativamente tranquilla”.

Un conflitto iniziato nel 2013
Il conflitto va avanti dal dicembre 2013 nonostante la firma di diversi accordi di cessate-il-fuoco e l’impegno di entrambe le parti a costituire un governo di unità nazionale. Secondo le Nazioni Unite, le vittime delle violenze sono già state decine di migliaia, mentre le persone costrette a lasciare le proprie case sono circa un milione e 900.000. (R.P.)

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Kenya: dall’Università cattolica alternative nella lotta alla povertà

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Stimolare una riflessione sulle strategie migliori per ridurre la povertà in Kenya. E’ quanto si propone il volume “Paths of Development” pubblicato dall’Università cattolica dell’Africa Orientale (Cuea). Il volume presentato nei giorni scorsi nella sede della Cuea a Nairobi, è il frutto di una ricerca durata due anni, dal 2011 al 2012, in cui sono stati messi a confronto i programmi governativi di promozione dello sviluppo, centrati sul credito agevolato alle iniziative imprenditoriali, e quelli della Chiesa, imperniati piuttosto sulla solidarietà e sulla promozione di gruppi di auto-aiuto nelle comunità locali.

Rivedere le politiche economiche
I risultati della ricerca condotta dalla Cuea in collaborazione con la Federazione Internazionale delle Università Cattoliche Ifcu e altri organismi pubblici e cattolici, indicano che il compito di sradicare la povertà richiede l’azione coordinata di diverse organizzazioni, ma anche che le strade alternative proposte dalla Chiesa possono essere più efficaci. E’ quanto ha evidenziato alla presentazione del libro mons. Zacchaeus Okoth che ha quindi esortato il governo keniano a rivedere le sue riforme economiche per la lotta alla povertà.

La carità quale strada alternativa nella lotta alla povertà
Per sradicarla occorre affrontare i problemi che la alimentano, ha sottolineato il presule ricordando in conclusione che la carità è una parte vitale della missione della Chiesa e che il bene comune richiede una condivisione di valori, oltre che di ricchezze. (L.Z.)

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Colombia: la famiglia al centro della plenaria dei vescovi

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“La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa pellegrina in Colombia”: sarà questo il tema principale della 98.ma plenaria dei vescovi colombiani (Cec), che si terrà a Medellin dal 3 al 7 febbraio prossimi. Un argomento che, naturalmente, evoca quello del 14.mo Sinodo generale ordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano il prossimo ottobre, e dedicato, appunto, a “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

Ascolto della realtà e discernimento della Parola
“Nel corso dei lavori – spiega padre Juan Álvaro Zapati, coordinatore del Centro pastorale per la comunione ecclesiale – i vescovi identificheranno le sfide della famiglia e ne definiranno le linee pastorali, cercando anche un contributo comune da portare al Sinodo”. Il metodo che seguirà l’assemblea sarà dunque quello de “l’ascolto della realtà, il discernimento della Parola di Dio e la pianificazione pastorale”.

Testimonianze di coppie di coniugi
Numerose le conferenze, i gruppi di lavoro ed i seminari in programma; in particolare, la Cec informa che si terrà un panel in cui si ascolteranno le testimonianze di coppie di coniugi, fidanzati, separati risposati, ma anche di una coppia di fatto. Un ulteriore spazio sarà dedicato a laboratori dedicati a temi specifici, come il progetto educativo familiare, l’accompagnamento prima e dopo il matrimonio, il problema delle violenze domestiche e le questioni giuridiche. L'assemblea si terrà nel Seminario missionario “Redemptoris Mater” dell’arcidiocesi di Medellin. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 20

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.