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Sommario del 18/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Manila, 7 milioni alla Messa. Papa: difendere famiglia da attacchi insidiosi

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Circa sette milioni. Tante sono le persone di Manila che hanno voluto partecipare alla Messa conclusiva del settimo viaggio apostolico di Papa Francesco. La capitale delle Filippine ha superato se stessa, 20 anni dopo la Gmg di Giovanni Paolo II. A questo immenso popolo di fedeli, Papa Francesco ha chiesto ancora una volta di farsi promotore del Vangelo nel Paese e in Asia, perché la bellezza del mondo creato da Dio non sia sfregiata da ingiustizie, corruzione e abusi. La cronaca della celebrazione nel servizio del nostro inviato, Alessandro De Carolis

C’è un Santo Niño a fianco nel bimbo di 5-6 anni, che saltella allegro e sudicio come i suoi calzoncini vicino alla riva di una pozza putrida, fatta di spazzatura galleggiante. C’è un Santo Niño accanto all’uomo che dorme confuso tra le piante del lungomare, per materasso la sua bicicletta perché così nessuno gliela porta via. C’è un Santo Niño accanto a ognuno dei fantasmi della Manila che nessuno vede, schermati alla vista dai palazzoni di 20 piani, giganti di un mondo fortunato che si vergognano del Golia coperto di stracci che gli si annida alle spalle.

Il mondo non va sfigurato
Ma questi “rifiuti” sociali oggi, a Manila, sono saliti sull’altare di Francesco, davanti a milioni e milioni di occhi, idealmente evocati – e certamente chissà quanti mischiati tra la folla – dal Papa delle periferie, che è venuto di persona a dire loro che il Santo Niño è un piccolo Bambino che li ama col cuore di un Dio e che li vorrebbe – ripete Francesco all’omelia – abitanti del mondo come fu creato, uno “splendido giardino”, e non quello “sfigurato dal peccato”, autore di “strutture sociali che hanno reso permanente la povertà, l’ignoranza, la corruzione”:

“Sometimes, when we see the troubles…
Qualche volta, vedendo i problemi, le difficoltà e le ingiustizie, siamo tentati di rinunciare. Sembra quasi che le promesse del Vangelo non si possano attuare, siano irreali. Ma la Bibbia ci dice che la grande minaccia al piano di Dio per noi è ed è sempre stata la menzogna. Il diavolo è il padre della menzogna. Spesso egli nasconde le sue insidie dietro l’apparenza della sofisticazione, il fascino di essere 'moderni', di essere ‘come tutti gli altri’”.

La famiglia ha bisogno di essere protetta
Vent’anni dopo Giovanni Paolo II, anche la Messa che conclude nello stesso luogo della storica Gmg, il Rizal Park di Manila, il viaggio apostolico di Francesco si offre con dimensioni smisurate. Quella che si vede dall’altare è una città intera trasformata in una chiesa dalle mille navate, tante quante sono le pareti umane che ridisegnano l’enorme spazio che le contiene, e con un senso di preghiera genuina, senza distrazioni, che sembra impossibile per quanto risulta denso in un contesto simile. Per Manila e i filippini è il giorno perfetto: con loro c’è il Papa ed è la festa del loro protettore, il Santo Niño, Gesù Bambino. Anche Lui, ricorda Francesco, ha avuto chi lo ha custodito, ha avuto una famiglia, una mamma e un papà:

“So he reminds us of the importance…
In tal modo Egli ci ricorda l’importanza di proteggere le nostre famiglie e quella più grande famiglia che è la Chiesa, la famiglia di Dio, e il mondo, la nostra famiglia umana. Oggi purtroppo la famiglia ha bisogno di essere protetta da attacchi insidiosi e da programmi contrari a tutto quanto noi riteniamo vero e sacro, a tutto ciò che nella nostra cultura è più nobile e bello”.

Una società degna dei giovani
E sacro e bello, proprio come il Santo Niño, sono tutti i bambini che senza protezione, dice il Papa, semplicemente non possono vivere:

“We too need to protect, guide and encourage…
“Anche noi abbiamo il compito di proteggere, guidare e incoraggiare i nostri giovani, aiutandoli a costruire una società degna del suo grande patrimonio spirituale e culturale. In modo specifico, abbiamo bisogno di vedere ogni bambino come un dono da accogliere, da amare e da proteggere. E dobbiamo prenderci cura dei giovani, non permettendo che siano derubati della speranza e condannati a vivere sulla strada”.

"Santo Papa, veniamo con te!"
La conclusione della Messa è un momento di grande commozione. Il cardinale arcivescovo di Manila ringrazia il Papa per i suoi tre giorni passati insieme e assicura:

“You often end meetings and encounters…
Spesso lei conclude riunioni e incontri dicendo: ‘Vi chiedo di pregare per me’ (in italiano). Noi filippini promettiamo: pregheremo per Lei”.

“Santità, lei è Benedetto”, prosegue il cardinale Tagle rivolto a Francesco, “Gesù prega per Lei. E noi, i suoi amati filippini, ci uniamo a Gesù nella preghiera per Lei rivolta a Dio Padre”:

“Every Filipino wants to go with you…
Ogni filippino vuole venire con Lei, ma non abbia paura: ogni filippino vuole venire con Lei, ma non a Roma: nelle periferie!”.

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Papa Francesco ai giovani: imparate a piangere e amare

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Non temete di piangere, non trasformatevi in giovani da museo, imparate ad amare, lasciatevi sorprendere da Dio, imparate l’umiltà dai poveri. Sono queste le esortazioni rivolte da Papa Francesco agli oltre 30 mila giovani durante l’incontro nel campo sportivo dell’Università di Santo Tomas a Manila. Prima di rispondere alle domande di alcuni ragazzi, il Santo Padre ha chiesto di pregare per Chrystel, la giovane di 27 anni morta a causa del crollo di un’impalcatura prima dell’inizio della Messa a Tacloban. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

La realtà è superiore all’idea, ai fogli di carta già disposti sul leggio. Volgendo lo sguardo verso i giovani, Papa Francesco sostituisce il testo preparato per l’incontro con parole pronunciate a braccio, in spagnolo, e precedute da un toccante abbraccio. Quello con una bimba scoppiata a piangere che, dopo aver raccontato la sua esperienza di vita per strada, rivolge piangendo questa domanda al Papa: perché i bambini soffrono?

Imparare a piangere
“Quando il cuore è pronto ad interrogare se stesso e a piangere – ha risposto il Santo Padre dopo aver sottolineato che “le donne sono capaci di porre domande che gli uomini non sono capaci di capire” – saremo in grado di comprendere qualcosa. “La compassione ‘mondana’ - ha aggiunto - non serve a nulla”. Si deve imparare a piangere, “nel mondo di oggi manca la capacità di piangere”:

“Loran los marginados, lloran aquellos…
Piangono gli emarginati, gli esclusi, coloro che vengono scartati ma quelli che hanno una vita senza particolari necessità – ha osservato il Papa - non sanno piangere”. “Alcune realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi lavati dalle lacrime”:

 “Los invito a que cada uno se pregunte …
“Così – ha detto - invito ciascuno di voi a chiedersi: ho imparato a piangere? Ho imparato a piangere quando vedo un bambino che è affamato, un bambino drogato, un bambino che non ha casa, un bambino abbandonato, un bambino abusato, un bambino sfruttato dalla società?”.

Gesù – ha ricordato il Papa – pianse in diversi momenti della sua vita e soprattutto nel suo cuore:

“Si vos no aprendes a llorar no sos un buen cristiano … 
Se non imparate come si piange – ha affermato - non potrete essere buoni cristiani”.

Imparare ad amare
Un giovane ha poi chiesto al Pontefice come ascoltare la voce di Dio al tempo di Internet. Il Papa ha risposto sottolineando che “corriamo il rischio di vivere accumulando informazioni”, di trasformarci in “giovani da museo”.

“No necesitamos jóvenes museos sino jóvenes sabios.…
Non abbiamo bisogno di giovani museo – ha detto - ma di giovani saggi”. La vera sfida è “imparare ad amare”:

 “Y este es el desafío que la vida te pone a vos hoy …
E’ questa la grande sfida della vita, imparare ad amare. Non solo accumulare informazioni, senza sapere cosa farne. E’ solo attraverso l’amore che questa informazione diventa feconda”. Per questo il Vangelo ci propone un cammino usando tre linguaggi: quelli della mente, del cuore e delle mani. Per essere saggi – ha detto - usate questi tre linguaggi: “pensate, sentite ad agite”.

Lasciarsi sorprendere da Dio
“Lasciamoci sorprendere da Dio – ha poi affermato il Papa – e rifiutiamo la psicologia del computer che ci fa pensare di sapere tutto”. “Sul computer si trovano tutte le risposte sullo schermo ma nessuna sorpresa”. Dio invece “si manifesta attraverso la sorpresa”:

“¡Déjate sorprender por Dios! No le tengas miedo a las sorpresas...
Lasciatevi sorprendere da Dio. E non temete le sorprese, ha aggiunto il Papa ricordando l’esempio di San Francesco che “morì con le tasche vuote, ma con un cuore stracolmo”.

Imparare a mendicare
Il Pontefice ha esortato infine i giovani ad imparare a ricevere l’umiltà dai poveri:

“Aprender a mendigar de aquellos…
Imparare a mendicare da coloro ai quali date. Non è facile da comprendere. Imparare a mendicare. Imparare a ricevere dall’umiltà di coloro che aiutiamo. Imparare ad essere evangelizzati dai poveri”.

Papa Francesco si è rivolto ai giovani incontrati nell’Università Santo Tomas parlando a braccio in spagnolo. Nel discorso non letto, in inglese, il Santo Padre ricorda ai giovani filippini tre priorità per dare un significativo contributo alla vita del Paese: preservare l’integrità morale, avere cura dell’ambiente, assistere i poveri. Dal Santo Padre anche l’incoraggiamento a rinnovare la società e a costruire un mondo migliore, ad essere testimoni gioiosi “dell’amore di Dio”.

Sfida all’integrità morale
Il primo ambito in cui i giovani possono offrire il loro contributo - sottolinea il Pontefice - è “la sfida all’integrità morale”, accogliendo l’invito “ad essere coraggiosi, a dare “testimonianza profetica della propria fede”: “Non fuggite questa sfida! Una delle più grandi sfide che i giovani hanno di fronte è quella di imparare ad amare… Non abbiate paura di amare! Ma, anche amando, preservate la vostra integrità morale”.

Cura dell’ambiente
Un secondo ambito nel quale i giovani filippini sono chiamati a dare il loro contributo – osserva il Papa - consiste “nell’avere cura dell’ambiente”: “Siete chiamati a prendervi cura del creato, non solo come cittadini responsabili, ma anche come seguaci di Cristo! …Come amministratori della creazione siamo chiamati a fare della Terra un bellissimo giardino per la famiglia umana”.

Cura dei poveri
Un altro ambito nel quale i giovani possono offrire un prezioso contributo – conclude il Santo Padre - “è la cura per i poveri”. C’è sempre qualcuno che si trova “nella necessità, materiale, psicologica, spirituale”: “Ma a tutti voi, specialmente a quelli che possono fare di più io chiedo: per favore fate di più! Per favore, date di più! Quando offrite qualcosa del vostro tempo, dei vostri talenti e delle vostre risorse alle tante persone bisognose che vivono ai margini, voi fate la differenza”.

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Lombardi: accoglienza oltre attese, Francesco guarda all'Asia

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Per un bilancio di questa giornata nelle Filippine ascoltiamo il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Alessandro De Carolis

Francesco guarda all’Asia
R. – Partendo dall’esterno, la cosa che colpisce di più, evidentemente, è la dimensione di questo movimento di popolo verso il Papa e la celebrazione con lui: sembra che sia la più numerosa presenza ad una Eucaristia nella storia, battendo il record di Manila che era già il record precedente, con 4-5 milioni; quest’oggi si è parlato di 6 o 7. Questo dice l’affetto di questo popolo per il Papa. Si sente che il Papa ha un fascino; attrae per il modo di presentarsi, per il fatto di essere la guida di una Chiesa che è tuttora, qui nelle Filippine, molto viva, vivace e sentita dal popolo come un riferimento fondamentale per la sua vita spirituale, ma anche per la sua vita sociale, per il suo modo di essere. Il Papa è stato certamente anche lui colpito da questa attenzione: il Papa dà, ma il Papa riceve. Si sente anche incoraggiato e certamente anche le sue prospettive apostoliche verso l’Asia, che ha intuito essere fondamentali già dall’inizio del suo pontificato, sono certamente rafforzate da questi due viaggi che ha compiuto, quello della Corea e questo dello Sri Lanka e delle Filippine. E quindi, si vede che c’è un’attesa anche da parte di queste grandi popolazioni, di un magistero morale, di un incoraggiamento per il futuro che il Papa riesce a intercettare e a cui riesce a rispondere. Credo che, di per sé, non dobbiamo dimenticare che il momento più profondo di questo viaggio probabilmente è stata la Messa di ieri, cioè la visita a Tacloban, che era l'essere con i sofferenti, con i più poveri dei poveri, vittime del tifone. Però, anche oggi, nella visione delle Filippine, nel suo insieme, l’incontro di ieri è stato assunto in una sintesi più ampia e quindi questo popolo è chiamato ad una speranza di futuro. E’ un popolo che ha una ricchezza di spiritualità, ma che deve anche sapere tradurre questa fede, questa spiritualità in una azione, in un modo in cui anche nella società e nella vita concreta i valori del Vangelo, della solidarietà, dell’attenzione ai poveri diventino operanti in modo da superare le ineguaglianze che il Papa ha definito “scandalose”, ineguaglianze troppo grandi che ci sono anche nella società.

L’incontro col Padre della volontaria morta a Tacloban
D. – La Messa a Tacloban che lei ricordava ha vissuto una pagina drammatica, dopo la Messa, con la morte di questa giovane volontaria per un incidente. Questo episodio ha molto colpito il Papa e c’è stato anche un seguito a questo …

R. – Sì. Naturalmente, quando il Papa ha saputo questo ha subito chiesto di informarsi sulla possibilità di incontrare i familiari di questa persona; il padre si è potuto rintracciare facilmente e oggi è venuto ad incontrare il Papa in nunziatura insieme ad un cugino. Il Papa quindi ha potuto manifestare personalmente la sua partecipazione a questo momento di dolore drammatico di questa famiglia. La mamma non c’era perché lavora a Hong Kong e non è riuscita a tornare in tempo per oggi; tornerà domani. Questo incontro è stato commovente, è stato bello. C’erano sul tavolo, davanti al Papa e a questo padre, questo padre colpito da una grande tragedia, c’erano due foto splendide: una foto di questa ragazza, una ragazza veramente meravigliosa, e una foto di lei da bambina, con i due genitori. Quindi c’era un senso di presenza sorridente di questa ragazza. E la cosa bella che il cardinale Tagle, che ha fatto da interprete, ha potuto dire dopo l’incontro, è che il padre ha testimoniato di essere sconvolto, però di avere potuto poi sentire consolazione per il fatto che sua figlia era morta in un atto di servizio, in un atto di servizio per il suo popolo, perché potesse incontrare il Santo Padre. E questo era per lui di grande consolazione. Naturalmente, manifesta una fede profonda e semplice, che però riesce a superare un’esperienza molto dura dal punto di vista umano ponendola in una prospettiva di speranza e di vita, come è per i cristiani che credono veramente.

Ripartire dai poveri
D. – Finisce il settimo viaggio apostolico del Papa, il suo secondo ritorno in Asia a distanza – in fondo – di pochi mesi. Un bilancio complessivo …

R. – L’accoglienza è stata un’accoglienza grandiosa, un’accoglienza popolare, semplice, spontanea ma superiore ai calcoli, alle attese. Queste strade colme di folla gioiosa, questi incontri con numeri straordinari di persone che accorrono sentendo la bellezza di essere presenti e partecipi a qualche cosa di grande che succede intorno al Papa che per il popolo credente è sempre un segno della presenza di Dio e un aiuto al rapporto con la profondità della vita religiosa. Poi, anche la possibilità di annunciare temi forti, a partire dal tema dei poveri che sta così a cuore  al Papa e dalla loro presenza purtroppo molto evidente, anche, nella società filippina, nel Paese, con la sua situazione, con queste inegualità straordinarie, gravissime, i bambini di strada e così via. Allora, i poveri, la realtà dei poveri, come punto di partenza di riflessione per una conversione, per vedere qual è l’impegno personale che anche i cristiani devono mettere per cercare di creare una società più giusta, più rispondente ai valori di rispetto della persona e una visione coerente con il Vangelo. Punti particolarmente intensi: il dialogo con le famiglie, l’incoraggiamento alla famiglia che è un valore molto sentito dai filippini, e l’incoraggiamento ai giovani, che sono una parte preponderante della società e che sono estremamente dinamici, ma hanno bisogno, anche, di essere orientati, di sentire, di essere accompagnati con un orientamento, con un senso della vita e anche con delle speranze di vita e di impegno. Credo che quindi i punti essenziali di quello che il Papa voleva dire siano stati molto chiari e siano stati facilmente recepiti. Bisogna vedere se, appunto, a parte questo momento, questi giorni brevi di grandissimo entusiasmo ci sarà la capacità di trasferire nella vita una conversione reale, tutta questa esigenza di impegno evangelico che il Papa ci propone.

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Tweet: siamo chiamati ad andare verso i bisognosi e a servirli

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Il Papa ha lanciato dalle Filippine due tweet. Nel primo scrive: “Quante volte dimentichiamo di concentrarci su ciò che conta veramente! Dimentichiamo di essere figli di Dio”.

E nel secondo afferma: “In quanto cristiani, membri della famiglia di Dio, siamo chiamati ad andare verso i bisognosi e a servirli”.

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Settimana unità cristiani. Bianchi: ecumenismo promuove pace

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Al via questa domenica la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema scelto per quest’anno è la domanda che Gesù fa alla samaritana: “Dammi un po’ da bere”. Al microfono di Roberta Barbi ci spiega il tema mons. Mansueto Bianchi, presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo: 

R. – Il senso del tema è questo: la necessità che le nostre Chiese hanno di donarsi reciprocamente le loro specificità. La differenza tra i diversi percorsi ecclesiali, le diverse sottolineature, possono diventare contenuto e occasione di dialogo reciproco, attraverso il quale ciascuna Chiesa dona all’altra la propria acqua, cioè la propria ricchezza.

D. - Il tema è stato sviluppato dai giovani brasiliani…

R. – È stato sviluppato dai giovani brasiliani nel contesto delle problematiche che quella nazione si trova ad affrontare, che sono problematiche di giustizia sociale, di rispetto della destinazione universale dei beni, soprattutto dei beni elementari della vita, primo tra tutti la disponibilità del bene dell’acqua.

D. – A che punto è il dialogo con le altre Chiese cristiane?

R. – Il dialogo con le altre Chiese cristiane è entrato, con l’elezione di Papa Francesco, in una stagione nuova. Ci sono due punte del dialogo che erano molto avanzate: la punta, per così dire, dell’ecumenismo spirituale, come fraternità in atto nelle relazioni tra le Chiese e nelle relazioni tra le persone; l’altra punta avanzata era quella del dialogo teologico.

D. – Cosa possiamo fare noi, ognuno nel proprio piccolo, per la riconciliazione di tutti i battezzati?

R. – Io direi che c’è da fare molto, soprattutto a livello delle nostre Chiese locali, delle nostre comunità cristiane.

D. – Papa Francesco ha chiuso la Settimana di preghiera dello scorso anno dicendo: “Camminare insieme è già fare unità”. È da qui, dunque, che parte il cammino per costruire la pace?

R. – Sì! Il dialogo ecumenico come elemento di promozione di civiltà e civiltà vuol dire pace, vuol dire un nuovo sistema economico, vuol dire nuovi stili e nuovi contenuti di relazioni tra i popoli, tra i Paesi. Il dialogo ecumenico è veramente un punto forte di pace, diventa uno scendere della pace di Dio dentro l’umanità, ma diventa anche un crescere, un maturare della razionalità delle persone, della coscienza delle persone su questo valore.

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Giornata migranti. Perego: frontiere siano strade per unire

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Si celebra questa domenica la 101.ma Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Al centro della riflessione, il messaggio di Papa Francesco sul tema tema “Chiesa senza frontiere, Madre di tutti”. Federico Piana ne ha parlato con mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes: 

R. – In questo momento, per i fatti che sono capitati a Parigi e che stanno capitando anche in altre parti del mondo, ma anche per la situazione economica che esiste nel contesto europeo, il messaggio del Papa è importante, perché ritorna a rileggere la frontiera non come una categoria di esclusione, di divisione di tipo nazionalistico, non legge la frontiera come invito ad un ritorno al controllo delle frontiere del Mediterraneo, ma invita a leggere la frontiera come una strada, una strada per unire le persone e la Chiesa, come una madre che cerca di camminare su questa strada proprio perché le persone non siano divise e non nascano contrapposizioni, discriminazioni e intolleranze.

D. – C’è un passo di questo messaggio, che dice: “La Chiesa allarga le sue braccia per accogliere tutti, senza distinzioni e senza confini, per annunciare a tutti che Dio è amore”. E purtroppo, mons. Perego, dopo questi fatti probabilmente il cuore di molti si è chiuso, mentre il Papa – lo abbiamo ascoltato – chiede di aprirlo questo cuore…

R. – Certamente l’attualità di questo messaggio è proprio quella di essere indirizzato alla nostre comunità, affinché non siano vittime anch’esse della paura, della discriminazione di fronte ad alcuni fatti, ma reagiscano invece con un supplemento di accoglienza, di cittadinanza; con una capacità anche di leggere oltre queste situazioni per riuscire a costruire una sicurezza che nasce dal dialogo, dal dialogo tra le persone, dal dialogo tra le religioni, che sono alcuni dei temi fondamentali oggi su cui costruire effettivamente una sicurezza nel futuro. Come ha recentemente anche affermato il cardinale Tauran: “La religione non è il problema in questo momento, ma è semmai la soluzione al problema”.

D. – E proprio Papa Francesco ricorda che il carattere multiculturale delle società odierne incoraggia la Chiesa ad assumersi nuovi impegni di solidarietà, di comunione e di evangelizzazione. Quali sono secondo lei, mons. Perego, questi impegni nuovi che la Chiesa si deve assumere?

R. – Certamente dei percorsi che aiutino a mettere in relazione le persone. Le nostre comunità sono chiamate ad essere dei laboratori, in cui le persone che provengono anche da storie diverse, da Paesi diversi – se pensiamo all’Italia, da 190 nazionalità diverse – possono ritrovarsi e costruire un cammino comune, possono riconoscersi. L’integrazione passa dal riconoscimento dell’altro, passa attraverso la capacità anche di rispettare e, al tempo stesso, di dialogare con esperienze religiose diverse; ma passa anche attraverso la capacità di costruire dei percorsi che siano dei percorsi anche di accoglienza di persone che arrivano da altri mondi, da altre situazioni e non di rifiuto e di esclusione; passa attraverso la tutela dei diritti fondamentali delle persone e in Italia, in questo momento, anche del diritto di asilo. La nostra Chiesa, le nostre chiese, le nostre comunità sono invitate dal Papa ad essere laboratori effettivamente capaci di elaborare questi cammini nuovi.

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Oggi in Primo Piano



Niger, proteste contro vignette: chiese incendiate, 10 morti

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Tensione in Niger, dove almeno 10 persone sono morte nel fine settimana durante proteste contro le nuove vignette pubblicate dal settimanale francese Charlie Hebdo. Presi di mira un centro culturale francese e una decina di chiese, date alle fiamme insieme a negozi di proprietà di occidentali. Le autorità hanno condannato le violenze, mentre altri disordini, stamattina, si sono verificati durante una manifestazione dell’opposizione. Il servizio è di Davide Maggiore:  

Le violenze iniziate venerdì a Zinder, seconda città del paese, dove oltre 250 cristiani hanno trovato rifugio in una caserma si sono poi estese alla capitale Niamey, ma anche a Maradi, a 600 chilometri di distanza, e a Gouré, nell’est. Chiese ed altri edifici sono stati incendiati: al loro interno si trovavano la maggior parte delle vittime. Durante gli attacchi alcuni dimostranti – secondo il governo – avrebbero mostrato bandiere della setta nigeriana Boko Haram. “Chi saccheggia i luoghi di culto e li profana, chi perseguita e uccide i suoi compatrioti cristiani o gli stranieri non ha capito nulla dell’Islam”, ha detto ieri in un discorso televisivo il presidente della repubblica Mahamadou Issoufou: la scorsa settimana aveva partecipato alla manifestazione convocata a Parigi dopo l’attacco a ‘Charlie Hebdo’. La vendita della rivista resta però proibita in Niger. Il capo di Stato ha poi invitato tutti i cittadini del Paese, al 98% di religione musulmana, a vivere la fede nella tolleranza e nel rispetto delle credenze altrui. Anche numerosi teologi musulmani locali hanno fatto appello alla calma, ricordando che l’Islam è contro la violenza. Dopo alcune ore di quiete, l’atmosfera è tornata però tesa stamattina nella capitale, dove l’opposizione ha tenuto una manifestazione prevista da tempo ma vietata dalle autorità. La polizia ha sparato lacrimogeni sulle circa 300 persone scese in strada a protestare contro le politiche del governo ed effettuato sette arresti, tra cui quello di un ex ministro.

Sulla situazione a Niamey, abbiamo raccolto la testimonianza di padre Mauro Armanino, sacerdote della Società delle missioni africane, da anni nel Paese: 

Attacchi contro chiese pianificati
R. – Siamo stati invitati a non celebrare le Messe, per motivi di sicurezza, evidentemente, ma anche perché molte chiese sono state comunque danneggiate. Ieri, dopo questa riunione che è stata sciolta, praticamente nei pressi della Grande Moschea, c’è stata questa serie di attacchi, credo già pianificati, perché è impossibile che chiese distanti siano state attaccate quasi in contemporanea da questi gruppi di giovani. Penso che ci sia stata una manipolazione, anche delle frustrazioni dei giovani che si vedevano sulle strade, ieri …

Malessere sociale usato contro minoranza cristiana
D. – Ma da cosa sono causate le frustrazioni di questi giovani?

R. – C’è un malessere di tipo politico che continua ormai da anni e in più, quello che è accaduto in questi ultimi tempi, che in qualche modo è stato un pretesto. E questa è una miscela di tipo esplosivo, credo. Un malessere sociale e politico, senza sbocchi per potersi dichiarare che quindi prende un pretesto ed è orientato verso questa maglia debole che è la presenza cristiana qui, perché rappresenta parte dell’Occidente. Non è che si faccia molto la distinzione tra Francia, cattolici, cristiani, eccetera …

Rischio infiltrazioni Boko Haram
D. – Si parla anche da anni di infiltrazioni del movimento nigeriano Boko Haram: questo per voi è fonte di paura, è un rischio?

R. – Il rischio è visto anche dalle autorità di qui, evidentemente, perché il loro stesso potere sarebbe messo in discussione. Ci sono stati arresti, in passato; le frontiere sono più che permeabili e gradualmente si è instillata – e noi l'abbiamo denunciata più volte – una tendenza che comunque va verso la radicalizzazione, da diversi anni ormai, soprattutto con queste influenze nigeriane.

Non è questo l'islam
D. – Vuole rivolgere un appello a chi ci ascolta?

R. – Innanzitutto, quello di non pensare che questo sia l’islam. Ho ricevuto diversi messaggi, chiamate da parte di amici musulmani che si scusano per quello che sta accadendo e che evidentemente non rispecchia quanto la maggioranza vive. Però, allo stesso tempo si è fatto poco perché questo non accada. E quindi, direi che nell’insieme, a livello di comunità internazionale, ci vorrebbe un percorso che aiuti a ritrovare il senso di una cultura dell’incontro, e non dello scontro.

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Nigeria. Nuovo attentato. Onaiyekan: si fa poco contro Boko Haram

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Nuovo attentato di Boko Haram nel nordest della Nigeria: un kamikaze si è fatto esplodere in un autobus a Potiskum: 4 i morti e 48 i feriti, secondo le prime informazioni. Intanto, sempre nell'ottica del contrasto ai terroristi, il Ciad invierà rinforzi al Camerun per aiutare il Paese nella sua lotta contro i gruppi che continuano a compiere atti di violenza non solo in Nigeria ma anche sul suolo camerunese. Il Parlamento ha autorizzato, venerdì scorso, con voto unanime l’invio di soldati ciadiani. Da mesi ormai i gruppi islamisti terrorizzano le popolazioni e in questi ultimi giorni diverse Ong, tra cui Amnesty International, hanno parlato di veri e propri massacri di uomini, donne e bambini a Baga e nei suoi dintorni, nel Nord-Est della Nigeria. Il cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, capitale del Paese, denuncia – al microfono di Hélène Destombes – i crimini commessi contro l’umanità e si rivolge direttamente alle autorità nigeriane: 

R. – Il s’agit d’un groupe qui commet de graves crimes contre l’humanité...

Si tratta di un gruppo che commette crimini, crimini gravi, contro l’umanità. La situazione è grave. Quello che ci preoccupa è che sembra che il nostro governo, le nostre autorità nigeriane non riescano a vedere chiaramente la situazione. Secondo me, questa è un’incapacità colpevole. E’ terribile che il nostro presidente e tutti coloro che ci governano riescano a fare sonni tranquilli, mentre il Paese si trova in questa situazione. Quelli che ci governano continuano a non fare niente e a vivere come se non fosse accaduto nulla. Non sono i mezzi che mancano: i soldi ci sono, e tanti. Quello che manca è il senso di responsabilità da parte di coloro che ci governano.

D. – Lei vorrebbe una mobilitazione internazionale, come è accaduto nei giorni scorsi dopo gli attacchi in Francia?

R. – Il ne me semble pas qu’il y ait une mobilisation totale de toutes les forces politiques …

Non mi sembra che ci sia stata una mobilitazione totale di tutte le forze politiche del nostro Paese, la Nigeria. Se ci fosse questo, non ci servirebbe nemmeno il sostegno dall’estero. La mobilitazione internazionale che c’è stata a Parigi c’è stata per sostenere una mobilitazione francese, piuttosto evidente. Purtroppo, la mobilitazione nigeriana non è evidente. E lo dico con grande rammarico.

D. – Lei spera che la situazione possa cambiare, evolversi dopo le elezioni presidenziali e legislative del prossimo 14 febbraio?

R. – Si cette élection se déroule bien, oui. Mais il y a un grand problème maintenant. …

Sì, se queste elezioni si svolgeranno in modo corretto. Ma adesso c’è un grande problema. Considerando che queste sono elezioni nazionali e che una grande parte del Paese non potrà assicurare la capacità di votare, quale potrà essere la qualità dei risultati? Questo è il grande problema che noi abbiamo, ora.

D. – Il Ciad ha annunciato il suo sostegno al Camerun, anch’esso colpito dalle violenze commesse da Boko Haram. Saranno tutti i Paesi della Regione, uniti, a dover combattere questa lotta contro i gruppi islamici?

R. – Certainement. Il y a besoin de collaboration parce-que les effectifs de Boko Haram …

Sicuramente. Serve la collaborazione perché gli uomini di Boko Haram, dopo aver commesso i loro crimini in Nigeria, valicano la frontiera e il giorno dopo sono già in Camerun o in Ciad. Nelle strade di alcune città del Ciad, Boko Haram recluta la gente attirandola con il denaro: pagano in dollari. E le persone, che sono senza lavoro, li seguono. Quindi, la situazione è grave. Noi chiediamo agli amici della Radio Vaticana che continuino a pregare per noi affinché il nostro governo riesca a riconoscere la gravità della situazione, affinché possiamo intraprendere non solo la strada militare, ma anche quella del dialogo politico. Così, piano piano, si può incominciare a cambiare la mentalità delle persone che commettono queste atrocità, che non sono solo contro il nostro Paese, ma contro la vita dell’uomo.

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Coppa d'Africa: calcio d'inizio in Guinea Equatoriale

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E' iniziata ieri nello "Estadio de Bata" a Bata, in  Guinea Equatoriale la Coppa d'Africa, giunta alla trentesima edizione. Ad inaugurare il torneo i padroni di casa contro la Repubblica Democratica del Congo: partita finita in parità (1-1). Una passione, quella del calcio in Africa, che supera le guerre che dilaniano alcuni dei Paesi partecipanti ma che non ha superato la paura di ebola. Ad ospitare la Coppa sarebbe dovuto essere il Marocco che ha rinunciato per i timori legati all'epidemia. Francesca Sabatinelli ha intervistato Enrico Casale, giornalista esperto di Africa: 

R. – E’ in queste occasioni che si capisce come un’epidemia di ebola non sia soltanto un’emergenza sanitaria, ma anche un’emergenza che mina le abitudini e il modo di vivere della popolazione. Sarebbe così anche in Europa, a maggior ragione in Africa, un Paese più povero, con sistemi sanitari più problematici, con strutture istituzionali che hanno più difficoltà a contenere questa epidemia. Quindi si capisce come l’ebola abbia non solo ucciso migliaia di persone, non solo messo alla prova questi Stati, ma abbia anche inciso sui rapporti interpersonali, sui rapporti fra gli stessi Stati, con la diffidenza, la paura e questi sentimenti che emergono in queste condizioni difficili.

D. – Sono 16 le nazionali, a incominciare dal Paese ospitante, la Guinea Equatoriale, Paesi che non hanno una situazione interna particolarmente stabile. Possiamo citare il Mali, possiamo parlare della Repubblica democratica del Congo. Insomma, le squadre si trascinano in campo una serie di problemi dei loro Paesi…

R. – Sì. Pensiamo al Mali, che è stato sconvolto da una guerra che ha richiesto l’intervento esterno dell’Onu, e prima ancora della Francia, una guerra che non appare più sui giornali, ma che comunque è ancora viva, soprattutto nel Nord, dove il fondamentalismo islamico controlla intere aree del Paese. Ma poi pensiamo alla Repubblica democratica del Congo, che ha la regione orientale perennemente instabile, ha un’area, penso al Nord Kivu, al Sud Kivu, ricchissima di risorse minerarie, ma proprio per questo instabile, perché gli appetiti su queste risorse minerarie sono elevatissimi. In quelle aree si combatte una guerra non dichiarata tra gli Stati confinanti, per il controllo di queste risorse. Pensiamo anche alla Guinea Equatoriale, un piccolissimo Stato, di cui non si parla mai, ex colonia spagnola, governata da una dittatura che gestisce una ricchezza immensa. Ricordiamo, infatti, che la Guinea Equatoriale è un Paese produttore di petrolio, in cui il livello democratico è ai minimi termini: la popolazione vive nel terrore e nella povertà estrema, perché gran parte dei proventi delle risorse petrolifere finiscono nelle tasche dell’élite.

D. – Accanto ai Paesi che scendono in campo, ce ne sono altri, presenti nelle edizioni passate, ma non a questa edizione. Prendiamo la Nigeria, vincitrice nel 2013, dove gli appassionati avranno addirittura paura a scendere in strada per tifare, perché la violenza di Boko Haram sta imperversando…

R. – Sì, della Nigeria si parla sempre troppo poco. In questo Paese, che è il Paese più popoloso dell’Africa, da anni ormai direi Boko Haram controlla intere zone nell’area occidentale, terrorizzando la popolazione con attacchi sanguinosi, che causano migliaia di vittime con il sogno di instaurare un califfato islamico nel cuore dell’Africa che controllerebbe però anche le grandi risorse naturali. Anche in questo caso alla base c’è la voglia, la necessità di controllare delle risorse, risorse petrolifere in questo caso, di cui la Nigeria è ricchissima.

D. – Ma allora il valore di questo evento sportivo, se c’è, qual è?

R. – Intanto il valore dello sport, che quindi è mettere insieme realtà diverse anche problematiche, ma diverse, in un gioco che affratelli, che unisca. Attorno al pallone ci si unisce: sia tra le tifoserie, quando le tifoserie non sono hooligans, sia in campo, tra nazionali diverse. Ma poi io aggiungerei anche il valore sportivo. In campo scenderanno dei campioni, che sono campioni assoluti. Purtroppo, spesso, non hanno potuto formarsi in Africa e si sono dovuti formare in Europa, ma il fatto che ci siano campioni, penso ad Eto’o, a Drogba, dimostra che in Africa esiste un vivaio calcistico che continua a fornire giocatori di livello elevatissimo. E quindi in campo si vedranno anche questi valori sportivi. Una volta il calcio africano era considerato il calcio “cenerentola” a livello mondiale, adesso no. Molte nazionali, penso per esempio al Camerun, al Sudafrica, alla Costa d’Avorio, al Marocco, alla Tunisia ed Algeria, sono nazionali che in campo si fanno valere, anche contro le nazionali più forti, europee e sudamericane.

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Unioni gay. Gandolfini: iter ddl a insaputa maggioranza italiani

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Prosegue in Commissione Giustizia del Senato l’esame del ddl Cirinnà sulle cosiddette unioni civili. Quattro gli esponenti di associazioni di area cattolica chiamati ad intervenire in audizione di fronte ai senatori: tra loro Massimo Gandolfini, presidente di “Vita È” e  direttore del dipartimento di neuroscienze all'Ospedale di Brescia, che denuncia: il testo omologa le unioni omosessuali al matrimonio, aprendo la strada alle adozioni gay. Paolo Ondarza lo ha intervistato: 

R. – Sono stato chiamato in una delle sedute di audizione insieme ad altri colleghi: quelli che riguardano la nostra area culturale tradizionale, per quello che ne so io, sono numericamente piuttosto ridotti, mentre coloro che sono in linea di massima favorevoli a quanto viene dichiarato nel disegno di legge Cirinnà sono molti di più. Noi siamo stati trattati con molta cortesia, abbiamo potuto dire tutto quello che serviva, non c’è stata bagarre, ma c’è stata una forte contestazione da parte di alcuni senatori. Le audizioni si stanno svolgendo da circa un paio di mesi …

D. – Lavori di cui non si ha molta notizia: eppure, su queste materie si sta andando verso la definizione di una legge?

R. – Sì, il disegno di legge Cirinnà è già composto in maniera completa, con articoli che riguardano: l’articolo 1, le unioni civili e omosessuali, e al titolo 2 che invece riguarda le convivenze di fatto fra soggetto eterosessuali. In base al testo di legge Cirinnà, l’unione civile ha tutte le stesse caratteristiche del matrimonio definito dall’articolo 29 della Costituzione. Cioè, il matrimonio così come lo conosciamo in Italia deve essere esteso alle unioni civili: questo il disegno di legge Cirinnà lo dice chiaramente. Fatta eccezione di quell’unico dato che è l’adozione di minori.

D. – E questo è un dato che può rassicurare?

R. – Per nulla! Tant’è che mi sono permesso, in Commissione giustizia, di dire chiaramente: “Buoni sì, ma stupidi no”, perché sarebbe realmente incostituzionale che – qualora passasse questa legge – le coppie eterosessuali possano adottare e le coppie omosessuali no. Se sono tutti e due a pari livello matrimoni giuridicamente riconosciuti in tutto, è chiaro che sarebbe una legge molto discriminatoria, e quindi incostituzionale quell’articolo che riguarda la mancata adozione di minori.

D. – Dunque, secondo il ddl Cirinnà l’unione civile, di fatto, viene equiparata al matrimonio anche se – si era detto – non ci sarà una vera e propria equiparazione?

R. – Guardi, lo so: io stesso, quando mi sono trovato davanti il disegno di legge che mi è stato mandato perché io poi potessi sollevare le mie obiezioni, ci sono rimasto, perché la voce diffusa era che le cose non stessero così, cioè che in effetti ci fosse una qualche diversificazione. Le assicuro che il testo di legge non parla assolutamente di diversità, da questo punto di vista …

D. – Sono aspetti che dovrebbero essere conosciuti dall’opinione pubblica …

R. – Il testo stesso è un testo che snatura completamente il matrimonio così come noi oggi lo intendiamo. E ho molto insistito, dicendo che questa nuova impostazione è assolutamente incompatibile con quanto dice l’articolo 29 della Costituzione. Cioè, se l’articolo 29 dichiara la famiglia una società naturale fondata sul matrimonio, è chiaro che nei confronti dell’unione civile stiamo parlando di una fattispecie totalmente diversa rispetto a una società naturale e quindi come tale deve essere normata, regolamentata: sono persone assolutamente degne di rispetto, non possiamo fare la figura dello struzzo che mette la testa sotto la sabbia. Ci sono queste situazioni, per carità – mi permetta di dire: numericamente molto ridotte – ma fare una sovrapposizione, anzi, un’assimilazione totale tra l’articolo 29 e una unione civile, è civilmente e giuridicamente inaccettabile.

D. – Quali i prossimi passaggi dell’iter del ddl Cirinnà, e che cosa può fare la gente comune?

R. – I prossimi passaggi saranno che devono portare a termine – se non vado errato – entro giugno il lavoro delle audizioni delle commissioni. Poi, il passaggio in Aula è un passaggio non scontato: dipende dalla volontà del governo di accelerare o di frenare questi tempi. Io sono assolutamente convinto che la stragrande maggioranza della popolazione italiana non sappia come stanno le cose. Sinceramente, speriamo tanto che il popolo italiano che vorrebbe rimanere saldo e fedele all’articolo 29 della Costituzione, faccia sentire nei posti e nei luoghi e con le caratteristiche di democrazia e di non violenza che sono necessarie, ma che faccia sentire la sua voce.

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Premio Chiara Lubich per la fraternità alla città di Cannes

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È stato conferito alla città francese di Cannes il sesto Premio “Chiara Lubich per la fraternità” dell’associazione Città per la Fraternità. La premiazione è avvenuta ieri pomeriggio a Roma, in Campidoglio, nel corso di un convegno sul tema “Dialogo e comunità, quale rapporto con la fraternità?”. C’era per noi Elvira Ragosta

“Il rapporto tra fraternità e comunità, soprattutto cittadine”: questo il tema del convegno che ha esortato a rinsaldare la coesione sociale, pensando globalmente e agendo localmente. “Perché le città - ha spiegato Pasquale Ferrara, segretario dell’Istituto Europeo di Firenze - sono da sempre luoghi di pluralismo e di diversità, dove diverse associazioni collaborano con le istituzioni locali per le risoluzioni dei problemi. E’ proprio dalla riflessione sulla fraternità che nasce il premio Chiara Lubich dell’Associazione Città per la fraternità, assegnato quest’anno alla città di Cannes, per il suo progetto “Vivere insieme a Cannes”, che vede la partecipazione di cittadini laici e religiosi di diverse confessioni impegnati in una serie di iniziative volte alla pacifica convivenza e alla fraternità, come testimonia l'abate cistercense Vladimir Gaudrat:

“La nostra associazione organizza ogni anno un cammino insieme per la pace sulla Croisette a Cannes, che è certamente un luogo famoso… Poi durante tutto l’anno organizziamo diversi incontri culturali, incontri di famiglie anche di diverse religioni per promuovere la pace. Il sindaco di Cannes ha firmato la lettera per partecipare al premio proprio il giorno nel quale c’è stata quella tragedia al giornale Charlie Hebdo, perché  vogliamo mostrare così un altro simbolo:  c’è il simbolo dell’odio e c’è il simbolo della pace e noi vogliamo mostrare il simbolo della pace”.

Sull’importanza della fraternità in rapporto con le città, ha portato la sua testimonianza anche il cardinale João Braz de Aviz, prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata. Il porporato ha ricordato le sue esperienze in Brasile, prima nel Paese natale, dove il senso di fraternità era principalmente sperimentato in famiglia, e poi nella capitale Brasilia, una città complessa, con grandi differenze nella distribuzione delle ricchezze. “Dal Movimento dei Focolari - ha ricordato il cardinale Braz de Aviz - ho imparato l’apertura alla diversità. Che poi ho sperimentato a Brasilia, dove ho iniziato ad allargare il cuore a tutte le diversità. Fino all’arrivo a Roma – ha proseguito il cardinale - dove per me la fraternità significa contatto aperto con tutti. E sulla necessità di riflettere sulla funzione della fraternità abbiamo ascoltato Lina Ciampi, segretaria dell’associazione “Città per la fraternità”:

“In questo momento che vede veramente tanti conflitti aperti, riflettere sulla fraternità e sul dialogo, soprattutto in una comunità che si va trasformando, diventando da locale a globale, con tante sensibilità, religioni, una convivenza proprio multiculturale e interreligiosa, e dedicare un pomeriggio a questo tema e a come si possa creare una nuova coesione ci sembrava molto importante. Cannes ha presentato un progetto dal carattere proprio multiculturale e interreligiose, in cui si interfacciano buddhisti, ebrei, musulmani… Ci sembrava rispondesse proprio molto bene a tutto quello che l’Associazione si propone di fare, avendo fatta sua la fraternità come cardine ispiratore. La fraternità che si rifà al pensiero che Chiara Lubich ha avuto sulla politica, rifacendosi alla fraternità, che insieme all’uguaglianza e alla libertà , aveva ispirato la Rivoluzione Francese”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan. Proteste contro vignette: rischio deriva violenta

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In Pakistan, ma non solo, vi è il rischio concreto "di una deriva violenta" alimentata da movimenti estremisti che "sfruttano e manipolano" la gente, promuovendo manifestazioni "in chiave anti-occidentale" dai toni durissimi. È quanto afferma all'agenzia AsiaNews, Paul Bhatti ex ministro federale per l'Armonia nazionale e leader di All Pakistan Minorities Alliance (Apma), commentando le marce promossa in diverse città del Paese asiatico contro il settimanale satirico francese Charlie Hebdo. In risposta all'attentato in cui sono morte 12 persone, fra cui il direttore e vignettisti di primo piano, la rivista ha pubblicato una nuova copertina con l'immagine di Maometto; tuttavia, la vignetta è finita subito nel mirino di leader estremisti e governi di nazioni a maggioranza musulmana, che hanno parlato di "nuova provocazione" all'islam.

Scontri a Karachi presso il Consolato francese
Venerdì nelle strade di Karachi si sono verificati pesanti scontri fra polizia e dimostranti, che volevano penetrare all'interno del consolato francese per consegnare una lettera di protesta. Gli agenti hanno usato gas lacrimogeni, manganelli e cannoni ad acqua per disperdere la folla. La manifestazione, nella metropoli del sud come in altre città del Pakistan, è stata promossa dal Jamaat-e-Islami, il più importante partito di ispirazione islamista del Paese.

Fotografo dell'Afp in gravi condizioni
Negli scontri sono rimaste ferite alcune persone. Fra questi un fotografo dell'agenzia Afp, raggiunto da colpi di arma da fuoco; operato, egli versa tuttora in gravi condizioni. Secondo quanto hanno riferito fonti della polizia, diversi manifestanti sarebbero scesi in piazza armati e hanno aperto il fuoco "per primi" in direzione degli agenti. In precedenza, con un gesto dal forte connotato simbolico e politico i parlamentari di Islamabad hanno approvato una risoluzione in cui condannano le vignette di Charlie Hebdo su Maometto; diversi membri dell'Assemblea sono scesi in piazza assieme ai cittadini per protestare contro la copertina, ritenendola offensiva.

Ideologia che sfrutta la religione
Interpellato da AsiaNews Paul Bhatti sottolinea che "questa ondata di terrorismo sta investendo tutto il mondo". Da un lato vi è un problema di "libertà di espressione", dall'altro vi è "una ideologia che non ha nulla a che fare con la religione, però sfrutta la fede" per i propri scopi e con finalità terroristiche. Il leader cattolico pakistano pur non approvando vignette che "abusano della libertà di satira" e "anche a me hanno dato fastidio", dall'altro ricorda che è necessario "combattere" quanti usano la religione "per attaccare".

Movimenti estremisti sfruttano ignoranza e povertà
In Pakistan vi è una grande problema di "analfabetismo", spiega il leader Apma, che coinvolge "il 50% della popolazione"; essa "vede nemici in tutto il mondo" e i movimenti estremisti "riescono a catturare la simpatia e il consenso di queste persone, abusando della loro ignoranza, della loro povertà". Il timore di una deriva violenta è concreto, conclude, perché vi sono frange che "vogliono sfruttare queste vicende per fomentare ancor più lo scontro". (D.S.)

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Libia: i combattimenti causano nuovi flussi migratori

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In Libia, dall'inizio dell'anno è in atto una recrudescenza dei combattimenti in diverse città e paesi nella zona orientale, tra cui Bengasi, e ciò ha provocato un incremento delle migrazioni forzate. Molte persone sono dovute fuggire per la quarta o quinta volta, rendendo i numeri difficili da stimare. Tuttavia, nella sola Bengasi il consiglio locale riferisce che sono circa 90.000 le persone che non sono in grado di tornare a casa.

In Libia 400mila sfollati
Le migrazioni forzate si sono concentrate nelle zone di Bengasi, di Derna, e vicino al Golfo di Sirte a Ben Jawad e Ras Lanuf. Questa è solo una delle zone della Libia in cui si verificano fughe di massa. In tutto il Paese si stima che vi siano circa 400.000 persone sfollate. Inoltre, la Libia ospita circa 37.000 rifugiati e richiedenti asilo di nazionalità diverse le cui condizioni umanitarie sono sempre più precarie.

Mancanza di cibo e istruzione
Vicino a Tripoli nella zona occidentale, le stime delle Ong e del consiglio locale parlano di circa 83.268 persone che vivono in insediamenti, scuole ed edifici abbandonati. Molti non sono in grado di garantire ai loro figli l’accesso all’istruzione, soffrono della mancanza di assistenza sanitaria e di una limitata capacità di accedere al denaro per procurarsi il cibo. 
La maggior parte delle persone sono sfollate da oltre 3/6 mesi e un numero crescente di esse vengono ospitate in strutture pubbliche come le scuole. Con l’assottigliarsi dei loro risparmi, non sono più in grado di pagare gli affitti delle abitazioni. I mesi invernali sono particolarmente difficili in quanto le temperature a Tripoli, Bengasi e le città del Sud sono inferiori ai 10 gradi Celsius.

Danneggiati scuole, ospedali e mercati
Nel sud-ovest della Libia, gli sfollati interni provenienti dalla città di Awbari si trovano ad affrontare difficoltà nella loro vita quotidiana, dal momento che i servizi sono stati seriamente danneggiati dai continui scontri tra gruppi tribali rivali. I combattimenti in corso hanno fatto sì che scuole, ospedali e mercati rimanessero completamente inaccessibili. I comitati locali di crisi e le Ong segnalano la scarsità di combustibile, elettricità, acqua e cibo, e inoltre riferiscono la presenza di 18.492 persone sfollate provenienti da Awbari in 6 città: Sabha, Wadi Shati, GiFra, Ghat, Murzuq, e Lewenat.

Aiuti alle famiglie più vulnerabili
Negli ultimi sette mesi, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha distribuito articoli per far fronte all’inverno e generi non alimentari a 27.940 persone a Tripoli e in altre città occidentali, compresi i membri della comunità Tawarga sfollati dal 2011.(R.P.)

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Thailandia: la Chiesa in festa per i 350 anni di vita

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Nel 2015 la Chiesa cattolica thai vivrà l'anno giubilare, celebrando due eventi storici per l'intera comunità locale: i 350 anni del Sinodo di Ayuthaya, nell'allora regno del Siam, dove i missionari francesi hanno gettato le basi della moderna Chiesa cattolica thai. Il secondo, invece, è il 50mo anniversario dell'elevazione di Bangkok da "vicariato apostolico del Siam" al grado di "diocesi", il 18 dicembre 1965, per decisione dell'allora pontefice Paolo VI. L'anno giubilare - riferisce l'agenzia AsiaNews - si è aperto il 6 dicembre scorso, con una solenne celebrazione eucaristica presieduta dall'arcivescovo di Bangkok, il neo cardinale Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij. Alla cerimonia, tenuta al centro pastorale di Baan Phu Waan, distretto di Samphran, provincia di Nakhon Prathom, hanno partecipato il nunzio apostolico in Thailandia, Cambogia, Myanmar e Laos mons. Paul Tschang In-Nam, assieme a decine fra vescovi e sacerdoti.

Occasione per rinsaldare la fede
Per i vertici della Conferenza episcopale thai (Cbct) l'anno sarà occasione per sacerdoti, religiosi, laici (uomini e donne) per rinsaldare la fede e rafforzare i legami all'interno della comunità. I vescovi indicano tre passi per vivere a fondo il Giubileo della Chiesa locale: guardare al momento presente, ascoltare la parola di Dio e promuovere l'amore reciproco, conducendo una vita secondo i dettami dei discepoli di Gesù.

Promozione dell'unità del popolo di Dio
Nel piano pastorale per il quinquennio 2010/2015 i vescovi hanno sottolineato i concetti di "unità" del popolo di Dio, nel compito comune di promuovere "amore" e di "seguire e annunciare la parola di Gesù Cristo". I prelati chiedono anche una maggiore "partecipazione dei cattolici alla vita della comunità", partendo dal rafforzamento delle Comunità ecclesiali di base (Bec), quali "segno vivente" in ogni parrocchia di una "cultura dell'amore" e "strumento di evangelizzazione".

Sinodo di Aytthaya
L'anno giubilare diventa così "opportunità" per "purificare la mente" e "mettere in pratica" gli insegnamenti di Gesù nella vita quotidiana. Ad aprile si terrà inoltre un nuovo Sinodo di Aytthaya, 350 anni dopo l'incontro che ha gettato le basi della Chiesa in Thailandia, secondo il tema "Seguaci di Gesù, una vita per l'annuncio della Buona Novella".

Insieme cattolici e buddisti
Alla cerimonia di apertura dell'anno santo, nel dicembre scorso, hanno partecipato cattolici e buddisti, vivendo momenti di preghiera comune e iniziative per la promozione del dialogo interreligioso. Nel contesto della giornata, un gruppo di giovani ha proposto canti e preghiere in versi secondo il modello di Taizé e ricordato che Dio è amore per tutti. Intervistata da AsiaNews una buddista di nome Korakot Busabong, 20 anni, presente alla giornata ha sottolineato che "è la prima volta che partecipo a una Messa, e mi sento "entusiasta ed emozionata"; per la ragazza è stata "una bellissima esperienza". Parere condiviso dal 18enne cattolico Pattawalin Sitthichotepatcharaku, che ricordando i problemi e le difficoltà (politiche e sociali) che hanno caratterizzato la società thai dell'ultimo periodo, avverte che è tempo "di perdono", di "correzione" e di "riconciliazione".

I cattolici thailandesi lo 0,1%
La presenza dei cattolici in Thailandia - nazione a larga maggioranza buddista - ha una percentuale davvero esigua, appena dello 0,1% su una popolazione totale di 66,7 milioni di abitanti, ma è ricca di vitalità e spirito di iniziativa soprattutto nel sociale e nel settore dell'istruzione. (W.K.)

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Usa. Scuole cattoliche: comunità di fede, conoscenza e servizio

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La “Settimana nazionale delle Scuole cattoliche 2015” si svolgerà nelle diocesi di tutti gli Stati Uniti d’America dal 25 al 31 gennaio, sul tema “Le scuole cattoliche: comunità di fede, conoscenza e servizi”, concentrando l’attenzione sull'importante contributo accademico, di fede e sociale fornito da un'educazione cattolica.

Scuole cattoliche per la missione della Chiesa
La Conferenza episcopale degli Stati Uniti - riferisce l'agenzia Fides - riporta le parole dell'arcivescovo di Omaha (Nebraska), mons. George Lucas, presidente della Commissione della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) per l'istruzione pubblica: "Le scuole cattoliche sono un aspetto vitale della missione della Chiesa di predicare il Vangelo di Gesù Cristo, e quindi anche un aspetto importante della nostra missione di insegnare". Il loro ruolo è importante anche nel contesto della nuova evangelizzazione, secondo le linee indicate da Papa Francesco.

Oltre 2 milioni di studenti in 6.600 scuole cattoliche
Sono circa 2,1 milioni gli studenti attualmente educati nelle quasi 6.600 scuole cattoliche nelle città, periferie, piccole città e comunità rurali di tutto il Paese. Gli studenti ricevono una formazione che li prepara ad affrontare le sfide dell’istruzione superiore e di un ambiente di lavoro competitivo. Si stima che circa il 99% degli studenti delle scuole cattoliche riesce a concludere le scuole superiori e l’85% dei diplomati si iscrive ad un college. (C.E.)

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Messico: preparativi per la Giornata del giovane credente

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Sono circa 2mila i ragazzi attesi al Seminario minore di Huipulco, a Città del Messico, per la Giornata del giovane credente che la Chiesa messicana celebra il 7 febbraio. La giornata, informa il sito web della Conferenza episcopale locale, sarà scandita da momenti formativi e di riflessione su alcuni temi importanti per i ragazzi: famiglia, lavoro, giustizia, ma anche migrazioni, salvaguardia del Creato e vita spirituale.

Giornata in memoria di San Filippo di Gesù
La scelta del 7 febbraio non è casuale: quel giorno, infatti, la Chiesa celebra la memoria di Filippo di Gesù, primo Santo messicano e il Patrono della gioventù del Paese. Religioso francescano, nato da genitori spagnoli nel Messico, Filippo aveva avuto una giovinezza molto inquieta: ammesso nell'Ordine Francescano, ne era uscito per rientrarvi nuovamente a Manila. Giunto in Giappone, il 5 febbraio 1597 fu crocifisso a Nagasaki insieme con altri martiri e fu il primo ad essere trafitto. Fu canonizzato da Pio IX l'8 giugno 1862.

Nel 2016, Congresso eucaristico diocesano
La Giornata del giovane credente, giunta alla quarta edizione, farà anche da preludio ad altri due importante appuntamenti: un corso di preparazione per i responsabili dei gruppi giovanili cattolici, che la Chiesa locale ha intenzione di avviare la prossima estate, ed il Congresso eucaristico diocesano, annunciato dal card. Norberto Rivera Carrera, arcivescovo di Città del Messico, per il 2016.

Card. Rivera: senza giovani, futuro della Chiesa è ‘in bancarotta’
D’altronde, lo stesso porporato, nei giorni scorsi, durante una visita pastorale proprio nella vicaria di San Filippo di Gesù, ha ribadito che “ogni comunità ha la responsabilità di andare incontro alle nuove generazioni, perché il futuro della Chiesa abbia vita e mostri il volto giovane di Cristo”. “Il futuro che ci aspetta se non rafforziamo i ragazzi che desiderano conoscere Cristo – ha continuato il card. Rivera Carrera – è quello della ‘bancarotta’ “. Di qui, l’auspicio del porporato perché la Chiesa abbia nuove vocazioni ed affinché i giovani trovino, in parrocchia, “un ambiente propizio all’incontro con Gesù”, lontano da prepotenze, ipocrisie e competizioni. (I.P.)
 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 18

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.