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Sommario del 04/01/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa annuncia nomina di 20 nuovi cardinali, 15 elettori

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A febbraio, la Chiesa avrà venti nuovi cardinali: questo l’annuncio dato da Papa Francesco al termine dell’Angelus. I nuovi porporati riceveranno la berretta rossa nel Concistoro del 14 febbraio: 15 tra loro sono elettori e “manifestano – ha spiegato il Papa – l’inscindibile legame fra la Chiesa di Roma e le Chiese particolari presenti nel mondo”. Cinque, invece, i titolari emeriti, quindi non elettori, nominati dal Pontefice perché “si sono distinti per la loro carità pastorale nel servizio alla Santa Sede e alla Chiesa”. Il servizio di Isabella Piro: 

I 15 nuovi cardinali elettori, annunciati da Papa Francesco all’Angelus, sono mons. Dominique Mamberti, arcivescovo titolare di Sagona, prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica; mons. Manuel José Macario do Nascimento Clemente, Patriarca di Lisbona (Portogallo); mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel C.M., arcivescovo di Addis Abeba (Etiopia); mons. John Atcherley Dew, arcivescovo di Wellington (Nuova Zelanda); mons. Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona-Osimo (Italia); mons. Pierre Nguyên Văn Nhon, arcivescovo di Hà Nôi (Viêt Nam); mons. Alberto Suàrez Inda, arcivescovo di Morelia (Messico); mons. Charles Maung Bo S.D.B., arcivescovo di Yangon (Myanmar); mons. Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok (Tailandia); mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento (Italia); mons. Daniel Fernando Sturla Berhouet, S.D.B., arcivescovo di Montevideo (Uruguay); mons. Ricardo Blázquez Pérez, arcivescovo di Vallodolid (Spagna); mons. José Luis Lacunza Maestrojuán, O.A.R., vescovo di David (Panamá); mons. Arlindo Gomes Furtado, vescovo di Santiago de Cabo Verde (Arcipelago di Capo Verde); mons. Soane Patita Paini Mafi, vescovo di Tonga (Isole di Tonga).

Servitori della carità
A questi 15 nuovi cardinali elettori, il Papa unirà 5 arcivescovi e vescovi emeriti che, ha detto, “si sono distinti per la loro carità pastorale nel servizio alla Santa Sede e alla Chiesa”. Si tratta di mons. José de Jesús Pimiento Rodriguez, arcivescovo emerito di Manizales, in Colombia; mons. Luigi De Magistris, arcivescovo titolare di Nova, pro-penitenziere maggiore emerito; mons. Karl-Joseph Rauber, arcivescovo titolare di Giubalziana, Nunzio Apostolico; mons. Luis Héctor Villalba, arcivescovo emerito di Tucumán, in Argentina; e mons. Júlio Duarte Langa, vescovo emerito di Xai-Xai, in Mozambico. “Essi rappresentano - ha indicato Francesco - tanti vescovi che, con la stessa sollecitudine di pastori, hanno dato testimonianza di amore a Cristo e al Popolo di Dio sia nelle Chiese particolari, sia nella Curia Romana, sia nel Servizio Diplomatico della Santa Sede”.

I nuovi cardinali concelebranno con il Papa una Santa Messa solenne domenica 15 febbraio, mentre il 12 e 13 febbraio – ha aggiunto il Pontefice – tutti i porporati si riuniranno in Concistoro “per riflettere sugli orientamenti e le proposte di riforma della Curia”. Infine, Papa Francesco ha chiesto di pregare per i nuovi cardinali, affinché “siano testimoni del Vangelo nel mondo e con la loro esperienza pastorale sostengano” il servizio apostolico pontificio.

Cardinali dalle "periferie"
Evidente – spiega in una nota padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana il criterio che ha guidato il Papa nella scelta dei nuovi cardinali, quello dell’universalità: tra elettori ed emeriti, infatti, sono 18 i Paesi del mondo rappresentati. Non solo: tra le 14 nazioni di provenienza degli elettori, 6 non avevano un cardinale o non lo avevano mai avuto, come Capo Verde, Tonga o Myanmar, oppure si tratta “di comunità ecclesiali piccole o in situazioni di minoranza”. La diocesi di Santiago de Cabo Verde, ad esempio, “è una delle più antiche diocesi africane”, mentre quella Morelia in Messico si trova  “in una regione travagliata dalla violenza”.

Curia, pochi ruoli cardinalizi
Uno solo, inoltre, il nuovo cardinale della Curia romana, Dominique Mamberti,  perché – continua padre Lombardi – “evidentemente il Papa intende considerare compiti cardinalizi quelli dei Prefetti delle Congregazioni e di poche altre istituzioni importantissime della Curia, come in questo caso il Tribunale della Segnatura”. Allo stesso tempo, “si conferma che il Papa non si ritiene vincolato alla tradizione delle ‘sedi cardinalizie’, motivata da ragioni storiche in diversi Paesi, per cui il cardinalato era considerato quasi ‘automaticamente’ legato a tali sedi”. Per gli emeriti, il direttore della Sala Stampa sottolinea che “la nomina cardinalizia vuole essere un riconoscimento dato simbolicamente ad alcuni, ma riconoscendo i meriti di tutti”.

Infine, padre Lombardi offre qualche dato statistico: “rispetto al numero di 120 elettori, vi erano 12 posti ‘liberi’ nel Collegio oggi o nei prossimi mesi. Il Papa ha superato leggermente questo numero, ma si è mantenuto molto vicino ad esso, cosicché esso è sostanzialmente rispettato”. Il nuovo cardinale più giovane è l’arcivescovo di Tonga, mons. Mafi, (54 anni), che diventa anche il membro più giovane del Collegio cardinalizio; mentre il più anziano è l’emerito di Manizales, mons. Pimiento Rodríguez, 96 anni.

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Francesco: chi fa il male odia la pace, costruitela dovunque

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All’inizio del nuovo anno bisogna “riaccendere nei cuori” la speranza della pace e diventarne tutti costruttori, nei luoghi di ogni giorno. Lo ha chiesto con forza Papa Francesco all’Angelus, ribandendo che la “concordia è sempre possibile”, nonostante vi sia chi lavori nel buio per fomentare la guerra. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

“La concordia è sempre possibile” anche se tanti uomini si riempiono la bocca di parole di luce e di pace, preferendo in realtà buio e guerra. Tre giorni dopo, stesso luogo e parole simili, come di un pensiero che si vuole più che compreso, quasi inculcato.

Papa Francesco prosegue la sua “catechesi” dell’Angelus sulla pace, restando nella scia di quanto affermato il primo gennaio. E riprende un concetto tanto noto quanto costantemente smentito dai resoconti di violenza che ogni giorno abbondano nelle cronache internazionali e cioè che pace non è uguale “ad assenza di guerra” e che “far tacere le armi e spegnere i focolai”, afferma Francesco, è "la condizione inevitabile per dare inizio ad un cammino che porta al raggiungimento della pace nei suoi differenti aspetti”:

“Penso ai conflitti che insanguinano ancora troppe regioni del Pianeta, alle tensioni nelle famiglie e nelle comunità, ma in quante famiglie, in quante comunità, anche parrocchiali c’è la guerra! Come pure penso ai contrasti accesi nelle nostre città e nei nostri paesi tra gruppi di diversa estrazione culturale, etnica e religiosa. Dobbiamo convincerci, nonostante ogni contraria apparenza, che la concordia è sempre possibile, ad ogni livello e in ogni situazione. Non c’è futuro senza propositi e progetti di pace!”.

Chi fa il male odia la pace
Poco prima, riprendendo le parole dell’incipit del Vangelo di Giovanni proposte dalla liturgia del giorno – ma anche guardando al sole brillante e tiepido che avvolgeva la Piazza – il Papa aveva ancora una volta smascherato, giocando con il contrasto luce-tenebre, la grave ipocrisia di tanti grandi del mondo, ma anche di tante persone comuni, di fronte alla pace:

“Gli uomini parlando tanto della luce, ma spesso preferiscono la tranquillità ingannatrice del buio. Noi parliamo tanto della pace, ma spesso ricorriamo alla guerra o scegliamo il silenzio complice oppure non facciamo nulla di concreto per costruire la pace (...) Chiunque, infatti, fa il male odia la luce! E non viene la luce perché non siano svelate le sue opere (...) Chi fa il male, odia la pace!”.

Mai più sfruttamenti
Ben noto è l’accento che il Papa ha voluto dare al tema della pace nel suo messaggio per il 2015 “Non più schiavi, ma fratelli”. Un tema legatissimo al cuore di Francesco, che guarda all’anno nuovo col desiderio che finalmente “si superi – dice – lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo”:

“Questo sfruttamento è una piaga sociale che mortifica i rapporti interpersonali e impedisce una vita di comunione improntata a rispetto, giustizia e carità. Ogni uomo e ogni popolo hanno fame e sete di pace; ogni uomo e ogni popolo hanno fame e sete di pace, pertanto è necessario e urgente costruire la pace!”.

“Fate” la pace dovunque
Francesco batte fino alla fine sullo stesso tasto, ricordando il cartello esibito dalla folla in Piazza San Pietro il primo giorno dell’anno – “Alla radice della pace c’è la preghiera” – e chiamando soprattutto i cristiani ad agire di conseguenza:

“Deve essere implorato questo dono e deve essere accolto ogni giorno con impegno, nelle situazioni in cui ci troviamo. Agli albori di un questo nuovo anno, tutti noi siamo chiamati a riaccendere nel cuore un impulso di speranza, che deve tradursi in concrete opere di pace. ‘Ma tu non vai bene con questo?’, ‘Fai la pace!’. ‘A casa tua?’, ‘Fai la pace!’. ‘Nella tua comunità?’, ‘Fai la pace!’. ‘Nel tuo lavoro?’, ‘Fai la pace!’ (…) Questi piccoli gesti hanno tanto valore: possono essere semi che danno speranza, possono aprire strade e prospettive di pace”.

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Oggi in Primo Piano



Israele blocca 100 milioni di dollari per l'Anp

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Continua la tensione in Medio Oriente dopo la decisione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) di aderire alla Corte penale internazionale con l’intenzione di incriminare Israele per “crimini di guerra”. Pronta la reazione israeliana: congelati oltre 100 milioni di dollari destinati ai palestinesi, con l’Anp che ha avvertito: senza quei fondi potremmo "sparire". Il servizio di Michele Raviart

“Non permetteremo che i nostri soldati siano portati davanti al Tribunale penale internazionale. Chi dovrebbe essere perseguito sono i dirigenti dell’Anp, che sono alleati con i terroristi di Hamas”. Ancora parole dure da parte del primo ministro israeliano, Benjamin Nethanyahu, sulla richiesta dell’Anp di aderire al Tribunale dell’Aja, dopo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva bocciato una mozione contro l’occupazione israeliana della Cisgiordania.

Accordi di Oslo "finiti". "Atto di pirateria"
Per il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman è la “fine degli accordi di Oslo” del 1993. Ieri, erano stati congelati i fondi delle tasse e dei dazi doganali che il governo israeliano raccoglie ogni mese per conto dell’Autorità nazionale palestinese. “E’ un atto di pirateria, una punizione collettiva e un crimine di guerra”, spiega alla radio militare israeliana il negoziatore palestinese, Saeb Erekat. “Siamo determinati a difendere i nostri diritti in maniera non violenta e nel contesto della visione di due Stati per due popoli”, ha continuato Erebat, che ha spiegato come la fine dell’Autorità nazionale palestinese potrebbe essere annunciata nel prossimo futuro se i fondi non saranno scongelati. Il denaro serve infatti per pagare gli stipendi pubblici e i servizi nei territori occupati. 

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Immigrazione. Hein: fenomeno da accogliere non "contenere"

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Sono tutti salvi i 360 immigrati di nazionalità siriana stipati a bordo del mercantile Ezadeen e soccorsi ieri al largo della costa della Calabria, dopo che gli scafisti hanno abbandonato la loro imbarcazione. Lo sbarco è terminato questa mattina nel porto di Corigliano Calabro, a bordo 54 donne e 74 minori. Sui fenomeni migratori Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i Rifugiati: 

R. – Certamente, siamo di fronte anche alla ricerca – in particolare da parte dei rifugiati siriani – di nuove modalità per arrivare in Europa occidentale, poiché in questo periodo l’attraversamento del Canale di Sicilia è estremamente difficile; la situazione in Libia è sempre quella che è; la via terrestre – Turchia e Bulgaria – è praticamente chiusa… Quindi, è la disperazione della gente che cerca in ogni modo di imbarcarsi.

D. – Si torna a parlare della necessità di missioni più di accoglienza, come era “Mare Nostrum”, piuttosto che di contenimento come è invece “Triton”…

R. – Mi sembra ovvio. Di fronte a ciò che è successo solamente negli ultimi 10 giorni – e devo dire, da quello che si può vedere, che la Marina Militare comunque ha continuato assieme con la Guardia Costiera una importantissima operazione di salvataggio – rimane naturalmente la necessità di un maggiore coinvolgimento dell’Unione Europea, degli altri Stati membri e non solamente nell’operazione “Triton” o “Frontex”, ma in una operazione veramente di salvataggio, con una condivisione della responsabilità a livello comunitario.

D. – Da più parti, a livello internazionale, si continua a sostenere la necessità di punti di aiuto umanitario, vicini ai Paesi da cui si fugge. Però è difficile avviare una strategia globale, perché?

R. – Qualche passo è stato fatto nell’anno 2014: circa 40 mila posti sono stati messi a disposizione anzitutto dalla Germania e con quote minori da tanti altri Paesi europei, per un trasferimento normale, regolare, protetto di rifugiati siriani, specie dal Libano. Questo mi sembra un inizio, ma che certamente – numericamente e quantitativamente parlando – non è ancora sufficiente per rappresentare una vera alternativa, perché il numero dei rifugiati siriani ormai supera un milione di unità. La risposta politica è quella di promuovere veramente vari canali di ingresso regolare, affinché – in particolare i siriani, ma anche rifugiati – abbiano la possibilità di arrivare senza mettere la loro vita a rischio e senza alimentare ancora di più la criminalità organizzata.

D. – Anche se, in questi casi, spesso non è facile riuscire a identificare le persone, capire da dove scappano e quindi capire se rientra nello status di rifugiato oppure no…

R. – Bisogna certamente distinguere le situazioni individuale e questo, a volte, non è facile. Se parliamo di siriani mi sembra evidente, nel caso africano è necessario distinguerlo: se vediamo le statistiche del 2014 i due gruppi maggiori dei quasi 170 mila arrivi via mare in Italia sono formati da siriani e eritrei.

D. – Qual è il suo auspicio per questo 2015?

R. – Dopo ciò che è successo nel 2014, con questo enorme aumento del numero delle vittime nel mare, che questo 2015 sia l’anno di un ri-orientamento dell’Unione Europea e dei singoli Stati membri per affrontare comunemente la responsabilità e quindi realisticamente aprire le porte a un maggior numero di rifugiati, di migranti, di familiari e anche di studenti stranieri.

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Congo: scade l'ultimatum del governo ai ribelli Hutu

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Scaduto l’ultimatum di sei mesi del governo della Repubblica Democratica del Congo ai ribelli di etnia Hutu dell’”Fdlr”, che imperversano nella regione del Kivu. Solo un quinto dei ribelli ha consegnato le armi. “Disarmarli con la forza è ormai inevitabile”, ha affermato il governo in televisione. Intanto, in Burundi un centinaio di combattenti Hutu provenienti dal Congo sono stati uccisi dall'esercito di Bujumbura dopo un combattimento di cinque giorni nel nordovest del Paese. Ma chi sono i ribelli dell'Fdlr e cosa vogliono? Michele Raviart lo ha chiesto ad Enrico Casale, giornalista esperto di questioni africane: 

R. – Questi ribelli sono in gran parte i protagonisti del genocidio del 1994 in Rwanda. Sono quelle forze più estremiste dell’etnia hutu che si sono macchiate di orrendi crimini durante il genocidio. Dopo l’avanzata delle milizie tutsi, che poi hanno preso il potere, questi ribelli hutu sono fuggiti nel vicino Congo.

D. – Le milizie hutu hanno occupato la regione del  Kivu. Qual è la natura di questa occupazione?

R. – Nel Congo si sono comportati in modo violento, perché hanno vessato le popolazioni locali da un lato e dall’altro si sono dedicati ai traffici di oro, carbone, diamanti dal Kivu verso l’estero e con questo traffico si sono arricchiti notevolmente. Sebbene questo movimento abbia chiesto di abbandonare le armi e di tornare a fare politica all’interno del Rwanda, l’attuale governo rwandese ha sempre rifiutato la proposta e qualsiasi mediazione.

D. – Il governo del Congo ha dato un ultimatum di sei mesi, quindi anche abbastanza esteso come tempo: perché non si sono arresi e qual è la forza del governo nel trattare?

R. – Si parla di 1.500 miliziani complessivamente: soltanto 350 circa avrebbero aderito alla proposta del governo congolese. E’ chiaro che l’Fdrl non ha grossi problemi per il sostentamento e probabilmente hanno anche un vantaggio strategico, che gli permette di resistere anche militarmente. Non si sa bene al momento come possa reagire il governo congolese. Qualcuno parla di una possibile offensiva, ma al momento non è ancora chiaro.

D. – Il governo non ha escluso l’uso della forza e si parla anche di un coinvolgimento attivo delle truppe Onu, che sono in Congo da 15 anni…

R. – Le truppe Onu sono già intervenute a sostegno dell’esercito congolese contro le milizie, questa volta tutsi, dell’M23. Io non mi sento di escluderlo in questo momento, anche perché l’esercito congolese non ha una grande organizzazione e non ha una forza tale da potersi opporre in modo serio a queste milizie hutu.

D. – I miliziani dell’Fdrl quindi hanno appoggi esterni, oppure basta lo sfruttamento delle risorse dei territorio che controllano?

R. – Ci sono giochi più grandi in quell’area. Certamente, il loro peggiore nemico è l’attuale presidente rwandese Kagame, presidente tutsi e certamente - come dicevo prima - i ribelli hutu non hanno problemi di finanziamenti per l’acquisto di armi o per l’acquisto di supporti logistici, perché hanno grandi entrate dal traffico di risorse naturali in Congo.

D. – E’ di qualche giorno fa l’appello dei vescovi congolesi alla pace. Qual è il ruolo della Chiesa in questa crisi?

R. – Il ruolo della Chiesa è sempre importante, perché il Congo – così come il Rwanda e il Burundi – sono Paesi cristiani e quindi la parola dei vescovi ha un peso determinante. E’ più un ruolo di guida, di esortazione, che non un ruolo politico veramente effettivo, anche perché questi sono miliziani che rispondono solo a se stessi e quindi sono abbastanza sordi a questi appelli da parte della Chiesa.

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Calo adozioni tra crisi e burocrazia. Caffarra: bimbi, un dono

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Figli adottati e in affido. Una scelta di accoglienza per molte famiglie che aprono la loro casa a minori soli o in difficoltà. I dati degli ultimi anni raccontano di una sensibile diminuzione di queste esperienze. A Bologna, il cardinale Carlo Caffarra è intervenuto in proposito davanti a un centinaio di famiglie coinvolte in questa realtà. Il servizio di Luca Tentori

Adozioni internazionali. Non ci sono ancora i dati definitivi per il 2014, ma la previsione è ancora quella di una drastica riduzione. Un fenomeno allarmante che i numeri raccontano. Nel 2004, nel mondo si registravano 43.800 bambini adottati, scesi fino a soli 16.000 minori nel 2013. In sostanza, un numero più che dimezzato in soli 10 anni. A farne le spese molti dei 168 milioni di bambini adottabili nel mondo. Un fenomeno legato alla crisi economica, alla eccessiva burocrazia e al costo di molte pratiche, ma non solo. Nel campo politico l’adozione vede affrontare momenti difficili anche per il blocco imposto da diversi paesi tra cui Congo, Kenya e Nepal. Ma a cambiare è anche il contesto culturale e le insidie che possono nascondersi dietro la moderna mentalità che si va costruendo in Occidente.

Caffarra: bambino è qualcuno, non qualcosa
A spiegarlo l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, che nei giorni scorsi è intervenuto sull’argomento nella festa della Sacra Famiglia, durante una veglia promossa dalle associazioni Aibi-Amici dei Bambini e “La Pietra scartata” che sono operative da anni nell’ambito delle adozioni. “Oggi sembra di poter dire che il figlio, più che un dono atteso, sia un diritto da programmare”, ha detto il cardinale Caffarra. “Con la vostra testimonianza e con il vostro gesto dite che il bambino non è qualcosa, ma è qualcuno. Non è in funzione della propria autorealizzazione. C’è un progetto su ogni bambino che ha diritto ad avere un padre e una madre”.

Don Luigi Spada, assistente spirituale di Aibi Emilia Romagna, spiega perché la Chiesa è vicina alle famiglie affidatarie e adottive, anche nel cammino doloroso della fertilità:

“Penso che la comunità cristiana, che fa perno nella diocesi e poi concretamente dentro le nostre realtà parrocchiali, si faccia carico delle famiglie Aibi in quanto famiglie a tutti gli effetti. E di conseguenza capaci di vivere il valore della fecondità in tutte le sue dimensioni. E’ un cammino spirituale di accompagnamento e nello stesso tempo di amicizia e di fraternità. La componente essenziale è la testimonianza e la vita cristiana, proprio lì nell’ambiente dove queste famiglie vivono”.

Adozioni e affido, poca attenzione
A parlare della attività di molte associazioni ed enti che operano per le adozioni Giuseppe Salomoni, vicepresidente nazionale di Aibi.

“Il momento non è facilissimo perché c’è proprio questa controcultura contro la famiglia e di conseguenza contro tutto ciò che è famiglia, compresa l’adozione internazionale e l’affido. E’ un’altra tematica molto bersagliata, molto lasciata sola a se stessa. Noi cerchiamo di dare in quest’ambito il nostro contributo”.

"Ci ha adottati lui"
Ma la gioia e la freschezza di un’adozione è nelle parole di Lucia, una madre adottiva che ripercorre la sua scelta familiare.

“Siamo stati noi adottati, io e mio marito da nostro figlio. E quindi l’accoglienza è stata al contrario. Anche perché in questo percorso i bambini ti fanno scoprire della caratteristiche che tu pensi di non avere e non possedere. E’ ovvio che di fronte ci sono anche momenti non brillanti, ci sono momenti tristi, ma i momenti di gioia sono superiori”.

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Matera, in migliaia visitano il grande Presepe vivente

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Sono già oltre 20 mila i turisti arrivati a Matera per l’annuale Presepe vivente che trasforma la città nella Palestina del passato sullo sfondo dei famosi Sassi, Patrimonio Mondiale Unesco dal 1993. Uno spettacolo suggestivo che sarà possibile ammirare tutti i giorni, fino al 5 gennaio, dalle 16 alle 21.30. Il servizio di Corinna Spirito

La Galilea di duemila anni fa prende vita tra i Sassi di Matera per il quinto anno consecutivo. 5 km, 400 figuranti, 100 volontari, migliaia di turisti che hanno acquistato i biglietti in prevendita settimane fa: è il Presepe più grande del mondo e si svolge nei famosi rioni Sassi. Un luogo da sempre amato dagli artisti di tutto il mondo, come ricorda al nostro inviato Luca Collodi, il presidente del comitato di organizzazione del Presepe Vivente, Luca Prisco:

"I Sassi sono le quinte principali. La prima parte del presepe la chiamiamo 'scenografica' ed è a cura del gruppo storico romano. Sono dei' 'tableaux vivants', praticamente una ricostruzione di una Galilea di duemila anni fa. La seconda che è nel Sasso carioso, quello più storico - preso in oggetto come scenografia da Pasolini, Mel Gibson e adesso da 'Ben Hur' (il remake del celebre film - ndr), con questa rievocazione che stanno facendo - è una  ricostruzione della Nazareth di un tempo".

Matera ha scelto bene la sua prima prova come Capitale europea della Cultura per il 2019. Un titolo che per questa città è un traguardo e un punto di partenza, come spiega, al microfono di Luca Collodi, il sindaco Salvatore Adduce:

"È una responsabilità che abbiamo voluto assumerci come comunità ed è stata esattamente questa la chiave più importante che ha aperto le porte a questo risultato fantastico per una città meridionale in un momento difficilissimo della vita del nostro Paese e dell’Europa. Abbiamo attinto ai grandi valori della cultura del territorio, non abbiamo trascurato di mettere a valore la grande tradizione religiosa di questo luogo. Lo abbiamo inserito a pieno titolo del percorso di candidatura. Non ci siamo fatti prendere da una sorta di deriva laicista. Abbiamo voluto lavorare su questo doppio valore: grande attenzione alla tradizione e grande sguardo verso la creatività. L’idea è quella di dire che dal Sud nasce un’idea di offerta pensando che ognuno ha invece delle risorse, delle energie, soprattutto quelle umane, di persone che vogliono progredire.

Il suggestivo Presepe, che dimostra il grande potenziale artistico e culturale di Matera e di tutto il Sud, sarà visitabile fino al 5 gennaio dalle 16 alle 21,30.

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Nella Chiesa e nel mondo



Filippine: incontro di sacerdoti per la visita del Papa

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“Una Chiesa povera a servizio dei poveri, il cuore di Francesco”: questo il tema dell’incontro dei sacerdoti diocesani di Manila, in programma domani, nel Centro pastorale San Cubao di Quezon City. L’evento si terrà in preparazione alla visita del Pontefice nelle Filippine, che si terrà dal 15 al 19 gennaio. In particolare, il 16 gennaio Papa Francesco celebrerà una Santa Messa con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose nella Cattedrale di Manila, intitolata all’Immacolata Concezione.

Misericordia e compassione, non mera filantropia
Il viaggio del Pontefice nelle Filippine segue quello in Sri Lanka, Paese nel quale il Papa si recherà dal 12 al 15 gennaio, e ha come motto “Misericordia e compassione”. “La misericordia e la compassione che ci vengono richieste – spiegano i vescovi filippini sul loro sito web www.cbcpnews – non sono tanto quelle indirizzate verso coloro che si trovano nella miseria materiale, quanto quelle rivolte a chi ha profonde difficoltà morali e spirituali, ovvero i deboli e gli smarriti”. Essere misericordiosi e compassionevoli, dunque, significa guardare “alla vita  ed alla missione redentrice di Cristo che è venuto per i peccatori, che ci ha insegnato ad amare i nostri nemici ed ha offerto la sua vita sulla Croce per tutti i peccati degli uomini”.

La carità non è un dovere
“Non basta – sottolineano ancora i presuli – avere buone intenzioni nei confronti del prossimo o compiere un gesto di carità che si limiti alla filantropia”: la vera misericordia e la vera compassione consistono nel rapportarsi all’altro con “amicizia e fiducia”, vivendo la carità non “come un dovere”, bensì secondo l’atteggiamento della povera vedova del racconto evangelico, colei che, “pur nella sua povertà, ha dato tutto quanto aveva per vivere”. (I.P.)

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Vescovi Usa-Ue in Terra Santa in aiuto a opere di solidarietà

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Sarà dedicata alle persone sofferenti e vulnerabili in Terra Santa il 15° incontro dell’"Holy Land Coordination" (Hlc), organismo che raggruppa vescovi e rappresentanti delle Conferenze episcopali di Usa, Ue e Canada, assieme a quelli del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee) e alla Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea).

Da Betlemme visite a Gaza, Hebron e Sderot
L’evento - riferisce l'agenzia Sir - avrà luogo a Betlemme dall'11 al 15 gennaio prossimi con un programma che prevede, tra le altre cose, la visita a Gaza e alla locale comunità cristiana, a Hebron e alla città israeliana di Sderot. A Betlemme i membri dell’Hlc avranno modo di conoscere alcune realtà impegnate nel campo della solidarietà rivolta in modo particolare ai bambini.

Pellegrinaggio non a fini politici
Durante i lavori i vescovi faranno un sopralluogo nella valle di Cremisan minacciata dal muro israeliano al quale si oppongono gli abitanti del villaggio cristiano di Beit Jala. 
“I vescovi - si legge in una nota dell’Hlc - non si recano in Terra Santa per chiedere privilegi per i cristiani e nemmeno per motivi politici, sebbene l’incontro li ponga di fronte a problemi di questo genere. La motivazione pastorale resta essenziale e il pellegrinaggio e la preghiera sono la ragion d’essere di questo incontro annuale insieme col lavoro di persuasione che i presuli sono chiamati a fare una volta tornati in patria, sensibilizzando governi e opinione pubblica sulla situazione in Terra Santa e dei cristiani locali”. (R.P.)

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Pakistan: il 2015 proclamato “Anno della Pace”

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Eminenti organizzazioni impegnate a promuovere il dialogo interreligioso in Pakistan hanno proclamato il 2015 “Anno della Pace”. Lo riferisce all’agenzia Fides il frate francescano, padre Francis Nadeem, provinciale dei Cappuccini in Pakistan, promotore del Consiglio per il Dialogo Interreligioso nato a Lahore, capitale della provincia del Punjab pakistano.

Preghiera per la pace e contro il terrorismo
Il Consiglio per il Dialogo interreligioso, il forum “United Religious Initiative”, la “Peace Foundation”, il movimento islamico “Minjah-ul-Quran” hanno dichiarato solennemente di osservare il 2015 come “Anno della pace”. La dichiarazione è stata letta e diffusa nel corso di un incontro di preghiera interreligiosa intitolato “Preghiamo per il Pakistan”, guidato da padre Nadeem e dal leader islamico sufi Pir Shafaat Rasool a Lahore. L'obiettivo dell’incontro e di tutto l’Anno della Pace sarà quello di pregare e operare per la pace, la solidarietà, la riconciliazione, l'armonia interreligiosa e l'eliminazione del terrorismo dal Paese.

La preghiera di San Francesco
I partecipanti, accendendo insieme un cero, si sono impegnati a rinnovare gli sforzi nel perseguire la pace in Pakistan a tutti i livelli, sensibilizzando le coscienze, i membri delle proprie organizzazioni e tutti i cittadini. Soprattutto, hanno rinnovato la promessa di continuare a pregare insieme per la pace e l’armonia nel Paese. Nel 2015, tutti si impegneranno a organizzare seminari, conferenze, marce, iniziative culturali, concorsi per bambini, incontri interreligiosi “in modo che il nostro amato Paese diventi una culla di pace e tutti i cittadini vivono senza paura, contribuendo al progresso e alla prosperità”. I presenti, leader cristiani e islamici, hanno anche recitato insieme la preghiera attribuita a San Francesco d'Assisi “Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace”. (P.A.)

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Iraq: uccisi 47 miliziani dell'Is. Nuovo video di Cantlie

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Almeno 47 miliziani dello Stato Islamico sono stati uccisi e altri 73 feriti dagli attacchi della coalizione internazionale nella regione di Anbar, nell’ovest dell’Iraq. Distrutti anche 24 veicoli, di cui sette corazzati. Diffuso poi un nuovo video di propaganda, questa volta da Mosul dell’ostaggio britannico John Cantlie, rapito dai jihadisti in Siria dal 2012. Nelle immagini parla della città, conquistata dallo Stato Islamico lo scorso giugno, e accusa i media occidentali di dare una visione “ingannevole” dell’occupazione jihadista. Intanto, a Baghdad visita del premier australiano, Tony Abbott. “La guerra contro il terrorismo non coinvolge solo l’Iraq, ma il mondo intero”, ha affermato. (M.R.)

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Indonesia. Maltempo la causa del disastro dell'Air Asia

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Il maltempo è stato la causa decisiva del disastro dell’aereo Air Asia, caduto nel mare di Giava lo scorso 28 dicembre, uccidendo 162 persone. Lo ha indicato l’agenzia meteorologica indonesiana, che parla di un possibile stallo dei motori dovuto al gelo. Recuperati altri quattro corpi – finora ne sono stati ritrovati 34 - e un quinto frammento dell’aereo a largo dell’isola del Borneo. Le operazioni di recupero sono ostacolate dalle forti piogge e dal vento (M.R)

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Macerata-Shanghai: scambio di busti Matteo Ricci-Xu Guangqi

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La Fondazione Padre Matteo Ricci e l'Ufficio culturale di Xuhui (Shanghai) hanno deciso di cementare la loro amicizia scambiandosi i busti di bronzo di due grandi personalità delle rispettive città: Matteo Ricci, il missionario gesuita che ha aperto un'importante via di evangelizzazione e di dialogo culturale con la Cina, e Paolo Xu Guangqi, mandarino alla corte di Pechino, grande scienziato e discepolo del missionario gesuita.

Busto di Xu Guangqi a Macerata
Il busto di Xu Guangqi, opera di Yang Dongbai - riferisce l'agenzia AsiaNews - verrà consegnato il 24 gennaio alla città di Macerata. Non è ancora stata decisa la collocazione, anche se in molti vorrebbero porre il busto dello scienziato, patriota e cattolico Xu nel giardino davanti alla sede della Fondazione Padre Matteo Ricci a Macerata, sede anche del seminario missionario per la Cina "Redemptoris Mater".

Busto di Matteo Ricci davanti la cattedrale di Shanghai
Il busto di Matteo Ricci, opera dell'artista Emanuele Barsanti, è stato già consegnato lo scorso 7 novembre e con ogni probabilità verrà posto nel giardino-mausoleo di Xu Guangqi, a poche centinaia di metri dalla cattedrale di S. Ignazio a Shanghai. 
Per l'inaugurazione del busto di Xu, a Macerata è atteso anche l'autore, un artista molto famoso a Shanghai, che ha già decorato con alcune statue il mausoleo di Xu Guangqi nella sua città. (Bernardo Cervellera)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 4

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