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Sommario del 28/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: denaro sia al servizio dell'uomo, se comanda lo rovina

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Se il denaro diventa un idolo “comanda le scelte dell’uomo”: oggi invece c’è bisogno di una “qualità nuova di economia”, che sappia far crescere le persone “in tutte le loro potenzialità”. Lo ha sottolineato Papa Francesco, incontrando in Aula Paolo VI circa 7.000 rappresentanti della Confederazione delle cooperative italiane. Il servizio di Giada Aquilino

“In cooperativa uno più uno fa 3” e un fallimento “è mezzo fallimento”. Questa la realtà cooperativa riassunta da Papa Francesco che ha subito sottolineato come il progresso integrale della persona abbia “bisogno certamente di reddito, ma non soltanto del reddito”. Dell’esperienza cooperativa ha ricordato la storia, con cooperative agricole e di credito fondate e promosse già nell’800 da sacerdoti e parroci, e ha menzionato l’importanza riconosciuta ad esse dai suoi predecessori, come Benedetto XVI che ci ha insegnato come il dio-profitto non sia “una divinità, ma è solo una bussola e un metro di valutazione dell’attività imprenditoriale”, laddove il mondo ha bisogno di “un’economia del dono”:

Denaro al servizio dell'uomo
“Quando il denaro diventa un idolo, comanda le scelte dell’uomo. E allora rovina l’uomo e lo condanna. Lo rende un servo. Il denaro a servizio della vita può essere gestito nel modo giusto dalla cooperativa, se però è una cooperativa autentica, vera, dove non comanda il capitale sugli uomini ma gli uomini sul capitale”.

Il lavoro nero specula su chi ha fame
La riflessione di Francesco si è soffermata sul lavoro nero nel mondo di oggi: quanti uomini e donne del personale domestico – si è chiesto – “hanno il risparmio sociale per la pensione”?:

“C’è la coda, la fila di gente che cerca lavoro: se a te non piace a quell’altro piacerà. E’ la fame, la fame ci fa accettare quello che ci danno, il lavoro in nero”.

L’invito del Pontefice - che rifacendosi a Basilio di Cesarea e San Francesco ha definito il denaro “sterco del diavolo” - è stato allora a trovare “forme, metodi, atteggiamenti e strumenti, per combattere la ‘cultura dello scarto’ coltivata dai poteri che reggono le politiche economico-finanziarie del mondo globalizzato”. Perché “globalizzare la solidarietà”, ha spiegato, oggi significa pensare ai disoccupati, ai poveri, allo sviluppo umano:

Persona al centro dell'economia
“Pensiamo ai bisogni della salute, che i sistemi di welfare tradizionale non riescono più a soddisfare; alle esigenze pressanti della solidarietà, ponendo di nuovo, al centro dell’economia mondiale, la dignità della persona umana”.

Rifacendosi a Papa Leone XIII, Francesco ha ricordato che “il Cristianesimo ha ricchezza di forza meravigliosa”. Quindi è necessario perfezionare, rafforzare e aggiornare “le buone e solide realtà” fin qui costruite:

“Però abbiate anche il coraggio di uscire da esse, carichi di esperienza e di buoni metodi, per portare la cooperazione sulle nuove frontiere del cambiamento, fino alle periferie esistenziali dove la speranza ha bisogno di emergere e dove, purtroppo, il sistema socio-politico attuale sembra invece fatalmente destinato a soffocare la speranza, a rubare la speranza, incrementando rischi e minacce”.

Oltre all’impegno nell’agricoltura, nell’edilizia, nell’industria, nel campo del credito e dei servizi in generale, dove il metodo cooperativo si è rivelato “prezioso”, l’incoraggiamento del Santo Padre è stato a continuare ad essere “il motore che solleva e sviluppa la parte più debole delle nostre comunità locali e della società civile”, creando “nuove possibilità di lavoro che oggi non ci sono”.

Il pensiero del Papa è andato ai giovani, alle donne e agli adulti senza lavoro, alle nuove imprese e a quelle in difficoltà, “a quelle che ai vecchi padroni conviene lasciar morire e che invece possono rivivere” come ‘aziende salvate’, di cui il Pontefice si è definito “un tifoso”. Quindi l’esortazione a “realizzare nuove soluzioni di Welfare”, in particolare nel campo della sanità, “un campo delicato - ha aggiunto - dove tanta gente povera non trova più risposte adeguate ai propri bisogni” e dove, col “dono” della carità che non è un “semplice gesto per tranquillizzare il cuore”, “si può entrare nella casa di chi soffre”:

Sanità solidale
“Come sarebbe bello se, partendo da Roma, tra le cooperative, alle parrocchie e agli ospedali, penso al ‘Bambin Gesù’ in particolare, potesse nascere una rete efficace di assistenza e di solidarietà. E la gente, a partire dai più bisognosi, venisse posta al centro di tutto questo movimento solidale: la gente al centro, i più bisognosi al centro”.

Ma quella gente dev’essere pure al centro dell’economia:

“Si corre il rischio di illudersi di fare del bene mentre, purtroppo, si continua soltanto a fare marketing, senza uscire dal circuito fatale dell’egoismo delle persone e delle aziende che hanno al centro il dio denaro. Invece noi sappiamo che realizzando una qualità nuova di economia, si crea la capacità di far crescere le persone in tutte le loro potenzialità”.

Sostegno alle famiglie, giusti salari ai lavoratori
Questo non significa, ha detto Francesco, che “non si debba crescere nel reddito”, ma occorre - ha proseguito - che l’impresa gestita dalla cooperativa cresca davvero “coinvolgendo tutti”. D’altra parte, l’economia non si rinnova “in una società che invecchia”: il movimento cooperativo può quindi esercitare un ruolo importante “per sostenere, facilitare e anche incoraggiare la vita delle famiglie”. Ad esempio aiutando le donne “a realizzarsi pienamente nella propria vocazione e nel mettere a frutto i propri talenti”, in modo che siano “sempre più protagoniste, sia nelle imprese sia nelle famiglie”. Le cooperative si occupano anche di bambini e anziani, “dagli asili nido fino all’assistenza domiciliare”, perché i beni comuni “non devono essere solo la proprietà di pochi e non devono perseguire scopi speculativi”. L’invito è a investire bene, anche se in Italia e non solo “è difficile ottenere denaro pubblico per colmare la scarsità delle risorse”:

“Mettete insieme con determinazione i mezzi buoni per realizzare opere buone. Collaborate di più tra cooperative bancarie e imprese, organizzate le risorse per far vivere con dignità e serenità le famiglie; pagate giusti salari ai lavoratori, investendo soprattutto per le iniziative che siano veramente necessarie”.

Combattere le false cooperative 
Fanno bene le cooperative a combattere “le false cooperative”, che “prostituiscono il proprio nome di cooperativa” per ingannare la gente “con scopi di lucro”:

“Fate bene, vi dico, perché, nel campo in cui operate, assumere una facciata onorata e perseguire invece finalità disonorevoli e immorali, spesso rivolte allo sfruttamento del lavoro, oppure alle manipolazioni di mercato, e persino a scandalosi traffici di corruzione, è una vergognosa e gravissima menzogna che non si può assolutamente accettare. Lottate contro questo!":

Economia dell'onestà, in uscita verso il mondo
Va quindi promossa una “economia dell’onestà”, basata sul bene comune. L’esortazione finale alle cooperative - anche in vista della creazione di un’Alleanza delle cooperative e dei cooperatori italiani, da vivere “come cristiani” - è stata a non rimanere “chiuse in casa”, ma ad uscire “per integrare, nel mondo, lo sviluppo, la giustizia e la pace”, collaborando anche con parrocchie e diocesi.

“Dove ci sono le vecchie e nuove periferie esistenziali, dove ci sono persone svantaggiate, dove ci sono persone sole e scartate, dove ci sono persone non rispettate, tendete loro la mano! Collaborate tra di voi, nel rispetto dell’identità vocazionale di ognuno, tenendovi per mano”.

Testimonianze dei giovani
E loro, i rappresentanti delle cooperative italiane, hanno risposto. Toccanti le testimonianze dei giovani che, attraverso la realtà delle cooperative, sono riusciti ad andare oltre i disagi sociali, ad esempio del Rione Sanità di Napoli, presentando al Pontefice quella che hanno definito la loro “effervescente vitalità” consolidata attraverso il lavoro e ricordando quando il padre di Jorge Bergoglio nel '54 tenne una conferenza sul cooperativismo cristiano:

“Noi siamo del sud, come lei: ci funziona prima il cuore e poi la testa! E abbiamo bisogno di sentirci prima fratelli per poter poi cooperare. Le cooperative sociali ci fanno sentire famiglia e soprattutto ci permettono di accogliere al nostro interno le persone più fragili, più vulnerabili, quelle che solitamente sono scartate dal mercato del lavoro perché ritenute inadatte. Abbiamo messo al centro del nostro operato l’idea che i poveri devono diventare sempre più protagonisti di quel sistema di Welfare che li soccorre, sempre più protagonisti delle nostre cure, al centro delle nostre piccole realtà”.

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Il card. Sepe: il Papa darà a Napoli un messaggio di speranza

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Papa Francesco ha ricevuto a Santa Marta il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, in vista della sua visita pastorale nella città il 21 marzo prossimo. Ma com’è andato l’incontro con il Pontefice? Ascoltiamo il porporato al microfono di Sergio Centofanti

R. – Molto bene. C’è un grande entusiasmo! Da parte nostra potete immaginarlo, perché Napoli bolle, bolle in attesa della visita del Papa e sta facendo una gran bella preparazione spirituale e il Papa ho visto che è rimasto veramente commosso. Poi gli ho dato la lettera che 16 personaggi illustri di Napoli gli hanno dedicato. Insomma, devo dire che il Papa è veramente entusiasta. Entusiasta! E poi il desiderio di conoscere questa città, che è decantata dappertutto.

D. – Quale messaggio darà il Papa a Napoli?

R. – E’ chiaro che il Papa non potrà non sottolineare quelle che sono le luci, cominciando dall’impegno dei sacerdoti, delle suore, dei laici, che sono una forza straordinaria; ho dei sacerdoti che sono veramente esemplari. Poi io ho detto: “Padre Santo, lei immagini che in questi ultimi due anni ci sono state tre canonizzazioni, oltre la beatificazione. Quindi tre nuovi santi a Napoli!”. Questo per dire che ci sono delle potenzialità enormi, come - per esempio - le eccellenze anche in campo civile, la medicina, la letteratura … E poi ci sono i mali, incominciando dalla disoccupazione, dalle organizzazioni malavitose come la Camorra, da un impegno che purtroppo non sempre riesce a dare quel senso di civiltà, del vivere civile, ma soprattutto i giovani. Il Papa è molto sensibile alla gioventù e ai problemi della gioventù. Noi viviamo una crisi nella crisi: se la crisi si sente ed è comune per tutti, da noi è ancora più acuta, perché si inserisce in una crisi che dura ormai già da troppo tempo, da troppi anni.

D. – Quindi Napoli si attende un messaggio di speranza dal Papa?

R. – Un messaggio forte! Io ho detto, come diceva già il Santo Padre Giovanni Paolo II, quando è venuto a Napoli, “riorganizzare la speranza”. Io ho detto: “largo alla speranza”. Ce n’è  bisogno, perché il vero pericolo in tutte queste difficoltà qual è? E’ il pessimismo, è l’arrendersi alle difficoltà, il fuggire… Invece no! Bisogna reagire con forza perché le potenzialità ci sono, ma c’è bisogno altrettanto del concorso di tutti: della Chiesa, della scuola, della famiglia e delle istituzioni, che dovrebbero fare di più.

D. – Quali le tappe principali della visita?

R. – All’inizio entra in periferia, a Scampia, la famosa Scampia, dove incontrerà i rappresentanti dei vari settori della città: il rappresentante della cultura, il rappresentante della legalità e i rappresentanti delle professioni, da una parte; e poi, dall’altra, sempre nella stessa piazza, nella Piazza Giovanni Paolo II, incontrerà i rappresentanti del lavoro, i rappresentanti dei migranti e i rappresentanti dei clochard, dei rom… Questi sono i sei settori che saranno presenti in questo primo incontro con il Papa. Da lì girerà con la papamobile fino ad arrivare a Piazza del Plebiscito, dove ci sarà una concelebrazione con 7-800 sacerdoti della diocesi e tutti i vescovi della Campania. Quello sarà il momento culminante, il momento più bello e significativo, la concelebrazione con tutta la realtà ecclesiastica-diocesana. Da lì il Papa andrà a pranzo dai carcerati a Poggio Reale, dove si intratterrà con loro, pranzerà con loro, un pranzo semplice e frugale, e sarà soprattutto un contatto molto umano con i carcerati. Poi una breve, brevissima sosta in episcopio, solo pochi minuti per avere un po’ di respiro, per poi andare, subito dopo, nella Basilica del Gesù Nuovo, dove incontrerà i malati in rappresentanza dei vari ospedali di Napoli e quindi i bambini, i giovani, i malati oncologici… Dopo questo incontro con i malati, faremo la festa – prima che il Papa parta – sul Lungomare di Napoli, alla Rotonda Diaz, dove incontra i giovani e gli anziani: sarà una festa e una manifestazione molto simpatica, come sanno fare i giovani.

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Il Papa nomina mons. Savino nuovo vescovo di Cassano all'Jonio

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Papa Francesco ha accolto la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Cassano all’Jonio presentata da mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. Gli succede il rev. Francesco Savino, del clero dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto, finora parroco-rettore della Parrocchia-Santuario dei Santi Medici in Bitonto.

Mons. Francesco Savino è nato a Bitonto, in provincia di Bari, il 13 novembre 1954. Dopo aver conseguito la maturità classica, nel 1973, è stato accolto nel Pontificio Seminario Regionale Pugliese ed ha ottenuto la Licenza in Teologia, nell’anno 2000, come alunno dell’Istituto Teologico Pugliese. E’ stato ordinato sacerdote il 24 agosto 1978 ed è incardinato nell’arcidiocesi di Bari-Bitonto. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale di San Silvestro-Crocifisso (1978-1985); Parroco di Cristo Re Universale in Bitonto (1985-1989); Parroco-Rettore della Parrocchia-Santuario dei Ss. Medici in Bitonto (1985-ad oggi). È membro del Collegio dei Consultori, del Consiglio Presbiterale Diocesano e della Commissione del Ministero della Salute sulle “Cure Palliative”. È Direttore della Rivista trimestrale “Eco dei Santi Medici” e dirige anche la collana “Scrigni/contenuti preziosi su fogli leggeri”, pubblicata dalla Casa Editrice “Ed insieme”, di Terlizzi. È fondatore, inoltre, della “Fondazione Opera Santi Medici Cosma e Damiano – Bitonto – ONLUS”.

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Nomina episcopale in Polonia

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Il Santo Padre ha nominato Vescovo Ausiliare di Łódź (Polonia), il Reverendo Mons. Marek Marczak, finora Rettore del Seminario Maggiore di Łódź, assegnandogli la sede titolare di Lentini. Mons. Marczak è nato il 17 febbraio 1969 a Piotrków Trybunalski. Dopo gli esami di maturità, nel 1987 è stato ammesso al Seminario maggiore di Łódź. L’11 giugno 1994 ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale per la medesima arcidiocesi.

È stato Vicario parrocchiale a Rostarzew (1994-1996). Negli anni 1996-2002 è stato studente presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma, dove ha ottenuto il Dottorato in Teologia Dogmatica. Ritornato in diocesi, negli anni 2002-2006 ha prestato servizio pastorale nella Parrocchia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo a Łódź. Dal 2004 è Docente di Teologia Dogmatica nel Seminario Maggiore di Łódź. In diocesi ha svolto varie mansioni: Presidente della Commissione per l’Apostolato dei Laici (2004-2013), Visitatore per la Catechesi (2010-2013), collaboratore pastorale nella Parrocchia di Santa Dorota a Łódź-Mileszki (2006-2013) e collaboratore per la pastorale dei docenti universitari nell’arcidiocesi (2012-2013). Attualmente, dal 2013 è Rettore del Seminario Maggiore e Membro del Consiglio presbiterale della medesima arcidiocesi.

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Tweet: "Signore, abbi pietà di me; intercedi per me!"

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet: "Gesù intercede per noi, ogni giorno. Preghiamo: Signore, abbi pietà di me; intercedi per me!"

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Forza meravigliosa: il Papa invita le cooperative a impegnarsi per un'economia dell'onestà.

Il canto della "mamma scura": pubblicato un manoscritto passato inosservato per anni tra le carte di Mario Luzi.

Emilio Ranzato sull'invenzione del montaggio alternato: un secolo fa usciva "Nascita di una nazione".

Scarabocchi in ottimo latino: Roberto Cutaia illustra gli affreschi della basilica di San Giulio d'Orta.

Curiosità e contaminazione: Antonio Paolucci spiega il metodo di Maria Andaloro.

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Oggi in Primo Piano



Assassinato a Mosca leader opposizione Nemtsov: condanna unanime

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Sconcerto e condanna nella comunità internazionale per l’uccisione ieri sera a Mosca di Boris Nemtsov, storico oppositore delle politiche del presidente russo Vladimir Putin. E sarà lo stesso capo del Cremlino a presiedere le indagini sull’attentato. L’esponente liberale russo recentemente aveva parlato di seri e possibili rischi per la sua vita. Il servizio di Giancarlo la Vella

Aveva 55 anni Boris Nemtsov, già in auge durante la presidenza di Boris Eltsin, che lo aveva voluto nel governo in qualità di vicepremier. E’ stato freddato con quattro colpi di pistola ieri sera nel centro di Mosca. Ultimamente, quale oppositore del Presidente Valdimir Putin, si era opposto duramente alle politiche del capo del Cremlino, dopo l’intervento di Mosca in appoggio ai ribelli filorussi nell’est dell’Ucraina e il riconoscimento dell’autoproclamata repubblica di Crimea. E lo stesso Putin ha definito l’attentato un provocatorio e crudele assassinio, prendendo personalmente il controllo delle indagini. Il Presidente americano, Obama, ha condannato la brutale uccisione e ha chiesto al governo russo un’inchiesta rapida, trasparente e imparziale. Era un ponte tra Kiev e Mosca, ha detto il Presidente ucraino Poroshenko. Shock è stato espresso dalla cancelliera tedesca Merkel, mentre da Bruxelles giunge un messaggio di profonda indignazione. Sull’omicidio di Nemtsov, che sembra avere tutti i connotati dell’attentato politico, sentiamo Aldo Ferrari, studioso di Russia ed Est Europa, della Ca’ Foscari di Venezia:

"È chiaro che la figura di Nemtsov è una figura politica di grandissimo rilievo, chiaramente schierata contro Putin e le politiche che quest’ultimo ha portato avanti negli ultimi anni. Quindi non può che essere letta in una luce politica questa tragedia. Naturalmente però non si può parlare prima che siano fatte indagini, che tra l’altro in Russia sappiamo bene avere un corso molto difficile. È sicuramente una tragedia umana, ma anche una tragedia politica per il Paese. Da questo punto di vista evidentemente si tratta di una lettura politica facile e obbligatoria".

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Siria, un gesuita: cristiani massacrati dall'Is, messaggio a Occidente

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In Siria, i miliziani curdi hanno riconquistato la città strategica di Tal Hamis, nel Nord Est, che era caduta nelle mani del cosiddetto Stato islamico. L'avanzata dei curdi, sostenuta dai raid aerei della coalizione a guida americana – afferma un portavoce curdo - rappresenta una grande vittoria perché taglia una via chiave di rifornimento dell’Is dall'Iraq. Intanto, cresce la preoccupazione per i circa 350 cristiani catturati dai jihadisti. Sulla situazione nel Paese, ascoltiamo - al microfono di Hélène Destombes - la testimonianza di un padre gesuita siriano, Mourad Abou-Seif

R. - Le mal est en train de toucher tout le monde. …
Il male sta toccando tutti! Non si può dire che ci sia una comunità più sofferente di un'altra: i cristiani vivono insieme ai musulmani, gomito a gomito, e subiscono il male che tutta la Siria subisce. Ora, forse, i cristiani sono più inquieti per il loro avvenire e cercano di capire cosa stia realmente accadendo. Quando c’è così poca speranza - come vediamo in questo momento - il futuro è molto preoccupante ed è molto più preoccupante per loro. Ma il presente lo vivono come tutti gli altri!

D. – I cristiani sono vittime di sempre più numerosi abusi…

R. - C’est vrai et je peux dire qu’il y a ici un changement  …
E’ vero e io posso dire che ora c’è in atto un cambiamento, perché prima gli estremisti controllavano i luoghi abitati dai cristiani ed era possibile che li trattassero in modo non giusto in quanto minoranza. Ma non venivano giustiziati e sterminati, come vediamo invece ora. E sembra che questa svolta rappresenti un messaggio di questi gruppi estremisti per l’Occidente, proprio attraverso i cristiani del Medio Oriente: come abbiamo visto nel messaggio di quel gruppo che ha giustiziato i 21 egiziani copti.

D. – Quindi attraverso i cristiani della Siria, lo Stato Islamico vuole colpire l’Occidente?

R. - C’est ce qu’on comprend dans ce qui se passe aujourd’hui.
E’ quello che abbiamo compreso per quello che sta succedendo oggi!

D. – Davanti a questa minaccia, quale dovrebbe essere la reazione della comunità internazionale. Voi credete che la Comunità interanzionale non abbia adottato misure sufficienti per quello che si sta giocando attualmente in Siria e in tutta la regione?

R. – J’ai l’impression que la communauté internationale était presque indifférente…
Ho l’impressione che la Comunità internazionale sia stata praticamente indifferente rispetto a quanto sta succedendo. Hanno cercato di aiutare come se il male presente in Siria e in tutto il Medio Oriente fosse un qualcosa che non li toccasse. Ma ora sembra stiano realizzando, sempre di più, che questo è un male che tocca il mondo intero. C’è ora una nuova presa di coscienza riguardo alla gravità del fenomeno: lo considerano ormai come un cancro che si sta diffondendo in tutto il mondo. Quindi, a mio avviso, è necessario attuare delle misure differenti. C’è questa presa di coscienza, io lo sento qui.

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Leader Centrafrica firmano a Roma Dichiarazione per rilanciare la pace

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Firmata oggi a Roma, nella sede della Comunità di Sant’Egidio, una dichiarazione Congiunta per elezioni libere e pacifiche nella Repubblica Centrafricana. Presenti i principali esponenti della politica del Paese, tra loro anche quattro ex primi ministri. Servizio di Francesca Sabatinelli

E’ un appello a tutti i cittadini del Centrafrica quello lanciato a Roma dai leader dei principali partiti centrafricani che, sotto gli auspici della Comunità di Sant’Egidio, hanno firmato una Dichiarazione congiunta nella quale chiedono al loro popolo di sostenerli nel difficile cammino che nei prossimi mesi li porterà, si legge, alla “ricostruzione politica, istituzionale, economica e morale del loro Paese”. La Repubblica Centrafricana è oggi un Paese in fase di transizione, dilaniato dalla violenza dei due principali gruppi armati, da una parte gli anti-balaka e dall’altra le forze seleka, entrambi colpevoli di uccisioni di centinaia di civili. La popolazione è allo stremo, abusata e vessata, sono centinaia di migliaia i profughi sfollati nei Paesi limitrofi. Oggi quindi, a Roma, alcuni tra i principali protagonisti della vita politica del Centrafrica si sono impegnati a garantire elezioni presidenziali libere e pacifiche, con il necessario sostegno della comunità internazionale. Don Angelo Romano, della Comunità di Sant’Egidio:

R. – Finché il Paese non avrà celebrato le elezioni, finché non ci sarà un governo legittimo, il Centrafrica non potrà essere veramente sostenuto dalla Comunità internazionale: un Paese, come il Centrafrica, che ha ancora un governo di transizione non eletto, di solito riceve un minimo di aiuti, ma mai aiuti decisivi, perché si ha paura che si possa avallare una situazione transitoria che, invece, deve avere un suo termine. Questa classe politica, che è l’élite del Centrafrica, ha chiesto aiuto su alcuni punti fondamentali, in particolare riguardo al problema della sicurezza per la tenuta delle elezioni. La Comunità internazionale può aiutare in maniera decisiva per fare in modo che le elezioni possano essere libere. Nel Centrafrica ci sono ancora milizie e gruppi armati attivi, ma attraverso la forza militare internazionale, che è già presente in Centrafrica, la loro influenza sulle elezioni può essere ridotta al minimo. C’è la possibilità di fare delle elezioni libere in Centrafrica, che possano far inaugurare un nuovo governo, che dovrà essere necessariamente un governo inclusivo, un governo di collaborazione e non di esclusione dei perdenti, ma soprattutto di rispetto alle minoranze.

Tra i firmatari della dichiarazione vi sono quattro ex primi ministri, tra loro Martin Ziguélé, premier dal 2001 al 2003, e oggi presidente dell’M.L.P.C., il Movimento di Liberazione del Popolo Centrafricano:

R. – Le chemin vers la paix è comme le chemin que …
Il cammino verso la pace è come il cammino che intraprende un malato grave, che arriva al periodo della convalescenza: quando si è convalescenti non si è guariti, ma non si è neanche più gravemente malati. E’ necessario però continuare le cure. La cura per il Centrafrica è il dialogo e soprattutto le elezioni, perché in una repubblica la competizione sana si deve giocare sulle elezioni e quindi sulla possibilità di scelta del popolo dei suoi responsabili legittimi, affinché l’insieme dei problemi del Paese vengano presi in mano da autorità legittimamente elette e che possano trovare delle soluzioni.

D. – Quali sono attualmente i problemi più gravi per il suo Paese, per la Repubblica Centrafricana?

R. – C’est le problème de l'insécurité…
Il problema dell’insicurezza! Oggi per i centrafricani spostarsi, anche nella stessa capitale del Paese, a Bangui, è qualcosa di estremamente pericoloso. All’interno del Paese la situazione relativa alla sicurezza è veramente preoccupante, lo è ancor di più poiché nel Paese le forze di difesa e di scurezza nazionale non sono operative. Quindi c’è questo vuoto nella sicurezza  che viene riempito da gruppi armati che esercitano la violenza contro la popolazione civile. Questo è ciò che davvero ci preoccupa, perché riguarda la vita, che è il bene più prezioso. E questo è il nostro problema fondamentale. E’ necessario quindi che tutto il sostegno possibile venga dato al governo centrafricano perché, insieme alla Comunità internazionale, possa assicurare la pace e la sicurezza e quindi l’assenza di assassinii, di cieca violenza contro le donne, contro i bambini, contro le persone anziane, che pagano il prezzo più grande a questa crisi che dura da più di due anni.

D. – Avete quindi bisogno di una stabilità politica, impossibile ora senza l’aiuto della Comunità internazionale, il forte aiuto della Comunità internazionale…

R. – Absolument! Aujourd'hui, il y a une mission …
Assolutamente! Oggi c’è una missione multidimensionale delle Nazioni Unite, in Centrafrica per aiutare il Paese a raggiungere la pace. Ma si pone un problema importante di interpretazione dei termini della missione: la missione delle Nazioni Unite dice di essere una forza di interposizione e naturalmente la popolazione centrafricana vuole invece che sia una forza di imposizione della pace. Noi siamo in una situazione atipica nella Repubblica Centrafricana, un Paese che non ha alcuna forza di difesa e di sicurezza. Non ci sono che i gruppi armati che impongono la loro legge. La popolazione chiede che le forze delle Nazioni Unite impediscano a questi gruppi di possedere armi, e che quindi li disarmino. Dato che queste bande armate riescono, grazie proprio alle armi, ad imporsi sulla popolazione, certo non si disarmeranno volontariamente. E’ per questo che la popolazione chiede il disarmo forzato. In tutti i casi c’è bisogno che il governo centrafricano e la Comunità internazionale e la Minusca (Missione di stabilizzazione dell’Onu)  si intendano su quello che è necessario perché le vite siano preservate. Perché di tutti i giorni che Dio ha fatto, non ne passa uno solo senza che non ci siano degli eventi mortali che costano la vita a uomini, a donne, a bambini, che non hanno alcuna difesa. E questo perché non ci sono forze di difesa e di sicurezza nazionali in attività!

D. - Riguardo alla situazione umanitaria, gli organismi internazionali, così come le ong, forniscono periodicamente informazioni davvero drammatiche …

R. – La situation humanitaire est catastrophique!
La situazione umanitaria è catastrofica! Io vorrei anzitutto ringraziare gli sforzi delle Ong internazionali e anche delle Ong nazionali, che si sono battute affinché il dramma centrafricano non diventi un dramma senza speranza! Si sono battute ma il compito è immenso. Vi do soltanto qualche cifra: ci sono 420 mila centrafricani che sono rifugiati al di fuori dal Paese, di cui 240 mila in Camerun, più 150 mila in Ciad e oltre 100 mila nel Congo Brazzaville e nella RDC, che costituiscono la frontiera sud del nostro Paese. Circa un milione e 200 mila persone hanno lasciato le loro case, i loro villaggi e si sono rifugiati in edifici religiosi, nelle parrocchie, nelle chiese, nelle moschee, per cercare di mettere in salvo la loro vita. Abbiamo una situazione asimmetrica, nelle zone del Paese, occupate dagli anti-balaka, i musulmani si rifugiano nelle chiese e laddove sono gli ex seleka ad avere il controllo, i cristiani si rifugiano ugualmente nelle moschee e negli edifici pubblici. E poi a  Bangui, una gran parte della popolazione, al momento 100 mila persone, si è rifugiata all’aeroporto internazionale di Bangui, sull’asfalto delle piste! E ci sono oltre 20 mila persone che vivono nella precarietà e nella miseria totale. Questa situazione deve essere risolta il più rapidamente possibile. Nel mondo ci sono Paesi dove l’attenzione è molto più focalizzata rispetto ad altri, il  nostro Paese vive un dramma che è praticamente dimenticato. Oggi c’è bisogno di più un miliardo di dollari, secondo le stime delle Nazioni Unite, per aiutare a salvare queste vite umane.

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Forum delle università a Roma. Vallini: promuovere cultura incontro

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E' necessario creare una rete di comunicazione tra tutti gli atenei romani e le istituzioni, perchè solo così si arriverà davvero ad incontrare la città. Queste le conclusioni del Forum delle università sul tema "L'università per la cultura dell'incontro nella città", che si è svolto a Roma nel Palazzo Lateranense. L'incontro, è stato promosso dall'Ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria in collaborazione con il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, e ha visto per la prima volta riuniti tutti i rettori delle università della capitale. Ascoltiamo il servizio di Marina Tomarro: 

Una università che diventa luogo d’incontro per la città, dal centro alle periferie e che si apre attraverso il web a tutti con lezioni gratuite e scaricabili: sono questi gli obiettivi dei rettori degli atenei della capitale delineati nel Forum delle università. Ascoltiamo Ciro Attaianese, presidente del comitato del coordinamento regionale delle università del Lazio:

R. - Un incontro con la città si può concretizzare in tante forme come quella che oggi viene comunemente chiamata “la terza missione” quindi contribuire allo sviluppo di un territorio, di un rione, di un quartiere. A Roma, in particolare, ma credo anche all’estero abbiamo tanti esempi. Però, credo che un incontro con la città si organizza soprattutto attraverso l’incontro con i suoi studenti, visti non semplicemente come utili impiegati, ma come cittadini da formare anche dal punto di vista valoriale. Credo che questo sia l’aspetto più importante: l’università deve puntare, oltre a formare competenze e creare conoscenze, a creare quei valori che sono alla base del nostro stare insieme.

D. - Può essere utile creare una rete di comunicazione tra i vari atenei, secondo lei?

R. - Credo che potrebbe essere utile, in qualche modo, condividere fra i diversi atenei quelle che sono le esperienze in materia per evidenziare le criticità e superarle, ma soprattutto per individuare quelle che sono le migliorie pratiche e magari condividerle.

D. - Tanti sono i giovani oggi che abbandonano le università. In che modo l’università può aiutarli?

R. - Il modo più importante – lo dico sempre ai miei collaboratori – è innanzi tutto quello dell’ascolto, perché spesso i ragazzi si trovano a fronteggiare queste difficoltà e a non avere un momento di confronto con chi magari potrebbe dargli una mano. Per cui credo che sia fondamentale recuperare un rapporto di prossimità tra la struttura, e le persone che incarnano la struttura, e lo studente.

D. - Molti atenei sono collocati nelle periferie della città. Possono essere anche un punto di incontro, un’occasione di incontro?

R. - Certamente. L’università, attraverso le sue manifestazioni culturali, sociali, rappresenta sicuramente un momento di incontro fondamentale e quindi un momento di socializzazione che deve sottolineare quelli che sono i valori comuni al nostro stare insieme, quindi rafforzare la coesione sociale. Da questo punto di vista, credo che il ruolo dell’università sia insostituibile perché coniuga cultura, competenze, valori e quindi promuove in qualche modo lo stare insieme.

Ma in che modo le università possono essere d'appoggio ad una città come Roma, che racchiude molteplici realtà sociali? Ascoltiamo il cardinale vicario Agostino Vallini:

R. – Innanzitutto, a mio parere, aiutando la città e le sue istituzioni a riflettere sui veri bisogni, a studiare questi fenomeni, comprendere le sfide moderne attuali  - talvolta drammatiche - per poter trovare delle soluzioni di servizio all’uomo. Non è un fatto positivo che i diversi settori della vita di una città vivano senza collegarsi ed integrarsi pur nella diversità e nella specificità dei propri ambiti. Noi vorremmo aiutare l’università e collaborare con l’università, perché assolva questa funzione per il beneficio della città. Il tema di fondo era quello della cultura dell’incontro. Questo è un tema quanto mai importante. Il Santo Padre lo aveva incoraggiato all’indomani dei fatti di Tor Sapienza, la diocesi lo ha ripreso con una mia lettera inviata a tutti i parroci … Questo è un ambito della vita della città dove questa riflessione porterà certamente dei frutti. Sono speranzoso perché ho visto tanto entusiasmo da parte dei rettori e di tutti i partecipanti.

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Scuola, primo luogo di integrazione: 1 studente su 10 non è italiano

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È la scuola il primo luogo di integrazione: sono tutti d’accordo i numerosi relatori del seminario sull’immigrazione e l’accoglienza tenutosi a Roma, presso l'Ufficio in Italia del Parlamento europeo, alla presenza di numerosi studenti romani. Per noi c'era Corinna Spirito

Tanti i giovani presenti a Roma per discutere di immigrazione. Tante le domande e la voglia di sapere di più sui loro coetanei rifugiati o emigrati in Italia. D’altronde sono proprio loro, i ragazzi, ad accogliere gli stranieri, perché la scuola è la culla dell’integrazione, come ha spiegato nel suo intervento Donatella Parisi, responsabile della comunicazione del Centro Astalli:

“La nostra esperienza ci dice che i bambini, molto spesso, sono i primi mediatori culturali all’interno di queste famiglie, perché vengono inseriti il prima possibile nelle scuole pubbliche, nelle scuole italiane, e andando a scuola hanno immediatamente relazioni con i loro coetanei, con i maestri. Quindi questa loro presenza all’interno della scuola porta le famiglie ad essere – anche loro – più presenti, ad uscire dal centro e ad affacciarsi sul territorio: dal semplice colloquio con le maestre all’invito a casa dell’amichetto, alla voglia di leggere un libro che bisogna andare a comprare… Quindi loro spesso sono i motori di una inclusione sociale all’interno di un nuovo territorio, all’interno di un nuovo contesto per l’intera famiglia. Spesso i genitori devono elaborare il lutto del processo migratorio, che per i rifugiati avviene all’improvviso, avviene non scelto, avviene costretto da una situazione contingente. Questo dolore, a volte, è più forte della voglia di integrarsi nel nuovo contesto. Quindi questi bambini, in qualche modo, sono dei nemici di questo dolore e costringono le famiglie ad integrarsi”.

Durante il seminario sono stati i ragazzi stessi a far capire che non si può più parlare di stato d’emergenza, perché gli stranieri sono ormai parte integrante del Paese. Oggi uno studente su 10 non è italiano, un dato che mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, ha esortato a considerare una ricchezza:

“Certamente questa presenza nella scuola del mondo dell’immigrazione è stato un valore aggiunto significativo. Se si pensa che avremo perso 800 mila studenti e questo avrebbe significato anche molte scuole chiuse, molti insegnanti ulteriormente precari… Quindi questo è un patrimonio certamente significativo. La presenza di un 10 per cento proveniente da un’altra nazionalità nelle nostre scuole pone il problema di una scuola diversa: una scuola multiculturale, una scuola dove l’elemento linguistico anche di altri Paesi viene valorizzato come una realtà importante in alcune città. Penso, ad esempio, ad una città come Prato e alla scelta di alcune scuole di mettere come seconda lingua il cinese: è interpretare un territorio che ha 30 mila persone che provengono dalla Cina, valorizzando una certe realtà ed esperienza. Quindi, da questo punto di vista, credo che una riforma della scuola debba essere profondamente una scuola interculturale e possa veramente interpretare anche questa sorta di meticciato scolastico come una esperienza importante su cui ridisegnare non solo l’Italia, ma anche la nostra Europa”.

È il momento che la politica prenda atto che la scuola italiana è già multietnica, adottando provvedimenti che tutelino ogni studente. Ma non basta. È anche necessario far sì che la società inizi a comprendere che la sua identità è cambiata. A sottolinearlo è stata la prof.ssa  di sociologia delle relazioni interculturali Enrica Tedeschi:

“ Bisogna conoscere, perché non si accetta ciò che non si conosce. Non bisogna colpevolizzare le persone che hanno paura: hanno paura, perché non sanno! Noi dovremmo dare loro gli strumenti per sapere. Quando si sa, si accetta”.

L’integrazione è un processo complicato che richiede degli sforzi tanto al migrante quanto allo Stato ospitante, ma alla fine arricchisce tutti. A quanto pare i più piccoli, con la loro curiosità e la capacità di vedere nell’altro un amico, lo hanno capito prima degli altri.

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Giornata mondiale delle malattie rare

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Oggi, 28 febbraio, ricorre la Giornata Mondiale delle Malattie Rare. Il tema di quest'anno: "Vivere con una malattia rara: giorno dopo giorno, mano nella mano". Un messaggio che indica l’importanza non solo delle terapie, ma anche e, soprattutto, l'attenzione e la cura della persona, soprattutto se si tratta di un bambino, che vive questa condizione. Il prof. Giuseppe Zampino, responsabile dell'Unità Operativa Interdipartimentale del Centro Malattie Rare e Difetti Congeniti del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma. L’intervista è di Eliana Astorri

R. – La definizione “malattie rare” è una definizione epidemiologica. Si definisce malattia rara una malattia che ha una incidenza, una prevalenza, al di sotto di uno ogni duemila persone. Ed è un dato prettamente epidemiologico, dice che solamente sono pochi i casi con quella malattia. Ci sono malattie rare, ci sono poi anche condizioni molto più rare fino ad arrivare a condizioni ultra rare, in cui la prevalenza è di uno su due milioni, quindi per ogni paziente ci sono due milioni di abitanti. Ma il dato dell'epidemiologia è solamente un dato per dare una definizione che non corrisponde poi a quello che significa avere una malattia rara. Avere una malattia rara significa avere una condizione che è cronica in genere: la maggior parte delle malattie sono congenite, quindi ce l’hai dalla nascita e te le porti per tutta la vita, quindi più che malattia è una condizione, un modo di vivere un modo di essere. Quindi, essendo croniche hanno bisogno di un’assistenza che è un’assistenza che non si limita solo a una limitata parte della vita ma ti accompagna: hai bisogno di un’assistenza sanitaria che ti accompagna da quando nasci fino a quando morirai. Per questo motivo, c’è bisogno di esperienze mediche che siano sia dal punto di vista pediatrico formate ma anche dal punto di vista della medicina interna, della medicina adulta che forse è ora una delle grandi esigenze che sentono i bambini e le famiglie. I bambini con patologia congenita rara: la necessità di avere qualcuno che si occupi di loro dopo che raggiungono l’età adulta. Malattia rara significa una condizione in genere cronica, in genere una condizione disabilitante che non ti permette di fare quella che è la normale vita di relazione. E lì fa cambiare un po’ le prospettive della medicina, perché la medicina è abituata a vivere nell’interno di un ospedale o un ambulatorio con obiettivi di diagnosi e assistenza. In realtà se si vuole assistere un paziente con una disabilità si deve entrare nel territorio, nella vita di tutti i giorni. Una delle pareti dell’ambulatorio si deve aprire per dare la visione della vita di tutti i giorni del paziente che hai di fronte e quindi il modo di pensare medico deve aprirsi al modo di pensare di tipo sociale: cioè, che cosa posso fare per migliorare lo stato della vita di un bambino con patologia disabilitante o di un adulto con patologia disabilitante? Come posso fare per ridurre le barriere che mi possono in qualche modo condizionare la vita?

D. – La Giornata mondiale dedicata alle malattie rare è un appuntamento volto anche ad aprire un confronto fra medici e ricercatori, per fare il punto delle situazione?

R. – Noi diciamo che in realtà medici e ricercatori sono un tutt’uno perché quando hai un paziente con una condizione rara la buona diagnosi, la buona raccolta dei dati clinici, la buona raccolta della storia permette già di fare una parte della ricerca: ogni paziente ben valutato diventa una ricerca utilizzabile per tutti gli altri.

 

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Keep Lent: parte da Pompei una Quaresima social per i giovani

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Una Quaresima social per i giovani promossa dalla prelatura di Pompei. L’iniziativa, partita il mercoledì delle Ceneri, si chiama “Keep Lent” e sfrutta l’applicazione di messaggistica mobile WhatsApp per inviare ogni giorno riflessioni sul Vangelo del giorno e contributi in preparazione alla Pasqua. Ad organizzarla l’Ufficio di Pastorale Giovanile di Pompei. Tiziana Campisi ne ha parlato con don Ivano Licinio, incaricato della pastorale giovanile: 

R. - L’iniziativa si chiama “Keep Lent”. Abbiamo giocato un po’ su queste parole prendendo spunto dal fatto che “Lent” in inglese significa Quaresima e appropriandoci del famoso “Keep calm” che è tanto in voga tra i nostri giovani. In questo modo “Keep Lent” diventa proprio “Osserva la Quaresima”. Ma allo stesso tempo, vogliamo anche dare un messaggio sfruttando la parola “lent” come un invito a rallentare i nostri ritmi quotidiani, soprattutto quelli dei nostri giovani, per ascoltare il cuore attraverso la meditazione la Parola di Dio, del Vangelo del giorno. Tutto questo attraverso un mezzo ormai diffusissimo che è Whatsapp. Quindi ogni giorno gli iscritti a “Keep Lent” ricevono un messaggio con il versetto del Vangelo del giorno ed una brevissima nota audio di 1’30’’ massimo con il commento del Vangelo del giorno.

D. - Come ci si iscrive a “Keep Lent”?

R. – Basta inviare un sms al numero 3924446952 scrivendo nome, cognome e Keep Lent. In questo modo la persona verrà iscritta all’iniziativa.

D. – Quante adesioni ci sono state finora?

R. – Al momento abbiamo superato le 930 adesioni, ma i dati sono in continuo aggiornamento.

D. – Che commenti sta ricevendo questo iniziativa?

R. – Molte persone rispondono ringraziandoci, dicendoci che ce ne era veramente bisogno, che la modalità è piaciuta … Abbiamo veramente superato le nostre aspettative. Ci arrivano messaggi da Torino, da Reggio Calabria, da Verona, dalla Sicilia … Sono tutte persone che realmente sentivano l’esigenza di fermarsi un minuto al mattino per stare con Gesù e la sua Parola.

D. – Un’iniziativa pensata per i giovani di Pompei ma che si sta estendendo. Come è avvenuto questo passaparola?

R. – Questo è il grande potere dei mezzi di comunicazione sociale. Hanno la possibilità di amplificare il bene, purtroppo anche il male, ma noi usiamo sempre questi strumenti per portare qualcosa di buono al di là dei nostri piccoli territori diocesani. Diciamo che è un voler utilizzare gli strumenti di comunicazione sociale anche per portare la Parola di Dio, per gettare quella rete abitandola, per farci pescatori di uomini.

D. – Per i giovani avete pensato anche ad un sito internet apposito e ad un profilo Facebook. Quanto questi strumenti vi aiutano?

R. – Certamente ci aiutano ad entrare in contatto con i giovani che non frequentano abitualmente le nostre comunità parrocchiali. Sono degli strumenti che aiutano a mettere in pratica la famosa “Chiesa in uscita” che Papa Francesco sottolinea spesso; raggiungono direttamente i nostri ragazzi nelle loro abitazioni, sui loro telefonini, nei luoghi che frequentano. Ci hanno aiutato veramente tanto a trasmettere il messaggio cristiano attraverso le varie iniziative della pastorale giovanile. Lo stesso “Keep Lent”, oltre ad essere seguito su Whatsapp, può essere seguito sul sito della pastorale giovanile – pastoralegiovanilepompei.org –, sul canale YouTube – Pastorale Giovanile Pompei – e sul nostro profilo Facebook, Pastorale Giovanile Pompei.

D. – Quale invito vuole rivolgere in particolare ai giovani per questo periodo di Quaresima?

R. – Soprattutto a considerare la Quaresima non come un tempo triste, mesto, ma come un tempo di educazione alla bellezza, alla riscoperta della bellezza che i giovani hanno dentro di loro. Una bellezza che magari è stata seppellita da atti di egoismo, da egocentrismo, dalla nostra fragilità umana. Il Signore desidera abitare il nostro cuore in quelle parti che noi abbiamo dimenticato e che abbiamo reso deserte. Ecco, riscoprire allora la bellezza che è in noi, e anche nel cuore dei nostri fratelli e sorelle, credo che sia l’esercizio più bello che in questa Quaresima, ma anche nella vita, noi possiamo fare.

D. – “Keep Lent”, e poi?

R. – E poi, buona giornata. Questo è il modo che noi utilizziamo per concludere il messaggio che mandiamo ogni giorno. È un augurio, perché credo che la cosa più bella sia augurare agli altri di fermarsi un attimo e di gustarsi la giornata che il Signore gli ha preparato.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella seconda domenica di Quaresima la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù conduce con sé su un alto monte Pietro, Giacomo e Giovanni e viene trasfigurato davanti a loro. Appaiono con lui anche Elia e Mosè. Quindi da una nube che li avvolge esce una voce:

«Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Se il deserto, il luogo della tentazione, è il punto di partenza della Quaresima, il suo punto di arrivo è la Trasfigurazione, è la Pasqua. E’ ciò che il Vangelo di questa domenica ci annuncia con gioia: esso ricapitola tutta la storia dell’umanità, come storia di salvezza. Dio ha creato l’uomo e lo ha rivestito delle sue vesti di bellezza, di gloria, di luce, di vita. Dio è l’amante dell’uomo, dell’uomo che vive in pienezza. Ma l’uomo non si è fidato della parola di Dio, si è lasciato traviare dall’accusatore, dal demonio, ed ha peccato. Ora Dio, nel rispetto della libertà dell’uomo, mette in atto un disegno di amore: la storia dell’uomo, con tutte le sue contraddizioni e limiti, diventa “storia di salvezza”. Ecco con Gesù, sul monte, Elia e Mosé, proprio i garanti della fedeltà di Dio al suo disegno d’amore: i quarant’anni del popolo d’Israele nel deserto sono riassunti in questi quaranta giorni di Gesù nel deserto, per prepararsi alla sua missione: liberare ogni uomo dalla schiavitù – dai nostri deserti, dalle nostre solitudini, dai nostri fallimenti e peccati – per introdurlo nella libertà eterna del Cielo. La Liturgia ci invita oggi ad alzare gli occhi al Cielo, per ritrovare il disegno d’amore che Dio ha pensato per noi, per accoglierlo con fiducia, per unirci a Cristo nel combattimento contro il principe di questo mondo. Ascoltando l’amato del Padre – come ci dice la voce che parla dalla nube – diveniamo anche noi una cosa sola con Cristo, partecipi della sua teofania: diventiamo “familiari di Dio” (Ef 2,19), sotto la stessa “tenda”, la stessa “capanna”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Irlanda: Chiesa promuove prima Conferenza su tutela dei minori

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Imparare dagli errori del passato per agire uniti, condividendo le responsabilità ed aiutando le vittime di abusi: questo l’obiettivo che si pone la prima conferenza nazionale di due giorni sulla tutela dei minori, in programma da ieri ad Athlone, in Irlanda. L’evento è promosso dalla Commissione nazionale per la protezione dell’infanzia nella Chiesa cattolica in Irlanda (National board for safeguarding children in the catholic Church in Ireland - Nbsccci), l’organismo istituito dai vescovi irlandesi per contrastare il drammatico fenomeno degli abusi sui minori commessi da alcuni membri della Chiesa.

Fare tutto il possibile per evitare nuovi casi di abusi
Aprendo i lavori, questo pomeriggio, il Primate di Irlanda, mons. Eamon Martin, ha evidenziato due priorità: non dimenticare il passato e condividere le responsabilità. Riguardo al primo punto, il presule ha affermato: “Non dobbiamo dimenticare l’eredità di tradimenti, traumi e vergogna lasciati dagli abusi, perché essi hanno distrutto le vite dei bambini, segnandoli in modo indelebile”. Piuttosto, la Chiesa deve “fare tutto il possibile per garantire che simili terribili atti non avvengano mai più”. Di qui, l’esortazione di mons. Martin a ricordare che “la salvaguardia dei minori è una responsabilità condivisa” nella Chiesa, da non considerarsi come “un extra, un onere scomodo o un ostacolo all’opera pastorale”, quanto piuttosto come “una parte intrinseca e necessaria della missione ecclesiale, ovvero del portare l’amore di Dio a tutti”. Ponendo, quindi, al primo posto “le necessità dei bambini e dei più vulnerabili, la pastorale verrà rilanciata, invece che sminuita”.

Promuovere una “cultura della salvaguardia”
Ma cosa deve fare, in concreto, la Chiesa irlandese per tutelare i minori? Mons. Martin lo ha spiegato, indicando tre necessità. La prima riguarda la promozione di una “cultura della salvaguardia”: “I rischi per i bambini ed i giovani – infatti – sono minori all’interno di una cultura della tutela in cui ciascuno fa la sua parte per garantire che tutte le attività della Chiesa siano sicure”. Per questo, ha detto il Primate irlandese, vanno incoraggiate le relazioni professionali tra Chiesa, polizia ed organismi istituzionali operanti nel settore, così da “mantenere alta l’allerta” sul problema. Oltre, quindi, all’applicazione delle linee-guida della Chiesa per i casi di abuso, l’auspicio di mons. Martin è che “tutte le diocesi e le congregazioni religiose mettano in atto una formazione adeguata per sacerdoti, religiosi e laici riguardo agli abusi”, così da “ridurre i rischi e garantire la sicurezza per tutti”.

Occorre approccio univoco da parte della Chiesa
La seconda necessità indicata dal presule irlandese riguarda la creazione di “un approccio univoco da parte della Chiesa”. È importante, infatti, che la Conferenza episcopale irlandese lavori alla tutela dei minori assieme alla Conferenza nazionale dei religiosi ed all’Unione missionaria del Paese, perché “tale approccio enfatizza la condivisione di responsabilità e la comunione ecclesiale, poiché la Chiesa è un unico Corpo di Cristo”. Inoltre, ha evidenziato mons. Martin, il lavorare tutti insieme porta alla condivisione delle informazioni e ciò serve a rompere quella “cultura del silenzio e dell’evitamento” che, in passato, nella Chiesa, ha permesso il perpetrarsi di abusi.

Monitoraggio costante per restare sempre vigili
“Non possiamo essere compiacenti – ha ribadito il presule – perché è proprio quando si abbassa la guardia che il rischio cresce”. Di qui, l’auspicio che vengano rafforzati “i legami verticali tra le diocesi, le congregazioni religiose ed il Nbsccci”, ma anche “i legami orizzontali tra le parrocchie”, così da creare “un ciclo costante di monitoraggio e valutazione degli enti ecclesiali”, affinché rimangano sempre vigili sul dramma degli abusi.

Creare servizi di sostegno per le vittime di abusi
La terza necessità evidenziata dall’arcivescovo di Armagh è relativa alla creazione di “servizi di sostegno ed accompagnamento per le vittime di violenze”: bisogna incontrare queste persone – è stata l’esortazione di mons. Martin – bisogna ascoltarle raccontare le sofferenze patite e chiedere loro perdono, perché “la cura dei sopravvissuti agli abusi non è un compito esterno alla Chiesa, ma è una parte intrinseca della sua missione”. Quindi, il presule ha citato due specifici servizi approntati dalla Chiesa locale per i minori che hanno subito violenza: ‘Towards Healing – Verso la guarigione’, che offre un servizio di consulenza, e ‘Towards Peace – Verso la pace’, organismo di sostegno spirituale inaugurato nel 2014.

Ricostruire la fiducia nella Chiesa in un clima di trasparenza
L’incontro di Athlone – ha concluso il presule – vuole quindi essere un’occasione per “riflettere sull’integrità nel ministero sacerdotale”, perché “la fiducia tra preti, vescovi, religiosi e fedeli cattolici può essere ricostruita solo in un clima di trasparenza ed attuando pratiche per la salvaguardia dei minori che siano davvero professionali”. (A cura di Isabella Piro)

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Conferenza sull'islam: dichiarazione per la lotta al terrorismo

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Propongono una serie di riforme sociali, educative e di governance i partecipanti alla conferenza internazionale “Islam e lotta contro il terrorismo” svoltasi a La Mecca, in Arabia Saudita. In una dichiarazione adottata mercoledì scorso, ulema, studiosi ed esperti richiamano ai principi e ai valori dell’islam, chiedono il rispetto della dignità umana, la salvaguardia dei diritti e doveri dei cittadini e dell’unità dei musulmani. Il documento invita inoltre a combattere la corruzione, la disoccupazione e la povertà e a rivedere i programmi educativi, esorta gli ulema ad impegnarsi nella sensibilizzazione per preservare l’islam, a correggere concezioni errate e a diffondere i veri valori.

Radici del terrorismo: nel settarismo religioso, nei problemi socio-economici, nell’educazione
Nel corso della conferenza organizzata dalla Ong saudita Lega del mondo islamico si è dibattuto della definizione di terrorismo secondo la Sharia e della sua visione a livello internazionale e ancora della strumentalizzazione della religione nel terrorismo. Nell’analizzare le radici del terrorismo si è parlato di scarsa conoscenza della Sharia, di settarismo religioso, di problemi socio-economici, educazione, legislazione e debolezza della società civile.

I giovani non seguano slogan al di fuori del Corano
Il documento redatto alla Mecca invita poi i giovani a fidarsi degli ulema, a chiedere loro consigli, a diffidare di quanti pretendono di conoscere l’islam e a non lasciarsi trascinare da slogan che nulla hanno a che vedere con il Corano e con la Sunna. Ai giovani in cerca di cambiamenti, inoltre viene rivolto l’invito a tener conto degli insegnamenti dell’islam, a muoversi nell’alveo della legalità e a trarre lezioni dal passato. 

L’estremismo un fenomeno da combattere a livello mondiale
La dichiarazione sottolinea infine che l’estremismo è un fenomeno mondiale, che il terrorismo non ha né una religione né una nazione e che accusare l’islam di questo flagello che il Corano rifiuta è un’ingiustizia, oltre al fatto che la lotta contro il terrorismo non deve essere condotta contro l’islam ma in collaborazione con i paesi islamici. (T.C.)

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Brasile. I vescovi: democrazia più trasparente e partecipativa

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Continua la mobilitazione della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb) a sostegno del progetto di iniziativa popolare per la riforma del sistema politico del Paese. Promosso dalla Coalizione per la riforma politica democratica e elezioni pulite, un cartello di 106 organizzazioni della società civile, con in prima linea la Cnbb, il “Projeto de Lei de Iniciativa Popular pela Reforma Política Democrática”, vuole correggere quelle distorsioni, a cominciare dalla corruzione, che minacciano oggi la democrazia in Brasile e riducono l’effettiva partecipazione del popolo alle decisioni importanti per il futuro del Paese.

Un sussidio per illustrare i punti della proposta di riforma del sistema politico
Per chiarire all’opinione pubblica i contenuti e gli obiettivi della proposta sottoposta al Congresso, i vescovi hanno lanciato il 25 febbraio uno speciale sussidio da distribuire in tutte le diocesi e le parrocchie brasiliane. Preparato dalla speciale Commissione episcopale per la riforma politica in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati brasiliani, il documento illustra i punti centrali della riforma. Il suo obiettivo centrale è di porre un argine al potere economico sulle elezioni e al voto di scambio nelle sue varie forme. Ma la proposta di legge prevede anche un voto più trasparente attraverso la scelta di un sistema elettorale proporzionale a due turni, al fine di rafforzare i partiti politici; fermare le formazioni senza identità programmatica; ridurre il numero di candidati e garantire un’efficace supervisione del processo elettorale. Inoltre, sono anche previsti la parità di genere nelle liste dei candidati e il rafforzamento dei meccanismi di democrazia diretta: plebiscito, referendum e progetti di iniziativa popolare.

Promuovere incontri con i fedeli per riflettere sui valori della democrazia
Nel sussidio si esortano le parrocchie a sensibilizzare e i fedeli sulla riforma organizzando quattro incontri sui seguenti temi: “La costruzione di una vera democrazia”, “Elezioni libere dal potere economico”; “Elezioni come rappresentanza paritaria” e “Per una democrazia più partecipativa”

Il sostegno della Chiesa alla riforma dettata dalla fede
Alla presentazione del sussidio mons. Joaquim Giovani Mol Guimarães, ausiliare di Belo Horizonte e presidente della Commissione episcopale per la riforma politica, ha sottolineato come la partecipazione della Chiesa brasiliana a questa iniziativa, sia dettata dal dovere di mettere in pratica la fede cristiana. "La nostra fede – ha detto - non ci permette di stare con le braccia conserte di fronte a tante condotte scorrette e ai cambiamenti nel mondo politico”. La politica – ha aggiunto - è servizio per il bene di tutti, "soprattutto dei più poveri, e non per quello privato degli eletti, delle loro famiglie e dei potentati finanziari”. (A cura di Lisa Zengarini)

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Tanzania verso il voto. I vescovi: rilanciare la pace

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“È dovere della Chiesa rilanciare la pace nel Paese, mostrando la giusta direzione che la nazione dovrebbe intraprendere”: è quanto afferma la Conferenza episcopale della Tanzania (Tec), in una nota diffusa in vista delle elezioni generali locali, che si terranno il prossimo 25 ottobre. Tra le “numerose sfide” che la nazione deve affrontare, i presuli ricordano il progetto di una nuova Costituzione: approvata nei mesi scorsi, la bozza dovrà ora essere sottoposta a referendum.

In attesa di una nuova Costituzione
Nel nuovo testo, si prevede la creazione di uno Stato federale con il ripristino dei governi del Taganyka e dello Zanzibar, soppressi nel 1964, ponendo fine ad annosi contenziosi tra le due province. Tra le altre novità, il riconoscimento di una maggiore libertà di stampa e di informazione, l’istruzione per tutti e una maggiore rappresentanza femminile nelle posizioni di responsabilità.

Allarme terrorismo
Ma non solo: la Tec indica anche altri “indicatori che distruggono la pace” nazionale, come “il terrorismo che sta crescendo nel Paese”. Ed è per questo, quindi, che “la Chiesa ha il dovere di informare la popolazione circa la situazione reale nazionale, in modo che ciascuno sia in grado di prendere la decisione giusta, al momento del voto”. Necessario, inoltre – ribadiscono i vescovi – che le istituzioni non ricorrano a “prove di forza”, come è accaduto nelle precedenti tornate elettorali che “hanno scatenato la paura nei cittadini”.

La Chiesa educa la popolazione per il bene del Paese
“Non si tratta solo di pregare per la pace – sottolinea, in particolare, padre Vic Missiaen, segretario della Commissione Giustizia e pace della Tec – ma anche di aiutare la comunità a comprendere la realtà, prima che vada alle urne”. Il compito della Chiesa, conclude padre Missiaen, è quello di “educare la popolazione, soprattutto i giovani che hanno bisogno di un cambiamento, per il bene del Paese”. (I.P.)

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Rwanda: Messaggio della Commissione pastorale per l'infanzia

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“Cari bambini, allenatevi ad essere buoni cristiani”: si intitola così il messaggio che la Commissione pastorale per l’infanzia della Chiesa in Rwanda ha diffuso in questi giorni, in occasione della celebrazione, a livello locale, della Giornata dell’infanzia missionaria. Nel documento, in particolare, i presuli esortano i ragazzi a seguire l’esempio di Gesù Bambino che ha sempre obbedito ai suoi genitori, Giuseppe e Maria. “Questa obbedienza – si legge nel messaggio – è così esemplare che Cristo ha continuato ad obbedire anche al suo Padre celeste fino alla morte sulla Croce”.

Genitori, parrocchie e scuole aiutino la formazione cristiana dei ragazzi
Quindi, la Commissione pastorale ruandese si rivolge ai genitori, esortandoli a coinvolgere i figli nelle comunità ecclesiali di base, perché in esse “potranno ricevere un’educazione cristiana e sociale migliore”. Allo stesso tempo, alle parrocchie viene richiesto di dedicare “tempo ed energie alla ricerca di adulti cristiani che facciano del volontariato per animare la vitalità delle comunità ecclesiali riservate ai bambini”. Anche i direttori e gli educatori di scuole cattoliche vengono chiamati in causa: a loro, viene suggerito di “valorizzare le ore di insegnamento della religione”, affinché i giovani possano “crescere in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”, come si legge nel Vangelo di Luca (Lc 2,52).

Collette devolute alle Pontificie opere missionarie
Celebrata, a livello mondiale, il 6 gennaio, la Giornata dell’infanzia missionaria è una festa che vede bambini e adolescenti rinnovare l’impegno di diffondere il Vangelo con le scelte e gli stili di vita propri della loro età. Per l’edizione 2015 il tema scelto è stato “Gli ultimi saranno i primi”, con riferimento alle periferie non solo geografiche, ma anche esistenziali, particolarmente care a Papa Francesco. Le offerte raccolte in questa Giornata servono finanziare i progetti del fondo universale di solidarietà delle Pontificie opere missionarie. (I.P.)

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Australia: Lettera dei vescovi per Anno della Vita consacrata

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“I consacrati non sono soprattutto la principale forza-lavoro della Chiesa; piuttosto, essi sono i catalizzatori del rinnovamento, i pionieri di nuove frontiere e nuove possibilità”: è quanto scrive la Conferenza episcopale australiana (Acbc) in una Lettera pastorale diffusa ieri. La missiva approfondisce le finalità dell’Anno della vita consacrata, indetto da Papa Francesco per il 2015, in occasione del 50.mo anniversario della Costituzione dogmatica “Lumen gentium”, il cui sesto capitolo è dedicato ai religiosi, e del decreto conciliare “Perfectae caritatis”, incentrato sul rinnovamento della vita religiosa.

Mantenere viva la fiamma del Vangelo
Nella Lettera, i presuli evidenziano, in primo luogo, che “al di là delle varietà di carismi”, i consacrati sono “uniti nel guardare a Dio, nel dedicare interamente a Lui la loro vita”. Il loro obiettivo, dunque, deve essere quello di “ispirare e mantenere accesa la fiamma del Vangelo per amore della Chiesa e del mondo”, divenendo “esempio di speranza, rinnovamento e fedeltà creativa”, soprattutto in questa “epoca cruciale di transizione”. “Chi vive il Vangelo in questo modo – scrivono i vescovi australiani – irradia la gioia che deriva da Dio e che riesce ad attrarre gli altri”.

Offrire una contro-testimonianza al vuoto dell’età contemporanea
Citando, poi, San Giovanni Paolo II, l’Acbc esorta i religiosi ad essere innanzitutto “icone di Cristo trasfigurato”, il che implica l’essere uniti a Lui e il portarne la Croce, “nella certezza che Dio dona ai consacrati tutto ciò di cui essi hanno bisogno”. Di qui, l’appello alle congregazioni religiose affinché continuino ad ispirare il mondo “vivendo in povertà, castità ed obbedienza ed offrendo un’umile, ma potente, contro-testimonianza al vuoto che spesso risuona intorno all’uomo contemporaneo”.

Svegliare il mondo con l’amore di Dio
“Svegliate in mondo”, dice dunque la Chiesa australiana ai religiosi ed ai consacrati, riprendendo le parole di Papa Francesco, perché “con la gioia e l’amore nel cuore, potrete portare la Buona Novella a tutti i popoli della terra”. Infine, i vescovi ringraziano “ogni istituto religioso e ogni società di vita apostolica dell’Australia per la generosità e la fede” con cui portano avanti il loro operato. (I.P.)

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Rep. Dominicana. I vescovi: legge su aborto è incostituzionale

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“La legge sull’aborto è incostituzionale”: scrivono così i vescovi della Repubblica Dominicana (Ced) in un lungo messaggio diffuso ieri, in occasione della Festa dell’Indipendenza del Paese. Lo scorso dicembre, infatti, nel Codice Penale, è stata introdotta la depenalizzazione dell’aborto in caso di violenza, incesto e malformazioni del feto incompatibili con la vita. Ora si attende la promulgazione della legge attuativa. Dal canto loro, i presuli si dicono “confortati” dal fatto che numerose istituzioni abbiano fatto ricorso al Tribunale Costituzionale affinché gli articoli del Codice Penale che “appoggiano o aprono alla possibilità dell’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg)” siano “dichiarati incostituzionali”. Al contempo, “in nome della giustizia e della pace”, la Ced ribadisce il suo “pieno sostegno alla difesa della vita”.

Promuovere la pace e la giustizia
Ma la questione dell’Ivg è solo uno dei tanti temi affrontati dai vescovi dominicani nel loro messaggio: il testo, infatti, costituisce un’analisi dettagliata delle luci e delle ombre della Repubblica Dominicana e sottolinea l’importanza di promuovere la giustizia e la pace. Partendo dal presupposto che “la pace non si riduce al mero benessere materiale”, ma che si raggiunge nel legame con la giustizia, in comunione con Dio, “vivendo il modo retto ed integro”, i presuli sottolineano, innanzitutto, gli aspetti positivi della realtà nazionale, come la presenza di valori importanti quali la solidarietà e l’ospitalità; l’aumento di organismi comunitari che risvegliano la partecipazione della popolazione al dibattito pubblico; la difesa dell’ecologia; gli sforzi compiuti per migliorare il sistema educativo; gli incentivi all’economia agricola ed alle microimprese, inclusi “i progetti di economia solidale con prestiti a basso interesse per i piccoli e medi imprenditori” e le tante aziende “a vocazione sociale”.

Preoccupazione per le violenze sulle donne
La Chiesa dominicana mette in guardia anche dalla diffusione, da parte dei media, di “un modello di vita consumistico” che va a detrimento soprattutto dei giovani; condanna viene, inoltre, espressa nei confronti del gioco d’azzardo, dell’alcolismo, dell’irresponsabilità della polizia, percepita dalla popolazione più “come una minaccia che come un’alleata”. I presuli dicono no anche all’impunità, “frutto di una mancata applicazione della giustizia”, soprattutto a livello istituzionale; e un allarme viene lanciato per la “degenerazione dell’ambiente familiare” in cui crescono i casi di femminicidio e di violenza sulle donne, favoriti anche da “una cultura che li ritiene legittimi”. 

Creare una “cultura del diritto” e difendere la vita sin dal concepimento
Nell’ultima parte del messaggio, la Ced avanza proposte concrete per la realizzazione della giustizia e della pace nel Paese: in particolare, i presuli suggeriscono ai politici di instaurare “un dinamismo economico” che migliori la vita della popolazione in ogni ambito, puntando alla riqualificazione delle istituzioni e del servizio pubblico e dedicando attenzione ai più indigenti, affinché abbiano “una vita dignitosa”. Essenziale, in quest’ottica, la creazione di “un’autentica cultura del diritto”, radicata nell’impegno di tutti nella “difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale” e lontana dalla rivendicazione di “diritti individuali a scapito di quelli universali”.

Nel Messaggio anche allarme povertà
Altri temi toccati nel lungo messaggio dei vescovi: allarme povertà per il 40% della popolazione dominicana; la corruzione che genera iniquità e sfiducia nelle istituzioni; il dramma del marcotraffico e di un sistema sanitario precario; leggi più giuste sul lavoro e normative democratiche; promozione della pace e della giustizia. In particolare il Messaggio esalta l’operato dei sacerdoti in favore del prossimo. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 59

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