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Sommario del 27/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa prega per cristiani perseguitati in Siria, Iraq e nel mondo

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Una preghiera per i cristiani perseguitati in Siria, Iraq e nel mondo. Con questa intenzione Papa Francesco ha celebrato ad Ariccia la Messa nel giorno in cui si sono conclusi gli esercizi spirituali della Quaresima. Il Papa, che ha fatto rientro in Vaticano in tarda mattinata, ha vissuto la settimana di riflessione assieme a molti dei suoi collaboratori di Curia, in ascolto delle meditazioni offerte dal religioso carmelitano, padre Bruno Secondin. Il servizio di Alessandro De Carolis

La ferita non si rimargina mai e purtroppo tutto concorre a tenerla aperta. Anche in un’oasi della mente e dell’anima, come possono essere i giorni degli esercizi spirituali, i drammi dei cristiani brutalizzati e uccisi soprattutto nella fascia siro-irachena sono un peso sul cuore di Francesco. Li ricorda tutti nella Messa che conclude la settimana ad Ariccia, trascorsa a meditare sulle vicende del più grande dei Profeti, Elia, riproposte dal carmelitano padre Bruno Secondin:

“A nome di tutti, anche mio, voglio ringraziare il padre, il suo lavoro fra noi di Esercizi. Non è facile dare Esercizi ai sacerdoti! Siamo un po’ complicati tutti, ma lei è riuscito a seminare”.

Il Profeta in cammino
La storia di Elia era un “tema nuovo” per gli esercizi della Curia, l’ho scelto per questo, spiega padre Bruno Secondin. In particolare, è stato il dinamismo che come una corrente attraversa parole e azioni del profeta a spingere il predicatore a proporlo come figura di riferimento delle sue meditazioni:

“Elia è un profeta che cammina, che vive la sua missione alle frontiere. Si sposta fino al Sinai, va fino in Libano. Quindi, è un profeta in cammino. Mi sembrava molto adatto proprio per questo momento e questo Pontificato: la figura di un profeta - che poi è il grande tra i profeti - che però vive la sua missione affrontando qua e là, all’improvviso, un’esperienza di Dio, di richiamo all’alleanza, alla fedeltà. Quindi mi sembrava un figura molto interessante e ho pensato di costruire intorno a lui questo”.

Fuori dal villaggio
Gli episodi della vita di Elia, indica ancora padre Secondin, sono emblematici di cosa voglia dire per una persona incontrare Dio e veder ribaltato il proprio modo di intendere la vita. Dai primi passi del suo villaggio fino alla lotta cruda con gli idolatri del dio Baal, dall’idea di aver contribuito al trionfo di Dio al sentirsi braccato come un animale nel deserto, tra sconforto e speranza, Elia compie un cammino progressivo di libertà, di trasparenza interiore:

“Partire dall’esteriorità, uscire dal villaggio, entrare nella profondità della propria identità, incontrarsi con Dio e incontrare anche lo scontro con ciò che è falsa identità dell’esperienza religiosa della Fede, per essere trasformati progressivamente da un Dio che è ben diverso da quello che ci siamo messi in testa, che è altrove rispetto ai nostri villaggi, per purificare dal profondo ciò che viviamo, ciò che abbiamo vissuto e ritrovare il senso dell’appartenere a Lui”.

Raccogliere il mantello
Elia resta coinvolto in situazioni in cui deve difendere dei poveri dalle mire di alcuni profittatori. Il cuore che Dio gli ha cambiato lo ha reso pronto – afferma padre Secondin - alla solidarietà, all’impegno per la giustizia. L’ultima scena lo vede attorniato da gruppetti di discepoli che si chiamano “figli dei profeti” e lui – uomo coraggioso ma scorbutico – è immerso adesso in un clima di fraternità:

“Quando sale verso il cielo, lascia cadere il suo mantello, tipico vestimento di Elia, un classico simbolo, lo prende il suo discepolo Eliseo e va a congiungersi  con gli altri gruppetti. Riconoscono su di lui lo spirito del profeta Elia e perciò il mantello non può essere lasciato cadere; bisogna sempre raccoglierlo, aprire strade nuove, metterci davanti alla verità di noi stessi e Dio, alle sfide dell’ingiustizia delle manipolazioni e della fatica dei poveri per ritornare a creare cammini di fraternità”.

Un invito che, come il mantello, Papa Francesco raccoglie ringraziando il padre carmelitano:

“Che il Signore faccia crescere questi semi che lei ci ha dato e, anche, mi auguro e auguro a tutti che possiamo uscire di qua con un pezzetto del mantello di Elia, in mano e nel cuore. Grazie padre!”.

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Cantalamessa: in Quaresima, riempiamo di Spirito Santo la nostra anima

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La conversione che ci chiede Gesù non è un “tornare indietro”, ma piuttosto “fare un salto in avanti”. E’ quanto affermato dal predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa, nella prima predica di Quaresima nella Cappella “Redemptoris Mater” in Vaticano. Padre Cantalamessa ha dedicato la meditazione all’Evangelii Gaudium di Papa Francesco, invitando tutti a vivere la Quaresima come un periodo in cui possiamo riempire di Spirito Santo la nostra anima. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Ciascun battezzato “è un soggetto attivo di evangelizzazione”. Padre Raniero Cantalamessa ha preso spunto da un passo dell’Evangelii Gaudium per soffermarsi sul tema della gioia evangelica che riempie il cuore e la vita.

Incontrare personalmente Gesù
Lo scopo ultimo dell’evangelizzazione, ha affermato, “non è la trasmissione di una dottrina ma l’incontro con una persona, Gesù Cristo”:

“La possibilità di un tale incontro a tu per tu dipende dal fatto che Gesù risorto è vivo e desidera camminare affianco di ogni credente così realmente come camminava affianco dei due discepoli di Emmaus lungo il viaggio, anzi, di più, come era con i due discepoli quando tornavano a Gerusalemme dopo che avevano ricevuto il pane spezzato da Gesù, perché adesso era dentro di loro, non era affianco”.

Per Francesco, ha proseguito, questo non vuol dire che l’incontro personale “sostituisce quello ecclesiale”, ma solo che quest’ultimo deve essere anche “un incontro libero, voluto, spontaneo, non puramente nominale, giuridico o abitudinario”. Il frate cappuccino ha così evidenziato che questo è ancor più vero oggi nel momento in cui “l’esaltazione della libertà individuale e dell’autodeterminazione” hanno mutato “profondamente la situazione della fede nella società”.

I movimenti al servizio della nuova evangelizzazione
Di qui l’urgenza di una nuova evangelizzazione che crei per gli “uomini d’oggi delle occasioni che permettano loro” di prendere una decisione “personale libera e matura”. Al riguardo, ha detto, dopo il Concilio Vaticano II hanno avuto un grande ruolo gli “innumerevoli movimenti ecclesiali” e le “aggregazioni laicali”:

“Il contributo comune di tutte queste realtà vastissime, sia pe consistenza numerica che per indole, costituisce un elemento comune: sono l’occasione per molti laici adulti di prendere coscienza del proprio battesimo e di decidere liberamente della loro appartenenza, quindi diventare soggetti attivi della Chiesa, non più solo passivi”.

Ma perché, si chiede ancora padre Cantalamessa, “il Vangelo riempie di gioia il cuore e la vita del credente?”. La risposta è proprio nell’incontro “personale con Gesù”, nel “rapporto intimo, da persona a persona” con Lui.

Convertirsi è andare avanti, non tornare indietro
Prima di Gesù, ha così affermato, “convertirsi significava sempre ‘tornare indietro’”, ma con il Signore cambia tutta la realtà, la conversione “assume un significato nuovo, finora sconosciuto”:

“Convertirsi non significa più tornare indietro all’alleanza violata: significa fare un balzo in avanti ed entrare nel Regno che è apparso gratuitamente per decisione di Dio in mezzo agli uomini. Quindi convertitevi e credete sono la stessa cosa: convertitevi, cioè credete”.

Ecco, ha soggiunto, perché il Vangelo è Buona Notizia: perché “ci parla di un Dio che, per pura grazia, ci è venuto incontro in suo Figlio Gesù”. Quindi, ha messo in guardia dal fermarsi alla croce convincendosi “che il Vangelo è sinonimo di sofferenza e di rinnegamento di sé, e non di gioia”. In realtà, ha detto, il Calvario è la “penultima tappa, mai l’ultima”: dopo la croce c’è la Risurrezione, “la gioia senza fine”.

Fede e opere in “Evangelii Gaudium”
Il predicatore della Casa Pontificia ha dunque evidenziato che il Vangelo non si può ridurre alla sola dimensione della fede, trascurando le opere. Altrimenti, come scrive l’Apostolo Giacomo, la fede è “morta”. E qui ha richiamato l’Evangelii Gaudium che, ha detto, fa una sintesi proprio tra fede e opere:

“L’Esortazione Apostolica di Papa Francesco riflette questa sintesi tra fede e opere, perché dopo aver iniziato con questa prospettiva radiosa dell’incontro con Cristo, che già ti mette nella salvezza, elenca nel corpo della lettera tutti i ‘No’ che il Vangelo dice contro l’egoismo, l’ingiustizia, l’idolatria del denaro e i ‘Si’ che il Vangelo ci fa dire, ci sprona a dire al servizio degli altri, all’impegno sociale, ai poveri. È la dimostrazione che l’incontro personale con Gesù non ti lascia indifferente nel quietismo, ma ti spinge, diventa un dinamismo che porta sia all’evangelizzazione che alla santificazione personale”.

A Quaresima, riempiamo di Spirito Santo la nostra anima
Padre Cantalamessa ha concluso la sua predica sottolineando che la “gioia promessa dal Vangelo è frutto dello Spirito, e non si mantiene se non grazie a un continuo contatto con Lui”. Un contatto che possiamo ancor più sperimentare e approfondire nel tempo di Quaresima:

“E questo tempo di Quaresima, venerabili padri, fratelli e sorelle, è il tempo più adatto per ‘l’ispirazione’, per fare dei forti, grossi respiri di Spirito Santo attraverso quel poco che possiamo fare, in modo che poi dopo, quando andiamo verso gli altri – senza che ce ne accorgiamo – forse, il nostro respiro, il nostro alito profuma un po’ di Gesù. Buona Quaresima a tutti”.

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Francesco nomina mons. Scicluna arcivescovo di Malta

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Il Papa ha nominato arcivescovo metropolita di Malta mons. Charles Jude Scicluna, finora vescovo titolare di San Leone ed amministratore apostolico dell'Arcidiocesi di Malta. Mons. Charles Jude Scicluna è nato a Toronto, in Canada, il 15 maggio 1959. Dopo le scuole secondarie, ha compiuto gli studi presso il Seminario maggiore di Malta e frequentato l'Università locale, ottenendo la Laurea in Diritto Civile e la Licenza in S. Teologia. Successivamente ha conseguito anche la Laurea in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma.

E' stato ordinato sacerdote l'11 luglio 1986 per l'arcidiocesi di Malta. In seguito, conclusi gli studi di Diritto Canonico a Roma, è stato, tra il 1990 e il 1995, difensore del Vincolo e promotore di giustizia al Tribunale Metropolitano di Malta, professore di Teologia Pastorale e Diritto Canonico presso la locale Facoltà di Teologia e vice-rettore al Seminario Maggiore dell'arcidiocesi. In questi anni non ha mancato di offrire la sua collaborazione nel ministero sacerdotale presso le parrocchie di San Gregorio Magno, Sliema, e quella della Trasfigurazione, Iklin, presso Malta. Ha servito come cappellano al Convento locale di S. Caterina.

Nel 1995 è entrato al servizio della Santa Sede, prima come promotore di giustizia sostituto presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e poi come promotore di giustizia presso la Congregazione per la Dottrina della Fede. In questo periodo ha anche insegnato, come professore invitato, presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università Gregoriana. Il 6 ottobre 2012 è stato eletto vescovo titolare di San Leone ed ausiliare di Malta. Ha ricevuto la consacrazione episcopale il 24 novembre successivo. Il 1° dicembre del 2012 è nominato membro della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il 18 ottobre 2014, alla rinuncia dell'arcivescovo, mons. Paul Cremona O.P., viene nominato amministratore apostolico dell'Arcidiocesi maltese. Il 21 gennaio 2015 è diventato presidente del Collegio per l'esame dei ricorsi alla Sessione Ordinaria della Congregazione per la Dottrina della Fede.

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Padre Lombardi: articoli Espresso indegni e meschini

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Il settimanale L’Espresso ha pubblicato oggi alcuni articoli che intenderebbero mostrare lotte interne in Vaticano sulle questioni economiche. Ascoltiamo a questo proposito una nota del direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi

Il settimanale L’Espresso ha pubblicato oggi alcuni articoli che intenderebbero mostrare lotte interne in Vaticano su questioni economiche. Ascoltiamo in proposito la risposta del direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi:

A proposito della pubblicazione degli articoli di questa mattina voglio limitarmi a fare tre osservazioni molto semplici:

Il passaggio di documenti riservati alla stampa per finalità polemiche o per alimentare contrapposizioni non è nuovo, ma è sempre da condannare decisamente, ed è illegale.

Il fatto che argomenti complessi dal punto di vista economico o giuridico siano stati o siano oggetto di discussione e di punti di vista diversi è da considerare normale. Alla luce dei pareri emersi il Papa dà i suoi orientamenti e tutti i responsabili li seguono.

L’articolo indirizzato direttamente ad attacchi personali è da considerare indegno e meschino. E non è vero che la Segreteria per l’Economia non stia portando avanti il suo lavoro con continuità ed efficacia. A conferma di ciò la Segreteria prevede nei prossimi mesi di pubblicare i bilanci del 2014 e i preventivi del 2015 per tutte le entità della Santa Sede, compresa la stessa Segreteria.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il sangue dei cristiani: quindici assassinati dai miliziani dell'Is in Siria.

Il fuoco e il mantello: conclusi ad Ariccia gli esercizi spirituali della Curia romana.

E la ragazza gli restituì l'anello: anteprima a Roma del film "Shades of truth".

Quando la casa indica una via: Isabella Farinelli sui luoghi del culto micaelico e lauretano, e Mario Sensi sulla Madonna di Foligno e il suo committente.

Troppa trama per un film: Emilio Ranzato sul Conte di Montecristo al cinema e in televisione, e il direttore sulla più bella traduzione italiana del romanzo, quella di Margherita Botto, arrivata alla vigilia di un bicentenario singolare, l'inizio della vicenda di Edmond Dantès.

Non connesso perché povero: corsie preferenziali del web e principio di neutralità.

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Oggi in Primo Piano



Patriarca Younan: genocidio di cristiani in Siria, traditi da Paesi democratici

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Sono più di 350 i cristiani rapiti nel Nord Est della Siria dai miliziani del cosiddetto Stato Islamico e alcuni di loro sono stati già uccisi. Almeno 3mila i cristiani in fuga dai villaggi attaccati. Molti di loro sono siro-cattolici. Ascoltiamo il patriarca della Chiesa siro-cattolica Ignace Youssif III Younan, al microfono di Sergio Centofanti

R. – E’ una situazione drammatica! Fra i cristiani, i civili, le centinaia di persone che sono state rapite, una ventina sono stati sicuramente già uccisi.

D. – C’è già chi parla di un genocidio di cristiani in Siria…

R. – Sicuramente è un genocidio! Chiediamo ai nostri fratelli e sorelle dell’Europa, specialmente ai cattolici, ai veri cattolici, di pensare ai loro fratelli e sorelle del Medio Oriente che stanno sopportando queste persecuzioni.

D. – Che appello lancia alla Comunità internazionale?

R. – Lanciamo un appello alla giustizia. La Comunità internazionale - le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l’Unione Europea – purtroppo ci ha veramente tradito! Stanno solamente cercando i loro interessi economici nel petrolio. Sono alleati con sistemi di governo che sono fra i più integralisti del mondo, dove non ci sono libertà né religiose né civili e dove la donna non ha quasi nessun diritto. Ebbene, stanno dimenticando i loro principi di vera democrazia.

D. – Come fermare i jihadisti?

R. – Prima di tutto cessando di armare le cosiddette opposizioni moderate: non ci sono opposizioni moderate nel Medio Oriente! Finché noi non abbiamo una chiara separazione tra religione e politica, non avremo mai una vera, democratica e moderata opposizione. Tutto questo è solo una illusione!

D. – Il Papa sta continuando a pregare per i cristiani perseguitati in Siria e in Iraq…

R. - Esatto! Noi siamo molto, molto grati per a Sua Santità. Sin dall’inizio del suo Pontificato si è confrontato con questi drammi del Medio Oriente, dove ci sono persecuzioni, dove ci sono uccisioni e deportazioni. Abbiamo fiducia che il Santo Padre continuerà a difendere la causa dei deboli, di coloro che sono ignorati da quei Paesi che vedono solo il petrolio come ciò che salverà la loro economia. Questi popoli dell’Unione Europea, così come quelli dell’America Settentrionale, devono pensare che ci sono principi e valori su cui i loro stessi Paesi sono stati fondati e non devono tradire questi principi e questi valori. Noi sappiamo che il Santo Padre proclama ovunque che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di ogni parola pronunciata dalla bocca del Signore e questo vuol dire parola di pace e di verità.

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Grecia: sì di Berlino ai nuovi aiuti. Proteste contro Tsipras

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Il Bundestag, la Camera bassa del parlamento tedesco, ha oggi approvato a stragrande maggioranza l'estensione degli aiuti alla Grecia per quattro mesi. Intanto, nel Paese ellenico cresce la delusione nei confronti del governo del premier Tsipras. Ieri sera violenti scontri ad Atene tra manifestanti dell’estrema sinistra e polizia. I dimostranti accusano Tsipras di non aver mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale e di essere sceso a compromessi con Bruxelles. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Matteo Tacconi, coordinatore dell’agenzia “Rassegna Est.com”: 

R. - Probabilmente era impossibile mantenerle: sia l’impostazione della campagna elettorale, sia le prime misure adottate dal governo Tsipras non appena insediatosi, presumibilmente erano funzionali alla ricerca di un compromesso con le istituzioni europee. Questo non significa, ad ogni modo, che il governo Tsipras non stia tentando di imprimere una svolta, anche se questa svolta deve essere – come dire – incorniciata, perché una svolta troppo radicale porterebbe la Grecia fuori dall’euro, e questo sarebbe un disastro economico, ma una svolta troppo timida non sposterebbe di troppo le politiche di austerità contro le quali il governo Tsipras si è finora battuto.

D. – Di fatto – questa la protesta dei dimostranti – Atene rimane sotto scacco di Bruxelles e questo è visto come una sorta di diminuzione della sovranità…

R. – Sicuramente la Grecia è commissariata e non da ieri. Le politiche di austerità sono state portate avanti per anni e quindi azzerarle di punto in bianco è tecnicamente impossibile. Quindi il modo in cui Tsipras si sta muovendo è quello di ottenere un compromesso che alleggerisca un po’ il peso dei tagli e dia modo alla Grecia di tornare a crescere. Detto questo, Syriza è un partito che comprende tante anime e non tutte seguono la linea improntata dallo stesso Tsipras e dal suo ministro delle Finanze.

D. – Se la protesta dovesse assumere toni più decisi, ci sarebbe il rischio di una svolta estremista in Grecia?

R. – Potrebbe esserci, ma onestamente non vedo troppo alternative, né per la Grecia, né per la stessa Europa, se non quella di trovare un compromesso che non sia troppo doloroso per la Grecia e che, al contempo, accontenti anche un po’ la Germania, la cui cancelliera, Angela Merkel, nonostante abbia portato avanti una politica molto rigorista, è comunque una donna votata ai compromessi: la Merkel vuole sì l’austerity, però ha fatto capire che un minimo è disposta a rinegoziarla.

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Venezuela sul baratro: proteste dopo uccisione 14.enne

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Nuove proteste e scontri in Venezuela dopo l’uccisione di un giovane di soli 14 anni, l’arresto del sindaco di Caracas e l’ennesima denuncia di un colpo di Stato ai danni del presidente Maduro. La situazione rischia di precipitare se non ripartirà il dialogo tra governo e opposizione mentre sul capo dello Stato piovono dure critiche dopo l’adozione di un provvedimento che autorizza l’uso di armi letali nelle manifestazioni pubbliche. Per un’analisi della situazione del Paese, Benedetta Capelli ha intervistato Lucia Capuzzi, giornalista della redazione esteri di Avvenire: 

R. - Il Venezuela sta vivendo una crisi politica profondissima, una riedizione esasperata di quello che è accaduto un anno fa con le proteste di piazza, e dovuta anche ad una crisi economica fortissima. Il prezzo del petrolio è più che dimezzato e questo ha messo in forte difficoltà il governo che aveva basato il suo sistema di sussidi interamente sui proventi su questa risorsa. Nei supermercati mancano molti generi alimentari, le medicine scarseggiano … Tutto questo crea un forte malessere nella gente. Da una parte, abbiamo l’opposizione che è divisa tra un’ala più radicale – legata al sindaco di Caracas Antonio Ledezma, a Leopoldo Lopez e Corina Machado  - che vuole le dimissioni immediate di Maduro anche attraverso una protesta di piazza. La parte moderata - quella legata a Henrique Capriles che è stato il candidato, lo sfidante di Maduro alle presidenziali - si propone invece di battere il governo alle legislative di luglio. L’atteggiamento repressivo del governo sta favorendo però la parte più radicale dell’opposizione. Quindi da una parte abbiamo questa spaccatura dell’opposizione e dall’altra un governo in fortissima difficoltà, in calo di popolarità, che ha terrore di perdere le legislative di luglio. Ora, il rischio di golpe che Maduro ha paventato – e non è la prima volta – purtroppo rischia di avverarsi; non si sa però chi potrà essere l’autore del golpe, cioè se tutta la strategia del governo è mirata a fare un golpe “di sinistra”, ovvero un golpe dello stesso governo per non andare alle legislative di luglio in cui teme di perdere; o un golpe della parte più radicale dell’opposizione. In ogni caso, l’unica soluzione ovvero il dialogo sembra quella meno praticabile al momento.

D. – Quindi ritieni che alle elezioni legislative l’opposizione avrà possibilità concrete per imporsi?

R. – Dipende. Se l’opposizione riuscirà a trovare un minimo comune denominatore – che potrebbe essere di nuovo Capriles, ovvero l’esponente di un’opposizione democratica – credo di sì. Il problema è che l’opposizione è molto divisa. La parte radicale non dialoga con la parte democratica e chiede le dimissioni di Maduro adesso, senza una forma di dialogo nazionale, il che è da parte sua molto rischioso perché comunque l’opposizione è veramente spaccata.

D. – La Risoluzione 8610 che autorizza l’uso di armi letali nel corso delle manifestazioni di piazza è stata fortemente criticata. Ma è un passo falso per Maduro?

R. – Sì. Il problema è che Maduro opta per la repressione e questa risoluzione rientra nella sua strategia di aumentare la repressione. È una strategia voluta? Ovvero il governo vuole aumentare la repressione e in questo modo portare l’opposizione a un muro contro muro per giustificare un golpe o si tratta invece di una strategia “miope”, per cui non si rende conto che aumentando la repressione, concedendo di sparare sulla piazza, si rischia il bagno di sangue in Venezuela? Questo è il grande enigma.

D. – Che ruolo può giocare la Chiesa in questa crisi?

R. – La Chiesa cerca di giocare un ruolo fondamentale. Il Venezuela è stata la sede dell’allora nunzio Parolin che ha svolto un ruolo fondamentale nel cercare di mediare. La Chiesa sta cercando di promuovere il dialogo, perché con un Venezuela così spaccato e polarizzato, qualsiasi soluzione di opposizione rischia di far sfociare il Pese in un bagno di sangue. Quindi è necessario che le due parti - il governo e l’opposizione - si riconoscano vicendevolmente, e cerchino insieme una soluzione che non può essere quella di annientare l’atra parte, né tanto meno far finta di vedere i problemi del Paese che sono ormai macroscopici.

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Ucraina: iniziato ritiro armi pesanti, negoziati sul gas

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In Ucraina governativi e ribelli filo-russi hanno iniziato il ritiro delle armi pesanti secondo gli accordi di Minsk-2, ma non da tutte le aree. Sul terreno ancora violazioni del cessate il fuoco, con Kiev che denuncia la morte di tre suoi soldati e il ferimento di altri sette. La "minaccia militare da Est" permane nonostante la tregua dice il presidente ucraino Poroshenko, mentre Putin ha discusso dell’attuazione di Minsk al Consiglio di sicurezza nazionale. Intanto è stato confermato per lunedì prossimo a Bruxelles il trilaterale sulla questione delle forniture di gas, tra i responsabili dell’energia di Russia, Ucraina e Ue. Per un commento Marco Guerra ha intervistato Danilo Elia collaboratore  dell’Osservatorio Balcani Caucaso: 

R. – Il fatto che – come pare – si stia effettuando il ritiro dell’artiglieria pesante dalla fascia cosiddetta demilitarizzata, prevista dagli accordi stessi, è positivo. Voglio segnalare che comunque, in questi giorni, le due parti in guerra hanno continuato ad accusarsi vicendevolmente di violazioni della tregua. Nello stesso tempo, però, almeno da del governo di Kiev si è manifestata l’intenzione di ottemperare comunque all’obbligo degli accordi di ritirare l’artiglieria pesante. In questo senso, appunto, è un ottimo segnale. Allo stesso tempo, però, gli scontri continuano: si ritira l’artiglieria pesante, ma non c’è un vero cessate-il-fuoco relativamente a scontri con armi leggere. Non c’è una vera pace in atto al momento!

D. – Lunedì a Bruxelles si incontreranno i rappresentanti dell’Unione Europea, di Mosca e di Kiev sulla questione delle forniture di gas. Questo è un altro nodo importante da sciogliere per la pace?

R. – Sì, questa è una questione spinosa. In realtà io distinguerei tra il gas in transito sul territorio ucraino, il gas russo verso l’Unione Europea e la fornitura alle zone sotto controllo dei separatisti, perché in realtà quello che abbiamo visto succedere fino ad oggi, per quel che riguarda noi consumatori europei di gas russo, è abbastanza rassicurante: stiamo parlando ormai di un anno di guerra senza mai aver avuto interruzioni di fornitura. Sembra che questo flusso di gas dalla Russia all’Europa transiti regolarmente, quasi indifferente agli scontri che ci sono sul suolo ucraino. Diverso è invece il discorso per la fornitura ai territori sotto il controllo dei filorussi, perché questo riguarda direttamente il conflitto: qui c’è una battaglia fra Russia e governo ucraino, perché in realtà la fornitura viene effettuata dal governo ucraino, dalla rete ucraina, ai territori del Donbass. E c’è la minaccia della Russia di interruzione della fornitura sulla rete ucraina in caso di mancato pagamento delle bollette da parte di Kiev. Quindi è una situazione abbastanza intrecciata, perché ci sono una serie di gasdotti che passano sul territorio ucraino, che possono essere in parte bloccati, in parte smistati, in parte anche girati in senso inverso e quindi dall’Europa all’Ucraina.

D. – Il nodo centrale, a questo punto, rimane quello che ha ribadito il ministro degli Esteri russo Lavrov: l’Ucraina, secondo Mosca, deve rimanere un Paese non allineato e quindi non deve entrare assolutamente nell’Alleanza Atlantica…

R. – Questo è il punto chiave fin dall’inizio di tutta la vicenda. Il potenziale ingresso dell’Ucraina nella Nato è lo spauracchio per il Cremlino: potemmo anche azzardare a dire che è il vero movente dell’intervento russo, di tutto quello che è successo nell’ultimo anno, dall’annessione della Crimea all’appoggio e all’aiuto militare ai separatisti. Oggi non è che si sposta la questione, anzi se vogliamo è un punto a vantaggio delle mosse russe, perché è veramente improbabile che i partner dell’Alleanza Atlantica possano volere al loro interno uno stato potenzialmente in guerra, perché secondo l’art. 5 del Trattato, un Paese membro attaccato comporta l’obbligo per tutti gli altri membri della Nato di intervenire e quindi significherebbe gettarsi a capofitto in una guerra.

D. – Quindi gli accordi di Minsk diciamo che stanno funzionando per quanto riguarda il cessate-il-fuoco, ma la soluzione politica di tutta la crisi non si vede ancora all’orizzonte…

R. – No, non si vede! Anche gli accordi di Minsk, in realtà, non mi verrebbe di dire che stanno funzionando sul fronte della pace, perché non prevedono al momento una vera soluzione del conflitto. Si limitano a prevedere un’interruzione almeno delle azioni militari con artiglieria pesante verso le città: il che è certamente un ottimo risultato, un grandissimo risultato… Io due settimane fa ero a Donetsk e l’artiglieria colpiva la città costantemente ogni giorno: oggi questo non succede, almeno a Donetsk e in altre zone abitate. E’ un grandissimo risultato. Però, appunto, la pace vera e propria, la soluzione politica definitiva del conflitto è sicuramente lontana.

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Centro Astalli: combattere paure innescate dai fondamentalismi

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Dai Paesi in conflitto fuggono migliaia di persone molte dirette anche in Italia. “Non sono numeri da invasione” ribadisce padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, a margine di un convegno su fondamentalismi e crisi umanitarie che si è tenuto ieri proprio nel centro dei Gesuiti. Tra i temi affrontati anche immigrazione e accoglienza. Il servizio di Michele Raviart: 

La diffusione del fondamentalismo aggrava la situazione dei popoli che sono vittime del terrore e da questo cercano di fuggire. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli.

“Sicuramente le situazioni dei fondamentalismi rendono più difficile la gestione delle crisi umanitarie. Pensiamo, per esempio, alla Libia: la presenza dell’Is rende ancora più complicata la situazione dei richiedenti asilo e dei rifugiati che lì si trovavano e che quindi sono costretti a partire. Anche se non c’è una relazione diretta, però ci sono delle conseguenze che alcune cose hanno sulle altre”.

Chi riesce a partire, sfruttato dagli scafisti, deve poi sperare di riuscire a sopravvivere alla traversata del Mediterraneo. “Era il mare del dialogo”, spiega Jean Lèonard Touadi, consigliere del Ministero degli Esteri italiano, ora è “un cimitero a cielo aperto”. Sotto accusa anche i mezzi di informazione, che spesso strumentalizzano questo fenomeno. Sentiamo Touadi:

“I nostri media sotto la parola ‘immigrazione’ lavorano molto in collaborazione con l’imprenditoria della paura, che ha scelto l’immigrazione come spauracchio per instillare la sindrome da invasione. E questo ci impedisce intanto di comprendere davvero che sono esseri umani e di comprendere anche che dietro questa loro sofferenza singola ci sono problematiche geopolitiche, economiche, di cui noi stessi siamo responsabili”.

Una paura irrazionale, che vede negli immigrati potenziali terroristi o che può portare a identificazioni superficiali tra islam e fondamentalismo dimenticando che la prima vittima dei jihadisti sono proprio i musulmani. Luigi Sandri, storico e giornalista della rivista “Confronti”:

“Quello che fanno questi del Daesh, dell’Is, è una cosa brutale e non solo in se stessa perché ammazzano gente innocente, ma anche dal punto di vista esegetico dello stesso islam. E’ una forzatura insopportabile. E’ vero che ci sono anche i cristiani – ed è una cosa tremenda quello che hanno patito, per esempio, i gruppi armeni, i caldei… - però la maggior parte delle vittime del Daesh, cioè dell’Is, sono musulmani stessi: i peggiori nemici dell’Is non siamo noi occidentali, sono i musulmani stessi che non accettano questo loro modo di vivere il Corano”.

Dopo le stragi di Parigi a Charlie Hebdo, alcune scuole di Roma hanno annullato la visita alla Moschea, spiega ancora padre Camillo Ripamonti, che aggiunge:

“Bisogna assolutamente disinnescare queste paure che rischiano di condizionare anche i comportamenti delle persone, l’accoglienza delle persone. Mentre il tentativo di conoscere il testimone di una fede diversa ti aiuta, in qualche modo, a non avere paura delle persone, ma a conoscere la complessità anche del fenomeno islam, che non è riassumibile nei fondamentalismi”.

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Religioni e geopolitica: quando la fede ricostruisce la pace

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“Le religioni: terreno di incontro o scontro tra i popoli?”. E’ la provocazione e, insieme, il tema di un convegno che si è tenuto questo giovedì a Roma, nella chiesa di Sant’Eustachio. Un dialogo tra il segretario dell’Istituto universitario di Firenze, Pasquale Ferrara, e il segretario del Centro islamico culturale d’Italia, Abdellah Redouane. Per noi c’era Elvira Ragosta

La centralità assunta dal fenomeno religioso nel dibattito pubblico degli ultimi due decenni, in particolare dopo gli attentati di Parigi e le stragi in Medio Oriente e Nigeria, porta al quesito se le religioni siano terreno di incontro o scontro tra i popoli. Pasquale Ferrara, ex diplomatico e segretario dell’Istituto universitario di Firenze:

“Come tutte le attività umane, le religioni possono essere entrambe le cose, e storicamente lo sono state. Ma, in realtà, le religioni hanno anche un ruolo fondamentale, per esempio, nelle situazioni post-conflittuali di ricostruzione della pace”.

“Le religioni non sparano né pregano, sono i seguaci che lo fanno”, così Abdellah Redouane, segretario del Centro islamico culturale d’Italia, che sull’importanza del dialogo interreligioso afferma:

“Nei momenti di difficoltà dobbiamo dialogare per cercare le soluzioni ai problemi del mondo e non mettere benzina sul fuoco. Penso che Papa Francesco in questa situazione non sia soltanto un punto di riferimento per i cattolici e per la Chiesa, ma sia un punto di riferimento tout court, anche per noi musulmani. I suoi appelli, la sua spontaneità e la sua risposta immediata ogni volta che c’è un problema ci rassicurano sul fatto che ci sono persone che ancora possono guidare il mondo verso la pace”.

Nel dialogo i due esperti ricordano come oggi assistiamo a una crisi su più livelli, dove le religioni sono erroneamente chiamate in causa, strumentalizzate  da chi invoca l’ideologia per acquisire potere territoriale, come sta accadendo per il sedicente Stato Islamico. “Non è compito delle religioni intervenire nella politica internazionale”, sottolinea il professor Pasquale Ferrara, e, come, riportato nel suo libro, di recente pubblicazione, dal titolo “Religioni e relazioni internazionali”, ci sono molte cose che le religioni hanno fatto e possono ancora fare per creare il senso di una dimensione comune delle società:

“Io ho cominciato la mia carriera diplomatica moltissimi anni fa nel Cile di Pinochet e ricordo ancora il cardinale Raúl Silva Henríquez, considerato soprattutto nell’ultima parte del regime di Pinochet come una sorta di nemico pubblico numero uno, semplicemente perché aveva aperto le porte della cattedrale di Santiago e aveva accolto non solo i perseguitati dal regime, salvando loro in molti casi la vita, ma aveva offerto anche assistenza legale e assistenza psicologica. Aveva, dunque, operato  considerando l’uomo nella sua interezza e quindi nella promozione umana - diremmo oggi - nei confronti di tutti, senza distinzione ideologica. Io credo che le religioni dovrebbero avere questa grande dimensione di apertura al mondo, apertura alla diversità, dimensione che oggi forse manca nella politica, nell’economia e nella società in generale, cioè la dimensione della misericordia, anche in termini politici, il che significa andare al di là delle divisioni, sanare le ferite e insieme rimboccarsi le maniche per costruire una comunità viva”.

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Il Papa incontra le Coop. Gardini: l'uomo al centro delle imprese

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Domani il Papa riceverà nell'Aula Paolo VI, in Vaticano, la Confederazione Cooperative Italiane. Circa 7 mila persone arriveranno da tutta Italia, in rappresentanza di tutti i settori produttivi. “È un evento che ci inorgoglisce ed entra a pieno titolo nella storia e nei valori fondanti di Confcooperative” ha detto il presidente dell'organismo Maurizio Gardini. Ma quale è la caratteristica di queste imprese? Alessandro Guarasci lo ha chiesto allo stesso Gardini: 

R. – Porre l’uomo al centro delle imprese. La cooperativa è una società di uomini, la finalità non è la società di capitali che deve produrre utili. E poi c’è un ulteriore elemento, che differenzia la cooperativa rispetto ad un altro tipo di impresa: la mutualità; la mutualità interna nei confronti dei soci e la mutualità esterna nei confronti di un territorio; la capacità di capire che il modello di welfare oggi ha bisogno di una risposta nuova, perché ci sono bisogni nuovi e aumenta la platea e la capacità di offrire una risposta. Dico anche, come organizzazione, di chiedere una politica attenta alla costruzione di queste risposte.

D. – Tutto questo ha portato in questi anni ad un aumento dell’occupazione nelle cooperative, nonostante la crisi che ha colpito in modo molto forte l’Italia. Ma è un’occupazione stabile, “buona”?

R. – Teniamo monitorate le cooperative. Riteniamo di poter dire che le nostre cooperative applicano il rispetto del contratto di lavoro, ma diventa un merito nel momento in cui c’è una deregolamentazione selvaggia e ci sono molte imprese – ahimè anche cooperative, quelle che noi chiamiamo cooperative spurie – che non applicano i contratti di lavoro, non rispettano il lavoro, e non è lavoro buono: è lavoro precario, spesso con intrecci anche poco virtuosi, anzi delittuosi.

D. – Come “mafia capitale”, vero?

R. – Come  “mafia capitale” o come altre espressioni che nel Paese purtroppo emergono con frequenza. Noi chiediamo alle varie istituzioni di intervenire a tutti i livelli, perché siano colpiti, perché non siano messi in condizione di continuare a delinquere. Non si può sfruttare il lavoro e non si può sfruttare soprattutto chi è in maggior condizione di bisogno.

D. – In occasione della riforma delle banche popolari e forse anche del credito cooperativo, una riforma futura, si è parlato di un attacco alla finanza legata al territorio, all’impresa legata al territorio. Lei è d’accordo?

R. – Le popolari, soprattutto le grandi, sono cooperative che avevano il voto capitario, ma erano cooperative quotate: avevano intrapreso un percorso su un mare aperto, su un mercato ampio. Le cooperative e le Bcc (Banche di credito cooperativo) sono realtà più piccole, meno dimensionate, più legate al territorio, più partecipate. Non c’è stata riforma delle Bcc, ma è una riforma sospesa. E allora io dico: acceleriamo la capacità dell’autoriforma, perché se l’autoriforma viene da dentro, forse è più rispettosa dei bisogni e delle necessità del territorio; se viene imposta da fuori, magari viene imposta da chi quel territorio non lo vive.

D. – Ma se lei dovesse tenere un punto fermo di questa autoriforma delle Bcc, quale dovrebbe essere?

R. – La possibilità del territorio di esprimere la “governance”, il che non significa che non ci debba essere una rigida selezione. Abbiamo scontato purtroppo delle patologie che hanno dato fastidio al credito cooperativo: amministratori che sono andati in conflitto di interessi, che hanno fatto fare alle banche che amministravano delle scelte non corrette. Bisogna essere rigorosi, impedire che il conflitto di interesse diventi un metodo di governo, ma sarebbe un rischio ancora più grande quello di catapultare dall’esterno amministratori sul territorio, perché avere amministratori sul territorio significa avere gente che si misura con i soci, si misura col territorio e dà delle risposte.

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P. Cupia ad un anno dalla morte: la misericordia di Dio in famiglia

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Un anno fa si spegneva padre Luciano Cupia, oblato di Maria Immacolata, fondatore del “Centro La Famiglia”, il consultorio familiare prematrimoniale e matrimoniale aperto nel 1968 a Roma insieme a Rosalba Fanelli, e delle Scuole per consulenti familiari oggi attive in tutta Italia. Domani mattina il sacerdote verrà ricordato presso l'Istituto Santa Maria con una serie di testimonianze e una Messa presieduta da mons. Giuseppe Molinari, vescovo emerito dell’Aquila, e concelebrata da padre Alberto Gnemmi, provinciale degli Oblati di Maria Immacolata. Per un ricordo di padre Cupia, Marina Tomarro ha sentito Rosalba Fanelli: 

R. – Lui fondamentalmente si è occupato della famiglia, a cominciare dal Centro di preparazione al matrimonio, che fu una cosa nuova in Italia, ovviamente, proveniente dal Centro Novalis dell’Università Saint Paul di Ottawa in Canada. Quindi iniziò questo lavoro, preparando subito una equipe di collaboratori. A Roma, in particolare, c’era un corso permanente presso la rettoria di mons. Luigi Di Liegro, a Piazza Poli, dove si tenevano corsi cittadini. Finché non è stato chiamato anche fuori e a macchia d’olio poi siamo andati in tutta Italia: dal Nord al Sud. Questo ha fatto sì che l’idea della preparazione al matrimonio sia passata e, non solo, anche la necessità di aprire dei centri di consulenza, dei consultori.

D. – Padre Luciano era impegnato anima e corpo per la famiglia...

R. – Famiglia e giovani, famiglie e coppie, per la preparazione al matrimonio e l’accompagnamento post-matrimoniale: questo è stato proprio il suo apostolato principale. Prima i fidanzati, poi, nel momento in cui c’è stato il consultorio, anche le consulenze, e via di seguito. Nel ’75 nascono i consultori pubblici. Noi eravamo sul territorio già da molti anni prima, per preparare queste persone, questi consulenti nei nuovi consultori, e non solo, anche perché nel frattempo erano nate tante altre strutture consultorio in Italia, grazie ai suoi spostamenti e così via. Istituimmo, quindi, una scuola per consulenti familiari. Questa è stata proprio la sua precipua attività, dove ha dato anima e corpo.

D. – C’è uno degli insegnamenti di padre Luciano che è rimasto nel suo cuore, nel cuore delle tante coppie, che avete seguito durante questi anni?

R. – Nel cuore è rimasto questo grande amore, questa tenerezza. Lui era veramente il predicatore della tenerezza. Queste tre "T": trasparenza, come luminosità del vivere, del pensare e dell’agire; tolleranza, come rispetto delle convinzioni altrui; e tenerezza, fiducia, accoglienza, abbandono nell’amore di Dio.

D. – Qual è il suo ricordo personale di padre Luciano, il ricordo che lei conserva?

R. – Il ricordo che conservo è la sua generosità. La misericordia di Dio era per lui una cosa importantissima. Infatti, quando fece il 50.mo di sacerdozio impostò la cerimonia e anche i ricordini sul Padre Misericordioso. Ecco, lui si sentiva su questa linea.

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Nella Chiesa e nel mondo



India: nuovi attacchi contro chiese, timori in Orissa

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Ci sono stati in India nuovi episodi di violenza contro strutture e comunità cristiane indiane. Un caso di vandalismo in chiesa - riferisce l'Agenzia Fides - è stato segnalato a Goa, in India occidentale. Uomini non identificati hanno colpito e danneggiato una statua della Madonna di Lourdes in una parrocchia di un villaggio. I fedeli sono preoccupati per la profanazione del luogo. In un altro Stato indiano, il Kerala, a sud dell’India, un cimitero cristiano nel distretto di Pathanamthitta è stato vandalizzato, con tombe e lapidi distrutte per due giorni consecutivi. Anche il muro del cimitero è stato deturpato da graffiti. A Mangalore, nello Stato del Karnataka, in India centrale, una sala di preghiera cattolica alla periferia di città è stata oggetto di lancio di sassi che hanno rotto le finestre. Secondo i cristiani locali “alcuni elementi anti-sociali stanno cercando di creare insicurezza e panico nella società”. Un forum di Ong cristiane ricorda che “gli attacchi e i frequenti atti di vandalismo contro obiettivi cristiani in diverse parti del paese destano preoccupazione: le autorità civili hanno il compito di fermare i violenti, garantire pace e armonia nella società, tutelare lo stato di diritto e la libertà religiosa”.

Preoccupazioni in Orissa
Intanto crescono le preoccupazioni della comunità cristiana nello Stato indiano dell’Orissa dopo l’annuncio dell’intenzione dell’organizzazione fondamentalista indù Vishwa Hindu Parishad (Vhp) di celebrare il suo giubileo di fondazione nel distretto di Kandhamal, teatro dei pogrom anti-cristiani del 2007-2008. Ai festeggiamenti, il 28 febbraio, è atteso il discusso leader del movimento Praveen Tagodia.

Timore del ripetersi delle violenze anti-cristiane del 2008
“C’è paura e insicurezza non solo a Kadhamal, ma anche nei distretti vicini”, ha dichiarato all’agenzia Ucan padre  Ajay Singh, attivista per i diritti umani nell’Orissa e vincitore nel 2003 Minority Rights Day Award conferito dalla Commissione nazionale per le minoranze. Il timore è infatti il ripetersi delle terribili violenze anti-cristiane  di sette anni fa, scatenate accusa infondata di aver ucciso il leader estremista, appartenente al Vhp, Laxmanananda Saraswati. Violenze che secondo la Chiesa e le organizzazioni per i diritti umani causarono 91 vittime (38 morte sul colpo, 41 per le ferite subite nelle violenze, 12 in azioni di polizia), numerosi feriti con danni permanenti e la distruzione di quasi 300 chiese e di conventi, scuole, ostelli e istituti di assistenza, costringendo alla fuga 55mila persone. A sette di queste vittime è dedicata una targa commemorativa benedetta in questi giorni da mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar.

Polemiche per alcune affermazioni di leader induista su Madre Teresa
Ad alimentare le tensioni religiose nel Paese, dove continua la mai sopita polemica sull’annosa questione delle conversioni forzate, anche le affermazioni del leader di un’altra organizzazione integralista indù, l’RSS, su Santa Teresa di Calcutta, una figura molto rispettata in India. Durante una cerimonia a Bharatpur, nel Rajastan, l’esponente politico avrebbe affermato che l’opera a favore dei poveri della fondatrice delle Missionarie della Carità era comunque finalizzata a convertirli al cristianesimo. Frase che ha suscitato scalpore nella comunità cristiana e critiche di diversi esponenti politici, anche se l’interessato ha replicato che le sue parole sono state fraintese.(L.Z.)

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Spagna. Messaggio dei vescovi per la Giornata per la vita

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“C’è molta vita in ogni vita”: si intitola così il messaggio diffuso dai vescovi spagnoli in vista della Giornata per la vita, che nel Paese ricorre il 25 marzo, solennità dell’Annunciazione del Signore. Il documento, a firma di mons. Mario Iceta Gavicagogeascoa, presidente della Sottocommissione episcopale per la vita e la famiglia, mira a ribadire l’importanza di tutelare i deboli ed i disabili, che invece la società attuale tende ad emarginare.

Ogni vita umana è valida in quanto immagine di Dio
“Dobbiamo riconoscere il dono prezioso della vita, indipendentemente da qualsiasi circostanza e condizione – si legge nel messaggio – Ogni vita umana è valida in quanto immagine di Dio”, perché “per Dio, ogni essere umano ha un valore eccezionale, unico e irripetibile”. I presuli iberici sottolineano, inoltre, che l’uomo “non è un’isola, non è una realtà chiusa in se stessa, bensì un essere relazionale”, che “raggiunge la sua pienezza nella comunicazione e nel dialogo interpersonale, che genera comunione”. In contrasto con “l’individualismo della nostra società”, la Chiesa di Madrid ribadisce, quindi, che “non si può raggiungere una vita piena se non con l’aiuto degli altri e con l’accettazione del dono degli altri che colma le nostre mancanze”.

Non si costruisce la società rifiutando i più deboli
Quanto alle “persone che vengono al mondo con particolari necessità, vulnerabilità e disabilità”, la Conferenza episcopale spagnola (Cee) ricorda che “oggi, purtroppo, c’è chi pensa che queste vite non valgano la pena o non meritino di essere vissute”. Ma “questo modo di pensare – notano i vescovi iberici – dimostra l’incapacità di apprezzare il valore e la dignità di ogni esistenza umana e porta al disprezzo, anche se velato e sottile, della persona disabile e malata”. “Ma quale società si costruisce con il rifiuto dei più indifesi e bisognosi?", è la domanda retorica dei presuli spagnoli. "Come si può qualificare un mondo che nega l’accoglienza e la protezione dei più deboli?”.

I disabili, campioni della vita
Al contrario, i portatori di handicap sono “campioni della vita per il loro coraggio, rappresentano un esempio per tutti e offrono una testimonianza vera della grandezza dell’esistenza. Sono persone grandi, capaci di dare tutto, di arricchire gli altri e di accogliere tutti”. Non solo: anche le famiglie che hanno un disabile tra i propri componenti “imparano a guardare alla vita da un’altra prospettiva”. Spesso, infatti, famiglie così composte rivelano che questi “figli così detti ‘speciali’ sono fonte di felicità, di amore e di speranza ed aiutano a crescere in umanità”.

Chiesa, Stato e società unite per tutelare la vita sin dal concepimento
Quindi, la Cee ribadisce che è compito di tutti difendere la vita, dal concepimento e fino alla morte naturale, “in una sinfonia di carità con la quale si può costruire un mondo veramente umano”. “L’impegno nel servizio alla vita è un obbligo per tutti”. Pertanto, “la responsabilità propriamente ecclesiale” non esclude “la partecipazione sociale e politica, nell’ottica della promozione del bene comune”. Per questo, la Chiesa di Madrid afferma che le istituzioni, le famiglie, le associazioni civili devono “lavorare con coraggio, costanza e creatività per difendere e promuovere la vita in ogni sua fase, riformando e derogando le legislazioni ingiuste e promuovendo iniziative a tutela dell’esistenza, come fondamento di una società veramente umana”. (I.P.)

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Papa a Sarajevo, insediato il Comitato organizzatore

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È stato istituito lo scorso 23 febbraio il Comitato preparatorio della Chiesa cattolica in Bosnia-Erzegovina, incaricato di organizzare di concerto con la Santa Sede la visita pastorale di Papa Francesco a Sarajevo, fissata per il 6 giugno. A riferirlo al Sir è stato il segretario generale della Conferenza episcopale bosniaca, mons. Ivo Tomasevic. Il comitato è presieduto dal cardinale, arcivescovo di Sarajevo, Vinko Puljić, ed è composto dai vescovi delle diocesi di Banja Luka e Mostar, da religiosi, suore, sacerdoti e laici impegnati a vario titolo nel campo pastorale, dalla catechesi, alla liturgia, ai media.

Papa Francesco, simbolo di pace e riconciliazione
Allo studio, in questo periodo, la scelta dei luoghi, la disposizione dell’ufficio stampa, l’esame della località dove celebrare la Santa Messa che “deve essere abbastanza grande da contenere i fedeli attesi in gran numero, non solo dalla Bosnia”. Secondo mons. Ivo Tomasevic, “Papa Francesco viene a portare un messaggio di riconciliazione e di pace non solo alla Bosnia, ma a tutta la regione e all’Europa. Sarà una visita che non mancherà di rilanciare le istanze del dialogo, soprattutto interreligioso e interetnico. I capi religiosi - afferma il presule - devono essere leader anche nel dialogo”. Nelle attese dei fedeli bosniaci anche “un messaggio del Papa ai giovani. Molti, infatti, stanno emigrando altrove, non vedendo prospettive a livello locale. Invece, è importante che restino per costruire il futuro della Bosnia”.

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Diocesi Cordoba: per presidenziali serve rivoluzione etica

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“I cristiani partecipino con responsabilità e totale libertà alla gestione della cosa pubblica”: questo l’invito avanzato dall’arcidiocesi di Cordoba, in Argentina, in vista delle elezioni presidenziali che si terranno nel Paese il prossimo 25 ottobre. In una nota a firma della Pastorale sociale diocesana, si ribadisce che “la realtà attuale esige, oggi più che mai, di prendersi cura della Patria. E questo obiettivo riguarda tutti, poiché da tutti dipende il presente ed il futuro della nazione”.

Società “malata”. Promuovere inclusione e pace sociale
“La nostra società è la nostra casa ed attualmente essa è malata, scoraggiata, rattristata, impotente”, scrive la Chiesa di Cordoba, puntando il dito contro la corruzione, il degrado delle istituzioni, l’illegalità, la perdita dell’aspirazione al bene comune e alla ricerca della verità, la mancata valorizzazione del lavoro. Di fronte a tale situazione, “la Chiesa lancia un appello a recuperare la speranza e la fiducia nella morale – si legge ancora nella nota – ed esorta a curare la Patria, a rafforzare le istituzioni repubblicane, così da ottenere l’inclusione e la pace sociale”.

Veri cittadini, titolari di diritti e di doveri
Ma per prendersi cura della Patria, continua l’arcidiocesi di Cordoba, è necessario “prendere sul serio lo status di cittadino”, il quale “non è un mero abitante del Paese, né un suddito nei confronti dello Stato o del governo di turno”. Al contrario, il cittadino è “un soggetto di diritti e di doveri”, poiché ha “il diritto di esigere che lo Stato garantisca il benessere generale e la promozione del bene comune”, ma ha anche il dovere di “adempiere ai suoi obblighi in maniera responsabile”.

No a individualismo, intolleranza e corruzione
In pratica, specifica la nota, “un buon cittadino è colui che usa la sua libertà con responsabilità; rispetta le leggi vigenti, paga le tasse, ha cura del patrimonio pubblico, non usa la violenza come soluzione dei conflitti, è capace di dialogare, è consapevole delle conseguenze delle sue azioni, sa porsi nei panni di chi non condivide le sue opinioni, si preoccupa dell’ambiente e del rapporto con gli altri”. In questo senso, sottolinea la Chiesa di Cordoba, una condotta da vero cittadino “è incompatibile con l’individualismo, l’indifferenza politica, l’intolleranza ideologica, la mancanza di una coscienza comunitaria, la corruzione”.

Votare in maniera responsabile
Dal punto di vista elettorale, inoltre, il buon cittadino che vuole votare “in modo consapevole e responsabile” si preoccupa “di informarsi sui progetti elettorali dei candidati”, tenendo conto anche delle loro “qualità morali” per l’esercizio della funzione pubblica. In sintesi, spiega ancora l’arcidiocesi argentina, “la cura della Patria esige da ciascuno la capacità di agire in modo civile e responsabile, mettendo in pratica valori come la giustizia, la libertà, la legalità, il rispetto reciproco, la partecipazione, di guardare al lavoro come fonte della dignità umana e forma legittima di sussistenza, di promuovere la lotta alla corruzione”.

Occorre una rivoluzione etica per formare nuovi leader
In conclusione, ciò che la Chiesa di Cordoba auspica è “una vera rivoluzione etica” per formare nuovi leader, “forgiati nella verità e capaci di apprezzare l’esercizio costante dei valori sociali”. “Abbiamo bisogno – conclude la nota – di costruire una democrazia non solo formale, ma anche reale e partecipativa”. (I.P.)

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Senegal. Nunzio apostolico: proseguire dialogo islamo-cristiano

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Essere capaci di rendere testimonianza a Cristo per impregnare la società dei principi del Vangelo, evitando che la fede abbia un posto marginale nella vita pubblica: è quanto ha chiesto ai suoi fedeli mons. Benjamin Ndiaye, nuovo arcivescovo di Dakar, in Senegal, che in questi giorni si è insediato nella sua arcidiocesi. Alla cerimonia svoltasi nella cattedrale di Nostra Signora delle Vittorie, hanno preso parte l’arcivescovo emerito, il cardinale Théodore Adrien Sarr, il nunzio apostolico mons. Luis Mariano Montemayor, diversi sacerdoti, religiosi ed autorità.

Proseguire il dialogo con le istituzioni e con l’islam
Mons. Montemayor, a nome del Papa, ha esortato mons. Ndiaye a proseguire come i suoi predecessori un dialogo costruttivo con il governo e i leader religiosi musulmani, perché tale dialogo possa contribuire al consolidamento del tradizionale rispetto e degli ampi rapporti d’amicizia in Senegal fra cristiani e musulmani. “Ciò malgrado le minacce e le influenze negative che giungono da altre parti del mondo”, ha affermato il nunzio.

Mons. Ndiaye: rafforzare la fede e non dimenticare gli ultimi
Nella sua omelia, il neoarcivescovo ha sottolineato la necessità di una solida formazione dottrinale e spirituale per i credenti, ha chiesto impegno perché venga conservata l’unità nella diversità dei carismi, ha invitato a servire i poveri e ad avere uno spirito d’apertura, d’accoglienza e di ospitalità. Ricordando poi l’esortazione del Papa ai vescovi del Senegal lo scorso novembre in visita "ad Limina" a Roma, il presule ha insistito sulla sfida cui sono chiamati i cristiani: radicare la fede nel cuore, perché possa essere messa in pratica nella vita. A sacerdoti, religiosi, laici, istituti, associazioni e movimenti mons. Ndiaye ha chiesto poi una fruttuosa collaborazione e ai fedeli, ancora, di non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà.

Cardinale Sarr: proseguire la convivenza interreligiosa
Al termine della celebrazione eucaristica, ha rivolto il suo saluto alla Chiesa di Dakar il cardinale Sarr, che ha incoraggiato i senegalesi a vivere nella pace e a restare esempi nel dialogo islamo-cristiano. Il porporato ha rimarcato che proprio la convivenza senza distinzione di religione, cultura o etnia è la forza del popolo senegalese. (T.C.)

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Conferenza su libertà dei consulenti giuridici vescovi Ue

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È il tema della libertà il nucleo principale dell’incontro dei consulenti giuridici delle Conferenze episcopali europee (Ccee), che si terrà a Bratislava, in Slovacchia, dal 4 al 6 marzo. Due, in particolare, gli aspetti che verranno messi a fuoco, spiega in una nota mons. Duarte da Cunha, segretario generale del Ccee: “Il primo è la libertà all’obiezione di coscienza, ossia quel diritto che preserva quello spazio di libertà che permette alla persona di non agire contro la propria coscienza”.

Libertà all’obiezione di coscienza e libertà di espressione
Il secondo, invece, è “la libertà di espressione: un diritto che richiede una grande attenzione anche per l’attualità del dibattito diventato sempre più presente dopo gli eventi di Parigi e di Copenaghen”. Tanto più che, continua il presule, “non spetta solo al legislatore, ma a tutta la società cercare di capire che cosa questo diritto significa e come deve essere applicato”. Per questo, la Chiesa cattolica “cercherà nel corso dell’incontro di individuare quali sono le sfide presenti oggi in Europa a livello legislativo e come la luce del Vangelo possa aiutare a trovare ciò che è più giusto”.

Previsto intervento di mons. Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati
Nel corso dell’incontro, i partecipanti visiteranno anche l’Agenzia europea per i diritti fondamentali, e incontreranno la Missione permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Oltre al presidente della Conferenza episcopale slovacca, mons. Stanislav Zvolensky, ed al nunzio apostolico nel Paese, mons. Mario Giordano, al convegno interverrà anche  mons. Paul Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati del Vaticano, che proporrà una riflessione sul tema  “Le sfide alla Chiesa di oggi nei discorsi di Papa Francesco al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa”.

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Congo, ucciso sacerdote. Vescovo di Goma: non c'è sicurezza

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È stato ucciso in un apparente tentativo di rapina l’economo della parrocchia di Mweso, nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. L’omicidio di don Jean-Paul Kakule Kyalembera è avvenuto la sera del 25 febbraio. “Sembra essersi trattato di un atto di banditismo” conferma all’agenzia Fides mons. Théophile Kaboy Ruboneka, vescovo di Goma, nella cui diocesi rientra Mweso. “Il sacerdote stava chiudendo le porte della Chiesa quando ha scoperto, nascosti, alcuni banditi. I criminali hanno sparato senza esitazione, colpendolo all’addome e al capo. Don Kakule è morto sul colpo”. Mons. Kaboy aggiunge che “tre persone sospette sono state arrestate ed è in corso il loro interrogatorio”. Le esequie di don Kakule si celebreranno domani a Goma.

Nella stessa zona, tre sacerdoti assunzionisti rapiti nel 2012
Mons. Kaboy sottolinea che “nella diocesi ci sono numerose bande che terrorizzano la popolazione e ci sono troppe armi in circolazione. La situazione rimane quindi molto pericolosa”. Da ricordare che nella stessa zona del Nord Kivu, dal 19 ottobre 2012 non si hanno più notizie di tre sacerdoti assunzionisti rapiti dalla parrocchia di Notre-Dame des Pauvres di Mbau, un avvenimento che è stato ricordato da una nota della Conferenza episcopale congolese sull’uccisione di don Kakule, che si conclude affermando: “Dopo il rapimento di tre sacerdoti assunzionisti, la Chiesa della Repubblica Democratica del Congo è ancora in lutto per l’uccisione di un sacerdote”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 58

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.