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Sommario del 24/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



P. Fares: gli Esercizi con Bergoglio, esperienza del cuore straordinaria

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E’ in corso nella Casa Divin Maestro di Ariccia, il terzo giorno di Esercizi Spirituali del Papa e della Curia Romana, predicati dal carmelitano Bruno Secondin. Il tema della meditazione giornaliera è “Sentieri di libertà”. Per una testimonianza su quanto gli Esercizi Spirituali siano importanti nella vita e nell’azione pastorale di Papa Francesco, Alessandro Gisotti ha intervistato il padre gesuita argentino, Diego Fares, amico di lunga data di Jorge Mario Bergoglio che ne è stato anche il padrino di ordinazione sacerdotale. Da pochi giorni, inoltre, padre Fares è membro del Collegio degli scrittori di “Civiltà Cattolica”, per la quale ha già firmato tre articoli. In Italia ha pubblicato – per la Ancora Editrice - il volume “Papa Francesco è come un bambù. Alle radici della cultura dell’incontro”: 

R. - Io conosco Papa Francesco-Bergoglio da quasi quaranta anni! Da quando mi ha ammesso nel noviziato della Compagnia di Gesù, nel ‘76. Personalmente mi ha insegnato ad accompagnare gli altri negli Esercizi Spirituali. Mi ricordo - io ero studente - quanto mi ha sorpreso una volta che lui, che predicava gli Esercizi annuali agli studenti del Colegio Maximo, mi ha chiesto se me la sentissi di accompagnare col suo aiuto tre miei compagni, perché eravamo in tanti. Io ho detto di sì, me lo sentivo se loro avessero voluto parlare con me e che io parlassi con il Rettore per aggiornarlo su come andavano le cose e se c’era qualche problema. Questi tre hanno accettato, perché era un modo di fare gli Esercizi con Bergoglio, indirettamente diciamo. Lui dava “i temi”- i “punti” diciamo noi -  per fare le preghiere, ascoltava molti che si rivolgevano a Lui ed io, una volta al giorno ascoltavo questi miei compagni. La sera conferivo con Bergoglio. Cosi ho cominciato, da studente, da giovane, a fare la guida spirituale. Questo s’impara non dai libri ma sotto la guida di un maestro spirituale com’era Bergoglio per tutti noi. Per noi dare gli Esercizi fa parte della nostra missione, quello che ci sta più a cuore.

D. - Papa Francesco è un gesuita e ovviamente gli Esercizi Spirituali sono nel Dna di ogni discepolo di Sant’Ignazio di Loyola. Ma quale valore particolare ha che il Papa voglia con sé, come l’anno scorso, i suoi più stretti collaboratori in questo momento forte dell'Anno liturgico, verso la Pasqua, ma anche in un periodo in cui va avanti la riforma voluta dal Papa, la riforma della Curia?

R. – Questa è la vera riforma! Fare insieme con altri gli Esercizi è una esperienza spirituale molto forte. Si condivide molto, anche se ognuno fa i suoi esercizi personalmente. Penso che per un gruppo di collaboratori del Papa fare gli Esercizi con Lui dev’essere qualcosa di molto speciale. Io li farei volentieri! Ma non ho avuto il coraggio di chiedere se potessi andare…Questo è bello! Il Papa pratica quello che nella Compagnia di Gesù chiamiamo “governo spirituale’: è uno stile di governo che sta attento non soltanto a quello che si deve fare, ma a come si fa, con quale spirito, e ad maiorem Dei gloriam. “Si devono fare le cose con buono spirito”, come dice Sant’Ignazio. E per questo suo modo di governare, mi sembra buono che i suoi collaboratori facciano gli Esercizi di Sant’Ignazio, per capirlo. Se Papa Francesco riesce a riformare la Curia e la Chiesa farà una riforma – penso io - che parte dall’interno, dal cuore, non sarà una riforma di cambiamenti puramente esteriori.

D. - Andando ad Ariccia con i collaboratori della Curia, Papa Francesco ha dato anche un esempio a tutti, non solo a vescovi e cardinali. Secondo lei, gli Esercizi Spirituali potranno essere sempre più praticati anche da laici e dalle famiglie, magari con delle proposte adeguate per loro?

R. - Questo è vero, è un esempio. Per me è una provocazione, perché sinceramente delle volte trascuro di fare i miei esercizi con la scusa del molto lavoro. Ma se il Papa trova il tempo, nessun può scusarsi, vero? Gli Esercizi sono una grazia per tutta la Chiesa. Ignazio li dava ai laici e a ogni tipo di persone,  ognuno secondo le sue possibilità e i suoi desideri. Ignazio diceva: “Gli Esercizi sono certamente quanto di meglio io posso concepire, conoscere e comprendere in questa vita, sia per il progresso personale di un uomo, sia per i frutti, l’aiuto e il profitto che egli può procurare agli altri”. Gli Esercizi sono un dono, un regalo per noi, non un obbligo. 

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L’account @Pontifex supera 19 milioni di follower

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Papa Francesco supera i 19 milioni di follower sul suo account Twitter @Pontifex in nove lingue, inaugurato da Benedetto XVI nel dicembre 2012. L’account più seguito è quello in lingua spagnola con oltre 8 milioni di follower, seguito dall’inglese con 5,5 milioni e dall’italiano con 2,5 milioni di follower. 

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Vocazioni religiose: guardiamo al Papa, esempio di forza

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Le vocazioni alla vita religiosa, il calo evidente dei giovani che rispondono a questa particolare chiamata, la sensazione che sia alle porte una nuova fioritura. Sono i dati e sentimenti che accompagnano la Conferenza internazionale sulla pastorale delle vocazioni alla vita consacrata, in corso a Roma fino a venerdì prossimo. L’incontro, con esperti di vari continenti, è organizzato dal “National Religious Vocation Conference” di Chicago – associazione  cattolica statunitense impegnata da 27 anni nella promozione vocazionale – e sostenuto dalla Conrad N. Hilton Foundation. Alessandro De Carolis ha intervistato uno dei partecipanti, padre David Glenday, segretario generale dell’Unione dei Superiori Generali (Usg): 

R. – Dal “National Religious Vocation Centre” dei religiosi negli Stati Uniti hanno convocato persone responsabili per la promozione delle vocazioni religiose nell’Occidente, perché si voleva studiare un po’ una situazione critica: Stati Uniti, Canada, Irlanda, Inghilterra, Nuova Zelanda, Australia, Oceania, per vedere il fenomeno, le cause, possibili risposte fatte insieme.

D. – Questa analisi, quindi parliamo intanto delle cause del fenomeno, che cosa vi ha fatto capire?

R. – Siamo ancora all’inizio. Io suppongo che il discorso andrà sul grande cambiamento culturale che è avvenuto e sta avvenendo: le ricadute sulle famiglie, per esempio, il fenomeno di una certa difficoltà ad un impegno “ad vitam” delle nuove generazioni, la sfida per la vita religiosa di presentarsi, di spiegare le proprie ragioni. Certamente, le persone, i candidati, sono di meno ma c’è una sensazione che vi sia un fuoco che brucia sotto le ceneri. Siamo un poco nelle ore prima dell’alba. Allora, c’è una necessità di vivere questo momento con speranza con fiducia, con intraprendenza, con energia.

D. – In che modo, stante questa situazione di oggi di grande disinteresse da parte di tanti giovani verso la vita ecclesiale e religiosa, si possono attrarre?

R. – E’ la testimonianza, la testimonianza attrae: la testimonianza di gioia, di pace, di interesse per gli ultimi, di iniziativa. E grazie a Dio è una testimonianza si dà. Poi, bisogna avere fiducia, bisogna sapere seminare, non bisogna aspettarsi i risultati immediati. La gioia della testimonianza vissuta con libertà di spirito.

D.  – Le speranze quali sono?

R. – Per esempio, ieri, la sorella venuta dalla Francia diceva che quando i giovani vanno a Lourdes, al loro centro, chiedono loro, anonimamente: chi di voi ha mai pensato di essere religioso, religiosa? Il 40% risponde che ha pensato a questo. Poi, dagli Stati Uniti c’è stata la testimonianza di splendidi giovani… Allora, questa è un po’ la speranza, che c’è questo fuoco, che lo Spirito Santo sta lavorando. Che poi, è l’invito che ci rivolge fortemente il Santo Padre.

D. – In che modo il messaggio che Papa Francesco ha dato a tutti i religiosi nell’Anno della Vita Consacrata vi sta guidando in questo incontro?

R.  – Questo convegno è un frutto dell’inizio dell’Anno di Vita Consacrata indetto dal Papa. Naturalmente, quello che soprattutto sospinge e anima è il suo esempio, perché noi siamo coscienti che il Papa è un religioso: non lo nasconde, lo vive apertamente e ci chiama ad un impegno più forte, più radicale. Questo aiuta.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Giù la maschera: la vicenda di Elia negli esercizi spirituali della Curia romana.

Cristiani in ostaggio: sanguinoso attacco dell'Is a località caldee in Siria.

Grido d'aiuto: in prima pagina, Alberto Fabio Ambrosio sul libro intervista al patriarca caldeo Louis Raphael Sako.

Frammenti cresciuti nel tempo: Giulia Galeotti, inviata a Santiago, descrive le tre case di Pablo Neruda in Cile.

Parole piccole per dire cose grandi: l'arcivescovo Bruno Forte sulla rivoluzione comunicativa di Papa Francesco.

Il frate che curava tutti: Ferdinando Cancelli illustra le meditazioni di un monaco di Tibhirine.

Il secolo lungo (della filosofia) in un'opera di Giovanni Reale e Dario Antiseri.

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Oggi in Primo Piano



Decine di cristiani assiri rapiti da Is in nord est Siria

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Otto civili, tra i quali cinque bambini, sono stati uccisi in Siria, vicino al confine con l'Iraq, in un bombardamento compiuto da miliziani curdi Peshmerga da oltre frontiera sulle postazioni del sedicente Stato islamico. Lo riferisce l'ong Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). Il bombardamento e' avvenuto sul villaggio di Salima, nella regione di Jaza. Intanto viene confermato che almeno 70 cristiani assiri sono stati rapiti dall'Is in villaggi nel Nord-Est della Siria.  Un giovane di 17 anni è stato barbaramente ucciso. Il servizio di Fausta Speranza 

Decine di cristiani assiri presi in ostaggio, le chiese bruciate o danneggiate. Un giovane di 17 anni trucidato. Più di 40 pick-up con a bordo miliziani jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) hanno attaccato i villaggi cristiani assiri nella provincia siriana nordorientale di Jiazira. Hanno preso il controllo di due villaggi: Tel Shamiram e Tel Hormizd. Ma hanno portato via famiglie anche da altri villaggi, come Tel Gouran e Tel Jazira. All'Agenzia Fides, mons. Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico della vicina Hassaké-Nisibi, parla di offensiva dei jihadisti in una situazione di abbandono.  Cento famiglie assire che hanno trovato rifugio ad Hassakè, raccontano di non aver ricevuto nessun aiuto dalla Mezzaluna Rossa e dagli organismi governativi siriani di assistenza, forse perchè cristiani. I villaggi in questione, lungo le sponde del fiume Khabur, affluente perenne dell'Eufrate, fino a qualche tempo fa erano 35, fiorenti e molto popolati. Fondati negli anni Trenta del secolo scorso, avevano dato rifugio ai cristiani assiri e caldei fuggiti dalle persecuzioni in Iraq. Ma dall'inizio della guerra in Siria si erano quasi svuotati. Tel Hormuz da più di 4mila abitanti, negli ultimi mesi era passata a meno di trecento. Almeno 70 ma forse 100 cristiani assiri rimasti sono ora in mano all’Is.

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Libia. Mons. Magro: chiusi in casa, preghiamo per la pace

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Il sedicente Stato islamico dichiara guerra a entrambi i governi presenti in Libia, definiti “infedeli”. Nel Paese nordafricano sono attualmente attivi due esecutivi: uno, filoislamico, a Tripoli e l’altro riconosciuto a livello internazionale a Tobruk. Quest’ultimo ha annunciato nelle ultime ore di voler lasciare i colloqui mediati dall’Onu. Il Paese è dunque dilaniato dal conflitto interno e ostaggio dei jihadisti, che a Bengasi avrebbero trasformato la chiesa in un deposito di armi. Paolo Ondarza ha raccolto la testimonianza del vicario apostolico di Bengasi, mons. Sylvester Magro, raggiunto telefonicamente a Malta: 

R. – Noi, come i libici, vogliamo la pace, vogliamo una vita normale, così come l’abbiamo conosciuta negli anni passati. Adesso, tutto questo scombussolamento che è avvenuto pesa sulla popolazione ed anche su di noi.

D. – Fino a qualche mese fa, mai avreste immaginato questa situazione...

R. – No. Purtroppo non lo abbiamo immaginato. Tutto è precipitato in poche ore: era il 4 novembre quando ci hanno chiamato per portarci in un posto sicuro. Sono già quattro mesi che siamo fuori dalla nostra chiesa… E adesso abbiamo anche appreso da Internet la notizia che la chiesa è diventata un deposito di armi. Ho telefonato ai confratelli, ma anche loro non sanno niente perché non è possibile andare in quella zona “calda”: quindi non possiamo confermarlo personalmente.

D. – La Chiesa come vive questo momento?

R. – E’ un tempo di sofferenza e di paura. Con molta rassegnazione siamo costretti a rinchiuderci sempre di più nelle nostre abitazioni. Pregando e sperando aspettiamo tempi migliori, se Dio vuole. Quello che possiamo fare è pregare, perché si giunga a un’intesa attraverso il dialogo mediato dalle Nazioni Unite. Che cosa possiamo fare noi? Siamo rimasti con questa speranza di una intesa finale che restituisca la pace a questo popolo tanto provato e a noi come loro. Noi soffriamo perché il popolo desidera la pace, il popolo vuole ritornare a una vita normale. Questo è un grido fortissimo, perché non piace a nessuno stare in uno stato di guerra.

D. – Lei adesso verrà a Roma?

R. – Si devo venire per la visita "ad Limina".

D. – E questo grido lei lo porterà al Papa?

R. – Senz’altro, senz’altro, sì. Basta con lo spargimento di sangue e che ognuno cerchi di fare il proprio sforzo per far regnare la pace tanto desiderata e sospirata nei cuori di tutti gli uomini.

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Libia. Don Zerai: situazione terribile dei migranti ammassati sulle coste

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Seminudi e inginocchiati di fronte ai loro aguzzini che li minacciano con i kalashnikov mentre altri li colpiscono con secchiate d'acqua gelida. Sono le torture a cui sono sottoposti alcuni rifugiati siriani in Libia che si erano affidati agli scafisti per arrivare in Italia. Lo rivela un video pubblicato in esclusiva dal “Daily Telegraph”. Il filmato evidenzia, in tutta la sua drammaticità, la condizione terribile dei migranti ammassati sulle coste libiche e alla mercé dei gruppi estremisti. Al riguardo, Fabio Colagrande ha intervistato Don Mussie Zerai, fondatore e presidente dell'agenzia “Habeshia”: 

R. – Le persone che mi hanno contattato erano rinchiuse dentro un capannone - circa 600, 700 persone - in condizioni igienico-sanitarie veramente spaventose. Dentro questo capannone, infatti, non avevano neanche i bagni dove poter fare i loro bisogni. Erano maltrattati, circondati da uomini armati, per cui non potevano né uscire né entrare. Questa era la situazione. Ogni giorno, donne e bambini erano continuamente ricattati da questi uomini armati, che dicevano: "Decidiamo noi quando farvi partire, non importano le condizioni del mare, le vostre paure…"

D. – Da alcune intercettazioni sembra che abbiano minacciato di "usare" i migranti quasi come un’arma…

R. – Il ricatto non è una novità, anche Gheddafi lo faceva. E pure questi hanno imparato bene che l’Europa è preoccupata da questi flussi in arrivo, per cui sanno come usarli per ricattare politicamente l’Unione Europea. Questo è il lato peggiore. Adesso stanno arrivando, da quello che mi dicono tantissime persone, soprattutto dal Sudan, dalla zona del Darfur. Anche lì, nessuno ne parla - la televisione, i giornali in Europa… - ma interi villaggi vengono bruciati e questo fa fuggire migliaia di persone, che si stanno riversando in Libia e che poi finiscono nelle mani di questi gruppi armati estremisti.

D.  – Come bloccare questo traffico di esseri umani, questa strage?

R . – Bisognerebbe recuperare intanto il ruolo dei capi clan, il ruolo dei capi tribù e farli dialogare tra di loro, perché l’intervento militare fatto dai Paesi europei incendierà ancora di più la situazione. Sarebbe un grande regalo a questi estremisti e non credo sarebbe la soluzione. Questo andava fatto nel 2011, quando c’è stato l’intervento, che andava completato e portato avanti. Non è stato fatto, e tornare ora, mandare eserciti europei in Libia, vuol dire fare una regalo immenso al Califfato... Invece, bisogna che i Paesi arabi limitrofi – l’Algeria, la Tunisia, l’Egitto – intervengano. Essendo, però, la Libia divisa per clan, per tribù, bisogna recuperare il ruolo di questi capi tribù, capi clan e farli dialogare fra di loro, per isolare gli estremisti, per isolare questi appartenenti all’Is, ad al Qaeda o chi per loro. Io non credo che la soluzione arrivi dalle bombe.

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Grecia: lista riforme di Tsipras al vaglio dell’Eurogruppo

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Il piano Tsipras con cui la Grecia chiede il prolungamento dei prestiti di altri quattro mesi è da ieri sera sul tavolo di Bruxelles. La Commissione Ue parla di "un valido punto di partenza". E nel primo pomeriggio i ministri delle Finanze dell’Eurogruppo sono riuniti in teleconferenza per valutare la lista di impegni con cui Atene afferma di portare avanti le privatizzazioni avviate e la lotta all'evasione fiscale. Parte poi la "spending review", meno Ministeri e benefit politici. Ridimensionate invece le misure sociali promesse in campagna elettorale, ma restano energia e sanità gratuite per i poveri. Marco Guerra ha chiesto un parere a Pietro Reichlin, ordinario di Economia alla Luiss di Roma: 

R. – Certamente, c’è ancora molta strada da fare perché, da quanto si capisce, la lettera del governo greco è ancora abbastanza generica e soprattutto non contiene cifre esatte. Quindi, si vedrà successivamente se verranno soddisfatte le richieste dell’eurogruppo che riguardano diversi punti. Un punto naturalmente è di natura fiscale, cioè rispettare la promessa di avanzo primario per poter rientrare nel piano di stabilizzazione. L’altra questione molto importante è quella delle misure che dovrebbero aumentare la competitività del sistema economico greco e ridurre il fenomeno dell’evasione fiscale.

D. – Lotta alla corruzione e taglio ai costi della politica fra gli impegni presi dal governo greco. Questo basterà a ridurre l’enorme debito pubblico ellenico?

R. – Non credo che queste misure siano sufficienti. Si tratta di propositi abbastanza vaghi e imprecisi. In questo momento, in Grecia c’è una crisi di fiducia anche soprattutto dei risparmiatori e una fuga dei capitali. Quindi, il governo greco dovrà fare cose concrete non solo sul piano della lotta alla corruzione, che senz’altro è molto importante, ma dovrà anche dimostrare che l’economia verrà raddrizzata sul piano della sua efficienza e sul piano del suo sistema fiscale. Queste sono cose che richiedono tempi lunghi.

D.  – Però, questi ulteriori quattro mesi di tempo non sono tempi abbastanza  lunghi?

R.  – L’importante è che, io credo, dal punto di vista delle istituzioni europee, la Grecia dimostri buona volontà, che dia un segno di essere sulla strada giusta. Nessuno si aspetta che il debito greco venga ridotto in maniera drastica. Io credo che le istituzioni europee siano anche disposte a tollerare una maggiore flessibilità sul piano degli obiettivi di finanza pubblica. Però, va rivisto l’atteggiamento di partenza di Syriza che sembrava voler ignorare completamente le richieste delle istituzioni europee. Siamo nell’ambito di una contrattazione in cui non è interesse di nessuno portare la Grecia fuori dall’area euro.

D. – Pare che di misure sociali nella lettera ce ne siano ben poche. Infatti, nell’ala sinistra del governo si registra un certo malumore. Alcuni dicono che ormai la volontà popolare conta ben poco di fronte ai diktat degli organismi internazionali...

R. – La vicenda dimostra che il sistema europeo deve tenere conto di due tendenze. Una è quella naturalmente legittima dell’elettorato, di potersi scegliere il governo che vuole e di avere una certa flessibilità nella scelta delle politiche. Però, non bisogna dimenticare che le richieste di Syriza erano richieste di fare politiche espansive non con i soldi dei greci ma con i soldi dei contribuenti europei. Ora, è evidente che questo significa che l’Europa è interessata a sapere come i propri soldi saranno spesi. Dunque, non è un sistema nel quale è possibile essere totalmente indipendenti, perché la Grecia non ha la possibilità di indebitarsi sul mercato. Si può indebitare soltanto con le istituzioni europee, cioè in ultima analisi con tutti noi, noi tutti cittadini europei.

 

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Carlà: bene accordo Italia-Svizzera, un trend in espansione

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C’è soddisfazione per l’accordo siglato ieri tra Svizzera e Italia che, modificando la Convenzione del 1976, avvia lo scambio di informazioni, per il momento solo su richiesta, tra i due Paesi e che di fatto, abbattendo il segreto bancario, fa uscire il Paese elvetico dalla "black list", favorendo il rientro in Italia di capitali finora occultati al fisco. Sulle cifre però non ci sono certezze, mentre la Lega solleva il problema degli frontalieri italiani. Giovedì prossimo, la firma di una analoga intesa con il Liechtenstein, cui seguirà quella con Monaco. Per un commento, Adriana Masotti ha sentito Francesco Carlà, economista e presidente di "FinanzaWorld": 

R. – E’ molto importante perché sottolinea e certifica un cambio anche di tendenza nel mondo: la tendenza di avere dei Paesi in "black list", dei Paesi "offshore", dei Paesi che erano orientati a rappresentare dei paradisi per gli evasori, sta sparendo. E un accordo di questo tipo fatto con la Svizzera, che aveva – si dice – l’80% del denaro "offshore" italiano, vuol dire un cambiamento strutturale. Entrando più nei dettagli, chiaramente la Svizzera aveva tutto l’interesse a uscire dalla "black list", perché così adesso può operare anche sul nostro territorio in modo strutturale e quindi potremo immaginarci di vedere agenzie delle principali banche svizzere sul territorio italiano: cosa che al momento non era pensabile e non era mai successa. Dall’altra parte, lo Stato italiano ci guadagna perché contemporaneamente propone l’ultima chiamata per chi ha denaro di difficile provenienza in Svizzera per autodenunciarsi in Italia ed evitare, per il momento, le sanzioni penali: anche se non si tratta di un condono perché, dal un punto di vista della regolarizzazione, bisognerà pagare tutte le sanzioni fiscali previste.

D. – A questo proposito, il premier Renzi è molto ottimista: ieri ha detto che “rientreranno in Italia miliardi di euro”. Alcuni economisti sono un po’ più cauti, la Camusso dice: “Stiamo facendo delle cifre fantasiose, chi voleva ha avuto tutto il tempo per portare i suoi capitali in altri luoghi”…

R. – Diciamo che si vedrà al consultivo quanti saranno effettivamente i denari che rimpatrieranno. Lo Stato spera di incassare circa 6 miliardi e mezzo e quindi immagina che, più o meno, ci siano rientri per circa 30 miliardi: questi sono i numeri attesi e sperati dal governo. In ogni caso, come dicevo prima, il cambiamento di trend è pesante, è molto importante. I capitali italiani non denunciati conosciuti o parzialmente conosciuti all’estero ammontano a, più o meno, 150 miliardi di cui, come dicevo, l’80% è in Svizzera. Quindi, se la Svizzera e l’Italia da questo punto di vista hanno fatto sul serio, e parrebbe che sia così, è possibile che il denaro rientrante e quindi la parte fiscale, la parte dei ritorni fiscali per il governo italiano, potrebbe anche essere di un certo importo.

D. – Quindi, c’è convenienza per gli evasori a emergere dalla loro situazione? 

R. – Naturalmente, dipende da che tipo di evasori si tratta, perché ci sono molti tipi di evasori. Ci sono evasori che ovviamente non possono emergere, perché i loro denari provengono da attività illegali che hanno a che fare con la criminalità organizzata, e probabilmente quei denari sono già spariti da un pezzo dalla Svizzera, come dice la Camusso. Per gli evasori, diciamo così, industriali, quelli che invece hanno in vari momenti della storia d'Italia ritenuto il Paese non più tranquillizzante, è possibile che questo cambiamento di orizzonte li convinca e anche il fatto che sia l’ultima occasione a definire le questioni con l’Italia.

D. – A proposito di tendenza, giovedì prossimo sarà firmato l'accordo con il Licthtestein, poi si procederà con Monaco. Che cosa favorisce adesso questa apertura ad una maggiore trasparenza?

R. – L’apertura è determinata anche dal fatto che i Paesi "offshore" sono diventati un terminale per denaro sempre di più pericoloso, che proviene da attività sempre più gravi, come appunto quelle dell’alimentazione delle guerra, della droga… Quindi, Paesi come la Svizzera hanno sempre meno interesse a essere coinvolti in questo genere di attività e, d’altra parte, hanno anche molte più opportunità se escono dalle "black list". Ricordiamo che uno dei primi Paesi di questo genere a uscire dalla "black list" è stato San Marino. Quindi, il trend viene da lontano, ma probabilmente si espanderà ancora. E’ chiaro che, però, ci sono tanti altri Paesi "offshore" fuori dall’Europa che probabilmente continueranno ad accogliere, invece, benevolmente questo genere di denaro.

 

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Gb. Appello vescovi: votare per chi difende la dignità umana

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Un Paese in cui i leader siano non manager ma uomini in grado di assicurare il bene comune. È quello che i vescovi della Gran Bretagna auspicano in vista della tornata elettorale del 7 marzo prossimo. Per l’occasione, il cardinale Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale locale, ha presentato ai media la lettera dei presuli. Philippa Hitchen lo ha intervistato:

R. – The first point we’re trying to make…

La prima cosa è un appello alla qualità del dibattito e della riflessione, che riempirà questi mesi. Chiediamo ai cattolici, in particolare, di prendere a cuore quello su cui insiste il Vangelo e la nostra fede, cioè la dignità di ogni persona. Quindi, stiamo davvero dicendo che non vogliamo un dibattito ideologico: vogliamo un dibattito che nasca veramente da una visione della persona umana in tutta la sua dignità data da Dio e dal modo in cui la persona progredisce o non riesce a progredire nella complessa società moderna. E queste sono le cose che vogliamo sentire dai candidati e non slogan su questa politica particolare o quella.

D. – E’ una cosa impegnativa da chiedere, perché i politici naturalmente cercano degli slogan per poter vincere le elezioni…

R. – Well, that’s right and…
E’ così e temo che le persone si stancheranno di dichiarazioni ad effetto, immediate, che non vanno in profondità, o che a volte non si è disposti ad analizzare. La gente a volte, infatti, non è disposta ad analizzare il pensiero che c’è sotto. Per esempio tutta la questione dell’immigrazione. Mi piacerebbe vedere una leadership politica che non faccia leva sulle paure della gente, piuttosto alzi le aspettative. La Gran Bretagna è un Paese prospero e può davvero accogliere chi è più disperatamente nel bisogno. Certo, abbiamo bisogno di una politica dell’immigrazione. Certo, abbiamo bisogno di un controllo dell’immigrazione, ma non dovremmo iniziare il dibattito cercando di riversare sulla gente che è arrivata in questo Paese l’insoddisfazione e la paura nata da un periodo di crisi economica.

D. – Pensa che alla fine le persone siano più interessate all’economia e a quello che l’economia possa fare per me e la mia famiglia?

R. – Well, the economics are very very…
L’economia è davvero molto importante. E qualcuno direbbe che, nel corso degli ultimi cento anni, o forse più, la politica segua l’economia. Quindi, non c’è nulla di sbagliato nel dire come questo governo gestirà l’economia e quali saranno quindi i mezzi con cui sarò in grado di sostenere la mia famiglia o i miei dipendenti. E’ davvero una giusta priorità da avere. Ma l’economia non è una scelta tra il rimboccarsi le maniche e fare da sé, da una parte, e un aiuto infinito da parte dello Stato, dall’altro. Il dibattito deve andare più in là. Deve entrare in quello che è veramente il contributo che un individuo dà, da un lato. E, dall’altro, entrare nel perché vi sia la povertà in Gran Bretagna oggi o perché gente che pur avendo un lavoro va al banco alimentare. Dunque, i modelli di impiego al momento non sono abbastanza buoni per permettere alla gente di sostenere la sua famiglia, che è il punto principale, dal punto di vista del lavoratore, del lavoro e quindi c’è qualcosa che deve essere rivisto. Che si veda in maniera molto più approfondita la relazione tra le aziende e il bene comune della società. Le attività economiche devono aiutare a “riparare” la società, perché nessun affare avrà successo in una società fatta a pezzi, ma distruggerà gli affari. E quindi questo è il tipo di discussione di cui abbiamo bisogno. Dal mio punto di vista, ho cercato di promuovere questo tipo di discussione attraverso una iniziativa chiamata “Blue Print for Better Business”, che sta prendendo piede sia in grandi compagnie internazionali che in piccole compagnie, aziende familiari che danno lavoro a una mezza dozzina di persone. Ma è molto difficile far sì che i politici si impegnino in questo tipo di dibattito, e penso sia un peccato.

D. – Infine, pensa ci sia una cosa come il voto cattolico in Gran Bretagna oggi?

R. – No, I don’t, I think…
No, penso che sia un diritto delle persone analizzare le cose a fondo, prendere un orientamento, forse non seguendo la tradizione della famiglia, forse non seguendo le aspettative culturali, ma cercando sinceramente di riflettere a fondo sui principi, sulla visione del tipo di società che vogliamo essere e su come i relativamente brevi periodi del nostro governo possano aiutare a portare avanti quella visione. Cinque-sei anni sono un periodo abbastanza breve per cercare di costruire una società. Quello che vogliamo dai nostri politici è che siano leader non manager. Abbiamo bisogno di leader con una visione: come pensano che la Gran Bretagna possa essere e il suo contributo al mondo, al benessere della sua gente e di coloro che hanno più bisogno nel mondo.

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Consiglio d'Europa: Italia ancora discriminatoria con i rom

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L’Italia non garantisce pieni diritti ai Rom. E’ la denuncia che oggi arriva dall’Ecri, la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa, nel suo ultimo rapporto sull’Italia. Francesca Sabatinelli: 

Non sono sufficienti, e soprattutto sono lenti, i passi compiuti dall’Italia verso la tutela dei diritti dei i Rom. L’Ecri punta il dito contro la Penisola che, nonostante i progressi compiuti negli ultimi tre anni, non ha ancora introdotto misure misure per assicurare ai Rom colpiti da ordini di sgombero i diritti garantiti agli altri cittadini, ossia la possibilità di contestare l’ordine di sgombero, di sfratto, davanti a un tribunale e la possibilità di accedere a un luogo dove poter abitare, ciò che si sarebbe verificato in occasione degli sgomberi del luglio scorso. Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia:

“I Rom in Italia sono trattati particolarmente male. L’Italia non ha saputo neanche avviare il piano di inclusione di Rom, Sinti e Camminanti, che pure era stato imposto dai vincoli europei e che l’Italia si era impegnata a mettere in atto. I Rom qui vivono ancora in condizioni abominevoli: in campi malsani, dove la loro vita non ha alcuna dignità, ancora in campi monoetnici, non hanno accesso all’edilizia popolare, non hanno accesso ai pubblici servizi, non esiste alcun controllo su quelle comunità, sul diritto alla scuola per i bambini così come sulla sottrazione alla violenza delle donne, rappresentano inoltre una specie di comunità cancellata dalla nostra politica. Vengono utilizzati solamente per fare discorsi di odio, discorsi discriminatori, discorsi razzisti nei loro confronti e anche lì non si contempla la possibilità straordinaria rappresentata dall’integrazione di queste persone nella nostra società, un’integrazione che ormai loro stessi ci chiedono”.

 

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Focsiv a Ue: no a commercializzazione illegale dei minerali

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Porre fine allo sfruttamento di bambini, uomini e donne contro il commercio illegale dei minerali. Questo l’obiettivo della campagna ideata dalla Focsiv, la Federazione di Organismi di Volontariato Internazionale, e da 125 vescovi con le loro diocesi. Sull’iniziativa, Anna Zizzi ha sentito il coordinatore del settore "policy" di Focsiv, Andrea Stocchiero

R. – Sono molti anni che purtroppo i minerali vengono estratti e vengono commerciati sfruttando le popolazioni locali, tra cui anche bambini costretti a lavorare nelle miniere dai cosiddetti "signori della guerra", cioè bande armate che naturalmente traggono enormi finanziamenti dal commercio illegale di questi minerali per sostenere ancora di più l’acquisto di armi, nuovi conflitti e nuove violenze sulla popolazione.

D. – Quali sono le zone colpite maggiormente dal commercio illegale dei minerali?

R. – L’Africa centrale in particolare, la Repubblica Democratica del Congo, ma anche i Paesi confinanti perché come si sa, in queste aree, i confini tra i Paesi non sono così invalicabili, anzi. Tra l’altro, proprio gli Stati Uniti quattro anni fa hanno emesso una legge che obbliga le imprese a certificare il fatto che non siano acquistati minerali da fonti illegali. Altre zone sono nell’Asia, ai confini, per arrivare poi in America Latina dove zone come la Colombia, il Venezuela e anche il Perù hanno organizzazioni criminali che estraggono i minerali sfruttando le popolazioni locali.

D. – Quali sono le richieste che la Focsiv fa all’Unione Europea?

R. – Sono richieste che facciamo noi come Focsiv, ma non solo noi, perché sono condivise con altri organismi internazionali e anche con più di 125 vescovi e diocesi a livello mondiale. La prima richiesta è che l’Unione Europea adotti un regolamento e obblighi le imprese a certificare il commercio da dove provengono i minerali che vengono utilizzati, incentivando anche le aziende a far parte di un registro di imprese trasparenti che di conseguenza possano dare una buona visibilità al proprio marchio e al proprio impegno. Una seconda richiesta è quella di far sì che questo regolamento comprenda più minerali possibili, perché per ora si parla di stagno, di tungsteno e oro, ma altri minerali come il rame vengono lasciati fuori, quando anche questo minerale purtroppo negli ultimi anni è sempre più oggetto di commercio illegale e di conflitti. La terza richiesta è che non solo le imprese che fondono o raffinano i minerali, ma anche le imprese che commerciano o che hanno al loro interno questi minerali, siano obbligati a certificare da dove provengono.

D.  – Come si pensa di portare avanti la campagna?

R. – Siamo diverse organizzazioni che stanno cercando di sensibilizzare i propri parlamentari affinché votino per un’obbligatorietà di questo regolamento. Accanto a questo, ci siamo attivati con vescovi e diocesi per raccogliere l’adesione a una dichiarazione che più di 125 vescovi hanno inviato ai parlamentari europei proprio la settimana scorsa.

D. – Perché è importante una sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questo tema?

R. – Noi, attraverso gli acquisti, votiamo e facciamo scelte che siano orientate per il bene comune e non invece semplicemente per il soddisfacimento dei nostri bisogni a danno di altre persone. In questo caso, si tratta veramente di scandali umani molto gravi. Essere consapevoli come consumatori e cittadini è importante, perché noi possiamo di conseguenza determinare anche le scelte delle imprese.

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Il card. Scola celebra i dieci anni dalla morte di don Giussani

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L’Arcivescovo di Milano, il Card. Angelo Scola ha celebrato la Messa di suffragio per il decimo anniversario della morte di don luigi Giussani e per il 33° anniversario del riconoscimento della fraternità di Comunione e Liberazione. In un duomo gremito con un centinaio di concelebranti, fra cui il successore di don Giussani alla guida del movimento, don Julian Carron è stato ribadito che dare la vita resta il centro per ogni cristiano. Fabio Brenna

Un pressante appello alla comunione ecclesiale per attuare il carisma di don Giussani: è l’invito ripetuto che il cardinale Angelo Scola ha rivolto ad un duomo gremito di fedeli e concelebranti per la commemorazione del fondatore di Comunione e Liberazione, scomparso 10 anni fa. Un carisma fortemente ambrosiano quello di don Luigi Giussani e con la Chiesa ambrosiana intenta – ha detto il cardinale Scola - “a proporre Gesù Cristo come evangelo dell’umano agli uomini di questo travagliato inizio di millennio”, diventa una precisa richiesta per coloro che si rifanno a questo insegnamento di Giussani:

“L’arcivescovo umilmente vi ricorda che approfondire personalmente e comunitariamente il carisma avuto in dono domanda di lavorare nella vigna in cui il Padre ci ha piantati, attuando il metodo della comunione ecclesiale: pluriformità nell’unità".

Per l’arcivescovo si tratta allora di partire dalla famiglia fino alle frontiere della “missione ad gentes”, verso quelle periferie dell’esistenza care a Papa Francesco in questa ribadita richiesta di comunione con tutte le realtà della chiesa ambrosiana:

“Tengo molto a questa umile richiesta: non è il solito modo, un po’ pieno di piaggeria, di raccomandarvi di stare dentro. Non è quello. È il desiderio di una missione viva che è nella grande tradizione di questo importante movimento”.

Dopo aver ricordato come per Giussani Cristo fosse “la vita della mia vita”, il cardinale Scola ha sottolineato come per il fondatore di Cl “dare la vita” resti “il caso serio” per ogni cristiano e dunque lo debba essere “in modo stringente” per tutti i membri dell’Associazione.

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi indiani ringraziano Modi per il gesuita liberato

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I vescovi indiani ringraziano il Primo Ministro Narendra Modi per il ruolo svolto dal Governo di New Delhi nella liberazione di padre Alexis Prem Kumar, padre Alexis Prem Kumar, sacerdote gesuita del Jesuit Refugee Service (Jrs), rapito in Afghanistan oltre otto mesi fa. In una dichiarazione diffusa ieri e citata dall’agenzia Ucan, la Conferenza episcopale (Cbci) esprime gratitudine al Premier “per il suo impegno personale” nella vicenda e per i passi compiuti dalle autorità indiane per ottenere il rilascio del sacerdote, rientrato domenica a New Delhi. Un intervento sollecitato dal presidente dei vescovi, il card. Baselios Cleemis.

Padre Kumar pronto a ritornare in Afghanistan nonostante l’insicurezza
Il sacerdote indiano era stato rapito da un gruppo di uomini armati non identificati il 2 giugno 2014, durante una visita in una scuola per rifugiati del Jrs vicino Herat. Nonostante la drammatica esperienza vissuta in questi mesi e la perdurante insicurezza nel Paese, padre Kumar, che in precedenza ha lavorato per i rifugiati dello Sri Lanka nello Stato indiano del Tamil Nadu, si è detto pronto a tornare in Afghanistan.

Il Jrs presente nel Paese dal 2005
Presente in Afghanistan dal 2005, il Jrs opera in circa cinquanta Paesi di tutto il mondo, fornendo istruzione, servizi sanitari e sociali a circa 950mila rifugiati e sfollati, la cui metà è rappresentata da donne. Anche nei mesi del sequestro di padre Kumar, l’organizzazione ha portato avanti i suoi programmi, per assicurare che gli studenti locali avessero accesso a un'istruzione di qualità. (A cura di Lisa Zengarini)

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India: governo non promuoverà una legge anti-conversione

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Il governo indiano non approva le controverse “ghar wapsi”, cioè le cerimonie di “riconversione” all’induismo, organizzate da gruppi estremisti indù, che nei mesi scorsi hanno riguardato centinaia di fedeli cristiani e di altre minoranze religiose: lo ha dichiarato il Ministro federale per lo sviluppo urbano, M. Venkaiah Naidu, specificando che “se la conversione forzata è sbagliata, anche la riconversione è sbagliata”. Come riferisce l'agenzia Fides, il Ministro ha riferito che “il governo federale non ha alcun piano di presentare una legge anti-conversione”, come quelle in vigore in alcuni Stati, che di fatto limitano la libertà religiosa.

Stati indiani devono vigilare su cerimonie di “riconversione” all’induismo
Le cerimonie di “ghar wapsi” hanno sconcertato molti e il governo centrale – ha detto il Ministro –“non ha alcuna responsabilità: sono i singoli Stati indiani interessati dal fenomeno a dover fare attenzione”. Invece “se la gente si converte in coscienza, questo va bene”, ha aggiunto, stigmatizzando la strumentalizzazione politica che alcuni partiti promuovono sulla questione.

Modi ha condannato la violenza sulle minoranze religiose
 Secondo gli osservatori, il recente discorso del premier indiano Narendra Modi, che ha condannato la violenza sulle minoranze religiose e promesso l’impegno per la tutela dei loro diritti, ha generato soddisfazione tra le minoranze religiose, come i cristiani indiani. Modi, dicono alcuni, potrebbe dare al partito nazionalista Baratiya Janata Party, di cui è leader, “un nuovo volto”, virando verso un approccio maggiormente laico e distanziandosi dai gruppi fanatici induisti. “Non è impossibile che l'ultima batosta elettorale a Delhi abbia ricordato al Primo Ministro che il popolo lo ha votato non per attuare ‘l'agenda zafferano’ dei gruppi estremisti ma per rilanciare l'economia” nota un fonte di Fides in India. (P.A.)

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Centrafrica. Mons. Nzapalainga invita alla conversione del cuore

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“La crisi che scuote il nostro Paese è la conseguenza della fragilità e della povertà umane e dell’incapacità di aprire il nostro cuore ai molteplici appelli del Signore alla conversione” scrive mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, nel suo messaggio per la Quaresima e la Pasqua.

Nel deserto del Centrafrica, la lotta contro il diavolo
Mons. Nzapalainga - riferisce l'agenzia Fides - fa riferimento alla guerra civile esplosa alla fine del 2012, da cui la Repubblica Centrafrica sta cercando di uscire con l’aiuto della comunità internazionale. “Possiamo paragonare il nostro Paese al deserto, dove dobbiamo lottare contro le tentazioni del diavolo” afferma l’arcivescovo, che esorta i fedeli alla conversione a Cristo e a combattere le tentazioni del male. Mons. Nzapalainga sottolinea: “con la forza dello Spirito che riceveremo a Pentecoste, dobbiamo combattere ed estirpare in noi lo spirito della divisione” e aggiunge che “le consultazioni di base sono un’opportunità data ai centrafricani per parlarsi. Il Forum di Bangui è ancora un’occasione e una via di uscita dalla crisi. Questi momenti sono l’inizio di un processo di cambiamento di comportamento”.

La speranza di una visita del Papa
Il Forum che si terrà nella capitale Bangui tra qualche settimana è il momento conclusivo di una serie di incontri di dialogo popolare che si tengono nelle diverse province centrafricane per riconciliare la popolazione divisa dall’odio e dalla diffidenza. Secondo mons. Nzapalainga, infine, la non ancora ufficializzata visita in Centrafrica di Papa Francesco, “è un segno della bontà divina”. “La visita del Papa dovrà essere per la nostra Chiesa un momento di grazia, apportando un nuovo slancio alla vita cristiana” conclude. (L.M.)

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32.mo premio Niwano per la pace ad attivista nigeriana

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Esther Abimiku Ibanga, pastore e attivista per i diritti delle donne in Nigeria è la vincitrice del 32.mo premio Niwano per la pace per il suo "servizio all'umanità nella ricerca di una pacifica coesistenza". Il Comitato di selezione internazionale e la Niwano Peace Foundation sottolineano che la sua azione "ha non solo avuto effetto sulla vita di migliaia di persone, ma ha fondato e diretto una organizzazione che ne tocca migliaia di altre". Esther Abimiku Ibanga, infatti - riferisce l'agenzia AsiaNews - nel marzo del 2010 ha fondato la "Women Without Walls Initiative" (Wowwi), nata dalla volontà di mettere fine alla violenza e alle ingiustificate uccisioni di donne e bambini nello Stato di Plateau, in Nigeria. 

Tra i leader dell'Organizzazione tutti i gruppi tribali
Fin dalla sua origine, l'organizzazione è divenuta una forte coalizione di gruppi di donne al di là delle divisioni etniche e religiose ed è la prima ad avere tra i suoi membri le donne leader di tutti i gruppi tribali, incluse cristiane e musulmane.

Ruolo della donna per la costruzione della pace
La visione della Initiative, infatti, vuole sviluppare un approccio inclusivo creativo e nonviolento alla risoluzione dei conflitti per la trasformazione della Nigeria attraverso le donne. A tale scopo essa vuole, tra l'altro, formare una forte coalizione di gruppi di donne a livello nazionale e internazionale, al di là di ogni tipo di divisione, per dare consapevolezza del ruolo importante delle donne nella costruzione della pace. Nella maggior parte dei conflitti in Africa, compresa la Nigeria, infatti, le donne e i bambini subiscono le conseguenze peggiori. Allo stesso tempo, come madri, le donne sono le prime educatrici del genere umano. In tale ottica, il lavoro della Ibanga mira a promuovere e sfruttare il potenziale delle donne come operatori di pace, riconoscendo che le donne possono avere una forte influenza nella vita degli uomini (padri, fratelli, mariti e figli).

Ibanga molto attiva nella condanna a Boko Haram
Per raggiungere i suoi scopi e obiettivi, Women Without Walls Initiative, sotto la guida del pastore Ibanga ha intrapreso iniziative per incrementare il ruolo delle donne attraverso l'acquisizione di competenze e micro finanza. E' stata anche uno dei capi religiosi più attivi nella condanna dei sequestri di Boko Haram nel suo Paese d'origine. Ha organizzato marce di protesta e ha instancabilmente invitato i responsabili governativi e politici ad affrontare la questione del maltrattamento e dell'abuso delle donne, amplificando le voci positive delle madri e dei leader religiosi contro i signori della guerra "che usano la religione per mobilitare i giovani a perpetrare la violenza per soddisfare i loro motivi egoistici".

Inziative contro il terrorismo e la costruzione della pace
"Women Without Walls Initiative" ha anche introdotto, per la prima volta, i "dialoghi comunitari con la polizia" per promuovere la fiducia tra le comunità e la polizia, nel tentativo di contrastare il terrorismo. Insieme ad altre organizzazione ha poi promosso iniziative nelle scuole primarie e secondarie del Plateau per offrire anche ai bambini la possibilità di giocare un ruolo attivo nella costruzione della pace e, ancora più importante, per dare bambini un'immagine della vita diversa dalla situazione di guerra che li circonda. L'organizzazione ha anche rappresentato le donne in conferenze internazionali e forum in diversi Paesi, compresi Ruanda, Sudafrica, Austria e Stati Uniti. Il pastore Ibanga ha anche presentato alle Nazioni Unite un documento su "Prevenire e affrontare la violenza e le atrocità criminali contro le minoranze". (R.P.)

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Venezuela: card. Urosa denuncia l’omicidio di 3 studenti

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L'arcivescovo di Caracas, il card. Jorge Urosa Savino, ha denunciato la morte di tre giovani avvenuta nello Stato venezuelano di Táchira. Lo ha fatto al termine della VI Marcia giovanile arcidiocesana, che si è svolta domenica scorsa e alla quale hanno partecipato centinaia di giovani di Caracas. “Due di loro erano scomparsi, e sono stati ritrovati morti con segni di colpi d'arma da fuoco” ha detto riguardo agli studenti universitari José Daniel Pinto (20) e Alejandro Garcia (22) che, secondo informazioni d'agenzia, presumibilmente erano stati arrestati dalla polizia. "Un terzo, che era scomparso due o tre giorni fa, è stato ritrovato anche lui morto, con una pallottola in testa" ha aggiunto l’arcivescovo.

Rappresentanti della Chiesa non hanno potuto visitare tre studenti
Il card. Urosa Savino - riferisce l'agenzia Fides - ha anche denunciato che nessun rappresentante della Chiesa cattolica ha potuto visitare tre studenti universitari (Lorent Saleh, Gerardo Carrero e Gabriel Valles) detenuti presso il posto di polizia di Sebin, a Caracas. "Recentemente il vescovo José Trinidad Fernández, ausiliare di Caracas, è andato al Sebin per provare a fare visita a questi giovani, ma gli è stato negato l'ingresso" ha detto il cardinale. "Ma noi insisteremo ancora, perché crediamo che non ci sia nessuna regola che impedisca ai ragazzi di ricevere visite" ha aggiunto. Quindi ha proseguito: "il Venezuela non dovrebbe essere segnalato, come invece accade, per gli abusi nel trattamento o peggio, nel maltrattamento dei prigionieri, in particolare di questi ragazzi che sono prigionieri politici".

Forte tensione nel Paese dopo l'arresto del sindaco di Caracas
La popolazione del Venezuela, in particolar modo di Caracas, vive ancora in uno stato di forte tensione dopo l’arresto del sindaco della capitale accusato di essere golpista. La popolazione, secondo fonti di Fides in Venezuela, vuole un accordo nazionale per un governo di transizione, al fine di affrontare la grave crisi economica che attraversa il Paese, ma il Presidente Maduro continua a non ascoltare questa richiesta. (C.E.)

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Colombia: Premio Pax Christi a Collettivo donne, pace e sicurezza

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È il “Collettivo di riflessione ed azione su donne, pace e sicurezza” della Colombia il vincitore del Premio per la pace 2015 assegnato da Pax Christi International. La motivazione del riconoscimento – spiega una nota della stessa Pax Christi – è “l’aver dato visibilità ed incoraggiamento al contributo essenziale delle donne nella costruzione della pace all’interno della loro nazione e l’aver promosso una trasformazione etica della società colombiana, come percorso verso una riconciliazione sostenibile”.

Un patto etico per una nazione pacifica
Fondato nell’ottobre 2011, il Collettivo è una rete di donne provenienti da diversi contesti sociali e professionali (religiose, ex-combattenti, giornaliste, docenti universitarie, esperte di diritti umani) che si impegnano nel diffondere valori etici capaci di portare ad una pace duratura in Colombia, puntando sul dialogo tra i settori sociali più diversi. “Lo stesso Collettivo – sottolinea Pax Christi – è un esempio di come la diversità possa essere usata per apportare un cambiamento positivo in contesti fortemente polarizzati”. Il progetto principale del Collettivo è il “Patto etico per una nazione pacifica”, ovvero un accordo-quadro per una trasformazione morale del Paese.

Un riconoscimento alla donna nella promozione della pace
In particolare, questa iniziativa ribadisce che, oltre al raggiungimento di un accordo di pace tra il governo e le Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia), la riconciliazione nazionale sarà possibile solo grazie alla promozione di valori basilari, come il dialogo e la partecipazione attiva delle donne nel dibattito pubblico e politico, soprattutto per quanto riguarda i contesti intergenerazionali ed interetnici. “Con questo riconoscimento – si legge ancora nella nota – Pax Christi International rende omaggio simbolicamente all’importante ruolo che la donna ricopre in tutto il mondo nella pacificazione dei conflitti a livello locale, nazionale ed internazionale”.

Cerimonia di consegna il 16 maggio a Betlemme
Istituito nel 1988, il Premio per la pace verrà conferito il prossimo 16 maggio a Betlemme, in occasione delle celebrazioni per il 70.mo anniversario di fondazione di Pax Christi International. (I.P.)

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Sud Sudan: riprendono le trasmissioni di Radio “Sout al Mahaba”

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Dopo un anno di sospensione, domenica scorsa Radio “Sout al Mahaba” (Voce di Carità), l’emittente cattolica della diocesi sud sudanese di Malakal nello Stato petrolifero dell’Alto Nilo, ha ripreso le trasmissioni. Ad autorizzarle, d’accordo con la direzione della Crn, la rete delle Radio cattoliche del Sud Sudan, è stato l’amministratore apostolico della diocesi, mons. Roko Taban Musa.

L’emittente saccheggiata il 18 febbraio 2014
Radio “Sout al Mahaba” – riferisce l’agenzia Canaa - era stata costretta a chiudere temporaneamente i battenti il 18 febbraio 2014, dopo essere stata saccheggiata il 18 febbraio 2014 durante i violenti combattimenti tra militari governativi del Sud Sudan e i ribelli fedeli all’ex vice Presidente Riek Machar. Gli scontri, proseguiti nei mesi successivi, avevano costretto il personale della radio a fuggire e il saccheggio aveva danneggiato il trasmettitore e la torre delle antenne di 72 metri.

Le emittenti cattoliche nel mirino
Lo scorso autunno ha ripreso le trasmissioni anche “Radio Bakhita”, l’emittente dell’arcidiocesi di Juba, chiusa il 16 agosto 2014 dalle autorità dopo aver dato notizia degli scontri in atto tra le truppe governative fedeli al Presidente Salva Kiir e quelle dell’opposizione legata a Machar. Con la stessa accusa di essersi occupata di politica era stata minacciata di chiusura un’altra emittente della Crn, Radio “Voice of Hope” della diocesi di Wau. Della Crn fanno parte attualmente 9 radio cattoliche sud-sudanesi. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 55

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.