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Sommario del 23/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Esercizi spirituali. Mons. Zanella: dal Papa esempio valido per tutti

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“Cammini di autenticità”. E’ questo il tema di oggi, seconda giornata di Esercizi Spirituali del Papa con la Curia Romana, nella Casa Divin Maestro di Ariccia. Le meditazioni proposte da padre Bruno Secondin, dell’Ordine dei Carmelitani, hanno come filo conduttore: “Servitori e profeti del Dio vivente”, una lettura pastorale del profeta Elia. Gli Esercizi si concluderanno venerdì mattina. Sull’importanza degli Esercizi spirituali per tutti i cristiani, proprio a partire dall’esempio di Papa Francesco, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Danilo Zanella, segretario nazionale della Fies, la Federazione Italiana Esercizi Spirituali: 

R. – Certamente il Papa e i suoi collaboratori danno un grande esempio: il fatto di cercare - nella frenesia, anche pastorale - un silenzio abitato dallo Spirito Santo e trovare momenti di contemplazione per poi essere più efficaci nell’azione.

D. – Ricevendo proprio la Federazione Italiana Esercizi Spirituali nel marzo scorso, Francesco sottolineava che gli uomini e le donne di oggi hanno bisogno di incontrare Dio e gli esercizi spirituali sono un’occasione molto importante. Però ci si chiede come possa una famiglia, con tanti impegni, partecipare, vivere gli esercizi?

R. – Noi abbiamo recentemente svolto il corso sui “weekend dello Spirito”, vale a dire dal venerdì alla domenica. Noi sappiamo che molti amano fare la cosiddetta “uscita fuori porta” ma che sanno anche muoversi per riprendersi su un piano psicologico e fisico e quindi ecco che le 700 case che ci sono in Italia - compresi gli eremi, i monasteri e le case di accoglienza, etc. - possono essere proprio luoghi che fanno bene sia sul piano fisiologico, psicologico e anche spirituale. Quindi è da augurarsi che si riprenda questa tradizione!

D. – Papa Francesco è un gesuita, come gesuita ha proprio nel Dna della sua vocazione Sant’Ignazio e dunque gli esercizi spirituali. Pensa che anche questo potrà aiutare a fare avvicinare sempre più persone alla pratica, ai corsi di esercizi spirituali?

R. – Sì, il Santo Padre, non ha fatto un esplicito discorso a tutta la Chiesa sugli esercizi ma da tutto il suo Magistero, i suoi interventi, si sente l’impostazione gesuitica del grande Sant’Ignazio. Mi auguro davvero che anche nelle diocesi, nelle parrocchie, nel “menu spirituale”, si ritorni a riprogrammare, almeno una volta l’anno, per i sacerdoti - per i seminaristi lo sappiamo -, le famiglie, i giovani, gli animatori, questo fermarsi, questo riflettere, questo ricapitolare anche quello che si celebra e si vive. C’è sempre il rischio anche per noi preti, del “teatrino”: cioè dell’apparire, del fare le cose bene, però senza interiorità.

D. – Che cosa le torna come frutti delle persone, in particolare i laici che partecipano ai corsi, agli esercizi spirituali?

R. – Recentemente ho guidato un corso con un gruppo di sacerdoti di una diocesi del Sud ed è stato un momento molto bello, fraterno, di grazia, ma anche in genere, gli esercizi spirituali sono veramente un kairos: a volte c’è chi si riprende nella fede, chi risolve problemi vocazionali, chi riprende la voglia anche di vivere perché trova nella fede quella gioia di cui il Papa ha parlato nella sua Enciclica, un Vangelo di gioia! Quindi, immaginiamo, in una casa o in un monastero, nella tranquillità, nel silenzio, un Signore che senti vicino, che ti dà carica per affrontare le difficoltà di questa società definita “liquida”, di questo relativismo morale, per annunciare la Buona Notizia del Vangelo, non c’è “clinica” migliore di una casa di spiritualità!

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Francesco dichiara S. Gregorio di Narek Dottore della Chiesa

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Papa Francesco, ricevendo sabato scorso il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione della Cause dei Santi, ha confermato la sentenza affermativa della sessione plenaria dei cardinali e vescovi, membri del dicastero, circa il titolo di Dottore della Chiesa Universale che sarà prossimamente conferito a San Gregorio di Narek, sacerdote monaco, nato ad Andzevatsik - allora Armenia, ora Turchia - nel 950 circa e morto a Narek circa nel 1005. Gregorio fu un insigne teologo e uno dei più importanti poeti della letteratura armena. Fedele alla tradizione della sua Chiesa, è stato un grande devoto della Vergine, e secondo la tradizione Maria gli sarebbe anche apparsa. Egli la cantò con accenti ispirati.

Tra le sue composizioni sono degne di nota il “Discorso panegirico alla Beata Vergine Maria” e la Preghiera 80 intitolata “Dal fondo del cuore, colloquio con la Madre di Dio”. In questa ultima il Santo, sommerso da molti motivi di disperazione, espresse con amore ardente, la certezza di essere aiutato dalla Madre del Giudice. Gregorio di Narek morì nel 1005. La Chiesa Armena lo annovera già tra i Dottori. La Chiesa latina ne riconosce la santità definendolo “insigne per la dottrina, gli scritti e la scienza mistica”, come recita il Martirologio Romano ricordandolo al 27 febbraio.

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Nomine episcopali di Papa Francesco

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Nella Repubblica Dominicana, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di Santiago de los Caballeros, presentata da mons. Ramón Benito de la Rosa y Carpio, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato mons. Freddy Antonio de Jesús Bretón Martínez arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi di Santiago de los Caballeros, trasferendolo dalla diocesi di Baní.

Sempre nella Repubblica Dominicana, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Barahona, presentata da mons. Rafael Leónidas Felipe y Núñez, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato il rev.do Andrés Napoleón Romero Cárdenas vescovo di Barahona, finora Parroco della Cattedrale di Santa Anna nella Diocesi di San Francisco de Macorís.

Ancora nella Repubblica Dominicana, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di La Vega presentata da mons. Antonio Camilo González, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato il rev.do p. Héctor Rafael Rodríguez Rodríguez, M.S.C., vescovo di La Vega, finora primo consigliere della Congregazione dei Missionari del Sacro Cuore.

In Colombia, Papa Francesco ha nominato Vescovo di Facatativá mons. José Miguel Gómez Rodríguez, finora vescovo di Líbano-Honda.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Attraverso il deserto: all'Angelus il Papa ricorda che la Quaresima è un tempo di combattimento spirituale.

Ferocia e propaganda: l'Is fa sfilare uomini in gabbia come bestie.

Sicurezza in cambio di libertà: Lucetta Scaraffia recensisce il romanzo di Michel Houellebecq "Sottomissione".

La parola e il cucciolo: l'intreccio fra generazione e racconto secondo Jean-Pierre Sonnet

Un articolo di Pablo d'Ors dal ttitolo "I surrogati della felicità": solo nelle situazione disperate capiamo di essere profondamente insoddisfatti.

Alfredo Tradigo sulle restauratrici della chioccia di Monza: torna a splendere il ciclo pittorico che ha per protagonista Teodolinda.

Vince l'eroe sgangherato: Gaetano Vallini sugli Oscar 2015.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina: Shevchuk, dialogo di incontri contro pregiudizi

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“Le sfide pastorali della Chiesa ucraina greco-cattolica nel contesto di guerra”. È il tema della conferenza stampa di Sua Beatitudine Svjatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, tenutasi nella sede della nostra emittente. Venerdì scorso Papa Francesco, ricevendo in udienza i vescovi ucraini in visita “ad Limina”, aveva esortato i presuli ad essere solleciti verso i valori propri del loro popolo: “l’incontro, la collaborazione, la capacità di comporre le controversie. In poche parole: la ricerca della pace possibile”. Il servizio di Giada Aquilino

Tutta la società ucraina è ferita, fisicamente e psicologicamente. Non poteva che essere un quadro di guerra quello tracciato da Sua Beatitudine Shevchuk. I dati ufficiali forniti dall’Onu non rendono abbastanza la realtà del Paese: più di un milione di sfollati e profughi, ma - dice - “la cifra reale è doppia”. In 600 mila cercano rifugio in altri Stati; tra i profughi, 140 mila sono i bambini, un numero riportato anche al Papa nel corso della visita "ad Limina" dei vescovi ucraini della scorsa settimana. Nell’occasione, è stato presentato un invito al Santo Padre “a visitare l’Ucraina”: un “passo profetico”, lo ha definito l’arcivescovo Shevchuk. In Vaticano i presuli hanno sottolineato la necessità di “un appello per un’azione umanitaria internazionale”. Il Pontefice, ha riferito Sua Beatitudine Shevchuk, ha voluto che i vescovi provenienti dalle zone di Donetsk e dalla Crimea riferissero la loro quotidianità, che poi - ha confidato l’arcivescovo maggiore - non è quella “di fare politica” bensì di “essere a fianco del nostro popolo, sentire l’odore delle nostre pecore”, come auspicato più volte dal Santo Padre. Certo, quello della libertà religiosa in Ucraina oggi è un capitolo di stretta attualità: i Tatari di Crimea, musulmani, riferiscono di essere perseguitati, ha proseguito l’arcivescovo Shevchuk; i “fratelli ebrei” sono fuggiti da Donetsk. E in Crimea, 5 parrocchie hanno ricevuto la richiesta di rinnovare la loro registrazione: lo hanno fatto, ha spiegato, ma per tre volte è stata respinta. L’invito allora è al rispetto della verità e all’impegno fattivo, come quello della Chiesa greco-cattolica ucraina o come quello portato avanti in questi giorni dal Consiglio Mondiale delle Chiese. Ecco Sua Beatitudine Svjatoslav Shevchuk:

R. – Stiamo lavorando per la pace, per fermare la guerra e sicuramente dobbiamo usare tutti i mezzi per questo. Aspettiamo, che anche a livello diplomatico ed internazionale, si arrivi ad un accordo. Vediamo che questo accordo di Minsk non ha portato ad un successo, perché non c’è stato un cessate-il-fuoco (reale). Speriamo che questo appello del Santo Padre venga sentito da tutti, non solo dalle vittime in Ucraina, ma anche dai potenti nel mondo.

D. – Lei ha detto che il Papa sarà il portavoce del dolore degli ucraini: che messaggio vi ha affidato da portare in Ucraina?

R. – Il Papa ci ha detto: “Sono con voi!”. E’ importante che anche il popolo ucraino sia assicurato della vicinanza e della premura paterna del Santo Padre. Questo il messaggio che stiamo portando in Ucraina per i nostri fedeli.

D. – Lei ha confidato che lo conosce da quando era a Buenos Aires: cosa si aspetta?

R. – A Buenos Aires l’ho conosciuto come una persona di poche parole, ma di grandi e profonde azioni. Quindi è sì importante ascoltare le parole, ma non esauriscono certamente tutto quello che il Santo Padre desidera.

D. – Nella vostra ‘Lettera ai sacerdoti circa la pastorale in condizioni di guerra’ avete scritto che gli ucraini sono feriti fisicamente, ma anche moralmente. Cosa vuol dire?

R. – Vuol dire che in questa situazione di guerra non soltanto il corpo è quello che soffre, ma soffre anche l’anima: tutti quanti siamo feriti pure psicologicamente. L’esperienza delle altre zone di conflitto ci riferisce che questa sindrome post-traumatica uccide e lo fa anche dopo la fine degli scontri militari propriamente detti. Sappiamo che molta gente che ha sofferto di questo fenomeno comincia ad usare alcol, droghe, commette suicidi. Bisogna curare le anime. Bisogna cercare veramente una medicina per salvare non soltanto quelli che sono feriti sul campo di battaglia, ma anche quelli che soffrono questa ferita psicologica come risultato della guerra.

D. – L’80 per cento della popolazione ucraina adesso aiuta ed è impegnata in azioni di solidarietà: come avviene, anche attraverso la Caritas?

R. – Ci sono tante iniziative. Adesso stiamo cercando di creare un forum delle iniziative civili per coordinare queste azioni, perché molti stanno – ad esempio – comprando vestiti, stanno cercando di comprare medicine, stanno cercando anche di aiutare nella ricostruzione delle case in queste zone. La società ha imparato, ormai da anni, a non aspettare che qualcuno dal di fuori o che anche il governo stesso cominci a lavorare. Io penso che sia un segno della maturità della società civile: noi stessi ci prendiamo la nostra responsabilità per aiutare, per salvare le vittime e anche per difendere il nostro Paese.

D. – Lei ha parlato della mediazione del Consiglio Mondiale delle Chiese: cosa auspicate?

R. – Auspichiamo che questa mediazione possa veramente aiutare ad aprire un dialogo, un dialogo non fatto attraverso i mezzi di comunicazione, che spesso rappresentano un’immagine un po’ distorta di quanto succede. Gli incontri personali aiutano a far cadere i pregiudizi e certe ‘immagini false’. Questa è la metodologia del Santo Padre Giovanni Paolo II, che diceva che “gli incontri personali fanno cadere i muri”. Questo è quello che noi vogliamo anche per questa mediazione del Consiglio Mondiale delle Chiese.

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L’Is e i video dell'orrore. L'esperto: non fare il loro gioco

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La Francia conferma l'impegno della portaerei "Charles de Gaulle" nelle operazioni della coalizione internazionale contro i miliziani del sedicente Stato islamico in Iraq. Intanto, l'imam di Al Azhar, massima istituzione dell'Islam sunnita, ha invocato l’unità fra musulmani, legando l’estremismo ad errate interpretazioni del Corano, ed esortato a un ripensamento dell'insegnamento religioso. Su internet, inoltre, la propaganda jihadista ha diffuso un nuovo sconcertante video che mostra ostaggi incatenati all’interno di gabbie. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Nel terrificante video si vedono 21 prigionieri, soprattutto peshmerga curdi, rinchiusi in gabbie caricate su dei pickup. Gli ostaggi indossano tute arancioni e vengono mostrati alla folla da miliziani del sedicente Stato islamico che sfilano per le strade di una città irachena, nella provincia di Kirkuk. Un gruppo di esperti statunitensi ha sollevato intanto dubbi sull'autenticità del filmato che mostra, nei pressi di una spiaggia in Libia, la decapitazione di 21 cristiani copti. Il video sarebbe il risultato di una serie di evidenti manipolazioni, utilizzate dalla propaganda integralista, ma sono minime le speranze che i prigionieri siano ancora vivi. Da un account twitter, legato ai jihadisti libici, arriva inoltre una minaccia diretta all’Italia: una foto, frutto di un fotomontaggio, ritrae un combattente armato davanti al mare che guarda il Colosseo sullo sfondo. Sul monumento sventola la bandiera nera del cosiddetto Stato islamico. Per l’alto rappresentante della Politica estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini, lo Stato islamico rappresenta in Libia “un rischio reale” per l’Italia. La diplomazia – ha aggiunto – “deve agire entro giorni, non settimane”. 

La propaganda jihadista propone dunque video sempre più sconcertanti. In ogni nuovo filmato sembra che il sedicente Stato islamico voglia superare la soglia dell’orrore. Su questa strategia comunicativa, basata su messaggi sempre più terrificanti, Amedeo Lomonaco ha intervistato il prof. Paolo Branca, esperto di Medio Oriente e docente di islamistica all'Università Cattolica di Milano: 

R. – Mi pare che, purtroppo, sia una scelta deliberata quella di prediligere un linguaggio di tipo apocalittico che, nel vuoto della crisi delle grandi ideologie che hanno prevalso fino a poco tempo fa, può fare leva su qualche personalità poco equilibrata e attirarla con il fascino delle cose orribili.

D. – Perché questa strategia dell’orrore continua ad attirare miliziani, e non pochi, disposti a morire, a combattere, e invece non fa scorgere anche tra i jihadisti qualche sentimento di sdegno, di perplessità?

R. – Veramente, qualche tempo fa, erano emerse notizie di persone che volevano tornare indietro dopo essersi gettate in questa folle avventura. Ma la cosa più preoccupante è che il linguaggio dello Stato islamico viene poi ripreso anche da parte di alcuni che lo condannano. Mi sembra molto preoccupante, perché se si parla lo stesso linguaggio allora non vedo più quale sia la differenza.

D. – Anche se non ci sono molti dubbi, purtroppo, sulla morte dei 21 copti egiziani uccisi in Libia, diversi esperti, soprattutto statunitensi, hanno sollevato dubbi sull’autenticità del video della loro esecuzione in una spiaggia. Anche la manipolazione delle immagini rientra in una pianificata strategia comunicativa da parte dello Stato islamico?

R. – Ormai è abbastanza assodato, anche tra gli studiosi di Sociologia di tecniche della comunicazione, che non è necessario che una cosa sia vera per produrre degli effetti, ma basta che sia percepita come vera. Già Orson Wells, a suo tempo, fece alla radio la cronaca dell’invasione dei marziani negli Stati Uniti senza dire che si trattava di una fiction. E alcune persone si sono buttate dalla finestra per la paura. Quindi, purtroppo, nella società dell’informazione, anche se poi le smentite arrivano o arrivano dei dubbi, molti effetti si ottengono ugualmente.

D. – Quale impatto hanno queste immagini in particolare al mondo islamico moderato?

R. – C’è certamente un grande scandalo nelle persone normali. Ho paura, invece, che le autorità si mettano proprio sullo stesso piano dei loro avversari, oppure siano troppo tiepide nel reagire. Credo che il mondo islamico si trovi in una profondissima crisi e se non riprende in mano seriamente l’interpretazione delle proprie fonti, contestualizzandole e analizzandole in forma storico critica, sarà sempre possibile per chiunque strumentalizzare i versetti del Corano per giustificare le cose peggiori.

D. – Come contrastare la propaganda jihadista? Ci sono linguaggi, metodi che possono arginare questo tipo di propaganda?

R. – Credo che le buone notizie, che non mancano, di tante persone che vivono la loro vita regolarmente e hanno ottimi rapporti anche con i vicini – che pure non sono musulmani – specialmente qui in Occidente, siano troppo assenti dal circuito mediatico. Ci vorrebbe lo sforzo di andare a recuperare dei buoni modelli e soprattutto di porli sotto i riflettori, in modo che i giovani, in particolare, si possono riconoscere e vedere in queste persone, in questi stili di vita, qualcosa di positivo cui ispirarsi.

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Nigeria. I bimbi di Boko Haram, innocenti kamikaze e soldati

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Anche in Nigeria desta sempre più orrore la strategia del terrorismo, che passa per l’utilizzo di una bambina, che si è fatta esplodere all'ingresso di un mercato, e il frequente coinvolgimento dei minori nelle sanguinose azioni del sedicente Stato Islamico. In questo contesto si colloca anche la denuncia dell’Unicef del recente rapimento in Sud Sudan di 89 ragazzini, destinati a essere impiegati come bambini soldato. Su questo turpe fenomeno, Giancarlo La Vella ha intervistato Gabriele Iacovino, responsabile analisti del Centro Studi Internazionali: 

R. – É evidente che ci sia una strategia del terrore che utilizza un’escalation della violenza soprattutto da un punto di vista comunicativo per quanto riguarda lo Stato islamico. Per quanto riguarda invece il gruppo di Boko Haram, in Nigeria, la strategia del terrore è sempre più forte perché coinvolge l’utilizzo di donne e bambini per cercare di destabilizzare ulteriormente il Paese e per ampliare ulteriormente il territorio amministrato.

D. – Episodi del genere vogliono anche dire: “Non c’è nessuna possibilità di dialogo?”

R. – Boko Haram è un fenomeno nato in Nigeria, che però di sta ampliando sempre di più come gruppo regionale che va a colpire anche Paesi limitrofi. In questo caso, la strategia di Boko Haram si è radicalizzata sempre di più andando non più a rivendicare un ruolo all’interno dell’ambito nigeriano, ma un vero e proprio ruolo regionale del terrore. In questa fase, anche Boko Haram non sembra molto propenso al dialogo, ma stiamo sempre parlando di un gruppo che in un’ottica potere potrebbe anche essere disposto a un maggiore riavvicinamento.

D. - Perché atteggiamenti del genere, secondo lei, non provocano poi la sollevazione popolare?

R. – Perché il termine di “sollevazione popolare” è sempre un po’ relativo soprattutto nei territori “amministrati” da questi gruppi, dove di fatto è il terrore a regnare. Di fatto, contro Boko Haram si sta cercando di portare avanti un’operazione che a questo punto è internazionale anche con l’intervento dei Paesi vicini – abbiamo visto il Ciad negli ultimi giorni – così come per quanto riguarda lo Stato islamico. La comunità internazionale è sempre più attiva nella ricerca di una soluzione di combattere lo Stato islamico sia dal punto di vista politico che militare.

D. – Quello che spaventa è anche la capacità da parte di questi gruppo terroristici di coinvolgere dei minori…

R. – Sì, purtroppo nella strategia terroristica, quella di utilizzare non solo il terrore, ma di veicolare il terrore e gli attentati terroristici attraverso dei minori è un’arma più. È una strategia totalmente ingiustificata ed ingiustificabile. Purtroppo, nella mentalità e nell’ideologia di gruppi radicalizzati ed estremisti come Boko Haram rientra anche questa dinamica che in parte abbiamo già visto nel contesto africano con tutti i minori soldato e che per quanto riguarda Boko Haram è ancora più estrema: non solo vengono utilizzati i minori come soldati ma vengono utilizzati come delle vere e proprie armi.

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Afghanistan, liberato gesuita. Jrs: rimarremo nel Paese

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È finita positivamente dopo otto mesi la vicenda di padre Alexis Prem Kumar, il gesuita indiano rapito in Afghanistan. Il 47.enne religioso era stato sequestrato il 2 giugno 2014 da un gruppo di uomini non identificati, mentre era in visita a una scuola del Jesuit Refugee Service (Jrs), non lontano da Herat. A James Stapleton, coordinatore delle Comunicazioni internazionali del Jrs, Linda Bordoni ha chiesto notizie su padre Prem e su come sia cambiata la missione del Servizio dei Gesuiti in Afghanistan: 

R. – Il nostro direttore ha parlato con padre Prem: sta bene, sembrava forte. Ha rilasciato un’intervista alle televisioni italiane, ha detto parole veramente forti: ha detto che si sentiva veramente benvoluto, con un miliardo di indiani che volevano che lui tornasse a casa. Noi sappiamo adesso che lui è a casa e parlerà quando è pronto.

D. – La vostra prima reazione?

R. – Non ci sono parole per descrivere come ci sentiamo adesso. Negli ultimi otto mesi, come si può immaginare, c’è stata tensione nell’organizzazione, una paura per Prem: adesso è libero e possiamo tornare a lavorare con speranza per il futuro.

D.  – Lui ha ringraziato subito il governo indiano per come ha operato. Cosa ci può dire circa le comunicazioni che ci sono state per il suo rilascio?

R.  – Noi eravamo in costante contatto con le autorità afghane e con il governo indiano. Non abbiamo i dettagli di ciò che è successo negli ultimi momenti, ma è evidente che il governo indiano ha lavorato tanto e ha fatto quello che doveva fare e riportare Prem a casa.

D.  – Negli ultimi otto mesi, la vostra missione in Afghanistan ha lavorato? Qual è stato l’impatto di questo rapimento sul vostro lavoro?

R. – Inizialmente abbiamo chiuso i progetti, perché dovevamo capire ciò che stava succedendo. Dopo qualche settimana, un mese, abbiamo ricominciato. Era importante mandare un  messaggio alla comunità: non è colpa vostra, i bambini non dovrebbero pagare il prezzo per le azioni di pochi. La comunità è stata al nostro fianco durante tutto il tempo e ci ha dato e sicuramente ha dato alle autorità informazioni preziose e alla fine abbiamo portato a casa Prem.

D. – Quindi prosegue il lavoro sul terreno?

R. – Certo, abbiamo cambiato la nostra mentalità. Ci sono più regole di sicurezza. Herat era un posto sicuro, ora dobbiamo essere più attenti. Ma, detto questo, l’Afghanistan ha bisogno di educazione, i figli hanno bisogno di un’istruzione per creare un futuro, e questo è il nostro ruolo.

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Il blogger egiziano Fattah condannato a 5 anni di carcere

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Alaa Abd El-Fattah, uno dei piu' noti attivisti e blogger egiziani, e' stato condannato oggi al Cairo a cinque anni di reclusione e a una pesante ammenda nella riedizione del processo intentato a suo carico sulla base della controversa legge contro le manifestazioni. La sentenza, trasmessa in tv, e' appellabile. Il servizio di Fausta Speranza

Nel processo annullato, Fattah era stato condannato a 15 anni di reclusione per aver partecipato a una manifestazione non-autorizzata in cui erano stati compiuti anche altri reati tra cui aggressione a un poliziotto e vandalismo. Il caso viene tenuto sotto osservazione a livello internazionale: riguarda l'applicazione della controversa legge che ha sollevato numerose critiche perché limita il diritto a manifestare. Intanto, sui media egiziani si discute del possibile rinvio delle legislative. Si tratta della terza e ultima tappa della transizione democratica dopo la doppia rivoluzione del 2011-2013. Si dovrebbe cominciare il 22 marzo le due tornate elettorali a doppio turno che, fino al sette maggio, dovrebbero formare un nuovo parlamento. Ma sembra che non ci siano i tempi per un pronunciamento della Corte costituzionale su tre articoli della legge elettorale definiti sabato incostituzionali in prima istanza dal Comitato dei commissari della Corte. Secondo alcuni osservatori, si tende ad evitare il voto nel semestre universitario, fucina di manifestazioni.

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Utero in affitto: conferenza della Comece all'Europarlamento

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Utero in affitto, sfruttamento del corpo della donna, traffico di esseri umani, al centro oggi di una conferenza al Parlamento Europeo di Bruxelles sulla dignità umana organizzata dal gruppo di lavoro sulla bioetica della Comece, la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea. Nell’ambito dell’evento il lancio di una proposizione che, attraverso casi concreti di maternità surrogata e facendo appello alla ragione, chiede ai  politici europei di rifiutare una pratica contraria alla dignità umana. Paolo Ondarza ha intervistato padre Patrick Daly, segretario generale della Comece: 

R. - La Conferenza è un’occasione per il gruppo di riflessione sulla bioetica della Comece, composto da esperti nominati delegati dalle Conferenze episcopali dell’Unione Europea, di riflettere su diverse questioni di bioetica e di ricerca medica per presentare un’opinione da loro formulata, nell’arco di un anno, al Parlamento, nel contesto abbastanza limitato dell’Unione Europea e della sua legislazione – anch’essa limitata – sulla questione della maternità surrogata.

D. – Un contesto europeo che, a livello di legislazione, presenta Paesi in cui la pratica della cosiddetta “maternità surrogata-utero in affitto” è legale…

R. – Sì, si. Nell’Unione Europea ci sono stati membri – o meglio due, il Regno Unito e la Grecia – dove questa pratica è legale, ma la stragrande maggioranza dei Paesi europei o è contraria a questa pratica o non ha una posizione ben definita. In questo momento nella legislazione dei Paesi membri c’è una certa ambivalenza e la proposizione – come potete ben capire – rappresenta totalmente la posizione della Chiesa cattolica. Direi che offre un'opinione sobria, ma con grande forza dell’argomento razionale ed analitico di una questione molto complicata, che suscita anche grande emozioni.

D. – Perché la Chiesa dice “no” all’utero in affitto?

R. – Ha tanti motivi, perché c’è anzitutto una strumentalizzazione della donna e perché è contro tutti i principi dei diritti fondamentali umani. Secondo me, l’argomento nel rapporto è presentato in modo molto razionale e convince non soltanto i cattolici, ma tutti coloro che lo leggeranno.

D. – Per come la questione viene affrontata oggi, esprimete preoccupazione?

R. – Sì! Nel dibattito pubblico la presentazione di questo nostro documento penso sia un contributo molto importante.

D. – Padre Patrick Daly, che cosa vi aspettate dopo la pubblicazione di questo vostro documento?

R. – Speriamo che la discussione riguardo a questo fenomeno continui e che i politici si assumano le loro responsabilità per una soluzione legislativa a questa questione, in coerenza con la tradizione cattolica e con i principi morali che noi, senza alcuna ambiguità, dobbiamo sostenere.

D. – E’ un invito a spostare il dibattito non tanto su un punto di vista ideologico quanto razionale: attraverso la ragione si può comprendere la giusta motivazione per cui preoccuparsi di fronte alla pratica dell’utero in affitto, della cosiddetta maternità surrogata…

R. – Esattamente!

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Al via i lavori nelle scuole. Fidae-Cei: ignorati da Buona Scuola

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Il governo ha messo in campo circa un  miliardo di euro per l’edilizia scolastica. Tre progetti per 21 mila interventi di ristrutturazione, costruzione di nuovi edifici, riqualificazione energetica, messa in sicurezza. L’esecutivo poi pensa di agire anche attraverso mutui, come dice l’architetto Laura Galimberti, a capo della Struttura di missione l’edilizia  scolastica di Palazzo Chigi: 

“Adesso è stato firmato finalmente il decreto mutui, cosiddetto. Si tratta di mutui a totale carico dello Stato – più di 850 milioni – che di fatto sono dei finanziamenti per gli enti locali e che passeranno attraverso la programmazione regionale e sono fuori dal patto di stabilità. Quindi siamo sicuri che questo darà una bella svolta. Sicuramente, però, non completerà tutto il fabbisogno, che sappiamo è notevole, date le criticità degli edifici scolastici”.

Ma il documento della Buona Scuola, presentato oggi dal governo, ha in sostanza “ignorato le scuole paritarie”. Lo afferma don Francesco Macrì, presidente della Fidae, la federazione che raggruppa le scuole d’ispirazione cattolica. Per le paritarie, il governo ha previsto nel 2015 finanziamenti per 472 milioni di euro contro i 530 del 2013. Ciò, dice don Macrì, “le ha messe in una condizione di gravissima sofferenza e nella quasi impossibilità di proseguire la loro attività”. D’accordo il vescovo mons. Gianni Ambrosio, presidente della Commissione Cei per la Scuola: 

R. - Purtroppo (la scuola paritaria nella  Buona Scuola, ndr) non viene menzionata, non è presente. Speriamo che, al di là del testo, venga comunque considerata, perché è un servizio importante che viene fatto al sistema scolastico italiano. Quindi speriamo che  ci sia questa attenzione, non solo teorica, ma anche concreta e pratica, nei confronti di una realtà importante che ha, tra l’altro, segnato, caratterizzato la storia della scuola italiana.

D. – Da ormai alcuni anni a questa parte i finanziamenti per la scuola non statale stanno calando. Questo in concreto quali problemi porta?

R. – Porta ad una enorme difficoltà nel riuscire ad arrivare a fine anno. Comporta anche un distorcimento , se così si può dire , delle nostre scuole cattoliche paritarie, perché sono scuole al servizio di tutti, ma se si devono alzare naturalmente le rette, per poter continuare ad andare avanti, allora si rischia davvero di non venire più incontro a quella fondamentale esigenza, che era di aiutare tutti a poter svolgere appunto l’istruzione. Questo davvero contro tutta la tradizione della scuola cattolica.

Tornando all’edilizia, circa un terzo delle scuole italiani ha problemi legati alla sicurezza. Dunque come accolgono i genitori gli interventi del governo? Abbiamo sentito Domenico Montuori del coordinamento scuole elementari di Roma.

“Per il momento i soldi che le scuole hanno visto sono quelli delle cosiddette ‘scuole belle’, della riverniciatura delle aule. Tutto il resto, però, non c’è: il problema della sicurezza, dell’antincendio, delle scuole a norma per i diversamente abili, per i soffitti che crollano. Io sinceramente non ho visto questo”.

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Libro "Il Papa gesuita": cristianesimo e libertà in Francesco

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Papa Francesco è il primo Pontefice gesuita della storia e questo si ripercuote nei suoi gesti, nelle sue parole e nei suoi pensieri. Capire questa relazione è quanto si propone di analizzare il volume: “Il Papa gesuita. ‘pensiero incompleto’, libertà e laicità in Papa Francesco”, edito da Mondadori e scritto da Vittorio Alberti, docente di filosofia alla Pontificia Università Lateranense e officiale del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Il libro è un’occasione per capire i rapporti tra cristianesimo, libertà di pensiero e laicità. All'autore, Michele Raviart ha chiesto in che cosa l'essere un figlio di Sant'Ignazio emerga dalle parole e dai gesti di Francesco: 

R. – Nell’essere libero. Questo è molto chiaro, perché il gesuita ha una spiritualità che gli prescrive di cercare Dio in tutte le cose. Gli esercizi di sant’Ignazio prescrivono questo: in ogni cosa cercare la volontà di Dio. Tutte le cose significa anche le più impensate, le più imprevedibili, le più originali, quindi non solamente dentro le strutture della Chiesa, non in ciò che tu ti aspetteresti. Questa libertà di ricerca, della vocazione, lui la traduce in termini di assunzione del suo ruolo. E questo è, credo, ciò che di più gesuitico ci sia in lui.

D.  –Il sottotitolo del libro è “Pensiero incompleto, libertà, laicità in Papa Francesco”. Perché pensiero incompleto?

R.  – Di “pensiero incompleto” ha parlato lui ed è una categoria propria della spiritualità dei gesuiti ed è un pensiero che non si chiude, che non mette un punto definitivo, quindi che non crea una coercizione: ci credi, sei dentro, non ci credi, sei fuori. Incompleto vuol dire che è sempre aperto, sempre alla ricerca, come il pensiero della filosofia.

D. – Uno dei punti, sfogliando questo libro, è Papa Francesco e l’anticlericalismo…

R.  – L’anticlericalismo è una categoria che viene interpretata secondo ciò che la storia ci ha consegnato, quindi noi lo intendiamo generalmente come il movimento di liberazione dalla Chiesa intesa come struttura di potere legata alle corone. L’anticlericalismo vero non è altro che il cristianesimo, non è altro che l’istanza di libertà e di liberazione propria del cristianesimo che si oppone all’idolatria della struttura visibile. Io cristiano libero non posso che essere alla continua ricerca della testimonianza, della mia fede, dell’affermazione della fratellanza… Quindi, Francesco indica la strada dell’anticlericalismo in questo senso: dobbiamo essere più cristiani, meno clericali.

D. – Un altro punto sono gli aspetti di continuità fra Benedetto XVI e Papa Francesco…

R.  – L’elemento di continuità direi che è addirittura logico. Benedetto XVI ha compiuto questo gesto enorme della rinuncia e ha segnato il passo: cioè, io credo che abbia dato la linea al conclave. Di fronte a un gesto così importante, così grave, così drammatico e così coraggioso, lui ha detto: non si può che arrivare a una soluzione di rinnovamento radicale della struttura ecclesiastica e quindi della Chiesa, tornando alle origini, in qualche modo.

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Oscar 2015: 4 statuette a Birdman, una all'Italia per costumi

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L'87ª edizione dei Premi Oscar, che si è celebrata ieri a Los Angeles, ha assegnato gli ambitissimi riconoscimenti con alcune conferme e anche sorprese: si aggiudica quattro statuette "Birdman", solo riconoscimenti tecnici al favorito "Grand Budapest Hotel", meritatissimi quelli agli attori e alle attrici protagonisti e non, dimenticato l'originale e favorito "Boyhood" e grande sconfitto "American Sniper" di Clint Eastwood. Il servizio dLuca Pellegrini: 

Il mondo del cinema che gremiva il "Dolby Theatre" di Los Angeles ha accolto con un applauso il breve discorso di Cheryl Boone Isaacs, la presidente dell'Academy che assegna gli Oscar: "I film nominati quest'anno sono tutti caratterizzati da una narrativa accattivante per raccontare il mondo in cui viviamo – ha affermato – e in cui ci auguriamo che nessuna manaccia riesca a far tacere le voci e la libertà di chi lavora nel cinema". I premi hanno privilegiato titoli e contenuti legati a questo spirito, ai fatti e alle cose che ci riguardano da vicino, che incidono sulla nostra quotidianità: l'oblio e la solitudine dell'artista, l'educazione nella famiglia, la battaglia e la speranza nella malattia, la fantasia come creatrice di sogni nei quali ritagliarsi uno spicchio di divertimento.

"Birdman", ego e mediocrità
Alejandro González Iñárritu vince con "Birdman" l'Oscar come miglior film, regia, sceneggiatura originale e fotografia: il regista messicano la definisce un'opera sull'ego e la mediocrità di un artista ormai dimenticato dal sistema e dal pubblico. Meritatissime le scelte degli attori protagonisti e non: per i primi la strepitosa Julianne Moore, malata di Alzheimer in "Still Alice", circondata dall’amore e dall’affetto della famiglia, uno dei film più belli degli ultimi anni, e Eddie Redmayne che ne “La teoria del tutto” interpreta lo scienziato Stephen Hawking, lui realmente malato di SLA. Entrambi gli attori hanno dedicato il loro lavoro a questi malati, spesso emarginati, auspicando un investimento sempre maggiore della scienza nel combattere queste terribili malattie.

A secco "American Sniper"
Come non protagonisti, hanno ricevuto la loro prima statuetta J. K. Simmons, violento e autoritario insegnante di musica jazz in "Whiplash" e Patricia Arquette, mamma forte e sensibile nell'originalissimo "Boyhood" di Richard Linklater, purtroppo sconfitto nelle altre categorie, così come completamente dimenticato è stato "American Sniper" di Clint Eastwood che di Oscar non ne ha ricevuto alcuno.

Una suora da Oscar
"Ida", del polacco Paweł Pawlikowski, riceve l'Oscar per il miglior film straniero ed è la prima volta per la Polonia, alla cui forza e coraggio il regista ha dedicato il suo film. E' la storia intensa, scarna, essenziale, magnificamente fotografata e diretta, di una novizia cattolica che nella Polonia del 1962, in piena dittatura comunista, scopre in modo drammatico molto del suo passato - prima di tutto la sua origine ebraica e le tragedie subite dalla sua famiglia - mettendo così in questione tutte le sue scelte future. L'italiana Milena Canonero per "Grand Budapest Hotel" riceve il quarto Oscar per i costumi, un'artista magnifica capace di ricreare nel cinema i fasti del passato e le fantasie del presente. Notata anche da tutti gli italiani, nel sempre toccante momento del ricordo di chi ci ha lasciati, fatto a metà della premiazione, la grave e spiacevole dimenticanza del grande regista Francesco Rosi, scomparso il 10 gennaio scorso.

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Nella Chiesa e nel mondo



Catena di pace ebrei-musulmani attorno alla sinagoga di Oslo

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Ebrei e musulmani mano nella mano per formare un anello di pace intorno alla sinagoga di Oslo. E’ quello che la capitale della Norvegia ha potuto vedere sabato scorso, quando giovani musulmani della città hanno deciso di mostrare il loro sostegno alla comunità ebraica dopo l’attentato terroristico a Copenhagen. Il 15 febbraio Omar El-Hussein, ventiduenne danese di origine palestinese, ha sparato ad un convegno organizzato in ricordo della strage al giornale satirico francese Charlie Hebdo e ancora nei pressi della sinagoga con un bilancio di due morti e 5 feriti.

L’iniziativa partita da giovani musulmani
“Vogliamo dimostrare che siamo al fianco del popolo ebraico e che vogliamo proteggerli – ha detto a un giornalista dell’Afp la 26enne Atif Jamil, tra gli organizzatori dell’iniziativa –. Non vogliamo estremisti in Norvegia che pensano di poter fare quello che vogliono contro la gente comune”. “L’idea è quella di dire ai terroristi ed estremisti che se vogliono ferire i nostri fratelli e sorelle devono prima passare attraverso di noi. Vogliamo proteggerli”, ha dichiarato Atif Jamil aggiungendo che l’invito è aperto anche ad altre confessioni di fede.

L’apprezzamento della comunità ebraica per la solidarietà dei giovani musulmani
Ervin Kohn, direttore della comunità ebraica, ha accolto l’iniziativa come un forte segno di solidarietà, ma anche come un segnale per la società attraverso il quale i giovani musulmani hanno voluto far sapere chi sono per non lasciare ad altri la possibilità di etichettarli. La comunità ebraica ha anche accolto l’iniziativa della catena umana come un fatto positivo, per ridurre soprattutto le tensioni e i pregiudizi che esistono tra musulmani ed ebrei. Secondo gli organizzatori oltre 2mila persone hanno partecipato alla catena umana ma in tanti sono venuti a vederla sabato pomeriggio.

La presenza dei musulmani in Norvegia
La comunità ebraica in Norvegia è una delle più piccole in Europa, con circa un migliaio di persone, mentre la popolazione musulmana conta tra le 150mila e le 200mila persone. Nel 2006 era stata la stessa sinagoga di Oslo, quella attorno alla quale si è formata la catena di pace, lo scenario di un attacco armato, da parte dell’islamista Arfan Bhatti, condannato per l’aggressione. Il dibattito sulla migrazione in Norvegia è cresciuto poi quando l’estremista Anders Behring Breivik ha ucciso 77 persone nel 2011 per fermare l’immigrazione musulmana. Sulla scia del massacro il sostegno dell’immigrazione nel Paese è aumentato; il 77% dei norvegesi ritiene che gli immigrati costituiscono un importante contributo alla società. (C.S. - T.C.)

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Chiese Gerusalemme: cordoglio per i 21 copti uccisi dall'Is

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Con un messaggio reso noto oggi dal patriarcato latino di Gerusalemme, i capi delle Chiese della Città Santa hanno espresso “dolore e sincera solidarietà” al capo della Chiesa copta in Egitto, il patriarca Tawadros II, dopo “la terribile notizia” dell’uccisione “dei nostri fratelli copti martirizzati” in Libia per mano del sedicente Stato islamico.

Tali atrocità non possono essere commesse in nome della religione
“È estremamente difficile - affermano i leader cristiani di Gerusalemme - comprendere come tali atrocità possano essere commesse in nome della religione. Siamo consapevoli - si legge nel testo - che questi tragici eventi alimentano il senso d’insicurezza che molti dei nostri confratelli discepoli di Gesù Cristo già sperimentano nella regione e vogliamo assicurarvi che siamo al vostro fianco in questi momenti così dolorosi”.

Le condoglianze alle famiglie delle vittime
Nel messaggio - riporta l'agenzia Sir - i rappresentanti delle Chiese di Gerusalemme chiedono al patriarca Tawadros di “porgere le nostre più sentite condoglianze alle famiglie di coloro che hanno perso la vita a causa della loro fede in nostro Signore Gesù Cristo, e per assicurare loro che continuiamo a portarli nel nostro cuore e nelle nostre preghiere”. (R.P.)

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Pakistan: rapina e sequestro in una chiesa cattolica

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Tre uomini armati, a volto scoperto, sono entrati nella chiesa cattolica di Nostra Signora Regina degli Angeli a Bhai Pheru, nel distretto di Kasur, in Punjab, prendendo in ostaggio il personale ecclesiastico e i laici presenti in chiesa, incluso il viceparroco padre Ijaz Bashir. Lo riferiscono all'agenzia Fides fonti nella Chiesa locale, aggiungendo che l’episodio di violenza è avvenuto il 19 febbraio alle 9 del mattino. Prima di allontanarsi, i malviventi hanno rubato circa due milioni di rupie pakistane, portando via cellulari, macchine fotografiche e computer.

La polizia si è attivata per arrestare i colpevoli
L’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill, difensore dei diritti umani, informato dal personale della chiesa, ha immediatamente raggiunto il luogo. Una denuncia contro ignoti è stata presentata alla polizia di Bhai Pheru. Le indagini sono state avviate con prontezza e, come riferito a Fides, gli agenti si sono detti “certi di arrestare i colpevoli entro pochi giorni”. L’avvocato Gill ha incontrato altre persone presenti ai fatti, come alcune suore. Suor Mariam Hakam ha detto che le sorelle, pur spaventate, “confidano in Dio” e che nella chiesa non erano predisposte particolari misure di sicurezza.

La Chiesa locale è ancora sotto shock
“Già in passato il parroco, padre Leopold, aveva subito una rapina” ha ricordato il catechista Shahbaz Anjum. I malviventi – ha aggiunto – “si sono presentati come normali fedeli, fingendo di voler iscrivere dei bambini alla scuola parrocchiale. Poi hanno improvvisamente tirato fuori le armi”. 
La Chiesa locale è ancora sotto shock. Il parroco della chiesa, padre Leopold Evans, missionaria belga, presente in parrocchia da oltre 26 anni, è attualmente ricoverato in ospedale per una malattia. Dopo l’attentato alle Torri gemelle del 2001, il governo pakistano ha disposto che i complessi delle chiese cristiane fossero circondati da cinte murarie, consigliando anche l’impiego di personale di sicurezza. (P.A.)

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Filippine. Card. Tagle: no all’indifferenza sociale

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Contrastare la cultura dell’indifferenza, perché “finché ci sarà una carenza di attenzione nei confronti degli altri e preverrà l’indifferenza nella nostra società, non ci sarà pace nel Paese”. Questo il forte appello lanciato in questi giorni dal card. Louis Tagle, arcivescovo di Manila, in occasione della Quaresima. In particolare, il porporato filippino ha ribadito l’importanza di “affrontare il problema dell’individualismo e dell’intorpidimento nei confronti dei bisogni del prossimo”, un fenomeno “sempre più diffuso” nel mondo attuale.

Combattere l’ingiustizia sociale e la malnutrizione infantile
Di qui, l’esortazione a lottare contro “la piaga dell’ingiustizia sociale” nelle Filippine, fenomeno che trae le sue origini proprio dalla “cultura dell’indifferenza”. “E quando diciamo cultura – ha sottolineato il card. Tagle – parliamo di un qualcosa che è già divenuto spontaneo e naturale”. È importante, quindi, ha spiegato il porporato, approfittare della Quaresima come di un “tempo di rinnovamento, offrendo particolare attenzione ai sofferenti ed ai bisognosi”. Tale attenzione, ha suggerito l’arcivescovo di Manila, si può dimostrare sia con la preghiera, sia con “atti concreti di carità”, ad esempio sostenendo i programmi diocesani contro la fame e la malnutrizione infantile. “In questi giorni – ha concluso il card. Tagle – preghiamo ed agiamo in nome della vera fratellanza e della vera pace”.

Tutelare i poveri e salvaguardare il Creato
Alle parole del porporato ha fatto eco anche la Caritas delle Filippine, il cui direttore nazionale, l’arcivescovo Rolando Tria Tirona, ha ribadito che “la Quaresima è un tempo forte, per la Chiesa ed i suoi fedeli, per riflettere sul grido d’aiuto dei poveri e degli oppressi”. “Ascoltando gli indigenti ed unendosi alla lotta contro la distruzione dell'ambiente, soprattutto nelle aree più disagiate – ha ribadito l’arcivescovo Tirona - possiamo veramente immergerci in quell’appello contro la globalizzazione dell’indifferenza”, lanciato tante volte da Papa Francesco. (I.P.)

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Orissa: primo monumento per martiri dei pogrom anticristiani

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I cristiani del villaggio Tiangia, nello Stato indiano di Orissa, hanno costruito il primo monumento in onore di sette martiri, vittime dei pogrom anticristiani di Kandhamal nel 2008. Mons. John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, ha benedetto la lapide commemorativa, alla presenza di sacerdoti e centinaia di fedeli. "Questi sette martiri - ha detto il presule - sono pilastri di testimonianza per il popolo di Kandhamal e non solo. Ringraziamo Dio per averci donato questi uomini, che hanno sacrificato le loro vite preziose per amore di Gesù. Anziché rinunciare alla loro fede, si sono stretti a Cristo con passione. Per noi sono fonte di ispirazione e speranza".

I nomi dei martiri
I sette martiri, tutti originari di Tiangia - riferisce l'agenzia AsiaNews - sono: padre Bernard Digal (morto il 28 ottobre 2008); Trinath Digal (25 agosto 2008); Bikram Nayak (25 agosto 2008); Parikhit Nayak (27 agosto 2008); Darasantha Pradhan (25 agosto 2008); Dibyasing Digal (25 agosto 2008); Dinabandhu Pradhan (27 agosto 2008).

Accuse infondate contro i cristiani
Il 23 agosto 2008 il leader indù Laxanananda Saraswati viene ucciso nel suo ashram, nel distretto di Kandhamal, da un gruppo maoista. I guerriglieri ammettono sin dall'inizio la loro responsabilità, ma i radicali indù seguaci scaricano la colpa sui cristiani, da tempo criticati dal guru per il loro impegno sociale con tribali e dalit (fuori casta) e accusati - insieme a vescovi, sacerdoti e suore - di fare proselitismo.

La persecuzione più violenta contro la minoranza cristiana mai avvenuta in India
A Kandhamal i pogrom degli estremisti indù costringono alla fuga 55mila fedeli e causano la razzia e il rogo di 5.600 case in 415 villaggi. Secondo i dati del governo i morti accertati sono 38; due le donne stuprate; numerose le persone con mutilazioni e danni permanenti. Tuttavia, i numeri di Chiesa e attivisti sociali sono altri: quasi 300 chiese distrutte, oltre a conventi, scuole, ostelli e istituti di assistenza. Almeno 91 vittime: 38 morte sul colpo, 41 per le ferite subite nelle violenze, 12 in azioni di polizia.

I martiri di Kandhamal ispirino i cristiani a vivere in modo eroico
Padre Manoj Kumar Nayak, un attivista sociale, dichiara ad AsiaNews: "Questi sette martiri hanno donato la loro preziosa vita dando testimonianza della loro fede e morendo per Cristo durante il massacro del Kandhamal. Il memoriale è il nostro piccolo tributo. Speriamo che la loro vita di fede e la loro testimonianza non vadano perdute, piuttosto che ispirino gli altri a vivere in modo eroico". (S.D.)

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Congo: appello libertà di stampa. Chiusa anche emittente cattolica

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“Garantire la libertà della stampa alla vigilia di importanti scadenze elettorali”. È l’appello lanciato dall’Associazione della stampa della Repubblica Democratica del Congo (Union Nationale de la Presse du Congo), in un comunicato inviato all’agenzia Fides.

Chiusa anche emittente cattolica
Il documento ricorda che negli ultimi mesi diverse emittenti sono state bloccate dalle autorità. Tra queste ci sono “Canal Kin Tv e la radio-televisione cattolica Elikya i cui segnali sono bloccati a Kinshasa dal 16 gennaio; la radio-televisione Jua a Lubumbashi, bloccata da dicembre” più altre emittenti radio-televisive chiuse d’autorità a Beni e a Butembo alla fine del 2014.

Ricordato al governo, ruolo centrale dei media in una democrazia
L’Associazione della stampa congolese sottolinea che, dopo l’adozione di una nuova legge elettorale e la presentazione del calendario elettorale, la situazione nel Paese si è rasserenata, ma le misure censorie prese dal governo “non favoriscono un clima sereno per l’esercizio della professione giornalistica”. Il comunicato ricorda inoltre che “il ruolo dei media è cruciale in una democrazia, particolarmente durante il periodo elettorale. In effetti, l’imbavagliamento dei media e la loro riduzione al silenzio non fanno altro che amplificare le tensioni nel Paese e compromettere seriamente lo svolgimento delle elezioni in un clima pacifico”.

Chiesto il rispetto della libertà di stampa
La chiusura improvvisa delle emittenti infine “ha conseguenze socio-economiche nefaste sui professionisti che vi lavorano e scoraggia gli investimenti nel settore, compromettendo la creazione di nuovi posti di lavoro”. Il comunicato conclude lanciando un appello al governo perché garantisca la libertà di stampa, e al Consiglio Superiore per l’audiovisivo e la comunicazione, che è, tra l’altro, incaricato della protezione della stampa, perché riporti tutte le violazioni alla libertà dei media. (L.M.)

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Sudafrica: sondaggio dei vescovi per il Sinodo sulla famiglia

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Anche la Conferenza episcopale sudafricana (Sacbc) ha lanciato un sondaggio tra i fedeli sulla famiglia in vista del 14.mo Sinodo generale ordinario del prossimo ottobre sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. L’indagine, per la quale la Sacbc si servirà del software di sondaggi on-line SurveyMonkey, è articolata in 42 domande basate sul questionario contenuto nei Lineamenta, il documento preparatorio dell’Assemblea sinodale inviato a tutte le Chiese  locali.

Per un quadro più preciso della situazione della famiglia in Sudafrica
L’obiettivo del sondaggio – spiega la Sacbc – è sentire le opinioni dei fedeli  per aiutare i vescovi a fornire un quadro più preciso della situazione della famiglia in Sudafrica.  Tra i quesiti proposti anche alcuni riguardanti problematiche specifiche della società sudafricana, come il diffuso fenomeno delle famiglie guidate da minori. L’indagine, terminerà il 27 marzo, poco più di due settimane prima della scadenza del 15 aprile, entro la quale il questionario inviato dalla Santa Sede dovrà essere compilato e rispedito alla Segreteria generale del Sinodo per preparare l’Instrumentum Laboris, il documento di lavoro dell’assise sinodale. 

Diverse le Conferenze episcopali che hanno optato per il sondaggio
Diverse Conferenze episcopali nel mondo hanno deciso di coinvolgere i fedeli in questa fase di riflessione e preparazione del Sinodo per sentire i loro punti di vista sulle questioni che saranno esaminate dall’Assemblea. Tra queste quella degli Stati Uniti (Usccb), anche se ogni diocesi sta procedendo con modalità diverse.  Secondo un’indagine compiuta dal National Catholic Reporter su un campione di 21 diocesi americane, 19 hanno deciso di interpellare direttamente i fedeli, di cui 15 con sondaggi on-line. Due diocesi hanno invece deciso di non intraprendere questa strada coinvolgendo solo i parroci. Come per il Sinodo straordinario sulla famiglia dell’ottobre scorso, anche quest’anno – rileva il Ncr - la partecipazione a questi sondaggi stata finora è relativamente  bassa. (L.Z.)

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Secam nomina incaricato dei rapporti con l'Unione Africana

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Si chiama Berhanu Tamene Woldeyohannes ed è stato nominato dal Secam (Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar) responsabile della Commissione Giustizia, pace e sviluppo del medesimo organismo ed incaricato dell’Ufficio di collegamento del Secam presso l’Unione Africana (Ua) ad Addis Abeba, in Etiopia.

Memorandum sullo status di osservatore del Secam nell’Ua
“Il sig. Woldeyohannes – si legge in una nota del Secam – avrà l’incarico di facilitare la firma di un memorandum di accordo sullo status di osservatore del Simposio all’interno dell’Ua. Tale accordo, che è in linea con gli obiettivi della Chiesa cattolica nel continente africano, si propone di contribuire alla costruzione di un'Africa unita, integrata, forte, democratica e ben governata, sviluppata, prospera, equa, pacifica e rispettata”. Il ruolo di Woldeyohannes, in particolare, sarà quello di “facilitare i rapporti di collaborazione tra le Commissioni regionali di Giustizia e pace e gli organismi economici africani, al fine di contribuire allo sviluppo integrale del continente alla luce dell’Esortazione apostolica post-sinodale Africae Munus e l’agenda 2063 per lo sviluppo dell’Africa preparata dall’Ua”.

Formazione su pace e sicurezza
Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Addis Abeba ed in Filosofia presso l’Arrupe College di Harare, il sig. Woldeyohannes ha conseguito anche un master in Management della pace e della sicurezza. In passato, ha insegnato Scienze sociali e Istruzione etica in una scuola cattolica di Addis Abeba. Ha lavorato anche per il programma di Sviluppo sociale e comunitario e per il programma Giovani e le questioni di genere della Chiesa cattolica. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 54

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.