Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 21/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai malavitosi: convertitevi e scegliete il bene, la Chiesa vi aspetta

◊  

Aprite il vostro cuore a Cristo, la Chiesa vi accoglie se smettete di servire il male. È il nuovo invito rivolto da Francesco ai membri delle organizzazioni malavitose. Il  Papa lo ha lanciato durante l’incontro con le migliaia di pellegrini giunti in Aula Paolo VI dalla diocesi calabrese di Cassano all'Jonio, guidati dal loro vescovo, Nunzio Galantino, segretario della Conferenza episcopale italiana. Il servizio di Alessandro De Carolis

L’Aula Paolo VI come la piana di Sibari. Otto mesi più tardi il grido accorato è più sfumato, ma anche senza il riverbero registrato quel giorno nel grande spazio aperto, davanti a oltre 200 mila persone, l’impatto delle parole di Francesco echeggia con identica forza in Aula Paolo VI di fronte ai settemila che la riempiono. Uomini della malavita, ripete Francesco, abbandonate questa strada e passate dalla parte del bene:

“A quanti hanno scelto la via del male e sono affiliati a organizzazioni malavitose rinnovo il pressante invito alla conversione. Aprite il vostro cuore al Signore! Aprite il vostro cuore al Signore! Il Signore vi aspetta e la Chiesa vi accoglie se, come pubblica è stata la vostra scelta di servire il male, chiara e pubblica sarà anche la vostra volontà di servire il bene”.

Un segno di croce non basta
Francesco solleva come sua abitudine il velo delle ipocrisie dietro il quale tutti, comprese le persone di fede, sono tentati di camuffarsi. E dunque, riafferma che non ci si può dire cristiani e poi “violare la dignità delle persone”. Gesù, dice, i demoni “non li invitava a pranzo”, ma “li cacciava via”:

“I gesti esteriori di religiosità non accompagnati da vera e pubblica conversione non bastano per considerarsi in comunione con Cristo e con la sua Chiesa. I gesti esteriori di religiosità non bastano per accreditare come credenti quanti, con la cattiveria e l’arroganza tipica dei malavitosi, fanno dell’illegalità il loro stile di vita”.

Non sfregiare la terra
Tuttavia, non è necessario essere affiliato a un clan e prosperare nel crimine per ritenersi al riparo da un certo tipo di male. Anche un cristiano, sostiene, può “programmare e consumare gesti di violenza contro gli altri e contro l’ambiente”:

“Cari fratelli e sorelle di Cassano, la bellezza della vostra terra è un dono di Dio e un patrimonio da conservare e tramandare in tutto il suo splendore alle future generazioni. Pertanto occorre l’impegno coraggioso di tutti, ad iniziare dalle Istituzioni, affinché essa non sia sfregiata in maniera irreparabile da interessi meschini”.

Il tempo della speranza
L’esempio di chi ha scelto non il profilo delle delinquenza ma, all’opposto, quello del “buon Samaritano” viene dai membri della “Comunità Emmanuel”, a centinaia in Aula Paolo VI con la loro sciarpa verde al collo. Francesco elogia a lungo questa “bellezza”, come la chiama, della terra calabrese e il suo servizio nei riguardi delle varie categorie di emarginati:

“Il nostro tempo ha un grande bisogno di speranza! Ai giovani non può essere impedito di sperare (…). Pertanto esorto le vostre comunità cristiane ad essere protagoniste di solidarietà, a non fermarsi di fronte a chi, per mero interesse personale, semina egoismo, violenza e ingiustizia. Opponetevi alla cultura della morte e siate testimoni del Vangelo della vita!”.

L’ora di un altro pastore
All’inizio dell’incontro, Papa Francesco aveva scherzato e insieme lanciato un messaggio alla comunità diocesana di Cassano all'Jonio circa il suo pastore, mons. Galantino, impegnato sul doppio fronte pastorale locale e su quello nazionale ai vertici della Cei:

“Ringrazio voi per averlo lasciato a disposizione della Conferenza episcopale l’anno scorso. Grazie tante! Grazie tante, di cuore. Ma povero uomo, durante quest’anno va e viene, va e viene… Credo che sia il momento di pensare di darvi un altro Pastore (i pellegrini rispondono: ‘No!’) Ma forse voi gli fareste una statua grande, lo ricorderete”.

inizio pagina

Lotta a povertà al centro del colloquio tra il Papa e Angela Merkel

◊  

Papa Francesco ha ricevuto stamane in Vaticano Angela Merkel: il colloquio è durato circa 40 minuti. Il cancelliere tedesco ha poi incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati. Il servizio di Sergio Centofanti

Al centro dei "cordiali colloqui" - riferisce la Sala Stampa vaticana - la lotta contro la povertà e la fame, soprattutto in vista del prossimo Vertice del G7, che si terrà in Baviera. Si è parlato di come contrastare lo sfruttamento degli esseri umani e promuovere i diritti della donna; quindi delle sfide della salute globale e della custodia del creato. Affrontati anche i temi dei diritti umani e della libertà religiosa in alcune parti del mondo e si è accennato all’importanza dei valori spirituali per la coesione sociale.

Infine, ci si è soffermati sulla situazione in Europa, e si è sottolineato, in particolare, l’impegno per giungere ad una soluzione pacifica del conflitto in Ucraina.

La Merkel ha fatto una donazione per i bambini rifugiati e ha regalato al Papa dei cd del compositore tedesco Johann Sebastian Bach. Il Pontefice, da parte sua, ha donato il medaglione di San Martino che cede il suo mantello ad un povero e l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium nella versione tedesca.

inizio pagina

Angela Merkel: incontro con il Papa molto positivo

◊  

Il cancelliere tedesco Angela Merkel, lasciando il Vaticano, si è trasferita presso la Comunità di Sant’Egidio, dove ha avuto un colloquio privato con il fondatore, Andrea Riccardi. Poi ha incontrato la stampa, dove ha parlato dell’incontro con il Papa. Queste le dichiarazioni di Angela Merkel:

R. - Ho avuto oggi il piacere e l´opportunità di spiegare a Papa Francesco l´agenda della presidenza tedesca del G7. Questo era l´obbiettivo principale della mia visita e naturalmente sono contenta, che questa agenda con i suoi temi sia anche per il Papa e per la Chiesa cattolica di grande rilievo. Si tratta soprattutto del tema della eliminazione della povertà. La Germania sottolinea in questo periodo soprattutto il campo della sanità. A Papa Francesco abbiamo potuto spiegare quanti mezzi mettiamo a disposizione per l´alleanza internazionale per i vaccini. Nei prossimi anni 300 milioni di bambini – soprattutto in Africa – saranno vaccinati e in questo modo contribuiamo a una crescita sana di questi bambini. Le tematiche relative ai bambini, alla lotta alla povertà e alla lotta alle guerre sono secondo me anche le tematiche principali del Papa. Ho avuto anche l´occasione di potergli spiegare un altro tema molto importante e cioè il tema della donna: l´autodeterminazione delle donne, l´autonomia delle donne, le prospettive lavorative delle donne. Il ruolo delle donne è fondamentale nei Paesi in via di sviluppo in quanto segna il futuro della famiglia. In questo senso ci sono ancora molte sfide da superare nell’ambito dell’eguaglianza tra uomo e donna. Questo riguarda anche i Paesi sviluppati e industrializzati.

D. – Si è parlato di altri temi …

R. - Abbiamo parlato anche del tema ambientale, che è molto importante per noi, perché il G7 può in questo modo sostenere la Conferenza sul clima di Parigi che si terrà prossimamente e in questo senso anche i lavori sugli Obbiettivi del Millennio sono un ulteriore tema che abbiamo trattato nel nostro discorso. Naturalmente abbiamo parlato anche della situazione di guerra in Ucraina. In questi giorni i vescovi ucraini sono stati in Vaticano. Per questo credo che il Papa sia stato informato in modo completo sulla situazione. In generale è stato per me molto positivo di poter spiegare al Papa ciò che intendiamo fare e mi dà la forza di poter ricercare risultati concreti durante il semestre di presidenza del G7 per poter attuare i nostri impegni.

inizio pagina

Altre udienze e nomine di Papa Francesco

◊  

Il Papa ha ricevuto stamani il card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi. Sempre oggi Francesco ha nominato nunzio apostolico in Mozambico mons. Edgar Peña Parra, arcivescovo titolare di Telepte, finora nunzio apostolico in Pakistan.

inizio pagina

Papa, tweet: non c’è peccato che Dio non possa perdonare

◊  

“Non c’è peccato che Dio non possa perdonare. Basta che noi chiediamo perdono”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter @Pontifex in 9 lingue.

inizio pagina

Quando Bergoglio divenne cardinale. Il racconto di Elisabetta Piqué

◊  

Il 21 febbraio di 14 anni fa, Giovanni Paolo II creava cardinale l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio. Un momento davvero straordinario se si pensa che proprio il porporato argentino sarebbe succeduto 12 anni dopo al Papa polacco e come Pontefice avrebbe canonizzato Karol Wojtyla. Per una testimonianza su quel giorno, Alessandro Gisotti ha intervistato la corrispondente a Roma del quotidiano argentino "La Nación", Elisabetta Piqué, che conobbe Bergoglio proprio durante il Concistoro del febbraio 2001: 

R. – Prima di tutto lo conobbi proprio in quella occasione, perché io ero corrispondente a Roma: in quell’occasione il mio giornale mi disse che l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, stava venendo qui e che avrebbe fatto un’eccezione, rilasciando una intervista. Quindi io l'ho conosciuto proprio quella volta, in quel febbraio del 2001, perché ovviamente l'ho seguito (al Concistoro ndr). C’era anche un altro argentino, il cardinale Mejía, morto di recente. Ricordo di aver fatto questa intervista con lui nella Casa del Clero, dove lui normalmente abitava quando veniva a Roma. E subito, fin dall’inizio, mi ha sorpreso come persona. Mi ha sorpreso questo suo essere così umile e questo parlare in modo così chiaro: ricordo che in quel periodo – era il 2001, poco prima del default in Argentina – c’era un clima molto pesante e molto difficile per moltissime persone, anche la situazione sociale era molto difficile. Ricordo che lui rispose a tutte le mie domande in maniera molto diretta. Rileggendo quella intervista, ci sono i grandi temi che poi adesso come Papa ci ripropone.

D. - Quelli che c’erano, come te, hanno il ricordo anche di un cardinale Bergoglio se non impacciato, quasi "fuori posto". Anzi non volle proprio festeggiamenti e chiese di raccogliere fondi e invece di fare un regalo a lui di darli in beneficienza ai poveri di Buenos Aires…

R. – Esatto! Ed è quello che poi ha fatto anche quando è stato eletto Papa: “Non venite! Non venite a Roma per la Messa di Inaugurazione - ha detto - spendete i soldi del biglietto per darlo ai poveri”. Esattamente questo stesso atteggiamento, sempre pensando agli ultimi. C’è poi la storia delle sue vesti: si è fatto mettere a posto quello del suo predecessore, l’arcivescovo Guarracino. Quanta umiltà! Ricordo che con una macchina fotografica digitale, che a quei tempi erano molto grosse, alla visita di calore o di cortesia nel Palazzo Apostolico gli ho fatto una foto: lui vestito di rosso, e poi anche abbastanza impressionante vederla a distanza di anni, perché è magrissimo… Ho fatto una foto a lui e a Mejia che erano i due argentini.

D. – Le foto di quel giorno ci restituiscono anche un’immagine emozionante: il vecchio Papa ormai, anche malato, Giovanni Paolo II, ora Santo, che mette la berretta rossa sul capo del cardinale Bergoglio che 12 anni dopo gli sarebbe succeduto proprio alla Cattedra di Pietro. Davvero due figure straordinarie…

R. – Sì, sicuramente quell’immagine è un’immagine che fa venire a molta gente la pelle d’oca. E’ incredibile pensare che Giovanni Paolo, già abbastanza malato, gli diede l’anello e che poi anni dopo sarebbe stato canonizzato proprio da questo Papa argentino. In questo senso, ricordo che in quell’intervista ci fu una domanda ovvia che io feci a Bergoglio: “Si sarebbe mai immaginato di diventare cardinale?”. Lui mi rispose: “No! Non mi era mai venuto in mente!”. Lui viveva questo… Io poi gli dissi: ”Alla fine diventare cardinale è come arrivare alla cima”; ma lui mi disse: “No, no! Io lo vivo religiosamente e prego. Non lo vivo come l’essere arrivato a qualcosa”. E mi ha detto: “Ogni ascesa significa una discesa e bisogna discendere per servire meglio”. Allora gli chiesi anche: “Adesso lei sarà un elettore in un eventuale Conclave e molti credono che lei, con la sua età, potrebbe essere papabile”; e lui mi rispose, ridendo: “No, non mi è venuto in mente”. Anzi mi disse anche: “Credo che questo Papa, anche se malato, ha ancora molti anni di vita, perché ha un fisico da atleta ed è un uomo di una forza impressionante”. E in effetti era il 2001 e Giovanni Paolo II morì quattro anni dopo...

D. – Molti, anche in occasione di questo ultimo Concistoro, pochi giorni fa, hanno sottolineato questi richiami di Papa Francesco alla sobrietà, al servizio, rivolti a tutti i cardinali, ma ovviamente soprattutto ai nuovi. Il modo in cui lui stesso ha vissuto nei 12 anni da cardinale…

R. – Lui sempre parla di vescovi che non devono essere principi, che non devono vivere da principi. In questo senso sappiamo, essendo lui stato arcivescovo di Buenos Aires e cardinale, che lui non è mai andato a vivere nella residenza che era dell’arcivescovo, non ha mai voluto un’auto con l’autista; andava per Buenos Aires a piedi, in metro… Quindi una vita veramente segnata dall’austerità, dall’umiltà. E’ sempre stato un esempio e questo chi lo ha conosciuto lo sa.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

O gesù o il male: appello del Papa durante l'udienza ai fedeli di Cassano all'Jonio.

L'evangelizzazione al centro di tutto: il cardinale Paul Poupard su Bergoglio e Paolo VI.

Tra secolarizzazione e pubblicità: un commento di Lucetta Scaraffia dal titolo "Consigli per gli acquisti".

Cosa regalo al Papa?: Matteo Coco sul dubbio del poeta argentino Alejandro Guillermo Roemmers.

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Ucraina, Shevchuk: catastrofe umanitaria, Paese cade a pezzi

◊  

In Ucraina, a Kiev, si celebra l’anniversario dell’eccidio di Piazza Indipendenza, quando un anno fa, durante le proteste contro l’allora presidente filorusso Yanukovich, decine di manifestanti vennero uccisi dai cecchini. Nell’est del Paese, nuove violazioni della cosiddetta tregua di Minsk, mentre è previsto per oggi, uno scambio di prigionieri tra miliziani indipendentisti ed esercito ucraino. Intanto ieri in Vaticano Papa Francesco ha accolto in visita “ad Limina” i vescovi ucraini invitandoli a ricercare la "pace possibile" nell'auspicio che siano rispettate la tregua e la legalità internazionale. Per un commento su questo incontro Michele Raviart ha raccolto la testimonianza di Sua beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kiev e capo della Chiesa greco-cattolica ucraina: 

R.- Ieri abbiamo avuto questo incontro con il Santo Padre. Eravamo 22 vescovi: 20 appartenenti al Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina e due dell’Eparchia di Mukachevo, nella Transcarpazia. Il Santo Padre prima di tutto ci ha assicurato la sua vicinanza, ma anche di più: ci ha detto: “Mi metto al vostro servizio”. Gli abbiamo presentato la situazione di guerra in Ucraina, la catastrofe umanitaria che ora vive il nostro Paese; gli abbiamo parlato dei quasi due milioni di sfollati, profughi, dei seimila civili uccisi e poi dei tanti feriti. Lui ha preso veramente a cuore questa situazione e noi speriamo che tutto il mondo cristiano sia al nostro fianco come il Santo Padre.

D. – Qual è invece la situazione sul campo in Ucraina dal punto di vista anche umanitario?

R. – Ci sono due cause che influiscono su questa catastrofe umanitaria. Prima di tutto, lo Stato ucraino non riesce più a gestire questo esodo massiccio. La nostra Caritas ucraina sta facendo di tutto per accogliere queste persone. Ho chiesto al Santo Padre di fare un appello alla comunità internazionale affinché venga fatta un’azione internazionale di aiuto umanitario. L’altra cosa è questa: la guerra è sempre collegata con la miseria, con la distruzione. L’Ucraina cade a pezzi, la moneta ucraina – la hrivna – si svaluta ogni giorno di più. Perciò lo Stato ucraino ha bisogno di un aiuto anche da parte del Fondo monetario internazionale per salvare la sua economia perché se alla situazione di guerra si aggiungerà il collasso dell’economia sarà una tragedia.

D. – Quali sono invece i risultati delle tregua di Minsk, del cessate il fuoco, secondo la vostra percezione?

R. – Non è stato un cessate il fuoco. Subito dopo questa dichiarazione di tregua, abbiamo assistito ad un brutale attacco alla città di Debaltsevo dove sono stati uccisi tanti soldati. Ogni giorno riceviamo notizie della continua violazione di questa tregua; la gente continua a fuggire, i civili e i militari muoiono ogni giorno. Il Santo Padre anche nel messaggio scritto per i vescovi sia di rito bizantino che latino ha auspicato che questi accordi di Minsk siano applicati.

inizio pagina

50 civili arsi vivi dall'Is in Iraq. Parigi: minaccia vicina

◊  

Ancora violenza in Libia: sotto attacco in queste ore da parte dello Stato islamico l’aeroporto di Beida nel nord-est e secondo fonti militari i jihadisti punterebbero a colpire la sede del Parlamento di Tobruk. E dall’Iraq arriva un’altra drammatica notizia: l’Is avrebbe arso vivi 50 civili nella provincia di Anbar. Intanto Francia e Italia rilanciano la soluzione politica ma ribadiscono: la minaccia è vicina ai nostri confini. Cecilia Seppia: 

Siria, Iraq, Libia e poi l’Egitto, lo Yemen, la Nigeria, il Mali, la Somalia: la mappa del terrore sotto la bandiera nera dello Stato islamico continua a diffondersi, così la minaccia di morte e conquista che viaggia sul Web. Parigi, con il ministro dell’Interno Cazeneuve chiede al colosso Google di collaborare direttamente con gli investigatori francesi e di rimuovere la propaganda terroristica dell’Is dai rispettivi siti, compresi Youtube, Facebook e Twitter, mentre su quest’ultimo spopola l’hashtag "Arriviamo a Roma". In Libia intanto si combatte ancora, i jihadisti hanno lanciato 6 razzi Grad contro l’aeroporto di Beida e guadagnano terreno: l’obiettivo sembra ora la sede del governo del premier Al Thani, a Tobruk. Dall’Iraq l’altra ennesima scioccante notizia di 50 civili arsi vivi dall’Is a Hit, nella provincia occidentale di Anbar, la stessa dove nei giorni scorsi sono state uccise 150 persone. A finire sotto le mani dei miliziani anche due giovani a Mosul accusati di voler organizzare una rivolta contro l'Is. Nessuna novità invece dalla Siria sulla sorte della giornalista svedese rapita dai miliziani. Francia e Italia rilanciano la soluzione politica ma ribadiscono: la minaccia è vicina ai nostri confini. Preoccupazione è stata espressa dal presidente della Cei Angelo Bagnasco: "l'Is, ha detto il porporato, questa espressione ideologica, fanatica e fondamentalista, esercita su non poche menti un fascino turpe e brutale", serve ha aggiunto "una riflessione da parte dell’Occidente".

Abbiamo chiesto a Stefano Silvestri presidente dell’Istituto affari internazionali, di tracciare una mappa del terrore creata dai jihadisti dello Stato islamico anche noto come movimento "Daesh": 

R. – Il movimento di Daesh è più strettamente territoriale, cioè punta alla conquista di territori da strappare agli Stati esistenti mettendo in dubbio la legittimità di questi Stati e creando nuovi Stati rivoluzionari, che poi vengono presentati come “vilayet” , le province del nuovo Califfato, come degli emirati. In questo momento molti sono solo realtà sulla carta, fanno riferimento a micro-gruppi o a personalità abbastanza isolate. I fenomeni più interessanti sono quelli che si stanno svolgendo in Yemen dove c’è un conflitto, tra l’altro, tra qaedisti e Daesh; c’è quello che si sta svolgendo in Libia e probabilmente nel Mali; ci sono poi altre aree che sono in movimento, per esempio in Somalia…

D.  – Come sappiamo l’Is ha un sistema di comunicazione molto forte, alcuni proclami rilanciati sui social network si sono rivelati fondati. E qualche giorno fa circolava su Twitter l’hashtag “Arriviamo a Roma”. Quanto può essere credibile questa minaccia e, in generale, quanto possono essere credibili le minacce che lo Stato islamico fa attraverso i media?

R. – Il grosso delle minacce, delle uccisioni, dello Stato islamico riguardano il tentativo di tenere sotto controllo e terrorizzare i propri combattenti, le proprie truppe, le quali - siccome non sta andando molto bene sul campo di battaglia - hanno una certa tendenza in alcuni casi a disertare. Questa è una cosa che lo Stato islamico non può accettare e quindi la presenta in chiave trionfalistica come uccisione di traditori e altre fesserie del genere, però è propaganda allo stato più evidente. A questo aggiunge minacce contro l’Occidente che dipendono in realtà non tanto dalle capacità dello Stato islamico - che non ha grosse capacità di attaccare l’Occidente, direi anzi che non ne ha proprio al di fuori dei territori in cui agisce - ma dovrebbero servire di stimolo a terroristi locali i quali decidano di seguire l’indicazione di massima fatta dallo pseudo-califfo e desiderano quindi di passare a un attacco terroristico, come è stato fatto a Parigi, a Bruxelles, a Copenaghen.

D.  – Il presidente americano Barack Obama è stato attaccato perché quando parla dell’Is non parla dell’estremismo islamico piuttosto di estremismo violento o comunque usa altre espressioni. C’è in questo secondo lei un non voler enfatizzare l’aspetto religioso dello Stato islamico per ragioni politiche o strategiche?

R. – Sì, certamente c’è questo elemento. Rimane il fatto che all’interno del mondo musulmano ci sono forti divisioni e forti lotte. Allora, credo che il tentativo di Obama sia quello di dire: “non mi immischio, io combatto i terroristi, poi se questi vogliono essere trattati come islamici, sono fatti loro”. Non sono completamente d’accordo perché in realtà è proprio questo loro appello alla loro islamicità che li rende così capaci di attrarre giovani, nuove reclute, insomma, ma soprattutto che li rende così pericolosi per gli Stati della regione.

D . – La questione della leadership si è dibattuta molto in questi giorni. E’ giusto che qualche governo occidentale prenda le redini di questa crisi?

R. - E’ difficile immaginare che questa crisi possa essere risolta senza un accordo di tipo multilaterale, che deve coinvolgere non solo Stati occidentali ma anche altri Stati: dovrà coinvolgere in qualche maniera anche la Russia, se possibile, naturalmente la Cina, alcuni Stati asiatici, importanti, musulmani e non musulmani. Però è anche chiaro che bisognerà che qualcuno prenda l’iniziativa di sviluppare una simile coalizione e definire gli obiettivi condivisi da tutti. Questo è più un lavoro che da Stato abbastanza consistente, in sostanza è un lavoro da grande potenza.

inizio pagina

Tsipras dopo l'Eurogruppo: vinta la battaglia non la guerra

◊  

L’accordo raggiunto con l’Eurogruppo cancella gli impegni sull’austerity. Sono le parole del premier greco, Alexis Tsipras, all’indomani dell’intesa raggiunta a Bruxelles con i ministri dell’Eurozona che prevede l’estensione degli aiuti di quattro mesi, vincolati però al piano di riforme che Atene dovrà presentare lunedì prossimo. E’ stata vinta una battaglia ma non la guerra, ha proseguito Tsipras, che ha precisato che l’accordo permette "l’annullamento dei piani di licenziamento del precedente esecutivo, gli aumenti dell’Iva e libera il governo dalla rigidità dell’avanzo primario". Ora però, ha aggiunto il premier, è il turno dei “negoziati più difficili”. Francesca Sabatinelli ha intervistato Dimitri Deliolanes, corrispondente in Italia della televisione pubblica greca “Ert” : 

R. – E’ un compromesso che dà soddisfazione a tutte e due le parti. La Grecia ha concesso parecchio e il prosieguo della sua politica economica sarà strettamente controllato da parte dell’Unione Europea e del Fondo monetario internazionale. Però, d’altra parte, ha ottenuto quattro mesi di respiro in maniera da darsi un progetto di sviluppo alternativo a quello dell’austerità, che è stato seguito fino a questo momento. Che cosa ha ceduto? Lo sapremo in maniera più dettagliata lunedì, quando la Grecia dovrà presentare le misure che vuole intraprendere e che non avranno un costo per le casse dello Stato. Ha anche ottenuto di non dover ottenere un "surplus" primario determinato come era previsto, era calcolato intorno al 4,5% alla fine dell’anno, ma di disporre di un certo margine di flessibilità, anche questo è un compromesso politicamente da interpretare. Diciamo che per la prima volta l’Unione Europea riconosce il fatto che non può imporre misure di austerità laddove il governo, cioè l’autorità politica del Paese, è nettamente contraria ed apre anche la porta ad un altro tipo di misure, che si tratta di vedere, di specificare e di calcolare.

D. – La Grecia sarà in grado di proporre un adeguato piano di riforme?

R. – Sì. Ci sono dei punti sui quali sia i partner europei, sia la Grecia sono d’accordo, e non da oggi, ma da parecchio tempo, che riguardano la riforma fiscale e quindi combattere l’evasione fiscale. Si tratta di riformare l’amministrazione pubblica. Sono tutte riforme che non hanno un costo, anzi potranno avere dei vantaggi per le casse dello Stato. Il problema, fino a ieri, erano le resistenze, diciamo così, di chi era avvantaggiato dall’attuale situazione di immunità fiscale. La volontà politica dell’attuale governo greco bisogna vedere se farà in tempo e se avrà le idee chiare nel procedere. Sicuramente, da parte europea è ben visto questo sforzo, che è anche citato nel documento finale dell’Eurogruppo di ieri.

D. – I greci, i cittadini greci, continuano ad avere enormi problemi nella vita di tutti i giorni. Come l’hanno presa loro tutta questa situazione? Sono così soddisfatti?

R. – Sicuramente, non c’è soddisfazione, ma non c’è neanche delusione. E’ un compromesso, come dicevo prima, complesso, in cui tutti hanno ceduto qualcosa e hanno ottenuto in cambio qualche altra cosa. Adesso, la palla passa veramente in mano al nuovo governo, che dovrà dimostrare di saper approfittare di questo compromesso, di questi margini di manovra che gli ha lasciato l’Unione Europea, di poterli sfruttare al massimo e di poter adempiere ai suoi obblighi verso la parte più tormentata della società greca, quelli che non hanno alcun reddito e che aspettano dal governo un sostanziale aiuto alla crisi umanitaria, di cui abbiamo parlato più volte, che però non può fare adesso perché hanno un costo per le casse dello Stato che non è sostenibile. Quindi, bisogna gestire nella maniera migliore questo margine di flessibilità per arrivare a poter dare quello che è stato promesso prima delle elezioni.

D. – In conclusione, il governo Tsipras deve riuscire a non deludere l’Europa e deve riuscire allo stesso tempo a non deludere e ad aiutare i suoi cittadini. Difficile, ce la faranno?

R. – Sì, è una impresa difficile. Già lo sapevamo prima delle elezioni. Per far capire: Varoufakis, che all’epoca non si pensava che sarebbe stato un ministro, ma semplicemente un economista vicino a Tsipras, che sosteneva Tsipras, aveva detto che il candidato premier avrebbe dovuto promettere ai greci "lacrime e sangue", parafrasando Churchill. In effetti è questa la realtà. Sicuramente, non ci poteva essere un cambiamento miracolistico da un momento all’altro, continua quindi ad essere una situazione difficile. Speriamo almeno di rientrare in una strada che ci porti verso lo sviluppo e verso il benessere, visto che la strada precedente ci ha portato di male in peggio. Questa è la sostanziale differenza.

inizio pagina

Vaciago: bene il Jobs act, riscrive il mercato del lavoro

◊  

Giudizi contrastanti sui decreti attuativi del "Jobs act" il giorno dopo l’approvazione da parte del governo. Divisa la maggioranza e lo stesso Pd, soddisfatta la Confindustria, fortemente critici Cgil e Uil, più positivo il giudizio  della Cisl che riconosce però che sul precariato si poteva fare di più. Una giornata attesa da anni, quella di ieri, secondo il premier Renzi, secondo cui ora le imprese non hanno più giustificazioni per non assumere. Uno dei punti di maggiore divisione i licenziamenti collettivi rimasti nei decreti. Per una valutazione complessiva del provvedimento, Adriana Masotti ha chiesto il parere dell’economista dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Giacomo Vaciago

R. – Anzitutto, poiché sono le industrie che devono assumere è bene che siano contente, guai se fossero loro a bocciare la normativa… Detto questo, la riforma è incredibilmente ambiziosa: riformula tutti i principi che regolano il mercato del lavoro in Italia, dalle forme contrattuali alle tutele dei lavoratori, ai meccanismi di formazione e occupabilità. E questo colpisce tanti positivamente e negativamente: gli affezionati al mondo del 1970, allo Statuto dei lavoratori, non gradiscono una rivoluzione di questo tipo, però sono passati 45 anni... Dall’altra parte, chi ama il confronto con i mercati del lavoro degli altri Paesi con cui ci stiamo integrando, apprezza la nostra convergenza. E’ appena venuto a Roma il segretario generale dell’Ocse, Gurrìa, e il rapporto sull’Italia dell’Ocse di quest’anno dà un giudizio estremamente favorevole su questa riforma. Attenzione, l’Ocse non è la Confindustria, è un’organizzazione governativa che raggruppa 35 Paesi e fa confronti tra i Paesi, chi funziona meglio, chi funziona peggio. Da anni ci dicevano che il nostro mercato del lavoro era uno dei peggiori. Problema: questa riforma, attenzione, nel giro di qualche anno, sarà sufficiente a migliorare veramente la situazione o no?

D. – Nel complesso, quindi, il suo giudizio è positivo. C’è qualche aspetto che invece lei critica? I sindacati dicono che sul precariato si poteva fare molto di più. Criticano le norme sui licenziamenti collettivi…

R. – In questo Paese, dobbiamo ricordarci che governare è dalla “Gazzetta ufficiale” in poi: cioè questa legge, anche nelle sue innovazioni più radicali poi, richiede un buon governo, tutti i giorni. Pensiamo alle agenzie, oggi sono regionali e devono occuparsi del come assistere il lavoratore alla ricerca di un lavoro. Ci sono alcune realtà buone, soprattutto nel Nord, e ci sono situazioni nelle quali le agenzie servono a pagare stipendi ai loro dipendenti, ma nulla producono. Bene, il governo ha nella legge delega l’Agenzia nazionale del lavoro. Funzionerà? C’è ancora moltissimo da fare. Quindi, criticare la legge per ciò che consente o richiede, senza poi capire che il giorno dopo moltissimo resta da fare, non va.

D. – Un suo commento sul metodo con cui si è arrivati all’approvazione di questi decreti: il governo non ha tenuto conto delle richieste delle Commissioni parlamentari, ha tirato dritto…

R. – Certamente, il governo non è tenuto a obbedire al parlamento. Il parere del parlamento in questi casi è consultivo e quindi questa non è una grave irregolarità. Il problema di nuovo è politico. Una minoranza della maggioranza ritiene che si poteva fare di più e meglio e il governo ha risposto: intanto partiamo e poi aggiusteremo il tiro nei prossimi anni. Dobbiamo smetterla di pensare che si fa una riforma e che questa deve durare un secolo. Non è più così, oggi, il mondo. Quindi, io credo che il buonsenso ci aiuterà nei prossimi anni a verificare e migliorare ulteriormente. Dobbiamo continuare a imparare dall’esperienza.

inizio pagina

Giornata della lingua madre per salvare ricchezza dei popoli

◊  

E’ dedicata all’educazione inclusiva quest’anno la Giornata internazionale della lingua madre (21 febbraio), istituita dall’Onu per promuovere la diversità linguistica e culturale nel mondo. Tra gli obbiettivi la tutela delle lingue in via di estinzione: ogni anno ne scompaiono 24. Il servizio è di Paolo Ondarza: 

“Parlare a qualcuno in una lingua che comprende consente di raggiungere il suo cervello. Parlargli nella sua lingua madre significa raggiungere il suo cuore”. Nelson Mandela si esprimeva così a significare come la lingua di un popolo sia un elemento identitario e fondante, imprescindibile. Per questo dal 2000 l’Onu celebra la Giornata mondiale della lingua madre ogni 21 febbraio. Proprio in questa data, nel 1952 cinque studenti di Dacca furono uccisi durante una manifestazione per il riconoscimento del Bangla come lingua ufficiale dell'allora Pakistan orientale, oggi Bangladesh. Tante le culture che nella storia hanno lottato per salvaguardare la propria lingua eppure ancora oggi ogni quindici giorni ne muore una, portando via con sé tradizione, radici culturali e storia. Spesso le lingue madri delle popolazioni autoctone sono ignorate dal sistema educativo: questo ostacola l’uguaglianza, l’integrazione sociale. L’Unesco auspica un’educazione inclusiva, che valorizzi le differenze a partire dalla lingua. La compresenza di idiomi diversi tipica delle società multiculturali è inoltre fonte di arricchimento lessicale. Lo conferma Daniela Finocchi, responsabile del concorso letterario nazionale “Lingua Madre”:  

R. – Certo che se uno sostituisce parole proprie con altre straniere probabilmente snatura la propria lingua. Ma se, invece, avviene un processo di commistione, di arricchimento, allora questo è un arricchimento, non è una perdita. Le parole si possono anche inventare, farne nascere di nuove, si può arricchire una lingua senza per questo cancellarla. Nell’incontro tra culture si arricchisce tanto il linguaggio d’adozione quanto quello di origine. Guergana Radeva, è un’autrice bulgara, ha intitolato il suo racconto “Sconfini”, che è una parola che non esiste nel vocabolario italiano, ma che è bellissima, perché esprime il concetto di sconfinare, di andare al di là dei confini. Questo lo trovo solo un arricchimento. Diverso è se, invece, incominciamo a parlare in inglese per identificare oggetti che potremmo identificare benissimo con la nostra lingua.

inizio pagina

Fondazione Martini si interroga su ecologia, giustizia e pace

◊  

Un confronto su tre temi, ecologia, giustizia e pace, promosso dalla Fondazione intitolata al cardinale Carlo Maria Martini che guidò la diocesi di Milano per 22 anni, e scomparso nel 2012. Il primo incontro ieri al Centro S. Fedele di Milano ha messo a fuoco la questione dell’ambiente con un metodo di condivisione delle idee rispetto alla tradizionale forma della conferenza. Il servizio di Fabio Brenna: 

Originale e profondo è stato il contributo dato dal pensiero del cardinale Carlo Maria Martini ai temi dell’ecologia, della giustizia e della pace. Tre argomenti al centro della Settimana Ecumenica di Basilea nel 1989, che da comune denominatore dell’azione delle Chiese cristiane poteva incontrare le esigenze e le sensibilità presenti nella società per un proficuo rapporto di collaborazione e di scambio. Nel primo dei tre incontri milanesi si è affrontato da varie angolature l’analisi del contributo dato da Martini in tema di ambiente, concepito partendo dal concetto di salvaguardia del Creato, attualissimo soprattutto come proposta di metodo: non stabilendo dei principi a priori, ma mettendosi in ascolto delle esigenze reali, come sottolinea il docente di Morale, Bruno Bignami:

“Martini è abbastanza restio ad affrontare i temi etici in campo ambientale, quasi deducendo dai principi. Per lui c’è bisogno di adottare un metodo induttivo, cioè partire dalla realtà, saperla leggere e comprendere, ma soprattutto operare un discernimento etico nella storia”.

La crisi dell’ecologia come frutto dell’incomunicabilità del nostro tempo, ma anche la necessità di assumere un atteggiamento responsabile anche in questo campo: altre intuizioni del cardinale, che proponeva la necessità di una riconciliazione con il tema dell’ambiente, un modo anche per far riacquistare ai cristiani un tema troppe volte considerato appannaggio del solo ambientalismo. Il commento Chiara Tintori della rivista "Aggiornamenti sociali":

“Papa Francesco in una battuta, nell’omelia di Santa Marta del 9 febbraio scorso, diceva: ‘Voi vedete delle persone riunite che parlano di ambiente: non sono i Verdi, sono i cristiani!’ Richiamando i cristiani a questa responsabilità. In questa battuta c’è tutta la storia di un ambientalismo e di un’ecologia forse troppo spesso lasciata da noi cristiani ad altri”.  

Il pensiero e la testimonianza resa da Martini negli anni dello studio, della guida della Diocesi di Milano per 22 anni, troverebbero una dimora naturale nella Chiesa di Papa Francesco che con il cardinale condivide la stessa formazione e provenienza gesuitica nonché la spiritualità ignaziana. Se ne dice sicura Maris Martini, sorella del presule scomparso nel 2012:

“Io vedo una consonanza; stili di vita diversi, ma una consonanza di idee, di finalità che c’è, di farci andare tutti in Paradiso, diciamo così”.

inizio pagina

Una vita per i diritti umani. La Lev ricorda Giorgio Filibeck

◊  

Una vita da giurista al servizio dei diritti degli ultimi e della Dottrina Sociale della Chiesa. Questa la testimonianza lasciata da Giorgio Filibeck, officiale presso il Pontificio consiglio Giustizia e Pace e uomo della Santa Sede nelle più importanti organizzazioni giuridiche internazionali fino alla sua scomparsa nel 2004. Lo celebra ora il volume “Un uomo per i diritti”, a cura di Tommaso Di Ruzza, pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana, presentato ieri a Roma. Il servizio di Michele Raviart: 

Per 35 anni Giorgio Filibeck è stato il responsabile della Santa Sede in materia di diritti umani e diritto umanitario. Le sue battaglie al Consiglio d’Europa, all’Onu e al Comitato internazionale della Croce Rossa, hanno avuto come punto fermo la dignità umana e i diritti e i doveri che da questa derivano. Con la consapevolezza che, come scrive mons. Mario Toso, segretario del Pontificio consiglio Giustizia e Pace, la vera evangelizzazione non può essere disgiunta dalla difesa e dalla promozione dei diritti dell’uomo e dei popoli:

"Il dottor Giorgio Filibeck lavorava nel campo dei diritti, questa era la sua area, all’interno del Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace; è un compito ben preciso: quello di approfondire e di fondere la Dottrina Sociale della Chiesa ed aggiornarla dal suo punto di vista, cioè di un uomo di Chiesa, di un credente, il quale fondava il diritto sulla dignità trascendente della persona, in particolare sulla capacità di conoscere il bene, il vero e Dio di ogni persona".

Il cardinale Roger Etchegaray, presedente emerito del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha ricordato l’uomo e il cristiano. “Colmo di pudore al momento di parlare della sua fede, ma che lasciava trasparire con grande naturalezza l’aroma delle sue convinzioni religiose”. Il giurista, invece è stato ricordato da mons. Paul Gallagher, segretario vaticano per i rapporti con gli Stati, che ha conosciuto Filibeck, negli anni di servizio al Consiglio d’Europa:

"Credo che Giorgio aveva sempre tentato di conciliare il Vangelo di Gesù Cristo, gli insegnamenti della Chiesa con il progresso che è stato fatto nel mondo secolare sui diritti. Lui non vedeva un’opposizione tra le due cose, ma cercava sempre di promuoverle, di elaborare testi che potessero essere utili a realizzare, a difendere questi diritti che lui considerava veramente molto importanti per lo sviluppo della società".

Tra gli studi più importanti “i diritti dell’uomo nell’insegnamento della Chiesa da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II”, tradotto in diverse lingue del mondo. Tra i documenti giuridici di cui Filibeck può rivendicare la paternità la Raccomandazione del Consiglio d’Europa sul “diritto alla soddisfazione dei bisogni materiali elementari delle persone in situazioni di estrema precarietà", come ci spiega Guido Raimondi, vice presidente della Corte Europea dei diritti dell'Uomo:

“E’ un atto giuridico non vincolante, cioè appartiene a quella categoria che si definisce di ‘soft law’. Ma ‘soft law’ non vuol dire che sia un testo irrilevante, al contrario: è un testo che può ispirare coloro che sono chiamati ad interpretare testi che invece sono vincolanti. E questo è già accaduto da parte del Comitato europeo dei diritti sociali, che ha utilizzato questa raccomandazione per pervenire ad una certa interpretazione della Carta sociale europea - che è questo uno strumento vincolante - ispirata ad una particolare protezione della dignità umana”.   

Diritto alla pace alla salute, ad avere condizioni di vita dignitose, quindi. Ma anche tutela dai problemi della contemporaneità. dalle biotecnologie, all’informatica, al terrorismo. E intuizioni ancora attuali, come la tutela degli stranieri non regolari. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana.

"Il suo lavoro proprio nel campo giuridico, in particolare presso il Consiglio d’Europa, ha portato avanti delle tematiche di protezione dei diritti delle persone più emarginate: il diritto all’alimentazione, alla casa, proprio per coloro che sono privi di qualsiasi tipo di aiuto di carattere materiale. Anche questo è un tema di un’attualità straordinaria  -  su cui Papa Francesco ci sta incoraggiando ad impegnarci moltissimo – e lo fa faceva come servitore della Santa Sede, dell’insegnamento sociale della Chiesa, del Vangelo tradotto nella vita".

inizio pagina

"Maraviglioso Boccaccio", i Taviani contro la peste di oggi

◊  

Sarà in sala dal 26 febbraio “Maraviglioso Boccaccio”, il film che i due fratelli registi toscani Paolo e Vittorio Taviani, dopo un lungo periodo di riflessione, hanno tratto dal “Decamerone” di Boccaccio, prediligendo la cornice con la rappresentazione della peste e della fuga dei dieci giovani da Firenze e accogliendo cinque delle novelle del capolavoro. Per parlare delle crisi e degli orrori di oggi. Il servizio di Luca Pellegrini

In modo schietto, da buon toscano, Vittorio Taviani ammette che il Boccaccio e il suo Decamerone sono un disastro per il cinema. Non soltanto perché le novelle del capolavoro sono cento, racchiuse in un’ambiziosa cornice, ma è la loro sintesi narrativa e la loro morale implicita, a rendere sempre difficile, se non impossibile, realizzarne un film compiuto, omogeneo. Pasolini, nel 1971, aveva dato sfogo a tutte le ribellioni sociali e culturali di quella decade, alla sensualità corporea, agli istinti di libertà, concentrandosi sulle novelle che più rispondevano alla sua poetica, alle sue esigenze. I fratelli Taviani, invece, trasformano la fuga dei dieci giovani e il loro piacere del racconto in un grande, nobile affresco di vita, che volutamente stride e si oppone all’incedere della peste fiorentina, rappresentata con una sorta di spettrale essenzialità. E le cinque novelle accolte nel film sono quelle che più rispondono all’idea di rappresentare l’amore, la fantasia, la tolleranza, la fedeltà, la pietà come gli unici farmaci in grado di curare le ferite e le malattie di quei tempi lontani e anche dei nostri. Paolo Taviani, colto fin dalla gioventù dalla “meraviglia” sprigionata da quelle pagine, precisa come è nato il loro ambizioso progetto:

“È nato in un momento di crisi che stiamo vivendo e di orrore intorno a noi nel mondo, come tutti quanti sappiamo. Queste immagini terribili che ci arrivano ci hanno fatto pensare a una peste nel mondo e quella che ci ha colpito nella letteratura è quella del Decamerone che – credo - non sia mai stata rappresentata al cinema. Il desiderio di questo gruppo di giovani di sopravvivere a questa peste. Da qui la contemporaneità: viviamo un momento di peste. Allora, in questo senso, abbiamo pensato a Boccaccio. È tanto tempo che vogliamo rappresentarlo. Così abbiamo ripreso questa idea che ora è tornata moderna, contemporanea, parla anche di noi. E così è nato il film”.

Nel cast, che vede la partecipazione di attori italiani tra i più rinomati e amati dal pubblico, Vittoria Puccini interpreta Catalina. Anche lei è rimasta colpita dalla attualità del film:

“L’attualità di Boccaccio è in tantissime tematiche che vengono affrontate nel Decamerone. Nel film dei Taviani la prima, la più evidente e più semplice è questa rappresentazione di un periodo di crisi, di difficoltà, di dolore, in cui però fortunatamente c’è una luce in fondo al tunnel e quindi si vuole mettere in scena una visione, una rappresentazione che ha un punto di vista in realtà positivo: la possibilità di una rinascita, di una ricrescita. Come? Attraverso questi giovani che non vogliono soccombere alla morte, che decidono di abbandonarsi alla fantasia, alla creatività, di usare la loro testa e di non farsi condizionare da quello che gli altri vorrebbero imporgli, di non farsi schiacciare dalla paura e dal terrore, dal pregiudizio e dall’importanza dell’amore inteso come in senso assoluto, nella maniera più intelligente e moderna che ci sia, nel rispetto dell’altro”.

Kim Rossi Stuart impersona il famoso Calandrino. Per lui uno specchio delle miserie umane:

“È un personaggio che a tratti sembra un po’ venir fuori dal cinema muto un po’ perché riassume in sé degli aspetti subdoli, tra i peggiori dell’essere umano. Forse, dietro questa facciata di semplice stoltezza, di insicurezza, di servilismo, questi mali molto comuni, si possono nascondere aspetti bestiali. Tuto questo però senza dimenticare  uno sguardo di pietas che esiste nei confronti di questo personaggio, di quello che siamo noi che è altrettanto importante”.

Jasmine Trinca è la nobile Giovanna, che premia l’amore di Federico degli Alberighi dopo che lui ha sacrificato tutto per lei. Un amore romantico e assoluto, come lo descrive:

“Monna Giovanna, una delle tante donne di questo racconto fatto per novelle e per novellatori, è esattamente l’idea trecentesca d’amore che però funziona anche ai giorni nostri. La cosa più romantica che ci sia è l’amore come lungamente ricevuto, in maniera gratuita e alla fine restituito con un’idea di fedeltà veramente alta. Però, è interessante perché Paolo e Vittorio Taviani attraverso l’amore, in qualche modo, danno la risposta a questa peste. La peste del Boccaccio era una peste materiale, quella dei giorni nostri probabilmente è uno stato di cose: più che qualcosa che arriva in movimento è qualcosa che ci fa rimanere nella palude”.

Infine, Paola Cortellesi, nello scomodo ruolo della Badessa Usimbalda. Nella mentalità borghese dei comuni del Trecento era lo sfogo per un anticlericalismo radicato nella società. Oggi quell’episodio, sottratto in modo intelligente dai Taviani alla farsa e alla strumentalizzazione, diventa la denuncia di un vizio comune. Lo spiega la brava attrice:

“Volevano raggiungere questo equilibrio. Volevano che fosse a volte addirittura grottesco, però assolutamente credibile nella severità, nella durezza, quasi convinta. È come le persone che non vogliono vedere: commettono un peccato e poi lo dimenticano e quando vanno a rimproverare qualcuno sono convinti davvero, si fanno giudici di qualcun altro senza guardare dentro di sé. Un po’, secondo me, lo facciamo tutti. Questa secondo me è la parte contemporanea di questo racconto”. 

inizio pagina

Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

◊  

Nella prima domenica di Quaresima la liturgia ci propone il Vangelo in cui lo Spirito sospinge Gesù nel deserto e lì rimane quaranta giorni, tentato da Satana. Poi si reca in Galilea, proclamando il vangelo di Dio, dicendo:

«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». 

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Il Vangelo di Marco colloca le tentazioni del Signore subito dopo il Battesimo di Gesù al Giordano. La voce del Padre ha dichiarato: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento” (Mc 1,11), e lo Spirito Santo fa vibrare in Gesù questo amore del Padre che lo “spinge” nel deserto, per lanciarlo nella missione che è pronta per lui. La Chiesa inizia il tempo di Quaresima, questo tempo di scuotimento da parte dello Spirito Santo, per rimuoverci di dosso tutto ciò che non è di Dio, tutti gli orpelli che nel frattempo ci siamo messi addosso. Come ci ricorda il Concilio, in questo tempo siamo invitati “all’ascolto più frequente della parola di Dio e alla preghiera” (SC 109) per prepararci a celebrare il mistero della Pasqua. Ci uniamo a Cristo in questo tempo di deserto per fare nostro il suo combattimento e la sua vittoria contro lo spirito del male: «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15). “La Chiesa ogni anno si unisce al mistero di Gesù nel deserto con i quaranta giorni della Quaresima” (CCC 540), tempo particolarmente adatto per la penitenza, per qualche privazione volontaria, come il digiuno e l’elemosina, per la condivisione fraterna (opere caritative e missionarie) (cf CCC 1438). È importante ricordare che questo non è tempo di tristezza, ma di conversione al Vangelo, di fede, perché annuncia dinanzi a noi la Pasqua, la vittoria definitiva di Gesù sul peccato e sulla morte.

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Tangeri. Caritas: violenze Forze dell'ordine contro migranti

◊  

Appello al rispetto dei migranti in Marocco da parte di associazioni umanitarie, onlus, arcidiocesi di Tangeri, Caritas e diverse organizzazioni. In un comunicato stampa, vengono criticati il rastrellamento del grande accampamento degli immigrati subasahariani sul monte Gourogou, a 10 chilometri da Nador, vicino alla città spagnola di Melilla, il 9 febbraio, e gli attacchi del 13 febbraio ai campi nei pressi di Nador, Selouane e Zegangan.

Abusi negli interventi delle forze dell’ordine
Nella prima operazione, le Forze dell’ordine hanno arrestato oltre 700 migranti – fra cui 3 donne e diversi minori – che sono stati trasferiti al campo di Karait Arekmane, identificati e poi inviati in altre città, soprattutto nel sud del Marocco. Il comunicato specifica che, con il pretesto di liberare le donne dalle reti delle tratte, sono stati effettuati arresti illegali, e ritiene gli interventi della polizia finalizzati esclusivamente ad allontanare i migranti dai confini con le enclavi spagnole di Ceuta e Melilla. Secondo le associazioni e organizzazioni che hanno diffuso il comunicato, poi, gli abusi commessi dalle Forze dell’ordine il 13 febbraio – saccheggiando gli accampamenti e dando alle fiamme i loro pochi beni – non fanno che aggravare le precarie condizioni di vita dei migranti, già provati dal freddo inverno.

Tutele giuridiche e assistenza per migranti e richiedenti asilo
“Di fronte a questi fatti – si legge nel comunicato – noi membri della società civile locale siamo molto preoccupati per questa operazione di repressione”. Il comunicato chiede quindi la liberazione immediata dei migranti arrestati illegalmente e assistenza giuridica e interpreti per quanti, fermati a Nador, sono accusati di essere coinvolti nella tratta di esseri umani. Associazioni, Chiesa e Caritas richiedono inoltre di poter incontrare i migranti arrestati per verificare il rispetto dei loro diritti fondamentali e di garantire un trattamento particolare ai richiedenti asilo, ai minori e ai malati, protetti dalle convenzioni internazionali e dalla legge locale. Infine, viene chiesto di interrompere gli arresti dei migranti nelle strade di Nador, soprattutto di quelli muniti di un titolo di soggiorno o che stanno facendo ricorso per ottenerlo. (T.C.)

inizio pagina

Mauritius. Mons. Piat: pace sociale dipende da tutela famiglia

◊  

La pace sociale dipende dalla buona salute delle nostre famiglie: questo il nucleo centrale della Lettera pastorale di mons. Maurice Piat, vescovo di Port-Louis, nelle Isole Mauritius, diffusa in vista della Quaresima. Intitolato “Famiglie, Dio vi ama”,  il documento si sofferma, nella prima parte, sulle diverse situazioni che indeboliscono la vita familiare, provocando numerose sofferenze sia a livello individuale che sociale. “La mancanza di attenzioni e di tempo per il coniuge ed i figli – scrive il presule – causa grandi disagi che, spesso, rimangono nascosti”. Allo stesso modo, continua mons. Piat, “le tensioni tra genitori e figli provocano ferite difficili da sanare. E le separazioni, i divorzi, le seconde nozze lasciano molto spesso brucianti cicatrici sia nei coniugi che nei loro figli”.

Ascolto e vicinanza per le famiglie in difficoltà
Tutto questo, sottolinea il presule, porta a “situazioni dolorose come quelle delle donne abbandonate che restano da sole a portare il peso dell’educazione dei figli, o quelle degli uomini che rimangono smarriti di fronte al fallimento della vita”. Non si possono poi ignorare – prosegue il vescovo di Port-Louis – i fattori esterni che influenzano la vita familiare, come un contesto economico in cui si riscontrano carovita, precariato, orari di lavoro massacranti. In queste condizioni, dunque – è il richiamo del presule – alcune famiglie non riescono più ad offrire ai loro figli la stabilità necessaria per uno sviluppo umano equilibrato. E guardando alle tante sofferenze non esternate dalle famiglie per paura di essere giudicate o respinte, mons. Piat esorta tutti ad assumere “un atteggiamento di ascolto e vicinanza”, non di giudizio o di critica nei confronti di chi si trova in difficoltà. Ascolto e vicinanza, infatti, spiega il presule “possono aprire le porte ad un dialogo fiducioso, capace di portare le persone su un cammino di verità e di vita”.

Cuore della missione ecclesiale
Mons. Piat ribadisce, inoltre, che le parrocchie, i sacerdoti, i religiosi ed i laici hanno un ruolo-chiave nel sostenere la famiglia. Per questo, insiste il presule, è necessario che la missione ecclesiale si concentri soprattutto sull’accompagnamento dei  sofferenti, anche per chiarire quel “terribile malinteso” che porta molti fedeli a percepire la Chiesa solo come “un insieme di regole e di divieti” che, se non accettati, fanno sentire “emarginati”. È necessario, allora – suggerisce mons. Piat – che la Chiesa “rimetta in discussione il suo modo di presentare il Vangelo, la Buona Novella, alle famiglie”, così da essere pronta ad “uscire da se stessa per raggiungere le persone nelle loro realtà concrete, facendosi prossima ad esse, ascoltandole”. Tanto più che, continua il vescovo di Port-Louis, “il buon pastore non è là per giudicare e decretare chi è in regola e chi no”.

Appello alle autorità civili: sostenere la famiglia
Nell’ultima parte, poi, la Lettera pastorale di mons. Piat si rivolge alle autorità civili, chiedendo loro di “considerare la famiglia come la risorsa più preziosa del Paese, facendo del suo sviluppo umano integrale una priorità di ogni programma economico e sociale”. Infatti, i valori fondamentali della società, come il rispetto della vita umana, il servizio verso gli altri e l’aiuto e l’accoglienza nei confronti di tutti i componenti della società si imparano innanzitutto in famiglia, dice il vescovo di Port-Louis, che poi aggiunge: “La pace sociale dipende dalla buona salute delle famiglie”. Per questo, spetta allo Stato formulare ed attuare una politica di sostegno ai nuclei familiari, mentre la Chiesa farà la sua parte “dialogando e collaborando con le istituzioni statali”.

Garantire formazione adeguata e politiche sociali giuste
Quattro, in particolare, i settori legati alla famiglia in cui è necessario moltiplicare gli sforzi: nella politica di abitazioni sociali che “siano degne di questo nome”, così da aiutare i nuclei più poveri e combattere contro “le pratiche fraudolente di chi si appropria di questi alloggi per arricchirsi personalmente, affittandoli a prezzi esorbitanti”. Un altro settore cruciale è quello dell’educazione e per questo mons. Piat chiede di dedicare particolare al fenomeno dell’abbandono scolastico e di combattere più efficacemente gli effetti devastanti della droga, “piaga della società”, mettendo in atto “una vigilanza più attiva e misure più severe verso i veri responsabili”.

Difendere la vita sin dal concepimento
Un ulteriore ambito critico è quello del lavoro, per il quale il vescovo mauriziano auspica “leggi e regolamenti che garantiscano, soprattutto alle mamme con figli piccoli, di avere orari lavorativi più flessibili”, per favorire la famiglia. L’ultimo settore in cui intensificare gli sforzi, conclude mons. Piat, riguarda l’importanza e la protezione della vita umana in tutte le circostanze. “Auspico – scrive il presule – che le leggi concernenti la famiglia si preoccupino innanzitutto di proteggere la vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Tutte le normative che attentano alla dignità della vita devono essere bloccate, poiché indeboliscono il tessuto morale della società”. (I.P.)

inizio pagina

Argentina. Opere salesiane, sale la formazione professionale

◊  

Le Ispettorie salesiane dell’Argentina nord (Arn) e dell’Argentina sud (Ars) hanno firmato un accordo con il Ministero del lavoro, dell’occupazione e della sicurezza sociale per rafforzare le proposte di formazione professionale offerte dalle Opere salesiane.

Sviluppare strategie per la formazione professionale
Nel testo – rende noto l’agenzia salesiana Ans – è riportato come l’Opera Don Bosco e il Ministero siano concordi nello sviluppare in maniera permanente strategie locali per l’educazione e la formazione professionale in coordinamento con i settori pubblico e privato inerenti la produzione, la formazione e l’impiego. L’accordo mira a migliorare la qualità delle istituzioni che forniscono laboratori d’artigianato, a partire dalle équipe tecniche che li animano e dall’elaborazione socioproduttive del territorio.

Migliorare il potenziale occupazionale delle persone
L’intesa servirà a far sì che sia chi ha già un lavoro, sia chi è disoccupato, possa acquisire nuove competenze e così migliorare il suo potenziale di occupazione. Dalla firma dell’accordo si prevede derivino un maggiore incentivo ai servizi di formazione e qualificazione professionale per i lavoratori inseriti nei programmi ministeriali. Le rispettive équipe delle Ispettorie Arn e Ars stanno sviluppando linee di lavoro che permetteranno, già durante il 2015, di realizzare gli obiettivi dell’accordo quadro.

Lavorare alla promozione integrale dei giovani in difficoltà
“Questo accordo è un passo importante nell’ambito dell’attuale Bicentenario della nascita di Don Bosco, che riconferma la scelta di lavorare per la promozione integrale in risposta ai giovani più svantaggiati”, affermano i Salesiani. 

inizio pagina

Canada. Via Crucis per Medio Oriente e Sud del mondo

◊  

“Via della fede” e “Via della solidarietà”: hanno questi sottotitoli i sussidi per la Via Crucis preparati dalla Conferenza episcopale canadese, assieme all’organismo caritativo Sviluppo e pace. Il primo – si legge sul sito dei vescovi di Ottawa – è dedicato alla pace in Medio Oriente, mentre il secondo sussidio vuole invitare i fedeli a riflettere e pregare per i tanti Paesi poveri nel sud del mondo.

Abbattere muri di ostilità in Terra Santa e promuovere la giustizia
Nel testo della “Via della fede”, dunque, si ricorda che “oggi, in Medio Oriente e in altre parti del mondo, la giustizia viene violata e molti uomini e donne cadono nell’oblio, senza che nessuno ascolti la loro voce”. Nella regione mediorientale, si legge ancora nelle meditazioni, “i cristiani stanno morendo a causa della loro fede, altri muoiono in esilio, mentre intere comunità vengono minacciate”, provocando “sofferenza” nella Chiesa di tutto il mondo. Di qui, l’invito a ricordare ed a pregare per “i popoli della Terra Santa e del Medio Oriente”, affinché vengano “abbattuti i muri di ostilità e di divisione”, per “costruire insieme un mondo di giustizia e solidarietà”. I giovani, in particolare, vengono esortati a essere “uomini e donne di pace, messaggeri di una nuova speranza”.

Tutelare diritti, commercio più equo
“Preghiamo per i leader civili di questa regione – prosegue il sussidio – affinché rispondano alle legittime aspirazioni dei loro popoli”, lavorando “per il bene comune, rispettando la dignità inalienabile di ciascuno e i diritti fondamentali che trovano la loro origine nell’immagine e nella somiglianza di Dio impressa in ogni uomo”. Nel sussidio della “Via della solidarietà”, invece, ogni Stazione è dedicata ad un Paese in difficoltà: ad esempio, le Filippine, dove ancora si contano i danni del tifone Hayan, che nel 2013 ha provocato innumerevoli vittime. O ancora, la Colombia, dove i popoli più poveri sono stati cacciati dalle loro terre per lasciare spazio alla coltivazione piante da cui si ricavano agro-carburanti. Preghiere speciali vengono richieste per tutti i bambini che muoiono di fame nel Sud del mondo o per lo sviluppo del commercio giusto ed equo. Poi, la “Via della solidarietà” invita a pensare al Brasile, dove il Movimento dei piccoli agricoltori ha messo in piedi una “banca della semenza” per scambiarsi i semi da coltivazione, evitando così acquisti a caro prezzo dalle grandi società.

Salvaguardare il Creato
Progetti di aiuto allo sviluppo agricolo vengono ricordati anche per altri Paesi, come Etiopia, Zambia, Cambogia o la Sierra Leone. Quest’ultima, inoltre, è citata anche per l’epidemia di Ebola: si chiede, infatti, di pregare per tutte le vittime del virus e per tutti gli operatori sanitari che, coraggiosamente, si espongono al rischio di contagio per curare i malati. Infine, le meditazioni esortano i fedeli a riflettere sull’importanza della salvaguardia del Creato, con l’auspicio di “essere segni di speranza e di compassione nello stile di vita, nel rispetto verso gli altri e nei confronti di tutta la natura”. (I.P.)

inizio pagina

Svizzera. Mostra e film sui temi dell'emarginazione sociale

◊  

Una “trasformazione artistica”, ma pur sempre una “trasformazione”: è quella che subirà la Parrocchia di San Nicola a Bienne, in Svizzera, a partire dal 7 marzo. Da quella data e per tre settimane, infatti, la Chiesa ospiterà un progetto artistico multimediale dedicato alle persone emarginate e scartate dalla società. “Hotel Annelie”, così si intitola il progetto, include la proiezione di un film incentrato sui poveri e l’esposizione di quadri luminosi, di grande formato, che illustreranno, attraverso video ed altre forme di arte figurativa, i versetti del Salmo 23: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”.

Raccontare in modo nuovo fede, arte e società
“La Chiesa e l’arte hanno sempre camminato insieme", spiega una nota della Conferenza episcopale svizzera (Ces), e il progetto “Hotel Annelie” rientra in questa tradizione e rende il contesto di fede, spiritualità, arte e società in modo completamente nuovo”. L’omonimo film, diretto dal regista Tito Lee, racconta la storia di un gruppo di emarginati sociali che formano una sorta di comunità in un vecchio e diroccato albergo della città. Alternando il registro comico a quello più drammatico, la pellicola narra l’esistenza, ma anche la risurrezione di queste persone che non si lasciano rubare la dignità e riescono a sognare anche di fronte alla spietatezza della realtà.

Illustrare l’essenza dei precetti evangelici
“Questa mostra – continua la Ces – mette in risalto la vita contemporanea accompagnata da motivi dell’arte religiosa tradizionale. Il tema del progetto, infatti, va al cuore dell’insegnamento centrale di Gesù di Nazareth, ovvero ‘Quello che avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me’ ”. Per l’inaugurazione dell’evento, si terrà anche una tavola rotonda sul tema dell’indigenza, cui parteciperanno mons. Felix Gmuer, vescovo di Basilea, e Dorothée Guggisberg, presidente della Caritas di Berna. “Nel corso delle tre settimane di esposizione – conclude la Ces – il tema della povertà nella nostra società sarà approfondito attraverso conferenze, seminari e momenti di preghiera comunitaria”. (I.P.)

inizio pagina

Consacrata la prima chiesa nella penisola del Sinai

◊  

Dopo dieci anni dalla posa della prima pietra nel 2005, la penisola del Sinai, in Egitto, ha finalmente la sua prima chiesa cattolica. La chiesa, che sorge a Sharm el-Sheikh, è emblematicamente dedicata a “Nostra Signora della Pace” ed è stata consacrata il 15 febbraio. A presiedere la solenne celebrazione in rito alessandrino è stato il Patriarca dei Copti cattolici di Alessandria, Ibrahim I Sidrak. Alla liturgia era presente anche il governatore della regione.

Un grande giorno per i cattolici in Egitto
“Questo è un grande giorno per i cattolici in Egitto”, ha dichiarato durante la consacrazione mons. Makarios Tewfik, vescovo dell’eparchia  di Ismailia, nella cui giurisdizione rientra la nota località turistica egiziana. E saranno soprattutto turisti, assieme ai lavoratori stranieri, molti dei quali filippini che prestano servizio nelle strutture alberghiere di Sharm el-Sheikh, a frequentarla. Come spiega infatti il parroco, padre Bolos Gara, sono pochissimi gli egiziani copti nella zona. Per questo il sacerdote, che svolge il suo ministero nella località turistica dal 2010, celebra le Messe anche in rito latino e in inglese e italiano.

La chiesa realizzata grazie all’Aiuto alla Chiesa che Soffre
La realizzazione della chiesa è stata resa possibile dall’Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ha interamente finanziato il progetto. E all’Opera di diritto pontificio è andato il sentito ringraziamento di mons. Makarios: “Cattolici da tutto il mondo che sostengono una chiesa che serve a cattolici da tutto dimostrano che siamo un unico Corpo Mistico in Cristo”, ha affermato il presule.  (L.Z.)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 52

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.