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Sommario del 19/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: serviamo Dio e non chi ci offre cose da niente

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In ogni circostanza della vita, il cristiano deve scegliere Dio e non lasciarsi fuorviare da abitudini e situazioni che portano lontano da Lui. Lo ha affermato Papa Francesco nel commentare le letture del giorno durante la Messa del mattino celebrata in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Scegliere Dio, scegliere il bene, per non essere un fallito di successo. Osannato, sì, dalla massa ma alla fine nient’altro che un adoratore di “piccole cosine che passano”. Al centro della liturgia, e dunque della riflessione di Papa Francesco, c’è il passo della Bibbia in cui Dio dice a Mosè: “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie”.

Seguaci di dei che non contano
La scelta di Mosè, afferma Francesco, è quella che il cristiano deve fare ogni giorno. Ed è una scelta difficile. “E’ più facile – riconosce – vivere lasciandosi portare dall’inerzia della vita, delle situazioni, delle abitudini”. Più facile, in fondo, diventare il servitore di “altri dei”:

“Scegliere fra Dio e gli altri dei, quelli che non hanno il potere di darci niente, soltanto piccole cosine che passano. E non è facile scegliere, noi abbiamo sempre questa abitudine di andare un po’ dove va la gente, un po’ come tutti. Come tutti. Tutti e nessuno. E oggi la Chiesa ci dice: ‘Ma, fermati! Fermati e scegli’. E’ un buon consiglio. E oggi ci farà bene fermarci e durante la giornata pensare un po’: com’è il mio stile di vita? Per quali strade cammino?”.

Monumento ai falliti
E assieme a questa domanda, scavare più a fondo e chiedersi – prosegue Francesco – anche quale sia il rapporto con Dio, con Gesù. Il rapporto con i genitori, i fratelli, la moglie o il marito, i figli. E qui il Papa passa a considerare il Vangelo del giorno, quando Gesù spiega ai discepoli che un uomo “che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso” non ricava alcun “vantaggio”:

“Una strada sbagliata è quella di cercare sempre il proprio successo, i propri beni, senza pensare al Signore, senza pensare alla famiglia. Queste due domande: com’è il mio rapporto con Dio, com’è il mio rapporto con la famiglia. E uno può guadagnare tutto, ma alla fine diventare un fallito. Ha fallito. Quella vita è un fallimento. ‘Ma no, gli hanno fatto un monumento, gli hanno dipinto un quadro…”. Ma hai fallito: non hai saputo scegliere bene fra la vita e la morte”.

Non scegliamo da soli
Domandiamoci, insiste Papa Francesco, quale sia “la velocità della mia vita”, se “rifletto sulle cose che faccio”. E domandiamo a Dio la grazia di avere quel “piccolo coraggio” necessario a sceglierLo ogni volta. Ci aiuterà, conclude Francesco, il “consiglio tanto bello” del Salmo 1:

“'Beato l’uomo che confida nel Signore'. Quando il Signore ci dà questo consiglio – ‘Fermati! Scegli oggi, scegli’ – non ci lascia soli. È con noi e vuole aiutarci. Soltanto noi dobbiamo confidare, avere fiducia in Lui. ‘Beato l’uomo che confida nel Signore’. Oggi, nel momento in cui noi ci fermiamo per pensare a queste cose e prendere decisioni, scegliere qualcosa, sappiamo che il Signore è con noi, è accanto a noi, per aiutarci. Mai ci lascia andare da soli, mai. E’ sempre con noi. Anche nel momento della scelta è con noi”.

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Il Papa incontra i parroci romani. Don Bartoli: recuperare stupore

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Papa Francesco ha incontrato oggi nell’Aula Paolo VI in Vaticano i parroci romani sul tema dell’Ars celebrandi, in particolare sull’omelia. Per prepararsi all’incontro i sacerdoti hanno ricevuto un intervento del 2005 che l’allora cardinale Bergoglio tenne presso la Congregazione per il Culto Divino proprio su questo tema. Ascoltiamo in proposito la riflessione di don Fabio Bartoli, parroco della Chiesa di San Benedetto, al microfono di Sergio Centofanti

R. - Mi ha colpito molto innanzi tutto un riferimento che lui faceva sulla necessità di recuperare il senso dello stupore nella Liturgia; mi ha colpito l’idea che lui ha sottolineato di come alla fine non è capace di stupore né il sacerdote che celebra in una maniera rubricistica, attento soltanto alle norme, ma nemmeno il sacerdote che celebra in una maniera sciatta. Quindi tutte e due le cose: evitare il rubricismo e la sciatteria, avendo questa cura di comunicare il senso dello stupore che noi per primi dobbiamo provare di fronte alla celebrazione.

D. – Papa Francesco parla anche del contatto con la gente …

R. - Assolutamente, perché tu non puoi parlare di cose astratte che interessano solamente te. È evidente che bisogna partire dal vissuto della gente, da quella che è la loro esperienza, la loro sofferenza, la loro fatica. Però, per guidarle appunto a questo senso dello stupore. Anche questo è importante perché poi se c’è una cosa che la nostra gente ha perduto è proprio questo senso dello stupore e del sacro. Il momento fondamentale dell’omelia è proprio questo: essere aderenti alla vita per condurre di nuovo questa vita verso l’incontro con il sacro, verso l’esperienza del sacro ma interiorizzata, per cui a partire dalla loro storia, dalla loro situazione.

D. – In che contesto operano oggi i parroci romani?

R. – Credo che in generale questa città soffre molto di quel male di cui soffrono tutte le città: una vita che è ormai percepita in una maniera completamente orizzontale, senza nessun riferimento al trascendente, senza nessun riferimento a Dio. Per cui penso che - a prescindere dal contesto concreto, cioè di borgata oppure più intellettuale o più sociale in cui ci si può trovare ad operare – un tratto comune che dobbiamo avere tutti è proprio questo senso del trascendente, del primato di Dio che dobbiamo riportare ognuno nel suo specifico, nel modo caratteristico che richiede la sua comunità però che dobbiamo tutti noi riportare al centro.

D. – Che cosa sta dicendo Papa Francesco alla sua diocesi?

R. – Credo che il Papa stia esortando noi sacerdoti innanzitutto ad essere profondamente con il nostro popolo; lo ha detto fin dall’inizio: ricordi il famoso discorso del pastore che deve avere lo stesso odore delle pecore? Ci esorta ad essere vicino alla nostra  gente per amarla, per volergli bene e per condurla a Cristo. Penso che a partire da quella intuizione iniziale – ormai di due anni fa – ogni cosa che dice sia una specificazione ulteriore che va sempre in questa direzione.

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Card. Vallini: noi sacerdoti non portiamo parole nostre

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Sull’incontro del Papa con i parroci romani, Luca Collodi ha sentito il cardinale vicario Agostino Vallini

R. - E’ stata una mattinata molto bella, arricchente e che ha suscitato tanta attenzione da parte dei sacerdoti intervenuti a questo appuntamento a cui si aggiungono sempre anche altri sacerdoti, soprattutto studenti delle Università pontificie.

D. – Già nel suo testo distribuito per la preparazione il Papa ha detto ai sacerdoti: non dobbiamo essere né troppo rigidi né showman…

R. – Queste espressioni il Santo Padre le ha usate a proposito del modo con cui accedere alla celebrazione. Il sacerdote che celebra deve avere consapevolezza di essere il ministro di Cristo e quindi di essere collaboratore in qualche modo della esperienza del mistero di Dio, a cui deve prepararsi egli stesso nella misura in cui vive questa profonda esperienza spirituale. Non sarà nella liturgia uno che improvvisa o che manifesta atteggiamenti inopportuni. Anzi, il Papa ha invitato a dire: qui si tratta di assumere, da parte di ciascuno, una propria modalità celebrativa che però nasca dalla vita, da una vita di fede profonda e dal desiderio di essere al servizio del popolo di Dio, dunque evitando gli estremi. In questo senso ha fatto quei riferimenti.

D. – Nella diocesi di Roma ci sono delle particolari esperienze di omelie all’interno delle parrocchie?

R. – Il clero romano è un clero attento, fa un cammino spirituale. Noi stessi nel progetto pastorale cinque anni fa avevamo trattato il tema dell’Ars celebrandi in quello più generale dell’Eucaristia domenicale. Quindi in qualche modo era l’occasione per approfondire e certamente per migliorare la qualità del nostro ministero, ma l’impegno ad essere portatori della Parola, che credo ci sia in tutti, e ognuno desidera farlo nel modo migliore. Dobbiamo essere consapevoli che non portiamo parole nostre e al tempo stesso rendiamo un servizio alla fede dei partecipanti alle liturgie. Eravamo preparati a questo incontro – d’accordo con il Santo Padre – perché avevo mandato, per sua volontà, un intervento che il cardinale Bergoglio nel 2005 aveva fatto proprio sull’Ars celebrandi alla Congregazione per il culto Divino e dei Sacramenti di cui era membro. Questo ci ha in qualche modo preparato all’incontro di oggi. Tutti i sacerdoti conoscevano già questo testo ed è servito perché poi la partecipazione è stata molto attenta.

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Ceneri. Papa: siamo peccatori, convertiamoci senza ipocrisie

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Attraverso il “dono delle lacrime”, rendiamo la nostra preghiera e il nostro cammino di conversione sempre più autentici e senza ipocrisia. Questa la riflessione di Papa Francesco, celebrando nel pomeriggio di ieri presso la Basilica di Santa Sabina all’Aventino la Santa Messa con il rito di benedizione e imposizione delle Ceneri. Nel mercoledì che dà inizio alla Quaresima, il Pontefice - com’è tradizione - poco prima aveva guidato la processione penitenziale dalla vicina Chiesa di Sant’Anselmo, con cardinali, arcivescovi e vescovi, monaci benedettini, padri domenicani e fedeli. Il servizio di Giada Aquilino

Il dono delle lacrime, per una conversione senza ipocrisie
La Quaresima, tempo in cui cerchiamo di unirci “più strettamente” a Gesù, per condividere il mistero della sua passione e della sua risurrezione. È la riflessione di Papa Francesco a Santa Sabina. Rileggendo la liturgia del Mercoledì delle Ceneri, in cui il profeta Gioele invita tutti alla conversione interiore, il Pontefice si è soffermato in particolare sulla preghiera dei sacerdoti, che - come suggerisce il profeta - va accompagnata dalle lacrime:

“Ci farà bene a tutti, ma specialmente a noi sacerdoti, all’inizio di questa Quaresima, chiedere il dono delle lacrime, così da rendere la nostra preghiera e il nostro cammino di conversione sempre più autentici e senza ipocrisia. Ci farà bene farci la domanda: ‘Io piango? Il Papa piange? I cardinali piangono? I vescovi piangono? I consacrati piangono? I sacerdoti piangono? Il pianto è nelle nostre preghiere?’”.

Solo gli ipocriti non sanno piangere
Spesso, ha proseguito Francesco, proprio l’ipocrisia macchia le opere di carità: l’elemosina, la preghiera e il digiuno:

“Sapete, fratelli, che gli ipocriti non sanno piangere, hanno dimenticato come si piange, non chiedono il dono delle lacrime. Quando si compie qualcosa di buono, quasi istintivamente nasce in noi il desiderio di essere stimati e ammirati per questa buona azione, per ricavarne una soddisfazione. Gesù ci invita a compiere queste opere senza alcuna ostentazione, e a confidare unicamente nella ricompensa del Padre ‘che vede nel segreto’”.

Peccatori sempre bisognosi di penitenza e conversione
D’altra parte, siamo “creature limitate, peccatori sempre bisognosi di penitenza e di conversione”. Questa la “verità dell’esistenza umana” richiamata da Papa Francesco:

“Quanto è importante ascoltare ed accogliere tale richiamo in questo nostro tempo! L’invito alla conversione è allora una spinta a tornare, come fece il figlio della parabola, tra le braccia di Dio, Padre tenero e misericordioso, a piangere in quell’abbraccio, a fidarsi di Lui e ad affidarsi a Lui”.

Ritornare al Signore ‘con tutto il cuore’, ha spiegato, significa “intraprendere il cammino di una conversione non superficiale e transitoria, bensì un itinerario spirituale che riguarda il luogo più intimo della nostra persona”:

“Il cuore, infatti, è la sede dei nostri sentimenti, il centro in cui maturano le nostre scelte, i nostri atteggiamenti”.

Fermiamoci e lasciamoci riconciliare
Il Signore, ha aggiunto, “non si stanca mai di avere misericordia di noi”, offrendoci il Suo perdono, “invitandoci a tornare a Lui con un cuore nuovo, purificato dal male, purificato per le lacrime, per prendere parte alla sua gioia”. Dio, ha ricordato, non ha esitato a sacrificare il suo Figlio unigenito:

“Infatti il Cristo, che era giusto e senza peccato, per noi fu fatto peccato quando sulla Croce fu caricato dei nostri peccati, e così ci ha riscattati e giustificati davanti a Dio. ‘In Lui’ noi possiamo diventare giusti, in Lui possiamo cambiare, se accogliamo la grazia di Dio e non lasciamo passare invano questo ‘momento favorevole'. Per favore, fermiamoci, fermiamoci un po’ e lasciamoci riconciliare con Dio”.

Imposizione delle Ceneri
Quindi, il Santo Padre, dopo aver ricevuto le Ceneri dal cardinale Jozef Tomko, rievocando il momento biblico 'Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai', le ha imposte ad alcuni dei presenti in Basilica, tra cui cardinali, una famiglia con tre figli, dei monaci benedettini di Sant’Anselmo e dei padri domenicani di Santa Sabina. L’esortazione finale del Papa è stata a iniziare “fiduciosi e gioiosi l’itinerario quaresimale”, affidando a Maria “il nostro combattimento spirituale contro il peccato”: già nell’orazione che aveva preceduto la processione, il Pontefice aveva pregato affinché “all’osservanza esteriore corrisponda un profondo rinnovamento dello spirito”.

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Papa, tweet: dove ci sono consacrati a Dio c’è gioia

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Dove ci sono uomini e donne che hanno consacrato la loro vita a Dio, c’è gioia”.

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Altre udienze di Papa Francesco

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Il Papa ha ricevuto stamani mons. Vito Rallo, arcivescovo tit. di Alba. Oggi pomeriggio il Papa riceverà a Casa Santa Marta mons. Miguel Maury Buendia, arcivescovo tit. di Italica, nunzio apostolico in Kazakhstan,Kyrgyzstan e Tadjikistan.

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Nomina episcopale in Colombia

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In Colombia, il Papa ha nominato vescovo di Sincelejo il rev.do José Crispiano Lavijo Méndez, del clero della diocesi di Valledupar, finora Rettore del Seminario Maggiore diocesano “Juan Pablo II”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il dono delle lacrime: il Papa celebra il mercoledì delle Ceneri a Santa Sabina.

Poco e bene: su come si tiene un’omelia, l’intervento svolto dal cardinale arcivescovo di Buenos Aires il 1° marzo 2005 scelto come base di riflessione per l'incontro odierno di Papa Francesco con il clero della diocesi di Roma.

Come santi: il patriarca Bartolomeo per l’inizio della Quaresima.

Per ripensare e rafforzare lo sviluppo sociale: intervento della Santa Sede a New York.

Infamanti dicerie: Cristiana Dobner sull’accusa del sangue mossa agli ebrei.

La difficile arte di guardarsi negli occhi: Silvia Guidi su prove di medicina narrativa.

Gabriele Nicolò ricorda Martin Green, aedo dei pub di Londra.

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Oggi in Primo Piano



Il vicario a Bengasi: trovare soluzione con aiuto Onu, serve sicurezza

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“E’ il popolo libico che deve trovare la via per il dialogo, l’unica possibile; gli altri, con l’ausilio delle Nazioni Unite, hanno il compito di aiutare”. E’ quanto affermato all’agenzia Misna dal nunzio in Libia, mons. Aldo Cavalli. Per una testimonianza della condizione dei cristiani nel Paese nordafricano, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente a Bengasi il vicario apostolico, mons. Sylvester Magro: 

R. - Noi siamo in un posto sicuro, ma continuiamo con prudenza a fare il nostro ministero, il nostro apostolato, verso quelli che sono rimasti, specialmente filippini e africani.

D. - C’è paura dei jihadisti anche dopo la terribile morte dei 21 cristiani copti?

R. - Con la guerra c’è sempre paura! E la paura aumenta con tutta questa confusione. Abbiamo bisogno di sentirci più sicuri di fronte alle ondate di caos che avvertiamo.

D. - Papa Francesco ha invocato “soluzioni pacifiche” per la Libia che sta soffrendo da tanto tempo ormai la guerra…

R: - Siamo sempre in attesa di qualche nuova idea, perché sono tre anni che tentano di trovare una strada ma non ce la fanno. Speriamo che la difficile situazione attuale porti i responsabili ad escogitare una soluzione, specialmente con l’aiuto delle Nazioni Unite.

D. - Cosa le dicono i cristiani, il gregge a lei affidato? Quali sono le preoccupazioni  più grandi in questo periodo?

R: - La preoccupazione più grande è quella della sicurezza, perché se non c’è una sicurezza generale tutti hanno paura della guerra, di questi disordini; tutto questo fa tanto male alla vita quotidiana come la conoscevamo prima.

D. - Vuole fare un appello tramite la Radio Vaticana a chi ci ascolta? Anche per dare aiuto a chi ha bisogno in Libia e a Bengasi in particolare …

R. - Noi chiediamo la preghiera di tutti, perché sono stati fatti degli sforzi, ma la preghiera continua ad essere la nostra speranza, affinché coloro che sono responsabili dicano basta agli spargimenti di sangue e ai disastri sociali e familiari. Che la Madonna, Regina della pace, ci protegga tutti.

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Libia. Onu: opzione politica. Russia: non agiremo contro Is

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Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha deciso di andare avanti con la soluzione politica alla crisi in Libia e l’Italia è pronta ad assumere un ruolo guida. La Russia dal canto suo non esclude l’idea di partecipare ad un’eventuale coalizione internazionale contro lo Stato islamico nel Paese nordafricano. Cecilia Seppia:

L’Italia si candida al ruolo di guida nella stabilizzazione in Libia per sedare la crisi in atto, su cui l’Onu ha deciso di far prevalere l’orientamento della diplomazia e della soluzione politica, dando spazio e fiducia ancora al lavoro del mediatore Bernardino Leon. Il presidente americano, Barack Obama, assicura che ci vorrà tempo, ma lo Stato islamico verrà battuto e anche Mosca per la prima volta al Palazzo di Vetro non ha escluso di voler partecipare alla eventuale coalizione internazionale anti-Is in Libia. Scontento l’Egitto, che all’Onu aveva chiesto una risoluzione immediata con l’intervento militare e l’invio di armi a Tobruk per combattere contro i jihadisti. La linea del Cairo che ha deciso di bombardare la Libia e persino compiere azioni di terra come quella di ieri a Derna, agita però l’intera area. Il Qatar ha deciso di richiamare il suo ambasciatore, fiancheggiato dalle monarchie e dagli Stati arabi del Golfo che rispediscono le accuse, mosse loro dal governo di al-Sisi, di sostenere il terrorismo. Sul terreno intanto anche oggi si contano vittime, mentre va avanti lo scontro tra gruppi rivali e la brigata di Misurata si prepara a liberare Sirte, controllata dall’Is. Trenta i tunisini rapiti in Libia da vari gruppi terroristi.

Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Emanuele Schibotto, analista della rivista “Longitude” a partire da quanto deciso ieri dal Consiglio di sicurezza dell'Onu: 

R. – La riunione di ieri non era una riunione evidentemente definitiva; era una riunione forse interlocutoria per tracciare il punto, distinguere fra i Paesi che sono in prima linea nell’intervento, gli stessi che sostanzialmente lo erano nel 2011, quindi soprattutto Francia, e Paesi che premevano per una linea più morbida come gli Stati Uniti e la stessa Italia che pur essendosi detta pronta ad un intervento anche militare, ovviamente vuole avere il sostegno più ampio possibile anche per avere un piano di azione definito. Forse uno dei problemi dell’azione del 2011 fu quello di non avere un piano coordinato.

D. – Quindi, secondo te quello che stiamo vedendo è anche il risultato di errori fatti nel dopo Gheddafi?

R. – Sì. Teniamo presente che c’è ancora un embargo nei confronti del governo libico. Proprio ieri in seno all’Onu il governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, ha cercato di spingere per togliere l’embargo. C’è stata una mancanza di “peacekeeping” forse anche di “peace-enforcing” dopo la fase meramente militare.

D. – A proposito invece dell’Egitto, del ruolo che sta avendo in questa crisi, della decisione quasi immediata di bombardare postazioni jihadiste in Libia e ieri anche di effettuare anche la prima azione di terra a Derna: l’Egitto sembra molto intenzionato ad agire su piani diversi da quelli invece stabiliti dall’Onu.

R. – L’Egitto forse si sente abbastanza sicuro di avere una copertura, anche se non formale e non esplicita, da parte di due alleati che sono stati storici dell’Egitto: gli Stati Uniti e la Russia. In una fase di tensione tra questi due Paesi, l’Egitto si sente libero di muoversi, forse si sente libero di agire, pur non avendo l’approvazione formale, il benestare da parte né dell’uno né dell’altro. O forse, proprio per questo, gli Stati Uniti decidono di lasciare agire come se fosse una sorta di "guerra per procura", che è la pratica usuale nella guerra fredda.

D. – Anche perché proprio ieri il rappresentante permanente russo all’Onu per la prima volta non ha escluso la partecipazione di Mosca a un’eventuale coalizione internazionale contro lo Stato islamico in Libia …

R. – Certo, c’è una posizione della Russia che è un attore chiaramente coinvolto da sempre in Medio Oriente, pensiamo ai legami con la Siria, all’epoca sovietica con l’Egitto … Quindi, la Russia ha ben presente il proprio peso e il proprio ruolo soprattutto a livello  di fornitura di armi ed equipaggiamento militare. Quindi, ci sono in gioco interessi chiaramente di tipo economico ma la Russia stessa prende atto di una minaccia – quella dello Stato islamico – che potrebbe e può riguardare il anche il suo territorio nel momento in cui focolai o gruppi jihadisti possono giungere dal Caucaso, possono infiltrarsi nelle Repubbliche separatiste in tutte quelle zone grigie dove ci sono presenze di comunità musulmane.

D. – Per mettere in moto questo processo di stabilizzazione, di soluzione politica ovviamente sono necessari dei passi concreti, a cominciare dal rilancio del negoziato con tutte le fazioni interne alla Libia …

R. – C’è bisogno di un Paese che si faccia carico di questo problema. In questo caso, potrebbe essere l’Italia, quindi chiaramente procedere con le vie diplomatiche e procedere magari a una conferenza di pace.

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Ucraina: filorussi a Debaltsevo. Kiev: è ritiro. Violata tregua

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Ucraina. Il giorno dopo la conquista da parte dei ribelli filorussi dello strategico nodo ferroviario di Debaltsevo, su cui è stata issata la bandiera della Novorossia – come Mosca chiama i territori separatisti – la comunità internazionale si compatta nel condannarla come una grave violazione degli accordi di "Minsk-2", che prevedevano la tregua da domenica. Per il presidente ucraino, Petro Poroshenko, la perdita della cittadina non è stata una disfatta, bensì un "ritiro pianificato". Ancora da accertare il bilancio dei combattimenti: per i ribelli sarebbero stati uccisi oltre tremila soldati ucraini, per Kiev una ventina. Proprio Poroshenko ha intanto chiesto, nel corso di una telefonata coi leader di Francia, Germania e Russia, in cui si è constatata la "rottura" della tregua nell'est, il rilascio di tutti i prigionieri in mano ai filorussi, compresi i soldati catturati a Debaltsevo, che sarebbero più di 90. Sul significato della conquista del nodo ferroviario da parte dei separatisti, a metà strada tra Lugansk e Donetsk, ascoltiamo Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’Università di Firenze, intervistato da Giada Aquilino

R. – La conquista non è un fatto inatteso, poiché trattasi di un nodo ferroviario importante e posto a collegare due aree che erano già occupate dalle forze indipendentiste filorusse. Di fatto, questo però è anche il risultato di quell’ambiguità degli accordi per il cessate-il-fuoco che purtroppo, dal punto di vista delle aree controllate e della definizione delle medesime, poco o nulla dicono lasciando aperto lo spazio per un ulteriore proseguimento delle operazioni militari.

D.  – Quindi, l’aspetto strategico sta proprio in questo?

R. – Esattamente, la località in questione ha un’importanza essenziale proprio come punto di passaggio e di collegamento tra zone che erano già sotto il controllo delle forze filorusse e quindi anche da un punto di vista strategico e tattico era da attendersi questo sviluppo. Naturalmente, si prefigura evidente una violazione del cessate-il-fuoco, ma dovuta proprio a quell’ambiguità degli accordi che era già stata messa in rilievo da molti osservatori all’atto stesso della firma o immediatamente dopo.

D.  – Il presidente ucraino, Poroshenko, ha chiesto il dispiegamento dei caschi blu dell’Onu nell’est del Paese, ma l’appello è subito stato bocciato da Mosca. "Minsk-2" cosa prevede in effetti a proposito di un coinvolgimento internazionale?

R. – Il coinvolgimento dell’Onu, così come quello dell’Osce, sarebbe possibile nel momento in ci fosse un’effettiva situazione di tregua tra le parti, riconosciuta, consolidata, in modo che sia possibile schierare sul terreno truppe di interposizione perché altrimenti ci troveremmo nella situazione paradossale di truppe che diventerebbero oggetto possibile, potenziale, degli attacchi degli uni e degli altri. Si troverebbero "in mezzo" letteralmente. Più che di Onu, il riferimento era stato fatto alla possibilità di intervento di truppe di interposizione dell’Osce, in una situazione di effettivo cessate-il-fuoco sul campo, cosa che in questo momento è nient’affatto scontata.

D.  – Jet dell'esercito britannico hanno intercettato e affiancato nelle ultime ore due caccia russi a largo delle coste della Cornovaglia. Oggi Londra, col ministro della Difesa, Michael Fallon, ha criticato Mosca, dicendo che potrebbe portare alla destabilizzazione anche dei Paesi Baltici ed ha invitato la Nato a essere pronta: si può temere un allargamento della crisi ucraina?

R. – Non lo escluderei affatto. Credo che la crisi ucraina sia preoccupante, che ci siano possibilità di escalation. La Gran Bretagna, per i suoi legami tradizionali, storici con gli Stati Uniti, per la sua fedeltà atlantica, è evidente che punti a un maggiore decisionismo e a una maggiore determinazione dell’Alleanza atlantica nella crisi in questione. Non sono affatto certo che una tale maggiore determinazione sarebbe positiva ai fini di una risoluzione della crisi, perché temo che avrebbe, potenzialmente, l’effetto di aumentare i pericoli di escalation.

D.  – Tali rischi di destabilizzazione riguarderebbero l’Estonia, la Lituania, la Lettonia?

R. – Quei Paesi si trovano in una situazione delicatissima, perché sono confinanti con un gigante politico e militare qual è la Federazione Russa e - avendo visto quello che è successo in Georgia nel 2008 e essendo diretti testimoni adesso di quello che sta avvenendo nelle regioni orientali dell’Ucraina - si sentono direttamente minacciati. Difficile dire, anche se alcuni analisti lo sostengono,  che Putin e la politica estera di sicurezza della Federazione Russa mirino a ristabilire un controllo su questi Paesi o su parte dei medesimi. Però posso capire che la percezione nazionale dei tre Stati sia esattamente quella di una crescente minaccia alla sicurezza nazionale. Naturalmente questi Paesi in seno alla Nato, assieme in particolare alla Polonia, sino ad oggi hanno puntato per ottenere una maggiore presenza, un maggiore intervento, una presa di posizione più forte dell’Alleanza atlantica rispetto alla crisi in corso, premendo sul patron dell’Alleanza, sugli Stati Uniti.

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Card. Onaiyekan: nigeriani voteranno nonostante minacce Boko Haram

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In una massiccia offensiva oltre 300 jihadisti appartenenti al gruppo islamico “Boko Haram” sono stati uccisi a Monguno, nel Nordest del Paese. Nelle stesse ore – hanno reso noto testimoni – quasi 40 civili che stavano celebrando un funerale sono morti in un raid aereo, di matrice sconosciuta al confine tra Niger e Nigeria. Su questa escalation di violenza, a un mese dalle elezioni parlamentari e presidenziali, in programma il 28 marzo prossimo, Xavier Sartre ha intervistato il cardinale John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja: 

R. – Si tratta di un gruppo di terroristi che non crede nella realtà della nazione nigeriana. Per questo, per loro le elezioni non hanno senso, perché loro non credono nella democrazia. La democrazia è una di quelle realtà occidentali che secondo loro è “haram”, che vuol dire “proibito”. Se hanno questa idea, nessuno deve meravigliarsi se dicono che faranno di tutto per disturbare le elezioni, anzi, perché non si svolgano proprio! Ora la cosa più importante è che il governo ha la responsabilità principale di assicurare la sicurezza per tutto il Paese, non soltanto durante le elezioni, ma sempre. Allora, dovrebbero adesso accettare la sfida lanciata da questa gente di "Boko Haram" e prepararsi bene, in modo che noi possiamo andare alle urne senza troppa paura. Si deve sapere però che malgrado tanti eloqui e le grandi minacce proferite da "Boko Haram", non coprono tutto il Paese nigeriano: sono attivi soltanto in una parte del Nordest; al massimo, forse possono mandare qualche agente di destabilizzazione a lanciare una bomba qua e là, ma non coprono tutto il Paese. In quel senso, allora, il governo dovrebbe essere all’altezza della situazione. Per quanto riguarda i nigeriani, siamo disposti a andare alle urne, anche se è pericoloso. Come siamo sempre andati in chiesa, anche quando era pericoloso farlo.

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Fiducia Senato a decreto Ilva, previsti fondi per rilancio aziendale

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In Italia, il Senato ha votato la fiducia, posta dal governo, sul decreto Ilva. Il provvedimento, da convertire in legge entro il 6 marzo, sblocca un miliardo e 200 milioni sequestrati al gruppo Riva e assicura altri fondi all’azienda. Previste misure per la riqualificazione dell’area di Taranto e in favore dei fornitori, tra cui autotrasportatori e piccole e medie imprese. Su questo decreto, Amedeo Lomonaco ha intervistato Fulvio Colucci, redattore della “Gazzetta del Mezzogiorno”: 

R. - Il decreto dovrà essere convertito in legge, però ha già subito quelle modifiche – attraverso gli emendamenti passati oggi al Senato – che servono per cercare, appunto, di sbloccare una situazione diventata davvero difficile da sostenere dopo la dichiarazione di insolvenza dell’Ilva e il passaggio all’amministrazione straordinaria. Occorrono molte risorse per rilanciare l’azienda, soprattutto attraverso l’applicazione del piano di ambientalizzazione; occorrono risorse per sbloccare anche la difficile vicenda dei fornitori, che avanzano crediti da otto mesi. Mi sembra che questo sia un passo in avanti, perché il decreto nasceva senza una dotazione economica. E si è visto che effettivamente occorre investire, e investire tanto, per poter rilanciare lo stabilimento siderurgico. Ma occorre rilanciarlo attraverso i lavori di ambientalizzazione.

D. – Un passaggio, questo, imprescindibile …

R. – Perché senza questo passaggio la grande questione del rapporto tra produzione e inquinamento resterebbe un nodo irrisolto. Il passaggio in Senato è positivo; ora, però, occorre la definitiva conversione in legge e occorre, appunto, fornire concretamente queste risorse, anche perché noi abbiamo una situazione non facile all’interno della fabbrica: ieri è stata annunciata la chiusura dell’altoforno numero 5, e questa chiusura avviene mentre è chiuso l’altro grande altoforno dello stabilimento, l’altoforno numero 1.

D. – Questo cosa comporta per i lavoratori?

R. – Questo comporterà anche l’applicazione del contratto di solidarietà ad un numero abbastanza ampio di lavoratori, quindi un ammortizzatore sociale per 4.500 persone, quasi la metà della forza lavoro dello stabilimento. Si spera che, attraverso il decreto, si possa fare quel passo avanti necessario per riprendere il cammino.

D. – Quindi il decreto è da considerarsi ancora un provvedimento-tampone, o si intravede finalmente una via di uscita alla crisi del polo siderurgico di Taranto?

R. – La via d’uscita alla crisi del polo siderurgico di Taranto si vedrà soltanto quando ci sarà l’effettiva disponibilità di risorse e l’effettiva spesa per i lavori di ambientalizzazione e di manutenzione, e per il pagamento dei debiti con i fornitori. Il decreto sta garantendo alcune cose; sarà atteso naturalmente alla prova dei fatti, dopo la conversione in legge. Occorrono atti concreti. Certamente non è un provvedimento-tampone: il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non lo definiva tale già il 24 dicembre. Però la strada è lunga e difficile: bisogna essere consapevoli di questo. Anche perché il fallimento porta con sé le inevitabili incognite che ci sono in ogni fallimento e, soprattutto, c’è l’altra grande sfida costituita dalla nascita della New Company a marzo. Quindi, una nuova società con un nuovo rapporto di lavoro per i dipendenti dell’Ilva. Sono tante, le variabili. Bisognerà guardarle tutte e occorrerà certamente una capacità di ‘governance’ piuttosto decisa e forte.

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Caritas Europa: cresce povertà e diseguaglianza, politiche sbagliate

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“Crescono povertà e diseguaglianze in Europa: servono modelli sociali più equi”. La denuncia arriva dalla Caritas Europa - organismo ecclesiale presente in 46 Paesi del Continente - che stamane a Roma ha presentato alla stampa il terzo Rapporto sull’impatto della crisi economica nei sette Paesi più deboli dell’Unione Europea. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Grecia, Romania, Spagna, Portogallo, Cipro, Irlanda ed anche Italia: le economie più fragili per disoccupazione, povertà, esclusione, instabilità sociale. In media quasi 1 cittadino su 3 in questi Paesi è povero, oltre il 14% vive in povertà assoluta con punte del 28% in Romania e del 20% in Grecia. Il 16% è disoccupato contro il 10 della media europea, con punte del 58% fra i giovani greci, mentre l’Italia vanta il triste primato del 22% di ragazzi tra 15 e 24 anni che non lavorano, non studiano e non si formano. Walter Nanni responsabile dell’Ufficio Studi della Caritas Italiana:

R. – Osserviamo sempre di più un’Europa a due velocità, in cui alcuni Stati non hanno risentito della crisi economico-finanziaria, soprattutto grazie alla solidità del sistema economico ma soprattutto di protezione sociale, che ha tutelato le persone che avevano perso il lavoro, e un‘Europa a bassa velocità quella dei Paesi  più deboli – solitamente quelli del Mediterraneo, fatta eccezione dell’Irlanda – che risentono fortemente della crisi ma soprattutto delle politiche di austerity, nel senso di misure molto forti nel risanamento dei conti pubblici, misure di consolidamento, di risanamento fiscale che hanno prodotto però feriti sul terreno, soprattutto in quei Paesi dove il sistema di protezione sociale è assente. Quindi prima di varare misure economiche bisogna sempre valutare l’impatto di queste sulle popolazioni a rischio maggiore. E oltretutto, non bisogna nascondere i tagli che sono stati fatti nel sociale; molti di questi riguardano spese ‘invisibili’  - sembra che nessuno se ne fosse accorto – che alla fine si riflettono nel medio e lungo periodo. Ce ne accorgiamo noi in Caritas quando aumenta il numero di persone che chiede aiuto.

D. - Come invertire allora questa tendenza, dove sono i poveri a pagare i costi più alti di politiche fallaci dei governi e delle istituzioni europee?

R. – Complessivamente, dal punto di vista economico, una grande stagione di investimenti produttivi sostenuti dalle amministrazioni dell’Unione Europea potrebbe rilanciare - in parte - sicuramente l’occupazione, soprattutto valorizzando quei settori della produttività più sociali: pensiamo all’assistenza sociale e sanitaria, al settore educativo, all’ambiente … Tutti settori in cui un forte investimento delle amministrazioni  pubbliche potrebbe anche rilanciare l’occupazione.

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Settemila i cristiani perseguitati ogni anno nel mondo

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Nel mondo, l’80% delle persone uccise a causa della loro fede sono cristiani. Non dimenticare queste persecuzioni quotidiane è la ragione del convegno “Perseguiteranno anche voi. Persone, drammi e prospettive”, che si è svolto ieri a Roma. Un evento organizzato dall’onlus “Integra”, che si occupa di accoglienza ai migranti, con la collaborazione della Camera dei deputati. Il servizio di Michele Raviart

Secondo stime al ribasso, ogni anno settemila cristiani nel mondo muoiono per il loro credo. L’ultimo eccidio, quello dei 21 copti decapitati in Libia dallo Stato Islamico, si aggiunge alle persecuzioni in Nigeria da parte di Boko Haram o alla difficile situazione in Pakistan. Mons. Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma.

“Noi siamo di fronte a un mondo globalizzato che non è stato ancora capito. Allora, la domanda è se il cristianesimo ha qualcosa a che fare con la globalizzazione. Io credo di sì. Occorre mobilitare le forze intellettuali per poter riflettere se esiste e come potrà il cristianesimo servire la globalizzazione, evitando però che vada incontro a persecuzioni di fronte alle quali non resta che la nostra testimonianza che è quella che ha segnato la vita di tutti i discepoli di Cristo”.

Nel nord dell’Iraq, oltre 100 mila cristiani sono stati cacciati dalle loro case a Mosul ed Erbil e vivono come profughi insieme alle altre minoranze perseguitate dal cosiddetto Stato islamico. Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews:

“Questa gente è gente che ha perso tutto e ha lasciato la casa, ha lasciato il lavoro a causa della fede, perché poteva benissimo convertirsi all’islam come chiedeva l’Isis. E invece loro hanno preferito mantenere la loro fede e lasciare tutto e vivono ancora adesso come rifugiati nella miseria più totale. L’unica cosa che li tiene in via è la fede cristiana. La Chiesa cattolica sta aiutando sia i cristiani, sia i musulmani, sia gli yazidi, proprio per cercare di sopravvivere”.

In questi Paesi la Chiesa svolge un ruolo essenziale di aiuto e testimonianza. Esempi come quello di mons. Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, consapevole di rischiare la vita insieme ai quattro sacerdoti e alle sei suore che vivono con lui.  Alfredo Mantovano , magistrato ed esponente di Alleanza Cattolica:

“Spesso si dice: la Chiesa arriva tardi. Non è vero quasi mai. Ma in particolare non è vero in Libia, in Siria, in Iraq, in Palestina, dove oggi i cristiani patiscono le persecuzioni più efferate perché sono proprio i luoghi dai quali è partita la predicazione apostolica. Lì la Chiesa è arrivata prima e non solo è arrivata prima, ma mentre tutti vanno via - e con ragione vanno via, vista la situazione - la Chiesa resta, resta dove essere cristiani costituisce l’unico motivo per essere macellati”.

Come ha detto Papa Francesco, i copti in Libia sono stati uccisi “per il solo fatto di confessare Cristo”. Eppure, il ruolo dei cristiani in questi luoghi sa essere prezioso per l’integrazione e per il dialogo. Ancora padre Bernardo Cervellera:

“I cristiani sono una specie di collante, perché questo puntare sulla dignità dell’uomo li porta a essere dialoganti sia con i musulmani sunniti, sia con i musulmani sciiti, con gli yazidi, con i drusi, etc. Quindi, i cristiani sono veramente l’elemento che permette l’integrazione in questi Paesi”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Cuba-Usa: primi passi nel processo di ripristino dei rapporti

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La deputata democratica statunitense Nancy Pelosi e il ministro degli esteri cubano Bruno Rodriguez si sono incontrati a L'Avana nell’ambito del processo di ripristino delle relazioni diplomatiche tra i rispettivi Paesi. L'incontro, avvenuto ieri, continua quindi il recente dialogo bilaterale iniziato a gennaio.

La Pelosi oggi incontra il card. Ortega
Nancy Pelosi incontrerà oggi il card. Jaime Ortega y Alamino, arcivescovo di San Cristobal de la Habana, massima autorità cattolica nell'isola, i leader della comunità e altri diplomatici. Oggi è anche in programma una conferenza stampa dove, secondo la nota pervenuta all'agenzia Fides da fonti locali, la rappresentante americana riferirà su alcuni aspetti importanti riguardanti l'agricoltura e i rapporti commerciali tra i due Paesi.

La Chiesa: sarà un cammino lungo ma ha già interrotto la paralisi
I gruppi negoziali di Cuba e degli Stati Uniti hanno tenuto un primo ciclo di colloqui il 21 e 22 gennaio a L'Avana, dove si sono fatti i primi passi per ripristinare le relazioni interrotte dal 1961, con la riapertura delle ambasciate come una delle questioni prioritarie. Nella nota inviata a Fides dalla rivista dell'arcidiocesi di San Cristobal de La Habana, Palabra Nueva, si legge: "Il processo di normalizzazione delle relazioni richiede tempo, a volte sarà tortuoso e a volte facile, ma il primo passo è stato fatto e quello è il più importante, perché ha interrotto la paralisi...". (C.E.)

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Sud Sudan. Negoziati in Etiopia: appello di pace della Chiesa

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Alla vigilia della ripresa dei negoziati di pace in Sud Sudan, iniziati oggi ad Addis Abeba, in Etiopia, mons. Paulino Lukudu Loro, arcivescovo di Juba ha rinnovato l’appello alle due fazioni in lotta nel Paese a trovare una soluzione al conflitto armato scoppiato più di un anno fa.

Se questa guerra non finisce è la nazione ad essere finita
“Se questa guerra non finisce è la nostra Nazione ad essere finita”, ha ammonito il presule aprendo martedì nella capitale una conferenza che ha visto riuniti i rappresentante di 64 tribù sud-sudanesi per discutere le possibili vie di uscita della crisi. Tema dell’incontro, al quale sono intervenuti i tre governatori delle regioni dell’Alto Nilo, Bahr al Ghazal e Equatoria, era appunto “Pace adesso per le tribù del Sud Sudan unite contro la guerra". Mons. Lukudu - citato dalle emittenti locali Radio Bakhita e Radio Tamazu - ha chiesto a tutti i sud-sudanesi un impegno maggiore per porre fine alla violenza, lamentando il fatto che gli appelli dei leader religiosi sono rimasti sinora inascoltati: “Il conflitto va risolto: questa è la parola dei vostri leader religiosi, ma la guerra non è ancora finita”, ha detto.

Chiesa: la sospensione del voto contribuirà alla pace
Dal canto suo mons. Edward Hiiboro Kusala, vescovo di Tombura-Yambio, in un’intervista a Radio Anisa ha definito la sospensione delle elezioni generali previste a giugno da parte del governo del Sud Sudan "uno sviluppo positivo nell’interesse della pace nel Paese". Secondo mons. Kusala - riporta l'agenzia Fides - nel corso della recente Assemblea plenaria della Conferenza episcopale del Sud Sudan, era emersa la preoccupazione dei vescovi sui problemi che si sarebbe potuti riscontrare se il governo di Juba avesse insistito nel tenere le elezioni quest’estate. Il vescovo ha definito una scelta “saggia” la sospensione delle elezioni che permetterà di organizzare il censimento della popolazione, di scrivere la Costituzione definitiva e di affrontare le problematiche del periodo di transizione, in modo da effettuare le elezioni in condizioni più stabili. Mons. Kusala ha invitato i fedeli a pregare per la pace nel Paese durante la Quaresima e a contribuire alla pacificazione nazionale mettendo al primo posto l’interesse collettivo sui meri interessi personali.

Quasi un milione e mezzo di sfollati interni
Il conflitto in Sud Sudan, indipendente dal 2011, è scoppiato all’interno del partito di governo il Sudan People Liberation Movement (Splm) e vede contrapposto l’esercito, fedele al Presidente Salva Kiir, e le truppe fedeli all’ex vice-Presidente Riek Machar. Secondo dati diffusi a fine gennaio dalle Nazioni Unite, il conflitto ha causato quasi un milione e mezzo di sfollati interni e quasi 500mila profughi nei Paesi confinanti. (A cura di Lisa Zengarini)

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Europa: appello Commissioni Giustizia e Pace contro nazionalismi

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Un vibrante appello contro i nazionalismi e le esclusioni politiche e sociali: a lanciarlo è la Conferenza delle 31 Commissioni giustizia e pace d’Europa in una nota in cui chiede “ai dirigenti politici di ogni livello ed agli attori della società civile di manifestare una reazione ferma alla crescita del razzismo e della xenofobia nel continente”. “Si tratta di garantire il rispetto dei diritti di ogni individuo e di trovare l’unità nella diversità per una società veramente umana”, afferma la nota. Quindi, si riconosce come “legittima” la rivendicazione dell’autonomia nazionale di alcuni partiti politici, purché essa sia “perseguita in maniera democratica e non violenta, nel pieno rispetto degli altri”.

Tutelare le minoranze. No a slogan nazionalisti semplicistici
“Le nazioni, le culture e le minoranze presenti in ogni Stato – prosegue il documento congiunto – hanno il diritto di essere rispettate”, anche se si è “fieri della nostra comunità locale”, “della nostra lingua o della nostra cultura nazionale”. Di qui, la messa in guardia delle Chiese europee contro chi cerca “il potere e la popolarità grazie a programmi politici semplicistici e slogan che lanciano un’idea di prosperità e sicurezza legata a misure nazionalistiche unilaterali, a scapito di altri popoli”. Partiti e schieramenti che usano tali mezzi ed a cui “alcuni mass-media fanno da cassa di risonanza”, spiegano le Commissioni, mettono in atto “un paradigma di esclusione che aggrava la situazione”.

Ingiustizia ed emarginazione non creano pace
“Il nazionalismo dell’esclusione – così lo definisce la nota – è contrario alla dignità umana, rappresenta la negazione della giustizia e minaccia la coesione sociale a livello nazionale ed europeo”. Per questo, Giustizia e pace esorta ad opporsi al nazionalismo, anche in forza di quel “rispetto della dignità umana che deriva dal credere in Cristo e nella creazione dell’uomo fatto a Sua immagine e somiglianza”. “Ingiustizia ed emarginazione di una parte della società – sottolineano ancora le Chiese d’Europa - non creeranno mai le condizioni di una comunità pacifica”.

Chiudere frontiere ai migranti è disumano
Poi, il documento si sofferma sulla migrazione, definendola “il fondamento dell’esistenza umana”: “Ignorare questa realtà e tentare di chiudere ermeticamente le frontiere ai flussi di migranti – prosegue la nota – è irrealistico e disumano”. Sono altre, invece, le soluzioni da valutare a livello sia nazionale che internazionale: “condividere, nel contesto europeo, la responsabilità dell’accoglienza dei rifugiati in difficoltà; contribuire alla definizione, nell’ambito del diritto internazionale, di una risoluzione pacifica dei conflitti; rilanciare l’aiuto allo sviluppo per dare alle persone la possibilità di scegliere se restare o meno nei loro Paesi d’origine; integrare gli stranieri nelle comunità”. Tanto più che – sottolineano le Commissioni – senza le migrazioni, gli europei sarebbero incapaci di portare avanti alcuni servizi sociali, come ad esempio la cura delle persone anziane.

Razzismo e xenofobia sono inaccettabili moralmente e legalmente
Quindi, pur ribadendo che “l’Unione europea si è resa responsabile della crisi economica attuale, delle disuguaglianze sociali e della disoccupazione”, la nota sottolinea che essa tuttavia “resta uno strumento per il mantenimento della pace e la risoluzione dei conflitti nel continente”. “La guerra tra le nazioni – infatti – è la peggiore delle cose e la violenza razzista e xenofoba, nelle parole e negli atti, è inaccettabile dal punto di vista morale e legale; per questo deve essere condannata pubblicamente e sanzionata”. “La visione cristiana di una giustizia e di una pace universale – sottolinea inoltre la nota congiunta – richiama alla solidarietà ed al rispetto di tutti”, perché è proprio in un quadro “più ampio di bene comune universale che si possono difendere nel modo migliore gli interessi nazionali autentici”.

Valorizzare dignità umana, elemento essenziale dell’Europa
Infine, le Commissioni giustizia e pace fanno alcune raccomandazioni ai responsabili politici ed alla società d’Europa: attuare una politica economica e sociale che valorizzi il settore lavorativo; concepire politiche europee di migrazione che siano coerenti, con responsabilità condivise e capaci di contrastare tutte le forme di migrazione forzata; impegnarsi in favore dell’integrazione; promuovere la coesione sociale; contestare tutte le espressioni di retorica nazionalista, sia nella vita pubblica che in quella privata; rafforzare la democrazia, la solidarietà ed il rispetto della dignità umana attraverso l’educazione e l’esempio; valorizzare la dignità dell’uomo come “elemento essenziale del patrimonio comune europeo”. (A cura di Isabella Piro)

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Indonesia: musulmani rilanciano pluralismo e rispetto minoranze

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L'importanza di valori come pluralismo, rispetto delle minoranze, tolleranza, dialogo, unità tra i fedeli delle diverse fedi: sono queste le parole-chiave echeggiate durante il Congresso dei musulmani indonesiani, tenutosi a Yogyakarta nei giorni scorsi. L’evento - riferisce l'agenzia Fides - ha riunito le maggiori organizzazioni islamiche indonesiane, come “Muhammadiyah”, "Nahdlatul Ulama" e il “Consiglio degli Ulema indonesiani”, organizzatore dell’incontro, per riflettere sull’islam all’interno e all’esterno dell’arcipelago indonesiano.

L'islam indonesiano può servire come modello a livello internazionale
Sono intervenuti leader religiosi musulmani, studiosi e accademici, nonché ministri e alti funzionari di stato, tra i quali il presidente dell’Indonesia, Joko Widodo, che ha detto: “L’Indonesia è una nazione moderata, in cui si vive il rispetto reciproco tra credenti”. Il Congresso, convocato ogni cinque anni, ha ribadito che l’islam indonesiano può servire come modello, a livello internazionale, per mostrare una “società armoniosa” in cui i musulmani vivono e lavorano in pace, accanto a persone di altre fedi.

Tutti i credenti non abbiano pregiudizi verso le differenze
Din Syamsuddin, leader dell’organizzazione “Muhammadiyah”, ha rimarcato che “il pluralismo è molto buono, in quanto presenta alcune sfumature di differenza, così come sfumature di uguaglianza”. Syamsuddin ha espresso l’auspicio che “le differenze non dividano i musulmani indonesiani” e che tutti i credenti “non abbiano pregiudizi verso le differenze”.

L'armonia interreligiosa è possibile tra le sfide globali di oggi
Secondo il Ministro indonesiano per gli Affari religiosi, Lukman Hakim Saifuddin, che ha parlato all’assemblea, “il Congresso può essere una guida nel tracciare come l'armonia interreligiosa sia possibile tra le sfide globali di oggi”. Sul piano interno, il ministro ha ricordato “il diritto costituzionalmente garantito agli indonesiani di tutte le religioni, culture ed etnie, di praticare la loro fede liberamente e pacificamente”. Guardando oltre frontiera, ha aggiunto: “il resto del mondo può imparare dall'esempio di pluralismo che si vive in Indonesia”, ricordando il principio guida di “unità nella diversità”, perno della convivenza nazionale, in un Paese caratterizzato da numerose etnie, culture e religioni diverse. (P.A.)

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Elezioni in Israele: la Chiesa invita a non disertare le urne

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In vista delle imminenti elezioni politiche israeliane, in programma per il prossimo 17 marzo, la Chiesa cattolica di Terra Santa invita tutti gli elettori a recarsi alle urne, rivolgendosi in particolare a coloro che “potrebbero tendere ad astenersi e quindi rimanere in silenzio rispetto all'esercizio del proprio voto”. L'appello anti-astensione è contenuto in un comunicato della Commissione Giustizia e Pace dell’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa. “Il vostro voto, il vostro voto singolo” si legge nel comunicato del Patriarcato latino di Gerusalemme “potrebbe fare la differenza per il nostro presente e il futuro in questo Paese, e per la vita di molti. Fatevi carico dela vostra responsabilità e votate secondo coscienza, ma votate e esprimetevi”.

I candidati devono ascoltare la voce di chi soffre
Il comunicato di Giustizia e Pace - riferisce l'agenzia Fides - riserva alcune considerazioni anche ai candidati della competizione elettorale. “Ci auguriamo che gli eletti - si legge nel documento - sappiano ascoltare le voci di tutti quelli che soffrono in questo conflitto permanente: il vostro compito è quello di aiutare il Paese a uscire dalla costante condizione di conflitto. Noi non siamo condannati a vivere per sempre nella paura degli uni per altri e nella sofferenza continua. Contribuite a fare di questa santa terra un posto migliore”. (R.P.)

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Congo: inaugurato campus Università Cattolica di Kinshasa

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Continua a crescere l’Università Cattolica del Congo (Ucc). Il 14 febbraio è stato infatti inaugurato il suo secondo campus a Mont-Ngafula a 15 chilometri dalla capitale. A tagliare il nastro mons. Nicolas Djomo Lola, vescovo di Tshumbe e presidente della Conferenza episcopale nazionale del Congo (Cenco) che ha presieduto la solenne messa inaugurale, concelebrata insieme a dieci vescovi e a una cinquantina di sacerdoti, alla presenza di numerosi professori e studenti che inizieranno a frequentare i corsi nel nuovo campus il 27 febbraio. Alla cerimonia inaugurale, ha preso parte anche il nunzio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo che ha benedetto i crocifissi nelle aule della struttura.

Il contributo dell’Università all’educazione ai valori cristiani
Nell’omelia mons. Djomo ha sottolineato come l’Università Cattolica del Congo rappresenti un “crogiolo del Vangelo e dell’evangelizzazione” in Africa dove gli studenti imparano a coltivare i valori al servizio della società. Un’opera per la quale ha espresso grande apprezzamento il Ministro per l’educazione superiore e l’università congolese invitato all’inaugurazione. Il rettore dell’università, padre Jean Bosco Matand, da parte sua, ha sollecitato il governo congolese a sostenere finanziariamente l’ateneo, che finora ha potuto contare solo sulle offerte di privati e donazioni dall’estero.

L’università fondata nel 2009
Nata nel 2009 dalla fusione di diverse facoltà universitarie cattoliche di Kinshasa, la Ucc comprende le facoltà di Teologia, Diritto canonico, Filosofia, Economia e Sviluppo, Comunicazioni Sociali, Diritto e Scienze Politiche con un totale di più di 2mila studenti Nell’ateneo si trovano anche il Centro studi delle religioni africane e il Centro degli archivi ecclesiastici. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 50

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.