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Sommario del 16/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: copti uccisi perché cristiani, sangue che grida

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Uccisi solo perché cristiani: è quanto ha affermato il Papa durante un incontro in Vaticano con i rappresentanti della Chiesa Riformata di Scozia, riferendosi agli oltre 20 copti egiziani uccisi dai jihadisti del cosiddetto Stato Islamico. Ce ne parla Sergio Centofanti

Papa Francesco, rispondendo al discorso del moderatore della Chiesa di Scozia, parla a braccio in spagnolo per esprimere il suo profondo dolore per l’esecuzione dei cristiani copti:

“Dicevano solamente: ‘Gesù aiutami’. Sono stati assassinati per il solo fatto di essere cristiani. Lei, fratello, nel suo discorso ha fatto riferimento a quello che succede nella terra di Gesù. Il sangue dei nostri fratelli cristiani è una testimonianza che grida. Siano cattolici, ortodossi, copti, luterani non importa: sono cristiani! E il sangue è lo stesso. Il sangue testimonia Cristo. Ricordando questi fratelli che sono morti per il solo fatto di testimoniare Cristo, chiedo di incoraggiarci l’uno con l’altro ad andare avanti con questo ecumenismo, che ci sta incoraggiando, l’ecumenismo del sangue. I martiri sono di tutti i cristiani”. 

Nel suo discorso scritto, Papa Francesco afferma la necessità di condividere il “comune impegno al servizio del Vangelo e della causa dell’unità dei cristiani”. Il Papa ricorda come “allo sviluppo della ricca tradizione storica e culturale della Scozia hanno contribuito illustri e sante figure cristiane appartenenti a diverse confessioni”:

“L’attuale stato delle relazioni ecumeniche in Scozia testimonia quanto ciò che, come cristiani, abbiamo in comune sia più grande di ciò che può dividerci. Su questa base, il Signore ci chiama a ricercare modi ancora più efficaci per superare vecchi pregiudizi e per trovare nuove forme di intesa e di collaborazione”.

Il Papa si rallegra nel constatare che “i rapporti tra la Chiesa di Scozia e la Chiesa cattolica si sono sviluppati, al punto che le sfide poste dalla società contemporanea vengono affrontate attraverso una riflessione comune e, in molti casi – nota - siamo in grado di parlare con una sola voce su questioni che toccano da vicino la vita di tutti i fedeli”:

“Nel nostro mondo globalizzato e spesso disorientato una comune testimonianza cristiana è un requisito necessario per l’incisività dei nostri sforzi di evangelizzazione. Siamo pellegrini e peregriniamo insieme. Dobbiamo imparare ad «affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze, e guardare anzitutto a quello che cerchiamo: la pace nel volto dell’unico Dio» (Evangelii gaudium, 244)”.

“La fede e la testimonianza cristiana – ha proseguito Papa Francesco - si trovano di fronte a sfide tali, che soltanto unendo i nostri sforzi potremo rendere un efficace servizio alla famiglia umana e permettere alla luce di Cristo di raggiungere ogni angolo buio del nostro cuore e del nostro mondo. Possa il cammino di riconciliazione e di pace tra le nostre comunità – è il suo augurio - avvicinarci sempre di più gli uni agli altri, così che, mossi dallo Spirito Santo, possiamo portare a tutti la vita e portarla in abbondanza (cfr Gv 10,10)”:

“Preghiamo gli uni per gli altri e continuiamo a camminare insieme nella via della saggezza, della benevolenza, della fortezza e della pace”.

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Il vicario apostolico di Tripoli: resto qui, non lascio i cristiani

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Resterà in Libia anche se la situazione appare sempre più difficile, questa è la sua missione: è la testimonianza di mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, francescano. Ascoltiamolo al microfono di Sergio Centofanti

R. – Siamo pronti a testimoniare quello che siamo e quello che facciamo.

D. – Quindi, lei rimane a Tripoli …

R. – Devo rimanere! Come lascio i cristiani senza nessuno?

D. – C’è paura tra i cristiani?

R. – Certo che un po’ di paura c’è. C’è un gruppetto di filippini, siamo qui, proprio testimoni di quello che Gesù ci dice di fare. E basta.

D. – Lei personalmente ha paura?

R. – Ma … non lo so. Non credo. Se non ci fosse la fede, non saremmo qui.

D. – I jihadisti sono già a Tripoli …

R. – Sì, sono a Tripoli, certo.

D. – Voi potete uscire liberamente?

R. – Possiamo uscire, certo. Magari un momento o l’altro ci prendono e dicono: “Tu sei contro l’islam” … e basta. Siamo in una situazione di ambiguità. Ecco, questo è per mancanza di dialogo: c’è mancato il dialogo per tanto tempo, adesso bisogna recuperare il tempo.

D. – Che cosa si può fare di fronte a questa situazione?

R. – Davanti a questa situazione, è tutto da rifare. Tutto da rifare. Tutto da rifare, mio caro: tutto da rifare!

D. – Lancia un appello?

R. – La comunità internazionale dovrebbe essere capace di lanciare un dialogo con questo Paese che si è diviso e fa fatica a ritrovare innanzitutto l’unità interna. Cercare di essere strumenti di unità, innanzitutto per il Paese in se stesso e poi per il resto. Abbiamo pensato a prendere il petrolio, abbiamo pensato ai nostri interessi e ci siamo un po’ dimenticati del dialogo umano, sincero, tra le parti.

D. – Ora i jihadisti dicono: “Siamo a sud di Roma” …

R. – Sì, a Tripoli …

D. – Ci sono pericoli per l’Italia, secondo lei?

R. – Ma, l’Italia, non lo so: sono andati via tutti, gli italiani. Gli italiani sono partiti tutti. Allora, se ci sono pericoli non lo so. Comunque, di italiani non c’è più nessuno.

D. – I jihadisti accusano il governo italiano di essere un governo “crociato” …

R. – Io dico soltanto che forse è mancato un certo dialogo con il Paese e con l’islam in particolare.

D. – Lei è francescano: che messaggio ci dà San Francesco in questa situazione?

R. – Eh, Francesco dice: “Chi vuole andare tra i saraceni deve lasciare tutto e deve andare”. Noi siamo qui, in nome di Dio e in nome di San Francesco, con il desiderio di essere testimoni di Gesù nello stile di Francesco.

D. – Si può tornare indietro?

R. – Tornare indietro, come?

D. – A una situazione di pace…

R. – Basta volerlo, si può: come no?! E’ un po’ fanciullesco quello che dico, però se uno dice a un libico: “Senti, forse abbiamo sbagliato: che cosa si può fare per cambiare un po’ la situazione?”. Cercare di aiutarli a riflettere, però non con la forza, ma con il dialogo: penso che sia una cosa molto importante, questa. Penso.

D. – Come giudica il fatto che ci sono tanti europei di origine araba e islamica che si stanno arruolando nelle file dei jihadisti?

R. – Questo, io non lo so … Sicuramente non sono contenti del loro contesto sociale … Io non so rispondere a questa domanda.

D. – Vede un vuoto nella cultura occidentale?

R. – Un vuoto … certo che c’è, il vuoto. Un vuoto di dialogo, un vuoto di impegno a incontrare l’altro, preoccupandosi soltanto degli interessi e meno delle persone e dei valori.

D. – Quindi, dietro a tutto questo c’è anche l’interesse per il petrolio …

R. – Ma, è tutta una cosa … tanti sono i fattori che hanno contribuito a questa spaccatura tra le diverse civiltà. Cosa poter fare? Ma, se qualcuno ha il coraggio, si faccia piccolo, si faccia semplice e abbia il coraggio di incontrare questa gente con la volontà di capirli, innanzitutto; volontà di aiutarli a capire quello che vogliono.

D. – Qual è la sua speranza?

R. – Io ho la speranza che se c’è qualcuno che ha voglia di spendersi per questo popolo, che si faccia avanti: fate in modo che possiamo ritornare a una vita normale, a un dialogo fraterno tra civiltà. Non è facile, questo, adesso: non è facile. Però, penso che sia l’unica strada per rendere possibile questo incontro.

D. – La Libia adesso è nel caos, c’è tanta sofferenza tra i civili …

R. – E’ chiaro, è chiaro. Ma questo non è soltanto per i cristiani, ma anche per i libici stessi che ci amano, che ci vogliono bene, che fanno di tutto perché possa ritrovarsi un rapporto più normale. Voglio dire: adesso ci ritroviamo in questa situazione: penso che sia importante capire che cosa possiamo fare con questa gente.

D. – Anche i Paesi arabi: che cosa possono fare i Paesi islamici?

R. – Bravo! Sì, proprio i Paesi arabi, musulmani potrebbero anche loro – certo – fare in modo di ritrovare una certa serenità.

D. – La gente si chiede: “Chi c’è dietro a questi jihadisti? Chi dà loro i soldi?”.

R. – Ehhh … c’è il petrolio! I pozzi di petrolio della Libia, quelli del Golfo Persico, eccetera …

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Francesco: aumentano i poveri, serve slancio di solidarietà

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Il numero crescente di poveri ci interpella e richiede uno slancio di solidarietà. E’ quanto affermato da Francesco nell’udienza in Vaticano alla associazione “Pro Petri Sede”. Il Papa ha quindi sottolineato che, in occasione della Quaresima che sta per iniziare, i cristiani sono chiamati a spendersi per gli altri, specie per chi è nel bisogno. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Gli emarginati ci interpellano, aiutare chi ha bisogno
I poveri, i bisognosi, gli emarginati. Sono loro ad avere uno spazio privilegiato nel cuore di Papa Francesco. Non stupisce allora che, ricevendo con gratitudine i membri dell’associazione caritativa “Pro Petri Sede”, il pensiero vada proprio a chi lotta quotidianamente per sopravvivere. A quanti, a pochi passi dal Vaticano o negli angoli più remoti della Terra, mancano del necessario e tendono la mano in cerca di aiuto:

“Il numero crescente di persone emarginate e che vivono in grande precarietà ci interpella e domanda uno slancio di solidarietà per dare loro il sostegno materiale e spirituale di cui hanno bisogno. E nello stesso tempo noi abbiamo molto da ricevere dai poveri che accostiamo e che aiutiamo”.

“Alle prese con le loro difficoltà – ha commentato il Papa – essi sono spesso testimoni dell’essenziale, dei valori familiari; sono capaci di condividere con chi è più povero di loro e ne sanno gioire”. Uno spirito, ha confidato, che ha potuto constatare anche nel recente viaggio apostolico in Asia.

Vincere indifferenza ed egoismo, imparare dai poveri
“L’indifferenza e l’egoismo – ha poi avvertito – sono sempre in agguato”. E qui ha richiamato San Paolo che scrivendo ai Corinzi chiedeva “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto?”. In realtà, ha affermato Francesco, “l’attenzione ai poveri ci arricchisce ponendoci su una strada di umiltà e di verità”:

“La loro presenza è un richiamo alla nostra comune umanità, alla fragilità della vita, alla dipendenza da Dio e dai fratelli. Vi invito pertanto, specialmente in occasione della Quaresima che sta per cominciare, a chiedere al Signore di donarvi un cuore misericordioso e povero, che conosca le proprie povertà e che si spenda per gli altri (cfr Messaggio per la Quaresima 2015)”.

Pregare per la pace, politici trovino vie di dialogo
Francesco ha dunque ringraziato l’associazione per il dono al Successore di Pietro che si trasformerà in  aiuto concreto a “popolazioni duramente provate in diverse parti del mondo”. Con “questa solidarietà – ha detto – voi offrite loro anche il conforto spirituale di non sentirsi dimenticate nelle loro prove, e di conservare la speranza”. Francesco non ha infine mancato di rivolgere il pensiero a quei popoli che soffrono a causa della guerra:

“Vi invito anche a pregare con insistenza per la pace, affinché i responsabili politici trovino vie di dialogo e di riconciliazione”.

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Questione ambiente nel colloquio tra Papa e Re di Tonga

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, le Loro Maestà il Re Tupou VI di Tonga e la Regina Nanasipau’u Tuku’aho, che poi hanno incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, accompagnato da mons. Paul R. Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

Il Re – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana – “ha anzitutto espresso il suo compiacimento per la nomina del primo porporato originario dell’arcipelago”, il card. Soane Patita Paini Mafi, sottolineando “l’entusiasmo della popolazione” e la presenza della Regina e di numerosi tongani al Concistoro ordinario pubblico dello scorso 14 febbraio.

Nel prosieguo dei “cordiali colloqui – prosegue la nota - ci si è soffermati sui recenti sviluppi politici nel Paese e su alcuni aspetti della vita sociale ed economica, nonché sul positivo contributo della Chiesa cattolica in vari ambiti della società. Successivamente, vi è stato uno scambio di opinioni sulla situazione internazionale, con particolare riferimento agli Stati insulari del Pacifico e ai problemi ambientali che alcuni di essi sono chiamati ad affrontare”.

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Il Papa ha ricevuto il card. Müller e il rabbino Brener

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in udienza il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e Pynchas Brener, rabbino capo emerito della "Unión Israelita de Caracas" e seguito.

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Nomina episcopale in Indonesia

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In Indonesia, Francesco ha nominato arcivescovo di Samarinda mons. Yustinus Harjosusanto, M.S.F., finora vescovo di Tanjung Selor.

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Tweet del Papa: Gesù è venuto a portare la gioia a tutti e per sempre

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“Gesù è venuto a portare la gioia a tutti e per sempre”. E’ il tweet pubblicato oggi da Papa Francesco sul suo account Twitter in 9 lingue @Pontifex.

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Al via servizio barbieri per i poveri in Piazza San Pietro

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Ha preso il via oggi il “servizio barbieri” per i senza fissa dimora, in uno spazio ad hoc sotto il Colonnato di Piazza San Pietro. L’iniziativa - promossa dall’Elemosiniere del Papa, mons. Konrad Krajewski - si accompagna alle docce e ai servizi toilette per i poveri, sempre in Piazza San Pietro, già in funzione da alcuni giorni. A tagliare gratuitamente barba e capelli ai clochard sono alcuni barbieri volontari che approfittano del giorno di chiusura dei loro esercizi. Il servizio sarà disponibile tutti i lunedì dalle ore 9 alle 15.

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Funerali card. Becker. Sodano: è stato maestro di sapienza cristiana

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“Una grande figura di maestro di sapienza cristiana”. Così, il cardinale decano Angelo Sodano ha ricordato il cardinale gesuita Karl Josef Becker durante le esequie, in San Pietro, del porporato tedesco morto il 10 febbraio all’età di 86 anni. Il cardinale Becker, ha detto ancora il cardinale Sodano, “ci ha parlato della necessità di tenere le nostre lampade sempre accese, per poter accogliere il Signore, quando venga a chiamarci”. Il suo esempio, ha concluso il decano del Collegio cardinalizio, “spinga anche noi a seguirne le orme, per essere sempre pronti ad andare incontro al Signore”. Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Papa ha presieduto il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, sul concistoro straordinario un editoriale del direttore: un unico titolo d’onore.

In prima pagina, Lucetta Scaraffia sul vescovo Giovanni Innocenzo Martinelli, rimasto a Tripoli per non abbandonare i fedeli.

Un articolo di Ferdinando Cancelli dal titolo “Pochi fatti, molte parole”: il cono d’ombra sulle cure palliative.

Da Costantinopoli alla rete: il prefetto Cesare Pasini sul codice b ora accessibile sul sito web della Biblioteca Vaticana.

Sul volto di Abramo: Timothy Verdon recensisce una mostra a New York dedicata alla scultura sacra del primo Rinascimento.

Se si debba prendere moglie: Silvia Gusmano sul dibattito senza esclusione di colpi nel Cinquecento.

“Meno male che la palla è rotonda”: un commento di Gaetano Vallini sullo stato del calcio italiano.

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Oggi in Primo Piano



Is: raid egiziani in Libia, dopo l'uccisione di 21 copti

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Si aggrava la situazione in Libia, di fronte all’avanzata dei gruppi jihadisti vicini al sedicente Stato Islamico. Sarebbero una cinquantina i terroristi uccisi nelle ultime ore dai raid egiziani e libici sulla città nord orientale di Derna. Nei bombardamenti, almeno 5 vittime civili, tra cui tre bambini. Il Cairo ha fatto scattare gli attacchi aerei in Libia dopo che ieri l’Is ha diffuso su Internet il video dell’esecuzione dei 21 cristiani copti egiziani rapiti il mese scorso.  "Non è tempo di un intervento militare" è la posizione espressa dal capo del governo italiano Renzi che auspica l'intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La forza dell'Onu, ha detto Renzi, è più forte delle milizie radicali. Il servizio di Giada Aquilino: 

Una riunione del presidente Abdel Fattah al-Sisi con ministri e vertici militari, una dichiarazione sul “diritto di reagire” da parte del Cairo, poche ore e scattano i bombardamenti egiziani su postazioni del sedicente Stato Islamico in Libia, a Derna, Bengasi e Sirte. A questi si affiancano quelli dell’esercito regolare libico. Un’unica risposta alla decapitazione dei 21 cristiani copti rapiti a Capodanno dai jihadisti dell’Is a Sirte, città ora nelle loro mani. Al-Sisi ha fatto visita al patriarca copto ortodosso Tawadros II, porgendogli le sue condoglianze. L’Università al-Azhar ha parlato di “barbarie”. Sul piano militare, il generale Khalifa Haftar, che ha particolare potere nelle forze armate libiche, condivide i raid aerei egiziani ma non vede di buon occhio eventuali interventi terrestri. Fajr Libya, la coalizione di milizie filo-islamiche al potere a Tripoli, lanciano invece un appello a manifestare contro i raid egiziani, definendo “terrorista” il presidente al-Sisi. Dagli Stati Uniti, Barack Obama, ha affermato che le atrocità dell’Is non conoscono confini, sottolineando “l'urgente necessità per una soluzione politica al conflitto in Libia”. D’altra parte “la situazione a Tripoli è critica” e i miliziani dello Stato Islamico sono già “da un pezzo in città”, ha detto uno degli italiani evacuati dalla Libia e giunti nel porto di Augusta, in Sicilia.

Le immagini diffuse ieri dai miliziani contengono anche minacce all'Italia: “Ci avete visiti in Siria, ora siamo qui, a Sud di Roma”, dichiara il portavoce dei terroristi. Il mondo politico italiano, ad eccezione del Movimento 5 Stelle, sembra compattarsi sulla necessità di un intervento militare internazionale, evocato nei giorni scorsi dal ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. “Raddoppiare gli sforzi diplomatici dell'Onu”, esorta il premier Matteo Renzi, che stamani ha avuto un colloquio telefonico con al-Sisi. Il premier del governo libico riconosciuto dalla comunità internazionale, Abdullah al Thani, chiede all'Occidente di intervenire con un'offensiva aerea contro i jihadisti, altrimenti - avverte - “la minaccia arriverà in Italia”. Il presidente francese Francois Hollande e proprio l’egiziano al-Sisi chiedono una riunione d’urgenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per adottare nuove misure contro l’Is, mentre il premier libico Abdullah al-Thinni ha esortato i Paesi occidentali ad un intervento militare aereo. Per un quadro del panorama geopolitico libico, ascoltiamo Stafano Torelli, ricercatore dell’Ispi per il Medio Oriente:

R. – In realtà la situazione è sostanzialmente quella di poco tempo fa, chiaramente con l’aggiunta della “conquista” - ancora non è chiaro se si possa dire così - della città di Sirte da parte di gruppi jihadisti legati, se non altro a livello di affiliazione, all’Is, allo Stato islamico.

D. – Quindi quali forze agiscono in questo momento in Libia?

R. – La Libia è ormai spaccata, divisa in almeno tre blocchi principali. Da un lato vi è la divisione in atto da un anno tra il governo di Tobruk, che è quello scaturito dalle ultime elezioni del giugno scorso, sotto l’influenza del generale Haftar, e le forze che sono a Tripoli, legate anche alle milizie di Misurata, che sono ritenute essere le forze più islamiche. Ma parliamo sempre di un islam politico, afferente alla Fratellanza musulmana. Tra queste due forze si è inserita con sempre maggiore veemenza la presenza di gruppi jihadisti, che avevano la loro roccaforte a Derna e che adesso stanno avanzando fino a Sirte, con l’intenzione - secondo alcune fonti - di continuare verso Tripoli.

D. – D’altra parte, le formazioni jihadiste si dice che siano attive in Libia da diverso tempo…

R. – Nonostante la rilevanza mediatica di questi ultimi giorni, legata chiaramente alla contingenza di questa nuova battaglia di Sirte, non è assolutamente una novità la presenza di guerriglieri afferenti al jihadismo e affiliati allo Stato Islamico che è presente in Iraq e in Siria. Ma non si tratta materialmente, come qualcuno ha erroneamente interpretato, dell’Isis che dall’Iraq o dalla Siria avanza ed è arrivato fino in Libia. Si tratta di gruppi autoctoni che pian piano si sono radicalizzati, quindi hanno sviluppato un’ideologia e anche un modus operandi dei gruppi jihadisti e che in qualche modo hanno dichiarato la loro affiliazione allo Stato Islamico. In questo senso si parla di Isis in Libia. Tra l’altro, questo fenomeno per alcuni versi potrebbe anche essere percepito o inteso come un fenomeno pure più pericoloso: cioè, la nascita di gruppi locali in altre parti del mondo – soprattutto, per adesso, nel mondo arabo – oltre all’Iraq e alla Siria, che dichiarano la loro affiliazione all’Is.

D. – Lei pensa agli estremisti del Sinai egiziano, dell’Algeria, del Mali e, perché no, di Boko Haram in Nigeria o di altre formazioni in Somalia, Sudan?

R. – Esatto. Poi, tra l’altro, anche qui ogni contesto, ogni gruppo è a sé. Per esempio, in Nigeria Boko Haram e in Somalia al Shabaab erano gruppi attivi ben prima di questo exploit dell’Is. Quello che sta accadendo nel Sinai con Bayt al-Maqdis è qualcosa di molto simile a quello che accade in Libia: quello sì, è un fenomeno relativamente nuovo, appunto di gruppi locali che però hanno assunto le caratteristiche dell’Is, con un’ideologia comune, che avvicina tutti questi gruppi: quella – se vogliamo – un po’ ‘utopistica’ della creazione di un califfato o Stato Islamico su tutti i territori arabi.

D. – Francia ed Egitto invocano una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per misure urgenti contro le formazioni jihadiste. L’Italia, minacciata dai fatti libici, parla di un intervento militare nel quadro di un’operazione internazionale: la diplomazia ora che ruolo può giocare?

R. – Prima di tutto sarebbe il caso nuovamente di riflettere bene su quali possano essere gli scenari di un possibile intervento armato che, tra l’altro, alle condizioni attuali - nonostante alcuni proclami - mi sembra inverosimile, da un certo punto di vista. Perché comunque il contesto in Libia è una situazione di spaccatura totale: non dobbiamo dimenticare che prim’ancora della presenza e dell’attività di questi gruppi jihadisti, in Libia era in corso comunque un conflitto tra due parti in gioco. Quindi, prima di tutto ci sarebbe da operare una sorta di azione diplomatica volta a una riconciliazione nazionale e poi, chiaramente, certo, c’è anche l’aspetto della sicurezza. Però, senza questo intervento strutturale di riconciliazione tra le parti in gioco, vedo difficile qualsiasi tipo di soluzione a medio o lungo termine.

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Mons. Perego: soccorso immigrati ma anche tutela da infiltrazioni

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La Commissione europea presenterà la sua nuova agenda per affrontare la questione dell'aumento dei flussi migratori verso le coste sud dell'Europa il prossimo 4 marzo. La portavoce Natasha Berthaud ha precisato che "dalle autorità italiane non è giunta nessuna ulteriore richiesta di misure di emergenza". Una grande operazione umanitaria viene chiesta dalla Fondazione Migrantes della Cei. Alessandro Guarasci ha sentito il direttore, mons. Gian Carlo Perego

R. - L’arrivo dell’Isis a Sirte è una ragione in più per un progetto internazionale di presidio del Mediterraneo e di accompagnamento proprio perché c’è un ulteriore aspetto non solo di soccorso alle persone, ma anche di tutela da parte di tutta la comunità internazionale da possibili infiltrazioni; questo è fuori dubbio. Queste ragioni in più riportino a rafforzare ancora una volta il presidio del Mediterraneo attraverso un’operazione che sia come Mare Nostrum, e che veda il coinvolgimento non solo delle forze europee ma anche delle forze internazionali.

D. - Triton ha mostrato tutti i suoi limiti, ma l’Europa anche dal punto di vista politico della cooperazione internazionale con la sponda Sud del Mediterraneo è deficitaria?

R. - L’operazione, dopo Gheddafi, non è stata gestita in maniera attenta; forse c’era bisogno effettivamente di un intervento maggiore per far diventare protagonisti sia gli esuli libici che erano in Egitto, oltre un milione e mezzo, sia tutte le diverse realtà e tribù.

D. - Ad oggi, secondo lei, ci sono le risorse finanziarie e anche di uomini per una grande operazione umanitaria nel Mediterraneo?

R. - Con il coinvolgimento di tutti i Paesi europei certamente c’è la possibilità di fare un’operazione di controllo del Mediterraneo e di soccorso delle persone e, al tempo stesso, un’operazione che sia di sicurezza per quanto riguarda effettivamente la realtà del Mediterraneo.

D. - Cosa dice a chi invece afferma: “Lasciamoli in mare”…

R. - Credo che dire ad una persona: “Ti abbandono a morire”, sia una frase che non si può neanche pensare. Dimostra l’inciviltà a cui tante volte la paura e l’ideologia porta nel considerare il dramma di tante persone.

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Copenaghen. Attentatore era danese, intelligence in difficoltà

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Danimarca ancora sotto choc dopo il duplice assalto a Copenaghen di sabato scorso che ha causato la morte di due persone e il ferimento di altre cinque. La polizia ha confermato l'arresto di due persone. L’Onu ha condannato il gesto criminale attribuito sinora all’unico attentatore, ucciso ieri dalla polizia. Gli inquirenti hanno confermato che l’uomo, un danese di 22 anni, già noto negli ambienti criminali, era legato al radicalismo islamico e si è ispirato all’attentato compiuto a Parigi contro la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. Massimiliano Menichetti ha intervistato Maurizio Simoncelli vice presidente di Archivio Disarmo: 

R. - Il fenomeno sta trovando adepti anche in persone che fino a poco tempo fa non immaginavano neppure di poter attivarsi nel fare attentati. Quindi abbiamo da un lato le cosiddette “cellule dormienti” che adesso si stanno attivando - e abbiamo visto già che contro Charlie Ebdo hanno operato in modo organizzato - e dall’altro ci sono anche altri che si muovono in modo del tutto autonomo ed indipendente, e questo complica certamente tutto il quadro del controllo da parte delle forze dell’ordine e dell’intelligence.

D. - In questo quadro anche la conquista da parte del sedicente Stato islamico di Sirte in Libia preoccupa …

R. - Preoccupa a livelli altissimi, perché la Libia si trova proprio di fronte a noi, a pochissima distanza. Purtroppo oggi possiamo dire che l’intervento in Libia è stato del tutto improvvido e abbiamo - di fatto - contribuito a far precipitare la Libia nel caos attuale. Ci troviamo di fronte ad una grave e grande sfida e quello che è importante - e che mi sembra che il nostro ministro degli Esteri abbia messo in evidenza - è che bisogna muoversi all’interno di una cornice internazionale, di legalità internazionale, che solamente le Nazioni Unite possono garantire.

D. - Questo alza anche il pericolo per l’Italia?

R. - Questo alza il pericolo per l’Italia. Evidentemente anche un tipo di intervento militare deve essere ben valutato, perché l’esperienza storica ci ha fatto vedere che gli interventi militari attuati negli ultimi 20 anni non hanno dato grandi risultati, a partire dall’Iraq all’Afghanistan, alla stessa Libia e così via.

D. - Secondo lei, lo Stato islamico ha assorbito, ha superato la dimensione di Al Qaeda?

R. - Sicuramente sì, perché ha dimostrato una capacità di propagarsi non solo su scacchieri molto più vasti - dall’Africa al Medio Oriente, all’Estremo Oriente, parlando dell’Afghanistan - ma soprattutto ha fatto un salto di qualità anche dal punto di vista organizzativo, finanziario e militare.

D. - La via per risolvere questa situazione è necessariamente quella armata o bisognerebbe far leva su tutte quelle componenti che non condividono questo dall’una e dall’altra parte?

R. - La risposta non può che essere politica, e tutte le componenti politiche, sociali e religiose devono intervenire perché altrimenti la risposta armata – lo abbiamo visto nel tempo – non ha dato i risultati che volevamo avere.

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Yemen, scontri nel Sud. Onu: ribelli sciiti lascino potere

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Il Consiglio di Sicurezza Onu ha approvato all'unanimità una risoluzione in cui si chiede ai ribelli sciiti Houti di ritirarsi "immediatamente e senza condizioni" dalle istituzioni governative e da Sanaa; di liberare dagli arresti domiciliari il presidente Abed Rabbo Mansour Hadi e il suo governo e di impegnarsi nei negoziati facilitati dall'Onu. Intanto ad Aden sono in corso scontri tra houti e fautori del governo deposto. Per saperne qualcosa di più Fausta Speranza ha intervistato Valeria Talbot, dell’Istituto Studi Politica Internazionale: 

R. – Si sono posti alla testa di un ‘non Paese’, un Paese fondamentalmente in crisi, in crisi dal 2011, dopo che la “primavera araba” ha travolto lo Yemen e ha costretto il presidente Saleh alle dimissioni. E’ succeduto il suo vice, Hadi, che però non è stato in grado di guidare il Paese fuori dalla crisi e quindi di assicurare un successo politico. In Yemen, in realtà, gli Houti combattono i gruppi terroristici affiliati ad al Qaeda. Da anni lo Yemen è un santuario del terrorismo e ci sono numerose basi di al Qaeda. Lo scontro qui è anche tra Houti e terroristi. Si intersecano dinamiche di natura diversa, non tutte riconducibili alla diffusione dei gruppi terroristici. Vi sono delle profonde divisioni tribali e settarie e quindi divisioni tra sunniti e sciiti, appunto gli Houti, che si ricollegano anche ad uno scontro geopolitico di portata regionale tra Arabia Saudita, da una parte, campione del sunnismo, e l’Iran, che, dall’altra, sostiene appunto gli sciiti nella penisola arabica.

D. – Che cosa potrebbe significare una destabilizzazione dello Yemen nell’area?

R. – La destabilizzazione dello Yemen avrebbe degli effetti rischiosissimi e deleteri, innanzitutto per l’Arabia Saudita che da anni cerca di tamponare la diffusione del terrorismo proveniente dallo Yemen e di evitare che la destabilizzazione del suo vicino meridionale possa passare all’interno del più popoloso e anche più grande Stato del Golfo.

D. – Dopo la risoluzione dell’Onu, che intervento è immaginabile da parte della comunità internazionale?

R. – La comunità internazionale dovrebbe cercare di avviare un dialogo con le parti in causa ed evitare, appunto, che questa destabilizzazione possa oltrepassare i confini dello Yemen.

D. – Ma, per dirla in parole povere, è tutta una questione interna al Paese? In questo momento lo Stato islamico non c’entra, o no?

R. – Ci sono anche delle influenze dello Stato islamico, ma vi sono delle dinamiche interne allo Yemen, proprie dello Yemen, che hanno la parte preponderante. A partire dall’influenza dei principali attori regionali: Arabia Saudita da un lato e Iran dall’altro, che sostiene gli Houti.

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Ucraina: tregua fragile tra Kiev e separatisti. Violazioni nel Donbass

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Apprensione in Ucraina per una tregua fragile, scattata alla mezzanotte tra sabato e domenica, secondo gli accordi raggiunti nel secondo Vertice di Minsk, la scorsa settimana, tra i quattro leader ucraino, russo, francese e tedesco. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Scambio di accuse reciproche, stamane, tra il governo ucraino e i ribelli filorussi di aver violato il cessate il fuoco nell’est del Paese. Kiev lamenta che almeno 5 militari ucraini sono morti e altri 25 sono rimasti feriti nelle ultime 24 ore in combattimenti nel Donbass. Ma i separatisti accusano Kiev di aver lanciato un attacco di artiglieria a Horlinvka, cittadina sotto il loro controllo e bombardato l’aeroporto di Donetsk, roccaforte dei ribelli. Ma Kiev rimpalla ai separatisti la responsabilità di avere bombardato il quartiere Panfilovka di Donetsk, per far ricadere su di loro la colpa. Intanto l’organizzazione per la sicurezza in Europa (Osce), cha ha la missione di monitorare il rispetto degli accordi di Minsk 2, ha chiesto alle parti di garantire l’accesso ai propri osservatori in tutti i territori del conflitto, compresa l’area di Debaltseve, strategico snodo ferroviario, ancora conteso tra Kiev e separatisti che tengono accerchiati circa 7 mila soldati ucraini, sotto attacco dell’artiglieria anche oggi, ha denunciato il capo della polizia regionale.

Un segnale di distensione arriva dall’Unione Europea, che potrebbe rivedere - ha riferito un portavoce di Mogherini, l’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue - le sanzioni contro persone ed entità coinvolte nella crisi ucraina se le armi sapranno tacere.

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Decreto azzardo: meno slot dal 2017, più tasse su vincite

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Un piccolo passo, ma restano dubbi e perplessità. Così Matteo Iori, presidente di Conagga, Coordinamento Nazionale Gruppi per Giocatori d'Azzardo, commenta la stretta sull’azzardo contenuta nella bozza del decreto attuativo della delega fiscale. Previsti un divieto di pubblicità in tv dalle 16 alle 19, una tassa più alta sulle vincite, un fondo da 250mln per i danni da gioco patologico e la riduzione di un terzo delle slot machine che non dovranno essere visibili dall’esterno di bar e tabaccherie. “Tali vincoli non riguardano le gaming hall, le grandi sale da gioco”, spiega con preoccupazione Matteo Iori, al microfono di Paolo Ondarza: 

R. – Una riduzione importante, sensibile, che in realtà nasconde però anche una preoccupazione, per me, nel senso che il non mettere le slot in spazi aperti, visibili a tutti coloro che – per esempio – si avvicinano ai bar, in qualche modo è positivo perché porterà meno persone a giocare; però, credo che sarà necessario uno sforzo ulteriore per avvicinare chi gioca, perché ci sono studi che dimostrano che se una persona gioca in un luogo riservato ai soli giocatori, corre maggiori rischi; mentre se una persona gioca in un luogo nel quale altre persone si avvicinano – chi per bere un caffè, chi per mangiare un panino – in qualche modo ha una fascia di protezione maggiore …

D. – Previsto anche un giro di vite sugli spot pubblicitari in tv: sarà vietato trasmettere qualsiasi messaggio promozionale sul gioco d’azzardo nella cosiddetta fascia protetta, dalle 16 alle 19 …

R. – E’ sicuramente un provvedimento importante, questo; purtroppo, però, da quanto si evince nella bozza, questo provvedimento esclude gli eventi e i canali sportivi, e quindi visto che sono proprio gli eventi sportivi che avvicinano grandi masse di spettatori molto giovani al gioco, credo che ci sia ancora margine per migliorare la bozza …

D. – Voi da tempo chiedete anche che siano rese esplicite le probabilità di vincita all’interno delle pubblicità e degli spot. Questa raccomandazione è presa in considerazione dal decreto o no?

R. – Da quanto ho letto io, non ci sono parti specifiche su questo. A oggi, le informazioni esplicite sulle possibilità di vincita vengono rimandate molto spesso, se non sempre, ai siti istituzionali dei gestori del gioco, di chi li organizza o dei monopoli di Stato, e ovviamente i giocatori non le vanno a vedere. Quindi, anche su questo ci sarà da fare di più, secondo me.

D. – E’ previsto un fondo di 250 milioni per le patologie da gioco …

R. – Sì. Questo è un segnale molto importante: ad oggi, al di là di quello che sarà questo decreto, l’attuale governo ha previsto, all’interno della Legge di stabilità, 50 milioni di euro per il gioco d’azzardo patologico: la prevenzione, la cura e la riabilitazione. E’ la prima volta che un governo italiano decide finalmente di finanziare questo e tale provvedimento dovrebbe permettere l’inserimento del gioco d’azzardo all’interno dei “Lea”, i livelli essenziali di assistenza, quelli che danno diritto ad ogni persona che ha un problema di dipendenza di avere una cura gratuita offerta e garantita dallo Stato italiano. Quindi, questo è un segnale sicuramente molto importante, che aspettavamo da tanti anni.

D. – C’è un articolo che desta qualche perplessità, ovvero quello che sembrerebbe sottrarre potere al questore circa il regolare esercizio delle sale da gioco …

R. – Diciamo che da quanto si legge, si dice che sarà il governo centrale, lo Stato a dover legiferare sul gioco stesso. Questo, quindi, toglie potere al questore, toglie potere ai sindaci, toglie potere alle Regioni … Penso che sicuramente questo sia un punto di debolezza, ma mi rendo conto che sia anche giusto che sia lo Stato stesso a legiferare su tutto il proprio territorio su questo tema, per evitare che ci siano situazioni molto differenti tra una regione e l’altra. Vorrei però che lo Stato legiferasse in modo da tutelare al massimo le persone che hanno problemi di gioco.

D. – La vostra attività di attenzione al fenomeno come proseguirà, a questo punto?

R. – Noi continueremo a fare quello che abbiamo fatto da sempre, cercando di aiutare le persone che hanno un problema di dipendenza, cercando di fare informazione e diffondere pubblicamente le criticità e le cose che la politica a volte ha permesso senza alcuna considerazione delle persone più fragili.

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Nella Chiesa e nel mondo



Egitto. Patriarca Sidrak: 21 copti uccisi, martiri per la fede

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Davanti alla strage di 21 copti egiziani decapitati in Libia dai jihadisti affiliati al sedicente Stato Islamico (Is), il patriarca di Alessandria dei copti cattolici, Ibrahim Isaac Sidrak, “porge le sue condoglianze a tutte le famiglie dei martiri, che hanno dato la vita a motivo della loro fede, e nello stesso tempo ringrazia il Presidente Abdel Fattah al Sisi e tutte le istituzioni del governo egiziano per la veloce risposta che hanno dato a tale atto terroristico”.

Guardare la loro morte alla luce della fede
Nella dichiarazione affidata all'agenzia Fides tramite i suoi collaboratori, il primate della Chiesa copta cattolica invita a guardare alla tragica morte dei fratelli copti ortodossi con uno sguardo illuminato dalla fede, mentre considera rilevante il fatto che, davanti alla barbarie sanguinaria dei jihadisti, si registri in tutto il Paese un moto di reazione unitaria.

In Egitto la vicenda ha unito cristiani e musulmani
“Questa tragica vicenda - riferisce all'agenzia Fides padre Hani Bakhoum Kiroulos, segretario del patriarcato copto cattolico - sta unendo tutto il Paese, cristiani e musulmani. Se puntavano a dividerci, il loro progetto è fallito. La dura condanna dell'università di Al Azhar (massimo Centro teologico dell'islam sunnita) è stata immediata e senza appello parlando di “azione barbara, che non ha niente a che vedere con qualsiasi religione o coi valori umani”. E anche la fulminea operazione militare dell'aviazione egiziana contro le basi dello Stato Islamico in Libia mostra che per il governo i cittadini egiziani sono tutti uguali, e che l'Egitto si sente colpito come nazione dal delirio sanguinario dei terroristi”. La Presidenza egiziana ha decretato 7 giorni di lutto nazionale per la strage dei 21 copti. (R.P.)

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Danimarca. Cristiani e musulmani insieme nel dolore

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“Sconvolti dagli eventi di Copenaghen” si definiscono i membri del Gruppo di contatto tra musulmani e cristiani, composto da rappresentanti eletti delle comunità religiose musulmane danesi e delle chiese cristiane, in un comunicato pubblicato all’indomani dei due attentati che nella capitale danese sono costati la vita a due persone: nel primo, durante un convegno sulla blasfemia a Østerbro in ricordo della strage al giornale satirico francese Charlie Hebdo, è rimasto ucciso un ascoltatore; nel secondo, poche ore dopo, nei pressi della sinagoga nel centro della città ha perso la vita una guardia della sinagoga.

Gli attacchi: “attentati contro l‘umanità”
“Le vittime e le loro famiglie sono nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere”, si legge nel messaggio ripreso dall'agenzia Sir, che incoraggia “le comunità della Danimarca alla solidarietà”. Come cittadini “abbiamo a cuore la democrazia e il diritto di riunirci per scambiare opinioni o praticare la nostra fede, senza paura di perdere la vita”. Il documento definisce gli attacchi “attentati contro l‘umanità”. Per la “comune fede in Dio che invita alla riconciliazione” i membri del gruppo misto scrivono ancora: “Siamo tutti figli di Abramo e dovremmo essere di aiuto e di sostegno a vicenda”. Per questo “oggi siamo tutti una sola famiglia nel dolore per la perdita dei due uomini a Østerbro e con la famiglia ebrea”. (R.P.)

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Varanasi: incontro interreligioso per favorire pace e dialogo

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Si è concluso oggi a Varanasi un raduno interreligioso di leader spirituali cristiani, musulmani, indù, buddisti e giainisti, organizzato per "celebrare la diversità religiosa per promuovere un mondo di pace e amore". Occasione dell'incontro - iniziato sabato scorso - è stata la celebrazione del 50mo anniversario della promulgazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate (28 ottobre 1965). Presente in qualità di presidente dell'Ufficio per il dialogo interreligioso per la Conferenza episcopale indiana (Cbci) e dell'Ufficio per gli Affari ecumenici e interreligiosi della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc), mons. Felix Machado il quale ha dichiarato all'agenzia AsiaNews che "lo scopo e l'obiettivo del nostro dialogo a Varanasi è diffondere un messaggio di pace, che è il 'bene primario dell'umanità'".

Presenti rappresentanti della Santa Sede
Alla tre giorni ha partecipato una delegazione vaticana composta da tre membri del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, tra cui mons. Thomas Dabre, vescovo di Pune (Maharashtra). Sempre in rappresentanza della comunità cristiana, oltre a mons. Machado erano presenti mons. Albert D'Souza, arcivescovo di Agra e segretario generale della Cbci e mons. Peter Parapallil, vescovo di Jhansi e presidente della Commissione per il dialogo interreligioso del Consiglio regionale dei vescovi di Agra (Arbc). Anche mons. Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in India, ha partecipato al raduno.

Varanasi, città dove tutte le religioni vivono in armonia
La scelta di riunirsi a Varanasi ha un significato preciso. "Essa - sottolinea mons. Machado, che è vescovo di Vasai - è una città sacra dove persone di tutte le religioni vivono in armonia. Credenti indù e buddisti, i nostri fratelli musulmani e anche una considerevole comunità giainista: tutti coesistono con reciproca tolleranza, da generazioni".

Dialogo interreligioso parte della fede cristiana
"L'Asia - spiega il presule - continua a riflettere la diversità religiosa del pianeta. Il dialogo interreligioso non è qualcosa di nuovo che appartiene alla Chiesa, ma è parte della fede cristiana. Stiamo commemorando il giubileo d'oro della Nostra Aetate, nella quale si afferma che la Chiesa 'esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, [...] riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi". "L'esperienza dell'umanità condivisa e della comunione dell'umanità - prosegue - costituiscono il fondamento teologico di base del dialogo interreligioso. È necessario e possibile partecipare al dialogo rispettando le differenze tra credo, e per questo diventare più aperti gli uni verso gli altri".

Riconoscere le differenze e convivere con esse
Parlando ad AsiaNews, mons. Dabre dichiara: "Le differenze possono condurre a esperienze bellissime. Tuttavia, anche se celebriamo la diversità, dobbiamo guardarci da chi dice che il relativismo è, a sua volta, eclettismo e sincretismo. Al contrario, dobbiamo riconoscere le nostre differenze e imparare a convivere con esse". (N.C.)

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Card. Raï: solidarietà con i profughi cristiani in Libano

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I maroniti e tutti i cristiani libanesi diano prova di generosità verso i cristiani cacciati dalle loro terre e costretti all’esodo dalla guerra in Siria e Iraq. E’ l’accorato appello del patriarca di Antiochia dei maroniti card. Bechara Raï nel suo annuale messaggio di Quaresima. Il documento - riporta l’Orient-le-Jour - è dedicato al tema della solidarietà al centro del Messaggio quaresimale di Papa Francesco che ci invita a respingere la “globalizzazione dell’indifferenza” verso i fratelli sofferenti. 

“Dio non è indifferente”
E proprio alle riflessioni del Santo Padre fa ampio riferimento il testo del capo della Chiesa maronita. “Dio – afferma Papa Francesco - non è indifferente al mondo, ma lo ama fino a dare il suo Figlio per la salvezza di ogni uomo. Nell’incarnazione, nella vita terrena, nella morte e risurrezione del Figlio di Dio, si apre definitivamente la porta tra Dio e uomo. E la Chiesa – aggiunge - è come la mano che tiene aperta questa porta mediante la proclamazione della Parola, la celebrazione dei Sacramenti, la testimonianza della fede che si rende efficace nella carità. Tuttavia – ammonisce il messaggio pontificio - il mondo tende a chiudersi in se stesso e a chiudere quella porta attraverso la quale Dio entra nel mondo e il mondo in Lui”. Di qui la necessità del rinnovamento del Popolo di Dio “per non diventare indifferente e per non chiudersi in se stesso”.

Sostenere gli aiuti di Caritas Libano a sostegno dei profughi
Riferendosi all’emergenza profughi in Libano e in tutta la regione il card. Raï invita quindi tutti i fedeli libanesi a partecipare generosamente alla colletta di Quaresima di Caritas Libano i cui proventi serviranno ad aiutare queste persone. La proprietà privata ricorda infatti è sempre vincolata ad un obbligo sociale
(A cura di Lisa Zengarini)

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Pennsylvania: soddisfazione Chiesa per moratoria pena di morte

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Soddisfazione è stata espressa da mons. Charles Chaput, arcivescovo di Philadelphia, per la moratoria sulla pena di morte nello Stato della Pennysilvania, decisa due giorni fa dal neo-eletto governatore, Tom Wolf. Motivando la sua decisione, il democratico Wolf ha spiegato che il sistema attuale circa la pena capitale è “soggetto all'errore, costoso e tutt'altro che infallibile”. La moratoria rimarrà in vigore almeno fino a quando non verranno rese note le conclusioni di un Rapporto affidato alla Commissione legislativa che da quattro anni si occupa della questione.

Pena capitale disonora dignità umana
“Sono molto grato al governatore Wolf – scrive in una nota mons. Chaput - per aver scelto di approfondire l’esame del Rapporto e prego affinché si riesca a trovare un modo migliore per punire i colpevoli di simili crimini”. “Scegliere altro rispetto alla pena capitale – continua il presule – non diminuisce il nostro supporto alle famiglie delle vittime di omicidio. Esse portano un terribile e doloroso fardello e, giustamente, chiedono giustizia”. Tuttavia, afferma mons. Chaput, “uccidere il colpevole non onora i morti, né nobilita i vivi”, perché “quando strappiamo via la vita di una persona colpevole, aggiungiamo soltanto violenza ad una cultura violenta e, così facendo, sminuiamo la nostra dignità”. (I.P.)

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Sudafrica: vescovi condannano incidenti in Parlamento

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I vescovi sudafricani sono “allarmati” dagli incidenti verificatisi in Parlamento il 13 febbraio durante il discorso sullo Stato della Nazione del Presidente Jacob Zuma. Nel corso della seduta, i membri del Partito di opposizione Economic Freedom Fighters (Eff) sono stati portati via con la forza dalla polizia, entrata in aula dopo che avevano interrotto l’intervento del Capo del Governo, per chiedergli chiarimenti sullo scandalo della ristrutturazione della sua residenza di campagna a Nkandla finanziata con soldi pubblici. Nella colluttazione sette membri dell'Eff sarebbero rimasti contusi.

Rispettare le prerogative del Parlamento
La vicenda ha suscitato vive polemiche in tutto il Paese. Dura anche la posizione dei vescovi, che in una nota criticano sia la condotta scomposta dei membri dell’Eff, sia l’intervento delle forze di sicurezza in aula: “Se i partiti politici hanno il diritto e il dovere di chiedere conto dell’operato dell’Esecutivo, ci chiediamo se il discorso sullo Stato della Nazione fosse l’occasione opportuna per farlo. Allo stesso tempo riteniamo eccessiva la decisione dei commessi di chiamare subito le forze di sicurezza”, un intervento che rappresenta “una seria violazione dell’autonomia del Parlamento”. Con altrettanta fermezza i presuli sudafricani condannano anche la schermatura dei cellulari dei parlamentari nell’aula: “È un diritto fondamentale di ogni cittadino sudafricano sapere quello che sta accadendo in Parlamento – affermano - e ogni tentativo di impedirlo è una violazione della Costituzione e delle prerogative del Parlamento”.

Il Presidente Zuma faccia chiarezza
Infine, la nota si rivolge direttamente al Presidente Zuma richiamandolo al dovere di dare risposte esaurienti al Parlamento e alla Nazione su come sono stati spesi i soldi pubblici per la sua residenza di Nkandla. Anche il fatto che gli incidenti in Parlamento abbiano oscurato il discorso del Presidente, rappresenta per i vescovi “un disservizio alla democrazia e ai cittadini del Sudafrica. Vent’anni dopo l’introduzione della democrazia, meritiamo di meglio”.

Il Presidente Zuma rieletto nel 2014 nonostante lo scandalo
Secondo il governo di Pretoria gli interventi di ristrutturazione e ampliamento nella proprietà del Presidente sono stati fatti per ragioni di sicurezza. Ma guardando le foto e le immagini satellitari si possono distinguere, oltre a case per parenti e ospiti, un campo da calcio, una piattaforma per elicotteri, un recinto per il bestiame, una piscina e un anfiteatro. Lo scandalo non ha impedito la rielezione di Zuma il 7 maggio 2014. (L.Z.)

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Brasile: 10 anni fa l'assassinio di suor Dorothy Stang

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La Chiesa in Brasile ha ricordato il 10.mo anniversario della morte di suor Dorothy Stang e la sua dedizione all'evangelizzazione dei popoli dell'Amazzonia. "La sua azione umile, silenziosa e quasi isolata, si moltiplica adesso in ogni angolo del Brasile, conquistando i cuori e le menti di tante persone, e va oltre le dimensioni del mondo e del tempo" ha detto il vescovo brasiliano di Balsas (Maranho) e presidente della Commissione Pastorale della Terra (Cpt), mons. Enemésio Ângelo Lazzaris.

La sua lotta contro le ingiustizie dei latifondisti
Suor Dorothy Stang, 73 anni, nata negli Stati Uniti d’America e naturalizzata brasiliana, della Congregazione di Notre Dame - riferisce l'agenzia Fides - è stata uccisa la mattina del 12 febbraio 2005 con sei colpi sparati a bruciapelo in una località a 40 km dal comune di Anapu, nella regione occidentale dello stato del Parà (Brasile). Da più di vent’anni la religiosa era impegnata nella Commissione Pastorale della terra (Cpt), accompagnando con fermezza e passione la vita dei lavoratori dei campi, specie nella regione Transamazzonica dello Stato del Parà. A causa della sua denuncia dell’azione violenta dei “fazendeiros e grileiros”, suor Dorothy sin dal 1999 aveva ricevuto numerose minacce di morte.

Il seme seppellito da suor Dorothy porterà molto frutto
Il 12 febbraio scorso, anche il vescovo della prelatura di Xingu e presidente del Consiglio Indigenista Missionario, mons. Erwin Kräutler, ha presieduto la Messa in suffragio di suor Dorothy. La celebrazione si è svolta nella centrale di San Rafael in Anapu, dove si trova la tomba della missionaria. "Quando è stato seppellito il corpo di suor Dorothy, nel febbraio 2005, abbiamo ripetuto molte volte: 'non stiamo seppellendo suor Dorothy, ma stiamo piantando un seme'. Ella è un seme che porterà molto frutto. Vogliamo celebrare questi frutti e i nuovi semi che questi frutti stanno dando" riporta la nota della Prelatura di Xingu. (R.P.)

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Messico: da 20 anni assistono i migranti in viaggio verso gli Usa

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“Le donne del gruppo denominato 'La Patrona' contraddicono l'egoismo, l'orgoglio e l'avidità di politici e governanti che hanno portato al caos, cosìcché le persone devono spostarsi per sopravvivere”: lo ha detto mons. José Raúl Vera López, vescovo di Saltillo, in Messico, durante la Messa celebrata sabato scorso per i 20 anni di vita del gruppo. Guidate da Norma Romero Vazquez e da sua madre, Leonila Vázquez, queste 15 donne stanno in piedi a fianco dei binari del treno chiamato "La bestia" ad Amatlán de los Reyes, Veracruz, per offrire cibo e acqua ai migranti che attraversano in treno questa regione in transito verso gli Stati Uniti.

A Veracruz attivisti e difensori dei diritti umani del Messico
La nota inviata all'agenzia Fides da una fonte locale, informa che per celebrare questi 20 anni di servizio volontario gratuito, si sono riuniti attivisti e difensori dei diritti umani provenienti da tutto il Paese, come padre Alejandro Solalinde (direttore della casa migrante Hermanos del Camino, a Oaxaca); Fray Tomás González, da Tenosique, Tabasco; Prisiliano Peraza, di Sonora; Leticia Valderrama, Ruben Figueroa e Martha Sanchez Soler, coordinatori del Movimento Migranti.

Una Messa lungo i binari
Mons. Vera López, che ha celebrato la Messa lungo i binari, dove il gruppo svolge la sua attività umanitaria, ha concluso con queste parole: "Dio vuole che tutti possano mangiare tutti i giorni, e queste donne lo sanno. Ecco perché quando i migranti passano da qui, cercano di dar loro da mangiare. Il fatto di essere nato in un posto dove le cose sono molto disastrate, non giustifica il rimanere senza mangiare".

20mila migranti salgono ogni anno sul treno verso gli Usa
Gli emigranti che viaggiano sul treno "La bestia" sembra raggiungano le 20 mila unità ogni anno. Molti di loro vengono derubati e addirittura sequestrati. Nello stato di Veracruz c'è un tasso altissimo di violenza contro i migranti: solo nel 2014 sono state registrate ufficialmente 157 vittime di sequestro, ma ci sono tanti altri casi che non vengono denunciati alle autorità. Il gruppo “La Patrona” nel 2013 ha ricevuto, per il suo contributo sociale, il Premio nazionale per i diritti umani. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 47

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.