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Sommario del 15/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa ai neo-cardinali: cercare i lontani senza pregiudizi, non isolarsi in una casta

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La “strada della Chiesa” è andare a “cercare, senza pregiudizi e senza paura, i lontani”. E’ uno dei passaggi più forti dell’appassionata omelia di Francesco nella Messa, nella Basilica di San Pietro, con i 20 nuovi cardinali all'indomani del Concistoro. Il Papa ha esortato i porporati a seguire Gesù, che ha scosso la mentalità “chiusa nella paura e autolimitata dai pregiudizi”, impegnandosi nel servire gli emarginati del nostro tempo. Ancora, il Papa ha messo in guardia i neo-cardinali dalla tentazione di isolarsi in una casta, che, ha ammonito, non ha nulla di ecclesiale. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Gesù ha compassione di un lebbroso che supplica di purificarlo e lo guarisce. Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal passo del Vangelo domenicale che mostra una delle immagini più potenti della misericordia divina. Il lebbroso, ha infatti rammentato il Papa rivolgendosi innanzitutto ai 20 nuovi cardinali, era “abbandonato dai propri familiari, evitato dalle altre persone, emarginato dalla società”. Era considerato impuro e, dunque, la finalità del suo isolamento era “salvare i sani, proteggere i giusti” dal rischio del contagio.

Gesù vince i pregiudizi e reintegra il lebbroso emarginato
Gesù però, ha soggiunto, “si lascia coinvolgere nel dolore e nel bisogno della gente”, non si “vergogna di avere ‘compassione’”, “patire-con” il sofferente e per questo agisce in concreto per “reintegrare l’emarginato”. Così facendo, quindi, “rivoluziona e scuote con forza quella mentalità chiusa nella paura e autolimitata dai pregiudizi”:

“Gesù, nuovo Mosè, ha voluto guarire il lebbroso, l’ha voluto toccare, l’ha voluto reintegrare nella comunità, senza ‘autolimitarsi’ nei pregiudizi; senza adeguarsi alla mentalità dominante della gente; senza preoccuparsi affatto del contagio. Gesù risponde alla supplica del lebbroso senza indugio e senza i soliti rimandi per studiare la situazione e tutte le eventuali conseguenze! Per Gesù ciò che conta, soprattutto, è raggiungere e salvare i lontani, curare le ferite dei malati, reintegrare tutti nella famiglia di Dio. E questo scandalizza qualcuno!”

Gesù, ha proseguito Francesco in una Basilica petrina gremita di fedeli, “non ha paura di questo tipo di scandalo! Egli non pensa alle persone chiuse che si scandalizzano addirittura per una guarigione, che si scandalizzano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali”. Non pensa a quanti si scandalizzano difronte “a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda alle loro abitudini di pensiero e alla loro purità ritualistica. Egli ha voluto integrare gli emarginati, salvare coloro che sono fuori dall’accampamento”.

Effondere la misericordia di Dio a chi la chiede con cuore sincero
Francesco ha così constatato che ci “sono due logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti”:

“Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio”.

Queste due logiche, ha ribadito, “percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare”. E tuttavia, ha sottolineato, dal Concilio di Gerusalemme, la “strada della Chiesa” è “sempre quella di Gesù, della misericordia e dell’integrazione”: non “fare entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito”:

“La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” essenziali dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Lc 5,31-32)”.

La strada della Chiesa è cercare i lontani senza paura e pregiudizi
Guarendo il lebbroso, ha annotato il Papa, “Gesù non reca alcun danno a chi è sano, anzi lo libera dalla paura; non gli apporta un pericolo ma gli dona un fratello; non disprezza la Legge ma apprezza l’uomo, per il quale Dio ha ispirato la Legge”. Ed ha evidenziato che la carità “non può essere neutra, asettica, indifferente, tiepida o imparziale”. La carità, piuttosto, “è creativa nel trovare il linguaggio giusto per comunicare con tutti coloro che vengono ritenuti inguaribili e quindi intoccabili”. “Il contatto – ha detto – è il vero linguaggio comunicativo, lo stesso linguaggio affettivo che ha trasmesso al lebbroso la guarigione”.

“Cari nuovi Cardinali, questa è la logica di Gesù, questa è la strada della Chiesa: non solo accogliere e integrare, con coraggio evangelico, quelli che bussano alla nostra porta, ma uscire, andare a cercare, senza pregiudizi e senza paura, i lontani manifestando loro gratuitamente ciò che noi abbiamo gratuitamente ricevuto. «Chi dice di rimanere in [Cristo], deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2,6). La totale disponibilità nel servire gli altri è il nostro segno distintivo, è l’unico nostro titolo di onore!”.

Servire chi soffre senza isolarsi in una casta
E sempre rivolgendosi ai nuovi porporati, nel giorno in cui hanno ricevuto il titolo cardinalizio, il Papa li ha esortati “a non avere paura di accogliere con tenerezza gli emarginati; a non avere paura della tenerezza” e “della compassione”. Maria, ha soggiunto, “ci rivesta di pazienza nell’accompagnarli nel loro cammino, senza cercare i risultati di un successo mondano”:

“Cari fratelli, guardando a Gesù e alla nostra Madre, vi esorto a servire la Chiesa in modo tale che i cristiani - edificati dalla nostra testimonianza - non siano tentati di stare con Gesù senza voler stare con gli emarginati, isolandosi in una casta che nulla ha di autenticamente ecclesiale. Vi esorto a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, per qualsiasi motivo; a vedere il Signore in ogni persona esclusa che ha fame, che ha sete, che è nuda”. 

Sul Vangelo degli emarginati si rivela la nostra credibilità
Il Signore, ha ripreso il Papa, è “presente anche in coloro che hanno perso la fede” o “che si dichiarano atei”. “Non scopriamo il Signore se non accogliamo in modo autentico l’emarginato”, ha poi ammonito ricordando “l’immagine di San Francesco che non ha avuto paura di abbracciare il lebbroso e di accogliere coloro che soffrono qualsiasi genere di emarginazione”. In realtà, ha concluso Francesco, proprio “sul Vangelo degli emarginati, si gioca, si scopre e si rivela la nostra credibilità!”.

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Superare ogni tipo di emarginazione: così il Papa all’Angelus

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“Non avere paura di guardare un povero negli occhi”: così Papa Francesco che all’Angelus chiede di “eliminare ogni tipo di emarginazione sociale”. Poi, il pensiero a quanti in Estremo Oriente si apprestano a festeggiare il capodanno lunare sotto il segno della fraternità. Un applauso chiesto per i nuovi cardinali e il rinnovato invito a pregare per il Papa. 60.000 le persone in piazza. Il servizio di Fausta Speranza: 

“Cristo non si pone a distanza di sicurezza e non agisce per delega”: questo il messaggio di Francesco che sottolinea:

“Dio non viene a “tenere una lezione” sul dolore; non viene neanche ad eliminare dal mondo la sofferenza e la morte; viene piuttosto a prendere su di sé il peso della nostra condizione umana, a portarla fino in fondo, per liberarci in modo radicale e definitivo. Così Cristo combatte i mali e le sofferenze del mondo: facendosene carico e vincendoli con la forza della misericordia di Dio”.

Nel racconto dell’evangelista Marco il malato è un lebbroso e Papa Francesco ribadisce: “una malattia contagiosa e impietosa, che sfigura la persona, e che era simbolo di impurità: il lebbroso doveva stare fuori dai centri abitati e segnalare la sua presenza ai passanti.” “Era – aggiunge - emarginato dalla comunità civile e religiosa. Era come un morto ambulante".

Gesù manifesta compassione per il lebbroso, che significa – spiega - “patire-con-l’altro”. Da parte sua, il lebbroso ha supplicato Gesù e il Papa la definisce “una preghiera umile e fiduciosa”. La preghiera, e poi Gesù che per salvarlo lo tocca. Francesco dice: “un particolare che è molto importante”. E Francesco chiarisce: se vogliamo essere veri discepoli di Gesù, dobbiamo superare ogni tipo di emarginazione:

“…di fronte a un povero o a un malato, non dobbiamo avere paura di guardarlo negli occhi e di avvicinarci con tenerezza e compassione, e di toccarlo e di abbracciarlo. Ho spesso chiesto alle persone che aiutano gli altri, di farlo guardandoli negli occhi, di non avere paura di toccarli; che il gesto di aiuto sia anche un gesto di comunicazione: anche noi abbiamo bisogno di essere da loro accolti. Un gesto di tenerezza, un gesto di compassione … Ma, io vi domando: voi, quando aiutate gli altri, li guardate negli occhi? Li accogliete senza paura di toccarli? Li accogliete con tenerezza? Pensate a questo: come aiutate, a distanza o con tenerezza, con vicinanza?”.

E poi l’invito a ricordarci dei Sacramenti perché tutti possiamo essere risanati dal peccato:

“Questo avviene ogni volta che riceviamo con fede un Sacramento: il Signore Gesù ci “tocca” e ci dona la sua grazia. In questo caso pensiamo specialmente al Sacramento della Riconciliazione, che ci guarisce dalla lebbra del peccato".

E Francesco lascia una certezza:

“Se il male è contagioso, lo è anche il bene. Pertanto, bisogna che abbondi in noi, sempre più, il bene. Lasciamoci contagiare dal bene e contagiamo il bene!”.

In definitiva, il senso dell’incontro con Gesù:

“L’azione di Gesù contro ogni specie di male, a beneficio dei sofferenti nel corpo e nello spirito: indemoniati, ammalati, peccatori… Egli si presenta come colui che combatte e vince il male ovunque lo incontri".

“Gesù - dice - si espone direttamente al contagio del nostro male; e così proprio il nostro male diventa il luogo del contatto: Lui, Gesù, prende da noi la nostra umanità malata e noi prendiamo da Lui la sua umanità sana e risanante".

Dopo la preghiera mariana, un augurio speciale del Papa “di serenità e di pace a tutti gli uomini e le donne che nell’Estremo Oriente e in varie parti del mondo si preparano a celebrare il capodanno lunare”. “Tali festività – afferma Francesco - offrono loro la felice occasione di riscoprire e di vivere in modo intenso la fraternità, che è vincolo prezioso della vita familiare e basamento della vita sociale”.

“Questo ritorno annuale alle radici della persona e della famiglia possa aiutare quei Popoli a costruire una società in cui si tessono relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità".

Dunque, i saluti ai romani e pellegrini e, in particolare, a quanti sono “venuti in occasione del Concistoro, per accompagnare i nuovi cardinali”, con un ringraziamento “ai Paesi che hanno voluto essere presenti a questo evento con delegazioni ufficiali”. Un pensiero ai pellegrini spagnoli provenienti da San Sebastián, Campo de Criptana, Orense, Pontevedra e Ferrol; gli studenti di Campo Valongo e Porto, in Portogallo, e quelli di Parigi; il “Foro delle Istituzioni Cristiane” della Slovacchia; i fedeli di Buren (Olanda), i militari statunitensi di stanza in Germania e la comunità dei venezuelani residenti in Italia. Poi, i giovani di Busca, i fedeli di Leno, Mussoi, Monteolimpino, Rivalta sul Mincio e Forette di Vigasio, i molti gruppi scolastici e di catechesi da tante parti d’Italia. Per tutti l’incoraggiamento “ad essere testimoni gioiosi e coraggiosi di Gesù nella vita di ogni giorno”.

E il saluto particolare di Francesco:

“A tutti auguro una buona domenica. Per favore, non dimenticate di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci!”.

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Oggi in Primo Piano



Danimarca: duplice attacco a Copenhagen, 2 morti e 5 feriti

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È di due morti e cinque feriti, tra cui due poliziotti colpiti a un braccio e a una gamba, il bilancio della duplice sparatoria di ieri a Copenhagen, in Danimarca, dove nel pomeriggio è stato attaccato un caffé in cui si svolgeva un convegno e, nella notte, una sinagoga. Il Paese mantiene alto lo stato di allerta terrorismo. I particolari nel servizio di Roberta Barbi: 

L’ombra del terrorismo si allunga su Copenhagen, la capitale della Danimarca e finora una delle città più tranquille e sicure dell’Europa. Ieri pomeriggio un uomo ha fatto irruzione a un convegno sulla libertà d’espressione e la blasfemia sparando sui presenti e nella notte la scena si è ripetuta davanti a una sinagoga, dove è rimasto ucciso un membro della comunità ebraica che stava vigilando sullo svolgimento a porte chiuse di una cerimonia. Dopo una notte d’intensa caccia all’uomo, la polizia ha fatto sapere di aver raggiunto e ucciso all’alba, nei pressi di una stazione ferroviaria, un giovane tra i 25 e i 30 anni, probabilmente arabo e verosimilmente autore di entrambi gli episodi. “Difenderemo la nostra democrazia, se è attaccata la comunità ebraica lo è tutta la Danimarca – è stato il commento del premier danese Helle Thorning-Schmidt – non ne conosciamo i motivi, ma vogliono attaccare la nostra libertà; non è uno scontro tra Islam e Occidente, tra musulmani e non musulmani”. Non si è fatta attendere neanche la reazione dell’Alto rappresentante dell’Unione per la politica estera, Federica Mogherini, che ha dichiarato: “L’Europa non si farà intimidire”. Immediata la solidarietà del presidente israeliano Netanyahu che ha invitato gli ebrei d’Europa a trasferirsi: “Israele è la vostra casa”, ha detto.

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Aleppo dimenticata: situazione umanitaria catastrofica

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La guerra in Siria non conosce pause: i curdi hanno conquistato almeno 163 villaggi nell'area intorno a Kobane, vicino al confine con la Turchia, da dove sono stati espulsi i jihadisti dell'Is. Il conflitto va avanti da quasi 4 anni ed ha causato finora la morte di oltre 210mila persone: più di due milioni e mezzo di siriani sono sfollati interni o profughi. Drammatica la situazione ad Aleppo, come ci riferisce il religioso marista Georges Sabe, raggiunto telefonicamente nella città da Hélène Destombes

R. – La situation humanitaire de la ville d’Alep est catastrophique de tous les points de vue. ...
La situazione umanitaria della città di Aleppo è catastrofica sotto tutti gli aspetti. Praticamente, non abbiamo elettricità: ce l’abbiamo solo un’ora al giorno. Manca il gas, come anche il carburante e il riscaldamento, proprio adesso che è inverno. La stessa cosa vale per la benzina. I bombardamenti sono incessanti e i colpi di mortaio arrivano sui civili, su tutti e due i fronti. Tra i morti ci sono tanti giovani. Aleppo è veramente dimenticata. Ci chiediamo “perché?”. Viene quasi da pensare a una punizione collettiva … Molte famiglie pensano di abbandonare la città: ne hanno abbastanza della situazione che vivono. L’orizzonte di Aleppo è veramente chiuso …

D. – La città è bombardata ogni giorno …

R. – Oui, la ville est bombardée quotidiennement. …
Si, ogni giorno la città è sotto i bombardamenti. Non sono i cristiani ad essere presi di mira, ma i quartieri nei quali viviamo. Per questo i bombardamenti sono continui. La gente è stanca, ha paura, la vita è diventata carissima … Si ha l’impressione di essere condannati al silenzio e all’oblio del mondo … Vorremmo riprendere la nostra vita, ma è molto complicato. Ogni giorno, ogni mattina la gente si sveglia e quando si alza si chiede se la sera riuscirà a tornare a casa, se non rimarrà sotto a qualche proiettile …

D. – Sappiamo che il sedicente Stato islamico è presente nella regione di Aleppo. Ma è presente anche nella città?

R. – Maintenant, dans la ville elle-même, non. …
In questo momento, nella città stessa, no. Ma vede, la minaccia è reale. Le persone hanno paura che la città sia invasa dallo Stato islamico, da queste forze che sono veramente terribili: ma tutti, sia i musulmani sia noi cristiani siamo preoccupati.

D. – Lei spera che i piani dell’Onu per gli aiuti umanitari vengano accettati?

R. – Je vais vous dire, les Aleppins sont maintenant pire que Saint-Thomas. …
Le dirò, in questo momento gli abitanti di Aleppo sono peggio di San Tommaso. Finché non vedremo dei passi concreti sul terreno, dei progressi nella pacificazione della città che consentano di far arrivare le derrate alimentari e quindi alle persone di vivere, di riprendere fiducia, noi non crediamo più a niente. Sono solo promesse, e di promesse ne abbiamo ricevute così tante … e la gente rimane a subire le conseguenze della guerra. Vogliamo la pace, ma per quanto riguarda le promesse, dopo tre anni di guerra in questo momento veramente non vediamo luce all’orizzonte …

D. – Di fronte a questa assenza di prospettive, quali sono le vostre speranze?

R. – Nous croyons dans l’entraide entre les gens, dans le soutien que les gens …
Noi crediamo nell’aiuto tra le persone, nel supporto che le persone si danno, gli uni agli altri. Crediamo molto in questo spirito che regna tra la popolazione, è vero. Bisogna dire che tra di noi c’è una grande solidarietà. C’è un’altra fiducia. Per il resto, il lumicino di speranza … non so come potremmo immaginarcelo … Per il momento, non ci riusciamo proprio. Noi ci speriamo, ma in questo momento è soltanto un punto interrogativo …

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Sierra Leone: di nuovo allarme ebola, in quarantena 700 case

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Sierra Leone sotto choc dopo la decisione del governo di mettere in quarantena circa settecento abitazioni in un quartiere costiero della capitale Freetown, dopo la morte di un pescatore della zona, risultato positivo al virus dell’Ebola. Il provvedimento, che avrà una durata di almeno tre settimane, giunge a meno di un mese dalla revoca delle pesanti restrizioni agli spostamenti in vigore nel Paese africano dal luglio dell'anno scorso. Con quasi 11.000 casi di contagio e oltre 3.600 decessi, la Sierra Leone risulta aver pagato il tributo in assoluto più grave al virus portatore della letale febbre emorragica. Negli ultimi giorni, l'Organizzazione Mondiale della Sanità aveva lanciato l’allarme per un aumento dei casi per la seconda settimana consecutiva, mentre in altri Paesi, come Liberia e Guinea, stanno riaprendo le scuole, dopo sette mesi di chiusura dovuta all'emergenza Ebola. Ma qual è ora la situazione nella Sierra Leone, scossa dal nuovo periodo di quarantena? Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Freetown padre Maurizio Boa, della congregazione dei Giuseppini del Murialdo: 

R. – E’ stato come un fulmine a ciel sereno, perché sembrava proprio che il contagio stesse diminuendo. Invece, in questi giorni, è un completo disastro. Quello che mi colpisce di più sono le morti a grappolo: 6-8-10 per famiglia, anche di più. Ebola entra, infetta uno e fa morire tutti! Un immane dolore per chi resta, i ‘survivors’, che hanno seriamente bisogno di vicinanza ed affetto. Ieri è morta la nostra segretaria, la segretaria della scuola Murialdo Vocational Institute. Era incinta, aveva dato alla luce un bambino ed è morta di Ebola. Tre suoi familiari sono morti e altri 10 sono infettati. Non si capisce questo colpo di coda di Ebola: che cosa stia succedendo e perché. Eppure c’è continua attenzione da parte della gente, ancora nessuno si tocca. Addirittura si sta parlando su come poter dare le Ceneri, senza toccare le persone per evitare così ogni contatto e ogni contagio.

D. – Cosa è successo al bambino?

R. – E’ morto con la mamma… Era una ragazza solare, allegra, servizievole verso gli studenti, contenta di questa gravidanza. Erano tre giorni che la cercavamo, perché era andata via da Kambia e non sapevamo dove l’avessero portata: sino a quando, ieri, abbiamo avuto la notizia della sua morte. Siamo andati a seppellirla con il team Ebola.

D. – Ora qual è la situazione? La popolazione come affronta questo momento?

R. – Sono due posti isolati, due opposti quartieri: uno a Kambia e uno a Freetown. Nelle altre zone siamo vicini a zero, se non a zero per quanto riguarda il numero dei contagi, ma qui il virus è proprio esploso.

D. – Come vengono curati quanti colpiti dal virus, ma anche dalle altre malattie endemiche del Paese?

R.- Ci sono diversi centri ben attrezzati, soprattutto quello di Emergency, che hanno macchinari per cambiare il sangue e mettere quello delle persone che hanno avuto Ebola e sono guarite. Ci sono anche dei medicinali, ma su questo ci sono parecchie opinioni diverse: qualcuno dice che vanno bene, qualcun altro no, perché non sono stati sufficientemente testati. Si fa quel che si può. Molti guariscano - e questo è un buon segno - quando vengono presi in tempo e trattati nel giusto modo.

D. – Ci sono altre malattie che in questo momento preoccupano?

R. – La malaria, si cura con le medicine. Ma secondo me le donne incinte sono quelle che hanno più problemi, perché nessuno vuol toccarle: negli ospedali e da lì le mandano a destra e a sinistra, prima di riuscire ad avere pace e tranquillità per mettere alla luce il loro bambino.

D. – Un’altra faccia del dramma del virus è quella dei bambini rimasti orfani. Secondo l’Unicef sarebbero 16 mila tra Guinea, Liberia e Sierra Leone. Voi, come comunità dei Giuseppini, come vi impegnate al riguardo?

R. – Io posso parlare per Waterloo: Waterloo è un ex aeroporto militare della Seconda Guerra Mondiale che è diventato un campo profughi nel ’91 per ospitare i profughi della Liberia e poi quelli della guerra della Sierra Leone. Oggi è un villaggio, che si chiama ‘Kissi Town’. Sono oltre 20 mila i residenti. C’è stata una esplosione di Ebola in settembre, ottobre e novembre: poi con l’intervento di Emergency i numeri sono calati immediatamente. Però sono rimasti 134 orfani e le vedove. Noi stiamo lavorando per loro. Gli orfani hanno trovato delle famiglie che li ospitano per adesso e stiamo aspettando il dopo-ebola per avere numeri certi, situazioni sicure e vedere poi cosa si può fare. Intanto diamo cibo, alloggio, vestiario a questi bambini; e lo stesso per le vedove, che sono senza marito e hanno dei figli, anche bambini piccoli: diamo loro vitto, soldi. Cosa si può fare? Bisogna sostenerle, perché lavoro non ce n’è per nessuno. E poi, pian piano, vedremo cosa si potrà fare. Noi speravamo tanto che alla fine di marzo si riaprissero le scuole: questo sarebbe un grande respiro per tutti. Invece, chissà! La nostra speranza è che torni tutto come prima, con la serenità, la gioia per la vita, la voglia di fare. Purtroppo però è un po’ lontana questa speranza oggi, più lontana di ieri.

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I tamil: Onu indaghi su anni di guerra civile in Sri Lanka

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Nello Sri Lanka le autorità Tamil del nord hanno adottato una risoluzione in cui si chiede un’inchiesta dell’Onu per genocidio e crimini di guerra commessi dall’esercito cingalese contro l’etnia durante la sanguinosa guerra civile conclusasi nel 2009. Quali conseguenze avrebbe oggi un’inchiesta internazionale per un Paese ancora alla ricerca di una difficile stabilizzazione? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Stefano Vecchia, esperto di Asia: 

R. - A cinque anni dalla fine del conflitto la pace di fatto è ancora lontana. Quello che la rappresentanza politica della regione nord dell’isola, quindi quella tamil, cerca è in qualche modo di non far cadere l’attenzione internazionale perché il rischio è che altrimenti questa giustizia, che è stata negata per molti anni, alla fine non si venga mai a realizzare e quindi non si venga mai a realizzare quell’unità di cui il Paese ha bisogno anche in prospettiva per lo sviluppo.

D. –Nello Sri Lanka di oggi, di fatto, una reale fusione delle due etnie non c’è stata …

R. – Non c’è stata, non è stata possibile finora proprio per i postumi della guerra  e proprio perché fino all’inizio di quest’anno il Paese era comunque sotto un regime che ha condotto la guerra con metodi anche molto discutibili. Quello che lamentano i Tamil è che questo stato di separazione di fatto, in realtà, dura dal 1948, quindi dall’inizio dell’indipendenza dai britannici e le speranze che un‘unità si riesca a concretizzare sono stata finora eluse anche nel dopoguerra, perché naturalmente non si tratta solo di decidere che da un momento all’altro la guerra è finita per cui il popolo deve unirsi, ma è proprio la difficoltà, il baratro che si è creato tra le comunità a rendere questo dialogo ancora oggi difficilissimo, oltre ad una prospettiva di sviluppo che per i Tamil non si è mai realizzata.

D. - Un dialogo ancora oggi impossibile secondo per il fatto che poi non c’è stato un reale inserimento nelle cariche istituzionali dell’etnia tamil?

R. - Sì, questo non è stato possibile per ora. Con il presidente Sirinsena in carica dopo l’8 gennaio il tentativo di integrare i tamil c’è. Ricordo che il primo ministro è tamil così come lo sono altri nel governo. I partiti tamil sono presenti anche in coalizione nel governo centrale. Quindi le prospettive sono buone. Quello che però i tamil non vogliono è che venga a cadere questa possibilità di fare giustizia su decenni di conflitto che ha significato grandi dolori per tutti, ma soprattutto decine di migliaia di vittime, di perdite umane per questa minoranza e appunto - ancora una volta - una segregazione che permane.

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In un film, la storia delle battaglie di Martin Luther King

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E’ arrivato anche nelle sale italiane il film diretto dalla regista afroamericana Ava DuVernay “Selma - La strada per la libertà”, protagonista l'attore inglese di origini nigeriane David Oyelowo nei panni di Martin Luther King. E' il racconto storicamente accurato di quanto accadde in Alabama nel 1965 nel corso delle proteste pacifiche della comunità afroamericana per ottenere il diritto di voto. Il servizio di Luca Pellegrini. 

Il 7 marzo 1965, seicento dimostranti di colore che partecipavano a una pacifica marcia, attraversando l'Alabama River sull'Edmund Pettus Bridge di Selma, nello Stato dell'Alabama, vennero caricati dalla guardia nazionale, bianca. Chiedevano uguali diritti di voto, negato in quelli Stati del Sud ancora gravati dalle forme più cupe e odiose di razzismo. Per l'America si apriva in casa il fronte di una guerra, mentre nella lontanissima Asia se ne stava combattendo un'altra inutile e tragica. Qualche giorno più tardi un pastore evangelico di Boston, James Reeb, unitosi a una seconda marcia condotta da Martin Luther King, moriva con il cranio fracassato per le percosse ricevute da alcuni segregazionisti, bianchi. Dovevano passare mesi di violenze, sdegni nazionali e una buona dose di faide politiche perché il Presidente Johnson firmasse, il 6 agosto 1965, lo storico "Voting Rights Act" col quale assicurava il diritto di voto a tutta la popolazione afroamericana. Il film racconta in modo appassionato questi eventi ed è importante che a narrarli sia stata chiamata una donna, perché la comunità femminile nera, sulla quale gravavano ancora forme di sessismo, ebbe un ruolo da protagonista nella lotta pacifica che caratterizzò tutti gli anni '60, culminando nell'assassinio del reverendo King, avvenuto nel 1968. La regista precisa alcuni aspetti del suo lavoro.

R. – I focused on a story about…
Mi sono concentrata su una storia di personaggi, perché ho davvero visto il dott. King come un uomo comune che ha fatto una cosa straordinaria. E tutte quelle persone erano persone comuni che sono andate oltre quello che tutti pensavano potessero fare. Quindi, si pensa al dott. King come a una statua di pietra, a un discorso, come a un leader di marce, ma lui era un uomo, era un uomo morto all’età di 39 anni, mentre lottava per la libertà, che tutti noi godiamo. E quindi quando si smonta il suo mito e si arriva all’uomo che era, cresci un poco dentro di te, perché sai che la forza interiore è davvero qualcosa che tutti hanno e, se la tiri fuori, puoi fare grandi cose.

D. - Come ha affrontato questo periodo storico?

R. – To tell the truth…
Il mio approccio è stato quello di dire la verità, il meglio che potevamo, perché la verità di quello che è accaduto, le vere persone che hanno agito, sono molto più avvincenti di qualsiasi personaggio tu possa inventare. Tutti quelli che si vedono nel film sono davvero vissuti, hanno davvero lottato e hanno davvero fatto queste cose. Sono così affascinanti e così ricchi!

D. - Che cosa offre secondo lei il film al pubblico?

R. – We invite people to see a film…
Abbiamo invitato le persone a vedere un film sulla resistenza. C’è una sorta di bellezza nel resistere a quello che tu sai non essere vero. E la menzogna cui le persone in questo film, e le persone che hanno davvero vissuto, hanno resistito è rappresentata dal far  sentire qualcuno essere inferiore. Essere nero, nel 1965, in Alabama significava questo. Ma anche nel 2014-15, è sentito come qualcosa che non va bene. Nessuno è inferiore a qualcun altro e le barriere, le strutture, i sistemi collocati intorno a noi, che servono a far sentire questa inferiorità, non sono mai veri. Quindi, guardare svolgersi una storia in cui le persone hanno trionfato su quella menzogna è qualcosa di universale.

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Nella Chiesa e nel mondo



Ucraina. Tregua regge, ma accuse reciproche di violazioni

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Sembra reggere, nel complesso, la tregua scattata in Ucraina allo scoccare della mezzanotte: la prima notte di cessate il fuoco, è infatti trascorsa abbastanza tranquillamente; si sono registrate raffiche di armi automatiche ma non colpi d’artiglieria. Il provvedimento, deciso giorni fa a Minsk, in Bielorussia, nel corso di un vertice cui hanno partecipato il presidente russo Putin, il suo omologo ucraino, Poroshenko, il cancelliere tedesco Merkel e il presidente francese Hollande, è stato definito “un grande successo dell’Europa, frutto del gioco di squadra”, da Francesca Mogherini, Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera.

Accuse reciproche di violazioni
Nonostante la situazione sostanzialmente tranquilla, non sono mancate, però, accuse reciproche di violazione della tregua da entrambe le parti. Secondo l’amministrazione regionale di Lugansk, circa 30 minuti dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco, un lancio di missili grad ha centrato in pieno una casa a Popasnoe e sotto le macerie sono rimasti uccisi due anziani di 69 e 87 anni. Le autorità separatiste, inoltre, hanno segnalato l’uccisione di due civili e il ferimento di almeno 13 persone nella zona di Donetsk nelle ore immediatamente precedenti alla mezzanotte, mentre la situazione più critica si registrerebbe nell’area di Debaltsevo, dove a quanto pare i ribelli si sentirebbero autorizzati a sparare: “È il nostro territorio, naturale che possiamo aprire il fuoco”, avrebbe detto un alto comandante delle milizie separatiste filorusse. "Il pacchetto di misure stabilito deve essere osservato incondizionatamente", ha replicato a distanza un portavoce del Cremlino. (R.B.)

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Libia nel caos, aumentano barconi di migranti verso l'Italia

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Continua a deteriorarsi la situazione in Libia, dove la mancanza di una presenza occidentale dopo la caduta del regime di Gheddafi ha lasciato spazio libero all’infiltrazione dei terroristi del sedicente Stato islamico (Is). Dopo l’ingresso a Sirte, infatti, gli uomini di al Baghdadi hanno distribuito volantini in cui esprimono l'intenzione di conquistare la città di Misurata e si teme anche per le sorti della capitale Tripoli.

La comunità internazionale
Finalmente la situazione nel Paese è stata inserita tra le priorità della comunità internazionale: l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Federica Mogherini, si sta coordinando sul da farsi con il ministro degli Esteri egiziano e con l’inviato speciale delle Nazioni Unite nel Paese, mentre la questione Libia potrebbe essere tra i temi sul tavolo del vertice sulla sicurezza che si svolgerà a Washington la settimana prossima.

La richiesta d’aiuto dell’Italia
Intanto l’Italia chiede ufficialmente il rafforzamento dell’operazione Triton, perché il peggioramento della situazione sul terreno libico inevitabilmente porterà un incremento dei migranti verso l’Europa. Dopo i sei barconi intercettati ieri nel canale di Sicilia, infatti, stamattina la Guardia Costiera è impegnata con almeno 10 gommoni carichi di migranti a un centinaio di km dall'isola di Lampedusa; 43 le persone finora tratte in salvo. Già dal primo febbraio scorso la Farnesina, oltre a scoraggiare i connazionali al recarsi in Libia, ha consigliato a coloro che ci vivono di lasciare temporaneamente il Paese a causa delle mutate condizioni di sicurezza. Proprio in queste ore, infatti, si sta procedendo con i rimpatri via mare degli italiani che hanno accettato di tornare in Italia; mobilitata anche una nave della Marina militare con funzioni di scorta e un velivolo dell'Aeronautica che sta sorvegliando lo spazio aereo. Sospese anche le attività dell'ambasciata italiana a Tripoli. 

Il vicario apostolico di Tripoli
“Per il momento devo restare, c’è ancora un gruppo di cristiani che ha bisogno di me”. Questa la dichiarazione del vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, intervistato dal quotidiano La Stampa. Il presule ha poi precisato che all’epoca di Gheddafi la comunità cristiana in Libia ammontava a circa 50mila fedeli, mentre oggi nella capitale sono appena 300. “In questo momento non ho paura – ha aggiunto – ma so che arriverà il momento in cui l’avrò”.  (R.B.)

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Chiesa filippina su progetto case per le vittime del tifone

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Il progetto residenziale promosso dalla Chiesa filippina, a favore delle popolazioni vittime di calamità e dei sopravvissuti ai disastri naturali, il più recente dei quali è il tifone Haiyan, è "completato all'80%". In un'intervista a Radio Veritas ripresa dall'agenzia AsiaNews, padre Edu Gariguez, segretario esecutivo della Caritas filippina (il National Secretariat for social Action - Justice and Peace, Nassa), è ottimista e assicura che i lavori saranno ultimati entro la fine di marzo. I complessi abitativi sono sparsi fra le nove province ecclesiastiche colpite dal tifone che si è abbattuto l'8 novembre 2013 nel centro dell'arcipelago seminando morte e devastazione. Papa Francesco ha visitato i sopravvissuti al tifone il 17 gennaio scorso a Tacloban, nel corso del suo viaggio apostolico nelle Filippine.

Case e mezzi di sussistenza per i sopravvisuti
A margine di un incontro tenutosi nei giorni scorsi a Cebu con i rappresentanti delle nove diocesi, il sacerdote ha confermato che Nassa-Cbcp sta centrando l'obiettivo iniziale, che prevedeva la costruzione di 3.753 alloggi da destinare ai sopravvissuti e alle loro famiglie. Oltre a garantire case sicure e dignitose, aggiunge padre Gariguez, esso intende fornire tutti i mezzi di sussistenza necessari per sopravvivere.

La gente contribuisce alla costruzione delle case
Il progetto della Chiesa non intende fornire solo alloggi, ma guarda anche allo "sviluppo umano integrato" delle vittime dei disastri naturali, che comprende sicurezza, formazione spirituale, organizzazione comunitaria. "Il bello - commenta il sacerdote - è che la gente vuole partecipare, sono loro stessi a contribuire alla costruzione delle case".

Haiyan ha colpito 11 milioni di persone
La Chiesa filippina ha già stanziato circa 9,7 milioni di euro in progetti di recupero, assistenza, riabilitazione a favore di oltre due milioni di persone colpite dal supertifone Haiyan. Abbattutosi sulle isole Visayas l'8 novembre 2013, Haiyan ha colpito a vario titolo almeno 11 milioni di persone, sparsi in 574 fra municipalità e città diverse; per un ritorno alla normalità saranno necessari otto miliardi di dollari. Ancora oggi risultano oltre 1.700 dispersi; il numero delle vittime sarebbe superiore a 5mila, anche se il Presidente Aquino ha voluto ridimensionare le cifre, sottolineando che le prime stime [superiori a 10mila] erano frutto della reazione emotiva alla tragedia e il numero dei morti non supera i 2.500. Del resto l'estensione del territorio, la sua frammentazione e la difficoltà nell'accedere in alcune aree hanno rappresentato un serio ostacolo agli interventi. (R.P.)

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Ghana: la Chiesa presenta un compendio sui metodi educativi

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“Compendio sui metodi educativi migliori”: questo il documento pubblicato recentemente dal Segretariato nazionale cattolico del Ghana (Ncs). La presentazione del volume si è tenuta ad Accra, presso la Parrocchia del Cristo Re, alla presenza di mons. Matthew Gyamfi, presidente della Commissione episcopale per l’educazione, il quale ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra Stato e Chiesa per “produrre una formazione di qualità”, “efficace ed integrale”, in tutte le scuole del Paese.

La Chiesa contribuisce ad un’educazione di qualità
“Il Compendio rappresenta un’opportunità, in un momento in cui il sistema educativo sembra aver fallito”, ha ribadito mons. Gyamfi: esso, infatti, si concentra su alcuni temi importanti come l’istruzione femminile, il comportamento dei docenti, la sfera disciplinare e tutto ciò che rende l’apprendimento facile ed interessante per gli studenti”. In questo senso, ha aggiunto il presule, il volume rappresenta “una parte degli sforzi compiuti dalla Chiesa cattolica per contribuire ad un’educazione efficace e di qualità, in vista di uno sviluppo sostenibile anche in campo socio-economico”.

La grande opera educativa dei missionari
Tanto più che, ha detto il vescovo ghanese, “la Chiesa è coinvolta nel settore dell’educazione integrale grazie ai missionari che hanno costruito seminari e scuole primarie e secondarie in tutto il Paese”. Attualmente, infatti, la Chiesa gestisce in Ghana circa 4mila istituti di formazione, tra scuole materne, medie e superiori. Per questo, ha continuato mons. Gyamfi, “la Chiesa continuerà a cercare il modo di promuovere un sistema educativo efficace per le generazioni future”, il che implica “un approccio multi-disciplinare ed un’interazione tra i diversi componenti formativi”.

Coinvolgere anche le organizzazioni religiose
Dal suo canto, il segretario del Ncs, Samuel Zan Akongo, ha spiegato che l’idea di un compendio è partita da un progetto intitolato: “La collaborazione tra il governo e la Chiesa per la valorizzazione del sistema educativo”. Il prossimo obiettivo è quello di allargare tale cooperazione, includendo le organizzazioni religiose e le scuole pubbliche. (I.P.)

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Spagna: Giornate del Seminario sulla lotta contro la povertà

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“Essere ministri ordinati nella Chiesa di Cristo significa essere servi dell’Amore”: inizia così il messaggio della Conferenza episcopale spagnola, diffuso in vista della Giornate del Seminario, che si celebreranno dal 16 al 19 marzo 2015. Nel documento – che guarda soprattutto all’esempio di Santa Teresa d’Avila, proprio nell’Anno Giubilare spagnolo che ne celebra i 500 anni dalla nascita – si sottolinea come l’epoca attuale necessiti di ministri ordinati che sappiano contrastare “le realtà che distruggono la vera fede”. Tale contrasto diventa possibile grazie “alla convinzione che una vita ritirata e contemplativa debba essere associata alla preghiera”.

I poveri, privilegiati nel cuore di Dio
È da qui, infatti, “da una preghiera che porta ad una vita distaccata da sé e dalla realtà mondana”, che deriva “un impegno serio per i poveri, un impegno che nasce dall’apprezzamento per la povertà stessa” e che sa “valorizzare la vita priva di falsi onori e di ricchezze”. Ricordando, poi, che “l’opzione preferenziale per i poveri” è frutto del Concilio, la Chiesa spagnola cita l’Esortazione apostolica post-sinodale “Evangelii gaudium” di Papa Francesco, in cui si ribadisce che “il cuore di Dio ha un posto privilegiato per i poveri”.

Superare dicotomia tra interessi economici e bene comune
“Ogni azione ecclesiale, dunque – si legge ancora nel messaggio – deve essere marcata da una coscienza aperta a Dio che ci permetta di superare i meri interessi economici”. Partendo da “un’apertura alla trascendenza”, infatti, “si potrà formare una nuova mentalità politica ed economica che potrà contribuire a superare la dicotomia assoluta tra l’economia ed il bene comune sociale”. Infine, i presuli iberici ricordano l’impegno della Chiesa e dei suoi ministri nel “promuovere tra gli uomini quelle strutture sociale che pongano rimedio alle condizioni di tanti poveri nel mondo”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 46

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.