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Sommario del 14/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Concistoro. Francesco: cardinale è uomo di carità e speranza

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Quella cardinalizia non è una dignità “decorativa”, perché chi vi è chiamato deve avere una sola “parola-guida”: la carità. È quanto Papa Francesco ha detto ai 20 nuovi cardinali creati durante il Concistoro presieduto nella Basilica di San Pietro. Alla cerimonia ha preso parte anche il Papa emerito, Benedetto XVI. Il servizio di Alessandro De Carolis

Una berretta rossa non è il fregio posto sul capo di un uomo di comando, ma il simbolo di un uomo chiamato a un servizio più grande. Grande come la carità cristiana, che trabocca di benevolenza, è orientata alla giustizia, è piena di speranza, è incline al perdono. Un uomo che non ha altro amore che la Chiesa e sostiene il Papa come un fratello.

Non siete decorativi
Papa Francesco pone se stesso e i 20 nuovi cardinali – 19 presenti in Basilica, unica eccezione l’ultranovantenne colombiano Pimiento Rodríguez – di fronte al manifesto dell’eccellenza cristiana, quella descritta da San Paolo nel suo “Inno alla carità”. Lì, afferma, un cardinale soprattutto trova il suo dover essere, poiché dice subito, nelle prime righe della sua allocuzione…

“…quella cardinalizia è certamente una dignità, ma non è onorifica. Lo dice già il nome – ‘cardinale’ – che evoca il ‘cardine’; dunque non qualcosa di accessorio, di decorativo, che faccia pensare a una onorificenza, ma un perno, un punto di appoggio e di movimento essenziale per la vita della comunità”.

Amate senza confini
La cerimonia inizia e si snoda con grande solennità. Banditi gli applausi, a rimarcare non l’assenza di gioia, ma il bisogno di raccoglimento. Davanti all’altare, sulla sinistra, lo spesso emiciclo scarlatto delle porpore culmina nel punto in bianco dove siede il Papa emerito Benedetto. L’ascolto è di un silenzio solido quando Francesco, scomponendo l’Inno paolino, ricorda quali sentimenti debbano battere in un “cardine” della Chiesa:

“Quanto più si allarga la responsabilità nel servizio alla Chiesa, tanto più deve allargarsi il cuore, dilatarsi secondo la misura del cuore di Cristo. Magnanimità è, in un certo senso, sinonimo di cattolicità: è saper amare senza confini, ma nello stesso tempo fedeli alle situazioni particolari e con gesti concreti. Amare ciò che è grande senza trascurare ciò che è piccolo; amare le piccole cose nell’orizzonte delle grandi (...) Saper amare con  gesti benevoli. Benevolenza è l’intenzione ferma e costante di volere il bene sempre e per tutti, anche per quelli che non ci vogliono bene”.

Vostro interesse sia il bene di tutti
La carità inoltre “non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio” – tentazioni, riconosce il Papa, dalle quali “non sono immuni” neanche le “dignità ecclesiastiche” – e poi non “non manca di rispetto” e “non cerca il proprio interesse”. In questo caso, osserva Francesco, il problema nasce in chi è troppo “autocentrato” su di sé da non badare alla dignità degli altri:

“Chi è auto-centrato cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale ‘interesse’ può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto sotto è sempre il 'proprio interesse'. Invece la carità ti de-centra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo. Allora sì, puoi essere una persona rispettosa e attenta al bene degli altri”.

Dio ci scampi dal rancore
Trasparente Papa Francesco nel punto in cui si sofferma a considerare la carità che non si arrabbia, né tiene la contabilità del “male ricevuto”. Certo, ammette, “al pastore che vive a contatto con la gente non mancano le occasioni di arrabbiarsi”. E ancor più non gli difettano nel rapporto “tra confratelli”, perché “in effetti noi siamo meno scusabili”. Ma anche qui, ribadisce, “è la carità, e solo la carità, che ci libera”:

“Ci libera dal pericolo di reagire impulsivamente, di dire e fare cose sbagliate; e soprattutto ci libera dal rischio mortale dell’ira trattenuta, 'covata' dentro, che ti porta a tenere conto dei mali che ricevi. No. Questo non è accettabile nell’uomo di Chiesa. Se pure si può scusare un’arrabbiatura momentanea e subito sbollita, non altrettanto per il rancore. Dio ce ne scampi e liberi!”.

Uomini di perdono e speranza
Un uomo della carità, ancora, “non gode dell’ingiustizia e si rallegra della verità”, quest’ultima un’espressione che Francesco sottolinea con piacere perché chi è di Dio, dice, “è affascinato dalla verità” che ritrova nella carne di Gesù. Il commento finale è sulle ultime quattro virtù della carità, che “tutto” scusa, crede, spera e sopporta:

“L’amore di Cristo, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo, ci permette di vivere così, di essere così: persone capaci di perdonare sempre; di dare sempre fiducia, perché piene di fede in Dio; capaci di infondere sempre speranza, perché piene di speranza in Dio; persone che sanno sopportare con pazienza ogni situazione e ogni fratello e sorella, in unione con Gesù, che ha sopportato con amore il peso di tutti i nostri peccati”.

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Neo-cardinale Sturla: chiara identità vissuta con gioia e simpatia

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Tra i neo-cardinali c’è l’arcivescovo uruguayano di Montevideo, Daniel Fernando Sturla Berhouet, 55 anni, salesiano. Mercedes de la Torre gli ha chiesto quale messaggio arrivi da questo Concistoro: 

R. – La alegria que el Papa Francisco…
La gioia che Papa Francesco ha dato alla Chiesa con la nomina dei nuovi cardinali, l’internazionalizzazione del Collegio cardinalizio che continua ed anche il fatto che siamo una Chiesa con una forza evangelizzatrice molto forte. Speriamo che tutti noi cristiani sappiamo approfittare di tutto l’impulso che il Papa sta dando alla Chiesa, per andare verso coloro che non conoscono Cristo, in molti luoghi come il mio Paese; per andare verso coloro che avendo conosciuto Cristo si sono allontanati dalla pratica della fede.

D. – Un Papa latinoamericano, nuovi cardinali latinoamericani: cosa può apprendere la Chiesa universale dalla Chiesa in America Latina?

R. – La Iglesia en America Latina…
La Chiesa in America Latina è una Chiesa molto vicina alla gente, con la quale la gente si identifica molto. Questo credo sia molto importante, come anche l’impegno verso i più poveri, nella Chiesa latinoamericana. Abbiamo l’esempio del prossimo Beato, mons. Romero, che credo indichi una strada. E poi le caratteristiche di sempre della Chiesa latinoamericana, che sono molto belle, come la fedeltà verso il Papa e l’amore per la Santissima Vergine. Credo che siano cose importanti, che possiamo portare.

D. – Qual è il ruolo dei laici nella Chiesa?

R. – Bueno, se dice que son…
Beh, si dice che siano il “gigante che dorme”, però è già da tempo che si dice, così speriamo sia arrivato il momento che si svegli! Senza dubbio, i laici nella Chiesa assumono un ruolo di primo piano sempre più grande. Sebbene manchi ancora tantissimo da fare, però è questione di mettersi a lavorare con quel senso che ci dà il Battesimo e la Cresima, che invita tutti noi cristiani a sentirci apostoli di Cristo, bisognosi di testimoniare il suo amore al mondo.

D. – Quali sono le sfide principali nella sua diocesi, a Montevideo? 

R. – Bueno, Uruguay tiene una experiencia…        
Beh, l’Uruguay ha un’esperienza molto forte di secolarizzazione: è il Paese più secolarizzato dell’America, il Paese con il maggior numero di atei ed agnostici. Quindi questa è una grande sfida per noi: come essere una Chiesa che abbia una chiara identità, vissuta con gioia e simpatia e, allo stesso tempo, come essere attivi in una società plurale e laica, in cui siamo apprezzati, non per un privilegio – diciamo così – perché non ne abbiamo nessuno, ma per quello che semplicemente possiamo fare nella testimonianza di fede a Cristo e nei servizi che la società apprezza della Chiesa, soprattutto in campo educativo e nel campo della promozione sociale.

D. – Qual è la priorità nella sua azione pastorale?

R. – Sin duda que està el llegar…
Senza dubbio c’è quella di arrivare ai settori più popolari della mia arcidiocesi. La secolarizzazione in Uruguay, infatti, a differenza di altri Paesi, è arrivata molto fortemente nel popolo. Quindi è nei settori popolari dove si percepisce che è cresciuta molto l’indifferenza religiosa. Questo si nota poi nella mancanza di senso della vita, che molti hanno nel mio Paese. Questo mi fa male, soprattutto quando si tratta di giovani, per lo spirito di Don Bosco che è in me. Quindi la sfida di annunciare Cristo, sapendo che in Cristo si può trovare un senso alla vita. Tanta gente in qualche modo cammina senza direzione. Io credo che questa sia la sfida maggiore.

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Schönborn e Ouédraogo: fedeltà e rinnovamento, Chiesa non è statica

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In questi giorni, i cardinali riuniti in Vaticano per il Concistoro hanno riflettuto sulla Riforma della Curia Romana. Sulle prospettive di questa riforma, Hélène Destombes ha intervistato il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna:

R. - Je pense que nous avons tous compris que le Pape …
Penso che tutti abbiamo capito che il Papa vuole una profonda riforma della Curia e che ha l’energia, la volontà e che è deciso a compierla. A compierla con trasparenza e grande competenza. Abbiamo l’impressione che si sta facendo un buon lavoro, anche se naturalmente una riforma del genere incontra  sempre delle difficoltà, degli ostacoli, perché  a volte è necessario cambiare delle abitudini secolari, di lungo tempo, ma vediamo che questa va nella giusta direzione, con intelligenza, cautela e efficacia.

Ascoltiamo ora il cardinale africano Philippe Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou, in Burkina Faso, sempre al microfono di Hélène Destombes:

R. - C’est sont surtout les cardinaux de la Curie romaine …
Sono soprattutto i cardinali della Curia Romana ad essere convolti nella problematica del rinnovamento auspicato da Papa Francesco. Ma questo è un tema che riguarda noi tutti su cui siamo molto concentrati ed è molto complesso. La Chiesa è millenaria, e in considerazione di questo la Pastor Bonus ha sicuramente bisogno di un soffio nuovo per essere sempre di più a servizio della Chiesa universale. Questo decentramento si intravede già nella  nomina dei nuovi cardinali. Mi è capitato, durante il Sinodo di ottobre, insieme al cardinale di Haiti, di accompagnare il Santo Padre da Santa Marta all’Aula Paolo VI, e gli ho chiesto: “Santo Padre, perché è andato in periferia a cercare i suoi collaboratori?”. Lui ha sorriso dicendo: “Eh sì, questa è la Chiesa”. Quindi sono veramente gesti profetici che vogliono davvero sottolineare la cattolicità. Credo sia un messaggio molto forte. Inoltre, il Pontefice ci ha detto: “Il cardinalato non è una promozione, non è una decorazione, non è un onore: non è altro che un servizio”. Quindi non è una sorpresa che abbia trascurato sedi tradizionalmente cardinalizie per andare verso e periferie e nominare cardinali provenienti da Haiti, Burkina Faso, Capo Verde ... Quindi non è altro che un servizio e noi siamo felici di questo soffio spirituale.

D. - Tra le proposte avanzate c’è quella di un maggiore spazio da riconoscere ai laici e alle donne, soprattutto nelle cariche importante all’interno della Curia …

R. - Au cours des échanges effectivement on a souligné …
Infatti, durante i dibattiti è stata sottolineata la necessità di tener conto della donna; insomma, la Chiesa è una famiglia composta da uomini, donne, adulti, di giovani. E’ forte la spinta a tenere in conto l’elemento femminile e quindi l’integrazione delle donne nella gestione della Chiesa, famiglia di Dio. È veramente un soffio nuovo, caratteristico di questo sforzo di “aggiornamento”.

D. - C’è stato consenso su questo o avete percepito delle reticenze?

R. - Fondamentalement non, je pense que il n’y a pas eu de réticences manifestes …
No, in definitiva non penso ci siano state reticenze manifeste a questo proposito. Al contrario, questo suggerimento è stato ben accolto e ciò che sarà fatto a livello della Curia Romana dovrà poi essere riportato nelle curie diocesane, nelle nostre Chiese locali.

D. - Quali sono i punti più difficili che avete affrontato finora?

R. - Par rapport à la révision il y a …
Per quanto riguarda la riforma, c’è la volontà di mantenere la fedeltà alla tradizione, alla legislazione, alla natura della Chiesa e allo stesso tempo al rinnovamento, perché la Chiesa non è statica. È una famiglia in cammino animata dallo Spirito Santo. Non ci sono state idee scioccanti o reticenze manifeste …

D. – Qual è stato il clima del Concistoro?
R. –  Le climat est très serein pendant ce Consistoire …

In questo Concistoro, il clima è stato molto sereno e molto fraterno, ma il dibattito è stato sincero, molto diretto; ognuno ha detto ciò che pensa … E’ veramente la Chiesa famiglia di Dio: pastori che si impegnano a vivere appieno la collegialità, la sinodalità “sub Petro et cum Petro”, come si dice nella Chiesa cattolica.

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Concistoro per tre nuove Canonizzazioni, il rito il 17 maggio

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Dopo la creazione dei nuovi cardinali, Papa Francesco ha presieduto il Concistoro che dà il via libera alla Canonizzazione di tre religiose Beate. Si tratta di suor Giovanna Emilia de Villeneuve, fondatrice della Congregazione delle Suore dell’Immacolata Concezione di Castres; Maria di Gesù Crocifisso, monaca professa dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi; e Maria Alfonsina Danil Ghattas, fondatrice della Congregazione delle Suore del Rosario di Gerusalemme. Saranno canonizzate il prossimo 17 maggio assieme a Maria Cristina dell’Immacolata Concezione. I ritratti delle tre future Sante nel servizio di Roberta Barbi: 

Giovanna Emilia de Villeneuve
“È per Dio che vi lascio, voglio servire i poveri, perché dobbiamo andare là dove la voce dei poveri ci chiama”. Così Emilia nel 1836, a soli 25 anni, si congedò da suo padre, il marchese Louis de Villeneuve, per fondare assieme ad altre due ragazze una nuova Congregazione consacrata all’Immacolata Concezione. Le chiameranno le “suore azzurre”, perché tale era l’abito che vestivano, un segno della protezione del manto di Maria che la fondatrice volle fosse anche visibile, in un’epoca in cui tutte le monache vestivano di nero. L’amore per gli altri e la spinta alle attività sociali le aveva imparate proprio dal padre, che in seno alla sua industria per la lavorazione del cuoio aveva creato una società di mutuo soccorso e promuoveva corsi di alfabetizzazione per i giovani, ma furono la morte prematura della madre e della sorella a farla avvicinare alla Vergine, che presto divenne la sua compagna di viaggio. L’esperienza della morte le insegnò che la vita non è l’unica cosa importante su questa terra, ma “si deve vedere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio, ascoltarne la Parola, raccogliersi in momenti di preghiera profondi per imparare a guardare il mondo con gli occhi di Gesù”. Con le sue nuove sorelle visse accanto agli ammalati, ai carcerati e alle prostitute per dimostrare loro che Dio li ama, fino alla morte per colera sopraggiunta nel 1853.

Maria di Gesù Crocifisso
Veniva da Nazareth e portava il nome di Mariam come la Vergine e Maria di Gesù Crocifisso si chiamò anche dopo aver pronunciato i voti presso il Carmelo di Pau, in Francia, la seconda Beata che sarà canonizzata, al secolo Mariam Baouardy. “Una piccola araba obbediente fino al miracolo”, la definiva la sua madre superiora che le fu vicino quando i mistici doni di cui era ricca cominciarono a manifestarsi. Umile e illetterata, Maria inizialmente nascose le stimmate che le sanguinavano nel giorno della Passione di Cristo, credendo di aver contratto la lebbra e non raccontò subito le esperienze dell’estasi e della bilocazione che attribuiva alla propria incapacità di restare sveglia mentre pregava. Poi, quando si trovò a comporre di getto salmi che il suo analfabetismo le avrebbe reso impossibili, capì: “A chi somiglio io, Signore? Agli uccelletti implumi nel loro nido. Se il padre e la madre non portano loro il cibo, muoioni di fame. Così è l’anima mia senza di Te: non ha sostegno, non può vivere”. Attraverso di lei il Signore volle che fosse costruito un Carmelo a Betlemme, dove presto si trasferì, e poi uno Nazareth, in Terrasanta. Oltre al continuo dialogo con lo Spirito Santo, Mariam iniziò a ricevere anche le visite del maligno che la percuoteva e la ossessionava, ma più la tormentava, più lei si avvicinava a Dio, a cui alla fine, esausta, chiese: “Chiamami a te!”. Fu esaudita nel 1878 e seppellita nel convento carmelitano di Betlemme, dove tutti già la chiamavano “kedise”, la “Santa”.

Maria Alfonsina Danil Ghattas
Palestinese era anche Sultaneh, la quindicenne figlia di Danil Ghattas che con la vestizione religiosa sul Santo Calvario, entrò a far parte delle Suore di San Giuseppe dell’Apparizione con il nome di Maria Alfonsina. Ma non era questo il suo destino. La Vergine le apparve per la prima volta il giorno dell’Epifania del 1874 e poi di nuovo nel mese a lei consacrato, maggio, ispirandole la fondazione di una nuova congregazione: le Suore del Santissimo Rosario di Gerusalemme, la prima interamente femminile presente in Terrasanta. Era questa la missione della Beata: promuovere il ruolo della donna nella sua amata patria terrena; un compito difficilissimo anche per chi, come lei, aveva una fiducia sconfinata nella divina Provvidenza. Iniziò con nove sorelle, occupandosi dell’insegnamento religioso per vincere l’analfabetismo imperante,ma presto la congregazione si diffuse, tanto che oggi è considerata il braccio destro del Patriarcato latino nei Paesi arabi, in cui si occupa di scuole, parrocchie e altre istituzioni diocesane. Silenziosa e umile fino a sparire dentro la preghiera del Santo Rosario, rimise l’anima al Padre proprio mentre recitava i 15 misteri, nella notte del 25 marzo 1927.

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Mons. Tomasi: rispetto clima, Paesi rischiano di scomparire

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Le Nazioni Unite sono al lavoro in vista della ventunesima Conferenza della Convenzione quadro sul cambiamento climatico, COP 21, che si terrà nel dicembre prossimo a Parigi. Dopo il Perù sarà la dunque Francia ad ospitare questo nuovo appuntamento che dovrà segnare una tappa decisiva nei negoziati del futuro accordo internazionale per il dopo 2020. L’obiettivo che si cercherà di perseguire è che tutti i Paesi, fra cui i maggiori responsabili delle emissioni di gas a effetto serra, siano impegnati da un accordo universale costrittivo sul clima. Ai lavori preparatori dà il suo contributo anche la Santa Sede nella persona di mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente presso l’Ufficio Onu di Ginevra. Adriana Masotti l’ha intervistato: 

R. - Esperti ed opinione pubblica stanno diventando sempre più convinti dell’urgenza di agire ora per stabilizzare la concentrazione nell’atmosfera dei gas serra. Tra inquinamento e cambiamento climatici c’è un legame reale che ha conseguenze negative sull’ecosistema, sulla produzione di cibo, sullo sviluppo economico sostenibile. Il 2014 è stato l’anno più caldo, al di sopra della media e ha contribuito a inondazioni in vari Paesi. La comunità internazionale si impegna a rispondere a questa situazione. Si tratta di fare un passo in avanti rispetto alla Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici del 1992 e ratificata da 196 Stati. Si sta preparando, quindi, per il prossimo incontro del gruppo di lavoro a Parigi, uno strumento legalmente vincolante sui cambiamenti climatici che abbia effetto a partire dal 2020 e che vincoli tutti i Paesi. In questi giorni i Paesi hanno presentato proposte e priorità da includere nel testo dell’eventuale nuovo strumento. La delegazione della Santa Sede appoggia l’idea di un appoggio vincolante che diventa una precondizione necessaria per testimoniare un impegno reale nell’affrontare il problema dei cambiamenti climatici. Senza tale impegno alcuni Paesi insulari, specialmente nel Pacifico, direttamente coinvolti perché a rischio di scomparire, potrebbero non partecipare al prossimo negoziato perché cancellati dalla carta geografica. Le discussioni a Ginevra sono una tappa del cammino per giungere ad un nuovo strumento. A giugno si riprenderanno le analisi del testo negoziale e i dibattiti a Bonn in Germania.

D. - C’è ottimismo sulla possibilità di raggiungere l’obiettivo prefissato?

R. - C’è un certo cauto ottimismo che ci sarà un esito positivo alla conferenza di Parigi. La maggiore evidenza scientifica, che mostra una stretta correlazione tra inquinamento e cambiamenti climatici, ha favorito l’accettazione di eventuali sacrifici per affrontare i costi per nuove tecnologie e per solidarietà verso i Paesi meno sviluppati. Infatti, persistono agende diverse, portate avanti dai Paesi industrializzati, da quelli in via di sviluppo, dalle economie emergenti ed è normale che ci siano posizioni diverse. Il lavoro di questi giorni e dei prossimi mesi è di raggiungere una convergenza sulle agende politiche nella convinzione che senza concessioni di interessi nazionali si potrebbero ledere gli interessi di tutta la famiglia umana. E la prospettiva con cui contribuisce la Santa Sede è appunto quella del bene comuneLe conseguenze dei cambiamenti climatici non guardano a confini nazionali: il messaggio inviato da Papa Francesco alla Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici, tenutasi nel dicembre scorso a Lima, in Perù, sottolinea come le discussioni sul clima incidano su tutta l’umanità, in particolare sui più poveri e le generazioni future. Diventa, quindi, una grave responsabilità etica e morale dare una risposta collettiva che protegga il pianeta e la famiglia umana.

D.- A testimoniare la sensibilità della Chiesa nei confronti di questi temi sarà anche un nuovo documento sull’ecologia a cui sta lavorando il Papa…..

R.- Il tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo. I prossimi mesi sono cruciali. Per incoraggiare e stimolare un accordo efficace, come frutto degli incontri preparatori alla conferenza di Parigi, l’annunciata Enciclica sull’ecologia sarà indubbiamente un contributo fondamentale. Verranno indicati i parametri etici dentro cui si sviluppi l’azione collettiva. Scienza e fede convergono in modo che la protezione, il rispetto e la gestione del Creato siano l’impegno di tutta la famiglia umana e questo secondo le capacità e le risorse disponibili di ciascun Paese e rendendo il Creato sempre più a servizio della persona umana.

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Messaggio del card. Ouellet per la Giornata Ispanoamericana

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“Evangelizzatori con la forza dello Spirito”: si intitola così il messaggio che il card. Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (Cal), ha diffuso in occasione della Giornata Ispanomericana che nel 2015 ricorre il 1.mo marzo, prima domenica di marzo. Istituita nel 1959 e celebrata ogni anno, l’iniziativa coinvolge tutte le diocesi della Spagna che in questo modo ricordano i vincoli di solidarietà, comunione e collaborazione evangelizzatrice tra la nazione iberica ed il continente latinoamericano.

Oltre 9mila missionari spagnoli in America Latina
Nel suo messaggio, il card. Ouellet ringrazia, innanzitutto, “gli oltre 9mila missionari spagnoli che operano a servizio dell’evangelizzazione in America Latina”, insieme a sacerdoti, religiosi e religiose. Il titolo del documento, spiega il porporato, ricorda la Pentecoste, perché fu in quel momento che gli apostoli, proprio grazie a “la forza dello Spirito, uscirono da se stessi e si trasformarono in evangelizzatori”.

Evangelizzare con gioia e coraggio
Quindi, il card. Ouellet cita due riferimenti importanti: il documento finale della Conferenza di Aparecida, svoltasi nel 2007, e l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, il primo coordinato, nella sua redazione, dall’allora card. Bergoglio e la seconda scritta sempre da lui, ma dopo l’elezione al soglio pontificio. In entrambi i testi, spiega il card. Ouellet, si fa riferimento alla gioia “come un segnale eloquente degli evangelizzatori, sia quelli di prima che quelli di adesso”. Di qui, il richiamo del porporato ad un’evangelizzazione che sia “gioiosa, fervida, generosa, audace, piena di amore fino alla fine, promossa da evangelizzatori ricolmi di coraggio, instancabili nell’annuncio e capaci di una grande resistenza attiva”.

Nessuno sforzo missionario andrà perduto, se fatto con amore
Naturalmente, ricorda il presidente della Cal, chi evangelizza “non lo fa in base ad una propria iniziativa o per motivi diversi dall’annuncio del Vangelo”, perché “l’origine ed il frutto dell’attività missionaria non dipendono da progetti individuali, né dalle forze umane”. Al contrario, è Cristo che “dona la forza di intraprendere il cammino per raggiungere tutte le periferie che necessitano della luce del Vangelo”. Certo – si legge ancora nel messaggio della Cal – ci possono essere dei momenti di difficoltà, “degli impedimenti” che ostacolano l’evangelizzazione; tuttavia, “il missionario ha sempre la certezza che nessuno degli sforzi compiuti con amore andrà perduto, così come non si perde l’amore di Dio”.

Camminare con Gesù, ogni giorno
“Se non arde nel cuore il fuoco dello Spirito – continua il card. Ouellet – nessuna motivazione sarà sufficiente” per animare la missione; di qui l’esortazione anche a non tralasciare la preghiera, perché “il vero missionario sa che Gesù cammina, respira, lavora con lui”, dandogli il coraggio di “proclamare il Vangelo ad alta voce in ogni tempo ed in ogni luogo, anche andando controcorrente”. “Non lasciamoci rubare la gioia evangelizzatrice!”, scrive ancora il card. Ouellet, citando Papa Francesco, e ricordando poi che ogni missionario deve “ricominciare sempre il suo incontro personale con Cristo”, perché “le nuove esigenze della missione, come nel caso dell’America Latina dove la fede e la vita cristiana delle comunità sembrano tardare a consolidarsi, richiedono sempre un nuovo inizio che risvegli lo stupore ed il fascino dell’incontro con Cristo”.

Passione per Cristo e passione per il popolo
Di qui, l’invito rivolto ai missionari a non lasciarsi scoraggiare dalle difficoltà, bensì a “ricominciare sempre, con lo stesso entusiasmo con cui hanno pronunciato il loro primo sì, come fece la Vergine Maria con il suo fiat”. Essenziale, inoltre, ribadisce il card. Ouellet, “contemplare il volto di Dio nel prossimo” e “vivere una preghiera contemplativa che non sia separata dalla realtà”. “In questi tempi che esigono ‘un’uscita missionaria’ – continua il porporato – bisogna ribadire che la missione è una passione per Cristo ma, allo stesso tempo, una passione per il suo popolo”. L’evangelizzazione, infatti, “è sempre opera di tutto il popolo di Dio e destinata a tutti, senza eccezione di persone o gruppi sociali”, secondo una dinamica di “identificazione” tra il missionario ed i fedeli. “Può essere missionario – sottolinea il card. Ouellet – solo chi cerca il bene degli altri e desidera la loro felicità”.

La missione, sollecitudine verso i bisognosi
Ricordando, infine, che “l’attività missionaria della Chiesa in America Latina è un atto di sollecitudine nei confronti dei più bisognosi”, il porporato invita ad affidarsi alla Vergine Maria, affinché renda i missionari capaci di guardare “al cammino di obbedienza al Padre”. (A cura di Isabella Piro) 
 

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Delegazione vaticana in India per incontri interreligiosi

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Si trova in questi giorni in visita in India la delegazione vaticana formata da padre Indunil Kodithuwakku, sottosegretario del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e padre Santiago Michael, addetto per l’Asia del dicastero. Diverso gli incontri ai quali hanno preso parte assieme a presuli della Conferenza episcopale dell’India e al nunzio nel paese, l’arcivescovo Salvatore Pennacchio.

Dal 12 al 13 febbraio, a Both Gaya, si è tenuto il quinto Colloquio buddista-cristiano sul tema “Buddhists and Christians Together Fostering Fraternity” articolato in cinque sotto-temi: “We belong to Ine Human Family”, “From a Culture of Diversiy to a Culture of Solidarity”, “Fraternity a prerequisite for overcoming social evils”,  “FraternitY wipes away Tears”, “Together Fostering Fraternity: the Way Forwad”, che saranno affrontati dal punto di vista cristiano e da quello buddista. I partecipanti, buddisti e cristiani, provengono da Sri Lanka, Thailandia, Corea, Giappone, Myanmar, Mongolia, Taiwan e India.

Da ieri, e fino a martedì prossimo, i rappresentanti vaticani sono a Varanasi per i 50 anni della promulgazione della Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” (28 ottobre 1965). In programma incontri con le comunità giainista, musulmana, buddista e sikh e indù sul tema “Celebrating Diversity of Religions to Foster a World of Peace and Love”. Domenica 15 febbraio, sempre a Varanasi, si terrà un incontro multireligioso di preghiera organizzato dal dicastero vaticano, dalla Conferenza episcopale indiana e dalla diocesi di Varanasi. Previsto anche un intervento del nunzio apostolico. A tale incontro prenderanno parte rappresentanti delle varie religioni e comunità religiose cristiane.

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Premio a Radio Vaticana. Lombardi: impegnati a essere forza di dialogo

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In occasione della Giornata Internazionale della Radio, la nostra emittente - che questo martedì ha compiuto 84 anni - è stata insignita, a Madrid, del prestigioso “Premio Internazionale dell’Accademia Spagnola della Radio”. Il premio è stato ritirato ieri sera, a nome della Radio, dal nunzio in Spagna, mons. Renzo Fratini. Nel videomessaggio per l’occasione, il nostro direttore generale, padre Federico Lombardi, ha sottolineato che la Radio Vaticana prosegue il suo storico impegno al servizio della Chiesa e per il dialogo e l’unione dell’umanità. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Portare avanti con impegno la propria missione per far onore ad una “gloriosa eredità”. Nel videomessaggio all’Accademia Spagnola della Radio, padre Federico Lombardi richiama due capisaldi della nostra emittente: la storia ultraottantenne di servizio al Papa, alla Chiesa, all’umanità e lo sguardo a un futuro caratterizzato sempre più dall’avvincente sfida della trasformazione delle tecnologie e della multimedialità.

Una Radio per la pace, i diritti e la libertà religiosa
La Radio Vaticana, ha rammentato padre Lombardi, ha “naturalmente una funzione di comunicazione religiosa e per la Chiesa cattolica, ma il suo servizio ha sempre coperto un orizzonte molto ampio di problemi, con particolare attenzione per la pace, la libertà religiosa, i diritti umani, il dialogo fra le religioni e le confessioni cristiane”.

Sempre attenti alle “periferie” delle persone
Ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, ha proseguito, la Radio Vaticana “ha dedicato un enorme impegno per le persone prigioniere e disperse”. E oggi “seguendo lo spirito di Papa Francesco”, l’emittente “diffonde continuamente messaggi attenti alle ‘periferie’ delle persone che soffrono emarginazione, ingiustizia, difficoltà materiali e spirituali”. Lo fa, ha annotato il nostro direttore, “con una prospettiva universale, aperta a tutti i popoli di ogni continente. Le oltre quaranta lingue utilizzate, le 60 nazionalità dei suoi impiegati – ha affermato – esprimono concretamente la sua natura di forza di pace e di dialogo per l’umanità di oggi, confrontata con problemi drammatici”.

Al servizio della comunicazione per tutta l’umanità
Padre Lombardi ha dunque confidato che al cuore del lavoro quotidiano alla Radio Vaticana sta “il servizio della comunicazione per il dialogo e per l’unione dell’umanità”. Questo, ha ribadito, “è il motto della nostra esistenza, che viviamo come una missione, animata dallo spirito del Vangelo e oggi dell’insegnamento e dell’azione” di Papa Francesco. Il direttore della Radio Vaticana ha concluso il suo videomessaggio ringraziando l’Accademia per il prestigioso “riconoscimento, che – ha detto – è incoraggiamento a continuare in questa missione sentendoci solidali con la grande comunità dei comunicatori”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Incardinati e docili: il Papa ha creato venti cardinali in un Concistoro ordinario pubblico tenuto nella Basilica vaticana.

Fronte mediterraneo: milizie jihadiste libiche legate all'Is s'insediano nella città portuale di Sirte.

Yemen fuori controllo: gli Emirati arabi uniti chiudono l'ambasciata a San'a.

Boko Haram attacca anche in Ciad.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina: ancora combattimenti a poche ore dalla tregua

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Non si fermano i combattimenti in Ucraina a poche ore, dall'entrata in vigore del cessate-il-fuoco in vigore dalla mezzanotte di oggi, deciso durante il recente vertice di Minsk. Le forze governative denunciano decine di violenti attacchi nelle ultime 24  ore da parte dei ribelli indipendentisti filorussi. Altrettanto dura la risposta dell’esercito di Kiev. Raid separatisti anche su alcuni villaggi del Mar d’Azov, vicino a Mariupol, controllata da Kiev. Ma come si sta arrivando al cessate-il-fuoco? Emanuela Campanile lo ha chiesto a Dario Fertilio del Corriere della Sera: 

R. – Putin ragiona in termini ideologici e totalitari, per cui lo spazio vitale russo non si mette in discussione. Quindi, non ci si può illudere di poter ragionare in termini puramente economici, e nemmeno solo in termini strettamente militari, perché Putin probabilmente ha già pronto un "piano B" che riguarda i Paesi baltici. Se l’Ucraina dovesse cedere, sfasciarsi economicamente, oppure se invece la situazione si dovesse congelare, Putin ha già una perfetta nuova area di influenza da affermare, cioè il territorio di Kaliningrad, che è un’enclave dentro l’Unione Europea, e per la quale probabilmente chiederà garanzie per le minoranze russe. Già sta cominciando a far volare i suoi aerei militari intorno ai confini dei Paesi baltici. Quindi, l’"oggetto" Putin è da maneggiare con estrema cura e però anche con estrema fermezza, perché la logica della fermezza è l’unica di cui Putin e i suoi possono tenere conto.

D. – Le buone intenzioni dell’Occidente, dunque – abbiamo visto con Merkel e Hollande – non bastano…

R. – Di sicuro sono un generoso tentativo dovuto al fatto che si rendono conto che, se dovesse sfasciarsi definitivamente l’Ucraina, la situazione in Europa precipiterebbe rapidamente. D’altra parte è anche vero che l’Unione Europea dà la chiara impressione di non potere avere una politica estera comune.

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L’Is sfonda in Libia. Ultimatum a milizie di Sirte

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Il sedicente Stato islamico alla conquista della Libia. Dopo l’ingresso nella città di Sirte, gli uomini di al Baghdadi hanno intimato alle milizie filo-islamiche locali di abbandonare la zona entro domani. E ora si teme per le sorti della capitale Tripoli, mentre l’Italia si dice pronta a un intervento militare. Della situazione nel Paese africano, Eugenio Bonanata ha parlato con Paolo Sensini, storico e autore dei libri "Libia 2011"’ e "Divide et Impera - Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente": 

R. – Ora si chiama Is, ma questi gruppi dell’area del fondamentalismo jihadista sono lì da molto tempo. Moltissimi – per essere ancora più precisi – sono gli stessi che sono stati sostenuti per fare crollare Gheddafi; avevano altri nomi, ma erano legati a doppio filo con al Qaeda, e tutti lo sapevano. Erano gruppi legati ad altre file ma facevano parte di una costellazione che oggi chiamiamo Isis. Quindi, dobbiamo porre un punto interrogativo sulla gravità compiuta dall’Occidente, in particolare dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dagli Stati Uniti e – purtroppo, a rimorchio – dall’Italia, che in qualche modo ha "segato" rami sui quali stava appoggiata, nel senso che con la Libia aveva rapporti molto stretti. Insomma, in questo modo abbiamo tolto l’unico presidio, cioè Gheddafi, che riusciva a controllare quell’area così turbolenta e complicata nello scacchiere nordafricano, e abbiamo dato il via al dilagare di questi gruppi che oggi si concretizzano nell’Isis.

D. – Qual è la prospettiva che abbiamo di fronte?

R. – Brutta. Molto brutta. Queste persone sono ingestibili, incontrollabili e piene di armi perché sono stati saccheggiati tutti i luoghi nei quali erano contenute le armi dell’esercito libico. Quindi, pensare a una loro pacificazione, a una loro gestione controllata, è pressoché impossibile e utopistico. Quindi, è ovvio che con queste persone puoi fare i conti solo militarmente. Ovviamente, fuori da un’opzione militare, null’altro è possibile e qui si apre una voragine dalla quale è veramente complesso venire fuori. E’ uno scenario sul quale si fatica a dire qualcosa di preciso. Di solito con questa gente qua, lo capiamo e lo sappiamo tutti, non è possibile trattare.

D. – Le milizie filo-islamiche attive sul terreno libico possono fare qualcosa?

R. – Sì, fanno quello che stanno facendo attuando questa politica del caos che non fa altro che mettere tribù contro tribù e creare un vero e proprio caos gestionale che, a mio avviso – ma non credo sia dietrologia, è così per qualsiasi analista geopolitico che conosca perfettamente la situazione di quell’area – era proprio quello che si voleva fare.

D. – Quindi, adesso ci dobbiamo aspettare un pronunciamento da parte della Nato o dell’Onu relativamente a un intervento armato?

R. – E’ evidente. Si è creato un problema e ora ci verrà data una soluzione. Speriamo che quella soluzione non sia ancora un’aggravante, cosa altamente probabile, visto l’andamento degli interventi Nato su tutti gli scenari: vedi Afghanistan, vedi Iraq, vedi Libia, vedi Siria, perché anche lì si è favorito un tipo di situazione di questo genere. Il “mostro sanguinario”, “dittatore” che da tutti ci è stato indicato – Bashar al Assad – è riuscito a contenerli e fa il lavoro che appunto noi oggi diciamo di voler fare: attaccare e togliere di mezzo questi terroristi. Loro lo stanno facendo sul campo dal 2011: è proprio quello che ora i Paesi occidentali blandiscono.

D. – Secondo lei, quanto rischia l’Italia? 

R. – Molto. E lo capisce anche un bambino: sono a qualche centinaio di chilometri dalle nostre coste, è evidente che non è una situazione bella. Soprattutto con il flusso migratorio che abbiamo esattamente da quell’area lì, da quegli stessi ribelli che abbiamo appoggiato: sono loro che gestiscono la calata umana che da Derna, da Bengasi e dalle coste libiche – in particolare cirenaiche, ma anche della Tripolitania – arriva quotidianamente sulle coste italiane …

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XV Giornata Raccolta del Farmaco: 3600 le farmacie coinvolte

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Ricorre oggi la XV Giornata di Raccolta del Farmaco, organizzata dalla Fondazione Banco Farmaceutico Onlus. Sono 3600 le farmacie coinvolte, dove i cittadini potranno trovare i volontari del Banco che forniranno loro le indicazioni corrette su quali medicinali donare. I farmaci verranno distribuiti alle persone indigenti attraverso enti assistenziali. Eliana Astorri ha intervistato Paolo Gradnik, presidente della Fondazione: 

Torna la raccolta del farmaco. In questi 15 anni sono aumentate le farmacie che aderiscono e i volontari che offrono il loro tempo. Significa che c’è stato un parallelo aumento di persone che non si possono permettere di acquistare farmaci?

R.-  Purtroppo è così. Oggi in Italia ci sono 5 milioni di poveri assoluti per cui persone le cui famiglie hanno poco più di 10 euro al mese per provvedere alla propria cura. Noi, attraverso gli enti collegati col banco farmaceutico, riusciamo a raggiungere  ed assistere oltre 400 mila di queste persone bisognose.

D.  – Come è organizzata la giornata di sabato 14? Entriamo in farmacia e chi ci suggerisce cosa è più utile comprare  e quindi donare?

D.  – Il volontario del Banco ci spiegherà l’iniziativa e il farmacista è stato avvisato del bisogno effettivo della sua zona, per cui ha una lista di farmaci tra cui scegliere quello che intendiamo donare.

D. – A chi verranno donati questi farmaci?

R. – Ogni farmacia è associata a un ente di assistenza territoriale, normalmente vicino alla farmacia stessa, per cui massima trasparenza: chi è in farmacia sa dove finiranno i farmaci che lui dona. E anzi invito, magari se si ha qualche ora di tempo, ad andare a visitare questo ente perché sono sicuro che sia un’esperienza che può arricchire il senso della nostra vita.

D. – La raccolta verrà effettua per tutta la giornata di sabato ma qualche farmacia la protrarrà anche a lunedì…

R.  – Sì, laddove nella giornata di sabato vi è un orario limitato, vi sarà la possibilità di continuare la raccolta anche nella giornata di lunedì.

D.  – Per conoscere le farmacie coinvolte nella propria città?

R . – La farmacie saranno riconoscibili dalla locandina esposta della giornata del banco farmaceutico ma saranno, ovviamente, anche tutte disponibili sul sito del banco www.bancofarmaceutico.org.

Sabato 14 dona un farmaco! Recatevi in farmacia, acquistate anche solo una confezione di aspirine o ciò che vi suggeriscono i volontari del Banco farmaceutico e farete una buona azione nei confronti di chi le medicine non se le può permettere.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella sesta domenica del Tempo ordinario la liturgia ci propone il Vangelo in cui un lebbroso supplica in ginocchio Gesù: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Il Signore ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse:

«Lo voglio, sii purificato!».

  Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti:

 

Il Vangelo di oggi ci pone davanti ad un malato di lebbra e alla guarigione che il Signore compie. Forse non siamo più neppure in grado di comprendere la tragedia che questa malattia portava e porta con sé, anche se oggi essa è curabile. È ancora presente nel mondo con 700-800 mila casi, quasi tutti concentrati in pochi paesi tropicali (alcuni pochi casi, soprattutto di stranieri, sono segnalati anche in Italia). Per la sua tragica devastazione del corpo, causa deformità delle mani e dei piedi, cecità ed altro, e le sue conseguenze sociali di esclusione dalla comunità civile e religiosa, era ed è tutt’ora considerata, in molte parti, una maledizione divina. Al punto che oggi, per evitare la stigmatizzazione che essa porta con sé, si preferisce chiamarla “Morbo di Hansen”, il medico norvegese che ne identificò il bacillo. Al tempo di Gesù i lebbrosi erano davvero gli “inavvicinabili”, gli “intoccabili” – un’immagine di ciò che il peccato fa nell’uomo. Davanti al grido di aiuto del lebbroso, che “riconosce” in Gesù l’inviato di Dio per curare anche i lebbrosi, Gesù risponde con la sua “compassione” divina, tende la mano, lo tocca – diventando secondo la legge, egli stesso impuro – e gli dice: “Lo voglio, sii guarito”. Questa compassione che cura davvero, che ha la tenerezza di una madre, è oggi anche per quanti, a causa dei lori peccati, si sono separati da Dio e dagli altri e possono, in Gesù, essere guariti, essere restituiti alla loro dignità di figli di Dio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Libia: ancora sconosciuta la sorte dei copti rapiti dall'Is

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Mentre i jihadisti della filiale libica del sedicente Stato Islamico prendono il controllo della città di Sirte, la sorte dei 21 cristiani rapiti in Libia e tenuti da loro in ostaggio rimane al momento sconosciuta. Così ha riferito nella giornata di ieri il Primo Ministro egiziano Ibrahim Mahlab in una dichiarazione – rilanciata dai media nazionali – in cui ha anche ribadito che le autorità egiziane stanno seguendo da vicino la situazione, secondo le istruzioni impartite dal Presidente Abdel Fattah Al Sisi.

Deliranti accuse contro i copti definiti "crociati d'Egitto"
Nella giornata di giovedì - riferisce l'agenzia Fides - i website jihadisti avevano diffuso il numero 7 di Dabiq, la rivista ufficiale online dell'autoproclamato Stato Islamico, che pubblica le foto dei rapiti vestiti con tenute arancioni e tenuti in ostaggio da uomini armati dal volto coperto. L’articolo delirante che accompagnava le foto lasciava intuire l’intenzione dei jihadisti di trucidare gli ostaggi. Nell’articolo si accusava i cristiani copti - definiti “crociati d'Egitto” di aver in passato costretto con la violenza alcune donne copte a rinnegare la propria conversione all’islam. Nel testo si cita anche la strage compiuta nel 2010 dai terroristi di al-Qaeda nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad, presentata come una prima “vendetta” per le presunte violenze dai copti in Egitto.

Protesta delle famiglie dei rapiti contro il governo egiziano
Nella giornata di ieri, le famiglie dei copti rapiti – che erano stati sequestrati nei pressi della città libica di Sirte all’inizio di gennaio – hanno tenuto al Cairo una manifestazione di protesta contro il governo, da loro accusato di aver trattato con disinteresse la vicenda.

I copti sarebbero ancora vivi
Intanto, intervenendo telefonicamente a una trasmissione, il consigliere presidenziale per le questioni tribali Ahmed Taram ha riferito che secondo alcuni capi tribali contattati in Libia, i copti sequestrati sarebbero ancora vivi, e nelle prossime ore ci sarebbero ancora margini per tentare una trattativa che porti alla loro liberazione. (G.V.)

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Niger: cristiani esempio di tolleranza e coesistenza pacifica

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"Gli avvenimenti tragici e distruttivi di venerdì 16 e sabato 17 gennaio 2015, a Zinder e Niamey, non hanno turbato la calma dei cristiani. Infatti, aldilà delle perdite di vite umane, tali avvenimenti sono stati condannati all’unanimità da tutti i nigeriani sinceri ed appassionati per la pace, soprattutto quelli di credo musulmano. Nonostante il caos religioso, a nome del quale la manifestazione anti Charlie ha avuto luogo, abbia provocato la distruzione selvaggia e barbara dei luoghi di culto, i cristiani richiamano i loro fratelli alla calma e alla serenità, alla tolleranza e a non alimentare odio verso i musulmani". Così scrive un giornalista di un quotidiano del Niger, in un articolo di commento alle violenze di un mese fa; articolo segnalato all'agenzia Fides dal Padre Nicolas Ayouba, Superiore della vice-Provincia dell’Africa dell’Ovest dei Redentoristi.  

L'atteggiamento al perdono dei cristiani, esempio per tutta l'Africa
"Tale atteggiamento di superamento, di cui hanno dato prova i cristiani di fronte a delle perdite gratuite ed irreparabili che i manifestanti hanno loro inflitto, - commento il giornalista nigerino - deve essere di esempio in Africa ed in ogni parte del mondo. Ancora meglio, lunedì 26 gennaio, i vescovi della Chiesa cattolica sono usciti per placare in anticipo lo spirito dei cristiani e dei musulmani, richiamandoli alla coesistenza pacifica. Che straordinario comportamento di pace! Che forza d’animo e che atteggiamento non violento!"

I cristiani hanno chiesto perdono ai loro aggressori
"Vengono aggrediti, uccisi, distrutti i loro beni, senza alcuna ragione valida - sottolinea il giornalista - normalmente si dovrebbe chiedere loro perdono, ma, cosa curiosa, sono loro a chiedere perdono alle altre comunità, richiamandole alla coesistenza pacifica. Vengono loro distrutte tutte le infrastrutture che hanno impiegato molto tempo a costruire, ma essi non si adirano, né ce l’hanno con i nigerini. Al contrario, essi richiamano all’amicizia, alla fraternità ed all’unità, per avere la forza di combattere un nemico comune che sono il terrorismo ed il fanatismo religioso".

Non hanno accusato nessuno, rimettendosi a Dio
"Sono tutti i cittadini sinceri - sottolinea - che avrebbero dovuto adottare questo modo di comportarsi per calmare la comunità cristiana. Ed ecco che è essa stessa ad adottarla per rassicurare i nigerini, per dire loro, a viva voce, che ciò che è accaduto e nessuno ne è responsabile. Sono semplicemente alcuni avvenimenti imprevisti con degli elementi incontrollati. Non hanno accusato nessuno, rimettendosi a Dio. Che livello di tolleranza!" conclude il giornalista del Niger. (R.P.)

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Pakistan: magistratura elenca 50 casi infondati di blasfemia

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La magistratura del Punjab, in collaborazione con la polizia e con il governo della provincia, ha redatto un elenco di 50 casi di persone attualmente sotto processo per blasfemia, definite “vittime dei denuncianti”, indicando così l’infondatezza delle accuse. I casi sono stati scelti tra i 262 processi per blasfemia pendenti nei diversi tribunali del Punjab, dal 2010 ad oggi. I presunti blasfemi – alcuni dei quali appartengono alle minoranze religiose – sono in carcere e i processi non sono iniziati per ragioni diverse: mancanza di prove, assenza o indisponibilità degli avvocati, anche per le condizioni economiche degli imputati o per la loro infermità mentale.

Modalità speciali per processi rapidi
Uno speciale Comitato, guidato dal Segretario della Procura generale del Punjab, Rana Maqbool, si è riunito nei giorni scorsi per discutere “modalità speciali” per un processo rapido che possa garantire l’assoluzione, il rilascio e la massima sicurezza agli imputati, accusati ingiustamente, in circostanze in cui la legge è stata palesemente abusata.

Governo del Punjab 'parte civile' per difendere presunti blasfemi
Tra le ipotesi, quella che il governo del Punjab si presenti come “parte civile” nei processi, assumendo esso stesso la difesa dei presunti blasfemi. Per fare questo, si sta cercano di ottenere un consenso da studiosi ed esperti di tutte le scuole di pensiero islamiche, per evitare possibili reazioni e proteste. Questo passo e questo approccio “costituisce un raggio di speranza per quanti sono falsamente accusati di blasfemia”, afferma l’organizzazione “Human Rights Watch” in una nota giunta a Fides. Secondo attivisti cristiani in Pakistan “è molto positivo che le istituzioni come la magistratura e il governo riconoscano l’abuso della legge sulla blasfemia e cerchino una via rapida per risolvere i casi di vittime dell’ingiustizia”. (P.A.)

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Messico: appello dei vescovi a dialogo e riconciliazione

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È un appello al dialogo ed alla riconciliazione quello lanciato da mons. Carlos Garfias Merlos, arcivescovo di Acapulco, in un messaggio pubblicato sul sito web della Conferenza episcopale messicana (Cem). Le parole del presule sono state diffuse dopo l’ennesima protesta della popolazione in relazione al “caso Iguala”, ovvero alla vicenda dei 43 studenti scomparsi lo scorso settembre. Pochi giorni fa, in migliaia hanno occupato l'autostrada tra Acapulco e Città del Messico, contestando le versioni ufficiali del governo sull’accaduto. Il tutto mentre il 6 febbraio, sempre ad Acapulco, sono stati ritrovati 61 corpi in un crematorio abbandonato; tra loro, anche i cadaveri di donne ed adolescenti.

Dialogo è indispensabile per costruire la pace
“Spesso le proteste affondano le loro radici nell’indifferenza di chi governa e nell’indignazione sociale – scrive mons. Merlos – Esse sono un diritto, ma il rischio è quello di scadere nella violenza, senza passare alla fase di dialogo e confronto sociale”. Di qui, l’esortazione dei presule a “promuovere il dialogo in tutte le forme possibili”, perché “esso è la condizione senza la quale non si risolvono i problemi, le divisioni ed i conflitti, siano essi in ambito nazionale, statale, ecclesiale o familiare”. Non solo: mons. Merlos ribadisce che “il dialogo è una condizione indispensabile per costruire l’unità e la pace”.

Bene comune, responsabilità di tutti
Di qui, l’appello ad “intavolare un dibattito profondo, sincero, aperto, chiaro e trasparente, ispirato all’amore ed alla verità, condotto con la giusta prudenza, non esclusivo bensì inclusivo, in un’ottica di confronto critico e rispettoso”, che porti al necessario “discernimento per prendere le decisioni migliori”. “Nella nostra società – continua il presule – dobbiamo comprendere l’autentica esperienza della democrazia ed il rispetto per le diverse opinioni”, perché “è responsabilità ed impegno di tutti costruire la pace e cercare il bene comune, al di là dell’individualismo”.

Diventare isole di misericordia nel mare dell’indifferenza
Guardando, poi, all’avvicinarsi della Quaresima, che avrà inizio il prossimo 18 febbraio, Mercoledì delle Ceneri, mons. Merlos richiama la necessità di “combattere l’indifferenza” in nome dell’unità e della comunione, facendosi carico in particolare dei più “piccoli, deboli e poveri”. Solo così, conclude il presule, si potrà essere “isole di misericordia nel mare dell’indifferenza”. (I.P.)

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Spagna: Chiesa su emergenza immigrazione dal Marocco

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Con la Chiesa di Tangeri uniamo la nostra voce a quella di coloro che, in nome della giustizia, chiedono il rispetto dei diritti di quanti, per mancanza di documenti, sono considerati irregolari, illegali o clandestini. I migranti sono nati liberi e uguali a noi in dignità e diritti (...). Questi nostri fratelli hanno diritto alla vita e le leggi li costringono a rischiare di perderla quando cercano l'opportunità di un futuro migliore…". Così inizia il documento ripreso dall'agenzia Fides dalla diocesi di Cadiz y Ceuta (Spagna) che racconta la situazione alla frontiera spagnola con il Marocco.

Il modo di trattare gli immigrati lascerà il segno nella nostra storia
"Denunciamo l'aberrazione giuridica costituita dalla nuova legge organica di Pubblica Sicurezza, approvata dal Congresso in Spagna, che consente i cosiddetti ‘ritorni caldi’ degli stranieri che hanno attraversato illegalmente la frontiera di Ceuta e Melilla; la legge discrimina ed esclude dalla protezione proprio quegli stranieri che sono in pericolo". Il testo della diocesi prosegue: "Tale legge nega l'uguaglianza delle persone, nega ai migranti il diritto di essere ascoltati pubblicamente da un tribunale, e li condanna a punizioni che consideriamo crudeli per gli animali...Le leggi di un popolo danno la misura della sua umanizzazione. Il nostro modo di trattare gli immigrati oggi, piaccia o no, lascerà il segno nella nostra storia".

Gli spagnoli non permettano di sporcare la propria storia con l’iniquità
Infine un appello: "A nome dei migranti, dalla Chiesa di Tangeri, chiediamo al popolo spagnolo di non permettere di sporcare la propria storia con l’iniquità della sofferenza straziante causata a migliaia di innocenti". La situazione nel sud della Spagna sta diventando molto tesa a causa dei continui tentativi di ingresso da parte di gruppi di africani. Dai dati raccolti da Fides (Associazione Pro-diritti Umani Andalucia) nel 2014 sono entrate 11.146 persone (dalla "frontiera sud"), cioè 3.596 in più rispetto al 2013. Oltre 20.000 persone, sempre nel 2014, hanno tentato di superare la rete di Ceuta e Melilla, ma solo 2.300 ci sono riusciti. (L.Z.)

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San Valentino. Mons. Vecchi: distinzione uomo-donna non è optional

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“La distinzione tra l’uomo e la donna non è un optional, ma una ‘vocazione’ a entrare in complementarietà nel gioco ineffabile della vita come Dio l’ha pensata, cioè ‘a sua immagine e somiglianza’”. Lo ha detto oggi mons. Ernesto Vecchi, vescovo ausiliare emerito di Bologna e già amministratore apostolico della diocesi Terni-Narni-Amelia, nel pontificale per la festa di san Valentino, alla presenza del vescovo Giuseppe Piemontese. Lo riferisce l'agenzia Sir.

Media portano uomo e donna a perdere coscienza della verità originaria
Oggi, ha detto Vecchi, “c’è chi rema contro. In occidente, la macchina del consenso mediatico e culturale funziona a pieno regime, e porta gradualmente l’uomo e la donna a perdere la coscienza della verità originaria, inscritta nella loro mascolinità e femminilità. Avanza così un deserto, dove tutto è uguale e indifferente; dove le sorgenti della vita si estinguono”. 
Ora “non si tratta di mortificare lo sviluppo delle potenzialità umane, ma di dare loro un’‘anima’, una ‘forma’, che le renda capaci di crescere nell’alveo dell’etica della responsabilità. Occorre, dunque, un’autocritica dell’età moderna, per riscoprire le nostre radici e recuperare quella verità che ci fa liberi e capaci di viverla nell’amore”. San Valentino, ha concluso mons. Vecchi, “può e vuole aiutarci, plasmando in questa terra ‘gente di pasta buona’. Ma tutti dobbiamo riascoltare il suo insegnamento e imitare il suo esempio”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 45

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.