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Sommario del 13/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



P. Lombardi: cardinali apprezzano lavoro di riforma della Curia

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Lavoro di riforma molto apprezzabile, da attuare anche gradualmente, e comunque che sia in grado di esprimere un profondo senso di “comunione” tra il centro e la periferia della Chiesa, senza limitarsi a un mero efficientismo. Sono alcuni degli argomenti emersi durante la sessione di ieri pomeriggio e di questa mattina al Concistoro, svoltisi alla presenza di Papa Francesco, e dedicati rispettivamente al rinnovamento della Curia e alla verifica di quanto compiuto finora in ambito amministrativo ed economico. Padre Federico Lombardi ne ha fatto il consueto punto con i giornalisti a fine mattinata, in Sala Stampa vaticana, precisando che il Concistoro vede nel pomeriggio l’intervento del cardinale O’Malley sulla Commissione vaticana di tutela dei minori. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Una “comunione” tra il cuore della Chiesa e le comunità locali, non una semplice “comunicazione” di ordine pragmatico, mirata a far funzionare la macchina. E’ questo lo spirito profondo della riforma che dovrà scaturire dal processo di revisione della Curia Romana. L’auspicio è emerso dalle voci del 165 cardinali che ieri hanno terminato – con 28 interventi oltre ai 12 già contati nella mattinata di ieri – di argomentare sul lavoro di riorganizzazione svolto finora dal Consiglio di cardinali.

Semplificazione, competenza, laici
Il rapporto tra Vaticano e Conferenze episcopali, ha affermato padre Lombardi, è uno dei “sensi principali” della riforma e questa aspettativa si congiunge al bisogno, sottolineato da più parti, che le responsabilità finora di pertinenza dei dicasteri vaticani possano essere decentrate nel senso della “sussidiarietà”, conservando ciò che di efficace viene già svolto in seno agli uffici della Santa Sede e cambiando, magari destinandolo ad altri, ciò che invece sia possibile migliorare:

“Tornava il criterio della semplificazione come criterio condiviso e considerazioni sul personale, che sia un personale qualificato dal punto di vista sia della competenza, sia anche dello spirito ecclesiale, della spiritualità, della dedizione e che venga dalle diverse parti della Chiesa in modo tale che la Curia rispecchi anche la ricchezza e la varietà della Chiesa universale. Ci sono stati anche interventi che sono tornati sul tema della responsabilità dei laici e in particolare anche delle donne e della loro presenza in posizioni anche di responsabilità nella Curia romana”.

Attuare per gradi
La riforma in atto è lunga e complessa e non necessariamente – ha invocato qualcuno dei presenti al Concistoro – essa deve rappresentare una rottura rispetto alla “Pastor bonus”, che invece – è stato ribadito – contiene “elementi molto positivi e importanti” che “non vanno perduti”. Inoltre, lo stesso percorso di rinnovamento potrebbe avvenire “per parti”, come ha osservato padre Lombardi riferendo della preferenza espressa da alcuni dei porporati:

“Un certo consenso sul fatto che sia bene la possibilità di un’attuazione, anche graduale, quando ci sono decisioni o misure che sembrano mature, che possano cominciare ad essere attuate senza bisogno di attendere il completamento di tutta l’opera e che come dicevamo richiede anche un tempo prolungato”.

Il punto sull'economia vaticana
La mattinata di oggi è stata invece dominata da una ampia relazione a più voci sui temi dell’economia offerta ai 164 presenti. Il cardinale Pell l’ha introdotta, quindi – con la proiezione di “slide” accompagnata dalle relative spiegazioni – si sono susseguiti al microfono dapprima il vicecoordinatore del Consiglio dell’Economia, Joseph Zahra, che in veste di ex presidente della Cosea ha descritto lo studio condotto l’anno scorso dalla Commissione pontificia sui problemi economico-amministrativi della Santa Sede. Terzo intervento, quello del cardinale Marx sulla composizione e il funzionamento del Consiglio per l’Economia. A chiudere – prima che i quattro relatori si dedicassero a rispondere a una ventina di domande dei presenti – è stato il presidente dello Ior Jean-Baptiste de Franssu che, ha detto padre Lombardi, ha fatto il punto sulla situazione attuale e sulle sue prospettive. Molte delle domande finali, ha precisato il direttore della Sala Stampa vaticana, sono state in realtà degli espliciti apprezzamenti per l’impegno messo in campo nella riorganizzazione dell’amministrazione della Santa Sede nel senso “della trasparenza, della responsabilità, della integrità, della competenza” che conferiscono grande “credibilità” al cammino di cambiamento intrapreso dalla Curia Romana.

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Benedetto XVI presente al Concistoro per la creazione di 20 cardinali

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Benedetto XVI ha accolto volentieri l’invito di Francesco a partecipare al Concistoro ordinario pubblico che si svolgerà domani alle 11.00 nella Basilica di San Pietro per la creazione di 20 nuovi cardinali.

Il Papa emerito ha partecipato anche al Concistoro del 22 febbraio 2014 per la creazione di 19 nuovi porporati. In quell’occasione, all’inizio della cerimonia, Francesco salutò con affetto Benedetto che con un gesto di umiltà si tolse lo zucchetto. Un abbraccio fraterno accompagnato da un lungo emozionato applauso dei presenti.

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Il card. Lacroix: Curia non sia dogana ma servizio a missione Chiesa

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La riforma della Curia – ha detto ieri Papa Francesco in apertura del Concistoro - deve “favorire maggiore armonia nel lavoro dei vari dicasteri e uffici al fine di realizzare una più efficace collaborazione in quell’assoluta trasparenza che edifica l’autentica sinodalità e la collegialità. La riforma – ha sottolineato il Pontefice - non è fine a se stessa, ma un mezzo per dare una forte testimonianza cristiana”, favorire “una più efficace evangelizzazione” e “incoraggiare un dialogo più costruttivo con tutti”. Sulla riforma della Curia ascoltiamo il cardinale Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec, in Canada, al microfono di Hélène Destombes:

R. – Dans les congrégations, avant le Conclave...
Nelle congregazioni, prima del Conclave, c’era già un grande desiderio di riforma. Il Papa risponde a questo desiderio. E i cardinali vedono che il Santo Padre ha preso seriamente in considerazione questa domanda e ci lavora con un Consiglio di 9 porporati ma anche in maniera allargata. Consulta molto i capi Dicastero, che danno molti suggerimenti, e anche molte altre persone sono state consultate.

D. – Quale dovrebbe essere l’identità della Curia Romana?

R. – Une identité de service. D’abord, service au Saint-Père  …
Un’identità di servizio. Innanzitutto servizio al Santo Padre per aiutarlo nella sua missione. Ma anche servizio alla missione della Chiesa e alle Chiese locali. Il Papa dice che entrare nella Curia Romana non deve significare svolgere un lavoro da dogana. L’identità della Curia deve essere quella di aiutare la Chiesa a realizzare la sua missione.

D. - Questa riforma suscita interrogativi, entusiasmo, forse inquietudine. Cosa ha percepito tra i cardinali?

R. – Je n’ai rien perçu comme inquiétude …
Non ho percepito inquietudine. Ma non bisogna mettere la testa sotto la sabbia. Ogni riforma suscita inquietudine. Ogni cambiamento, piccolo che sia, provoca inquietudine, a volte paura. Questo non deve sorprendere ed è una grande sfida. Siamo tutti cattolici, ma veniamo da tutte le parti del mondo, siamo di differenti culture, lingue e tradizioni. Tutto questo arricchisce ciò che siamo. Siamo di differenti generazioni. Ci sono differenti scuole di pensiero. Riunire tutto ciò e lavorare a questa riforma che auspica il Papa e anche la Chiesa, è esigente: ma un cambiamento è necessario! Questo è stato detto chiaramente e ci lavoreremo insieme per arrivarci.

D. - Oggi qual è la priorità?

R. – Je sens très fort que le Saint-Père veut que …
Sento molto forte il fatto che il Papa vuole che torniamo ad essere credibili. Lui insiste molto sulla testimonianza: dare una vera testimonianza cristiana. Non solo per coloro che sono sul campo un po’ ovunque per il mondo, ma la Curia, le persone che lavorano qui, i collaboratori più vicini al Santo Padre, devono anch’essi darci una testimonianza di vita cristiana. L’ha detto parecchie volte. Bisognerà sconfiggere il carrierismo e la ricerca di potere. E il Papa vuole assolutamente che non ci si preoccupi prima dell’organizzazione ma della missione. Allora, è molto importante in questa riforma che siamo più discepoli missionari, come lui dice spesso e come leggiamo nella sua Esortazione Apostolica Evangelii gaudium.

D. – In questa Esortazione il Papa chiede un “salutare decentramento”…

R. – Oui, évidemment. C’est un travail que le Concile Vatican II …
Sì. Certo. Questo è un lavoro che il Concilio Vaticano II ha avviato già 50 anni fa. Ma sappiamo che la riforma ha bisogno di tempo. La conversione ha bisogno di tempo. E bisogna continuare in questa direzione. Mi pare che quello che stiamo vivendo con Papa Francesco sia finalmente il risultato dei grandi auspici del Vaticano II. E’ chiaro che abbiamo fatto dei passi, molti grandi passi. Ma questo è come fare un passo da gigante ed è salutare.

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Mons. Menichelli: non tradire verità, esercitare misericordia

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Tra i 20 nuovi cardinali che saranno creati in San Pietro c’è anche l’arcivescovo di Ancona Edoardo Menichelli. Fabio Colagrande gli ha chiesto con quali sentimenti si appresti a vivere questo evento: 

R. – Con sentimenti contrastanti: c’è la gioia, la contentezza, la sorpresa. Dall’altra parte, però, con un grande interrogativo, vale a dire: perché questo? Senza enfasi di nessun tipo, la domanda più semplice è: cosa vuole Dio da me? Perché credo che nello spirito ecclesiale che dobbiamo vivere, ogni battezzato, quindi anche un vescovo, un cardinale, deve pensare che ad una chiamata c’è una risposta e c’è una responsabilità. Però questo, naturalmente, mette nel cuore sentimenti contrastanti, che sono l’incapacità per un verso, la buona volontà dall’altro, il desiderio del Santo Padre …

D. – Il Papa ha messo in guardia voi nuovi cardinali dalla mondanità che – ha detto – è più pericolosa della grappa a digiuno: questo per lei, come per gli altri cardinali, è un periodo di festeggiamenti, di congratulazioni. C’è questo rischio?

R. – Nell’umano c’è sempre questo rischio. Ho sempre portato avanti un’idea che mi disse uno dei tanti vescovi che mi hanno seguito nella vita diocesana: mons. Frattegiani. Un giorno, prendendomi sottobraccio, mi disse: “Ricordati, Edoardo, che non c’è mai domenica senza venerdì”. Allora, credo che si debba mettere insieme – al di là delle battute come questa, che pure è molto significativa – la debolezza, il peccato, la vanità e dall’altra parte il desiderio di non cadere in questi tranelli che fanno parte dell’umano ma che non corrispondono minimamente alla figura del discepolo di Cristo.

D. – Per usare il gergo di Papa Francesco, anche un cardinale deve avere l’odore delle pecore…

R. – Molto. Molto. Visto che siamo alla Radio Vaticana, dico una cosa che ancora non ho detto al Santo Padre ma gli dirò: la mia storia umana è stata una storia piuttosto tribolata. Ho perso i miei genitori nello stesso anno, perché sono morti tutti e due quando avevo 11 anni: facevo il primo anno di avviamento professionale alla scuola pubblica. Mio nonno, che mi prese in carico come tutore – a quel tempo si diceva così – mi disse: “Edoardo, bisogna lasciare la scuola e andare a lavorare”. E che lavoro ho fatto? Il lavoro in cui eravamo insieme a un altro ragazzo, in due, sentivamo proprio l’odore delle pecore, cioè raccoglievamo il gregge del paese e sappiamo noi quanto abbiamo tribolato con il gregge e che odore ha il gregge! Tante volte ho pensato – anche dopo la nomina a vescovo – come quell’esperienza mi sia stata di utilità: quasi una sorta di profezia … Uscendo dall’immagine della cosa, sì, bisogna stare vicini alla gente. Oggi la gente più che i grandi discorsi ama la vicinanza, ama la consolazione, ama la misericordia, perché di questo ha bisogno. Non è che la ama così, per sfizio: la ama perché tutto questo è il deficit che la società di oggi sopporta e vive e incarna. Allora credo che stando vicino alle persone, uno sente quel famoso odore, ma soprattutto si arricchisce perché è dall’incontro con le persone che tu ti arricchisci.

D. – Lei ha partecipato al Sinodo straordinario dedicato alla famiglia; ora a ottobre la tappa conclusiva, il Sinodo ordinario. La vera sfida è quella tra dottrina e misericordia?

R. – Credo che sia proprio così. Io non so se parteciperò al prossimo Sinodo, però la sfida è proprio qui: non tradire la verità, esercitare la misericordia. Tutto questo è possibile se ognuno di noi si rende conto e crede che verità e misericordia hanno la stessa sorgente, che è Gesù Cristo. Allora, non credo che Gesù Cristo ci abbia insegnato qualcosa che si elide; ci ha consegnato se stesso che, messo insieme, fa la salvezza. Allora noi, nel tempo moderno, dobbiamo offrire la Parola di Dio – ecco la verità – ma dentro un percorso dell’umano, che necessita del perdono, della misericordia, della tenerezza, della consolazione. Questa è la grande sfida e la grande fatica. Ne approfitto: però, aiutateci anche voi, a fare questo. All’inizio della domanda, lei mi ha detto: è una sfida? Qualcuno ci vede una specie di alterità: non è un’alterità; dobbiamo costruirla insieme. Dobbiamo costruirla insieme in un’esperienza che poi ognuno di noi, personalmente, fa. Ognuno di noi si specchia davanti alla Parola di Dio e poi dice: ma … adesso ho sbagliato, chiedo perdono. Questo è l’elemento che dobbiamo fare. Per ognuno di noi, per la nostra coscienza ma anche nelle nostre relazioni pastorali.

D. – Cosa prova pensando al fatto che nella lista dei nuovi 20 cardinali ce ne sono solo tre italiani? Questo significa davvero sentirsi, anche come porporati, inseriti in una Chiesa universale?

R. – Sicuramente! Forse eravamo abituati ad essere in soprannumero … In realtà credo che la Chiesa debba rispettare questa figura universale, per cui una Chiesa che vive ad Ancona è uguale a una Chiesa che vive in Myanmar o in qualche altro luogo: questo noi dobbiamo realizzare e fare, sempre.

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Mons. Tomasi: "Triton" insufficiente, migranti vanno salvati

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Morti “intollerabili” quelle che avvengono nel Mar Mediterraneo: lo dice mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio Onu di Ginevra, interpellato dopo le ultime tragedie dell’immigrazione nel Canale di Sicilia. L’Europa deve investire di più per salvare le vite umane, sostiene, ma anche mettere in campo maggiore creatività nel pensare a come affrontare un fenomeno, quello migratorio, destinato a continuare. E ancora, i leader europei devono sentire la responsabilità anche di ciò che avviene alle periferie del mondo. Le parole di Mons. Tomasi nell’intervista di Adriana Masotti

R. – Le tragedie in mare si ripetono a ritmo regolare. Vediamo che c’è un problema di fondo, che nasce non solo dall’ingiustizia e dalle violenze che portano queste persone a emigrare, ma anche dall’incapacità da parte della comunità internazionale di prendere in mano queste situazioni con coraggio, cercando delle soluzioni che siano rispettose della dignità delle persone e della vita umana. Bisogna impegnarsi in una azione necessaria: tra il valore della vita e il risparmio per programmi ridotti di monitoraggio o di assistenza in mare, dobbiamo dare priorità assoluta al salvataggio di vite umane. Poi, verrà la questione di salvaguardare i confini dei propri Paesi. A me sembra sia molto insufficiente la campagna “Triton”, che l’Unione Europea ha voluto sostituire al programma “Mare Nostrum”, che l’Italia aveva portato avanti con grande efficacia e nella direzione del diritto e dell’etica con cui dovremmo analizzare questi problemi. Bisognerebbe mettere in moto, ad esempio, dei corridoi umanitari, così che non ci sia il rischio di cadere nelle mani dei trafficanti, che poi portano alle tragedie che conosciamo. Non solo, ma anche usare, negli interessi dell’Europa stessa, la presenza di queste persone che arrivano dando loro la possibilità di un’educazione, di una formazione professionale in modo che poi non si accumulino tutti in Italia o in Grecia, ma possano andare in quei Paesi dove c’è ricerca di manodopera. Certo non sono soluzioni semplici: richiedono investimenti economici, richiedono fantasia politica. Ma davanti al ripetersi di queste tragedie in mare non si può rimanere indifferenti.  

D. – Quindi, mons. Tomasi, lei dice: sì bisogna mettere in campo più risorse per l’emergenza, per il soccorso, ma poi bisogna anche pensare più globalmente a questo fenomeno migratorio che è destinato a continuare…

R. – I flussi migratori dall’Africa e dal Medio Oriente continueranno. Quindi, bisogna programmare non per l’emergenza ma per il lungo periodo, e attraverso delle misure che siano efficaci e legali. La responsabilità della comunità internazionale è di mostrare una solidarietà efficace, che possa garantire la prevenzione di questi viaggi che portano sempre più a perdere vite umane in maniera veramente intollerabile.

D. – Ecco, questa è una parola importante: prevenzione. Perché molti dicono che non è possibile permettere che tutti arrivino in Europa…

R. – Certo. Risolvere il problema alla radice vuol dire anche dialogare con i Paesi di origine. Però, se pensiamo alla situazione politica per esempio della Libia, che è una situazione di disordine estremo, diventa per loro una tentazione molto normale rischiare addirittura la vita pur di uscire da queste situazioni di difficoltà. La comunità internazionale, attraverso l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, attraverso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, cerca di dare delle risposte concrete, cercando di essere presente nei punti di partenza per fare in modo che si eviti lo sfruttamento di queste persone da parte dei trafficanti. Però, siamo ancora in un momento di risorse limitate, ma soprattutto, forse, manca quella volontà politica che sente come una responsabilità non solo i benefici immediati di preservazione del benessere che abbiamo, ma anche una solidarietà che si estenda alle periferie di questa umanità disperata, che cerca una via nuova per ricominciare da capo.

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“M’illumino di meno”: si spengono anche luci Cupola San Pietro

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Ricorre oggi l’11.ma edizione di “M’illumino di meno”, campagna internazionale per il risparmio energetico, lanciata dalla trasmissione radiofonica Caterpillar di Radiodue e patrocinata dal Parlamento Europeo. Per l’occasione anche le luci della Cupola di San Pietro vengono spente dalle 20.30 alle 21.30. Sull’importanza di iniziative come questa e il forte impegno di Papa Francesco in favore della difesa del Creato, Alessandro Gisotti ha intervistato Andrea Masullo, direttore scientifico dell’associazione “Greenaccord”: 

R. – Sicuramente i simboli sono importanti e noi lo sappiamo bene. Però se ai simboli non si accompagna anche una riflessione e un approfondimento sulla situazione grave che noi stiamo creando sull’ecosistema e anche sulla responsabilità individuale, allora è chiaro che il simbolo diventa qualche cosa che vale poco. Quindi è importante che da questa iniziativa parta un approfondimento e una riflessione sulla tematica ecologica.

D. – Papa Francesco ha moltiplicato, negli ultimi tempi, i suoi interventi proprio sulla salvaguardia del Creato. Recentemente in una Messa a Santa Marta ha detto che “tutelare l’ambiente non è una prerogativa dei verdi, ma qualcosa che ogni cristiano dovrebbe considerare importante”. Ecco, una sua parola su questa sottolineatura…

R. - Papa Francesco, in diverse circostanze, ha sottolineato come la “cultura dello scarto” danneggi l’uomo e danneggi la natura. Perché è una cultura pervasiva, è la cultura del consumismo, è la cultura che ha come base non l’uomo, ma l’utilità economico-finanziaria. Per cui le persone che producono poco, che consumano poco, come gli anziani e come i poveri, vengono scartate, così come le risorse naturali quando non servono al mercato, non servano all’economia. Quindi la riflessione del Papa è veramente importante ed è il preludio dell’Enciclica che stiamo aspettando e che sicuramente avrà tutti questi contenuti fondamentali che ricuciono l’economia della natura con l’ecologia umana.

D. – Francesco, come i suoi predecessori, sottolinea la necessità di guardare all’interezza e di non staccare l’uomo dall’ambiente in cui vive, come vorrebbero – anche nel recente passato – alcuni movimenti ideologici…

R. – Noi ci dobbiamo rendere conto di un fatto che può sembrare banale, ma del quale ci siamo profondamente dimenticati: il benessere umano dipende dalla natura, dal benessere dell’ecosistema che ci fornisce tutto ciò, dal Creato che ci fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Quindi se danneggiamo la natura, danneggiamo noi stessi. Non è una questione ideologica: al primo posto c’è sempre l’uomo che ha bisogno della natura. Un’umanità sana non può prescindere da un Creato sano.

D. – A fine 2015 si terrà la Conferenza sul Clima a Parigi, come guarda Greenaccord a questo evento?

R. – Siamo molto preoccupati, perché Parigi sembra essere davvero l’ultima spiaggia. Anche qui ciò che manca non è la conoscenza scientifica, perché ormai la comunità scientifica internazionale ha detto in tutti i modi quanto sia grave il cammino su cui stiamo rispetto ai cambiamenti climatici e che cosa si dovrebbe fare. C’è la mancanza di un senso di responsabilità di vivere veramente in una casa comune e quindi ci vuole un atteggiamento: l’umanità deve riconoscersi come un’unica famiglia che protegge la sua casa. Greenaccord, qualche settimana prima dell’incontro di Parigi, ha convocato giornalisti da tutte le parti del mondo, con l’intenzione di metterli a confronto con i massimi scienziati e con i negoziatori, perché si assumano la responsabilità di andare a Parigi a prendere delle decisioni concrete.

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Santa Sede chiama una donna a capo Ospedale Bambino Gesù

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La Santa Sede chiama una donna alla guida dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù. Il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, "in base ai poteri conferitigli da Papa Francesco", ha infatti nominato Mariella Enoc nuovo presidente del consiglio di amministrazione del nosocomio per il triennio 2015-2017. Nata a Novara nel 1944, la dottoressa Enoc è vice presidente della Fondazione Cariplo, ha una lunga esperienza nella gestione di strutture sanitarie e faceva già parte del consiglio di amministrazione dell'ospedale. Succede a Giuseppe Profiti, dimessosi nello scorso gennaio.

Il Bambino Gesù, situato a Roma in zona extra-territoriale vaticana, è il più grande Policlinico e Centro di ricerca pediatrico in Europa, collegato ai maggiori centri internazionali del settore. Al suo interno lavorano quasi 2.600 tra medici, ricercatori, infermieri, tecnici ospedalieri e impiegati. Il numero di pazienti curati è di oltre 1 un milione e 400mila ogni anno: si tratta di bimbi e ragazzi di tutto il mondo. Nato nel 1869, l'Ospedale Bambino Gesù pone al centro della propria attività il bambino. Ogni attività si fonda sui principi morali ed etici della fede cattolica.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Confronto aperto e costruttivo: proseguono i lavori del concistoro straordinario sulla riforma della Curia romana.

La profezia della cuoca: Alicia Barrios sull'ultima messa del cardinale Bergoglio come arcivescovo di Buenos Aires.

Un nuovo prezioso tassello sotto il cielo di Roma: Vitale Zanchettin su un disegno inedito del Belvedere vaticano.

Undici donne attorno a un tavolo: Giulia Galeotti sulla visita, in Vaticano, di una delegazione iraniana.

La battaglia del giubileo: Raffaele Colapietra su Leone XII e l'anno santo del 1825 tra favorevoli e contrari.

Unica voce dei senza voce: Maria Barbagallo sull'esemplare testimonianza di tanti religiosi nell'America latina di monsignor Romero.

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Oggi in Primo Piano



L’Ue pronta a trattare con la Grecia sulla crisi

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Si attenuano le tensioni tra Unione Europea e il nuovo governo della Grecia sulle soluzioni alla crisi economica del Paese ellenico. Al Consiglio europeo di ieri, importante apertura di Bruxelles nei confronti di Atene. La Grecia – ha detto il neopremier Tsipras – rispetterà le regole anche se non è d’accordo. Intanto la Banca Centrale Europea ha aumentato di 5 miliardi di euro la linea di liquidità d'emergenza alle banche greche che avevano esaurito il tetto. Il servizio di Giancarlo La Vella: 

Dal confronto duro al possibile dialogo. Bruxelles e Atene cominciano a trattare, sia pure partendo da posizioni distanti. Tsipras accetta di lavorare con quella che è ormai l’ex Troika. Entro lunedì, giorno del prossimo incontro all’Eurogruppo, si cercherà un terreno comune per siglare un accordo più concreto. La parola d’ordine è stata cambiata: da “rigore” a “compromesso”. Una virata importante, forse, per cui si potrebbe passare dallo scontro tra due entità, Bruxelles e Atene, a un problema interno all’Unione Europea. Decisivo il ruolo della Banca Centrale Europea, che ha aumentato la linea di liquidità d'emergenza alle banche greche, che avevano esaurito il tetto. La Germania è pronta, ma tutto dipende dal rispetto delle regole e dall'essere affidabili – ha detto la cancelliera Merkel ieri a Bruxelles. Ascoltiamo Marco Lossani, docente di Economia Internazionale all’Università Cattolica di Milano: 

R. – Non so fino a che punto sia in aria una schiarita, nel senso che pare che ci siano segnali di distensione ma al tempo stesso la stessa Merkel ha ribadito come sostanzialmente la posizione tedesca non sia molto diversa da quella che era stata ufficialmente resa pubblica alcune settimane orsono, cioè sostanzialmente si chiede ad Atene di rispettare entro certi limiti le condizioni.

D. – Si ha l’impressione che la questione greca rimanga un problema tra Bruxelles e il Paese ellenico, e non sia invece considerata come una questione interna all’Unione Europea: in fondo, la Grecia è un Paese membro …

R. – C’è stata molta confusione dall’inizio della crisi greca, nel senso che c’è sicuramente un problema legato a tutta una serie di specificità che la Grecia si porta dietro da tempo, cioè è un Paese che è ricco di inefficienze, con tutta una serie di problemi di natura strutturale e quindi è destinato ad avere di fronte a sé una crescita molto ricca di insidie e di problemi. Dall’altro lato, ci sono tutti i problemi che sono andati evidenziandosi negli ultimi anni e che derivano da un assetto istituzionale interno, in particolare all’eurozona, che è assolutamente incompleto e imperfetto. La compresenza di questi due elementi ha fatto esplodere il problema greco. La gestione di questo problema non può prescindere dalla considerazione di alcuni aspetti specifici, nel caso greco, ma al tempo stesso riconsiderare seriamente la possibilità di rivedere alcune regole delle istituzioni europee. E’ da qui che nasce tutta una serie di problemi e contrasti e difficoltà nel raggiungere rapidamente una soluzione, e più abbiamo queste difficoltà, più rimandiamo sine die la soluzione di questi problemi e gli squilibri si accentuano.

D. – Sarà possibile in poche ore trovare un terreno comune di discussione, in vista dell’eurogruppo di lunedì?

R. – Io spero davvero che si trovi una qualche soluzione, o quantomeno si intraveda un viatico utile a raggiungere una soluzione definitiva lunedì, per il semplice motivo che al netto di tante cose che sono state dette e scritte negli ultimi tempi, un eventuale default della Grecia potrebbe veramente causare delle conseguenze abbastanza importanti.

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Yemen: anche Germania e Italia chiudono le ambasciate

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Sempre più critica la situazione nello Yemen: anche Italia e Germania hanno deciso di chiudere le proprie ambasciate nel Paese. Al Qaeda nella penisola arabica ha conquistato una base militare nella provincia di Shabwa, nel sud. Mentre nella zona centrale si segnala un attentato kamikaze contro una stazione di polizia controllata dai miliziani sciiti Houthi, che nelle scorse settimane hanno preso il controllo della capitale Sanaa. Ed è stato pressante l’appello che ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha rivolto alla comunità internazionale. “Lo Yemen - ha detto - sta cadendo sotto i nostri occhi”. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Giuseppe Dentice, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi): 

R. – Ci sono diversi piani di instabilità che si sovrappongono e si intersecano fra di loro allo stesso tempo: sciiti-sunniti, lotte intra-sunnite tra le diverse tribù, contenziosi clanico-tribali, divisioni tra indipendentisti del Sud, basti pensare agli indipendentisti di Aden, nel Sud del Paese, che sono tornati di nuovo alla ribalta; e infine, appunto, il terrorismo di stampo qaedista. Quindi, sono più situazioni che stanno portando a una sorta di disintegrazione del tessuto sociale e del contesto yemenita che abbiamo conosciuto fino ad oggi.

D. – Riattivare il processo politico nel Paese è ancora possibile?

R. – Allo stato attuale, è molto difficile. Ci sono stati tentativi fino a pochi giorni fa: penso all’accordo che avevano stipulato gli Houthi con le altre forze in campo per l’istituzione di un Consiglio presidenziale ad interim, che dovrebbe fornire una sorta di governo di transizione, prima di indire nuove elezioni. Obiettivamente, per come è la situazione attuale sul campo, è molto difficile che possa essere riattivato nel  breve un dialogo o un processo di pace inclusivo, soprattutto.

D. – E’ davvero ipotizzabile un ritorno in sella dell’ex presidente Saleh, deposto nel 2012?

R. – Ci sono fonti che parlano di un ruolo di Saleh all’interno delle rivolte, soprattutto per quanto riguarda l’avanzata degli Houthi. Quindi non è così fantapolitica pensare che Saleh possa avere avuto un ruolo all’interno delle rivolte.

D. – Qualcuno pensa che sul territorio yemenita si stia giocando una partita tra Iran e Arabia Saudita: è così?

R. – Lo Yemen rientra più in una dinamica tra sciismo e sunnismo, ma soprattutto rispecchia quel classico schema lotta tra Arabia Saudita e Iran. Perché? Perché l’Arabia Saudita considera da sempre lo Yemen il proprio cortile di casa e quindi una instabilità ai confini del proprio cortile indica una stabilità interna in una prospettiva di politica estera e di sicurezza saudita. Allo stesso tempo, per l’Iran un Paese come lo Yemen, che ha una forte componente sciita, rappresenta un punto di svolta del rafforzamento del 'soft power' iraniano all’interno della regione. Insomma, sono diverse strategie che si incrociano e che rischiano di compromettere ulteriormente il quadro strategico regionale.

D. – Qual è il ruolo dell’Occidente?

R. - Gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo importante. Basti ricordare che tra Yemen e Stati Uniti esiste un accordo di cooperazione a livello di intelligence molto forte. E si può fare cenno anche al bombardamento attraverso l’uso di droni di varie postazioni di terroristi nella penisola arabica e soprattutto nello Yemen. Tuttavia, nonostante i finanziamenti che sono stati dati ai governi legittimi, prima di Saleh e poi anche quello di Aden, non si è riusciti comunque a trovare un modo per arginare questi diversi fenomeni di instabilità. Attualmente Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e anche Italia stanno chiudendo le proprie ambasciate e quindi la sensazione è che l’Occidente, in questo senso, stia riconsiderando la propria strategia all’interno delle dinamiche della penisola arabica.

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Myanmar: scontri tra esercito e minoranza Kokang

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Tre giorni di scontri al confine tra Cina e Myanmar hanno causato quasi 50 morti. Oltre 70 soldati birmani sono caduti nell’imboscata dei ribelli di etnia cinese Kokang. Fonti locali parlano anche di migliaia di civili in fuga. Il Myanmar registra, lungo la frontiera orientale e settentrionale, la presenza di diverse minoranze: si tratta di un terzo della popolazione. Al microfono di Benedetta Capelli, padre Bernardo Cervellera, direttore di Asianews:  

R. - Ci sono decine di minoranze che già dall’indipendenza non sono mai riuscite ad essere amalgamate perfettamente allo Stato. In più, con la dittatura militare e adesso con il nuovo Stato “semi-laico” queste non riescono ad avere un minimo di autonomia, non dico di indipendenza; i loro territori, le loro economie vengono sfruttate, ma le minoranze rimangono povere ed emarginate. Questo è il grande problema. I cosiddetti “kokang” sono delle minoranze di etnia cinese che per tutti questi anni non hanno potuto fare molto, ma in quella zona lì c’è un grande sviluppo dal punto di vista economico dovuto al rapporto tra Myanmar e Yunnan, tra Myanmar e Cina. Questo sviluppo economico, di fatto, mette ai margini tutte queste minoranze. Per questo motivo le minoranze si ribellano.

D. - Tra l’atro c’è comunque ancora un conflitto in corso con i ribelli Kachin nel Nord …

R. - Sì, anche con i Kachin è la stessa cosa, oppure con altre minoranze come i Kayah o altre come Chin, sempre per quanto riguarda lo sfruttamento delle acque, delle miniere, dei legnami; la Cina sta portando via dal Myanmar tonnellate – migliaia di tonnellate – di legname pregiato distruggendo le foreste del Myanmar. Quindi queste situazioni in cui la popolazione locale si impoverisce a favore invece della ricchezza della Cina e del governo del Myanmar sono la causa della guerra.

D. - Alcuni Paesi membri dell’Unione Europea nelle settimane scorse hanno fatto una dichiarazione congiunta criticando disegni di legge che sono al vaglio del parlamento birmano e che riguardano la libertà religiosa. C’è un pericolo vero per la libertà religiosa in Myanmar?

R. - Attualmente la libertà religiosa è abbastanza riconosciuta. Certo, il governo è sempre molto sensibile alle critiche, per cui finché c’è libertà di praticare la religione, i culti, questo non viene toccato; se invece le religioni fanno qualche critica o si esprimono nella società questo diventa un po’ problematico in quanto c’è il tentativo di soffocare dal punto di vista delle pubblicazioni e delle espressioni sociali. Poi c’è una tensione molto forte nei confronti del mondo musulmano, delle minoranze Rohingya. In qualche modo il governo - o per lo meno i militari - sono conniventi nel suscitare un certo nazionalismo buddista - anche violento - contro questi musulmani.

D. - Il Paese è tra l’altro chiamato alle urne il prossimo novembre. Resta l’incognita della partecipazione di Aung San Suu Kyi. C’è una soluzione possibile perché  la leader dell’opposizione birmana possa partecipare al voto e candidarsi alla presidenza?

R. - Il problema della leader birmana è che non può diventare presidente come magari lei sperava. Ma di per sé, partecipare come come candidata a parlamentare penso sia possibile, anche perché lei attualmente fa parte del parlamento. Il punto è che ci sono dei limiti al fatto che lei diventi presidente quindi rappresentativa dell'’immagine ideale del Myanmar in tutto il mondo.

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Neonata morta in ambulanza. Indaga magistratura e Ministero

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Sgomento e incredulità in Italia, per la neonata morta a tre ore dal parto in una clinica privata, a causa di una crisi respiratoria, durante il trasferimento da Catania a Ragusa, dopo essere stata rifiutata da tre grandi ospedali del capoluogo etneo. Aperte due inchieste penali dalla magistratura e due amministrative, una della regione Sicilia e una del Ministero della salute. Ci sono già degli indagati. Per capire cosa non ha funzionato nel sistema sanitario siciliano, Marco Guerra ha intervistato Giuseppe Greco membro della Direzione nazionale del Tribunale del malato: 

R. – Sono tutte le realtà di Utin, cioè di Terapia intensiva neonatale, per la città metropolitana di Catania che hanno dato risposta negativa. Quindi, vuol dire che c’è una condizione di insufficienza rispetto a quello che è un evento improvviso, che è tipico però del bisogno di terapia intensiva neonatale. C’è un problema serio di ridefinizione di quella che è la mappatura, quindi l’allocazione, delle terapie intensive neonatali. Però questo non doveva accadere, perché il parto è andato a buon fine e poi l’insorgenza della crisi respiratoria ha invece determinato una urgenza rispetto alla quale il sistema non ha funzionato bene. Dobbiamo scoprire perché il tempo non è stato calcolato, perché è andato troppo troppo dilatandosi? Perché la scelta si è basata su Ragusa, che è una città molto distante? E quale è stato il ruolo del 118 in tutto questo, perché avrebbe dovuto probabilmente anche pensare ad uno spostamento con altro mezzo, che non l’ambulanza.

D. – Chi ha le responsabilità maggiori? I tre ospedali catanesi che hanno rifiutato la neonata sono tra i più efficienti della Sicilia e del Sud Italia, dice il presidente della Regione Crocetta…

R. – Guardi anche io sono del parere che è un buon sistema sanitario, che però deve fare i conti con troppe cose in questa fase della vita dei servizi sanitaria regionali. Deve fare i conti con quelli che sono i tetti di spesa, con quelle che sono le attribuzioni dei posti letto, con quelle che sono le necessità di investire maggiormente sul territorio, con quella che è la necessità – necessità ovviamente tra virgolette – anche di ridurre in maniera eccessiva i posti letto. Qui siamo di fronte a una realtà specifica, che è quella della terapia intensiva neonatale, e io mi vorrei soffermare su questo punto: io credo che investire maggiormente nelle terapie intensive neonatali sia un fattore fondamentale per il buon funzionamento di un sistema grande. Poi dobbiamo ragionare, in questo caso di Catania, in un sistema che è quello di un’area metropolitana… Le risposte che bisognerà dare sono su come deve funzionare una città metropolitana.

D. – Ma è normale che un ospedale non accetti una neonata in situazioni critiche?

R. – No, non è normale. Non è normale ed è una cosa che non si può accettare. Stiamo parlando di grandi ospedali, stiamo parlando di nosocomi molto grandi. Non c’era posto, perché tutti i posti erano assegnati, però  io ne prendo uno – il Calvizzano – che ha solo quattro posti di terapia intensiva neonatale e che a nostro avviso sono insufficienti. Per cui, abbiamo chiesto risposte ben precise su questo e probabilmente ci costituiremo anche parte civile, con l’adempimento successivo rispetto a quelle che saranno le cause appurate ed accertate.

D. – Le cliniche private che eseguono parti non dovrebbero avere una rianimazione neonatale?

R. – In genere sono, in un qualche modo, collegate con le realtà di ospedali più grandi, di ospedali pubblici, rispetto ai quali chiedere poi un intervento qualora si presentassero delle difficoltà di questo tipo. Certo, le grandi cliniche private è bene che ce le abbiano e infatti molte ce le hanno, però qui in Sicilia le cliniche sono più piccole.

D. – Allargando invece il discorso a livello nazionale, additare la sanità come il principale problema delle casse pubbliche influisce alla fine sui servizi che abbiamo?

R. – Purtroppo in parte influisce. Non vi è dubbio che i tagli hanno inciso, a volte, anche in ambiti sui quali non bisogna toccare l’equilibrio possibile, che era quello che era in atto. Bisogna provare a tagliare da altre parti.

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Giornata mondiale della radio 2015 su giovani e innovazione

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La Radio è “un vettore di coesione e di lotta alla discriminazione”: così Irina Bukova, direttrice dell’Unesco, per l’odierna Giornata mondiale della radio. L’iniziativa si svolge quest’anno sul tema “Giovani e innovazione”. Per l’occasione, la Radio Vaticana, che ieri ha compiuto 84 anni, riceve a Madrid il “Premio Internazionale dell’Accademia Spagnola della Radio”. Il servizio di Massimiliano Menichetti

Una piattaforma di condivisione universale in cui i giovani devono trovare il loro posto per potersi esprimere. E’ la sfida lanciata dal World Radio Day 2015 che quest’anno mette al centro dell’attenzione proprio i giovani. Il prof. Giovanni Puglisi presidente della Commissione italiana Unesco:

R. – Il cuore di questa giornata evidentemente sono i giovani e il bisogno che hanno oggi di comunicare. Uno dei drammi principali della gioventù è il chiudersi in sé, il mettersi davanti ad Internet, cercando chissà che cosa… Mentre la radio, la voce, è molto importante: l’ascolto, oltre che il parlare.

D. – Mettersi ad ascoltare, uscendo dalle frenesie: un po’ questo sta dicendo?

R. – L’ascolto è una parte fondamentale della comunicazione. Saper ascoltare è la cosa più difficile nel mondo contemporaneo, un poco per il frastuono che c’è intorno, un poco per l’abitudine all’egoismo. La radio insegna a saper ascoltare.

D. – Nell’era della comunicazione digitale, dove c’è tanta interattività, la radio ha ancora un posto?

R. – La radio ha un posto perché è una porta aperta sul mondo, soprattutto il mondo che tu senti. Internet è un mondo muto, spesso. I giovani cercano il dialogo, non cercano soltanto l’esternalizzazione delle loro curiosità.

D. – Nel mondo la radio, anche in tanti Paesi magari meno sviluppati, è anche veicolo di formazione, oltre che in informazione…

R. – La radio può essere una forma di insegnamento, di formazione a costo zero, che diventa poi quella più forte e più diffusa, più convincente. Oggi il mondo ha bisogno di queste espressioni e di queste forme.

La radio è uno strumento prezioso che non morirà mai ed è insostituibile in alcuni contesti come quello africano. Così padre Fabrizio Colombo, oggi direttore del Signis, l’Associazione cattolica mondiale per la comunicazione, già responsabile in Ciad dell’emittente diocesana:

R. – Posso veramente attestare che la radio sia il medium dell’Africa. E’ vero che i social network, telefonini, eccetera, stanno arrivando, però rappresentano – soprattutto nel mondo rurale – solamente il 18 per cento. Nel mondo rurale, almeno il 76 per cento della popolazione ascolta la radio. E’ importantissimo, perché la radio in Africa è un metodo per cambiare la vita e anche la società. E’ un medium che può essere effettivamente la voce dei senza-voce: il lavoro che facevo io era proprio di cambiare la prospettiva del microfono in cui non parlavano gli esperti, ma essendo una radio comunitaria, parlava la comunità.

D. - A chi davate voce concretamente?

R. - Dai bambini che venivano sfruttati, dalle donne che venivano maltrattate, a persone vittime di infrazioni di diritti umani … Una radio, perciò, che era per la gente e della gente. Una radio che cercava anche di promuovere i giovani, facendoli diventare protagonisti. Quindi, tutte queste cose facevano sì che la radio diventasse una specie di centro intorno al quale girava tutta la società, il villaggio, la comunità. Queste sono strutture a cui la gente si appella, anche per difendere i propri diritti. Questo grande  impegno per l’uomo, spesso, viene dalla Chiesa cattolica e per la gente la radio diventa veramente un rifugio: difendersi,  per trovare speranza.

D. – Come viene ascoltata la radio?

R. – Praticamente, in Fm. Pochissime radio hanno la possibilità di trasmettere in Am o in onde corte, anche perché l’Fm è un metodo veramente popolare: dall’agricoltore che la mattina va nei campi e l’appende all’albero prima di iniziare a lavorare, allo studente che negli intervalli, oppure finita la scuola, si accende la sua radiolina … Quindi, Fm è la tecnologia più usata.

D. – Dunque, evangelizzazione, difesa e promozione dei diritti umani, formazione. Secondo lei qual è la sfida, il futuro della radio?

R. – L’impegno è sempre quello: quello di essere la voce dei senza-voce. Credo che con Papa Francesco si apra una porta che per noi che facciamo radio era già spalancata, cioè: non ha senso fare una radio nella quale dove dall’alto di una piramide scendono cose sulla testa della gente. Noi abbiamo sempre cercato di essere, i portavoce di coloro che non hanno voce, di coloro che sono emarginati. Quindi l’impegno sociale è per la giustizia, per la pace, per il dialogo interreligioso, per la risoluzione dei conflitti: questa è una priorità e la grande sfida che continua. Ma oggi direi di più: il tema della giornata mondiale ci dà lo spunto. E’ tempo e dobbiamo sviluppare sempre di più questa voce dei giovani, cioè far spazio ai giovani perché portano creatività, portano cambiamento, che a volte può essere anche un po’ critico, però è importante perché alla fine, futuro del mondo sono – appunto – i giovani.

D. – Com’è una struttura radio che lavora in un contesto come quello africano?

R. – La struttura interna è abbastanza semplice: non abbiamo tantissimo personale, si cerca di essere il più tecnologici possibili; allo stesso tempo, cerchiamo di includere i grossi network. Ad esempio, dove io lavoravo in Ciad avevamo un’antenna che captava le trasmissioni della Radio Vaticana in partnership con la Bbc World Service. Uno poteva trovare l’expertise dei grandi network e allo stesso tempo la voce locale. Si accontentavano un po’ tutti. Questa era la formula che avevamo trovato. Però in generale possiamo dire che le strutture sono sempre abbastanza semplici, noi davamo priorità soprattutto alla creatività.

D. – C’è ancora questa radio?

R. – Si chiama Radio Lotiko , esiste ancora; “lotiko” in lingua locale vuol dire “wake up”, sveglia, è tempo di svegliarsi e di non restare assopiti, anche per quanto riguarda i problemi: “wake up”, cerchiamo di risolverli insieme alla luce dl Vangelo.

La radio, inoltre, precisano al Signis, è il mass-media che si adatta meglio di ogni altro alle nuove frontiere digitali. Oggi questo mezzo in Europa sta utilizzando nuove tecnologie come il Dab Plus, ma la radio del futuro non sarà più analogica? Mauro Roffi responsabile della storica rivista italiana “Millecanali”:

R. – Attualmente in Europa c’è una situazione a macchia di leopardo rispetto al mondo televisivo,  dove – fra l’altro – la trasformazione al digitale è stata una scelta comunitaria: c’è stato una specie di obbligo complessivo per tutti i Paesi dell’Unione che ha determinato il passaggio al digitale. La situazione radio è decisamente più complicata, perché ci sono alcuni Paesi dove il processo è abbastanza avanti, come la Gran Bretagna e la Germania; ma ce ne sono altri, come l’Italia, dove la situazione è molto problematica. Sono molti anni che si cerca di iniziare almeno il discorso, perché quando si parla di Dab ancora oggi la gente non sa bene cosa sia. Rispetto al panorama televisivo però c’è una differenza fondamentale: per la trasmissione video lo “switch off” è stata una tappa obbligata poiché le frequenze di trasmissione coincidevano e da una certa data non si è più trasmesso in analogico. Nel caso radiofonico non sarà così, perché l’Fm trasmette autonomamente rispetto al Dab Plus, il digitale radiofonico, e quindi nei prossimi anni ci sarà probabilmente una convivenza. Il passaggio al digitale in Europa sarà un’operazione molto lunga e complessa, diciamo inimmaginabile, per ora, a livello mondiale.

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Card. Maradiaga: torni l'etica nell'economia

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"Non ci può essere una crescita economica all’infinito. Bisogna che l’etica torni nell’economia". Così il cardinale Oscar Andrés Rodriguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis e coordinatore di C9, si è espresso intervenendo ieri sera, all’Augstinianum, alla presentazione del libro “Papa Francesco. Questa economia uccide”, scritto da Andrea Tornielli, coordinatore di "Vatican Insider", e Giacomo Galeazzi, vaticanista de La Stampa, per i tipi della Piemme edizioni. Il servizio di Elvira Ragosta

“Se l’economia non è per l’uomo, bisogna avere il coraggio di cambiarla”, dice il card. Oscar Maradiaga nel commentare il libro dei vaticanisti Tornielli e Galeazzi, e ricorda che l’austerità è una virtù cristiana di cui tutti abbiamo bisogno, mentre quelle che chiede la troika sono misure durissime che fanno soffrire soprattutto i più poveri”. Il libro “Questa economia uccide”, edito da Piemme, prende il titolo da una frase contenuta nell’Esortazione apostolica "Evangelii Gaudium" ed è dedicato alla visione economica e sociale di Papa Francesco, come spiega uno degli autori, Andrea Tornielli:

"Oggi viviamo l’assurdità che l’unico criterio per vedere su uno Stato sta bene è lo spread  e non la vita reale dei cittadini e delle persone: se hanno servizi, se hanno lavoro… E allora il Papa dice che dobbiamo fermarci da questa cultura dello scarto, facendoci riscoprire pagine della Dottrina sociale della Chiesa che, purtroppo, sono state un po’ dimenticate – questo bisogna dirlo".

Oltre a raccogliere gli interventi e i documenti del Papa su economia, povertà e giustizia sociale, i due autori hanno messo a confronto anche esperti di economia e Dottrina sociale della Chiesa. Ancora Andrea Tornielli:

"Gli esperti che hanno parlato sono un’economista, un banchiere: non ci sono ricette tecniche. Il nostro piccolissimo tentativo sarebbe quello di poter aiutare in qualche modo affinché su questo si apra un confronto, perché la Dottrina sociale della Chiesa non è di per sé una ricetta, però ci aiuta a capire che il cattolico, anche agendo nel mondo della politica o in quello della finanza, non può accettare si sottostare alla regola che “business is business”, e dunque tutti fanno affari come tutti gli altri e poi magari se una persona è cristiana fa una parte di carità. La domanda va anche posta in questa direzione: ovvero, se non sia necessario che intervenga qualcosa prima nel modo in cui una persona affronta e sta sul mercato, facendo l’imprenditore o agendo nel mondo della finanza".

In chiusura, il volume ospita un’intervista a Papa Francesco, in cui il Pontefice risponde a quanti definiscono di ispirazione marxista i suoi interventi. Sull’argomento Andrea Tornielli conclude:

"È una critica piuttosto grossolana, va detto. Chi l’ha fatta conosce poco o niente della Dottrina sociale della Chiesa e purtroppo conosce anche poco del marxismo. Dunque, il Papa ha risposto dicendo che non è un’accusa che lo offende, perché ha conosciuto tanti marxisti buoni, però che l’ideologia del marxista è del tutto sbagliata, non ha nulla a che fare con il cristianesimo".

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Nella Chiesa e nel mondo



India: attaccata scuola cattolica, sesta aggressione contro Chiesa

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Sconosciuti hanno attaccato durante la notte una scuola cattolica a New Delhi compiendo atti di vandalismo al suo interno e mettendo fuori uso la telecamera a circuito chiuso. Lo riferisce oggi la tv Times Now. La polizia, intervenuta in forze sul posto, ha precisato che l'istituto scolastico attaccato è la Auxilium School nel quartiere di Vasant Vihar. Si tratta della sesta aggressione anti-cattolica da novembre a Delhi dove sono state anche attaccate varie chiese.

Governatore Delhi: azioni simili non saranno tollerate
Il nuovo governatore di New Delhi, Arvind Kejriwal, leader del Partito dell'Uomo comune (Aap), ha condannato oggi l'attacco assicurando via twitter che "simili azioni non saranno tollerate". La direttrice della scuola, suor Lucy John, ha spiegato ai giornalisti che il gruppo di persone entrate ha messo fuori uso le telecamere installate dentro l'edificio, ma non quelle all'esterno, ed i filmati sono ora all'esame della polizia. "Hanno rovistato in tutti gli armadi", ha aggiunto la suora, precisando che "si sono impossessati di 12.000 rupie (170 euro)", ma che "nessun oggetto religioso è stato danneggiato". In seguito all'attacco il convento che gestisce l'istituto ha chiuso la struttura e mandato a casa gli studenti.

Comunità cristiana preoccupata
Parlando con AsiaNews, Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians (Gcic), dichiara: "Siamo angosciati, l'ostilità verso la minuscola comunità cristiana non ha fine. Anzi, i gruppi nazionalisti continuano a prendere di mira fedeli, istituzioni religiose e ora anche quelle scolastiche"."La situazione di ordine pubblico - sottolinea Sajan George - sta peggiorando. Il Gcic spera che l'Aam Aadmi Party (Aap, anticorruzione) ora al governo sia in grado di contenere questi elementi". Quanto sta accadendo a Delhi e in altre parti dell'India "è una macchia vergognosa sulle nostre credenziali laiche. L'India è una repubblica secolare e democratica in cui la libertà religiosa e di culto sono garantite dalla Costituzione. Stiamo perdendo la nostra autorità morale dinanzi alla comunità internazionale".

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Usa. Mons. Kicanas: no a leggi che penalizzano gli immigrati

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Leggi su immigrazione non criminalizzino
Un appello a non inasprire le leggi sull’immigrazione e a tener conto di una categoria vulnerabile come quella dei minori. A lanciarlo, in questi giorni, è stato mons. Gerald Kicanas, vescovo di Tucson, per conto della Commissione sull’immigrazione della Conferenza episcopale statunitense. Intervenendo di fronte alla Sottocommissione Giustizia per l’immigrazione e la sicurezza frontaliera, il presule si è detto contrario a tre proposte di legge le cui conseguenze finirebbero per “danneggiare i minori, sia migranti che rifugiati; criminalizzare le persone prive di documenti e quanti offrono loro assistenza, come i religiosi, permettere ai singoli Stati di creare leggi proprie sull’immigrazione”.

Legislazione sbagliata rende il Paese ingiusto
“Queste tre proposte normative – ha sottolineato mons. Kicanas – porterebbero la nostra nazione verso la direzione sbagliata”; al contrario, “è necessario approvare una legislazione globale sull’immigrazione che includa anche un iter specifico per le persone senza documenti”. Invece di “risanare l’attuale sistema migratorio”, dunque, ha ribadito il presule, le tre proposte di legge lo renderebbero “meno giusto, minando l’autorità morale degli Stati Uniti, sia a livello nazionale che globale”.

Tutelare i minori ed i più vulnerabili
Guardando, ad esempio, all’ipotesi di abrogare la tutela per i minori non accompagnati, in fuga dai conflitti dell’America Centrale, mons. Kicanas ha ricordato che “un Paese viene giudicato proprio per il modo con cui tratta i più vulnerabili; quindi, abrogare la tutela dei bambini rifugiati va contro la decenza e viola la dignità umana”. “Non bisogna punire questi minori – ha detto il vescovo di Tucson – perché sono innocenti e cercano solo un’opportunità e un po’ di sicurezza”. Infine, il presule ha esortato i legislatori a migliorare le proposte normative, offrendo anche l’aiuto della Chiesa: “Siamo pronti – ha concluso – a lavorare con voi per raggiungere questo obiettivo”. (I.P.)

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Elezioni, Patriarca Lisbona: voto sia consapevole e informato

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Elezioni, strumento democratico irrinunciabile
Le elezioni sono un’occasione della quale “non si può fare a meno”: sono le parole del patriarca di Lisbona e prossimo cardinale, Manuel Clemente, in un’intervista all’agenzia portoghese "Ecclesia". In particolare, il patriarca ha risposto a una domanda sulle elezioni legislative nel Paese, in programma nell’ultimo trimestre del 2015, e sulle votazioni presidenziali, previste per l’inizio del 2016.

Votare in modo responsabile e consapevole
Richiamando la necessità di “votare in modo informato”, il patriarca Clemente, anche presidente della Conferenza episcopale locale, ha lanciato un appello contro l’astensionismo, esortando i cittadini ad andare alle urne “in modo responsabile e consapevole, conoscendo i candidati, i partititi e i loro programmi elettorali”. Quindi, il futuro porporato ha ricordato che “è proprio delle società democratiche” far sì che “i governanti ed i legislatori siano sottoposti alla valutazione della popolazione”, sia che siano già al potere, sia che stiano per assumere responsabilità pubbliche.

Una responsabilità democratica
Per questo, ha ribadito il patriarca di Lisbona, è necessario valutare i rappresentanti istituzionali “attraverso la conoscenza delle persone e dei loro programmi di lavoro”. Di qui, l’invito ad essere informati meglio sui candidati e i loro progetti elettorali, perché “questa è una responsabilità che la democrazia dà alla popolazione. E noi non possiamo sbagliare”. Il patriarca Clemente sarà creato cardinale sabato prossimo, 14 febbraio, nell’ambito del Concistoro ordinario pubblico convocato da Papa Francesco. L’evento si terrà nella Basilica Vaticana alle ore 11. Assieme a mons. Clemente, riceveranno la berretta rossa altri quattordici cardinali elettori e cinque non elettori. (I.P.)

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Hong Kong. Leader religiosi: mutamenti del clima preoccupano

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Allarme sul clima dalla Conferenza dei religiosi
"Dobbiamo prenderci cura del nostro pianeta come guardiani del creato, e non solo per noi stessi ma anche per le future generazioni che ci vivranno. Il ritmo delle stagioni si è alterato, sale il livello del mare e vengono segnalate temperature record dappertutto nel mondo". Problemi gravi che hanno cominciato a "cambiare la vita sulla terra". È interamente dedicato all’impatto dell’effetto serra sul clima - che genera "carestie, malattie, migrazioni di massa, tifoni" e altri "disastri imprevedibili" - il tradizionale messaggio della Conferenza dei sei responsabili religiosi di Hong Kong in occasione del nuovo anno lunare, il capodanno cinese che debutterà il 19 febbraio sotto il segno della capra di legno. Lo riferisce L’Osservatore Romano.

Agire subito, il tempo è agli sgoccioli
I sei responsabili (rappresentanti di buddismo, cattolicesimo, confucianesimo, islam, protestantesimo e taoismo) - fra essi il vescovo di Hong Kong, il cardinale John Tong - lanciano l’allarme su un flagello da loro stessi più volte denunciato negli ultimi anni ovvero il riscaldamento climatico e le sue conseguenze. La crescente inquietudine è dovuta al fatto che il riscaldamento del clima provoca gli effetti peggiori sulle popolazioni più povere e vulnerabili del pianeta. La dichiarazione si rivolge in particolare alla comunità internazionale e ai capi di Stato invitandoli ad "agire subito" e di mettersi d’accordo al più presto per siglare un’intesa durante la Conferenza internazionale sul clima che si terrà a Parigi, sotto l’egida dell’Onu, nel mese di dicembre. "Il tempo è ormai agli sgoccioli", avvertono i responsabili religiosi.

Condividere le responsabilità morale
Il messaggio si conclude con un appello indirizzato ai responsabili politici del mondo intero a concentrarsi di più sulla condivisione delle responsabilità di ciascuno in modo da agire nell’ambito climatico, piuttosto che restare sulle proprie rispettive posizioni e i loro disaccordi". I leader religiosi, ha dichiarato Chan Kim-kwong, del Christian Council, "sono tutti preoccupati per il cambiamento del clima e la protezione dell’ambiente. È nello spirito di tutte le religioni, qualunque esse siano". Secondo il movimento interreligioso ecologista "Our Voices", citato da Eglises d’Asie (agenzia d’informazione delle Missions étrangères de Paris) che offre una sintesi del messaggio - è la prima volta che la Conferenza dei sei responsabili religiosi di Hong Kong pubblica una dichiarazione interamente dedicata all’ambiente. È importante, viene sottolineato, che i leader religiosi sensibilizzino i cittadini alla propria responsabilità morale di fronte ai cambiamenti climatici, specialmente in Asia. (L’Osservatore Romano)

 

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Angola, in agosto la prima giornata dei giovani cattolici

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Prima Giornata nazionale della gioventù
Sono attesi tremila giovani nella provincia di Huambo, in Angola, alla prima Giornata nazionale della gioventù cattolica che si svolgerà dal 26 al 30 agosto prossimi sul tema “Giovani siate testimoni dell’amore di Cristo”. Lo ha annunciato ieri a Luanda, nel corso di una conferenza stampa, il segretario nazionale della pastorale giovanile della Conferenza episcopale d’Angola e São Tomé (Ceast), padre Armando Alberto Pinho, che ha definito l’evento un opportunità per vivere l’esperienza della Giornata mondiale della gioventù a livello locale.

Risvegliare nei giovani la chiamata all’amore di Cristo
Padre Pinho, riferisce Angola Press, ha aggiunto che l’incontro vuole risvegliare in ogni giovane la chiamata all’amore di Cristo e dimostrare quanto l’energia dei giovani possa trasformare la società. L’iniziativa vuole anche suscitare interesse per le vocazioni, dinamizzare i Segretariati diocesani e arcidiocesani e incoraggiare i giovani al dialogo nella Chiesa e nelle altre realtà sociali. Ma soprattutto, ha concluso il responsabile della pastorale giovanile, la Giornata della gioventù angolana sarà per i giovani un incontro di fede con Dio. (T.C.)

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Chiesa del Kenya si prepara a celebrazioni missionarie

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Evangelizzare contesto contemporaneo
La Chiesa cattolica del Kenya si prepara a celebrare il 25.mo anniversario della Pontificia società missionaria (Pms) nel Paese. Numerosi gli eventi in programma che si terranno nel corso dell’anno, curati dalla Commissione episcopale per le missioni. A livello nazionale, in particolare, sono da ricordare la Beatificazione di Irene Stefani, al secolo Aurelia Jacoba Maria Mercedes, religiosa professa dell’Istituto delle Suore missionarie della Consolata, che avrà luogo il 23 maggio a Nyeri, alla presenza del card. Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.

Un secolo di impegno missionario
Sempre a maggio, è in programma la celebrazione dei 110 anni dalla prima Conferenza di Muranga. Svoltosi nel marzo del 1904, l’incontro fu il primo di una serie annuale, nella quale i missionari analizzano i problemi e cercavano di individuare le strategie migliori per annunciare il Vangelo nel mondo. In particolare, nella prima Conferenza vennero tracciate linee guida fondamentali su alcuni temi: gli strumenti migliori per l’apostolato, la scelta dei catechisti, le scuole, le cure mediche, le visite ai villaggi e la formazione dell’ambiente.

I 50 anni dei sacerdoti "fidei donum"
Tra gli altri eventi in programma per celebrare la Pms, da segnalare che a luglio si ricorderanno i cinquant’anni dei sacerdoti "fidei donum", mentre ad agosto saranno in programma il Giubileo d’oro della Commissione ad gentes e quello d’argento della Commissione per le missioni.

Un’evangelizzazione calata nella realtà
Il calendario delle celebrazioni è stato reso noto nel corso dell’Assemblea generale della Pms, in programma a Ngong fino a domenica 15 febbraio. Ai lavori ha preso parte anche il nunzio apostolico in Kenya e Sud Sudan, l’arcivescovo Charles Balvo, il quale si è soffermato sulle sfide che l’evangelizzazione deve affrontare oggi. “Siamo tentati di dire che le condizioni attuali sono più difficili di quelle passate – ha detto il presule – ma in realtà, esse sono semplicemente differenti. Gli evangelizzatori che ci hanno preceduto hanno affrontato la difficoltà di predicare il Vangelo ai loro tempi, noi siamo chiamati ad affrontare le difficoltà dei nostri tempi”.

Annunciare il Vangelo con gioia, fede e carità
Dal canto suo, mons. John Oballa, vescovo della diocesi di Ngong, ha evidenziato la necessità di due tipi di evangelizzazione. La prima a carattere “primario”, rivolta verso coloro che non conoscono ancora il Vangelo, mentre la seconda indirizzata verso chi, pur conoscendo il Vangelo, vive come se non lo avesse mai conosciuto. Infine, mons. Peter Kihara, presidente della Commissione episcopale per le missioni, ha invitato i fedeli a celebrare “con gioia, fede e carità” il 25.mo anniversario della famiglia missionaria nel Paese. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 44

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.