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Sommario del 08/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa all’Angelus: tratta, vergognosa piaga della società

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La tratta di esseri umani, una “vergognosa piaga, indegna di una società civile”. Lo ha ricordato il Papa subito dopo l’Angelus domenicale, nell’odierna Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. E nella preghiera mariana, il Pontefice ha riflettuto sul “sul senso e il valore della malattia”: anche oggi - ha detto -  “nonostante le molteplici acquisizioni della scienza” la sofferenza delle persone “suscita forti interrogativi” sul dolore e sulla morte. Il servizio di Giada Aquilino

Ognuno di noi “si senta impegnato ad essere voce” dei fratelli e sorelle “umiliati nella loro dignità”, perché vittime di tratta. Papa Francesco ancora una volta è tornato su quello che già in passato aveva definito un crimine contro l’umanità e, nella memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, la suora sudanese che da bambina fece la drammatica esperienza di essere vittima della tratta, subito dopo l’Angelus ha ricordato l’odierna Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone:

Tratta di persone, vergognosa piaga
“Incoraggio quanti sono impegnati ad aiutare uomini, donne e bambini schiavizzati, sfruttati, abusati come strumenti di lavoro o di piacere e spesso torturati e mutilati. Auspico che quanti hanno responsabilità di governo si adoperino con decisione a rimuovere le cause di questa vergognosa piaga: è vero, è una piaga vergognosa, una piaga indegna di una società civile”.

Preghiera per mons. Zimowski
Alla preghiera mariana, il Pontefice ha posto in evidenza la prossima Giornata mondiale del malato, che ricorre l’11 febbraio, nella festa della Beata Vergine Maria di Lourdes, e - tra le iniziative al riguardo -  ha benedetto la veglia che si terrà a Roma martedì sera. Quindi un pensiero e una preghiera per l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, che è in Polonia, molto malato:

“Una preghiera per lui, per la sua salute, perché è stato lui a preparare questa giornata e lui ci accompagna dalla sua sofferenza in questa giornata. Una preghiera per mons. Zimowski”.

Interrogativi su malattia, dolore, morte
La riflessione del Santo Padre si è soffermata “sul senso e il valore della malattia”, partendo dal Vangelo di Marco incentrato su Gesù che “risana una moltitudine di persone afflitte da malattie di ogni genere: fisiche, psichiche, spirituali”. E la Chiesa, ha sottolineato il Papa, prosegue l’opera salvifica del Signore, perché continuamente trova poveri e sofferenti “sulla sua strada, considerando le persone malate come una via privilegiata per incontrare Cristo”, per accoglierlo e servirlo: “curare un malato, accoglierlo, servirlo - ha aggiunto - è servire Cristo: è la carne di Cristo, il malato”:

“Questo avviene anche nel nostro tempo, quando, nonostante le molteplici acquisizioni della scienza, la sofferenza interiore e fisica delle persone suscita forti interrogativi sul senso della malattia e del dolore e sul perché della morte”.

Chiesa e fedeli portino luce del Vangelo
Sono domande esistenziali - ha spiegato il Pontefice - alle quali l’azione pastorale della Chiesa “deve rispondere alla luce della fede, avendo davanti agli occhi il Crocifisso, nel quale appare tutto il mistero salvifico di Dio Padre, che per amore degli uomini non ha risparmiato il proprio Figlio”:

“Ciascuno di noi è chiamato a portare la luce della Parola di Dio e la forza della grazia a coloro che soffrono e a quanti li assistono, familiari, medici, infermieri, perché il servizio al malato sia compiuto sempre più con umanità, con dedizione generosa, con amore evangelico, con tenerezza. La Chiesa madre, tramite le nostre mani, carezza le nostre sofferenze e cura le nostre ferite e lo fa con tenerezza di madre”.

Tenerezza di Dio
La preghiera del Papa si è levata dunque “affinché ogni persona nella malattia possa sperimentare, grazie alla sollecitudine di chi le sta accanto, la potenza dell’amore di Dio e il conforto della sua tenerezza”. D’altra parte, ha aggiunto, Gesù è “venuto sulla terra per annunciare e realizzare la salvezza di tutto l’uomo e di tutti gli uomini”:

“Gesù mostra una particolare predilezione per coloro che sono feriti nel corpo e nello spirito: i poveri, i peccatori, gli indemoniati, i malati, gli emarginati. Egli così si rivela medico sia delle anime sia dei corpi, buon Samaritano dell’uomo. E’ il vero Salvatore; Gesù salva, Gesù cura, Gesù guarisce”.

Tra i pellegrini presenti in Piazza San Pietro, ha infine salutato tra gli altri i fedeli spagnoli di Caravaca de la Cruz, le corali dell’arcidiocesi di Modena-Nonantola e i gruppi provenienti dalla Lettonia e dal Brasile.

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No alla tratta: suor Bonetti, anche il Papa ha acceso luce

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Come ricordato da Papa Francesco all'Angelus, nella festa di Santa Giuseppina Bakhita - schiava sudanese liberata e divenuta religiosa canossiana, canonizzata nel Duemila da San Giovanni Paolo II - si celebra questa domenica in tutte le diocesi del mondo la prima Giornata internazionale di preghiera contro la tratta di persone. L’iniziativa è promossa dai Pontifici Consigli della pastorale per i migranti e gli itineranti e della giustizia e della pace, dalla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, assieme alle Unioni internazionali dei superiori e superiore generali. Vuole essere la risposta all’appello del Papa a contrastare questo fenomeno e a prendersi cura delle vittime. Ieri il Pontefice, incontrando suor Eugenia Bonetti, presidente dell’associazione ‘Slaves no more’ che si occupa di lotta alla violenza sulle donne, ha partecipato all’iniziativa “Accendi anche tu una luce contro la tratta”, attraverso un tablet collegato al sito www.slavesnomore.it. Lo ha reso noto la stessa suor Bonetti, che al microfono di Marina Tomarro parla della dolorosa piaga della nostra società: 

R. – La tratta di esseri umani è un crimine contro l’umanità perché toglie alla persona la possibilità di vivere la sua vita, di fare della sua vita una realtà che ogni persona ha diritto di avere. La tratta è qualcosa veramente di grave, di gravissimo: nel 2015 abbiamo ancora 21 milioni di schiavi! La tratta vuol dire proprio rendere le persone schiave della loro vita, del loro destino, del loro futuro, quindi privarle di quello che è essenziale per ogni persona: vivere liberamente nella loro capacità di poter gestire la loro vita e il loro futuro. Se noi vogliamo davvero abbattere questa schiavitù, dobbiamo rompere tutti gli anelli di questa catena. E allora potremo davvero dire: no, non abbiamo più schiavi. Ma fino a quando non avremo il coraggio di spezzare questi anelli che formano questa terribile catena, noi continueremo ad avere schiavi.

D. – Ma chi sono questi nuovi schiavi? Chi coinvolge la tratta oggi?

R. – Questi nuovi schiavi li abbiamo in casa nostra, non abbiamo bisogno di andare tanto lontano! Li vediamo, li conosciamo, però facciamo finta di niente. Capire soprattutto cosa vuol dire la terribile schiavitù che può essere per le donne la schiavitù sessuale; per i bambini: privarli dell’opportunità di andare a scuola, di poter avere una vita serena, di poter giocare, solo perché magari devono guadagnare; per i lavoratori: pur di avere 4 soldi accettano anche un lavoro sottopagato. Dobbiamo davvero insieme cercare di capire che non abbiamo più la possibilità di dire: non so, non conosco, non mi interessa. Solo se lavoreremo insieme, tutti uniti, potremo davvero spezzare uno ad uno gli anelli di questa terribile catena, per dire: non più schiavi ma fratelli.

D.  – Cosa si può fare per salvare queste persone da un tremendo destino?

R. – Ciascuno ha una responsabilità. I governi hanno una responsabilità. La Chiesa ha una responsabilità. I singoli cittadini hanno responsabilità. La formazione nelle scuole... Noi dobbiamo cambiare la nostra mentalità, la nostra cultura: fino a quando avremo una cultura dell’interesse, del possesso, del piacere, della vita facile nostra a dispetto della situazione degli altri, non riusciremo mai a spezzare queste catene. Dobbiamo veramente convincerci che tocca a ciascuno di noi. Non deleghiamo agli altri.

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Papa a Pietralata: parrocchia, unico raccordo del quartiere

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Tutto pronto nella parrocchia romana di San Michele Arcangelo a Pietralata per la visita pastorale di Papa Francesco. Nel pomeriggio, il Pontefice prima della celebrazione della Santa Messa incontrerà gli ammalati, le persone senza fissa dimora, i bambini e i ragazzi della catechesi. Previsto anche un momento dedicato alle confessioni. Per conoscere come la comunità parrocchiale si è preparata a questo importante evento, Federico Piana ha intervistato il parroco, mons. Aristide Sana

R. – Una battuta: ci stiamo preparando come si preparano a San Pietro! Perché la notizia, man mano che si è diffusa, ha interessato non solo i frequentatori abituali o i componenti dei vari gruppi parrocchiali ma ha interessato tutto il quartiere di Pietralata che ha la nostra parrocchia come centro, ma in realtà Pietralata poi è stata divisa in più parrocchie, per cui ci sarà grande attenzione. Si sono mosse molte persone, soprattutto persone malate; ovviamente i bambini del catechismo e le loro famiglie sono molto curiose di incontrare il Papa; i più piccoli stanno scrivendo anche lettere al Pontefice, che consegneremo alla fine. Tutti vorrebbero essere presenti e questo ci complica un po’ le cose, però è bello vedere tanta gioia.

D. – Con che spirito è stata accolta questa notizia da parte dei parrocchiani?

R. – A parte che è arrivata un po’ come un fulmine a ciel sereno, gradito, ma al momento ho avuto paura che mi dicessero: “Ma stai scherzando o stai dicendo sul serio?”. Però subito c’è stata molta contentezza.

D. – Come nasce la parrocchia, in che quartiere si situa, anche dal punto di vista sociale, che popolazione c’è, le difficoltà?

R. – E’ nato come bonifica dell’Opera nazionale combattenti e ci sono ancora case che riportano la targa di questa bonifica. E la bonifica ha portato a Roma soprattutto famiglie che venivano dalla campagna romana, cioè dai paesi dell’alto Lazio, specialmente dalla Valle dell’Aniene. Per cui c’erano tutti questi piccoli villaggi, alcuni sono rimasti ancora. Poi, successivamente, negli anni ’40 e anche dopo, sono arrivati vari gruppi di sfollati, molti forzati perché stavano facendo gli sventramenti per fare via dei Fori Imperiali, via della Conciliazione: queste famiglie venivano sfrattate, portate qui quasi di peso. Sono nate le prime abitazioni, che poi erano quasi tutte baracche. Nel ’53 è cominciato il risanamento, nel ’60 c’è stato il boom edilizio e sono arrivate le case popolari alle quali si sono sovrapposte cooperative, altre costruzioni molto più intensive. Tutte queste parti non si sono mai integrate, perché non c’è mai stato un piano edilizio e anche adesso tutto il quartiere ne soffre. Sono tutte isole e l’unico raccordo è proprio la parrocchia.

D. - Dal punto di vista sociale che situazione c’è attualmente?

R. – Molto variegata, quelli che sono venuti per primi erano piccoli operai, muratori, imbianchini e lì il tasso di disoccupazione è più alto. Ci sono zone più povere e zone che non sono ricche però insomma nemmeno soffrono così tanto. Naturalmente poi ci sono problemi trasversali, riguardo al lavoro dei giovani.

D. - Il ruolo della parrocchia in questo contesto qual è?

R. – Diciamo che la parrocchia è sempre stata molto attenta. Agli inizi, il parroco che c’era fece fare scuole professionali, insieme alle suore per il lato femminile, perché prima della guerra ma soprattutto dopo c’era bisogno di dare un mestiere, un lavoro. Non c’erano scuole professionali. Solo dopo nacquero i grossi centri salesiani. Poi, negli anni in cui è cominciato il risanamento, il fatto assistenziale è sempre stato importante.

D. – Quali frutti vi aspettate da questa visita?

R. – Penso, anzi sono sicuro, che sia una grazia, uno stimolo alla speranza. Credo che il frutto maggiore sia questo.

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Tweet del Santo Padre: Gesù continua a illuminare il nostro cammino

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Papa Francesco ha lanciato un nuovo tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “Gesù non è un personaggio del passato: Egli continua sempre ad illuminare il cammino dell’uomo”.

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Il Pontefice nomina nuovo vescovo di Lichinga, in Mozambico

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Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Lichinga, in Mozambico, presentata da S.E. Mons. Elio Greselin, S.C.I., in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico, e ha nominato Vescovo della Diocesi di Lichinga, il Rev. Atanasio Amisse Canira, Vicario Generale di Nacala e Direttore Nazionale delle PP.OO.MM.

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Oggi in Primo Piano



Ucraina: vertice mercoledì a Minsk per accordo di pace

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I leader di Germania, Francia, Ucraina e Russia si incontreranno mercoledì a Minsk per discutere un piano di pace per il conflitto nel sud-est dell’Ucraina. E' quanto annunciato a seguito della conference-call avvenuta stamani tra i capi di Stato dei quattro Paesi del ‘formato Normandia’. E la crisi ucraina resta al centro anche della Conferenza internazionale sulla sicurezza, che si chiude oggi a Monaco di Baviera. Il servizio di Marco Guerra: 

“Si è lavorato ancora ad un pacchetto di misure”, nell'ambito degli “sforzi” per una “regolazione del conflitto nell'est dell’Ucraina”. È quanto ha fatto trapelare il portavoce della cancelliera tedesca a margine della conference-call tenutasi stamane tra Vladimir Putin, Angela Merkel, Francois Hollande e Petro Poroshenko. Sul sito della presidenza ucraina si parla di “progressi” e riguardo al vertice di mercoledì a Minsk ci si attende un accordo per un “rapido e incondizionato cessate il fuoco”. Più cauto il presidente russo Puntin che conferma la sua presenza in Bielorussia a condizione che entro mercoledì ci sarà un accordo sui diversi “punti discussi di recente”. Il lavoro sul pacchetto di misure da presentare a Minsk proseguirà infatti anche nei prossimi giorni. Domani a Berlino sarà la volta dei vice degli Esteri dei Paesi ‘formato Normandia’. Intanto al vertice di Monaco sulla sicurezza, il segretario di Stato Usa Kerry ha detto che America e Europa restano unite sulla crisi ucraina. Mentre il ministro degli Esteri russo Lavrov ha ammonito Washington riguardo ad un’eventuale fornitura di armi a Kiev che - afferma il capo della diplomazia di Mosca - avrebbe “conseguenze imprevedibili”. Infine sul terreno oggi non si segnalano combattimenti ma l’invio da parte russa di altri 170 camion con oltre 1800 tonnellate di generi di prima necessità per le roccaforti dei separatisti filo-russi.

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Nigeria: elezioni rimandate al 28 marzo per attacchi Boko Haram

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La Nigeria ha deciso di rinviare al 28 marzo le elezioni presidenziali e legislative, inizialmente fissate per il 14 febbraio. La decisione è stata presa dalla Commissione elettorale nazionale per motivi di sicurezza, a causa delle violenze degli estremisti islamici Boko Haram. In questo quadro, i cinque Paesi africani che formano la forza multinazionale per la lotta ai miliziani - Benin, Camerun, Niger, Nigeria e Ciad - hanno deciso di mobilitare 8.700 uomini. Intanto sono trascorsi 300 giorni dal sequestro delle oltre duecento ragazze rapite dai Boko Haram: la premio Nobel per la Pace, Malala Yousafzai, ha lanciato un appello ad un’azione urgente per la loro liberazione.

Sul terreno, però, i Boko Haram continuano a colpire, anche oltre i confini nigeriani. E’ di almeno un morto e più di 10 feriti il bilancio di un attacco kamikaze avvenuto nel sud del Niger. Proprio in questo Paese, il 16 e il 17 gennaio scorso, decine di chiese erano state bruciate dopo la strage nella redazione di ‘Charlie Hebdo’ a Parigi. Ma come ha vissuto la comunità cristiana questi attacchi? Michele Raviart lo ha chiesto a mons. Ambroise Ouèdraogo, vescovo di Maradì, città nel sud del Niger: 

R. – Nous étions en Conférence épiscopale au Burkina et nous avions entendu les appels…
Eravamo in Burkina Faso per la Conferenza episcopale. Abbiamo ascoltato gli appelli che incalzavano dal Niger e dalle nostre comunità cristiane e siamo partiti di corsa per tornare a casa. E già il 16 gennaio, nella mia diocesi, a Maradi, si è riversata la furia di giovani musulmani che hanno saccheggiato la parrocchia di Zinder, che è sotto la protezione di Santa Teresa del Bambino Gesù. Questa parrocchia esiste da 75 anni, cioè fin dall’inizio dell’evangelizzazione e quest’anno a Zinder si celebrava il giubileo... Quanto accaduto ci ha veramente sconvolto, traumatizzato. Tutte le strutture della parrocchia di Zinder sono state saccheggiate, bruciate, distrutte, non rimangono che pietre e cenere. Quando vedi questo, ti fa male il cuore.

D. – Conoscevate chi ha distrutto la chiesa?

R. – Hommes et des femmes, des jeunes, avec qui on avait vecu ensemble, pendant des années …
Uomini e donne, giovani, con i quali abbiamo vissuto insieme per anni, con alcuni per oltre 75 anni. Quando si fa una festa, vengono a trovarci, quando la festa la fanno loro, siamo noi ad andare a trovarli. E ogni anno – ogni anno! – quando loro festeggiano il Ramadan, la festa musulmana, i vescovi inviano loro messaggi di pace, di gioia, di amicizia e viceversa loro vengono ad augurarci buon Natale. E poi, all’improvviso, ecco che il 16 e il 17 gennaio tutto è crollato, come se tutto quello che avevamo fatto fino ad allora non fosse stato nulla…

D. – Quindi, c’era solidarietà con la comunità musulmana…

R. – Tout à fait! Nous vivions en solidarité; nos écoles sono fréquentées par 99 pour cent de…
Certamente! Noi vivevamo in solidarietà; le nostre scuole sono frequentate al 99 per cento da musulmani; il direttore della Caritas del Niger a Niamey è un musulmano, ma è un musulmano che vive secondo la visione cristiana, che l’ha adottata e che sa quello che fa. E i nostri progetti sono a beneficio degli uomini e delle donne nei villaggi, che sono tutti musulmani. Noi non facciamo distinzione: è tutto fatto per vivere la carità cristiana, per aiutare i poveri. Credo che questi drammi che ci sono successi ci interpellino profondamente. Noi possiamo andare incontro ai musulmani per dialogare insieme, incontrarci e dire: “Ecco, questo è quello che facciamo: cosa volete fare? Ci amate o non ci amate? Fatto sta che noi amiamo voi e vi amiamo sempre e lo stesso, nonostante quello che avete fatto”. Dopo le distruzioni abbiamo inviato un messaggio a tutti i nigerini in cui dicevamo: “E’ vero che le nostre chiese sono state bruciate, ma il nostro cuore, la nostra fede non è stata bruciata. E la nostra fede arde d’amore per voi, ancora, perché la nostra fede lo esige: ‘Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi. Perdonate. Perdonate!’.

D. – Avete sentito la vicinanza di Papa Francesco?

R. – Nous avons reçu une lettre du Pape qui nous soutient dans notre douleur. J’ai beaucoup …
Abbiamo ricevuto una lettera di Papa Francesco che ci sostiene nel nostro dolore. Io ho grande ammirazione per il Pontefice: ha parole giuste, semplici, profonde che ti rimettono sulla strada della solidarietà, dell’amore, della prossimità. Noi dobbiamo gettare ponti tra gli uomini, tra l’islam e il cristianesimo. Dobbiamo essere uomini costruttori di ponti, non uomini che erigono barriere! Vorrei dire al Papa: “Grazie, grazie per la sua preghiera e per il suo supporto”. So che nel suo cuore c’è posto per tutta l’umanità e credo che abbia grande compassione per chi soffre.

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Slovacchia: niente quorum per referendum sulla famiglia

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Il referendum a sostegno della famiglia tradizionale tenutosi ieri in Slovacchia non ha raggiunto il quorum. Alle urne si è infatti recato il 21, 4% dei 4,4 milioni di aventi diritto al voto. Tuttavia il 94,5% dei votanti si è espresso a favore dei tre quesiti promossi dall’Alleanza per la famiglia, che riguardavano la definizione della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, il ‘no’ all’adozione per le coppie omosessuali e la libertà educativa contro l'imposizione della teoria del gender nelle scuole. Sul significato di questo voto, Marco Guerra ha intervistato Francesco Belletti, presidente del Forum delle famiglie: 

R. – L’esperienza della Slovacchia è stata importante perché si è mobilitato un popolo. L’esito referendario, dal punto di vista giuridico, è insoddisfacente, nel senso che la partecipazione popolare è stata bassa. D’altra parte, è un Paese in cui la percentuale di votanti è sempre ridotta. In compenso si è visto l’agire concreto e positivo di una cultura popolare che sulla famiglia lega l’identità del Paese. Quindi questa è l’Europa che vogliamo: un’Europa che non manda un modello preconfezionato da Bruxelles ma che rispetta i popoli. Da questo potranno soltanto costruire in positivo. Questo è un esempio anche per noi in Italia: farci sentire con serenità ma con decisione, per riaffermare che la famiglia è un valore che costituisce la nostra identità di popolo e che va rispettata e difesa.

D. – Un messaggio anche a tutte le varie corti europee e nazionali che invece cercano di imporre una legislazione diversa in questo senso…

R. – Di solito si dice che bisogna fare l’Europa dei popoli perché abbiamo fatto solo quella della moneta: il problema non è fare l’Europa della politica o dei tribunali, ma proprio rispettare la sensibilità del popolo. Quindi tante sentenze a livello europeo sono contro il parere del popolo, contro il senso comune del popolo. Se vogliamo avere un progetto d’Europa - come è doveroso e bello: l’Europa è stata costruita dalla cultura cattolica insieme ad altre culture - bisogna che i burocrati smettano di pensare di costruire l’Europa a loro uso e consumo, ma rispettino il sentire della gente.

D. – Che poi è un sentire che va al di là anche della dottrina religiosa. Parliamo di millenni di antropologia…

R. – La famiglia nella sua identità naturale, quindi nella differenza sessuale, nel compito generativo, nel ricostruire il futuro dei popoli, è un valore condiviso a tutte le latitudini. Non è neanche un valore dell’uomo europeo, è proprio un valore di tutta la cultura mondiale. Infatti, a livello dell’Onu, per esempio, tanti altri popoli non europei difendono la famiglia naturale. E sono proprio gli europei e i nordamericani, i Paesi in mano al capitalismo più feroce, che immaginano una famiglia totalmente svincolata dalla natura. Ecco, questo ci dovrebbe dare coraggio anche per continuare a immaginare che attorno alla famiglia si difende la dignità delle persone ed è un valore di tutti.

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Siria: Is, esecuzioni pubbliche a Raqqa e Aleppo

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Non si fermano i bombardamenti dell’aviazione di Amman sulle roccaforti dello Stato islamico (Is), in risposta alla barbara uccisione del pilota giordano Muath al Kaseasbeh. Intanto, secondo alcune indiscrezioni della stampa statunitense, il Pentagono starebbe valutando l’invio di truppe di terra per combattere, insieme all’esercito iracheno, contro l'Is in una grande offensiva di primavera per riprendere la città di Mosul.

Ma nelle aree controllate dal Califfato non si fermano le brutalità. A Raqqa, in Siria, tre uomini accusati di essere "spie" sono stati decapitati in piazza, mentre ad Aleppo quattro uomini accusati di furto sono statti uccisi e poi crocefissi davanti a una folla di persone. E per una testimonianza su come si vive ad Aleppo, città devastata da cinque anni di guerra, sentiamo mons. Boutros Marayati, vescovo armeno-cattolico di Aleppo, al microfono di Michele Raviart: 

R. – La situazione ad Aleppo è una situazione drammatica, molto tragica, perché manca tutto. Manca l’acqua, manca l’elettricità, la luce, il riscaldamento, la benzina, i medici sono andati via, non ci sono medicine, ma siamo lì, a vivere, per non dire a sopravvivere. E ci sentiamo un po’ abbandonati, dimenticati dall’Occidente e da tutto il mondo. E allora la nostra gente, i nostri fedeli vengono spesso da noi per chiedere: “Rimaniamo o partiamo? Cosa facciamo?”. E tu non puoi dire niente, davanti a questa tragedia.

D. – Come si vive nel quotidiano, ad Aleppo?

R. – Soprattutto manca la sicurezza. Arrivano razzi, bombe dalla zona dei jihadisti e due settimane fa anche la nostra cattedrale è stata colpita: è stata distrutta la cupola e il tetto della chiesa. E così la gente adesso pensa ad andare via. Già due terzi della popolazione dei cristiani armeni sono andati via; è rimasto un terzo di questa gente che ancora crede: crede alla pace, vuol rimanere. E soprattutto, quando hanno lanciato questo appello per un cessate il fuoco, tanti hanno ripreso fiducia e ancora ne hanno, ma diventano più pessimisti perché vedono che la situazione non è cambiata, al contrario: è peggiorata.

D. – Cosa fa la comunità armeno-cattolica?

R. – Noi apriamo solamente le nostre chiese per aiutare la gente. Arrivano aiuti: tutti sono diventati poveri e chiedono l’elemosina; quelli che aiutavano la Chiesa, sono ormai loro stessi bisognosi di aiuto. Ma sono anche stufi: come pensare che tu possa fare sempre la fila per aspettare una goccia d’acqua, aspettare la benzina, il cibo? Ma malgrado tutto, abbiamo aperto le scuole, i fedeli vengono in chiesa: tante chiese sono state distrutte, ma quelle che funzionano ancora sono piene!

D. – Come superate la paura per tutta la distruzione che c’è attorno a voi?

R. – Questo tipo di male, come si dice nel Vangelo, non si vince che con la preghiera e il digiuno. Allora noi chiediamo la pace. Come diceva un vescovo: queste cose si chiedono al Signore, con le lacrime. Ed è quello che adesso stiamo facendo nelle nostre comunità.

D. – Qual è il rapporto con le altre confessioni?

R. – In Aleppo, tutto si fa in modo “ecumenico”: non puoi essere cristiano cattolico da solo; o siamo insieme, o non siamo. Allora tutto quello che si fa, si fa tra ortodossi, cattolici e protestanti insieme e anche con i musulmani moderati. Tutto quello che si riesce a fare adesso è frutto di collaborazione, di solidarietà ecumenica e interreligiosa.

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Don Colombo: bimbi con 3 dna, a rischio salute e identità

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La Gran Bretagna si appresta ad autorizzare - dopo il sì della Camera dei Comuni che sarà con ogni probabilità confermato dalla Camera dei Lord - la creazione di embrioni con il dna di tre genitori, che eviterebbe alle donne portatrici di gravi malattie genetiche di trasmetterle ai figli. Roberta Gisotti ha intervistato don Roberto Colombo, docente di Neurobiologia e Genetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: 

D. – Prof. Colombo, la prospettiva appare spaventosa se andiamo a toccare l’identità originaria della persona umana …

R. – Questa tecnologia riproduttiva non rappresenta solo una variante della fecondazione in vitro, che da oltre 35 anni viene applicata alle coppie infertili; non si tratta di una semplice ‘miglioria’, come l’iniezione intracitoplasmatica dello sperma introdotta nel 1992; e neppure di una tecnica di diagnosi genetica pre-impianto per l’identificazione e la selezione degli embrioni sani da trasferire in utero. Se così fosse, la riflessione antropologica ed etica non potrebbe che limitarsi a ribadire un giudizio severo sulla dissociazione tra l’atto personale di amore dei coniugi e la generazione di un figlio, dissociazione arbitraria che è attuata da ogni forma di fecondazione extracorporea. In questo caso, invece, si tratta di una manipolazione di due ovociti con scambio di genoma mitocondriale, prima della fertilizzazione di uno di essi. Questo solleva ulteriori e gravi questioni che riguardano l’identità genetica del nascituro: l’introduzione di una nuova figura genitoriale e anche il rischio biologico connesso al trasferimento di un delicato nucleo femminile, e alle interazioni dell’espressione genica nucleare con quella mitocondriale.

D. – Qualcuno parla di ‘accanimento riproduttivo’: lei condivide questa espressione?

R. – Forse l’espressione è un po’ forte, ma ci aiuta a comprendere che il rilievo antropologico del contributo del genoma genitoriale alla filiazione, come atto generativo umano, non è quantitativo, ma qualitativo; non si tratta semplicemente di una forma di terapia, ma della sostituzione di una parte del patrimonio genetico che contribuisce alla identità del nascituro. L’osservazione che il Dna mitocondriale esprime solo 37 geni rispetto alle decine di migliaia di quello nucleare, non esime questa tecnica dalla critica di essere una manipolazione del genoma umano, che altera deliberatamente – e anche permanentemente – l’identità genetica del figlio.

D. – Nel dicembre scorso, una sentenza della Corte di Giustizia europea ha autorizzato la commercializzazione degli ovociti femminili. C’è forse un collegamento con la nuova legge che sarà varata in Gran Bretagna?

R. – L’introduzione di una nuova figura di donatore – la donatrice di citoplasma – come previsto dalla legge che potrà essere approvata definitivamente in Gran Bretagna, non costituisce una figura geneticamente neutrale nel processo generativo; essa rappresenta, invece, una forma di contributo eterologo alla procreazione, che espande ulteriormente il quadro delle figure genitoriali, frammentando e decostruendo quella unità antropologica dei due – uomo/donna – che sono chiamati a generare nella carne un nuovo soggetto di pari dignità, con un atto umano unico e univoco, che non può diventare oggetto di commercializzazione.

D. – Ma ci si rende davvero conto da parte dei Parlamenti, dei politici e dei Tribunali, dei giudici, e quindi dei poteri legislativi e giudiziari, della complessità delle materie su cui legiferano e sentenziano?

R. – E’ stato fatto notare da diversi studiosi – sia scienziati medici, sia bioeticisti sia giuristi – quanto sia delicata la materia sulla quale sono stati chiamati a legiferare nel Parlamento britannico. Queste voci sembrano essere rimaste inascoltate. Ci auguriamo che, in un prossimo futuro, la riflessione su questi temi travalichi l’ambito accademico o del dibattito pubblico, e arrivi fin là dove si genera la legislazione, perché si comprenda quanto questa materia sia delicatissima, perché attiene al rapporto tra le generazioni, all’identità della nostra persona, alla corporeità, alla salute e alla malattia di cittadini.

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Don Fortunato Di Noto: piaga pedofilia, atrocità indicibili

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La piaga della pedofilia sembra non conoscere limiti: l’Associazione Meter anticipa alla nostra emittente alcuni dati del suo Report annuale, che sarà reso pubblico a breve, sulle violenze subite dai minori. Dai dati, appare in crescita a livello globale la violenza pedopornografica degli adulti sui neonati. Luca Collodi ne ha parlato con don Fortunato Di Noto, parroco siciliano, fondatore e presidente dell’Associazione: 

R. – Il fenomeno degli abusi sui minori, che è globale, è veramente drammatico. Non possiamo pensare che sia un fenomeno marginale: è un fenomeno che dai dati, verificabili – perché le nostre segnalazioni e le nostre denunce vengono inoltrate alla polizia italiana, alla polizia internazionale e di conseguenza, in Italia, alle procure distrettuali che poi avviano le indagini – i numeri la dicono lunga. Ad esempio, il fenomeno è smisurato per quanto riguarda il coinvolgimento, con atrocità indicibili, sui neonati. Poi c’è la serialità dei siti fotografici che è spaventosa! Ci sono bambini – 300, 400, 500 bambini – che vengono fotografati nello stesso set fotografico: ciò significa che c’è una vera e propria organizzazione dietro allo sfruttamento sessuale. Ma quando parlo di pedofilia, noi parliamo di bambini da 0 anni ad un massimo di 12, 13 anni!

D. - Don Di Noto, non parliamo più di semplice prostituzione minorile, ma di abusi ancora più gravi?

R.- Certo. Non stiamo parlando di prostituzione minorile o di situazioni legate all’autoriproduzione del nudo o di atteggiamenti sessuali che riguardano minori un po’ più grandi: situazione sempre grave, ma che rientra in un altro fenomeno, che è più culturale, un fenomeno di abbassamento di valori, di coscienza. Quello degli abusi sui neonati è un dato estremamente drammatico e – voglio ripeterlo – verificabile. Lo sradicamento del fenomeno nasce da un’azione congiunta, educativa, culturale, religiosa. Vedo anche che nel mondo religioso sono stati firmati importanti accordi, lanciate importanti iniziative. Però, quello che percepisco è una certa disunità. E’ vero che siamo esperti, capaci, ognuno può portare le proprie cose… però, vedo che in tutto questo non c’è un’assise mondiale in cui siamo tutti d’accordo nel fare azioni mirate, azioni ben precise, azioni capaci di dare un’incisività.

D. – Dietro alla piaga degli abusi sui neonati ci sono gruppi di potere finanziario ed economico?

R. – Non solo finanziari ed economici: si tenga presente che solo la produzione pedo-pornografica e quindi l’emissione di foto nei circuiti di vendita, sono enormi! Si tenga presente una delle segnalazioni fatte da Meter all’inizio dell’anno proprio sugli abusi a danno dei neonati: hanno acquistato il prodotto – stiamo parlando di pochissime foto di bambini violentati da adulti – più di 20 mila persone, e quindi 20 mila persone disposte a pagare 500 euro a foto… Questo significa che il mercato e la richiesta di queste produzioni “verissime”, che devono essere sempre nuove, rinnovate, “carne fresca” – così chiamata – veramente implica delle lobby economiche, delle lobby particolari. E aggiungo che ci sono anche delle lobby culturali: si vuol far passare il fenomeno della pedofilia come un fatto “naturale”, un fatto “possibile”. Su questo credo, allora, che dobbiamo metterci d’accordo per operare più incisivamente contro la pedofilia.

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A Favara, una marcia interreligiosa per la pace

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Partirà da Favara, in provincia di Agrigento, l'iniziativa “Nous sommes”, la marcia interreligiosa che si terrà il prossimo 26 febbraio. Cristiani e musulmani prenderanno parte all’evento, tra i primi in Italia dopo gli attacchi terroristici a Parigi. A promuovere la marcia, la locale comunità dei frati francescani da anni impegnati nell'accoglienza di migranti. Federica Baioni ha intervistato fra' Giuseppe Maggiore, responsabile della comunità ‘La Tenda di Padre Abramo’: 

R. – Alla luce di quello che è successo in Francia e che sta succedendo in Nigeria e in Niger e riflettendo proprio sul carisma francescano, mi sono accorto che sarebbe stato opportuno fare qualcosa. Quindi, ho scritto una lettera all’imam di Agrigento, Driss Soulib, per dialogare con lui e con gli altri musulmani, rifacendomi un po’ all’incontro di San Francesco d’Assisi con il sultano nel 1219. L’imam mi ha risposto. L’invito era: marciare insieme nella vita, dialogare, educare gli altri ragazzi cristiani e musulmani che arrivano dall’Africa - perché qui siamo alle porte del Mediterraneo - alla libertà di pensiero, di espressione, di parola, a convivere.

D. – Un’occasione, quindi, di dialogo tra i popoli, per costruire un cammino di libertà: è questo quello che si legge in uno stralcio del carteggio tra lei e l’imam della moschea di Agrigento. Una cosa importante è che questa iniziativa escluderà ogni tipo di fanatismo: è così?

R. – Ho colto la palla al balzo perché l’imam aveva scritto che si dissociava dai fatti che sono successi in Francia. Quindi ho preso carta e penna per scrivere, perché esclude ogni tipo di fanatismo, sia da una parte, sia dall’altra.

D. – Quindi è un cammino, è un dialogo tra voi e i fratelli musulmani. Ricordiamo la sua comunità, ‘la Tenda del Padre Abramo’, da dove partirà questa iniziativa. Possiamo lanciare una data per l’evento?

R. – Probabilmente sarà il 26 febbraio, in Quaresima. Sarà coinvolto mons. Francesco Montenegro, già nominato cardinale, e saranno coinvolti anche i responsabili del dialogo interreligioso dell’arcidiocesi di Agrigento, don Luca dei Frati Minori di Sicilia, Fra’ Antonio Iacono. Ci sarà la presenza del nostro ministro provinciale, padre Alberto Marangolo. Sarà una festa tra fratelli, che marceranno insieme per scoprire un Dio che ci ama senza perdere la propria identità. Questo è molto importante. Ci siamo incontrati, con l’imam, ed è stato davvero molto bello. Abbiamo dunque rivissuto un po’ l’esperienza di Francesco di Assisi con il sultano: davanti ad una tazza di tè, abbiamo parlato di preghiera, di silenzio e di pace.

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Nella Chiesa e nel mondo



Svizzera, Domenica del malato. Vescovi: dignità in ogni vita

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"Quale grande menzogna si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla 'qualità della vita', per indurre a credere che le vite affette gravemente da malattia non sarebbero degne di essere vissute!". Si apre con una citazione del messaggio del Papa per la 23.ma Giornata mondiale del malato la nota della Conferenza episcopale svizzera (Ces), diffusa in vista della Domenica del malato, che nel Paese elvetico ricorrerà il prossimo 1° marzo.

Circondare i malati di affetto e stima
“Il Papa - scrivono i presuli - perora la causa di un impegno accresciuto nei confronti degli ammalati; ed effettivamente l'esperienza insegna che le idee suicide o l'impressione di esser soltanto un peso scemano o svaniscono del tutto nei malati circondati da affetto e stima”. “Con le persone gravemente malate o in fin di vita - continua la nota - non possiamo far altro che restare loro accanto, in silenzio e tenendole per mano. Ma questo vale tantissimo”. Quindi, la Ces richiama la possibilità di ricorrere a terapie adatte contro il dolore, mantenendo “un'adeguata qualità di vita grazie alle giuste misure palliative che aiutano nelle ultime fasi della vita”.

Anche nel dolore si sperimenta la grazia di Dio
Se la morte avviene “in un ambiente caratterizzato da amore, compassione, umanità”, sottolineano i presuli elvetici, essa non viene più intesa come una sconfitta, bensì come “una parte integrante della vita, come il nascere”. Non solo: “Spesso una malattia diventa cammino di riconciliazione con se stessi, con Dio, con chi ci è caro” e “nessuno dovrebbe rinunciare a questa possibilità togliendosi volontariamente la vita e lasciando familiari ed amici nell’impotenza”. Aiuto ed accompagnamento e non eutanasia, chiedono dunque i vescovi, perché “persino nel dolore si può sperimentare la grazia di Dio”.

Importanza del servizio ai sofferenti
Il messaggio episcopale si conclude con una preghiera alla Vergine Maria affinché interceda per gli ammalati e per tutti coloro che se ne prendono cura, così che “nel servizio al prossimo sofferente e attraverso la stessa esperienza del dolore” gli uomini possano “accogliere e far crescere la vera sapienza del cuore".(I.P.)

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Cambogia celebra bicentenario della nascita di Don Bosco

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#HappyBirthdayDonBosco: questo l’hashtag con cui, in Cambogia, si sono aperte in questi giorni le celebrazioni per il bicentenario della nascita di Don Bosco. Il Paese asiatico si unisce, così, alle tante nazioni che nel 2015 festeggiano il fondatore della Famiglia salesiana, a duecento anni dalla sua nascita. Il culmine delle celebrazioni si avrà il 21 giugno, quando Papa Francesco si recherà in visita pastorale a Torino, in Piemonte, regione d’origine di San Giovanni Bosco.

Presenti oltre 3mila studenti ed educatori
In Cambogia, in particolare, sono stati oltre 3mila gli studenti e gli educatori salesiani che hanno festeggiato l’evento, realizzando un campo di tre giorni presso l’opera “Don Bosco” a Phnom Penh. All’incontro - riferisce l’agenzia salesiana Ans - hanno preso parte anche alcuni rappresentanti del governo locale, insieme alla principessa Norodom Arunrasmy, la più giovane figlia del defunto Re Norodom Sihanouk e sorella del re Norodom Sihamoni, la quale ha espresso apprezzamento per l’opera salesiana, in particolare nel campo dell’educazione dei bambini.

Per la prima volta, doppiata in lingua khmer la Strenna del Rettor maggiore
Momento centrale dell’evento è stata la Santa Messa, presieduta da mons. Olivier Schmitthaeusler, vicario apostolico di Phnom Penh, cui è seguita la visita ad una mostra semi-permanente relativa ai progetti realizzati in Cambogia in nome di Don Bosco. E non solo: per la prima volta, il Centro audiovisivi dei salesiani della Cambogia ha realizzato il doppiaggio in lingua khmer della “Strenna 2015”, ovvero del messaggio annuale del Rettor maggiore della Congregazione, don Ángel Artime.

Il sistema educativo di Don Bosco: prevenzione, non repressione
Intitolata “Come Don bosco: con i giovani per i giovani”, la Strenna esorta i salesiani a ricordare il carisma del loro fondatore, ovvero l’essere “a servizio della comunione evangelizzatrice”, mettendo in pratica il suo metodo educativo, basato su un sistema preventivo e non repressivo, e lasciandosi ispirare dalla Vergine Maria, “la più insigne collaboratrice dello Spirito”. (I.P.)

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Algeria. Desfarges: più voci contro intolleranza religiosa

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“Le voci che invocano la non violenza in nome del Creatore, in nome di Dio Padre, in nome dell’uomo e della sua dignità sono ancora molto poche. Le reti sociali che incitano all’odio sono più numerose di quelle che invitano all’amore e alla pace”: è quanto scrive nell’editoriale di febbraio del periodico “L’Echo de Costantine et d’Hippone” mons. Paul Desfarges, vescovo di Costantina, in Algeria. Commentando i recenti fatti di cronaca in Francia e le loro ripercussioni in altri Paesi, soprattutto in Niger - dove sono state incendiate diverse chiese - e in Pakistan, il presule parla di episodi sintomatici di una crisi da analizzare profondamente.

C’è tanto da fare perché non si uccida più in nome di Dio
Mons. Desfarges afferma che c’è ancora tanto da fare perché il nome di Dio non venga più invocato per uccidere; occorre coraggio, formazione e pedagogia, aggiunge il vescovo di Costantina, secondo il quale tanta brava gente, con voce coraggiosa o con piccoli gesti, impedisce che l’odio tra culture, credenze o sistemi di pensiero possa crescere.

Solidarietà alla Chiesa del Niger
In una lettera ai vescovi e ai sacerdoti del Niger poi, assicura la sua preghiera per le comunità provate dalle violenze ed esorta alla speranza di fronte alla prova, ricordando il dialogo e la fraternità con i musulmani coltivati nel Paese dalla Chiesa che ha istaurato relazioni d’amicizia con quanti professano altre religioni.

La libertà d’espressione ha dei limiti nella responsabilità
Circa la libertà d’espressione il presule sostiene che se ridere fa bene ed è bene imparare a burlarsi di se stessi prima ancora di prendere in giro gli altri, è necessaria comunque umiltà. “Credo che la libertà d’espressione - specifica mons. Desfarges - abbia dei limiti, quelli della responsabilità. Una libertà irresponsabile non è libera”. La libertà di coscienza e d’espressione progrediscono lentamente, sottolinea il presule, e per questo occorre saper fare opera di pazienza pedagogica per aiutare, nell’humor, a lasciare le culture evolversi al loro ritmo, senza imporre modelli.  “Malgrado tutto - prosegue - credo di tollerare una certa impertinenza nelle vignette... C’è ipocrisia nella politica, come nella religione, come nella vita sociale. Le caricature sono più eloquenti di lunghi discorsi che non vengono ascoltati”.

La strada dei cristiani
Di fronte a quanto sta accadendo oggi nel mondo il presule precisa, infine, che i cristiani possono trovare giusti insegnamenti in Cristo, che si è messo a tavola con pubblicani e peccatori, che durante la sua Passione ha indotto chi lo giudicava a guardare la propria coscienza e che infine ha chiesto perdono per coloro che lo crocifiggevano. (T.C.)

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In Camerun, incontro delle Pom africane dedicato alla famiglia

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“La missione con le famiglie: sfide pastorali”: sarà questo il tema dell’incontro tra i direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie (Pom) dell’Africa centrale che si terrà a Yaoundé, in Camerun, da domani al 15 febbraio. L’evento, a carattere biennale, avrà luogo presso la sede della Conferenza episcopale locale ed offrirà ai partecipanti l’opportunità di scambiarsi informazioni, opinioni ed esperienze sull’argomento. Il tutto, naturalmente, alla luce dei due Sinodi dei vescovi dedicati alla famiglia: uno straordinario, svoltosi nel 2014, ed uno ordinario, in programma dal 4 al 25 ottobre prossimi in Vaticano ed incentrato sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

Necessario rinnovare programmi missionari
“Questo incontro – spiega padre Gaspard Mengata Nka, responsabile delle Pom del Camerun – costituisce una fonte di arricchimento per tutti perché permette di rivedere e rinnovare, là dove è necessario, i programmi ed i metodi operativi”. Numerose le sessioni di lavoro, dedicate a diversi argomenti: la missione con le famiglie consacrate, la famiglia secondo il piano di Dio e la sua visione africana ed evangelizzare la famiglia per una nuova evangelizzazione della società. Tra i partecipanti all’incontro, anche padre Ryszard Szmydki, segretario generale della Pontificia Opera della Propagazione della Fede.

Nel 2014, sette missionari uccisi in Africa
Da ricordare, infine, il sacrificio di tanti missionari morti in Africa nell’adempimento del loro operato; solo nel 2014, se ne contano sette: tre missionarie saveriane morte in Burundi, due sacerdoti scomparsi nella Repubblica Centrafricana, una suora rapita ed uccisa in Sudafrica ed un’altra suora morta in Tanzania nel corso di una rapina. (I.P.)

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India: seminario dei vescovi asiatici sul clima

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L’appuntamento è a Mumbai, in India, per il 3 e 4 marzo: sarà allora, infatti, che si terrà il seminario regionale dell’Asia meridionale, dedicato al tema dei cambiamenti climatici. L’incontro è organizzato dalla Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (Fabc) e vedrà la partecipazione dei vescovi presidenti delle Commissioni per la giustizia, la pace e lo sviluppo delle diverse Chiese del sud dell'Asia. Saranno coinvolti, inoltre, numerosi esperti del settore.

Questione climatica è questione di giustizia
I lavori verteranno sui risultati di due incontri precedenti, svoltisi in Thailandia: il primo, risalente al 2011, era dedicato al tema “Riscaldamento globale e cambiamenti climatici e il loro impatto sull’Asia – Le sfide e la risposta della Chiesa”. Gli obiettivi proposti dall’evento riguardavano la creazione di una maggiore consapevolezza in Asia del rapporto tra cambiamenti climatici e giustizia e la promozione del ruolo della Chiesa nella lotta agli effetti dei cambiamenti climatici, per individuare risposte comuni. Essenziale quindi, si era ribadito, l’avvio di un programma di formazione permanente per i vescovi asiatici sulla dottrina sociale della Chiesa.

Necessario un approccio ecumenico
Il secondo seminario, svoltosi nel 2013, era dedicato a: “Cambiamenti climatici, impatti sull’Asia e risposte”. Nel documento finale dei lavori, i vescovi indicavano alcune priorità, come tutelare l’ambiente per il bene delle generazioni future; sostenere e promuovere politiche e programmi di energia rinnovabile ad energia solare, idrica o eolica. La Fabc ricordava, poi, che il dovere della Chiesa non è solo denunciare lo sfruttamento errato dell’ambiente, ma anche avere un ruolo concreto nella tutela della natura, ad esempio piantando alberi dove possibile. Il seminario ribadiva anche l’importanza di un impegno ecumenico in ambito ecologico, “poiché il cambiamento climatico è una questione sia etica che religiosa e quindi la Chiesa deve collaborare con i popoli di tutte le fedi”, senza dimenticare le persone più vulnerabili, come gli indigeni ed i poveri.

In attesa dell’Enciclica del Papa
Il prossimo seminario della Fabc si terrà mentre si attende la pubblicazione della nuova Enciclica di Papa Francesco, dedicata proprio ai temi ambientali. Come riferito dallo stesso Pontefice nella conferenza stampa svoltasi il 15 gennaio scorso, sul volo da Colombo a Manila, nell’ambito del settimo viaggio apostolico internazionale, l’Enciclica è già in fase avanzata di preparazione e potrebbe uscire tra giugno e luglio. (I.P.)

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Clima: 200 delegati a Ginevra per l’accordo sulle emissioni

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Si è aperto oggi a Ginevra, e proseguirà  fino al 13 febbraio, l’incontro dei negoziatori di oltre 200 Paesi del mondo per mettere a punto un pacchetto di misure per il contrasto ai cambiamenti climatici in vista della Conferenza mondiale di Parigi alla fine del 2015, snodo fondamentale in cui si dovrà trovare un accordo globale per abbattere le emissioni di CO2, che entrerà in vigore dal 2020. Secondo gli esperti, i tempi per la stesura del documento sono piuttosto stretti, perché il testo da cui partire deve esser pronto entro maggio; mentre per i mesi successivi dovrebbe esserci una versione definitiva su cui poi i leader del pianeta si confronteranno nella conferenza parigina a dicembre. “Dobbiamo lavorare con ancora maggiore senso di urgenza”, ha infatti affermato in apertura dei lavori il delegato del Perù, ricordando che l'anno scorso è stato il più caldo mai registrato sulla Terra. (M.G.)

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Nucleare Iraniano: Kerry-Zarif, “No proroghe del negoziato”

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“Un'altra proroga del termine per il raggiungimento di un accordo sul programma nucleare iraniano non è nell'interesse di nessuno”, così ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif a margine di un nuovo incontro con il segretario di Stato americano John Kerry, tenutosi stamani a Monaco di Baviera nella cornice della Conferenza internazionale sulla sicurezza. Il capo della diplomazia di Teheran ha inoltre affermato che ci sono "progressi nei negoziati" ma il mancato raggiungimento di un accordo non “sarà la fine del mondo”. Le potenze del "5+1" (Usa, Cina, Regno Unito, Francia, Russia, Germania) sperano in un accordo politico con l'Iran entro marzo per arrivare a un'intesa finale entro giugno. I negoziati, cominciati nel novembre 2013, sono stati estesi di altri sette mesi nel novembre scorso. (M.G.)

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Egitto: 151 jihadisti uccisi in operazioni militari nel Sinai

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Duro colpo alle cellule jihadiste egiziane. Almeno 151 miliziani integralisti sono statti uccisi dopo tre giorni di operazioni condotte dall'esercito egiziano nel Sinai settentrionale. Lo riferiscono fonti militari egiziane precisando che gli uccisi appartengono al gruppo "Ansar Bait al-Maqdis", la principale formazione jihadista egiziana, alleata del sedicente Stato Islamico (Is). Dei 47 corpi identificati finora, solo 22 sono di egiziani mentre 25 appartengono a stranieri di varie nazionalità, precisano le fonti riferendo che sono stati rinvenuti "due missili da crociera" che stavano per essere sparati dalla sponda orientale contro navi in transito lungo il Canale di Suez. Intanto, sul fronte politico, il partito liberale egiziano, fondato dal premio Nobel per la Pace Mohamed El Baradei, ha annunciato che boicotterà le elezioni legislative previste per il 21 marzo, denunciando gravi violazioni dei diritti umani nel Paese. (M.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 39

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.