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Sommario del 07/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: più spazio per le donne nella Chiesa e società

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E’ urgente offrire nuovi spazi alle donne nella vita della Chiesa. E’ quanto affermato da Papa Francesco ai partecipanti alla plenaria del dicastero della Cultura, incentrata sul tema “Le culture femminili: uguaglianza e differenza”. Il Pontefice ha sottolineato che bisogna superare i modelli che vedono uomo e donna l’uno contro l’altro per abbracciare il paradigma della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza. L’indirizzo d’omaggio al Papa è stato rivolto dal cardinale Gianfranco Ravasi. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Più spazio per le donne, sfida non rinviabile

E’ tempo che le donne “si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei vari ambiti della vita sociale ed ecclesiale”. Papa Francesco ha esordito così, sottolineando che “questa è una sfida non più rinviabile” e che riguarda non solo i pastori, ma anche i laici impegnati nel mondo della politica, della cultura e dell’economia. Il Papa si è quindi soffermato su alcuni punti a partire dalla tematica dell’ “uguaglianza e differenza, alla ricerca di un equilibrio”. Il Pontefice ha innanzitutto evidenziato che questo aspetto “non va affrontato ideologicamente, perché la ‘lente’ dell’ideologia impedisce di vedere bene la realtà”.

Promuovere la reciprocità, non la subordinazione
Da tempo, ha poi osservato, “ci siamo lasciati alle spalle, almeno nelle società occidentali, il modello della subordinazione sociale della donna all’uomo, un modello secolare che, però, non ha mai esaurito del tutto i suoi effetti negativi”:

“Abbiamo superato anche un secondo modello, quello della pura e semplice parità, applicata meccanicamente, e dell’uguaglianza assoluta. Si è configurato così un nuovo paradigma, quello della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza. La relazione uomo-donna, dunque, dovrebbe riconoscere che entrambi sono necessari in quanto posseggono, sì, un’identica natura, ma con modalità proprie. L’una è necessaria all’altro, e viceversa, perché si compia veramente la pienezza della persona”.

Francesco ha dunque rivolto il pensiero alla tematica della “generatività” delle donne che allarga “l’orizzonte alla trasmissione e alla tutela della vita”. In questo ambito, il Papa ha incoraggiato “il contributo di tante donne che operano nella famiglia, nel campo dell’educazione alla fede, nell’attività pastorale, nella formazione scolastica, ma anche nelle strutture sociali, culturali ed economiche”. In questo senso, ha proseguito, “mi piace descrivere la dimensione femminile della Chiesa come grembo accogliente che rigenera alla vita”.

No alla mercificazione del corpo femminile
Il Papa ha quindi affrontato il tema del “corpo femminile tra cultura e biologia”, denunciando con forza “le dolorose ferite inflitte, talvolta con efferata violenza”, alle donne:

“Simbolo di vita, il corpo femminile viene, purtroppo non di rado, aggredito e deturpato anche da coloro che ne dovrebbero essere i custodi e compagni di vita. Le tante forme di schiavitù, di mercificazione, di mutilazione del corpo delle donne, ci impegnano dunque a lavorare per sconfiggere questa forma di degrado che lo riduce a puro oggetto da svendere sui vari mercati”.

Coinvolgere le donne nelle responsabilità pastorali
Ancora, ha richiamato l’attenzione, “sulla dolorosa situazione di tante donne povere, costrette a vivere in condizioni di pericolo, di sfruttamento, relegate ai margini delle società e rese vittime di una cultura dello scarto”. Quindi, Papa Francesco si è soffermato su un tema a lui particolarmente a cuore: la partecipazione delle donne nella vita della Chiesa, affermando a braccio che “la Chiesa è donna, è la Chiesa, non il Chiesa”:

“Sono convinto dell’urgenza di offrire spazi alle donne nella vita della Chiesa e di accoglierle, tenendo conto delle specifiche e mutate sensibilità culturali e sociali. È auspicabile, pertanto, una presenza femminile più capillare ed incisiva nelle Comunità, così che possiamo vedere molte donne coinvolte nelle responsabilità pastorali, nell’accompagnamento di persone, famiglie e gruppi, così come nella riflessione teologica”.

Insostituibile il ruolo della donna nella famiglia
Al tempo stesso, Francesco ha ribadito che “non si può dimenticare il ruolo insostituibile della donna nella famiglia”. Le doti femminili, infatti, “rappresentano non solo una genuina forza per la vita delle famiglie, per l’irradiazione di un clima di serenità e di armonia, ma anche una realtà senza la quale la vocazione umana sarebbe irrealizzabile”:

“Si tratta, inoltre, di incoraggiare e promuovere la presenza efficace delle donne in tanti ambiti della sfera pubblica, nel mondo del lavoro e nei luoghi dove vengono adottate le decisioni più importanti, e al tempo stesso mantenere la loro presenza e attenzione preferenziale e del tutto speciale nella e per la famiglia”.

“Non bisogna lasciare sole le donne a portare questo peso e a prendere decisioni – ha concluso il Papa - ma tutte le istituzioni, compresa la comunità ecclesiale, sono chiamate a garantire la libertà di scelta per le donne, affinché abbiano la possibilità di assumere responsabilità sociali ed ecclesiali, in un modo armonico con la vita familiare”.

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Papa: città anonime, cristiani riportino il calore di Dio

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I cristiani siano gli “apostoli del quartiere” all’interno del tessuto urbano delle città, dove spesso regnano indifferenza e anonimato. È l’invito che Papa Francesco ha rivolto ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio dei laici, ricevuti in udienza. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

C’è la città e c’è “l’anti-città”. La prima mostra il bello e il buono che un contesto organizzato come quello urbano possa offrire ai suoi abitanti. Ma spesso il bello e il buono rischiano di essere una costruzione di facciata, perché dietro tale contesto – anzi “dentro”, afferma il Papa – ci sono persone-ombra che nessuno guarda, modi di rapportarsi anonimi e tristi.

“Non-luoghi”, “non-relazioni”
Colpisce la chiarezza con cui Francesco tratteggia il “fenomeno dell’urbanesimo” globale, che oggi – ricorda alla plenaria dei Laici – coinvolge “più della metà degli uomini del pianeta”. Le città, riconosce, “presentano grandi opportunità e grandi rischi: possono essere magnifici spazi di libertà e di realizzazione umana, ma anche terribili spazi di disumanizzazione e di infelicità”:

“Sembra proprio che ogni città, anche quella che appare più florida e ordinata, abbia la capacità di generare dentro di sé una oscura ‘anti-città’. Sembra che insieme ai cittadini esistano anche i non-cittadini: persone invisibili, povere di mezzi e di calore umano, che abitano ‘non-luoghi’, che vivono delle ‘non-relazioni’. Si tratta di individui a cui nessuno rivolge uno sguardo, un’attenzione, un interesse. Non sono solo gli ‘anonimi’; sono gli ‘anti-uomini’. E questo è terribile”.

“Dio abita in città”
“Ma Dio – torna a ripetere Francesco – non ha abbandonato la città”, anzi Dio, dice, “abita in città”:

“Sì, Dio continua ad essere presente anche nelle nostre città così frenetiche e distratte! È perciò necessario non abbandonarsi mai al pessimismo e al disfattismo, ma avere uno sguardo di fede sulla città, uno sguardo contemplativo ‘che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze’. E Dio non è mai assente dalla città perché non è mai assente dal cuore dell’uomo!”.

Laici apostoli di quartiere
“Nella città – è la considerazione del Papa – c’è spesso un terreno di apostolato molto più fertile di quello che tanti immaginano. È importante perciò curare la formazione dei laici: educarli ad avere quello sguardo di fede, pieno di speranza, che sappia vedere la città con gli occhi di Dio”:

“I fedeli laici, soprattutto, sono chiamati ad uscire senza timore per andare incontro agli uomini delle città: nelle attività quotidiane, nel lavoro, come singoli o come famiglie, insieme alla parrocchia o nei movimenti ecclesiali di cui fanno parte, possono infrangere il muro di anonimato e di indifferenza che spesso regna sovrano nelle città. Si tratta di trovare il coraggio di fare il primo passo di avvicinamento agli altri, per essere apostoli del quartiere”.

Donare l’essenza del Vangelo
Dunque, conclude Francesco – apprezzando la scelta della plenaria dei Laici di adottare l’”Evangelii Gaudium” come testo di riflessione – la missione dei laici è quella di diventare “gioiosi annunciatori del Vangelo ai loro concittadini” e di accompagnare “con affetto quei loro fratelli che muovono i primi passi nella vita di fede”:

“In una parola: i laici sono chiamati a vivere un umile protagonismo nella Chiesa e diventare fermento di vita cristiana per tutta la città. È importante inoltre che, in questo rinnovato slancio missionario verso la città, i fedeli laici, in comunione con i loro Pastori, sappiano proporre il cuore del Vangelo, non le sue “appendici” (...) Solo così si va con quell’atteggiamento di rispetto alle persone; offre l’essenziale del Vangelo”.

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Papa a vescovi africani: nuove ideologie distruggono famiglia

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Investire nell’educazione per combattere contro violenza, uso distorto delle religioni e nuove ideologie che vogliono distruggere la famiglia. E’ quanto sottolinea Papa Francesco ai membri del Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (Secam), ricevuti in Vaticano. Il Papa ricorda che si tratta di un’Istituzione, pensata e promossa dopo il Concilio Vaticano II, per aiutare le Chiese locali in Africa a “dare risposte comuni alla nuove sfide del Continente”. Il servizio di Fausta Speranza:

“Una proposta educativa che insegni ai giovani a pensare criticamente”. E’ quanto chiede Francesco, sottolineando che in Africa "il futuro è nelle mani dei giovani". "I giovani - dice - ci guardano", le giovani generazioni "hanno bisogno soprattutto della nostra testimonianza". Raccomandando un percorso di maturazione dei valori, coniugando educazione e annuncio del Vangelo. Il Papa pensa tutto ciò come antidoto a quelle che definisce le “nuove e spregiudicate forme di colonizzazione”. Denuncia: “successo, ricchezza, potere a tutti i costi, ma anche fondamentalismo e uso distorto della religione” e - aggiunge a braccio - "ideologie nuove che distruggono l'identità delle persone e le famiglie". Quindi ricorda: è proprio l’educazione che può contrastare “la diffusa mentalità di sopraffazione e di violenza, come anche le divisioni su base sociale, etnica o religiosa”. Inoltre, raccomanda al Simposio delle Chiese di Africa e Madagascar un altro obiettivo: il Secam – dice – è anche “luogo di promozione della legalità”. Papa Francesco chiede che “siano risanate le piaghe della corruzione e del fatalismo”. Incoraggia l’impegno dei cristiani nelle realtà secolari, in vista del bene comune.

Questi gli obiettivi per i quali impegnarsi nella società del continente africano. Ci sono poi le raccomandazioni di Francesco ai vescovi perché possano rispondere alla vocazione di comunione e servizio, specialmente ai più poveri. L’invito di Francesco è chiaro: “i pastori rimangano liberi da ogni preoccupazione mondana e politica, rafforzino i vincoli con il Papa”. E poi: “le esperienze ecclesiali siano semplici, alla portata di tutti”, “le strutture pastorali sobrie”. A questo proposito, Francesco mette in guardia dalle "grandi strutture burocratiche che analizzano astrattamente i problemi" e corrono il rischio di tenere lontana la Chiesa dalla gente". Poi aggiunge: "Per questo è importante la concretezza". Il Papa ricorda l’identità propria del Simposio: “Essere un’esperienza viva di comunione e di servizio, specialmente ai più poveri”.

Tra i problemi del continente, il Papa cita la recente emergenza del virus ebola e quella che definisce la “stupenda testimonianza di carità che è stata resa dalla Chiesa”, i “numerosi missionari africani che hanno generosamente offerto la loro vita per rimanere accanto ai malati”. Francesco dice: “Questa è una strada da percorrere sempre con rinnovato ardore apostolico! Noi, discepoli di Cristo, non possiamo non preoccuparci del bene delle persone più deboli; e dobbiamo anche suscitare l’attenzione della società e delle Autorità pubbliche sulle loro condizioni di vita”.

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Expo, Papa: contro fame e miseria sconfiggere inequità

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Per affrontare gravi problemi come la piaga della fame nel mondo si deve anzitutto risolvere la radice di tutti i mali che è l'inequità: è quanto sottolinea Papa Francesco nel videomessaggio diffuso oggi in occasione del convegno promosso a Milano sul tema “Expo delle idee, il modello alimentare italiano per nutrire il pianeta, tra innovazione e sostenibilità", in preparazione all'Expo 2015. All'evento partecipano rappresentanti della politica e delle istituzioni, manager e imprenditori, esponenti del mondo delle associazioni e delle organizzazioni internazionali. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il dramma di quanti, tormentati dalla fame, lottano per la sopravvivenza è aggravato da quello che il Papa definisce il “paradosso dell’abbondanza”: alla produzione mondiale di cibo, sufficiente per tutti, non corrisponde un’equa distribuzione a causa di gravi fenomeni tra cui sprechi, scarti e consumi eccessivi di alimenti. Il Santo Padre, dopo aver esortato a superare la tentazione del mero pensiero che non incide sulla realtà, suggerisce tre atteggiamenti concreti. Il primo riguarda il modo di agire:

Andare dalle urgenze alle priorità
“Abbiate uno sguardo e un cuore orientati non ad un pragmatismo emergenziale che si rivela come proposta sempre provvisoria, ma ad un orientamento deciso nel risolvere le cause strutturali della povertà”.

Se vogliamo realmente risolvere i problemi e non perderci nei sofismi – spiega il Pontefice – “è necessario risolvere la radice di tutti i mali che è l'inequità”:

“Per fare questo ci sono alcune scelte prioritarie da compiere: rinunciare all'autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e agire anzitutto sulle cause strutturali della inequità”.

Testimoni di carità
Il secondo atteggiamento concreto, indicato dal Papa, si riferisce ai pilastri di una sana politica economica:

“La dignità della persona umana e il bene comune. Purtroppo, però, questi due pilastri, che dovrebbero strutturare la politica economica, spesso sembrano appendici aggiunte dall'esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale”.

E al mondo della politica il Santo Padre rivolge una accorata esortazione:

“Per favore, siate coraggiosi e non abbiate timore di farvi interrogare nei progetti politici ed economici da un significato più ampio della vita perché questo vi aiuta a ‘servire veramente il bene comune’ e vi darà forza nel moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo”.

Custodi e non padroni della terra
Il terzo atteggiamento, suggerito dal Pontefice, è quello di custodire la terra che ci è stata affidata:

“La terra ci è stata affidata perché possa essere per noi madre, capace di dare quanto necessario a ciascuno per vivere”.

“La terra è generosa e non fa mancare nulla a chi la custodisce”. “La terra – conclude Papa Francesco nel videomessaggio - chiede rispetto e non violenza, o peggio ancora, arroganza da padroni”:

“Dobbiamo riportarla ai nostri figli migliorata, custodita, perché è stato un prestito che loro hanno fatto a noi. L'atteggiamento della custodia non è un impegno esclusivo dei cristiani, riguarda tutti”.

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Il colonnello Graf nuovo comandante della Guardia Svizzera

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Il Papa ha nominato comandante della Guardia Svizzera Pontificia, col grado di colonello, il tenente colonello Christoph Graf. Sposato, due figli, il colonnello Graf era finora vicecomandante. In Vaticano da 27 anni, è entrato nella Guardia Svizzera come semplice alabardiere.

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Papa nomina card. O'Connor inviato a celebrazioni S. Ogilvie

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza nel corso della mattinata il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

Il Papa ha nominato il cardinale Cormac Murphy-O'Connor, arcivescovo emerito di Westminster, suo inviato speciale alle solenni celebrazioni in onore di Saint John Ogilvie, religioso gesuita, nel IV centenario del martirio, previste a Glasgow il 9 ed il 10 marzo 2015.

In Slovenia, il Pontefice ha nominato il mons. Franc Šuštar, finora rettore del Seminario Maggiore di Ljubljana, ausiliare dell’arcidiocesi di Ljubljana. Il neo presule è nato il 27 aprile 1959 a Ljubljana. Ha compiuto gli studi filosofico-teologici a Ljubljana e a Roma come alunno del Collegio Germanico-Ungarico. È stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1985. Nel 1990 ha ottenuto il Dottorato in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana in Urbe. Nel 1995 è stato nominato Cappellano di Sua Santità e dal 2005 è Canonico del Capitolo Metropolitano di Ljubljana. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della parrocchia di Ljubljana – Moste (1990-1991); Rettore del Seminario Maggiore di Ljubljana (1991-1997); Parroco della parrocchia di Gosuplje e Decano in due mandati (1997-2005); Parroco della Cattedrale di San Nicola (2005-2007). Dal 2007 è di nuovo Rettore del Seminario Maggiore di Ljubljana. Inoltre, è Membro del Consiglio Presbiterale, del Collegio dei Consultori, del Consiglio Pastorale, della Commissione del Personale, ed Arcidiacono del III Arcidiaconato.

Papa Francesco ha nominato membro della Congregazione delle Cause dei Santi mons. Luigi Marrucci, Vescovo di Civitavecchia‑Tarquinia.

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O'Malley: in preparazione giornata preghiera per vittime abusi

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Briefing in Sala Stampa vaticana sulla plenaria della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, istituita dal Papa nel marzo dell'anno scorso - e riunita per la prima volta in Vaticano - per elaborare concrete linee guida per prevenire casi di abusi sessuali da parte di esponenti del clero. A informare i giornalisti, il cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston e alla guida dell'organismo, e il direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi. La Commissione, ha detto il porporato americano, sta preparando una giornata di preghiera per le vittime di abusi. Il servizio di Fausta Speranza

Elaborare concreti programmi per sviluppare precise politiche a difesa dei minori. Preparare materiale informativo ad hoc e promuovere efficaci seminari per assicurare piena consapevolezza a tutti i livelli dell’abominio che rappresenta l’abuso sessuale di minori. Il cardinale O’Malley è concreto nel raccontare l’avvio dei lavori della plenaria, che si concludono questa domenica. Sottolinea: anche per aiutare quelle Conferenze episcopali che trovino difficoltà a sviluppare politiche in tal senso, presentando metodi per valutare l’adeguatezza di eventuali programmi proposti.

“We are committed to work hard…
“Siamo impegnati a lavorare sodo”, afferma il porporato, che entra nel dettaglio degli impegni da promuovere raccontando che vengono interpellate organizzazioni che si occupano di contrastare gli abusi e ci si pone anche la questione di sostenerle là dove scarseggino le risorse. Racconta dei working group in elaborazione: cioè gruppi di lavoro, al di fuori della Commissione, che possano – in qualche modo – riprodurre, amplificare, ramificare l’impegno stesso della Commissione. Precisa che ci sono al momento 17 membri nella Commissione: dall’Africa, dall’Asia, dall’America del Sud e dall’Oceania. Si tratta di esperti, di pastori ma anche di vittime di abusi perché il loro contributo per mettere a fuoco metodi di prevenzione è importante. Presenta i due ultimi arrivati: suor Kaylla dello Zambia, impegnata da sempre a tutela dei minori, che sottolinea l’importanza di curare l’aspetto culturale del problema promuovendo la sensibilizzazione, e Peter Saunders, di Londra, fondatore di una organizzazione di vittime di abusi, la National Association for People Abused in Childhood, in Inghilterra, che interviene alla conferenza stampa per affermare che “qualcosa di estremamente significativo sta succedendo nella lotta alla pedofilia”.

Il cardinale O'Malley ricorda che Papa Francesco ha parlato della Commissione in una lettera ai presidenti delle Conferenze Episcopali e ai superiori degli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in cui ha chiesto di “fare tutto il possibile per sradicare dalla Chiesa la piaga degli abusi sessuali”. Il cardinale ricorda che Papa Francesco stesso cita la circolare della Congregazione per la Dottrina della Fede del 3 maggio 2011, che chiedeva alle Conferenze episcopali di tutto il mondo di stabilire linee guida per trattare i casi di abuso sessuale sui minori da parte di ecclesiastici e spiega che la collaborazione fra tutti è parola chiave. La data della lettera – sottolinea il cardinale O’Malley – è simbolica: il 2 febbraio è la Festa della Presentazione del Bambino Gesù al Tempio e – aggiunge “noi stiamo lavorando per far sì che il ‘tempio’ diventi un luogo sicuro in cui portare i bambini”. Il mandato di Papa Francesco nella lettera è inequivocabile: “Non c'è assolutamente posto nel ministero per coloro che abusano dei minori”.

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Vegliò: contro tratta persone vincere indifferenza e omertà

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“Accendi una luce contro la tratta” è il titolo della Prima giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, voluta dal Papa, e fissata per questa domenica 8 settembre, festa di Santa Bakhita, una schiava che trovò la strada verso la libertà. La giornata, promossa dalle Unioni Internazionali femminili e maschili dei superiori e delle superiore Generali, è patrocinata anche dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. Fabio Colagrande ha chiesto al presidente del dicastero, il card. Antonio Maria Vegliò, perché nel Magistero di Francesco il tema del contrasto della tratta sia così centrale: 

R. - In linea di pensiero con i suoi predecessori, Papa Francesco è particolarmente attento al dramma della tratta di persone e cerca azioni concrete per contrastare questa piaga della schiavitù contemporanea in tutte le sue forme, che più volte ha definito come “un crimine contro l’umanità”. La tratta di persone è un vero allarme per tutta la società e vede coinvolti Paesi di tutti i continenti. 21 milioni di persone (secondo i dati dell’organizzazione internazionale del lavoro) sono vittime della tratta di persone a scopo di sfruttamento sessuale o di lavoro forzato, espianto di organi, accattonaggio, servitù domestica, matrimonio forzato e adozione illegale. Oltre il 60% sono donne e minori. Il Santo Padre chiede a ciascuno di lottare contro l’indifferenza e contro la cultura dello scarto “per non essere più schiavi, ma fratelli”, come esorta nel messaggio per la 48.ma Giornata mondiale della pace. I suoi appelli sono diretti ai governanti e alle istituzioni e a ciascuno ricorda una responsabilità sociale per contrastare questo fenomeno criminale che coinvolge anche le imprese, le catene di distribuzione, affinché nessuno si renda complice con l’omertà o con l’indifferenza di queste organizzazioni criminali che sfruttano per miliardi di euro l’anno la vita di uomini, donne e bambini in stato di schiavitù.

D. - Quanto il fenomeno della tratta di persone è connesso con quello delle migrazioni?

R. - Le organizzazioni criminali hanno fatto della tratta di persone un vero business e trovano terreno fertile nelle migrazioni. Le vittime adescate per sfruttamento lavorativo e per sfruttamento sessuale, vengono spesso trasferite in Paesi vicini o in altri continenti con viaggi regolari (ad esempio con visto turistico e voli aerei). Altre volte le vittime vengono portate a bordo delle carrette del mare o nascoste. Se esse sopravvivono al viaggio vengono schiavizzate nel Paese di destinazione. Nella migrazione irregolare, drammatica è anche la situazione dei migranti economici che fuggono la povertà o dei richiedenti asilo che fuggono persecuzioni o guerre. Anche nei Paesi industrializzati, l’arrivo di migranti e di rifugiati è un facile lucro per i malavitosi che fanno leva sulla disperazione di queste persone molto vulnerabili (la maggioranza sono donne sole o con i figli, oppure bambini soli). Numerose sono queste persone che cadono vittime di sfruttamento in mano ad organizzazioni criminali capaci di avvicinarli e di renderli invisibili. È per questo fondamentale: rafforzare le attività di informazione sui diritti e doveri dei migranti, individuando le persone vulnerabili, bisognose di particolare assistenza (minori non  accompagnati, vittime di tratta, migranti a rischio sfruttamento) Aiutare le forze dell’ordine per individuare le persone a rischio. E poi informare migranti e profughi sui rischi legati alla migrazione irregolare, alla tratta di esseri umani ed alla riduzione in schiavitù a scopo di sfruttamento nonché alla permanenza irregolare sul territorio nazionale

D. - Qual è sul territorio il contributo che la Chiesa già offre nel mondo per contrastare la tratta e cosa può fare di più?

R. - La Chiesa offre da anni il suo contributo sia in istanza internazionale, partecipando a Riunioni di Alto Livello presso le Istituzioni delle Nazioni Unite in favore della protezione delle vittime, per dare loro voce e per sensibilizzare sul tema della tratta di persone. A livello locale, i vescovi delle Conferenze Episcopali interagiscono con le isitituzioni dei Governi per sensibilizzarli al fenomeno della tratta di persone. Come avviene per esempio nelle Filippine, in Svizzera e negli Stati Uniti.

R. - Ci sono organizzazioni cristiane della società civile che lavorano in rete. Penso ad esempio al COATNET (la Rete di Organizzazioni Cristiani contro la Tratta di Persone) coadiuvato dalla Caritas Internationalis, organismo al quale questo Pontificio Consiglio partecipa in qualità di Osservatore. Le numerose Caritas sparse sul territorio attraverso il mondo offrono poi progetti di assistenza, protezione e di reinserzione delle vittime. Vi è, inoltre, una fitta rete internazionale di suore che salvano vite di innocenti e ridanno loro la dignità di persona. La Chiesa continua continuerà a denunciare questa piaga dell’umanità e sarà importante incentivare il dialogo e le tavole rotonde che si possono stabilire con le Istituzioni governative di ogni Paese per dare vita a un quadro legislativo importante, come fu il caso in Italia qualche anno fa.

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Onu, mons. Auza: basta uso religione per giustificare violenza

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Le religioni possono essere un agente di sviluppo per combattere la povertà e dare un grande contributo alla vita delle comunità e della società. E’ uno dei passaggi del discorso di mons. Bernardito Auza alla riunione per la Settimana Mondiale dell’Armonia Interreligiosa, in corso al Palazzo di Vetro di New York. L’Osservatore permanente della Santa Sede all’Onu ha dedicato una parte importante del suo intervento alla condanna dell’uso della religione “come pretesto o giustificazione per violare i diritti umani o commettere violenze”.

Al contempo, il presule ha ribadito che la Santa Sede “continua ad essere preoccupata da quelle situazioni dove legislazioni e misure amministrative, in vigore o proposte, pongono indebite limitazioni alla pratica religiosa”. I legislatori nazionali e globali, ha proseguito, “sono chiamati a cooperare per assicurare che le diverse espressioni religiose non siano limitate o messe a tacere”. Ed ha ammonito che ogni individuo o gruppo “deve essere libero da coercizioni e nessuno deve essere obbligato ad agire in maniera contraria alle proprie convinzioni”.

“La violenza e intolleranza a sfondo religioso – ha detto ancora mons. Auza – deve essere condannata” da tutti, giacché “una religione che sposa la violenza non può essere un agente di sviluppo”. La Chiesa cattolica, ha concluso, “dichiara il suo più profondo rispetto per le altre religioni” e si aspetta lo stesso da loro in modo che “assieme si possa continuare a costruire solide relazioni per il bene di tutta l’umanità”. (A cura di Alessandro Gisotti)

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Oggi in Primo Piano



Canada, sì a suicidio assistito. Vescovi: promuovere cure palliative

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Una decisione inaccettabile, che delude: così mons. Paul-André Durocher, arcivescovo di Gatineau e presidente della Conferenza episcopale canadese, dopo la decisione della Corte suprema del Canada che ha autorizzato il suicidio assistito. Per i magistrati il divieto previsto dal codice penale viola la Carta dei diritti e delle libertà. Ma ascoltiamo lo stesso mons. Durocher, al microfono di Olivier Bonnel: 

R. – Noi vescovi del Canada siamo rimasti delusi davanti a questa decisione della nostra Corte suprema e vogliamo invitare tutti i canadesi a continuare a fare tutto il possibile per portare conforto e sostegno a coloro che stanno morendo. Per noi curare una persona non è portarla alla morte, ma accompagnarla verso la morte. Allora, noi continueremo a promuovere le cure palliative, a casa, e per incoraggiare tutti a lavorare per il miglioramento della situazione degli anziani, i disabili, i malati, coloro che sono abbandonati.

D. – Ha parlato delle cure palliative, non sono abbastanza sviluppate in Canada?

R. - In qualche città, sì, in qualche luogo, sì, però in tutto il Paese, no. L’altro problema è che questi servizi non sono completamente sostenuti dal governo e si devono fare sforzi per trovare il denaro necessario per offrire questi servizi. Allora, c’è grande spazio ancora per migliorare questi servizi per tutta la popolazione canadese.

D.  – Questa decisione, secondo lei, potrebbe essere letta come una vittoria dei diritti “individualisti” sul bene comune?

R. – Sì, è chiaro. La Corte dice che il diritto alla libertà individuale è il motivo della decisione. Questa libertà individuale non tiene in conto dell’effetto di queste decisioni su tutta la popolazione. E’ una visione molto individualista della persone: è come se la persona non facesse parte della comunità. In questo senso, sì, è una vittoria dei diritti “individualisti”.

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Slovacchia: tre referendum per la famiglia. Incoraggiamento del Papa

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Oggi in Slovacchia è il giorno dei tre referendum sulla difesa della famiglia: i quesiti riguardano la definizione della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, il no all’adozione per le coppie omosessuali e la libertà educativa contro l'imposizione della teoria del gender nelle scuole. I referendum sono stati promossi dalla Alleanza per la famiglia, un cartello di associazioni che operano nell’assistenza sociale e nel sostegno a famiglie e bambini in difficoltà, in risposta al pressante “colonialismo ideologico” denunciato da Papa Francesco, che mercoledì scorso ha incoraggiato gli slovacchi  "a proseguire nell’impegno in difesa della famiglia, cellula vitale della società”. Sul significato di questi referendum e sulle eventuali ripercussioni in Europa, Marco Guerra ha intervistato Filippo Savarese, portavoce della Manif pour tous Italia: 

R. – Il popolo sta capendo che cosa c’è dietro questo pensiero unico dominante e cioè il fatto che si vogliano cambiare millenni di antropologia, millenni di cultura per le società. Il popolo si sta mobilitando e, dopo tutta un’altra serie di iniziative in Europa, anche la Repubblica Slovacca ha deciso di anticipare questa forte tendenza ideologica, che veramente – si può dire – si aggira per l’Europa, e indire questo referendum fondamentale per invitare il popolo a rispondere a queste domande: il matrimonio tra un uomo e una donna è degno di essere tutelato e protetto nella Costituzione? Al matrimonio tra un uomo e una donna possono o non possono essere paragonate altre formazioni sociali diverse? I bambini hanno diritto ad avere un papà e una mamma? La famiglia deve essere libera di educare i propri figli? Speriamo – noi della Manif pour tous Italia – che il popolo slovacco dica forti ‘sì’ a queste domande. In questo senso la decisione della Slovacchia di indire questo referendum è fondamentale, perché sempre più Paesi lo fanno e in questo modo la Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte europea di giustizia non potranno mutare il loro indirizzo a piacimento sul matrimonio e non potranno dunque imporre agli altri Stati di cambiare la loro legislazione.

D. – Il Papa ha parlato di colonizzazione ideologica…

R. – Sì, ormai le forze culturali e filosofiche che cercano in tutti i modi di imporci questa ideologia gender, questa ideologia dell’indifferentismo sessuale, per cui uomo e donna sono costrutti culturali, che non hanno niente a che fare con la reale natura della persona, queste spinte sono ormai dovunque. Dall’alto si cerca di calarle attraverso risoluzioni politiche del Parlamento europeo, e già dal basso le amministrazioni locali deliberano finanziamenti pubblici per andare nelle scuole a raccontare che la persona ha una identità di genere fluida, indefinita. Ma, grazie al lavoro di tante associazioni, tra cui noi della Manif pour tous, riusciamo a respingere spesso questi attacchi, grazie a genitori sempre più informati, sempre più consapevoli dei loro diritti e delle loro libertà educative. E noi continuiamo ad andare avanti così, certissimi che una volta sapute le cose, la partita è vinta.

D. – Certi commentatori affermano che la Slovacchia, l’Italia, questi Paesi restano gli unici a non aver modificato la propria legislazione. Si può smentire questa affermazione?

R. – Negli ultimi 15, 20 anni, più di dieci Paesi dell’Unione Europea hanno sancito a livello costituzionale la difesa del matrimonio tra un uomo e una donna e il diritto dei bambini ad avere un papà e una mamma. Solo per dire: negli ultimi anni, nel 2012, è stata la Slovenia con un referendum a bocciare una riforma del codice di diritto di famiglia, che apriva a queste nuove forme ideologiche di istituzione matrimoniale o paramatrimoniale. Nel 2013, in Croazia, è stato promosso un referendum uguale a quello che si svolgerà il 7 febbraio in Slovacchia, per inserire anche qui la tutela della famiglia nella Costituzione. Non solo, ma anche in quei Paesi dell’Europa occidentale o del mondo anglosassone, che hanno approvato le modifiche al diritto di famiglia, lo hanno sempre fatto sull’onda di una spinta ideologica, non popolare, non sociale, ma anzi quando questo è avvenuto, sempre all’interno della società, ci sono state delle fratture, delle proteste, delle manifestazioni fortissime che ancora continuano. Questo, quindi, per dire che non esiste il progresso inevitabile su questi temi, e che è solo una questione di tempo. Quando le persone si accorgono che è in atto una rottamazione ideologica dell’istituto familiare, si alzano in piedi e scendono in piazza.

D. – Uno dei quesiti del referendum, che si svolge in Slovacchia, è proprio sull’educazione, sulla possibilità di escludere i propri figli da corsi scolastici sul gender e l’educazione sessuale…

R. – Assolutamente. La libertà educativa sarà l’oggetto del contendere dei prossimi anni. Tra che cosa? Tra il potere dello Stato, della società, della politica e la libertà della famiglia. La libertà educativa è quella libertà che permette ad una generazione di consegnare a quella successiva i valori e il patrimonio che sono stati necessari per mantenere questa stessa libertà. Non è un caso che tutti i totalitarismi ideologici, quando hanno dovuto impadronirsi del controllo della società, hanno tagliato di netto la libertà educativa della famiglia.

D. – Sta crescendo, quindi, la consapevolezza nel resto d’Europa su queste tematiche?

R. – Sì, noi abbiamo un collegamento diretto con tutte le realtà che combattono la stessa battaglia in tutta Europa. Abbiamo sentito in queste settimane gli amici della Slovacchia, che si sono uniti in un’alleanza per la famiglia: li abbiamo aiutati, abbiamo dato loro del materiale e abbiamo mandato loro delle foto di supporto e dei video da far girare. Siamo in contatto costante ovviamente con la nostra “madre”, la Manif pour tous francese; siamo in contatto con gli spagnoli; siamo in contatto con i polacchi. Noi vediamo che l’aria in Europa sta cambiando, senz’altro, perché tutto quello che è successo negli ultimi decenni è stato a causa di una mancanza di mobilitazione, e ancora prima una mancanza di informazione e dell’impostazione di una riflessione seria, pacata e laica sul valore della famiglia e sui diritti dei figli.

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Ucraina: pressing di Francia e Germania sulla Russia

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“La Russia deve dare il suo contributo per una soluzione pacifica in Ucraina”. Lo ha ribadito la cancelliera tedesca, Merkel, a margine della conferenza sulla sicurezza a Monaco. Sulla stessa linea il presidente francese, Hollande, secondo il quale senza accordo l’unico scenario è la guerra. Ottimismo è stato espresso dal ministro degli Esteri russo, Lavrov: ci sono buoni presupposti per un esito positivo, ha detto in riferimento al vertice di Mosca dove ieri - alla presenza del capo del Cremlino, Putin - è stato deciso di continuare la trattativa includendo anche il presidente ucraino Poroshenko. In merito all’iniziativa diplomatica franco–tedesca Eugenio Bonanata ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana ed esperto dell’area: 

R. – La questione è sempre quella. C’è questo tentativo di secessione pilotata del Donbass - pilotata da Mosca, naturalmente - e soprattutto c’è il fatto che un po’ tutti, soprattutto gli europei, stanno disperatamente rincorrendo il tempo perduto. La situazione in Ucraina, infatti, era tale che queste trattative si sarebbero dovute fare un anno fa, quando scoppiò la cosiddetta rivolta di Euromaidan. Allora, infatti, apparve subito chiaro, da un lato, che il regime di Yanukovich era condannato e che non aveva assolutamente il Paese dietro di sé. Dall’altro lato, però, era altrettanto chiaro che la situazione di Ucraina e Russia era così complicata - tra storia, questioni economiche e così via - che non si poteva pensare ad un atto di forza, ad un atto di imperio. Cioè gli Stati Uniti e l’Europa, un anno fa, hanno creduto che fosse possibile proprio tagliare il cordone ombelicale che storicamente lega Ucraina e Russia, e questi sono i risultati.

D. – Tra le questioni da affrontare, come si accennava prima, c’è anche quella dello statuto speciale del Donbass. Anche alla luce dell’avanzamento delle truppe filorusse sul terreno, come se ne esce?

R. – Io credo che sia molto difficile che l’Ucraina possa accettare uno statuto speciale per il Donbass. Va tenuto conto del fatto che il Donbass ha prodotto negli ultimi 25 anni tutta la politica ucraina, cioè tutti i politici e anche tutte le strategie politiche – giuste o sbagliate che fossero. Il Donbass, infatti, è la spina dorsale dell’economia ucraina. Quindi è molto difficile che Kiev possa rinunciare ad avere un controllo diretto sulla regione, che è fondamentale per l’andamento economico di tutto il Paese. Da questo punto di vista, quindi, bisogna essere, non dico pessimisti, ma comunque molto realisti. La questione dell’autonomia del Donbass è molto, molto spinosa.

D. - A questo punto, è possibile pensare all’ingresso nell’area di una forza di pace internazionale?

R. – Anche questa è una questione complicata. Certo, sarebbe auspicabile, perché ormai il cumulo dei rancori in quella regione è tale che difficilmente si arriverà ad un rinsavimento dei protagonisti, almeno di quelli che combattono sul campo. Proprio per questo, però, il dispiegamento di una forza internazionale è complicato: perché in quella situazione, in quella regione, ovviamente non potrebbero essere dispiegati soldati provenienti dai Paesi dell’Est, in particolare dai Paesi dell’Est ex sovietico, che si sono molto esposti contro Mosca. E, per le ragioni opposte, non potrebbero essere mandati soldati asiatici e così via, che si troverebbero in un contesto completamente diverso. Quindi anche qui ci sono ragioni politiche e ragioni pratiche, che rendono la questione molto difficile.

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Timor est: si dimette Gusmao, eroe dell'indipendenza

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Il primo ministro di Timor Est, Xanana Gusmao, ha rassegnato le dimissioni e deciso di ritirarsi dall’attività politica. L’ormai ex-premier è stato uno degli eroi della lotta per l’indipendenza del Paese contro l’occupazione indonesiana. Una guerra che causò oltre 170 mila morti che terminò anche grazie agli sforzi dell’ex presidente Horta e del vescovo Carlos Belo, insigniti del premio Nobel per la pace nel 1996. Sulle ragioni della decisione politica di Gusmao e sulla situazione nel Paese, Michele Raviart ha intervistato il prof. Romeo Orlandi, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Asia: 

R. - Ufficialmente si è dimesso perché vuole dare spazio ad una nuova generazione di politici. In realtà ha 68 anni, è stato presidente della Repubblica, primo ministro, è stato incarcerato per tanti anni, ha guidato la resistenza ed è comprensibilmente stanco. Sullo sfondo rimangono tuttavia i due grandi problemi di Timor Est: la conversione dei quadri militari, che hanno condotto un’eroica resistenza, in amministratori civili e in dirigente pubblici e, dall’altra parte, se non si riesce a far crescer il Paese economicamente, poi alla fine ci sarà sempre bisogno di queste figure carismatiche che impediscono lo scoppio di violenze, come è successo negli ultimi anni.

D. - Al confine con l’Australia sono stati scoperti giacimenti di petrolio e gas naturale, eppure metà della popolazione di Timor Est vive in povertà. Perché?

R. - Perché non c’è un’industria manifatturiera, che teoricamente sia nei Paesi di prima industrializzazione sia nei Paesi cosiddetti “emergenti” è in grado di trainare l’intera economia. Tutto passa per la trasformazione delle materie prime che, anche lì, non sono irrilevanti. Non c’è solo il petrolio, ma c’è anche il caffè, ci sono altri prodotti agricoli, il marmo … E infatti, nonostante i tassi di crescita rilevanti del Pil - otto-dieci percento annuo - il Paese non riesce a sconfiggere il sottosviluppo perché prigioniero del passato. E il fatto che non liberi energie lo rende ancora più prigioniero del passato. Per cui il cambio di posizione tra Horta e Xanana Gusmao va interpretato in quest’ottica: il fatto che il Paese non si è ancora liberato dal sottosviluppo.

D. – Timor Est è un Paese cattolico nell’arcipelago indonesiano. Ci sono tensioni con i musulmani?

R. – Forse pecco di ottimismo, ma tenderei a dire che queste tensioni sono in diminuzione. Non che non esistano, ovviamente. Però l’Indonesia dopo la caduta del regime di Suharto ha dato dimostrazione di volere abbracciare la democrazia, la tolleranza, il dialogo interreligioso in maniera più convinta che nel passato. Il Paese, ricordo, ha 240 milioni di abitanti e circa l’85 è percento è musulmano – è il più grande Paese musulmano al mondo - ma non è un Paese che noi chiameremmo “integralista” secondo i nostri canoni, e che quindi cerca nel dialogo una risoluzione tra queste differenze etniche e religiose. Timor Est non è una spina nel fianco cattolica in un Paese musulmano, ma è un Paese con il quale l’Indonesia ormai da tempo è abituata a convivere cercando di dimenticare le ferite del passato.

D. - Timor Est è indipendente dal 2002. Che Paese è oggi? Che bilancio possiamo tracciare di questa che è una delle ultime decolonizzazioni …

R. - È il primo Paese nato in questo millennio. Possiamo tracciare un bilancio in chiaroscuro: l’indipendenza si è consolidata, i pericoli per la sopravvivenza del Paese sembrano essere confinati, però fino ad ora il Paese ha mancato l’appuntamento con lo sviluppo. L’importante è che sia libero e indipendente e che la lotta di chi ha cercato questa indipendenza sia stata ricompensata nonostante le sofferenze. Tuttavia considerando le risorse naturali, la posizione e la simpatia internazionale che aveva stimolato, si sarebbe potuto fare di più.

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Veglia di preghiera a Roma per le vittime della tratta

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“Accendi una luce contro la tratta” è il tema della veglia di preghiera che si è svolta ieri sera a Roma nella Basilica dei Santi Apostoli, in occasione della prima Giornata Internazionale di preghiera e di riflessione contro la tratta che si celebra questa domenica, festa di Santa Giuseppina Bakita, che conobbe le sofferenze della schiavitù. L’incontro è stato promosso da diverse realtà del volontariato che si occupano delle vittime di questa piaga e dai Pontifici Consigli per i Migranti e Giustizia e Pace. Il servizio di Marina Tomarro:  

Gloria viene dalla Nigeria ha 25 anni, lo sguardo triste e il corpo segnato da cicatrici fisiche e psicologiche. Gloria è una delle migliaia di vittime della tratta sessuale che nella veglia di preghiera “Accendi una luce contro la tratta” ha voluto spezzare per sempre quella catena che l’ha tenuta prigioniera per anni nel corpo e nello spirito. Nel mondo sono oltre 21 milioni le vittime della tratta umana. Giovanni Paolo Ramonda responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII:

R. - C’è la schiavitù del lavoro, la schiavitù dei minori che vengono rapiti per la vendita degli organi, la schiavitù della prostituzione sessuale, con molte donne minorenni, anche in stato di gravidanza. Cioè, il crimine si sta organizzando in modo incredibile. Per cui, bisogna unire le forze per metterci a lavorare insieme, perché la dignità non si tratta, bisogna difenderla fino alla fine.

D.- In che modo riuscite ad avvicinare queste persone che sono cadute in questo giro così orrendo?

R. - Venti anni fa don Oreste ha incominciato proprio lui a uscire e ad a incontrarle sulla strada. Ancora oggi abbiamo ormai decine di gruppi di giovani che ogni settimana escono e incontrano queste ragazze. Quando loro acquistano fiducia e capiscono che ci sono persone che gli vogliono bene sul serio, allora rischiano, perché sono minacciate loro e le loro famiglie, ma quando vedono che ci sono comunità di vita che si affiancano a loro, dicono di sì, vengono via dalla strada. Sono state 7 mila in venti anni le ragazze liberate dalla Comunità Papa Giovanni e adesso circa 400 vivono con noi.

Importantissimo diventa allora il lavoro di rete tra le associazioni di volontariato, la Chiesa, le istituzioni e le forze dell' ordine. Ascoltiamo ancora Giovanni Paolo Ramonda:

R. - E’ fondamentale un lavoro di rete. Proprio perché il crimine è organizzato è scaltro, molto scaltro, per cui c’è la necessità di lavorare tra le forze dell’ordine, la questura, le prefetture, le associazioni di volontariato, la Chiesa. Però, uniti si può vincere. Tante piccole luci formano un popolo che cammina e che accende una speranza nuova, in questa umanità che è molto disperata.

Nella veglia anche tante storie dove il dolore è riuscito a diventare speranza di un domani migliore, come quella di Daniel, un giovane del Ghana, vittima del lavoro forzato in Libia, ma una volta arrivato in Italia ha ripreso gli studi e adesso sogna di tornare un giorno nella sua terra africana per dare una mano a renderla migliore. Ascoltiamo il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace:

R. - Noi siamo stati tutti creati con la dignità, la nostra dignità. Invece ci sono diverse situazioni che la negano o la tolgono, ci sono tantissime minacce in questo senso. L’importanza di questo evento consiste nel fatto che questo fenomeno non è per niente sparito. Con l’abolizione della schiavitù abbiamo pensato che fosse un fenomeno finito ma non lo è per niente. Ci sono forme molto sottili di questo fenomeno al giorno d’oggi: persone finite in schiavitù e vendute, gente che lavora senza contratto e i bambini soldato, un caso molto crudele, brutale, che non si può giustificare in nessun modo.

D.- Eminenza, in che modo la Chiesa accoglie e cerca di aiutare questi fratelli?

R. – Lasciandosi muovere innanzitutto dal Vangelo che libera. Gesù stesso ha parlato di liberazione come uno dei suoi grandi compiti. Così, ispirati da questo, noi membri della Chiesa siamo i primi portatori di questo messaggio. Ci sono anche tante suore che testimoniano questo. Ma ognuno può farlo. Ad esempio la polizia e le forze dell’ordine che con i vescovi dell’Inghilterra sono scesi in campo contro la tratta delle persone. E poi c’è anche gente semplice. Come quel ragazzo del Ghana che è stato anche lui schiavizzato, ma poi  ha trovato la sua libertà e ha creato una piccola fondazione per aiutare altri bambini che sono ancora in schiavitù. Ognuno secondo le proprie competenze può fare qualcosa.

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Eur a luci rosse. Ramonda: scelta violenta e maschilista

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Il Comune di Roma ha dato il via libera: entro aprile sarà realizzata nel quartiere dell’Eur la prima zona a luci rosse, una o due strade dove la prostituzione sarà tollerata senza il rischio di sanzioni a carico dei clienti e dove agiranno operatori sociali in funzione antisfruttamento che si occuperanno anche di controlli sanitari sulle donne. Il progetto costerà cinquemila euro al mese. Roberta Barbi ha raccolto il commento di Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII che da anni si occupa del recupero delle schiave della strada: 

R. – Questa mattina ho mandato un tweet proprio dicendo così: nessuna donna nasce prostituta, c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare, in questo caso sono i clienti e il racket. Quindi “no” secco a queste zone perché sono la vergogna dello Stato: sono il degrado del non riconoscimento della dignità della donna. Lo Stato deve lavorare insieme, con le sue forze, quindi utilizzare i soldi per polizia, questura, operatori sociali, perché la dignità della donna venga difesa.

D. – Secondo i promotori questa sperimentazione combatterà lo sfruttamento sessuale e il degrado: è davvero possibile sconfiggere un fenomeno incoraggiandolo?

R. – No, non è così. Noi siamo in Olanda, ormai da diversi anni, dove la prostituzione è legalizzata. Già nel 2003, l’allora sindaco di Amsterdam aveva detto che le zone rosse, la prostituzione anche nelle case chiuse, erano un fallimento perché era sempre in mano al racket. È una fantasia, questa, che verrà debellata, perché ancora di più viene potenziata questa cultura che è lecito usare e abusare del corpo della donna, acquistandolo con il denaro. Questo è importante soprattutto per i giovani: è una scelta maschilista, è una scelta violenta, una scelta che educa i nostri giovani a considerare la donna un oggetto.

D. – La Comunità Papa Giovanni XXIII da anni è impegnata su questo fronte e lega strettamente il fenomeno della prostituzione a quello della tratta…

R. - Si legano perché il fenomeno della prostituzione è solo il secondo, come interessi economici, a quello del traffico della droga. Ormai nel mondo globalizzato l’economia sposa tutti questi mercati della tratta del lavoro schiavizzato, della tratta della vendita degli organi dei minori, della tratta con sfondo sessuale, della tratta che alimenta i bambini soldato… C’è una globalizzazione violenta che va combattuta attraverso, certamente, un’azione intelligente anche dei governi, però anche attraverso leggi molto ferme. Non è che perché abbiamo macchine veloci non mettiamo limiti sulle autostrade!

D. – Don Benzi diceva, appunto, che nessuna donna nasce prostituta, mentre questa proposta sembra affermare che, eliminato il problema dello sfruttamento da parte dei protettori, sia un lavoro come un altro…

R. – Quando si dice che la prostituzione è il lavoro più antico del mondo è una bugia perché è l’ingiustizia più grande del mondo. Quando uno commette un omicidio sopprime una persona: non è che perché da millenni si compiono gli omicidi, per questo sono leciti. Una cosa o è giusta o non è giusta, o è un bene o è un male: il problema è oggi questa incapacità di distinguere tra il bene o il male.

D. – Quando la sperimentazione sarà avviata, se la prostituzione sconfinerà in altre strade del quartiere, si promettono grosse multe. Sono sufficienti le sanzioni economiche come deterrente? Come si può agire, davvero, sui clienti?

R. – Molti dei clienti, purtroppo, sono mariti, sono padri di famiglia. Certamente il deterrente economico è uno, ma non è l’unico. Come è stato fatto in Svezia, il deterrente più grande è che vengano resi noti: se è così indifferente la cosa, perché non si fa sapere ai familiari? Vediamo se c’è un consenso sociale così grande! È un vizio che va estirpato e va chiamato con il suo nome. Perché non facciamo zone delimitate, virtuali, dei clienti? Diciamo quali sono i clienti che vanno a prostitute. Per altri reati quando uno viene condannato, viene anche allo scoperto, no?

D. – Se non ci fosse qualcuno che sfrutta, non ci sarebbe nessuno da sfruttare…

R. – L’educazione è la base. Qua c’è una responsabilità, secondo me, anche della Chiesa nell’educare all’affettività, alla bontà della sessualità. Diciamo che se all’interno anche della coppia coniugale c’è una vita affettiva, sessuale sufficientemente adeguata, molti potrebbero anche non andare a cercare prostitute. Però, mentre facciamo un lavoro preventivo ed educativo, non possiamo permettere che, se non viene utilizzata l’intelligenza, venga permessa la violenza.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella quinta Domenica del Tempo ordinario la liturgia ci propone il Vangelo in cui portano a Gesù molti malati e indemoniati:

“(Gesù) guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano”.

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Possiamo certo sorridere – noi uomini del XXI secolo – davanti alla semplicità, alla ingenuità del Vangelo di oggi: anzi, tutto questo parlare di demòni ci imbarazza un poco. La nostra ragione, le conoscenze scientifiche che vantiamo ci permettono di guardare al mondo, alle malattie, a presunte possessioni diaboliche con molta superiorità. Ma è proprio così ingenuo il Vangelo o non è piuttosto la luce che illumina le radici profonde del male che sono dentro di noi? Sono proprio così fuori moda i segni operati da Gesù o non sono piuttosto la rivelazione della presenza di un “nemico” dentro di noi, causa vera di tanta nostra infelicità, di tanta solitudine e depressione così prepotentemente presenti nell’odierna società? La scienza deve certo fare il suo cammino di ricerca, ma rimane in superficie quando non sa guardare in profondità il cuore dell’uomo, quando si limita a vederne le pareti esterne. Il Signore non è venuto a fare diagnosi mediche, ma a rivelare l’origine e la causa profonda del male dell’uomo, il suo vero “nemico”: il demonio, l’accusatore. Il Vangelo annuncia che con Gesù è venuto il Re buono con il potere di strappare il regno a satana, e per restituirlo al Padre. È venuto – e viene – “a sdemonizzare la terra”, come si esprime un teologo luterano (E. Käsemann). Il Vangelo oggi ci invita a percorrere con Gesù i villaggi e le città annunciando il  Regno di Dio, per sminare la terra dalle seduzioni diaboliche, e ridare all’uomo la sua libertà di figlio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Papa, il 19 febbraio incontro clero romano su Ars celebrandi

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19 febbraio, Papa incontra il clero romano sul tema dell’Ars celebrandi
Sarà l’"Ars celebrandi", in particolare l’omelia nella celebrazione dell’Eucarestia, il tema del tradizionale incontro del Papa con il clero della diocesi di Roma, in programma giovedì 19 febbraio, alle ore 10, nell’Aula Paolo VI, in Vaticano. Il Pontefice terrà un discorso e poi risponderà ad alcune domande che gli verranno poste dai sacerdoti. “Si tratta – scrive il cardinale vicario, Agostino Vallini, in una lettera pubblicata sul sito web diocesano – del’incontro annuale con il nostro Vescovo, che viviamo sempre con gioia e tanto frutto spirituale”.

Un tema caro a Papa Francesco
“Il tema dell’Ars celebrandi – continua il porporato – è stato suggerito dal Consiglio dei prefetti ed è un argomento trattato dal Pontefice nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium”. Per permettere al clero romano di prepararsi all’incontro, per desiderio del Papa è stato distribuito un intervento del 2005, che l’allora cardinale Bergoglio tenne presso la Congregazione per il Culto Divino proprio su questo tema.

Il celebrante, leadership umile ma incisiva
Nel suo discorso, il futuro Pontefice sottolineava la necessità, per il sacerdote, di cogliere per primo il senso del mistero della celebrazione per poi comunicarlo alla comunità cristiana, così da permetterle di conformarsi ad esso. Tutto questo, diceva l’allora cardinale Bergoglio, “richiede una fede viva, nutrita, e un saldo spirito di preghiera”, accompagnato da una “leadership umile, ma incisiva”, che fa intuire al popolo “un uomo che sa pregare la liturgia e che soprattutto sa rivestirsi del Signore Gesù Cristo”.

Celebrazione dell’Eucaristia, atto di giustizia
Il futuro Papa Francesco rimarcava, poi, che la celebrazione dell’Eucaristia non è “un atto di carità”, ma “un atto di giustizia” che il pastore fa al suo popolo; l’omelia, quindi, non deve essere “semplicemente un leggere, un predicare, un annunciare, ma piuttosto un pregare sincero”, un “parlare al cuore”.

Il sacerdote non è uno showman
Infine, l’allora porporato suggeriva di evitare alcuni atteggiamenti, come quello del “sacerdote dai gesti rigidi, che pare quasi ignaro della presenza del popolo”, oppure quello del “prete-showman che investe energie in una specie di animazione superficiale”, o ancora l’atteggiamento del sacerdote affetto dalla “sindrome di Marta”, ovvero così indaffarato che “non ha tempo per una degna celebrazione in tempi ragionevoli”. (I.P.)

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Filippine. Vescovi: dopo gioia per il Papa è ora di agire

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Dall’euforia alla missione: editoriale dei vescovi filippini dopo visita del Papa
Sono trascorsi più di due settimane dalla conclusione della visita di Papa Francesco nelle Filippine, svoltasi dal 15 al 19 gennaio scorso. Ma l’entusiasmo della Chiesa e di tutta la popolazione locale non accenna a scemare. Per questo, i vescovi filippini, guidati da mons. Socrates Villegas, hanno diffuso un messaggio intitolato “Dall’euforia alla missione”. Nel documento, i presuli ricordano come i cinque giorni di visita papale siano stati contrassegnati dal calore della folla che ha accolto il Pontefice in modo davvero molto generoso. Un ringraziamento particolare viene fatto anche ai mass media per lavoro svolto durante il viaggio del Papa.

Riflettere sulle parole del Papa e metterle in pratica
Poi, però, i vescovi filippini invitano a ricordare anche le parole pronunciate da Papa Francesco d a riflettere su di esse. Per questo motivo, la Conferenza episcopale ha preparato una pubblicazione speciale che raccoglie tutti i discorsi pronunciati dal Pontefice nelle Filippine: tale materiale verrà inviato alle parrocchie, alle scuole ed alle comunità del Paese affinché “i pastori, i fedeli, le famiglie, gli amici possano meditarlo”. Ma dopo la riflessione, sottolineano ancora i vescovi, è necessario passare all’azione, in particolare alla missione. “Papa Francesco ci ha detto spesso di agire – si legge nel messaggio – perché le azioni sono importanti”. E se i fedeli filippini “continueranno ad agire in base alle parole del Pontefice, lo splendore della sua visita rimarrà per sempre nei loro cuori, insieme a gioia, speranza, fede e pace”.

Composta una preghiera speciale per il Pontefice
Infine, la Conferenza dei vescovi filippini esorta a pregare per Papa Francesco, così come lui chiede spesso di fare, e conclude il messaggio con un’apposita preghiera da recitare nelle Sante Messe, dopo la distribuzione dell’Eucaristia. In particolare, si invoca il Signore affinché “la misericordia e la compassione” sottolineate dal Papa “possano risuonare nel cuore di tutte le persone”; si innalza una preghiera per i rappresentanti delle istituzioni, perché possano “unire coraggio e tenerezza, sull’esempio di Gesù”. Si prega anche per “i dimenticati e gli emarginati”, affinché “l’amore di Cristo per loro, dimostrato nel magistero di Papa Francesco, possa essere vissuto da tutti”. (I.P.)

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Card. Cañizares: esercitare carità in modo creativo

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L’arcivescovo di Valencia invita io fedeli ad esercitare la carità in modo creativo
Esercitare la carità – segno distintivo dei cristiani – in modo creativo. E’ l’invito che il cardinale Antonio Cañizares, arcivescovo di Valencia, in Spagna, a quattro mesi dal suo insediamento ha rivolto in una lettera pastorale ai fedeli che presenta la realtà della diocesi, illustrandone problematiche e proponendo idee e progetti che rispondano all’attuale situazione sociale, culturale e religiosa.

Attenzione per formazione dei sacerdoti e pastorale familiare e giovanile
Nel documento il porporato sottolinea in particolare la necessità di un’attenzione speciale per i sacerdoti e per la loro formazione, esorta a curare la catechesi a vari livelli, chiede una pastorale giovanile più attenta e più specifica alle generazioni di oggi. Non manca uno sguardo alla famiglia, da accompagnare ed aiutare nella sua crescita o nei casi di crisi, difficoltà, separazioni.

Di fronte alla grave situazione sociale donare proventi e vendere beni della Chiesa
A preoccupare mons. Cañizares è però, soprattutto, la situazione sociale ed economica “grave e dolorosa” in cui versa la città di Valencia. Per questo, il porporato chiede a tutti uno sforzo, perché ciascuno risvegli la propria coscienza “samaritana” e per combattere la povertà. A tal proposito, l'arcivescovo di Valencia propone che la diocesi e le sue istituzioni donino parte dei loro proventi o di vendere alcuni beni patrimoniali della Chiesa e di destinarli ai poveri. L’invito del cardinale Cañizares è anche a studiare un modo adeguato per condividere alcuni beni destinandoli a usi sociali, ad esempio a piani di assistenza, a madri celibi o future madri che non vogliono abortire o ancora a donne vittime di maltrattamenti entro le mura domestiche.

Le imprese offrano aiuti creando anche pochi posti di lavoro
L’arcivescovo di Valencia suggerisce inoltre che ciascuno possa donare parte dei propri introiti per indigenti e disagiati e chiede la collaborazione a imprenditori cattolici e di buona volontà perché trovino il modo di creare uno o due posti lavoro ciascuno nelle proprie imprese o aziende, insomma di fare, ciascuno la propria parte. E per offrire ai bambini di diversi Paesi del mondo una adeguata educazione, perché non creare fondi? E come non dimenticare immigrati e rifugiati?

Rafforzare la creatività e l’immaginazione nell’esercizio della carità
E’ uno sguardo a 360 gradi sulla realtà diocesana, sui bisogni della società di oggi e sulle necessità nei Paesi più disagiati quello dell’arcivescovo di Valencia Per questo alla sua diocesi il porporato chiede un impegno forte per combattere le nuove povertà, la disoccupazione e rispondere al grido di aiuto di tanti, rafforzando la creatività e l’immaginazione nell’esercizio della carità. (T.C.)

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Spagna: "Manos Unidas", campagna contro la povertà

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Spagna, Giornata nazionale di Manos Unidas
È dedicata alla lotta contro la povertà la campagna promossa quest’anno da "Manos Unidas", l’ong cattolica spagnola che domenica prossima, 8 febbraio, celebra la sua Giornata nazionale. Accompagnata dallo slogan “Lottiamo contro la povertà” e dall’hashtag #ContralaPobrezaMU, l’iniziativa potrà contare sulle collette delle celebrazioni domenicali, che verranno devolute in favore di oltre mille progetti di sviluppo in più di sessanta Paesi del mondo.

Nessuno è escluso dalla lotta contro la povertà
Dal suo canto, l’arcivescovo di Santiago di Compostela, mons. Julián Barrio Barrio, in una lettera pastorale diffusa per l’occasione, ricorda che “nessuna persona e nessuna istituzione si può sentire esclusa dalla lotta contro la povertà”, perché “lo sviluppo integrale dei più emarginati deve essere la preoccupazione di tutta la società”. Allo stesso tempo, il presule si sofferma sul problema della fame e della malnutrizione, definendole “uno scandalo, soprattutto nel XXI secolo”.

Allarme per i tanti bambini che soffrono la fame
Per questo, continua mons. Barrio, “oggi si deve continuare a parlare delle tante persone che soffrono la fame o che non sono nutrite a sufficienza, tra le quali si contano anche molti bambini”. Un dato che “contrasta notevolmente con una società caratterizzata dal progresso e che ferisce la nostra coscienza personale e sociale, la quale ci chiede di correggere quelle azioni sbagliate che rendono la fame una realtà lacerante ancora attuale”.

Aiutare i bisognosi, precetto evangelico
Ribadendo, poi, l’impegno evangelico a sostenere e ad aiutare i più bisognosi, il presule spagnolo sottolinea che un domani saremo giudicati da Dio proprio per come avremo soccorso gli indigenti. Ed è per questo, conclude il presule, che bisogna migliorare innanzitutto le nostre coscienze, perché solo così potremo “migliorare qualcosa anche nel mondo”. (I.P.)

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Svizzera. Campagna di Quaresima su eccessi cibo e clima

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Campagna ecumenica di Quaresima sui cambiamenti climatici
“Meno per noi, abbastanza per tutti”: è questo il tema della Campagna ecumenica di Quaresima 2015, promossa in Svizzera dall’organismo “Action de Carême”, (Adc) opera di aiuti dei cattolici nel Paese, insieme ai protestanti di “Pain pour le prochaine” e ai cristiani di “Etre partenaire”. L’iniziativa, che avrà luogo dal 18 febbraio, Mercoledì delle Ceneri, al 5 aprile, Domenica di Pasqua, sarà incentrata sugli eccessi alimentari legati al consumo di carne, sui cambiamenti climatici e sul problema della fame nei Paesi del Sud del mondo. L’obiettivo, riferisce una nota, è quella di “invitare i cristiani a manifestare la loro solidarietà ed ad adottare comportamenti responsabili contro le disuguaglienze nel mondo”.

Non sacrificare biodiversità per un profitto senza scrupoli
Riguardo all’alimentazione, in particolare, "Action de Carême" ricorda che “mangiare la carne non è incompatibile con uno stile di vita rispettoso dell’ambiente. Tuttavia, per soddisfare i consumi dei Paesi occidentali, molte regioni del mondo vengono sacrificate in nome di un profitto senza scrupoli”. Ad esempio, continua la nota, “zone intere del Brasile con una notevole biodiversità sono state sacrificate in vista di una produzione industriale della soia per alimentare il bestiame”, spiega Matthias Dörnenburg, responsabile della comunicazione per Adc.

Avviare pratiche agricole ecologiche
Tali procedure, naturalmente, hanno effetti sul clima: la distruzione di foreste tropicali, l’impiego di fertilizzanti chimici e l’allevamento intensivo, infatti, contribuiscono al riscaldamento climatico, mentre “la produzione alimentare industriale è responsabile di quasi il 40% di tutte le emissioni di gas serra” e “la produzione di carne occupa il 70% delle superfici agricole del mondo”, sottolinea ancora Adc. Di qui, l’invito della Campagna di Quaresima per “un consumo più responsabile” e per l’avvio di “pratiche agricole naturali ed ecologiche”.

Promuovere la giustizia climatica
Infine, in vista della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici che si terrà a Parigi il prossimo dicembre, Adc ricorda che in Svizzera è già stata lanciata una petizione per chiedere al Consiglio federale ed al parlamento elvetici di prendere posizione in favore della “giustizia climatica”. “La Svizzera deve ridurre le sue emissioni di gas serra – conclude la nota – e sostenere finanziariamente i Paesi in via di sviluppo nei loro sforzi in questa direzione”. (I.P.)

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Sudafrica. Gesuiti: scontri Soweto vergognosa xenofobia

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Sudafrica. Appello dei gesuiti: porre fine a xenofobia
Sembra tornata la calma a Soweto, in Sudafrica, dopo i violenti scontri dei giorni scorsi, durante i quali alcuni negozi di commercianti stranieri sono stati saccheggiati e incendiati. Le violenze, che hanno provocato almeno sei vittime e numerosi feriti, sono state scatenate dalla morte di un adolescente, ucciso da un venditore straniero nel corso di un tentativo di rapina. Tali avvenimenti, commenta l’Istituto dei Gesuiti del Sudafrica (Jisa), rappresentano “un altro episodio della vergognosa storia di xenofobia nel Paese”.

Xenofobia, atto di disprezzo dell’umanità
Ma “la ferocia dimostrata dalle parti coinvolte e l’incapacità di porre fine in tempi rapidi a tali incidenti – scrivono i religiosi in una nota – dimostra anche il fallimento dello Stato nell’applicazione della legge e nell’educazione dei cittadini al suo rispetto. Questa è una tragedia nazionale”. “La xenofobia in Sudafrica – continua la nota – è in diretta contraddizione con la nostra filosofia nazionale, l’Ubuntu, che crede nell’umanità, e rappresenta un palese atto di disprezzo della cultura dei diritti umani, fondamento della nostra Costituzione”.

Il tragico precedente dell’Apartheid
Quindi, il Jisa ricorda che “durante l’epoca dell’apartheid, i Paesi dell’Africa e di molte altre parti del mondo hanno dimostrato “una notevole accoglienza nei confronti dei sudafricani in fuga, offrendo loro un rifugio, anche a rischio della vita delle popolazioni locali”. “La nostra gente è stata trattata con calore e generosità – scrivono i Gesuiti – nessuno è stato derubato, assassinato o attaccato”.

Necessaria maggiore educazione civica
Ribadendo, quindi, che tali episodi di violenza sono “il sintomo di problemi strutturali del Paese” e che “i venditori stranieri sono diventati dei capri espiatori”, il Jisa esorta al “rispetto della legge ed al dialogo tra i leader religiosi, i rappresentanti delle istituzioni ed i commercianti per puntare su un sistema di educazione civica che guardi al contributo positivo che gli immigranti danno al Sudafrica, dal punto di vista sociale ed economico”. (I.P.) 

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Kenya. Vescovi: aumento tasse scuola lede diritto studio

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I vescovi preoccupati per l’aumento delle tasse scolastiche
I vescovi del Kenya sono profondamente preoccupati per gli aumenti spesso ingiustificati delle tasse scolastiche decise da molte scuole pubbliche, che minacciano il diritto allo studio delle fasce sociali più bisognose. E’ quanto afferma una nota del vicepresidente della Commissione episcopale per l’educazione e per l’educazione religiosa della Conferenza episcopale.

Il dovere del governo di garantire il diritto allo studio di tutti i bambini
“Nessun bambino dovrebbe essere  escluso perché non può pagare le tasse”, si legge nel testo che chiede al governo di mettere a disposizione in tutte le scuole keniane borse di studio per gli studenti svantaggiati e di assicurare che le direttive sul diritto allo studio siano applicate. A questo scopo, si osserva, non basta l’invio di ispettori: sarebbe piuttosto auspicabile il coinvolgimento di tutti gli attori scolastici affinché i tetti massimi delle tariffe fissati in base al costo della vita nelle varie aree non siano superati.

La responsabilità è di tutti
Secondo i vescovi, inoltre, non bastano circolari: occorrono leggi chiare in materia. Infine, la nota chiede che anche i consigli di amministrazione delle scuole e gli insegnanti si assumano le loro responsabilità, avvertendo che “la salita continua delle spese scolastiche rischia di rendere il costo dell’educazione inaccessibile alla maggioranza dei keniani che già devono fare fronte all’aumento del costo della vita”.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 38

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.