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Sommario del 06/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai prefetti: immigrazione, rispetto norme e dignità persone

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Obbedienza, ascolto, pazienza. Sono le chiavi per superare la “crisi di autorità” nella società contemporanea che, in materia migratoria, è necessario garantisca il rispetto “dei diritti fondamentali di ogni persona umana”. Lo ha ribadito Papa Francesco, ricevendo in Sala Clementina in Vaticano i prefetti d’Italia, introdotti dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Il compito di tali istituzioni, ha ricordato il Pontefice, è quello di rendere presente “in modo capillare” sul territorio dello Stato l’autorità del governo centrale, “in particolare per quanto riguarda la tutela dell’ordine e della pubblica sicurezza”. Il servizio di Giada Aquilino

Società aperta a obbedienza, ascolto, pazienza
Non questioni astratte, ma “il volto concreto di uomini e di donne” con i loro problemi e le loro speranze, che “in questi anni di incertezza e di difficoltà economiche si sono fatte ancora più impellenti”. È la realtà con cui si confrontano i prefetti d’Italia, nelle parole di Papa Francesco che ha individuato l’“indispensabile cornice” in cui si svolge la loro funzione: obbedienza alla legge e ai criteri di umanità che la informano e lealtà verso le istituzioni:

“La crisi di autorità che la nostra società sperimenta in diversi ambiti, tanto pubblici quanto privati, con conseguenze di vasta portata, specie per l’educazione delle giovani generazioni, ha infatti tra le sue cause proprio la carenza di queste fondamentali disposizioni all’obbedienza, all’ascolto, alla pazienza”.

L’esercizio dell’autorità ha sempre come obiettivo “il conseguimento del bene comune”, ponendosi “quotidianamente al servizio” della comunità “ad imitazione di quanto ha fatto il Signore Gesù, che è venuto in mezzo a noi come Colui che serve”.

Coi migranti, rispetto dei diritti fondamentali delle persone
In tale ambito, il Pontefice ha notato l’esigenza di una “duttilità necessaria per affrontare gli innumerevoli casi pratici che si presentano su tutto il territorio italiano”. Un esempio è “la particolare incidenza del movimento migratorio”, legata all’aumento nel mondo di violenti conflitti “con le loro tragiche conseguenze sulle persone e sulle economie di tanti Paesi”: particolare “delicatezza” rivestono dunque le competenze prefettizie in materia di immigrazione:

“Esse comportano l’esigenza di individuare nella quotidiana gestione delle situazioni, spesso d’emergenza, quella corretta applicazione delle norme, che garantisca, insieme con la fedeltà al dettato della legge e delle altre disposizioni vigenti, lo scrupoloso rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona umana”.

Collaborazione prefetture-diocesi- parrocchie
Ringraziando i prefetti per l’impegno profuso nel coordinare “l’accoglienza delle migliaia di uomini, donne e bambini giunti sulle coste italiane”, evidenziato anche dal ministro dell’Interno Alfano che ha parlato pure dell’impegno nella lotta alle organizzazioni criminali, il Papa ha sottolineato “i rapporti di proficua collaborazione tra le prefetture, le diocesi e le parrocchie” che, “nel rispetto delle distinte competenze”, merita di essere “confermata, valorizzata e approfondita”:

“La Chiesa, essendo una realtà divina e umana, opera nella società al servizio delle persone sulla base dell’insegnamento di Cristo e, desiderando svolgere la sua missione educativa e caritativa nella sincera collaborazione con le istituzioni dello Stato per la promozione dell’uomo e il bene del Paese, è lieta di trovare nelle Prefetture uno degli ambiti in cui maggiormente si concretizza questa sinergia per il bene di tutti i cittadini”.

Dare voce a chi non ha voce
D’altra parte tali istituzioni rappresentano “un importante fattore di coesione” perché - ha ricordato il Santo Padre - interpretano “nelle varie realtà territoriali le istanze di coordinamento che provengono dal centro” e al contempo segnalano “all’autorità centrale situazioni di particolare difficoltà o marginalità”, facendo risuonare voci “che diversamente rischierebbero di rimanere flebili e prive della dovuta attenzione”:

“Quanto più i cittadini percepiranno che i poteri costituiti sono generosamente rivolti a cercare di offrire risposte ai loro bisogni e a tutelare i loro diritti, tanto più saranno disposti ad accoglierne le indicazioni e a disporsi ad un operoso e ordinato spirito di collaborazione e di rispetto”.

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Francesco: oggi tanti i cristiani vittime di chi odia Gesù

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Il martirio dei cristiani non è una cosa del passato, ma tanti di loro sono vittime anche oggi “di gente che odia Gesù Cristo”. È la sofferta constatazione di Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino in Casa Santa Marta, al termine di un’intensa meditazione sulla vita e la morte di Giovanni Battista. Il servizio di Alessandro De Carolis

La parabola del “Grande Giovanni” in primo piano e, appena dietro, il dolore acuto per i tanti cristiani ancora oggi condotti al macello, perché la loro vita annuncia quella di un Dio che altri odiano. È una delle omelie di Santa Marta più toccanti quella che il Papa propone seguendo la pagina del Vangelo di Marco, che racconta la fine tragica di Giovanni Battista. Lui – sottolinea Francesco – che “mai ha tradito la sua vocazione”, “cosciente che il suo dovere era soltanto annunziare” la “prossimità del Messia” – consapevole di essere “la voce soltanto”, perché “la Parola era un Altro” – “finisce la sua vita come il Signore, col martirio”.

Giovanni vittima di un re corrotto
È soprattutto quando finisce in carcere per mano di Erode Antipa che “l’uomo più grande nato da donna” diventa, osserva Francesco, “piccolo, piccolo, piccolo”, prima colpito dalla prova del “buio dell’anima” – quando dubita che Gesù sia colui al quale ha preparato la strada – poi quando per lui arriva il momento della fine, ordinata da un re affascinato e insieme perplesso da Giovanni. Una fine che il Papa si ferma a considerare con realismo:

“Alla fine, dopo questa purificazione, dopo questo calare continuo nell’annientamento, facendo strada all’annientamento di Gesù, finisce la sua vita. Quel re perplesso diventa capace di una decisione, ma non perché il suo cuore sia stato convertito, ma perché il vino gli ha dato coraggio. E così Giovanni finisce la sua vita sotto l’autorità di un re mediocre, ubriaco e corrotto, per il capriccio di una ballerina e per l’odio vendicativo di un’adultera. Così finisce il Grande, l’uomo più grande nato da donna”.

Cristiani odiati anche oggi
“Quando io leggo questo brano – afferma a questo punto il Papa – vi confesso mi commuovo” e penso sempre “a due cose”:

“Primo, penso ai nostri martiri, ai martiri dei nostri giorni, quegli uomini, donne, bambini che sono perseguitati, odiati, cacciati via dalle case, torturati, massacrati. E questa non è una cosa del passato: oggi succede questo. I nostri martiri, che finiscono la loro vita sotto l’autorità corrotta di gente che odia Gesù Cristo. Ci farà bene pensare ai nostri martiri. Oggi pensiamo a Paolo Miki, ma quello è successo nel 1600. Pensiamo a quelli di oggi! Del 2015”.

Nessuno ha la vita "comprata"
Inoltre, prosegue il Papa, questo diminuire di Giovanni il Grande “continuamente fino al nulla” mi fa pensare, dice, “che siamo su questa strada e andiamo verso la terra, dove tutti finiremo”. Mi fa pensare a “me stesso”:

“Anche io finirò. Tutti noi finiremo. Nessuno ha la vita ‘comprata’. Anche noi, volendo o non volendo, andiamo sulla strada dell’annientamento esistenziale della vita, e questo, almeno a me, fa pregare che questo annientamento assomigli il più possibile a Gesù Cristo, al suo annientamento”.

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Papa a Scholas Occurrentes: ricostruire patto educativo, no a deleghe

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Non cambieremo il mondo, se non cambiamo l'educazione; per farlo occorre costruire ponti e ricostituire il patto educativo a scuola, in famiglia e nella società: è quanto ha affermato ieri pomeriggio il Papa, nell’Aula del Sinodo in Vaticano, in videoconferenza con i con ragazzi disabili collegati da varie parti del mondo, per la chiusura del IV Congresso Mondiale "Scholas Occurrentes”. La rete internazionale di scuole, nate in Argentina per volere dell’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, oggi conta 400mila istituti, sparsi nei 5 continenti uniti da sport, scienza e tecnologia. Presentate anche nuove sinergie con l'università Lumsa di Roma e progetti in Mozambico. Massimiliano Menichetti

In ogni ragazzo c'è un tesoro
Le mani aperte verso lo schermo che salutano, il volto che esprime gioia e gratitudine del Papa e dei ragazzi in videoconferenza. E’ l’istantanea piena di forza di questo incontro tra Francesco nell’Aula del Sinodo in Vaticano, con altre 260 persone, e i ragazzi disabili collegati da Stati Uniti, Sud America, Africa, Australia, Medio Oriente. I volti di Isabel, Pedro, Alisia, Elvira, Taylor, Manosh e Bauti sono stati i testimoni che hanno chiuso il IV Congresso Mondiale di Scholas Occurrentes. Hanno raccontato le loro storie dialogando con il Papa. Storie difficili di ragazzi che vivono la disabilità, ma non per questo sconfitti, anzi hanno conquistato, lo sport, la voglia di usare telecamere, tablet, di dire agli altri "non scoraggiatevi mai":

"Todos ustedes tienen un cofre …
In tutti voi c’è uno scrigno e dentro c’è un tesoro. Il vostro lavoro è aprire lo scrigno, tirare fuori il tesoro, farlo crescere, darlo agli altri e ricevere quello degli altri. Ognuno di noi ha un tesoro dentro. Se lo lasciamo chiuso, resta nascosto, se lo condividiamo con gli altri, il tesoro si moltiplica con i tesori che vengono dagli altri”.

Raggiungere l'armonia non è raggiungere compromessi
Papa Francesco ha parlato della necessità di raggiungere l’armonia, che non è - ha precisato - "raggiungere dei compromessi, regole, una parziale capacità d’intendersi":

“Armonia es de alguna manera crear entendimiento…
L’armonia, in qualche modo, è creare la capacità di intendere le differenze, accettare le differenze, dare valore alle differenze e lasciare che si armonizzino"

Il patto educativo rotto
Quindi ha centrato la sua attenzione sul patto educativo:

“El pacto educativo que se da entre la familia… 
Il patto educativo che si dà in famiglia, a scuola, nella patria, nella cultura è rotto".

Non delegare educazione
Il patto educativo rotto – ha spiegato - significa che sia la società sia la “famiglia sia le diverse istituzioni delegano l’educazione agli addetti all’educazione”, “ai docenti, che generalmente mal pagati hanno sulle spalle questa responsabilità e se non ottengono un risultato, vengono ripresi”. “Nessuno – ha proseguito – però riprende le diverse istituzioni che hanno rinunciato al patto educativo, lo hanno delegato”. E il Papa si è detto vicino ai docenti, per questo difficile compito. Valorizzando l’esperienza di Scholas Occurrentes ha evidenziato lo sforzo a voler ricostruire “armonicamente il patto educativo” e la strada di cultura, sport e scienza per edificare ponti:

“Scholas quiere armonizar el lenguaje de la cabeza…
Scholas vuole armonizzare il linguaggio della testa con il linguaggio del cuore e il linguaggio delle mani. Che una persona, che un ragazzo, che un giovane pensi a quello che sente e a quello che fa; senta quello che pensa e quello che fa; faccia quello che sente e quello che pensa"

I Paesi non rinneghino la propria cultura
Per il Papa bisogna arrivare ad un “patto educativo” “assunto da tutti”, per sconfiggere la “crisi della civilizzazione”. Poi ha introdotto una vera e propria pedagogia per raggiungere l’armonia: “Ogni Paese cerchi” nella “tradizione storica, popolare le cose fondanti”. Le studi, le diffonda. “La cultura italiana, per esempio – ha detto - non può rinnegare Dante come fondamento”, quella Argentina, “Martin Fierro”.

Il gioco  come cammino educativo
Cultura ma anche gioco ha indicato Francesco:

“El Libro de la Sabiduria dice… 
Il Libro della Sapienza dice che Dio giocava, la sapienza di Dio giocava. Riscoprire il gioco come cammino educativo, come espressione educativa. Quindi l’educazione non è solamente informazione, è creatività nel gioco. Quella dimensione ludica che ci fa crescere nella creatività e nel lavoro insieme”.

La ricerca della bellezza
Imprescindibile in questo cammino verso l’armonia la ricerca della la bellezza, “che ci fonda”  ha sostenuto “ con la nostra arte, con la nostra musica, con la nostra pittura, con la nostra scultura, con la nostra letteratura”. Il Pontefice ha valorizzato anche la creatività e i tre linguaggi: delle mani, del cuore e della mente perché “questa scintilla” delle Scholas Occurrentes “che è nata continui ad estendersi in un fuoco che aiuti a ricostruire, ad armonizzare il patto educativo”.

Il colloquio con i ragazzi
Toccante il momento in cui Papa Francesco ha palato con i ragazzi. La piccola Isabel non vedente, di 13 anni, che ama l’atletica ha chiesto al Papa di dire a chi in difficoltà “di non arrendersi, perché con un po’ di sforzo si può arrivare dove si vuole”. Ad Alicia Francesco invece ha confessato di non saper usare bene la macchina fotografica e "il computer”. Taylor ha aperto il suo cuore: “ho incontrato molti ostacoli nella mia carriera scolastica. La mia lotta più grande è quella di essere in grado di condividere i miei pensieri per non perdere il passo e andare avanti”. Spiegando la lentezza a cui è costretto dalla sua disabilità ha chiesto al Papa come affrontare questo muro. E il Papa ha detto che non "bisogna spaventarsi mai di fronte alle difficoltà" perché "siamo capaci di superarle tutte, abbiamo solo bisogno di tempo per capire, intelligenza per trovare la via e coraggio per andare avanti, per non spaventarsi mai”. Francesco ha poi ribadito a Manosh la bellezza nel costruire ponti come insegna “Scholas Occurrentes”, perché: “quando voi comunicate date il meglio che avete dentro e ricevete dagli altri il meglio che hanno dentro”.

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Il Papa il 24 settembre parlerà al Congresso Usa

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Il Papa parlerà il prossimo 24 settembre ad una sessione congiunta del Congresso degli Stati Uniti, a Washington. Lo ha riferito lo speaker della Camera Usa, John Boehner, e la notizia è stata confermata dalla Sala Stampa vaticana. Papa Francesco sarà il primo Pontefice a parlare a Capitol Hill."In un momento di sconvolgimento globale - ha affermato Boehner - il messaggio di compassione e dignità umana del Santo Padre ha commosso persone di tutte le fedi e origini. I suoi insegnamenti, le preghiere e il suo grande esempio ci riportano alla benedizione delle cose semplici e ai nostri obblighi reciproci". Nel suo viaggio negli Stati Uniti il Papa sarà anche a New York e Filadelfia, dove si svolgerà l'Incontro mondiale delle famiglie.

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Papa prega per le vittime dell'incidente aereo di Taipei

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Anche Papa Francesco si è unito al dolore della tragedia causata due giorni fa dall’incidente aereo avvenuto a Taipei, quando un ATR 72 della “TransAsia” è precipitato, poco dopo il decollo, nel fiume Keelung. Il bilancio della tragedia è salito a 35 morti ma si cercano ancora 8 dispersi tra le 58 persone totali che erano sul volo. Alle famiglie delle vittime e dei dispersi il Papa ha espresso “vicinanza spirituale”, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, invocando da Dio “doni di forza e conforto” per “i feriti e coloro che sono in lutto”.

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Nomine episcopali in Nigeria e Papua Nuova Guinea

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, il cardinale Béchara Boutros Rai, patriarca di Antiochia dei Maroniti, in Libano, il cardinale Juan Luis Cipriani Thorne, Arcivescovo di Lima, in Perù, e mons. Heinz Wilhelm Steckling, vescovo di Ciudad del Este, in Paraguay.

In Papua Nuova Guinea, il Papa ha nominato vescovo della diocesi di Wewak padre  Józef Roszynski, dei Padri Verbiti, Missionario polacco nella medesima Diocesi. Il neo presule è nato il 18 agosto 1962 a Nidzica, Diocesi di Warmia, in Polonia. Dopo aver completato gli studi nel Seminario Maggiore della Società del Verbo Divino a Pieniezno, fu ordinato sacerdote per la stessa Congregazione religiosa il 30 aprile 1989.  Nel 1991 è stato inviato in missione in Papua Nuova Guinea, nella Diocesi di Wewak. Dopo l’Ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: 1989 – 1991: ministero parrocchiale a Pieniezno, Polonia; 1991 – 1992:  Studi di lingua inglese a Maynooth, Irlanda; 1992 – 2014:     Missionario nella Diocesi di Wewak, Papua Nuova Guinea; 1992 – 1993: Vice-parroco a Kunjingini; 1993 – 1994: Studi all’Università Divine Word – Corso di Cultura Melanesiana e Diploma in Gestione delle Risorse Umane; 1994 – 2000: Parroco a Warabung e cura della parrocchia di Roma (Papua Nuova Guinea); 1996 – 1997: Studi presso l’Università Divine Word – Counselling skills; 1997 – 2002: Parroco nel distretto di Wirui; 2001 – 2010 Membro del Consiglio Provinciale dei Verbiti in Papua Nuova Guinea; 2002 – 2014: Parroco nel distretto di Wewak; 2005 – 2008: Coordinatore della formazione Verbita in Papua Nuova Guinea; 2005 – 2008: Superiore dei Verbiti del Distretto di Wewak; 2009 – 2010: Superiore Provinciale temporaneo dei Verbiti in Papua Nuova Guinea; 2010 – 2014: Superiore dei Verbiti del Distretto di Wewak, con cura anche di alcune parrocchie della Diocesi; 2013 – 2014: Membro delle Commissioni create dall’Amministratore Apostolico per la gestione delle finanze e per la pastorale della vacante Diocesi  di Wewak.
La Diocesi di Wewak (1966) è suffraganea dell’Arcidiocesi di Madang. Ha una superficie di 36.917 kmq e una popolazione di 367.000 milioni di abitanti, di cui 224.000 sono cattolici. Ci sono 48 parrocchie. Vi sono 39 sacerdoti, di cui 10 Religiosi, oltre a 20 Fratelli Religiosi, 70 Suore e 12 Seminaristi. La Diocesi di Wewak, è vacante dal 2013, a seguito del decesso dell’Ordinario, S.E. Mons. Anthony Burgess.

In Nigeria, il Pontefice ha nominato ausiliare dell’Arcidiocesi di Onitsha mons. Denis Chidi Isizoh, del clero di Onitsha, Officiale presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso,  assegnandogli la sede titolare vescovile di Legia. Il neo presule è nato il 24 gennaio 1956, a Ogbunike nell’Arcidiocesi di Onitsha, Anambra State. Dopo le scuole primarie (St. Raphael’s, Awkuzu e St. Vincent’s, Ogbunike, 1964-1967/1970, con un’interruzione dovuta alla guerra civile nigeriana), è entrato nel Seminario Minore All Hallows (1971-1976). Ha svolto gli studi Filosofici al Bigard Memorial Seminary di Ikot Ekpene (1977-1981), e quelli Teologici al Bigard Memorial Seminary di Enugu (1981-1985). È stato ordinato sacerdote il 28 settembre 1985 per l’Arcidiocesi di Onitsha. Dopo l’Ordinazione ha svolto i seguenti uffici e ulteriori studi: 1985 - 1989: Formatore al Seminario Minore All Hallows di Onitsha, Vicario parrocchiale al Ss. John and Paul Parish, Awada, e Cappellano di diversi Istituti e Scuole; 1989 - 1992: Studi in Sacra Scrittura al Pontificio Istituto Biblico, Roma; 1993 - 1996: Studi per il Dottorato in Teologia Biblica alla Pontificia Università Gregoriana; dal 1989: Segretario e Assistente dell’Em.mo Cardinale Francis Arinze; dal 1995: Officiale presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

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Papa, tweet: fede è vivere difficoltà sapendo di non essere soli

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex. Questo il testo: “Avere fede non significa non avere momenti difficili, ma avere la forza di affrontarli sapendo che non siamo soli”.

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Card. Rylko: aiutare chi vive in città a incontrare Dio

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Prosegue a Roma la plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici sul tema “Incontrare Dio nel cuore della città: scenari dell’evangelizzazione per il terzo millennio”. Domani l'incontro con Papa Francesco. La seconda giornata è stata caratterizzata dall’intervento dell’arcivescovo di Manila, card. Luis Antonio Tagle, che ha parlato della sete di Dio che caratterizza i “deserti urbani” ed ha individuato come essa sia principalmente ricerca di una nuova mediazione del rapporto con Dio, ricerca di appartenenza e di comunione e ricerca di vita. Nella sua relazione, partendo dalla realtà delle megalopoli asiatiche ed in particolare di Manila, ha indicato nella solitudine, che si vive anche quando intorno a sé ci sono migliaia di persone, l’origine della fame di un’appartenenza e di una paternità cui la Chiesa è chiamata a rispondere. I poveri delle grandi città, con la loro sete di vita, invitano, secondo il card. Tagle, a guardare alla povertà non in maniera anonima e sociologica, ma scoprendo il valore della vita e della fede di ognuno. È dall’incontro rinnovato con i poveri – ha detto - che saremo evangelizzati e le lacrime diventeranno fonte di un’acqua viva che rinnoverà le nostre vite.

Alle parole del card. Tagle ha fatto eco Giovanni Paolo Ramonda, alla guida della Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha sottolineato come la condivisione con i più deboli sia fonte di una vita cristiana rinnovata. Si è svolta, quindi, una tavola rotonda alla quale ha partecipato, tra gli altri, il padre gesuita Marko Ivan Rupnik, direttore del Centro Aletti, che ha affrontato il tema della ricerca di una nuova estetica architettonica ed artistica nella costruzione di nuove chiese. “La chiesa con la minuscola – ha detto p. Rupnik – deve essere un’immagine della Chiesa con la maiuscola”. Sui lavori, ascoltiamo il cardinale Stanisław Ryłko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, al microfono di Silvonei Protz: 

R. – Ci siamo accorti che il tema della città è un tema che interessa molto, che risveglia i cuori. Lo vediamo guardando le facce dei partecipanti, come reagiscono alle conferenze che vengono proposte. Infatti, il tema che abbiamo scelto per la nostra plenaria è “Incontrare Dio nella città”, città come campo di missione per la Chiesa. Evangelizzare vuol dire aiutare la gente degli ambienti urbani a incontrare Dio. E proprio questo è il nucleo delle nostre riflessioni: come aiutare la gente che vive in città a incontrare Dio.

D. – Durante il suo discorso di apertura dei lavori, lei ha parlato della teologia del popolo di Papa Francesco che è centrale anche nella sua visione della città …

R. – Infatti, Papa Francesco la città la conosce di prima mano come arcivescovo di Buenos Aires, una grande metropoli argentina. Il Papa ha un approccio molto positivo e direi anche molto realistico alla realtà della città, che è una realtà molto complessa, molto diversificata. Il Papa parla addirittura non di una cultura urbana, ma ‘delle’ culture urbane che convivono nella stessa realtà della città. Il Papa guarda la città non come a una folla di persone, una folla amorfa di persone, scollegate, solitarie, ma vede nella città, negli abitanti della città, un popolo e questo è molto interessante, perché qui bisognerebbe approfondire anche la riflessione sul concetto del popolo di Papa Francesco. E’ un concetto molto profondo, che indica un atteggiamento della gente che si sente corresponsabile della vita comune, e un’armonia – questa parola che piace al Santo Padre – un’armonia che si crea tra le persone. Quindi, il Papa propone un percorso dagli abitanti di una città ai cittadini, e dai cittadini a un popolo: una realtà organica che vive nell’ambiente urbano.

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Docce e barbiere sotto il Colonnato di San Pietro per i senzatetto

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In questi giorni si sono conclusi i lavori per la realizzazione di nuove docce sotto il Colonnato del Bernini, completando così il progetto di aumentare questo servizio per i poveri di Roma attraverso le parrocchie che vi hanno aderito, soprattutto in quelle dove già esistono mense per i poveri o dove c’è una maggiore concentrazione di senzatetto.

Tre docce e postazione per il barbiere
I lavori sono stati progettati, guidati e realizzati dai tecnici e dalle maestranze del Governatorato della Città del Vaticano: tre docce e una piccola postazione per il barbiere sono stati inseriti nella ristrutturazione completa di una sezione dei bagni presenti sotto il Colonnato di destra. Il tutto – riferisce la Elemosineria Apostolica - è stato fatto con grande sobrietà e dignità, ma utilizzando anche tecniche moderne: ogni lavandino è dotato di acqua calda, dispenser per il sapone e getto di aria calda per asciugare le mani, tutti azionati da fotocellule; al posto delle piastrelle è stata usata una particolare resina per rivestire i muri, facilmente lavabile e che assicura massima igiene.

Le docce saranno funzionanti ogni giorno, tranne il mercoledì per l’udienza generale e quando si svolgeranno celebrazioni in San Pietro o in Piazza. Nei giorni di lunedì, giovedì e sabato il servizio e la gestione delle docce è assicurato dai volontari dell’Unitalsi della Sezione di Roma. Il barbiere sarà disponibile nella giornata del lunedì, dalle ore 9 alle 15. Il servizio è garantito da diversi barbieri volontari e anche dagli studenti dell’ultimo anno di una scuola per parrucchieri di Roma.

Kit per i senzatetto
I pellegrini senzatetto riceveranno, per la doccia, un cambio completo per l’intimo e un kit con asciugamano, sapone, dentifricio, rasoio e schiuma da barba, deodorante, a seconda delle diverse esigenze. La maggior parte del materiale sarà offerto gratuitamente da diverse ditte e persone che hanno voluto partecipare a questo progetto a favore dei poveri. Il materiale mancante verrà acquistato di volta in volta dalla Elemosineria Apostolica con il denaro ricavato della distribuzione delle pergamene con la Benedizione Papale.

Il grazie della Elemosineria a quanti partecipano al progetto
In alcuni giorni della settimana l’accoglienza dei poveri sarà compiuta da diversi volontari, come le Suore di Madre Teresa di Calcutta, le Suore Albertine che prestano servizio nella Guardia Svizzera, le Vincenziane e tanti altri volontari di Roma che hanno voluto offrire il loro tempo e la loro collaborazione. L’Elemosiniere, mons. Konrad Krajewski ringrazia di cuore tutte le Parrocchie che hanno partecipato a questo progetto e, in particolare, tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione delle docce sotto il Colonnato e quanti si adopereranno in diverso modo a favore dei poveri.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina in apertura, “Autorità significa servizio; Il Pontefice ai prefetti d’Italia. E sull’immigrazione chiede fedeltà alla legge e rispetto dei diritti umani".

Di spalla, sempre in prima pagina, Dura reazione giordana alla ferocia dell’Is. Bombardate postazioni jihadiste in Iraq e in Siria. Sotto, Corridoio umanitario nell’Ucraina dell’est; Merkel e Hollande a Mosca per cercare una soluzione alla crisi, e “Armonia nelle differenze”, Il discorso ai partecipanti all’incontro di Scholas Occurrentes.

A pagina 4, Il futuro è dei laici; Come cambia la scuola cattolica e “Terapia degli abbracci; I contatti umani fanno salire le difese immunitarie” di Carlo Bellieni. Di spalla, “Una fuga per umanesimo? La scomparsa di Ettore Majorana” di Melo Freni.
Sempre in cultura, a pagina 5, “I danni dell’odio verso se stessi. Stati generali della cultura classica in Francia” di Giuseppe Zecchini e “Inventario delle macerie. Una mostra sulle devastazioni in Siria” di Rossella Fabiani

A pagina otto, la traduzione italiana del discorso conclusivo ai partecipanti al quarto congresso mondiale di Scholas Occurrentes, pronunciato dal Papa nel pomeriggio di giovedì 5 febbraio, nell’aula del Sinodo in Vaticano. 

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Oggi in Primo Piano



Iraq. Mons Lingua: fermare afflusso di armi e combattenti

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La Giordania non esclude attacchi di terra per neutralizzare la minaccia del sedicente Stato Islamico. Intanto, sono stati condotti decine di raid in Iraq e Siria in risposta all’uccisione del pilota giordano barbaramente ucciso. Atrocità sarebbero state commesse, secondo l’Onu, anche su migliaia di bambini iracheni. L’ayatollah Ali al Sistani, massima autorità sciita dell’Iraq, ha lanciato un appello alla comunità internazionale perché combatta l’Is. Al microfono di Benedetta Capelliil nunzio apostolico in Iraq, mons. Giorgio Lingua: 

R. – Sapete come l’Isis costituisca ancora un pericolo e non si riesce, nonostante i bombardamenti e le strategie varie, a indebolirlo… Ultimamente, c’è stato questo video-shock del pilota giordano che è stato bruciato: sembra che sia proprio una strategia, quella di incutere terrore per dimostrare che sono forti.

D. – Ieri, l’Onu ha denunciato l’uccisione e la tortura da parte dell'Is anche nei confronti dei bambini. Si può dire che siamo arrivati a un livello atroce di disumanità?

R. – Certo, c’è materiale sufficiente per dimostrare che si tratti di atti barbarici… Io non so quanto tutto si possa verificare, perché sono poche le informazioni che arrivano da lì e sono spesso filtrate da loro stessi che le sfruttano per la propaganda del terrore. Non so caso per caso quanto sia vero, ma sappiamo bene quanto siano disumani certi atteggiamenti.

D. – Tanta violenza, anche nei confronti della popolazione, dei cristiani, anche delle minoranze in genere, cosa le suscita?

R. – Il primo sentimento è quello di disgusto e quasi di incomprensione. Uno dice: “Ma com’è possibile che l’umanità arrivi a certi punti, a certi limiti?”. E d’altra parte, come uomo di fede, non può venire meno questo sguardo rivolto a Dio in cui si chiede: “Pietà, Signore, pietà di noi peccatori”, chiedendo che tocchi il cuore di coloro che ce l’hanno così duro.

D. – Per i cristiani, qual è la situazione? Fonti non confermate  dicono che l’Isis, oltre a uccidere, ha anche imposto la rimozione dei simboli religiosi…

R. – Ma, anche questa sono notizie che non sono confermate. Parlavo con il Patriarca che mi diceva che non si possono verificare queste cose. Anzi, sembra che non sia vero, almeno non in tutti i casi. Che ci siano stati degli episodi, sì, ma non si può generalizzare. Io credo si debba fare attenzione a non incutere più terrore di quello che loro vogliono trasmettere, anche perché mi sembra che in questo momento i cristiani siano molto disorientati e sfiduciati, anche perché più il tempo passa più vivere in certe condizioni di precarietà influisce in modo molto negativo sull’atteggiamento, sulla speranza sia per il loro futuro, sia nel rapporto con i loro fratelli musulmani. Mi sembra si stia erigendo una barriera sempre più profonda tra cristiani e musulmani, per cui si arriva a sospettare di tutti, a non avere più fiducia anche nelle cose più normali... Si ha paura perché i cristiani si sono sentiti un po’ isolati e a volte anche traditi dai loro fratelli con i quali convivevano. E allora, ecco, credo sia importante cercare di andare al di là perché questi muri non diventino insormontabili. Comunque, ci vorrà sempre molto tempo per sanare queste ferite e questi blocchi psicologici.

D. – Secondo lei, cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per arginare questa spirale di violenza che sembra davvero non avere fine?

R. – Una delle prime cose è fermare la gente che continua ad affluire in questi territori con propositi bellicosi. Io credo poi che bisogna fermare anche il rifornimento delle armi, perché oggi noi vogliamo sapere di una mela se è prodotta in Nuova Zelanda, in Cile o se viene dal Trentino: è possibile che non riusciamo a controllare le armi? Dove vanno, in mano a chi vanno a finire? Quindi, la comunità internazionale dev’essere molto risoluta nel fermare l’afflusso di armi in questi territori.

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Vescovi dei Paesi in guerra a Roma per pregare per la pace

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Decine di vescovi di Paesi in guerra si sono riuniti ieri a Roma nella Basilica di Santa Maria in Trastevere per pregare per la pace e la fine di ogni discriminazione religiosa. Un’iniziativa organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio a margine del convegno “un popolo profetico per un nuovo umanesimo”, che ha visto la partecipazione di presuli provenienti dai vari continenti. Il servizio di Michele Raviart

Siriani dimenticati dal mondo
“Non si capisce il valore di una cosa se non quando la si perde. Noi in Siria abbiamo perso la pace, che è il vero tesoro e dono di Dio”. Così mons. Boutros Marayati, vescovo armeno-cattolico di Aleppo, racconta il dramma della sua città, mentre presiede la grande preghiera per la pace organizzata da Sant'Egidio:

“La situazione ad Aleppo è drammatica e molto tragica e ci sentiamo un po’ lasciati, un po’ dimenticati dall’occidente e da tutto il mondo".

Pakistan: cristiani aiutati da Papa Francesco
Ogni Paese in guerra, una candela accesa. Dall’Afghanistan all’Ucraina, dall’Iraq alla Terra Santa. Paesi come il Pakistan, devastato dal terrorismo e in cui i cristiani vivono in difficoltà, da Asia Bibi agli studenti aggrediti nel nord del Paese dopo la strage a Charlie Hebdo a Parigi. Un episodio duramente condannato da Papa Francesco con parole che hanno colpito tutto il Paese, come spiega mons. Joseph Arshad, vescovo di Faisalabad:

“Questo appello di Papa Francesco ha aiutato noi cristiani anche in Pakistan, perché ha dato pure un incoraggiamento ai musulmani: ha parlato del rispetto per tutte le religioni. E per questo, tutti i capi religiosi ed anche i parlamentari e i ministri hanno fatto riferimento alle parole di Papa Francesco. Le sfide sono tante, ma la nostra testimonianza è di amore, nonostante abbiamo tante discriminazioni e problemi”.

Africa: cristiani e musulmani contro Boko Haram
Dopo la strage di Parigi in Niger numerose chiese sono state bruciate dagli estremisti islamici. Poco più a sud in Nigeria, la setta di Boko Haram continua a massacrare civili, sconfinando anche in Camerun. Atti di terrore in nome di Dio, ma che con la religione non hanno nulla a che fare. Mons. Jean Mbarga, arcivescovo di Yaoundé:

“Noi consideriamo Boko Haram come un aggressore. Non ha nessun legame con la religione per noi. Musulmani, cristiani, tutti, siamo contro questo movimento. Ci sono manifestazioni dappertutto nel Paese per dire 'no' a Boko Haram. Noi, tutti insieme, tutto il Camerun, senza distinzione, lavoriamo per mantenere l’unità”.

Riccardi: non si può essere indifferenti alla violenza
“Cristo è la nostra pace” dice mons. Marayati, “una pace sofferta, della croce, non imposta con la violenza né con la paura”. Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio:

“Non si può essere indifferenti alla violenza e alla violenza in nome della religione. Ecco, in questo senso le religioni debbono parlare e debbono dire che l’uomo  va rispettato, la libertà dei popoli va rispettata e debbono pregare per la pace. Io penso che questo sia un incontro importante, in cui tanti vescovi cristiani affermano la via della pace, ma dicono anche che i dolori del mondo, i dolori dei cristiani, le violenze in nome della religione sono sotto i nostri occhi, non possono essere dimenticati”.

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Ucraina: aperto corridoio umanitario, ma la guerra continua

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Difendere la pace in Europa: per la cancelliera tedesca Merkel questo è l’obiettivo del piano per la crisi Ucraina che oggi assieme al presidente francese Hollande consegnerà al capo del Cremlino, Putin. Il servizio è di Eugenio Bonanata: 

Occhi puntati su Mosca dove nel pomeriggio si terrà l’atteso incontro tra i leader di Germania, Francia e Russia che secondo gli osservatori rappresenta l’ultimo tentativo di risolvere la crisi per via diplomatica, dopo il fallimento dei colloqui di Minsk. I media di russi già discutono dei contenuti del piano anche se la cancelliera tedesca Merkel ha spiegato che potrebbero servire ulteriori incontri per un cessate il fuoco, traguardo auspicato anche al termine del vertice di ieri a Kiev con il presidente ucraino Poroshenko. E’ certo – ha affermato la Merkel prima di partire per Mosca – che l’obiettivo è di “difendere la pace in Europa”. Il primo passo è “trovare un accordo globale”, ha aggiunto il capo dell’Eliseo Hollande mentre l’Europa potrebbe decidere di inasprire le sanzioni nei contro la Russia durante Consiglio dei ministri degli Esteri di lunedì. Invece, domani a Monaco, a margine della conferenza internazionale sulla sicurezza, potrebbe esserci un faccia a faccia tra il ministro degli Esteri russo Lavrov e il segretario di Stato americano Kerry il quale in queste ore ha ricordato che resta sul tavolo l’opzione di armare Kiev. Il Cremilino, dal canto suo, ha avvertito la Nato: il via libera al rafforzamento della sua presenza nell’Est Europa costituisce un grande rischio per Mosca che ne terrà conto a livello di pianificazione militare.

Nella zona orientale dell’Ucraina si continua a morire. Nelle ultime 24 ore si contano almeno 3 vittime a Donestsk, mentre le forze di Kiev hanno annunciato l’uccisione di una sessantina di miliziani filorussi. Il tutto nonostante il corridoio umanitario aperto oggi a Debaltseve per consentire l’evacuazione dei civili. Sulla valenza di questa iniziativa Eugenio Bonanata ha intervistato Gabriele Eminente, direttore generale di Medici Senza Frontiere: 

R. – E’ una buona notizia. La zona di Debaltseve è una delle zone più critiche del conflitto e del fronte; è una cittadina di poco meno di 30 mila abitanti, all’incrocio tra due importanti arterie stradali e ferroviarie del Paese, e per questa ragione pesantemente bombardata nell’ultimo periodo. La gran parte della popolazione aveva già abbandonato la città, ma c’è comunque una parte che è rimasta che era difficilmente raggiungibile e quindi a forte rischio. Il fatto di assicurare alla popolazione civile di mettersi al sicuro, è una delle due richieste più pressanti che Medici senza Frontiere sta facendo alle parti in conflitto. L’altra richiesta è quella di interrompere ogni forma di bombardamento a strutture ospedaliere, cosa che purtroppo è avvenuta molto frequentemente e non più di due giorni fa a Donetsk, e più in generale di interrompere bombardamenti o attacchi che prendano di mira civili.

D. – Qual è la situazione umanitaria nel Paese?

R. – Noi abbiamo, in questo momento, cinque squadre attive in maniera mobile sul territorio, lungo la linea del fronte, e abbiamo portato assistenza, supportando in vario modo circa 100 strutture mediche, da grandi ospedali a strutture più piccole, magari in zone più remote. Quello che vediamo sono situazioni in cui ci sono strutture che purtroppo non sono più funzionanti, di nuovo a Debaltseve ma non solo: è uno di questi casi è l’ospedale di Marinka che è stato colpito da bombardamenti e quindi in parte non è più attivo. Un altro problema enorme che stiamo verificando è una crescente mancanza di farmaci: mancano farmaci salvavita, mancano – purtroppo – anestetici … Un terzo tipo di attività che prestiamo in questo momento è anche il supporto psicologico alla popolazione, sia ai singoli sia a livello di gruppo, perché è una popolazione segnata da ormai dieci mesi di conflitto pesantissimo.

D. – Cosa dire del flusso di civili che ogni giorno si reca presso gli ospedali?

R. – Purtroppo di sono stati anche bombardamenti che hanno preso di mira persone in fila che erano in attesa di ricevere aiuti umanitari, aiuti di carattere sanitario ma non solo: anche distribuzione di cibo, perché ci sono ampie zone in cui manca il cibo; e distribuzione di coperte o comunque di altri beni che possano essere utili in questo contesto. Non vorrei neanche dimenticare un’altra particolarità importante di quella zona: la zona dell’Est dell’Ucraina nella quale c’è un numero percentualmente molto rilevante di sieropositivi e c’è un’incidenza anche molto rilevante di affetti da tubercolosi, in particolare tubercolosi multiresistente, ovvero tubercolosi che resiste al trattamento attraverso i farmaci tradizionali. Quindi è veramente una situazione estremamente complessa che – anche questo non va dimenticato – ha fatto fino a oggi 5 mila vittime, oltre 11 mila feriti e si stima che 600 mila persone abbiano lasciato l’Ucraina a causa di questa guerra, e che ce ne sia quasi un milione, invece, che ha dovuto spostarsi all’interno del Paese, quindi sfollati interni, che hanno comunque dovuto lasciare le loro case a causa del conflitto per trovare rifugio altrove.

D. – Cosa vi aspettate dalla diplomazia?

R. – Per noi l’aspetto fondamentale è che le parti in conflitto riconoscano il diritto di un’organizzazione come Msf a operare, dal punto di vista medico-umanitario, nelle zone di conflitto stesse, e con Msf naturalmente le altre organizzazioni – non molte, purtroppo – ma quelle che sono presenti in quell’area. Questo per noi vuol dire cessare ogni tipo di bombardamento e attacco a obiettivi civili e in particolare cessare gli attacchi agli ospedali e consentire alla popolazione civile di raggiungere posti sicuri.

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Birmania, studenti in piazza contro legge su educazione

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Continuano in Birmania le manifestazioni di piazza degli studenti contro la nuova legge sull’educazione approvata dal parlamento. Nonostante il presidente Thein Sein abbia rimandato il testo alle Camere, chiedendo di recepire alcune istanze degli studenti, altre università si sono aggiunte ai cortei organizzati nel Paese. Ma quali sono le specifiche richieste degli studenti birmani? Elvira Ragosta lo ha chiesto a Cecilia Brighi, segretario generale dell’Associazione “Italia-Birmania insieme”: 

R. – La più grande preoccupazione degli studenti, a mio avviso, riguarda l’istituzione di una Commissione nazionale per l’educazione. Ritengono che questa Commissione abbia lo scopo di controllare i sistemi educativi delle singole scuole e vogliono una maggiore autonomia. Vogliono il riconoscimento dei sindacati degli studenti e delle organizzazioni degli studenti. E poi, ovviamente, chiedono che non ci siano restrizioni nei confronti di chi ha partecipato alle manifestazioni.

D. – Come vanno lette queste proteste nel quadro delle riforme democratiche che il governo birmano sta mettendo in atto dalla fine della dittatura militare?

R. – Il governo di Thein Sein ha proposto una serie di riforme che dovevano portare ad una maggiore democratizzazione di tutte le strutture. Penso che il presidente Thein Sein abbia fatto dei passi in avanti, soprattutto per quanto riguarda questa riforma. Gli studenti sono chiaramente preoccupati del fatto che ci possa essere un controllo e una gestione molto verticistica delle attività nelle scuole e nelle università. Il sistema scolastico birmano prima della dittatura era uno dei migliori del Sudest asiatico, anzi, diciamo il migliore. Poi, con la dittatura molte delle università sono state chiuse – l’Università Rangoon ha riaperto solo lo scorso anno – quindi c’è la necessità di riconquistare degli spazi democratici di partecipazione per gli studenti e di riconquistare una fiducia reciproca. Questo è, secondo me, un problema importante non solo per gli studenti ma anche per le altre forze intermedie sociali del Paese.

D. – Il prossimo novembre la Birmania andrà al voto per eleggere il nuovo presidente. In questi giorni è in discussione un disegno di legge di modifica della Costituzione, secondo il quale, al momento, la leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi non potrà concorrere alle presidenziali…

R. – Sì, la Costituzione del 2008, scritta dalla giunta militare, impedisce ad Aung San Sun Kyi – in quanto sposata con uno straniero e madre di due figli che non hanno cittadinanza birmana – di candidarsi a presidente. Il parlamento birmano discuterà a breve il disegno di legge con le proposte di verifica della Costituzione, in particolare la sezione che riguarda questo aspetto specifico. Però, questi emendamenti saranno soggetti a un referendum che avrà luogo dopo le elezioni e non è sicuro che passino, perché il parlamento è composto per il 25% da militari nominati. Il partito di governo ha avuto l’80% dei seggi ed era l’ex associazione paramilitare birmana… Quindi, il parlamento è in mano ai militari e all’ex partito della giunta. È dunque difficile che queste modifiche passino. C’è anche questa discussione del disegno di legge che limita la libertà religiosa e la protezione della razza, rispetto alla quale tutte le ambasciate dei Paesi membri dell’Unione Europea hanno fatto una dichiarazione congiunta criticando pesantemente questo clima e questi disegni di legge.

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Oms: mutilazioni genitali subite da 130 milioni di donne

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E’ una pratica disumana e crudele, eppure ancora molto estesa nei Paesi di origine, così come in quelli di immigrati, dove forte è la presenza di immigrati, come l’Europa. Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili riguarda nel mondo, secondo dati Oms, circa 130 milioni di donne, tre milioni le bambine che sono esposte al rischio ogni anno nel mondo. In Europa sono circa mezzo milione, di cui 50 mila in Italia. 29 i Paesi coinvolti, soprattutto Egitto, Eritrea, Mali, Sierra Leone e nord del Sudan, dove sono state mutilate oltre l’80% delle donne. Numeri impressionanti, per questo oggi le Nazioni Unite celebrano la Giornata mondiale contro le mutilazioni femminili. Francesca Sabatinelli ha intervistato Giovanna Dal Molin, docente di Demografia sociale a Scienze della comunicazione dell’Università di Bari, nonché direttore del Cirpas, il Centro interuniversitario di ricerca su Popolazione, ambiente e salute: 

R. – Le mutilazioni genitali femminili costituiscono un rituale di ingresso, un passo ritenuto necessario per far crescere correttamente una bambina, proteggerla e in molti casi renderla idonea al matrimonio. L’osservanza genera approvazione sociale, rispetto, ammirazione e preserva la reputazione sociale di una bambina e della sua famiglia presso la comunità. E’ un fatto tipicamente culturale. Il rifiuto di conformarsi all’usanza può portare all’esclusione sociale, alla disapprovazione e, in alcuni casi, alla violenza. Quindi, le mutilazioni genitali femminili sono una componente primaria del matrimonio in Africa, è chiaro nelle zone chiuse dell’Africa: il valore di una sposa, in alcune società, dipende ancora dalla sue verginità. In queste società chiuse sono proprio le donne le più convinte sostenitrici della pratica: accettano e vogliono la mutilazione, sopportando anche il dolore, pur di allontanare l’eventualità di una emarginazione della comunità.

D. – Come mai oggi, a dispetto delle tantissime campagne di informazione messe in atto dalle istituzioni, dalle Ong internazionali, dalle Nazioni Uniti e anche dalle Ong locali, parliamo dei Paesi interessati maggiormente da questo fenomeno, questa pratica è ancora così estesa?

R. – Diciamo che sono stati fatti già dei passi notevolissimi: in tutti i Paesi la mutilazione genitale femminile viene considerato un reato gravissimo. Per cui, c’è un processo di riduzione del fenomeno, che rimane ancora così diffuso perché è un fatto realmente culturale e accettato dalle donne. C’è molto da fare ancora. Ma possa assicurare che è stato fatto moltissimo e che tutto questo fenomeno si va evolvendo – anche se lentamente – in positivo. Occorrono ancora campagne perché sia chiaro anche che il fenomeno culturale è un fatto che vede, in questo caso, la donna subalterna all’uomo e una forte disparità di sesso, in cui la donna ancora viene considerata merce: è proprio questo che deve cambiare.

D. – Ormai da tempo la pratica delle mutilazioni genitali femminili è stata introdotta anche nei Paesi europei e questo a causa delle migrazioni. Uno degli ultimi allarmi, in questo senso, è arrivato dalla Svezia: le autorità sanitarie svedesi si sono rese conto dell’altissimo numero di immigrate che tornano nei Paesi di origine per procedere a questa pratica e poi rientrano in Svezia. E questo per chi va fuori. Ma anche in Italia si porta avanti clandestinamente. Quindi, neanche in Italia si riesce a fare prevenzione?

R. – Ritorniamo sempre al discorso di dipendenza da questo ruolo e di accettazione del fenomeno. Anche in Italia è stata condotta una ricerca nel 2009 dal Ministero per le Pari Opportunità e si è valutato che su circa 110 mila donne africane soggiornanti in Italia, provenienti da Paesi di tradizione scissoria, oltre 35 mila sono le donne che hanno subito questa pratica o prima di arrivare nel nostro Paese o durante il soggiorno, tornando nei Paesi di origine, o nella stessa Italia. Sono più di mille le bambini e le giovani di meno di 17 anni che rischiano di essere sottoposte a tale pratica. E stiamo parlando dell’Italia…  Quindi, questo è ancora il discorso operante.

D. – Uno degli aspetti che ha sollevato polemiche è stato anche il tentativo di cercare delle pratiche alternative: trovare una alternativa potrebbe far scemare la percentuale?

R. – Sicuramente, riduce il discorso del danno fisico. C’è stata l’idea di autorizzare addirittura la sperimentazione di una sunna simbolica: questo è avvenuto a Firenze, da parte di un ginecologo somalo. Si tratterebbe di sostituire il danno fisico con una sorta di sunna rituale, una puntura di spillo nell’area clitoridea in particolare. Io sono nettamente e drasticamente contraria, sia perché questo comporta sempre una violazione del fisico, sia sul piano simbolico, che è la cosa più importante, perché secondo me attesta una condizione di inferiorità femminile e un intollerabile dispotismo maschilista. Deve cambiare proprio l’idea e la donna non deve essere considerata come merce di scambio. E’ proprio il discorso culturale che deve cambiare.

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Riforma banche popolari. Becchetti: scelta incomprensibile

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La riforma delle banche popolari italiane "può essere vista come parte di un più ampio sforzo di riforma per allineare l'economia italiana ai migliori standard di efficienza europei". Lo ha affermato il vicedirettore generale della Banca d'Italia, Fabio Panetta. Per il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, “il decreto del governo, "intende rafforzare una parte importante del sistema bancario che ha fatto bene e farà anche meglio". Ma è in particolare il mondo mutualistico e cooperativo dei territori che critica la riforma delle banche popolari, che diventeranno Società per Azioni, presentata dal governo Renzi. Luca Collodi ne ha parlato con l’economista Leonardo Becchetti, docente di Economia Politica all’Università degli Studi di Roma, Tor Vergata: 

R. – Trovo la riforma delle banche popolari assolutamente incomprensibile! E ci sono diversi motivi per cui lo è: ne dico alcuni. Tutte le crisi bancarie degli ultimi tempi sono quasi tutte crisi di grandi banche Spa: quindi, l’idea di trasformare delle banche a voto capitale in grandi banche Spa è un controsenso. Le faccio solo l’esempio di Northern Rock, la famosa banca dove ci fu la corsa agli sportelli: bene, quella era una banca mutualistica trasformata in Spa. Poi possiamo parlare del credito: quali sono le banche che fanno più credito all’economia reale? Negli anni della crisi 2010-2013 – ce lo dicono i dati della Cgia di Mestre – sappiamo che le popolari hanno aumentato i prestiti del 15,4 per cento alla clientela; le banche Spa li hanno diminuiti del 4,9 per cento. Le banche Spa sono banche che massimizzano il profitto, quindi devono creare più valore possibile per gli azionisti. Se fossi il premier Renzi mi domanderei: ma perché – qualcuno dice che questi sono i compiti a casa che ci ha dato l’Europa – negli altri Paesi europei nessuno pensa di cancellare il voto “capitario” per le grandi banche popolari? (ndr, il voto capitario è la regola per la quale ogni socio è titolare di un singolo voto indipendentemente dal numero delle azioni possedute o rappresentate). L’Europa è piena di banche popolari: quasi il 40 per cento degli sportelli sono banche popolari, Banche di Credito Cooperativo e banche mutualistiche.

D. – Prof. Becchetti, qualcuno definisce il decreto di riforma delle popolari anticostituzionale …

R.- E’ anticostituzionale! L’art. 45 della Costituzione dice che la Repubblica italiana riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità senza fini di speculazione private e ne favorisce l’incremento. Ora, questa cosa va contro l’art. 45 della Costituzione e la procedura adottata – che è una procedura di urgenza – non ha alcun senso. Non c’è nessuna gravissima crisi di questo settore. Anzi è il settore che agli stress-test della BCE è andato molto bene: si guardi nei dati di Iccrea. E quindi la procedura, né nella sostanza, né nel processo, ha senso. Quindi hanno ben fatto alcuni partiti, in Parlamento, a presentare l’eccezione di costituzionalità.

D. – I parlamentari saranno in grado di difendere la cooperazione e la tradizione sociale delle banche popolari?

R. – Spero proprio di sì! Ma la domanda che mi faccio è questa: chi consiglia il governo su queste cose? Usando una metafora, vorrei direi che, forse, il governo ha chiesto consulenza alle faine o alle volpi sul fatto se bisogna tenere o no aperta la porta del pollaio di galline, che tra l’altro, sono galline dalle uova d’oro… Ovviamente, spero che nel Paese ci siano gli anticorpi necessari per difendere questo mondo e per fare le opportune riforme, perché le cose di cui si parla – la scarsa contendibilità delle banche popolari – sono cose che si riservano con metodi completamente diversi. Basta mettere il limite ai mandati: se io metto il limite ai mandati ho risolto immediatamente il problema della contendibilità. Quindi, ci sono delle risposte a quelli che possono essere le giuste riforme e i miglioramenti che tutto il sistema bancario deve realizzare - e non solo ovviamente le cooperative e le popolari - ma la risposta non è certo quella dell’abolizione del voto capitario.

D. – Prof. Becchetti, pensa che l’elezione del presidente Mattarella possa valorizzare l’esperienza mutualistica al servizio della gente delle banche popolari?

R. – Visto anche il discorso iniziale del presidente….lo spero. La cosa peggiore è far diventare questo problema, che è un problema serio e su cui bisogna riflettere, un muro contro muro tra – diciamo - il premier che si vuole accreditare come persona decisionista e l’opposizione pregiudiziale. Sulle cose bisogna ragionare: ci sono questioni e questioni.

D. – Perché le banche popolari sono un modello utile per la società italiana?

R. – Perché seguono la regola democratica di una persona un voto. Diciamo che portano la democrazia all’interno dell’azienda e hanno creato nel tempo molto capitale sociale. Quindi sono banche ben capitalizzate, sono banche che servono maggiormente il territorio. Gli studi europei dimostrano che hanno una minore volatilità degli utili, perché sono banche non necessariamente dedite alla massimizzazione del profitto. Hanno la missione del credito, di fornire credito al territorio.

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P. Bertagna: parlo all'anima con la Bibbia e il cinema

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Da oggi, a Brescia, il padre gesuita Guido Bertagna predica per tre giorni un particolare corso di “Esercizi Spirituali con il Cinema”, organizzato dall’Associazione Cattolica Esercenti Cinema. In questo modo, l’immagine e l’immaginario diventano un sostegno per la riflessione spirituale suscitata dalle letture bibliche. Il servizio di Luca Pellegrini

Le immagini illuminano la parola biblica e valorizzano la meditazione e la contemplazione dei misteri cristiani. Con questi presupposti padre Guido Bertagna predica da oggi un corso di "Esercizi Spirituali con il Cinema". Ne ricorda le origini:

R. – Nascono proprio dal lavoro sui testi sacri. Abbiamo messo insieme il linguaggio biblico e quello filmico, accorgendoci che l’uno può interrogare e illuminare l’altro, ovviamente nel modo che gli è proprio. Quindi, c’è una relazione feconda tra i due linguaggi che appunto siano lasciati parlare attraverso quello che è il loro proprio. E da questo punto di vista, chiede evidentemente una ricerca appassionata, una competenza che si può acquisire e si può condividere con altri aspetti di vari settori.

D. – Sant’Ignazio, nei suoi scritti, pone grande attenzione alla forza dell’immaginazione, la considera una peculiare risorsa dell'uomo a servizio anche della preghiera, non la teme come una fonte di distrazione...

R. – Ignazio raccomanda, al contrario, di avere un’attenzione a valorizzare quello che è il patrimonio immaginativo, mettendolo proprio al servizio della preghiera, in maniera tale che tutta l’umanità e che tutto l’immaginario siano coinvolte nella preghiera. Da questo punto di vista, la parte cinematografica che viene a nutrire e in qualche modo a intercettare questo patrimonio di immaginazione, può esattamente suscitare delle energie migliori, a incanalare quelle che a volte nell’esperienza comune della preghiera diventano distrazioni rispetto al corso che vorremmo che questa avesse. Invece, in questo modo la fantasia, la creatività, che sono alimentate dal patrimonio di immagini e di sequenze, nell’esperienza di chi prega che diventano un aiuto.

D. – Ha scelto un tema che rispecchia questa dinamica tra l'ascoltare, il vedere e il pregare: “Una luce inattesa”. Perché?

R. – “La luce inattesa” è proprio la definizione dell’esperienza che si fa negli esercizi e quando si entra in una pagina biblica, o in una sala buia dove improvvisamente un fascio di luce ci porta davanti una sequenza di persone, di situazioni che parlano, si muovono… Quindi, c’è qualcosa che accade nella visione – e quindi anche nella preghiera, nella meditazione, nella riflessione o nella contemplazione – per definizione non programmabile, non pianificabile, quindi in qualche modo inatteso nelle sue varie forme.

D. – Quali registi e titoli utilizza nel corso di esercizi?

R. – Finora, abbiamo attinto a tanti autori molto diversi tra loro e anche lontani nel tempo. Si può andare da un autore storico come Chaplin o come Keaton che anche nei loro cortometraggi sono tutt’altro che solamente autori comici, sono in grado invece di offrire patrimoni di umanità e di grande cinema che veramente può entrare in dialogo con la scrittura e con l’esperienza di preghiera. Si può arrivare fino ai grandi autori di oggi, come Scorsese, i fratelli Dardenne, lo stesso Clint Eastwood o Wenders. Abbiamo sempre spaziato tra autori e modi di fare cinema diversi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Canada. Vescovi: contro tratta sradicare esclusione sociale

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“La lotta alla tratta di esseri umani esige che noi, in quanto componenti della società, sradichiamo quei fattori che causano l’esclusione sociale”: è quanto afferma mons. Paul-André Durocher, presidente della Conferenza episcopale del Canada, in un messaggio diffuso in vista della prima Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, che si terrà domenica 8 febbraio. L’iniziativa è stata promossa dai Pontifici Consigli della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e della Giustizia e della Pace, assieme alle Unioni internazionali femminili e maschili dei superiori e superiore generali.

Sradicare povertà ed emarginazione
“Gli sforzi per sconfiggere la tratta non devono limitarsi solo alla tutela dei diritti umani”, afferma il presule nel suo messaggio, ma devono mirare anche allo sradicamento di quei fattori che provocano l’esclusione sociale ed economica delle persone, rendendole più vulnerabili e quindi più facilmente prede delle tratta. E tra i fattori all’origine dell’emarginazione delle persone, spiega il presidente dei vescovi canadesi, ci sono “la povertà, la discriminazione sessuale, il razzismo, la mancanza di scolarizzazione, oppure le malattie mentali, alcune forme di dipendenza, i contesti familiari difficili o l’isolamento sociale”. Mons. Durocher auspica, quindi, un impegno adeguato in ambito legislativo, affinché “le leggi vengano applicate e si lavori, a livello comunitario e politico, per la riabilitazione e il reinserimento sociale delle vittime della tratta”.

Importante un’informazione adeguata sul fenomeno
Infine, per celebrare nel modo migliore la Giornata di preghiera di domenica prossima, il presule offre ai fedeli alcuni suggerimenti: rileggere il messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace 2015, dedicato proprio al tema della tratta. Ringraziare tutti i religiosi e i consacrati impegnati nella difesa delle vittime, informarsi su questo drammatico fenomeno che attanaglia il mondo, esortare i rappresentanti politici a fare di più e infine pregare “per tutte le persone ridotte in schiavitù, per i loro oppressori e per i membri delle istituzioni, affinché i loro occhi si aprano ed i loro cuori si accendano”. (I.P.)

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Immigrati. Jrs: vite più importanti di controlli frontalieri

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Era esattamente un anno fa, il 6 febbraio 2014, quando la polizia di frontiera spagnola faceva fuoco con proiettili di gomma su un gruppo di migranti che stava tentando di raggiungere a nuoto, dal Marocco, la spiaggia di Tarajal nell'enclave spagnola di Ceuta. Quattordici i migranti morti, tutti gli altri respinti immediatamente in Marocco mentre, per legge, avrebbero dovuto avere l'opportunità di chiedere asilo. A un anno da tale drammatico episodio, il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati (Jrs) e il Servizio dei Gesuiti per i migranti della Spagna chiedono vie di accesso sicure e legali all'Europa. 

Rispettare dignità e diritti dei migranti
“La violenza di uno Stato contro migranti inermi sul confine tra Spagna e Marocco è inaccettabile e deve finire immediatamente”, scrive in una nota il Jrs, evidenziando come il tragico episodio di Tarajal rappresenti “un forte segnale del fatto che la Spagna e gli altri Stati membri dell'Unione Europea sono ben lontani dal rispettare la dignità e i diritti umani dei migranti forzati”. "Si dovrebbe una volta per tutte far luce – continua la nota – su questa grave violazione dei diritti umani ed evitare che episodi del genere si ripetano”.

Anteporre la vita umana al controllo delle frontiere
"Il controllo dei confini europei non può essere assicurato a qualsiasi costo”, ribadisce il Jrs, ricordando poi che la legislazione dell'Ue vieta i respingimenti collettivi. Di qui, l’appello agli Stati dell’Unione Europea ad “agire con urgenza per creare vie di accesso sicure e legali che consentano alle persone in fuga dai conflitti di arrivare in Europa”. “Chiediamo alle istituzioni dell’Ue e agli Stati membri – conclude la nota – di anteporre la vita umana al controllo delle frontiere. (I.P.)

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La Riunione. Chiesa: bene comune, no violenze elettorali

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Saranno chiamati alle urne nel mese di marzo i cittadini de La Riunione, il Dipartimento francese d'oltremare situato nell'Oceano Indiano. Le consultazioni dipartimentali sono previste in due tornate, il 22 ed il 29 marzo 2015. In vista di questo appuntamento elettorale, il vescovo locale, mons. Gilbert Aubry, ha diffuso un messaggio in cui auspica che “le strategie politiche, pur legittime”, restino lontane da “manipolazioni e colpi bassi” e “tengano in considerazione soprattutto la popolazione”.

No al "potere per il potere"
“Bisogna uscire dalle scissioni politiche provocate da una visione de ‘il potere per il potere’”, scrive il presule, auspicando che si possano trovare nuove soluzioni per migliorare la società, “promuovendo il lavoro, semplificando la burocrazia, incoraggiando i giovani a fare esperienze all’estero per poi metterle a servizio del loro Paese”. Quello che conta, ribadisce mons. Aubry, è “costruire un’unica comunità”, sviluppando “la coscienza civica” attraverso “l’impegno nella vita associativa, la costruzione di reti di solidarietà, la giusta considerazione della vita politica per l’organizzazione del Paese e il servizio nei confronti della crescita sociale, culturale ed economica dell’uomo”.

La società non sia una giungla, necessario umanizzarla
L’invito del presule, dunque, è ad una partecipazione attiva nella vita sociale e politica, nell’ottica della fraternità, necessaria a “umanizzare la società”. “Dobbiamo essere una sola famiglia umana – sottolinea il vescovo de La Riunione – e non una giungla di sospetti in cui l’uomo diventa lupo nei confronti di un altro uomo”.

Pace in famiglia e nella società
Di qui, l’esortazione a “ritrovare e ridonare la fiducia”, a “lasciare da parte la violenza e l’odio, a guardare le cose dal punto di vista degli altri”. “Smettiamola di denigrarci a vicenda – è l’appello del presule – di farci del male in nome di interessi singoli, dimentichi del bene comune e degli interessi generali”. “Tutti, Chiesa e società, devono interrogarsi sulle proprie responsabilità”, conclude mons. Aubry, auspicando la pace “in famiglia e nella società”. (I.P.) 

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Nobel pace: candidato don Mussie Zerai, angelo dei profughi

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Don Mussie Zerai, fondatore e presidente dell’agenzia Habeshia, è tra i candidati al Premio Nobel per la Pace. Il suo nome – informa una nota dell’agenzia stessa – è stato proposto da Kristian Berg Harpiken, direttore dell’Istituto di ricerca internazionale di pace di Oslo, per l’opera che svolge da anni, proprio attraverso Habeshia, in difesa dei diritti e della vita stessa dei richiedenti asilo e dei migranti in fuga da guerre, dittature, terrorismo, persecuzioni, fame e miseria. Si tratta, naturalmente, solo del primo gradino verso il riconoscimento, che verrà assegnato nel prossimo mese di dicembre.

Andare nelle periferie e schierarsi dalla parte degli ultimi
Don Zerai è stato informato della candidatura mentre si trovava a Zurigo, dove svolge la sua missione pastorale per la comunità eritrea ed etiopica riparata in Svizzera. “Mi fa piacere – ha dichiarato – ma fermiamoci qui. In realtà, io faccio solo ciò che ritengo giusto. Mi limito a cercare di attuare quello che proprio il Papa ha indicato fin da quando si è insediato: andare verso le periferie e schierarsi dalla parte degli ultimi della terra, per guardare ai problemi con i loro occhi. Niente di più”.

Un passato da profugo
Noto come “l’angelo dei profughi”, don Zerai stesso ha un passato da profugo: nato in Eritrea, ad Asmara, è espatriato fortunosamente in Italia nel 1992, appena diciassettenne, come rifugiato politico. Diventare attivista per i diritti umani è stato quindi lo sbocco naturale della sua vita, grazie anche agli studi compiuti: Filosofia a Piacenza dal 2000 al 2003, Teologia nei cinque anni successivi e poi Morale sociale presso l’Università Pontifica Urbaniana fino al 2010, quando è stato ordinato sacerdote. Subito dopo, nella tarda estate dello stesso anno, è stato il primo a segnalare la tratta degli schiavi nel Sinai.

Un impegno incessante contro un crescendo di orrori
Da allora, c’è stato un crescendo di orrore: i trafficanti rapiscono le persone direttamente dai centri di soggiorno provvisorio sparsi tra il Sudan e l’Etiopia, mentre le crisi, le rivolte, le guerre, le carestie esplose dal 2010 a oggi continuano a produrre fuggiaschi e richiedenti asilo. E l’impegno di Don Zerai si è moltiplicato: è stato più volte sentito dall’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati; nel giugno 2012 ha avuto un’audizione ufficiale con l’allora segretario di stato americano Hillary Clinton a Washington. E' stato convocato dalle Commissioni affari interni e per i diritti dell’uomo dell’Unione Europea, alle quali ha consegnato in particolare, all’inizio del novembre 2012, un rapporto sulle terribili condizioni dei centri di detenzione in Libia. Nel 2013 e lo scorso anno, ha avuto tre incontri a Bruxelles sulla situazione in Libia e nel Mediterraneo e un confronto sul traffico di esseri umani con il commissario Ue Cecilia Malmstron.

Cambiare la politica nel sud del mondo
“Ma è ancora soltanto l’inizio di un lavoro lungo e difficile", continua a ripetere il sacerdote. "Questa enorme tragedia troverà soluzione, come ha ammonito Papa Francesco, solo quando i potenti della terra cambieranno la loro politica nei confronti del sud del mondo, degli ultimi della terra”. (I.P.)

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India. Pubblicato Direttorio catechetico nazionale

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La Conferenza episcopale indiana (Ccbi), riunita in questi giorni a Bangalore per la 27.ma Assemblea plenaria, ha pubblicato un Direttorio catechetico nazionale, dal titolo “Promuovere la fede dei pellegrini”. La prima copia del volume è stata donata, simbolicamente, al nunzio apostolico nel Paese, mons. Salvatore Pennacchio. “Gesù – ha spiegato mons. Antony Devotta, presidente della Commissione episcopale per la catechesi – ha comandato ai discepoli di andare e proclamare il Vangelo. Accettando questa chiamata, i vescovi, primi catechisti, potranno trovare la giusta ispirazione per l’annuncio della Buona Novella proprio in questo Direttorio”.

Un lavoro iniziato nel 2007, nove gli esperti coinvolti
Il volume, ha continuato il presule, “offre l’opportunità di dedicare in modo nuovo se stessi al ministero della catechesi e di creare in tutti i fedeli un’attenzione rinnovata a questo ambito”. Frutto di un lavoro avviato sin dal 2007, il Direttorio si compone di 310 pagine e rappresenta, ha ribadito mons. Devotta, “una delle pietre miliari della storia della Conferenza episcopale indiana”, risultato “del grande impegno di nove esperti in catechesi”. 

Discernere i segni dei tempi per un’evangelizzazione più efficace
Dal suo canto, il card. Oswald Gracias, presidente della Ccbi, ha sottolineato che “le modalità odierne di catechesi non possono essere le stesse di cinquant’anni fa”. E' per questo, dunque, che “la Chiesa discerne i segni dei tempi e cerca di rispondere ai mutati contesti oggi esistenti, così da poter proclamare in maniera efficace, a tutti i suoi figli, il messaggio di salvezza evangelico”. Esortando, poi, tutti i catechisti e gli operatori nell’ambito dell’educazione cattolica a fare grande uso del Direttorio, il porporato ne ha auspicato anche una traduzione nelle varie lingue locali, così che esso possa raggiungere capillarmente la popolazione dell’intero Paese.

Pubblicato anche Direttorio omiletico
Insieme al Direttorio catechetico, la Ccbi ha pubblicato anche un Direttorio omiletico e un volume che raccoglie le preghiere eucaristiche per la Messa con i bambini. Il primo libro è scaturito dalle riflessioni del Sinodo generale ordinario dei vescovi sulla Parola di Dio, svoltosi in Vaticano nel 2008, mentre il secondo volume è una versione aggiornata dell’edizione datata 1975. (I.P.)

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Drone Usa uccide leader yemenita di al Qaeda

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Un drone Usa ha ucciso Harith bin Ghazi al-Nadhari, il leader spirituale del ramo yemenita saudita di al Qaeda (Aqap), lo stesso che il 9 gennaio scorso in un video aveva rivendicato il massacro di Parigi contro la sede di Charlie Hebdo. Lo afferma l'Aqap stessa in un comunicato rilanciato dai media internazionali.

Harith bin Ghazi al-Nadhari, e altri tre jihadisti "sono stati uccisi il 31 gennaio" in Yemen. Al-Nadhari era sceso in campo anche contro il 'califfo' al Baghdadi, accusato di "tracciare un solco" tra i gruppi jihadisti.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 37

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.