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Sommario del 05/02/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Grecia, spirito di solidarietà contro cultura pessimismo

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Contrastare la cultura del pessimismo con la fiducia nel futuro e testimoniare fraternità e solidarietà in tutto il Paese. È questa l’esortazione del Papa nel discorso consegnato ai vescovi della Conferenza episcopale di Grecia, in visita ad Limina. Il servizio di Giada Aquilino

Contrastare la cultura del pessimismo
Di fronte al perdurare della crisi economico-finanziaria che ha duramente colpito la Grecia, la sollecitazione di Papa Francesco ai vescovi ellenici è stata a “esortare tutti alla fiducia nel futuro, contrastando la cosiddetta cultura del pessimismo”. La chiave sta nello “spirito di solidarietà” che ogni cristiano è chiamato a testimoniare quotidianamente e che costituisce “lievito di speranza”. È quindi “importante” mantenere “relazioni costruttive” con le autorità greche e tutte le componenti della società, in modo da diffondere tale prospettiva solidale, in dialogo e collaborazione con gli altri Paesi europei. Una “comunione fraterna” d’altra parte “è indispensabile” - ha ricordato il Pontefice - sia per la crescita della Chiesa locale, sia per il progresso dell’intera società.

Sincera accoglienza verso i migranti
Necessaria dunque una “coraggiosa testimonianza di fraternità” in tutto il Paese che “in questo momento ha più che mai bisogno di dialogo tra le sue diverse componenti politiche e culturali”, per il bene comune, nell’ottica della custodia e del rafforzamento “delle tradizioni culturali e delle radici cristiane” della società ellenica. E non solo: anche per una “apertura verso i valori culturali e spirituali” di cui sono portatori i numerosi migranti che giungono in Grecia, “in spirito di sincera accoglienza verso questi fratelli e sorelle, senza distinzione di razza, di lingua o di credo religioso”. Il Papa si è quindi rallegrato perché i vescovi ellenici sono già impegnati in tale azione pastorale e caritativa, “soprattutto in favore degli immigrati, anche irregolari, molti dei quali sono cattolici”, e li ha incoraggiati “a proseguire” con un rinnovato slancio evangelizzatore, coinvolgendo in quest’opera specialmente i giovani, “futuro della Nazione”.

Alimentare cammino ecumenico
Le comunità cristiane, “mostrandosi veramente unite fra di loro” e al tempo stesso “aperte all’incontro e all’accoglienza, specialmente verso i più disagiati”, possono così contribuire a trasformare la società, “al fine di renderla più conforme all’ideale evangelico”. In questo medesimo spirito, il Santo Padre ha esortato i presuli “a proseguire il dialogo interpersonale con i fratelli ortodossi”, al fine di alimentare il “necessario” cammino ecumenico, “imprescindibile” prospettiva per un futuro di serenità e di fecondità spirituale per la Grecia.

Clero motivato
Nella Chiesa in Grecia, per la propria missione di evangelizzazione e promozione umana, è irrinunciabile la presenza di “un clero generoso e motivato”, ha sottolineato il Papa. Da “incrementare, con adeguati strumenti”, la pastorale vocazionale, per far fronte all’insufficienza numerica del clero: in tale contesto il Pontefice ha espresso affetto e apprezzamento ai sacerdoti delle diocesi elleniche, molti dei quali anziani, “per il loro zelo apostolico, nonostante la ristrettezza dei mezzi”. Poi l’invito “a prestare la giusta attenzione” agli Istituti di vita consacrata, affinché proseguano, “nonostante le tante difficoltà, la propria missione nel Paese”, soprattutto in campo scolastico. Da “valorizzare” pure il ruolo dei fedeli laici, la cui collaborazione con la Chiesa “è indispensabile” per affrontare le sfide della società, “incrementando la presenza dei movimenti e delle associazioni ecclesiali” in sintonia “con le linee pastorali delle Chiese particolari e ben inseriti nelle diocesi e nelle parrocchie”.

Famiglia indebolita, perseverare nella formazione al matrimonio
Di fronte all’indebolimento della famiglia, “causato anche dal processo di secolarizzazione”, la Chiesa è poi chiamata a “perseverare nei programmi di formazione al matrimonio”, senza dimenticare le nuove generazioni, né le persone anziane: “molte di loro si trovano oggi sole o abbandonate - ha ricordato il Papa - perché la cultura dello scarto si sta purtroppo diffondendo un po’ dovunque”. Ma la partecipazione degli anziani alla vita sociale, ha proseguito, “è indispensabile per il buon cammino di un popolo”. In conclusione, il Pontefice ha voluto ricordare che “il riconoscimento giuridico della Chiesa Cattolica da parte delle competenti autorità è un evento di grande rilievo”, che aiuta a guardare “con maggiore serenità al futuro”.

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Mons. Rossolatos: in Grecia Chiesa povera vicina ai poveri

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Papa Francesco, incontrando in Vaticano i rappresentanti della Conferenza episcopale di Grecia, ha esortato “alla fiducia nel futuro, contrastando la cosiddetta cultura del pessimismo”, nonostante il perdurare della crisi economico-finanziaria che ha duramente colpito il Paese. Tra le sfide della Chiesa cattolica locale, oltre alla dispersione dei fedeli, al calo delle vocazioni, alle realtà legate all’immigrazione, ci sono quindi tutti i problemi generati dalla crisi stessa e dall’austerity imposta da Bruxelles. Come si vive allora oggi in Grecia? Risponde mons. Sevastianos Rossolatos, arcivescovo dei cattolici di Atene, intervistato per il Centro Televisivo Vaticano da Giada Aquilino: 

R. - Quelli che avevano soldi possono ancora vivere tranquillamente, mentre ci sono molte persone che si sono trovate d’un colpo senza lavoro e in molte famiglie, dove lavorava sia il padre sia la madre, tutti e due sono rimasti senza lavoro. Ci sono tante famiglie in cui nessuno lavora. Anche persone che avevano piccoli negozi e imprese con alcuni impiegati, con la crisi, hanno dovuto chiudere. Pure le strutture della Chiesa (cattolica) diventano ancora più povere, come le gente.

D. - Nonostante questo impoverimento generale, la Chiesa è vicina alle famiglie, ai giovani, agli anziani, ai migranti: come?

R. - Fa quello che può. In tutte le diocesi c’è la Caritas. Anche ad Atene la Caritas si occupa dei profughi, aiuta, dà viveri oppure prepara il cibo e chi ha bisogno viene a mangiare. Ci sono poi le Suore della Carità che distribuiscono cibo, assistono donne abbandonate, tossicodipendenti, visitano le prigioni. Quello che notiamo è che, tra le persone assistite, ormai ci sono anche nostri fedeli rimasti senza lavoro e che chiedono continuamente aiuto. Ma dove possiamo trovare i soldi per dare aiuto?

D. - Le ultime elezioni hanno visto l’affermazione del partito della sinistra radicale ‘Syriza’ di Alexis Tsipras, che fin qui ha criticato l’austerity imposta da Bruxelles. Ora ha incontrato i vertici dell’Unione Europea. Come leggere il risultato elettorale e cosa serve adesso al Paese?

R. - La Grecia non è mai andata così a sinistra, come corpo elettorale. Si commenta, si spiega come un voto di rabbia e disperazione. Tutti aspettiamo. E abbiamo una piccola speranza che possa far capire all’Europa unita che fermare il progresso economico, chiedere soltanto soldi per pagare i debiti, non produce niente. E’ una disperazione completa. La sola via di uscita sarà trovare un altro modo per creare investimenti e posti di lavoro, perché adesso si raccolgono soltanto i soldi per pagare i debiti. Meno male che tanti nonni sono in grado di aiutare economicamente i loro figli e i loro nipoti, perché in Grecia c’è ancora una unità della famiglia. Però, anche i nonni hanno visto le loro pensioni diminuire.

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Francesco: non c'è posto nel ministero per chi abusa dei minori

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Non c’è posto nel ministero per coloro che abusano dei minori: lo ribadisce Papa Francesco in una Lettera ai presidenti delle Conferenze Episcopali e ai superiori degli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica circa la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, che da domani per la prima volta si riunisce per la sua plenaria in Vaticano. La Commissione è stata istituita dallo stesso Pontefice nel marzo dell'anno scorso “con lo scopo di offrire proposte e iniziative orientate a migliorare le norme e le procedure per la protezione di tutti i minori e degli adulti vulnerabili”. Il Papa ha chiamato a farne parte “personalità altamente qualificate e note per il loro impegno in questo campo”. Il servizio di Sergio Centofanti

Fare tutto il possibile per sradicare da Chiesa piaga abusi
Nella Lettera, Papa Francesco ricorda l’incontro commovente, nel luglio dell’anno scorso, con alcune persone che hanno subito abusi sessuali da parte di sacerdoti: lì ha potuto sperimentare  personalmente “l'intensità delle loro sofferenze” e “la solidità della loro fede”. Ciò – scrive - lo “ha ulteriormente confermato nella convinzione che occorre continuare a fare tutto il possibile per sradicare dalla Chiesa la piaga degli abusi sessuali sui minori e aprire una via di riconciliazione e di guarigione in favore di coloro che sono stati abusati”. Per questi motivi, lo scorso dicembre ha aggiunto alla Commissione alcuni nuovi membri, in rappresentanza delle Chiese particolari di tutto il mondo.

La Chiesa non risparmia sforzi per tutela minori
In questo contesto, il Papa ritiene che “la Commissione potrà essere un nuovo, valido ed efficace strumento” per aiutarlo ad “animare e a promuovere l'impegno dell'intera Chiesa” a “mettere in atto le azioni necessarie per garantire la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili e dare risposte di giustizia e di misericordia”. “Le famiglie – afferma - devono sapere che la Chiesa non risparmia sforzi per tutelare i loro figli e hanno il diritto di rivolgersi ad essa con piena fiducia, perché è una casa sicura. Non potrà, pertanto, venire accordata priorità ad altro tipo di considerazioni, di qualunque natura esse siano, come ad esempio il desiderio di evitare lo scandalo, poiché non c'è assolutamente posto nel ministero per coloro che abusano dei minori”.

Verifica periodica adempimento norme
Occorre anche “vigilare con attenzione – sottolinea il Papa - affinché si dia piena attuazione alla Lettera circolare emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, il 3 maggio 2011, per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare linee-guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici. E' importante che le Conferenze Episcopali si dotino di uno strumento per la revisione periodica delle norme e per la verifica del loro adempimento. Al Vescovo diocesano e ai Superiori maggiori spetta il compito di verificare che nelle parrocchie e nelle altre istituzioni della Chiesa venga garantita la sicurezza dei minori e degli adulti vulnerabili”.

Disponibili all'incontro con le vittime
Inoltre, le Diocesi e gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica “sono esortati ad individuare programmi di assistenza pastorale, che potranno avvalersi dell'apporto di servizi psicologici e spirituali. I Pastori e i responsabili delle comunità religiose – è l’invito di Papa Francesco - siano disponibili all'incontro con le vittime e i loro cari: si tratta di occasioni preziose per ascoltare e per chiedere perdono a quanti hanno molto sofferto”.

Collaborazione piena
Per tutti questi motivi, il Pontefice chiede ai presidenti delle Conferenze Episcopali e ai superiori degli Istituti di vita consacrata “la collaborazione piena e attenta con la Commissione per la Tutela dei Minori”. Il lavoro della Commissione – spiega - comprende “l'assistenza a voi e alle vostre Conferenze, attraverso il reciproco scambio di ‘prassi virtuose’ e di programmi di educazione, formazione e istruzione per quanto riguarda la risposta da dare agli abusi sessuali”.

Riparare ingiustizie
“Ci aiuti Maria Santissima, Madre della tenerezza e della misericordia – conclude il Papa - a compiere con generosità e rigore il nostro dovere di riconoscere umilmente e di riparare le ingiustizie del passato e ad essere sempre fedeli al compito di proteggere coloro che Gesù predilige”.

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Papa: Chiesa povera, Vangelo non è teologia della prosperità

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La Chiesa deve annunciare il Vangelo “in povertà” e chi lo annuncia deve avere come unico obiettivo quello di alleviare le miserie dei più poveri, senza mai dimenticare che questo servizio è opera dello Spirito Santo e non di forze umane. È il pensiero di fondo dell’omelia che Papa Francesco ha tenuto nella Messa celebrata in Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

Guarire. Rialzare. Liberare. Cacciare via i demoni. E poi riconoscere con sobrietà: sono stato un semplice “operaio del Regno”. È questo che deve fare, e deve dire di sé, un ministro di Cristo quando passa a curare i tanti “feriti” che attendono nelle corsie della Chiesa “ospedale da campo”. Il concetto caro a Francesco ritorna nella sua riflessione del mattino, dettata dal passo del Vangelo del giorno in cui Gesù invia i discepoli a due a due nei villaggi a predicare, guarire i malati e scacciare gli “spiriti impuri”.

Guarite le ferite del cuore
Lo sguardo del Papa è attirato dalla descrizione che Gesù fa dello stile che devono assumere i suoi inviati al popolo: persone che siano prive di sfarzo – non portate “né pane, né sacca, né denaro nella cintura”, dice loro – e questo perché il Vangelo, sostiene Francesco, “dev’essere annunciato in povertà”, perché “la salvezza non è una teologia della prosperità”. È solo, e null’altro, il “lieto annuncio” di liberazione portato a ogni oppresso:

“Questa è la missione della Chiesa: la Chiesa che guarisce, che cura. Alcune volte, io ho parlato della Chiesa come di un ospedale da campo. È vero: quanti feriti ci sono, quanti feriti! Quanta gente che ha bisogno che le sue ferite siano guarite! Questa è la missione della Chiesa: guarire le ferite del cuore, aprire porte, liberare, dire che Dio è buono, che Dio perdona tutto, che Dio è padre, che Dio è tenero, che Dio ci aspetta sempre…”.

Zelo apostolico, non impegno da ong
Deviare dall’essenzialità di questo annuncio apre al rischio – tante volte avvertito da Papa Francesco – di travisare la missione della Chiesa, per cui l’impegno profuso per alleviare le varie forme di miseria si svuota dell’unica cosa che conta: portare Cristo ai poveri, ai ciechi, ai prigionieri:

“E’ vero, noi dobbiamo prendere aiuto e fare organizzazioni che aiutino in questo: quello sì, perché il Signore ci dà i doni per questo. Ma quando dimentichiamo questa missione, dimentichiamo la povertà, dimentichiamo lo zelo apostolico e mettiamo la speranza in questi mezzi, la Chiesa lentamente scivola in una ong e diviene una bella organizzazione: potente, ma non evangelica, perché manca quello spirito, quella povertà, quella forza di guarire”.

Discepoli “lavoratori del Regno”
I discepoli tornano “felici” dalla loro missione e il Papa ricorda che Gesù li prende con sé e li porta “a riposarsi un po’”. Tuttavia, sottolinea Francesco…

“…non dice loro: ‘Ma, voi siete grandi, alla prossima uscita adesso organizzate meglio le cose…’. Soltanto: ‘Quando avete fatto tutto questo che dovete fare, dite a voi stessi: ‘Servi inutili siamo’. Questo è l’apostolo. E quale sarebbe la lode più bella per un apostolo? ‘È stato un operaio del Regno, un lavoratore del Regno’. Questa è la lode più grande, perché va su questa strada dell’annuncio di Gesù: va a guarire, a custodire, a proclamare questo lieto annuncio e questo anno di grazia. A fare che il popolo ritrovi il Padre, a fare la pace nei cuori della gente”.

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Questione clima nel colloquio del Papa con presidente Kiribati

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Papa Francesco ha ricevuto il presidente della Repubblica di Kiribati, Anote Tong, che successivamente ha incontrato il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, accompagnato da mons. Paul R. Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Nel corso dei cordiali colloqui – riferisce un comunicato della Sala Stampa vaticana - ci si è soffermati, in particolare, sull’importanza della tutela dell’ambiente e sulla questione dei cambiamenti climatici, i cui effetti negativi sul Paese, come pure su altri Stati del Pacifico, sono preoccupanti”. 

Al riguardo, si è formulato l’auspicio che in occasione della COP-21, la Conferenza di Parigi sul clima prevista nel mese di dicembre prossimo, “la Comunità internazionale possa adottare misure condivise ed efficaci per affrontare tale sfida”.

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Il Papa riceve in udienza il card. George Pell

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per l'Economia, mons. Charles Joseph Chaput, arcivescovo di Philadelphia, negli Stati Uniti, e l’arcivescovo Giambattista Diquattro, nunzio apostolico in Bolivia.

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Mons. Bruno Musarò nuovo nunzio in Egitto

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Il Papa ha nominato nunzio apostolico nella Repubblica Araba d'Egitto e delegato presso l'Organizzazione della Lega degli Stati Arabi mons. Bruno Musarò, arcivescovo titolare di Abari, finora nunzio apostolico in Cuba.

Mons. Bruno Musarò, nato 66 anni fa ad Andrano, nell'arcidiocesi di Otranto, in Puglia, e ordinato sacerdote a 22 anni, è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1977, lavorando nelle rappresentanze pontificie di Corea, Italia, Repubblica Centroafricana, Panama, Bangladesh e Spagna. Consacrato vescovo a 46 anni, è stato nominato nunzio apostolico a Panama, e poi in Madagascar, Mauritius e nelle Seychelles e delegato apostolico nelle Isole Comore e a La Réunion. Dal 2004 ha guidato la nunziatura in Guatemala, dal 2009 quella del Perù e dal 2011 quella di Cuba.

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Oggi il Papa chiude il congresso Scholas Occurrentes

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Si conclude oggi in Vaticano il IV Congresso Mondiale della rete internazionale di scuole "Scholas Occurrentes", nate in Argentina per volere dell’allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio. Ieri pomeriggio in Aula Paolo VI si è tenuto il Festival interreligioso per la pace, mentre presso la Sala Marconi della nostra emittente sono stati presentati il nuovo progetto “Scholas.Lab” e la videoconferenza attraverso la quale oggi pomeriggio il Papa si collegherà con giovani dei vari continenti. Paolo Ondarza

Un’applicazione concreta di quella cultura dell’incontro prioritaria per Papa Francesco. Scholas Occurrentes, scuole per l’incontro: rete che, nata con pochi giovani a Buenos Aires per volere dell’arcivescovo Bergoglio, ormai conta 400mila scuole statali o religiose, sparse nei 5 continenti, connesse tra loro  attraverso sport, arte e tecnologia. Se muri, divisioni culturali, differenze religiose possono creare frontiere apparentemente invalicabili, le Scholas da anni costruiscono ponti tra giovani di ogni credo e nazione educando alla pace e alla fraternità. José Maria Del Corral, direttore Mondiale delle Scholas:

“Un numero di giovani che si è andato moltiplicando. Giovani che guardano insieme ai problemi che li circondano e non sono indifferenti”.

Il Congresso che in questi giorni si è svolto nell’Aula del Sinodo avrà oggi pomeriggio la sua tappa conclusiva: il Papa si collegherà in videoconferenza con ragazzi disabili in varie parti del mondo. Il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi:

“Sarà un ulteriore segno dell’abbattere tutte le frontiere e i limiti nel campo dei rapporti e degli incontri”.

Sempre oggi sarà lanciata la nuova sfida di Scholas Occurrentes: Scholas Labs, un programma che premierà i progetti più innovativi in grado di migliorare l’educazione attraverso la tecnologia e creare ponti tra le scuole del mondo. La distanza ci separa, ci divide – recita lo spot -  ma immaginiamo un mondo di collaborazione, vicinanza dove la tecnologia tenda ponti e dove tutti i ragazzi di ogni lingua o cultura possano unirsi. Si inizierà con il progetto “Cittadinanza Scholas” finalizzato a creare uno spazio online per condividere problemi tra studenti, stimolando il loro impegno sociale, civico e politico.  L’invito è una sfida entusiasmante: “unisciti a noi!”.

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Plenaria dei Laici su sfida evangelizzazione nelle città

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Si è aperta oggi a Roma la XXVII Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici sul tema “Incontrare Dio nel cuore della città”. I lavori sono stati aperti dal card. Rylko, presidente del Dicastero, che, dopo aver ripercorso il Magistero dei Papi del dopo Concilio, ha parlato dell’utopia della città di Papa Francesco. Rylko ha sottolineato che le “letture ideologiche o parziali non servono, alimentano solamente l’illusione e la disillusione. Ogni crisi, anche quella attuale, è un passaggio, un travaglio di un parto che comporta fatica, difficoltà, sofferenza, ma che porta in sé l’orizzonte della vita, di un rinnovamento, porta la forza della speranza”.

Il presidente del Dicastero ha poi spiegato come un “aspetto importante della pastorale urbana, secondo Papa Francesco, è rappresentato dai poveri urbani” ed ha ricordato le sue recenti parole alla diocesi di Roma: «È necessario un grande e quotidiano atteggiamento di libertà cristiana per avere il coraggio di proclamare, nella nostra Città, che occorre difendere i poveri, e non difendersi dai poveri, che occorre servire i deboli e non servirsi dei deboli! [...] Quando in una città i poveri e i deboli sono curati, soccorsi e aiutati a promuoversi nella società, essi si rivelano il tesoro della Chiesa e un tesoro nella società.».

Per il card. Rylko nella visione della città di Papa Francesco è centrale la sua teologia del popolo. “Il suo progetto per la città è quello di trasformare l’insieme dei cittadini in un popolo. Il popolo non è dunque una massa amorfa, come a volte sembrano gli abitanti delle nostre megalopoli urbane, ma un insieme organico di “cittadini responsabili” – come dice il Papa – “una pluriforme armonia”. È un soggetto collettivo in grado di generare processi storici propri”. Esiste dunque un’utopia della città di Papa Francesco che ha i poveri al centro e che vede il popolo come soggetto attivo e dinamico. Durante la mattinata alcuni consultori del Dicastero, provenienti dal Medio Oriente, hanno presentato la situazione attuale delle comunità cristiane in Libano, Siria ed Egitto.

I membri consultori provenienti da tutto il mondo si confronteranno a Roma fino a domenica 7 febbraio sulle sfide dell'evangelizzazione nel nuovo contesto della urbanizzazione. Un fenomeno che secondo recenti studi statistici ha portato le Nazioni Unite ad affermare che nel 2050 oltre il 70% della popolazione mondiale vivrà nei centri urbani. Stefano Leszczynski ha intervistato Eugenie Tcheugoue, officiale del dicastero: 

R. - Questo tema lo abbiamo scelto un po’ sulla spinta dei richiami di Papa Francesco perché, come abbiamo avuto modo di verificare, è un tema che gli sta a cuore in modo abbastanza importante. Quindi, questo nostro incontro diventa un’occasione di partecipare, uno sforzo di riflessione nella scia di quello che ci chiede il Papa.

D.  – Uno sforzo di riflessione che nasce anche da un cambiamento sociale in atto…

R.  – Sì, senz’altro, perché risponde a un dato di fatto. Oggi il fenomeno dell’urbanizzazione è globale, interessa tutti i continenti perché, come ci ricordano i dati dell’Onu, dal 2007 la popolazione urbana ha superato quella rurale e il trend non accenna a rallentare. Secondo le statistiche, infatti, da qui al 2050 i tre quarti della popolazione mondiale sarà urbana. Anche per la Chiesa diventa una sfida attrezzarsi per capire il fenomeno e per rispondere al meglio: come offrire la parola di Dio, come evangelizzare un contesto così nuovo?

D.  – In questo contesto quanto è importante il ruolo dei laici e cosa sono chiamati a fare?

R.  – Credo che i laici in questo contesto siano chiamati in causa per due ragioni: i fedeli laici diventano figure essenziali nella pastorale urbana, perché conoscono meglio di chiunque altro la realtà della città: la vivono sulla loro pelle. E poi perché le grandi città raggruppano milioni - parliamo di 10 milioni, di 30 milioni di abitanti in certi casi: come si fa a raggiungere tutta quella massa umana se non attraverso i laici?

D.  – E a questo punto entrano in gioco anche i centri di evangelizzazione locali, che poi sono le parrocchie, dove i laici svolgono un ruolo molto importante…

R.  – Sì, senz’altro, nelle parrocchie, oggi più che mai, i laici sono chiamati a dare un contributo fattivo. Però, come ci chiede il Papa, dobbiamo entrare in una dinamica di “uscita”: non più chiuderci soltanto nelle nostre piccole importanti parrocchie, ma uscire per andare incontro a questa realtà che ci può anche spaventare perché ci è totalmente nuova. La Chiesa si ritrova un po’ sprovvista di strumenti per affrontare un fenomeno al quale non era abituata, non è attrezzata per reagire. E credo che i laici in questo senso abbiano una missione.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina in apertura, "Per sradicare la piaga degli abusi; Papa Francesco chiede la collaborazione piena e attenta dei vescovi e dei superiori degli istituti religiosi. La priorità non è evitare lo scandalo ma fare della Chiesa una casa sicura". Di spalla, sempre in prima pagina, Islam contro l’Is Condanna delle atrocità. Sotto, Strage di civili inermi nell’est dell’Ucraina. Degenera il conflitto mentre i leader occidentali si recano a Kiev per colloqui con Poroshenko.

A pagina 4, "Luoghi protetti. Quando i diplomatici di Pacelli nell’Ungheria occupata salvarono migliaia di ebrei" del cardinale Angelo Sodano, "Un concilio diventato pietra; Vaticano barocco" di Silvia Guidi e una scheda sulla mostra «Alla stessa mensa, tra rito e quotidianità. Percorsi di riflessione attraverso l’arte» allestita al Museo Diocesano Tridentino.

Sempre in cultura, a pagina 5, "L’uomo che inventò il corsivo. Cinquecento anni fa, il 6 febbraio 1515, moriva Aldo Manuzio", di Giovanni Maria Vian e "Non erano di passaggio. La Sicilia dei greci" di Franco La Cecla.

A pagina otto, il messaggio di Papa Francesco ai vescovi e ai superiori degli ordini religiosi in una lettera inviata in occasione dell’incontro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori, che si riunisce in Vaticano dal 6 all’8 febbraio. La vera «missione della Chiesa - ha ribadito il Papa nella messa celebrata giovedì 5 febbraio, nella cappella della Casa Santa Marta — è guarire le ferite del cuore, aprire porte, liberare, dire che Dio è buono, perdona tutto, è padre, Dio è tenero e ci aspetta sempre».

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Oggi in Primo Piano



Onu: Is, follia omicida su donne e bambini in Iraq

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Un Rapporto dell’Onu, a Ginevra, denuncia gli orrori compiuti dei miliziani dell’Is contro donne e bambini di gruppi minoritari in Iraq. Mentre sul campo il governo di Amman, dopo la barbara uccisione del pilota giordano, avrebbe contrattaccato il sedicente Stato islamico bombardando la città Mosul. Il servizio di Roberta Gisotti

Uccisioni, torture, violenze sistematiche, esecuzioni di massa contro famiglie e bambini anche "crocifissi", "decapitati" e "sepolti vivi" in Iraq da seguaci dell’Is. Il Comitato dell’Onu sui diritti dei minori, a Ginevra, che ha pubblicato il rapporto drammatico lancia un appello perché il governo di Baghdad sappia proteggere i suoi cittadini. Va detto che il governo iracheno ha chiesto ripetutamente di avere più armi dall’occidente e maggiore addestramento delle sue forze dell’Ordine.

Certo è che la situazione nei territori occupati dal sedicente Stato islamico è precipitata in un vortice di orrori rilanciati dai media, dove rabbia e vendetta fanno buon gioco all’ondata di follia omicida dei miliziani dell’Is. Dopo avere impiccato ieri come atto di ritorsione due terroristi di al Qaida – tra cui la donna per la quale era stato chiesto il rilascio in cambio della libertà del pilota giordano – il governo di Amman avrebbe bombardato, secondo fonti curde, postazioni dell’Isis a Mosul uccidendo 55 jihadisti e non escluderebbe, riporta la stampa locale, l’invio di truppe speciali di terra in Iraq.

E mentre la Russia è al lavoro per una risoluzione in Consiglio di sicurezza dell’Onu per tagliare i fondi all’Is, in Francia il presidente Hollande rilancia la lotta internazionale al terrorismo dichiarando “a minaccia globale, risposta globale”.

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India: arrestati 200 cristiani che protestavano per attacchi a chiese

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In India, circa duecento cristiani sono stati arrestati ieri a New Delhi, nelle vicinanze della casa del ministro dell'Interno Singh, mentre manifestavano per chiedere maggiori tutele. Un’iniziativa organizzata dall’arcidiocesi locale dopo il rogo di una chiesa e gli atti di vandalismo contro i luoghi di culto cristiani; episodi che sono aumentati in modo esponenziale nell’arco degli ultimi due mesi. Benedetta Capelli ha raccolto il commento di padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews: 

R. – Ormai stiamo assistendo ogni giorno ad attacchi a chiese, Ostie profanate, altari distrutti, edifici bruciati e cristiani arrestati con l’accusa di aver fatto conversioni forzate… C’è veramente una situazione in cui si sta manipolando sempre di più l’India e la sua Costituzione, che è un Costituzione laica, a favore invece di un nazionalismo indù, che soffoca - sempre di più - le altre comunità religiose, soprattutto cristiani e musulmani.

D. – Quindi possiamo dire che da maggio, quando c’è stata l’affermazione dei nazionalisti nelle elezioni, l’intolleranza religiosa è cresciuta?

R. – E’ cresciuta tantissimo, anche perché il primo ministro Narendra Modi è salito al potere con l’appoggio di tutti questi gruppi nazionalisti e spesso fondamentalisti, militanti anche violenti e armati che ora stanno presentando il conto a Narendra Modi: vogliono essere protetti ma allo stesso tempo si sentono più sicuri e attaccano in modo molto più forte. Ci sono due cose molto preoccupanti: la prima è che si vogliono moltiplicare a tutti i costi queste leggi anticonversione, in cui – appunto – si bloccano in tutti i modi le conversioni dall’induismo alle altre religioni, mentre non si verifica mai se le conversioni dalle altre religioni all’induismo sono fatte attraverso pressioni sociali, attraverso donazioni di denaro ed altro. Quindi è una legge a senso unico. L’altra cosa è quella di volere rivedere tutta la cultura indiana, tutta l’educazione e i libri di scuola, perché osannino sempre e soltanto l’induismo e la nazione indù.

D. – Eppure l’educazione è garantita proprio dalla presenza di istituti e scuole cristiane, che ovviamente si mettono a disposizione anche degli indù…

R. – Ma certo! La Chiesa cattolica ha decine e decine di scuole, di college, di università e offre questo servizio a tutta la popolazione. Credo che una statistica di alcuni anni fa dicesse che oltre il 60 per cento delle persone che frequentano le scuole cattoliche – per esempio l’università - sono non cristiani. In più c’è un grande contributo dei cristiani alla dignità della donna e all’istruzione delle donne: tutto questo rappresenta, appunto, un servizio enorme aperto a tutti, che invece viene continuamente sospettato di proselitismo.

D. – L’India nelle mani degli estremisti indù che cosa potrebbe rappresentare per l’intera area, a livello proprio di libertà religiosa?

R. – C’è stata una personalità cristiana che ha detto: c’è il timore che l’India diventi come il Pakistan e, attraverso un rafforzamento di questi gruppi violenti indù, c’è il rischio che si possa arrivare a delle guerre religiose o a violenze sempre più grandi nei confronti di cristiani e di musulmani, c’è la possibilità che si rompa il tessuto della convivenza in India. Questo diventa un problema anche per l’economia indiana: proprio mentre l’India sta cercando di diventare sempre più un partner internazionale di tutte le economie del mondo, praticamente va a finire che si chiude in una gabbia costruita da sé, bloccando quindi lo sviluppo del Paese.

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Bce chiude alla Grecia. Atene: non accettiamo ricatti

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All'indomani della doccia gelata arrivata dalla Bce, che ha deciso ieri di non accettare più oltre l'11 febbraio titoli del debito pubblico greco a garanzia per i suoi prestiti, Atene tira dritta per la sua strada: "Non ricattiamo nessuno e non ci faremo ricattare" fa sapere un fonte del governo ellenico. Secondo il portavoce del governo Gabriel Sakellaridis, la mossa di Francoforte è "un mezzo di pressione politica" nei confronti dell'Eurogruppo per decidere una rinegoziazione del debito. "Occorre avere - aggiunge - la volontà di discutere, di trovare un terreno d'intesa per concludere nuovi accordi" tra la Grecia e i suoi partner. Atene vorrebbe un "accordo transitorio" in attesa che ci sia una vera discussione sul debito. Il commissario Ue agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici, ribadisce: "Tutti vogliamo una soluzione e siamo tutti d'accordo che la Grecia deve rimanere nell'Eurozona, allo stesso tempo però tutti i partner vogliono anche che gli impegni siano rispettati". In Grecia, intanto, si prepara una manifestazione di protesta contro la Bce. Secondo alcuni osservatori, tuttavia, non si può parlare di una decisione della Banca centrale europea ma di un provvedimento obbligato, vista la scadenza il 28 febbraio del programma fin qui definito dalla Trojka per gli aiuti alla Grecia: è quanto afferma Paolo Guerrieri, docente di economia internazionale all’Università La Sapienza di Roma, al microfono di Fausta Speranza: 

R. – Una decisione obbligata, dal momento che era una deroga che vigeva e che in qualche modo si basava sul fatto che la Grecia stesse ottemperando a un programma dell’Unione Europea. Nel momento in cui questo programma viene contestato, la Banca Centrale Europea ha preso questa decisione, che è pesante ma non chiude i canali di finanziamento per il sistema bancario greco, perché il canale che resta è quello emergenziale. Quindi, c’è ancora questo “rubinetto” aperto. E’ un avvertimento e un messaggio forte ai politici e alla politica, perché rapidamente decidano. La Banca centrale non staccherà mai la spina e non provocherà mai l’uscita della Grecia dall’euro. A decidere davvero possono essere i politici, i governi che gestiscono questo negoziato molto difficile, che si è complicato per errori – devo dire – abbastanza clamorosi da parte del nuovo governo greco. Sarà l’esito di questo negoziato politico, alla fine, a decidere per il “sì” o per il “no”. Evidentemente, quello che la Grecia, con il nuovo governo, pone è un problema reale: c’è un eccesso di debiti che grava sulla Grecia - ma anche su altri Paesi - che è sì sostenibile sulla carta, ma in realtà soffoca e soffocherebbe le possibilità di approfittare di questo contesto e quindi rilanciare la crescita. Quindi, questo è un problema reale. Ma il modo con cui il nuovo governo greco lo sta ponendo, contestando e non volendo riconoscere accordi presi precedentemente, e ponendosi al di fuori di quelle che poi sono regole fondamentali di convivenza all’interno di una comunità – in questo caso quella dell’Unione Europea da un lato e della zona euro dall’altro - questo metodo è inaccettabile. E’ sperabile che in queste ore, in questi giorni, si capisca rapidamente che bisogna riportare sui giusti binari questo negoziato, che ha la possibilità di un esito favorevole, sia per la Grecia e sia per l’insieme dei Paesi dell’area dell’euro.

D. – Dunque, la situazione con la Grecia rimane aperta, mentre le previsioni Ue parlano di ripresa in tutta l’Unione Europea: ma ci sono considerazioni da fare …

R. – C’è una forte discesa dei prezzi del petrolio; c’è una svalutazione forte, molto forte, dell’euro nei confronti del dollaro e di altre valute; c’è una caduta dei tassi di interesse a lungo termine; c’è una ripresa all’esterno, quindi una domanda mondiale che si consolida … Possiamo parlare di condizioni, come mai si erano determinate simultaneamente, tutte in una direzione positiva. E questi dati sono il risultato del fatto che i Paesi dell’Euro stanno approfittando di tutto ciò, come non potrebbero non fare. Anzi, lo fanno poco: se si consolideranno, c’è da aspettarsi un miglioramento. E allora il paradosso è proprio questo: da un lato, questa situazione che fa intravedere le possibilità – dopo tanti, lunghi anni di sofferenze – di una ripresa da consolidare e lo spettro della crisi greca, che a questo punto purtroppo - si deve dire - per atteggiamenti da parte greca che si stanno consolidando, non è affatto da escludere che possa anche determinare risultati estremamente negativi.

D. – Una parola su alcune situazioni: le previsioni per il 2015 danno in Spagna, il 2,3 per cento; in Francia, l’1 per cento; in Italia lo 0,6 e solo nel 2016 l’1,5 per cento …  

R. – Il confronto che è maggiormente rivelatore è quello tra Italia e Spagna, perché dopo anni di recessione e stagnazione, 0,6 vuol dire – ad esempio – che l’occupazione non migliorerà se non marginalmente. Perché questa differenza? Io credo che la ragione fondamentale sia il fatto che l’economia italiana, il sistema produttivo italiano, non ha ancora rimosso il tallone d’Achille del suo sistema economico, cioè la competitività che è strutturale e ancora molto debole, non ancora sanata. E, quindi, questo treno della ripresa internazionale favorisce quei Paesi che più sono in grado di agganciarsi a questo treno …

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Cesi e Cespi: pacificare la Libia per stabilizzare il Sahel

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Stabilizzare la regione Saheliana attraverso la pacificazione della Libia e il maggiore interesse della politica europea alla fascia di territorio che va dal Gambia al Ciad. E’ quanto emerge da uno studio sulla fragilità del Sahel, realizzato dal Cesi e dal Cespi e presentato questa mattina presso il Ministero degli esteri italiano. Il servizio di Elvira Ragosta

E’ una delle regioni più fragili del pianeta: i bassi indici di sviluppo umano, le criticità climatiche e il crescente processo di desertificazione si aggiungono a un’alta instabilità politica e di sicurezza. Intere zone dell’area sahelo-sahariana sono diventate fucina di un network di ispirazione jihadista e Mali e Niger risultano gli Stati più esposti. Marco di Liddo, analista del Cesi:

“I gruppi più pericolosi sono sicuramente al-Qaeda nel Maghreb islamico, la brigata al-Murabitun – le sentinelle del famoso Mokhtar Belmokhta – e scendendo più a sud, i gruppi Tuareg che hanno sposato un’agenda jihadista, fino a spingersi fino a Boko Haram, attore influente anche nel Sahel. Ciò che è avvenuto in Libia nel 2011, e quello che sta avvenendo ancora oggi, è frutto di una dinamica continua di scambio con il Sahel”.

Da qui, le proposte per un’azione mirata nella regione, attraverso la cooperazione internazionale e politica tra Europa e istituzioni locali e  regionali. Marco Zupi, presidente del Cespi:

“Tradizionalmente, da una parte c’è la questione della sicurezza – il terrorismo che conosciamo in questi ultimi mesi, in questi ultimi anni – e dall’altra parte l’emergenza umanitaria, la fame nella regione del Sahel. L’obiettivo dello studio era proprio quello di indagare quanto queste dimensioni siano tra loro intrecciate e come dimensioni sociali, economiche, ambientali siano elementi strutturali a cui bisogna far riferimento per cercare delle risposte durature a problemi che sono reali, ma che trattati separatamente rischiano di riprodursi nel tempo. Serve un approccio integrato, quella che si chiama la coerenza delle politiche. Il Sahel sembra apparentemente lontano, ma il tema per esempio dei negoziati commerciali tra Unione Europea e Stati Uniti hanno effetto sulle prospettive di sviluppo economico di quelle regioni”.

Le criticità della zona sono alte anche nell’ambito dei diritti e delle libertà delle popolazioni, come ricorda Gianni Ruffini, direttore di Amnesty International Italia:

“La situazione nella maggior parte dei Paesi della fascia saheliana negli ultimi anni è gravemente peggiorata dal punto di vista dei diritti umani. C’è di tutto: ovviamente l’uso della pena di morte, della discriminazione a carattere etnico, della discriminazione verso gli omosessuali, l’uso della tortura sistematico, dell’uccisione di civili da parte delle forze dell’ordine, di eserciti e di gruppi armati, dello stupro usato come arma di guerra e come semplice atto di prevaricazione sulla popolazione. C'è ll’uccisione di ogni opposizione, di ogni libertà di pensiero, di ogni libertà di espressione in quasi tutti i Paesi della zona. E’ una situazione che sta degradando gravemente, anche sulla spinta naturalmente del terrorismo e dei problemi di sicurezza. Dobbiamo affrontarla con molta serietà. E dispiace che l’Europa abbia perso in questi ultimi anni il ruolo che pure fino agli anni Novanta aveva saputo giocare nella regione, imponendo un’agenda di diritti umani. Oggi quell’agenda non c’è più”.

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Acli: a Roma si sprecano ogni giorno 20 tonnellate di pane

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A Roma il 4% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, mentre il 7% mangia in maniera adeguata solo ogni due giorni. Eppure nella Capitale ogni giorno vengono sprecate 20 tonnellate di pane, circa il 10% della produzione totale. In occasione della Giornata dedicata alla prevenzione dello spreco alimentare, le Acli di Roma si sono attivate per combattere il fenomeno dello spreco, ancora troppo diffuso nella cittadinanza. Giacomo Di Stefano ha intervistato Lidia Borzi, presidente delle Acli di Roma e Provincia: 

R.  – Il progetto “Il pane a chi serve?” è un progetto innovativo e sperimentale che le Acli di Roma, in rete con altre organizzazioni, stanno portando avanti da una parte per recuperare il pane in eccedenza che quotidianamente viene sprecato, dall’altra parte vuole rispondere a una forte esigenza educativa e di sensibilizzazione sul tema del recupero alimentare. Ecco perché abbiamo rilanciato e acceso i riflettori sul nostro progetto, alla vigilia della Giornata nazionale dedicata alla prevenzione dello spreco alimentare. Abbiamo un Éxpo, non ci dimentichiamo, che partirà a maggio che è legato alla nutrizione. Quindi, ci sembra un tema assolutamente prioritario che merita attenzione, se consideriamo che il 4% dei romani vive sotto soglia di povertà e il 7% mangia in maniera adeguata solo ogni due giorni.

D.  – A suo avviso, l’Éxpo è l’occasione giusta per ribadire l’esigenza che il cibo non va sprecato?

R. – Sì, secondo me è la vetrina giusta perché è una vetrina planetaria e quindi è un’opportunità importante per far vedere le tante innovazioni nei tanti Paesi, ma anche per far vedere che abbiamo una parte del pianeta dove il cibo non è sufficiente e che nelle nostre città, nelle grandi metropoli, nei ricchi continenti, c’è una povertà che serpeggia ed è sempre più in agguato.

D. – A Roma, alcuni Municipi e associazioni hanno aderito attivamente all’iniziativa?

R. – Sì, abbiamo quattro Municipi che hanno aderito attivamente all’iniziativa: sono il I, il III, il VII ,il X. Abbiamo associazioni di categoria che hanno già aderito e altri con cui abbiamo già contatti e in settimana stiamo chiudendo degli accordi. Abbiamo avviato contatti con Caritas e con moltissime associazioni che operano anche nelle parrocchie, che operano lontani dai riflettori – sono circa 60 – alle quali ogni giorno assicuriamo, attraverso il nostro intervento e la nostra facilitazione, l’incrocio con i forni che hanno eccesso di pane e così evitiamo lo spreco. Ma diamo un grande messaggio di attenzione a ridurre lo spreco alimentare anche nelle nostre case, ogni giorno.

D.  – Che cosa rappresenta la nuova piattaforma on-line che avete lanciato?

R. – Noi abbiamo un sito on-line nuovo dove "geolocalizziamo" sia i fornai, sia le associazioni per favorire immediatamente l’individuazione a "km zero". Perché uno dei punti di forza del nostro progetto vuole essere proprio quello di favorire questo incrocio a km zero, qui. Quindi, un vero e proprio esperimento di sussidiarietà orizzontale e verticale in cui tra il Municipio, l’esercente, l’associazione che opera per il disagio in quel territorio e noi come associazione di promozione sociale si crea un circuito virtuoso che, da una parte, contrasta lo spreco, dall’altra educa e inoltre aiuta a ricostruire legami sociali nei nostri territori, creando buoni legami di prossimità. Ci sembra un valore aggiunto non indifferente.

D. – Dunque, un’iniziativa che si muove sia sul piano materiale dello spreco ma anche su quello culturale di un fenomeno da combattere educandola cittadinanza?

R. - Assolutamente sì. Con i quattro Municipi abbiamo già concordato quattro "flashmob" che partiranno da fine febbraio fino a giugno e che saranno incentrati proprio sull’attenzione e sull’educazione e sulla sensibilizzazione. Sempre nel X Municipio, già ci sono alcune scuole che hanno dato disponibilità e hanno volontà di organizzare eventi di sensibilizzazione anche all’interno delle scuole. Ma sappiamo che sono tante le scuole che vogliono portare questo tema in attenzione ai propri allievi.

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Don Iannone: Concilio attuale, insegna ad aprirsi sempre

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Il Concilio Vaticano II ha ancora tanto da dire ai cristiani di oggi. Lo sottolinea don Francesco Iannone, sacerdote della diocesi di Nola, nel suo libro “Una Chiesa per gli altri. Il Concilio Vaticano II e le religioni non cristiane”, pubblicato da Cittadella, dove affronta il tema delle relazioni tra Chiesa e religioni non cristiane. Tiziana Campisi gli ha chiesto di spiegare il perché di questo titolo e di raccontare dell’incontro avuto con il Papa emerito Benedetto XVI che ha ricevuto in dono il volume: 

R. – Gli altri sono fondamentalmente i non cristiani, sono coloro che per la prima volta sono entrati in un Concilio, perché il Concilio Vaticano II è il primo Concilio della storia in cui c’è stata un’attenzione per i non cristiani e per le loro religioni. Allora, la mia intenzione è stata quella di interrogare il Concilio Vaticano II, i suoi testi, quelli che parlano precisamente delle religioni non cristiane: cioè, "Lumen gentium" 16, "Nostra Aetate", "Gaudium et Spes" 22, "Ad Gentes" 7. Di questi quattro testi, io ho fatto un’analisi per andare a scoprire cosa il Concilio abbia veramente detto sulle religioni non cristiane.

D. – Cosa ci dice oggi il Concilio Vaticano II circa il modo in cui rapportarsi alle altre religioni?

R. – Il Vaticano II, a mio avviso, dà tre indicazioni, attualissime. Recuperare il fatto che il Dio di Gesù è un Dio per tutti. Una teologia della creazione che fa riscoprire la comune vocazione, il comune destino di tutta l’umanità: veniamo tutti da Dio e tutti a Dio andiamo. Questo mi sembra il fondamento teologico più vero per un rapporto con i non cristiani, che permette uno sguardo buono, positivo, sulle loro religioni, al di là delle deviazioni a cui stiamo tristemente assistendo. In ogni religione, il Concilio ritiene che ci sia qualcosa di vero, di buono, di bello, grazie all’azione del Verbo eterno che, avendo creato il mondo, ha immesso nel cuore di ogni uomo semi di verità che conducono alla pienezza. La seconda indicazione che il Concilio dà, a mio avviso, è quella di uno stile: il dialogo come stile, il dialogo che non è dimenticare le differenze o un generico invito a volersi bene, ma il dialogo che è la reciproca capacità di ascoltarsi e di ascoltare per camminare insieme verso una verità che nessuno di noi possiede ma che ci è donata. La terza indicazione è quella di riscoprire il progetto di Dio che è un progetto di comunione: Dio vuole salvarci come popolo. E Papa Francesco lo ricorda con grande forza. La capacità di incontrare le persone diventa il modo in cui la Chiesa vive nel mondo: se la Chiesa vive nel mondo è perché è a servizio di un incontro. La vocazione della Chiesa è quella di rendere possibile l’incontro dell’umanità con Dio e degli uomini tra di loro.

D. – Lei ha venuto far dono del suo libro a Benedetto XVI: ha scritto una lettera, ha inviato una copia del suo libro e ha ricevuto una risposta…

R. – Sì, ho ricevuto una risposta che ancora mi sorprende. C’è stata una telefonata nella fine di gennaio in cui venivo invitato a incontrare il Papa emerito e quindi ho avuto la possibilità d incontrarlo, di scambiare con lui qualche parola sul senso della ricerca teologica, sul senso del cammino della Chiesa, sul senso del Concilio. Benedetto rimane colui che ha tenuto alta l’esigenza di un dialogo tra fede e ragione, ha tenuto alta l’esigenza di  un dialogo tra fede e cultura. In qualche modo, incontrare Benedetto è incontrare e incontrare il grande testimone e di una fede che pensa e di un pensiero che si allarga alle dimensioni dell’assoluto.

D.  – Che cosa conserverà in particolare di questo incontro?

R. – Conserverò di questo incontro ciò che Benedetto mi ha detto. Quando gli ho chiesto: “Santità come sta?”, la risposta è stata, non rivelo un segreto: “Come sta un uomo di 88 anni che con la sua preghiera però riesce ancora ad abbracciare il mondo intero”. La sua fiducia, la sua fede nella preghiera che abbraccia il mondo intero è qualcosa che mi porto dentro, anche come grande viatico per la vita personale.

D. – Quale suggerimento può darci da estrapolare dal suo libro?

R. – Non stancarsi di dialogare, non stancarsi di ascoltare, non fermarsi a diagnosi superficiali, non lasciarsi tentare dalla paura dell’altro, dalla paura del diverso. Credere che in ogni diversità, in ogni alterità è nascosta è una parola di Dio per noi, è nascosta una chiamata all’uscita da noi stessi – come direbbe Papa Francesco – per andare incontro all’altro, perché l’altro è sempre cifra di quell’Altissimo altro che noi chiamiamo Dio.

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Nella Chiesa e nel mondo



Los Angeles. mons. Gomez: malati terminali, "no" eutanasia

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Los Angeles. Arcivescovo Gómez: no all’eutanasia per malati terminali
“Nessuno ha il diritto di decidere chi può vivere e chi no. Solo Dio può farlo”: scrive così mons. José Gómez, arcivescovo di Los Angeles, in un editoriale pubblicato dall’agenzia Aciprensa. La riflessione del presule arriva in un momento in cui lo Stato della California ha presentato il progetto di legge n. 128 del Senato che mira alla legalizzazione del suicidio assistito, tramite farmaci, per i malati terminali. Una proposta che la Chiesa locale respinge con forza, soprattutto pensando ad anziani e disabili, ed è per questo che mons. Gómez afferma: “Tra le numerose ingiustizie della nostra società, la più grave è l’abitudine di distruggere, ogni giorno, vite umane innocenti”. Si tratta di un problema, sottolinea il presule, che “non è soltanto culturale o politico, ma anche profondamente sia e spirituale”.

Eutanasia non è questione di fede, ma di diritti umani
L’arcivescovo di Los Angeles ribadisce che “il diritto alla vita è il fondamento di tutti i diritti umani” ed è per questo che “non possiamo permettere che prevalga la logica crudele secondo cui la vita umana è scartabile e, in alcuni casi, indegna di essere vissuta o tutelata”. “L’eutanasia, così come l’aborto – continua il presule – non è solo una questione di fede o di religione, bensì un problema basilare legato ai diritti umani e alla giustizia sociale. Sono temi che hanno a che fare con il tipo di società che siamo e con il genere di persone vogliamo essere”.

Tutelare la vita con coraggio ed amore, in ogni fase
Per questo, mons. Gómez sottolinea che “una società civile non risolve i problemi permettendo che le persone si suicidino o evitando che nascano i bambini. E non possiamo permetterci di arrivare a essere un popolo che risponde alla sofferenza umana eliminando i sofferenti”. Ricordando, poi, le parole di Papa Francesco sul dovere dei cristiani di “proteggere la vita con coraggio e con amore, in tutte le sue fasi”, il presule conclude il suo editoriale auspicando un impegno comune “al servizio della vita, di tutta la vita, specialmente di quella che necessita di maggiori cure ed attenzione”, perché “fintanto che ci sono i cristiani, nessuno deve soffrire da solo!”. (I.P.)

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Mons. Garmou: Chiesa in Iran piccola e fedele al Vangelo

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Iran.  Mons. Garmou: crisi in Medio Oriente non si risolve con la guerra
La crisi in Medio Oriente non può essere risolta semplicemente con la guerra e le armi. E’ quanto afferma l’arcivescovo caldeo di Teheran, mons. Ramzi Garmou, in un‘intervista all’agenzia cattolica tedesca Kna, ripresa dall’Apic, in cui non risparmia critiche alla politica occidentale nella regione, dalla guerra in Iraq del 2003 alle sanzioni imposte all’Iran.

Il dovere dei cristiani in Medio-Oriente di testimoniare la fede
Parlando dell’infelice situazione dei cristiani in Iraq vittime degli islamisti dell’Is, il presule originario di Zakho nel Kurdistan iracheno, riconosce che certo non possono essere costretti a rimanere, ma che essi hanno tuttavia una missione da compiere: quella di difendere la fede cristiana nel Paese, dove essa è presente sin dall’epoca apostolica. Questo anche in Iran, dove, secondo la tradizione, la Chiesa fu fondata da San Tommaso Apostolo.

L’esodo dei cristiani dall’Iran dopo la rivoluzione khomeinista
Oggi, i cristiani nella Repubblica islamica sono circa 70 mila su una popolazione di 78 milioni di abitanti. La maggioranza (50 mila) appartengono alla Chiesa apostolica armena (ortodossa), mentre i cattolici sono 10 mila, dei quali la metà caldei e qualche centinaio i latini. La popolazione cristiana ha conosciuto un forte esodo soprattutto verso gli Stati Uniti e anche verso l’Europa dalla rivoluzione khomeinista. Molti di quelli rimasti - spiega mons. Garmou - sono persone che non potevano lasciare il Paese, ma ci sono anche fedeli che lo hanno fatto per scelta, “perché crede che la Chiesa abbia la missione di testimoniare” . Questo anche in un contesto difficile come quello dell’Iran, dove alle minoranze riconosciute dalla Costituzione è severamente vietato fare proselitismo e l’esercizio del culto è rigidamente regolamentato e limitato ai luoghi riconosciuti dal regime.

Cristiani testimoni nel quotidiano
Ma la forza della Chiesa in Iran, puntualizza mons. Garmou non risiede nei suoi piccoli numeri e neanche nel potere delle sue istituzioni: “Questo piccolo gregge - afferma il presule - può testimoniare la presenza di Gesù vivendo la sua fede nel quotidiano”. (L.Z.)

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Zambia. I vescovi: dopo le elezioni, pace e democrazia

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Zambia. Vescovi: promuovere pace e democrazia, no a tribalismi
Promuovere la pace e la democrazia nello Zambia, lottando contro i tribalismi e le divisioni partitiche: questo il “mandato” che la Conferenza episcopale del Paese (Zec) affida al nuovo capo dello Stato, Edgar Lungu, eletto il 20 gennaio scorso. In una nota diffusa successivamente alle votazioni e siglata da mons. Telesphore George Mpundu, presidente dei vescovi, la Zec si congratula per il processo elettorale svoltosi, in quanto prova “della maturazione di una cultura democratica” nella nazione, un risultato del quale “andare fieri”. Allo stesso tempo, però, i presuli esprimono l’auspicio che ora “si lavori uniti per migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini del Paese, in particolare dei poveri e dei deboli all’interno della società”.

Allarme astensionismo, segno di sfiducia nelle istituzioni
In un’ottica di “riconciliazione nazionale”, poi, la Zec esorta “tutti i cristiani e tutta la popolazione ad abbracciare lo spirito di perdono come inestimabile eredità da lasciare ai posteri”. Guardando, inoltre, alle tensioni registrate in alcuni schieramenti politici, i presuli sottolineano che la popolazione “è stanca di promesse elettorali non mantenute”, il che ha causato “una perdita di fiducia, un’apatia” nei confronti dei partiti e delle procedure di voto. L’affluenza alle urne, infatti, è stata del 34%, in forte calo rispetto alle consultazioni precedenti. “Chiediamo a tutti di identificare e affrontare con urgenza le cause di questa apatia – sottolineano i vescovi – perché in democrazia contano i numeri, senza i quali la legittimità dei risultati elettorali viene sono messa in discussione”.

No al tribalismo, la diversità culturale è una ricchezza
Un ulteriore appello la Zec lo lancia contro il persistere del tribalismo, “realtà che non si può ignorare” perché ha portato alla “polarizzazione” tra i due principali partiti contendenti: il Patriotic Front (Pf) del vincitore Lungu, rappresentante della minoranza "nsenga", e lo United Party for National Development (Undp) dello sconfitto Hakainde Hichilema, esponente dei "tonga", gruppo radicato nel sud dello Zambia. Ma i vescovi sottolineano che “le 72 tribù presenti nella nazione e che parlano 43 lingue diverse non sono una maledizione, bensì una benedizione di Dio”. A Lui, dunque, bisogna essere grati per “questa ricca diversità culturale che rafforza il Paese attraverso la stima reciproca”. A cinquant’anni dal conseguimento dell’indipendenza, scrive ancora la Zec, lo Zambia “ha visto una rapida integrazione etnica” e quindi, “qualunque politico tenti di puntare sul tribalismo per ottenere un incarico istituzionale o emarginare l’opposizione risulta irrimediabilmente antiquato”. Tanto più che, esorta la Chiesa di Lusaka, “la scelta di leader pubblici deve basarsi sul merito di ciascuno e non sull’appartenenza tribale, la razza, il colore o lo schieramento politico”.

Appello all’obiettività dei mass media
Allo stesso tempo, i presuli condannano ogni forma di violenza elettorale, definendola “una forma di ammissione di paura o di fallimento per impressionare o conquistare l’elettorato”; denunciano “fortemente” gli scontri che hanno preceduto le consultazioni e ribadiscono “appassionatamente la necessità di mantenere la pace” nel Paese. Anche i mass-media vengono chiamati in causa: i vescovi ricordano il loro “ruolo vitale nell’informare ed educare la popolazione”, ruolo che deve essere portato avanti in modo “scrupolosamente professionale, obiettivo, responsabile, etico e super partes”, in quanto “indispensabile pilastro di una "governance" democratica”. “I cittadini dello Zambia amano la pace e desiderano vivere in armonia gli uni con gli altri. Tale delicato equilibrio – aggiunge la Zec – deve essere protetto” ed è per questo che i presuli denunciano “l’uso improprio della stampa per distruggere la nazione attraverso la disinformazione ed il sensazionalismo irresponsabile, invece di costruirla attraverso l’emancipazione della popolazione e la corretta informazione”.

I sacerdoti non si schierino politicamente
Un richiamo particolare viene lanciato anche ai sacerdoti, affinché non si schierino politicamente ma ricordino sempre che la Chiesa rappresenta “una voce profetica in difesa dei poveri”. Infine, ribadendo la necessità di accelerare le riforme costituzionali, la Chiesa di Lusaka conclude il suo messaggio con un ulteriore appello alla promozione della pace e della serenità nella nazione, perché “senza pace non c’è sviluppo”. (I.P.)

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Nigeria, elezioni: migliaia gli osservatori della Chiesa

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Nigeria,  oltre 4 mila osservatori della Chiesa alle elezioni
Saranno 4.889 gli osservatori che la Chiesa cattolica invierà nei 23 stati della Nigeria per le elezioni del 14 febbraio. Lo ha annunciato in questi giorni ad Abuja, durante una conferenza stampa, padre Evaristus Bassey, responsabile della Caritas nigeriana. Padre Bassey, che coordina i gruppi della Commissione per lo Sviluppo della giustizia e della pace, ha espresso preoccupazione sulla possibilità di violenze nel corso delle votazioni e per questo ha diramato raccomandazioni e indicazioni come misure preventive.

I leader religiosi sensibilizzino alla non violenza
Ai responsabili delle chiese e delle moschee viene chiesto di sensibilizzare i fedeli perché si evitino tafferugli quale che sia l’esito delle urne. Inoltre, si invitano i leader religiosi a non incitare all’odio e alla violenza e i giovani a tenere comportamenti pacifici. I cittadini sono esortati a non farsi strumentalizzare dai politici, a osservare correttamente le modalità di voto, a essere vigilanti di fronte a possibili scontri e a pregare perché le votazioni possano svolgersi senza incidenti e risse.

Cittadini siano pronti ad affrontare eventuali emergenze umanitarie
Il responsabile della Caritas Nigeria ha dato anche indicazioni perché ciascuno si organizzi nel caso di manifestazioni violente, cercando rifugi o abbandonando abitazioni in pericolo. Alle chiese e alle moschee si chiede poi di stanziare fondi per far fronte a eventuali emergenze umanitarie, perché possano essere sostenuti gli sforzi del governo non sempre sufficienti. Per padre Bassey - poiché il Paese vive da oltre quattro anni la crisi umanitaria provocata da Boko Haram - occorre essere preparati a certe contesti difficili. (T.C.)

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Francia, l'8 febbraio si celebra la "Domenica della salute"

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Francia, vescovi: nella malattia, felicità è possibile
È incentrato sul rapporto tra la felicità e la fragilità della malattia il messaggio che mons. Maurice Gardès, arcivescovo di Auch, in Francia, ha diffuso in vista della “Domenica della salute”. La giornata verrà celebrata domenica prossima, 8 febbraio. Nel documento, il presule nota come oggi sia ritenuto quasi “scandaloso” associare due parole come felicità e fragilità, soprattutto di fronte alle situazioni difficili della vita contemporanea: malattie, sofferenze, divorzi, violenze, disoccupazione, gli ostacoli della quotidianità che “lasciano all’uomo poco tempo per rispondere a sogni e desideri”.

Felicità non è edonismo, ma accettazione della fragilità umana
“Da dove deriva, allora, la felicità?", SI domanda il presule. "Oggi  – prosegue – si pensa che essa risieda nel denaro, nella bellezza, nel successo professionale” e per questo si temono le fragilità e le debolezze. In realtà, sottolinea mons. Gardès, è proprio “l’accettazione della fragilità, l’abbandonarsi ad essa che permette di raggiungere la serenità”, perché “accettare la sofferenza può aiutare a limitarla”. “Non c’è una felicità esterna alle nostre debolezze – aggiunge l’arcivescovo di Auch – perché essa è possibile nel cuore stesso delle nostre fragilità. Tutto dipende da come queste vengono recepite e vissute”.

Il richiamo alle Beatitudini
Di qui, il richiamo del presule a guardare alle Beatitudini, che la società considera “l’anti-felicità” perché lontane da un’ottica meramente edonistica e a seguire i loro insegnamenti restando accanto ai sofferenti. “Nelle nostre debolezze – spiega mons. Gardès – la presenza di un fratello, di un amico, di qualcuno che ci resti vicino, è come un balsamo sulla ferita, e permette alla felicità di raggiungere la nostra interiorità, senza fermarsi in superficie”.

“Una mano sulla bellezza del mondo e una sulla sofferenze degli uomini”
Citando, poi, lo scrittore gesuita padre François Varillon, il quale ricordava che bisogna avere “una mano sulla bellezza del mondo, una mano sulle sofferenze degli uomini e i due piedi nei doveri del momento presente”, mons. Gardès ribadisce che “tutti i cristiani sono chiamati ad avere cura delle persone più fragili e non c’è Vangelo, né vita cristiana, senza l’accettazione della fragilità, senza spirito di servizio nei confronti dei più piccoli, dei più poveri, dei più deboli”. “La fragilità e la felicità – conclude il presule francese – non sono possibili se non insieme, nella sequela di Gesù”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 36

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.