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Sommario del 29/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Sacramento della Riconciliazione nelle parole di Papa Francesco

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“La misericordia di Dio sarà sempre più grande di ogni peccato”: è quanto scrive Papa Francesco in un nuovo tweet sull’account @Pontifex in nove lingue. La frase è tratta da “Misericordiae Vultus”, la Bolla di indizione del Giubileo. Nel documento il Papa invita a porre “di nuovo al centro con convinzione il Sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia”. Il servizio di Sergio Centofanti

“Nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona” scrive Papa Francesco nel testo della Bolla per il Giubileo. Anche il perdono, però, ricordava all’inizio di quest’anno, ha una condizione:

“Non esiste alcun peccato che Dio non possa perdonare! Nessuno! Solo ciò che è sottratto alla divina misericordia non può essere perdonato, come chi si sottrae al sole non può essere illuminato né riscaldato” (Discorso ai partecipanti a Corso della Penitenzieria, 12 marzo2015).

Uno dei segni importanti dell’Anno Santo - ha detto il Pontefice durante un’udienza generale - è la Confessione:

“Dio ci comprende anche nei nostri limiti, ci comprende anche nelle nostre contraddizioni. Non solo, Egli con il suo amore ci dice che proprio quando riconosciamo i nostri peccati ci è ancora più vicino e ci sprona a guardare avanti. Dice di più: che quando riconosciamo i nostri peccati e chiediamo perdono, c’è festa nel Cielo. Gesù fa festa: questa è la Sua misericordia” (Udienza generale, 16 dicembre 2015).

Il perdono dei peccati - afferma Papa Francesco - non è “frutto dei nostri sforzi”, ma “dono dello Spirito Santo” che ci guarisce. E “non è qualcosa che possiamo darci noi. Io non posso dire: mi perdono i peccati. Il perdono si chiede, si chiede a un altro e nella Confessione chiediamo il perdono a Gesù”:

“Uno può dire: io mi confesso soltanto con Dio. Sì, tu puoi dire a Dio ‘perdonami’, e dire i tuoi peccati, ma i nostri peccati sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa. Per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa, ai fratelli, nella persona del sacerdote” (Udienza generale, 19 febbraio 2014).

Accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, anche la vergogna è salutare:

“Anche la vergogna è buona, è salutare avere un po' di vergogna … La vergogna fa bene, perché ci fa più umili” (Udienza generale, 19 febbraio 2014).

La Confessione, però, “non deve essere una tortura”. I confessori - è la sua esortazione - devono essere rispettosi della dignità e della storia personale di ciascuno. “Anche il più grande peccatore che viene davanti a Dio a chiedere perdono è ‘terra sacra’ … da “coltivare” con dedizione, cura e attenzione pastorale. “Tutti dovrebbero uscire dal confessionale con la felicità nel cuore, con il volto raggiante di speranza”:

“Il Sacramento, con tutti gli atti del penitente, non implica che esso diventi un pesante interrogatorio, fastidioso ed invadente. Al contrario, dev’essere un incontro liberante e ricco di umanità, attraverso il quale poter educare alla misericordia, che non esclude, anzi comprende anche il giusto impegno di riparare, per quanto possibile, il male commesso” (Discorso ai partecipanti a Corso della Penitenzieria, 12 marzo2015).

Il Pontefice afferma che ”né un confessore di manica larga, né un confessore rigido è misericordioso”:

“Il primo, perché dice: “Vai avanti, questo non è peccato, vai, vai!”. L’altro, perché dice: “No, la legge dice…”. Ma nessuno dei due tratta il penitente come fratello, lo prende per mano e lo accompagna nel suo percorso di conversione!  (…) Misericordia significa prendersi carico del fratello o della sorella e aiutarli a camminare” (Discorso ai partecipanti a un Corso della Penitenzieria, 12 marzo 2015).

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Mons. Toso: il 2015 di Francesco a difesa della pace e del Creato

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La custodia del Creato e la difesa della pace sono stati tra i temi forti del 2015 di Papa Francesco, in particolare con la pubblicazione dell’Enciclica Laudato si’. Un binomio, pace-Creato, che si lega anche con la dimensione della Misericordia di Dio al centro del Giubileo appena iniziato. Su questo anno di Francesco, a partire dal messaggio per la Giornata mondiale della pace sul tema “Vinci l’indifferenza e conquista la pace”, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, già segretario del dicastero “Giustizia e Pace”. Il prossimo 4 gennaio, il vescovo Toso aprirà la “Scuola di Pace”, promossa dalla Fraternità Francescana “Frate Jacopa”, che si terrà all’Istituto Salesiano Gerini di Roma fino al 6 gennaio: 

R. – L’indifferenza porta a non riconoscersi come simili, ossia come persone fatte per essere complementari, per la reciprocità, per il dono disinteressato. Se questo è vero, l’impegno di tutti, prima ancora che sul piano delle politiche, delle istituzioni, va allora dispiegato sul piano spirituale, culturale e pedagogico. Senza una nuova visione dell’uomo, senza l’educazione del cuore dell’uomo, diventa quasi impossibile battere quella indifferenza che vediamo tramutarsi spesso in odio e violenza. Occorre che la fraternità, assieme alla libertà e all’eguaglianza, torni ad essere pilastro della civiltà. Senza la fraternità, la libertà è per pochi. La pace o è impegno di tutti o non è.

D. – Il Giubileo può essere un’occasione per i cristiani di testimoniare la Misericordia contro quell’indifferenza che, appunto, come scrive il Papa, “uccide la pace”?

R. - Il Giubileo è senza dubbio il momento più alto per testimoniarla! Infatti, la Misericordia, intesa come vita di Dio donata all’uomo e da lui accolta, potenzia la sua capacità di vero, di bene, di Dio. In tal modo le persone non sono solo umanizzate, ma arricchite della capacità di Dio di amare, perdonare, rendere giustizia. Sperimentare la Misericordia di Dio rende capaci di realizzarla e di donarla, abilita ad essere protagonisti della giustizia più grande, ossia di una giustizia più che umana, che non esclude quest’ultima, bensì la presuppone e la trascende. La Misericordia di Dio infatti dà a ciascuno secondo non solo la propria dignità umana, ma anche secondo la dignità dei figli e delle figlie di Dio. Ciò è condizione di garanzia di ogni pace.

D. – La difesa del Creato è uno dei temi forti del Pontificato di Francesco. Ovviamente il pensiero va all’Enciclica Laudato si'. Ecco, il Papa ci mostra che difendendo il Creato si difende anche l’uomo, si difende anche la pace, vero?

R. – Pace e cura del creato vanno di pari passo. Una casa comune depredata e impoverita non può essere un’abitazione di pace. Proseguire poi nell’inquinamento, nel consumo dissennato delle risorse non rinnovabili, nella diminuzione della biodiversità, nelle migrazioni forzate di animali e persone, significa procedere sulla strada di un suicidio collettivo: è fare una guerra contro se stessi. L’alternativa obbligatoria è la cura della casa comune, perseguendo - come ha insegnato Papa Francesco - un’ecologia integrale, facendo leva su una cittadinanza corrispondente, esigendo che le convenzioni internazionali siano mantenute mediante una “governance” efficace. Il bene di un’ecologia integrale è parte integrante del bene comune della famiglia umana e della pace.

D. – Come vescovo di una diocesi italiana, e per molti anni collaboratore del Papa nel dicastero “Giustizia e Pace”, c’è un messaggio, un gesto, un’immagine di Francesco in questo 2015 che l’ha colpita?

R. – Penso al suo ultimo viaggio in Africa, dove il Pontefice ha insistito molto sulla necessità non solo di dare assistenza a popoli in difficoltà, ma ha attirato l’attenzione sulla necessità di superare i piani assistenziali, ha promosso l’idea che non ci si può limitare ad essi. La Chiesa, che pure ha una funzione che non è direttamente politica, ma di umanizzazione certamente, deve incoraggiare i credenti a superare l’aspetto caritativo, assistenzialistico. Incoraggia in modo particolare i laici a dedicarsi ad un aiuto più a 360 gradi, che implica politiche per la casa, politiche per l’istruzione, per la sicurezza sociale. Ora, questo fatto, che è in un certo qual modo un “ritornello” negli insegnamenti di Papa Francesco, ci aiuta a superare una visione della Chiesa ridotta a compiere solo attività caritative assistenziali. La Chiesa, evidentemente, non ha una funzione politica diretta, ma i credenti che - come ha detto bene il Papa al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze - sono dei cittadini, hanno l’obbligo di impegnarsi in politica, di vivere la carità di Cristo nel versante della politica, luogo di una carità più alta, e questo proprio per superare anche quel cliché di Chiesa, quasi che la Chiesa debba essere rintanata solo nel campo dell’assistenza e non anche nella sollecitazione all’impegno sociale e politico, e quindi ad un impegno non solo sul piano nazionale, ma anche internazionale.

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Papa crea nuova diocesi in Bangladesh

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In Bangladesh, Papa Francesco ha creato la nuova diocesi di Barisal, per dismembramento della diocesi di Chittagong, rendendola suffraganea della sede metropolitana di Dhaka, e ne ha nominato come primo vescovo mons. Subroto Lawrence  Howlader, della Congregazione della Santa Croce, finora ausiliare di Chittagong.

La nuova diocesi di Barisal  ha una superficie di 20.708 km e una popolazione di 15 milioni di persone, 30 mila delle quali cattolici, distribuiti in 5 parrocchie, con 13 sacerdoti diocesani e 6 religiosi, 4 religiosi maschili, 29 religiose e 3 seminaristi maggiori.
La Cattedrale della nuova diocesi sarà la Chiesa di San Pietro in Barisal e patrono della nuova Sede sarà San Pietro Apostolo.

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Il ritorno del figliol prodigo, cuore della medaglia del Giubileo

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A partire dal 4 gennaio 2016, sarà disponibile la medaglia ufficiale del Giubileo straordinario della Misericordia presso l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica dello Stato della Città del Vaticano e presso le diverse sedi della Libreria Editrice Vaticana. Sulle caratteristiche di questa medaglia, il servizio di Alessandro Gisotti:

E’ l’infinita misericordia del Padre che perdona i suoi figli l’immagine impressa nella medaglia ufficiale del Giubileo della Misericordia. Una medaglia che - in 50 millimetri di diametro - racchiude simboli e parole fondamentali per la vita di ogni cristiano e che richiamano immediatamente al significato profondo che Papa Francesco ha voluto dare all’Anno Santo straordinario. Sul dritto, la medaglia – opera dell’artista 33enne Mariangela Crisciotti – presenta lo stemma di Papa Francesco contornato dalla scritta in latino Iubilaeum Extraordinarium Misericordiae, “Giubileo straordinario della Misericordia”, sotto il nome dell’artista. Sul bordo, si legge la scritta E Civitate Vaticana, “Dalla Città del Vaticano”, con il numero della medaglia.

Al centro della medaglia, “Il ritorno del figliol prodigo” di Rembrandt
Sul rovescio, spicca un particolare del celebre dipinto di Rembrandt, “Il ritorno del figliol prodigo”, ispirato alla parabola del Padre misericordioso, descritta nel Vangelo di Luca. Particolarmente significativo è il fatto che le mani del Padre sulle spalle del figlio hanno una tratti chiaramente maschili, l’altra invece femminili come a voler significare che il perdono è del Padre, ma passa attraverso il ministero della Chiesa. Intorno al particolare, la scritta In Aeternum Misericordia Eius, “Eterna è la sua Misericordia”, il ritornello che ricorre in ogni versetto del Salmo 136 e che viene citato da Francesco tre volte nella Misericordiae Vultus, la Bolla di indizione del Giubileo.

La medaglia è incastonata in una cornice ricca di simboli cristiani
Ogni esemplare è accompagnato da un certificato di garanzia, numerato, con timbro a secco della Segreteria di Stato e dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Italiano. La medaglia è incastonata in una scultura fusa in bronzo, opera della scultrice Daniela Fusco, ornata su entrambi i lati con tralci d’uva che rappresentano l’Eucaristia e richiamano il Popolo di Dio, la “Vigna del Signore”, ed il pavone che – nell’iconografia dei primi cristiani – simboleggiava la risurrezione e la vita eterna. Una vita dunque infinita, come infinita è la Misericordia del Padre.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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La sfida più grande: nel Mediterraneo tratti in salvo mille migranti in un solo giorno.

Tra due Caroline: l'introduzione del direttore al libro "Risponde papa Francesco. Tutte le interviste e le conferenze stampa".

Un mese fa la visita del Papa in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana: gli articoli di John Njue, cardinale arcivescovo di Nairobi; di Giuseppe Franzelli, vescovo di Lira, e di Jean-Baptiste Sourou.

Il coraggio della misericordia: fratel Alois ai venticinquemila giovani giunti a Valencia per il tradizionale incontro europeo di Taizé.

Dall'anno del Sinodo all'anno del Giubileo: intervista di Nicola Gori al cardinale Lorenzo Baldisseri.

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Oggi in Primo Piano



Presidenziali in Centrafrica: alle urne per un futuro di pace

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Un passo decisivo per porre fine alla crisi più grave che la Repubblica Centrafricana ha attraversato dall’indipendenza, avvenuta nel 1960, ad oggi. Queste le speranze per il primo turno delle presidenziali di domani, speranze già espresse il 29 novembre scorso da Papa Francesco all’apertura della Porta Santa della Cattedrale di Bangui, per l’inizio del Giubileo della Misericordia. Per quasi tre anni, il Centrafrica è stato sconvolto dalle violenze. Una situazione che ha portato alla deposizione del presidente Bozizé. Sull’importanza del voto, Giancarlo La Vella ha intervistato il missionario saveriano, padre Aurelio Gazzera

R. – Le speranze sono tante anche se, certo, i dubbi non mancano sulla corretta organizzazione non tanto del voto, quanto soprattutto dello spirito della gente. C’è ancora molta tensione, anche se dopo la visita del Papa va tutto molto meglio.

D. – A proposito di questo, a Bangui è iniziato idealmente l’Anno Santo della Misericordia: che cosa è rimasto del messaggio del Papa ai centrafricani?

R. – E’ rimasto molto! La settimana scorsa ero a Bangui e sono passato proprio dal “chilometro 5”, dove ormai da mesi non si poteva più passare… Poi mi sono fermato a comprare il pane da un tipo che mi sembrava essere musulmano, visto che ero davanti alla moschea in cui era andato il Papa. Ci siamo scambiati gli auguri e gli ho chiesto come andasse, lui mi ha risposto che la visita del Papa è stata un avvenimento che ha comunque toccato in profondità il cuore di parecchia gente e che ci sono stati dei cambiamenti in positivo. E’ stato accolto veramente da tutti, con tanta semplicità ma anche con tanta gioia. Tutte le paure che c’erano si sono sciolte davanti alla sua persona, ma soprattutto davanti al suo richiamo verso Cristo, verso Dio, verso la pace e la riconciliazione. Questo messaggio di misericordia con la Porta Santa, che si è spalancata nella Cattedrale di Bangui in anteprima mondiale, è stato un gesto molto apprezzato, sentito e capito almeno in buona parte della popolazione.

D. – C’è in Centrafrica un panorama politico ancora molto diviso?

R. – Ci sono 29-30 candidati per le presidenziali, che sono tanti, troppi… Molti dei quali sono conosciuti pochissimo e soltanto alcuni sono più conosciuti e saranno questi che se la vedranno al secondo turno. Pochi candidati hanno un programma chiaro e serio, anche la campagna elettorale è stata molto scarsa, perché i tempi erano molti brevi e quindi non si sono potuti spostare molto per il Paese. I vescovi hanno mandato un bel messaggio, per aiutare la gente a riflettere e dare un voto secondo coscienza: non scegliere basandosi troppo sull’etnia o sulla regione di appartenenza, ma guardando a chi può fare veramente il bene del Centrafrica.

D. – Lei personalmente come vede l’immediato futuro del Paese?

R. – Probabilmente, ci saranno degli accordi tra le varie forze politiche e tra i vari personaggi e quindi bisognerà vedere come si riuscirà a scegliere un presidente e un governo che possano poi effettivamente darsi da fare per cambiare un po’ la situazione. Preghiamo molto per questo e abbiamo anche lavorato molto come “Giustizia e Pace” e come Caritas, anche per cercare di aiutare la gente a capire l’importanza del voto e l’importanza soprattutto della scelta secondo coscienza di gente seria. Quindi speriamo, anche se i dubbi e le paure sono ancora molte.

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Terrorismo: due arresti in Belgio. Hacker contro l'Is sul web

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Allarme terrorismo: due le persone arrestate in Belgio con l’accusa di pianificare attentati nei giorni di Capodanno in luoghi simbolici di Bruxelles. Trovato materiale di propaganda dell’Is e uniformi militari. Il governo ammette che il sostegno all’estremismo islamico è maggiore di quanto stimato e promette un giro di vite e una nuova banca dati sui jihadisti per coordinare le ricerche. Ma la lotta al terrorismo avanza sempre più anche on line, specie tra gli attivisti di Anonymous. Del giorno di Natale il loro annuncio di aver sventato un attentato in Italia e  la promessa: “Cancelleremo 1000 account sospetti al giorno”. Ma quanto sono attendibili e come possono contribuire gli hacker in una battaglia globale all’Is? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Matteo Flora esperto di monitoraggio e sicurezza informatica: 

R. – Che cosa possono fare? In genere, molto. Perché si può rilevare tutta una serie di segnali, account – quindi profili – sui vari social network, sistemi di comunicazione, e si possono rilevare anche persone. In genere, però, questo tipo di analisi deve poi avere il supporto locale delle forze dell’ordine che intervengono.

D. – Sarebbero in grado di sventare un attentato?

R. – E’ possibile, se l’attentato si basa – ad esempio – su una sofisticata rete di comunicazione che può essere bloccata, e a poche ore dall’attentato il fatto di distruggere i canali di comunicazione che vengono utilizzati e che magari sono stati creati mesi prima, potrebbero a tutti gli effetti compromettere l’azione di terrorismo.

D. – Per quale motivo si combatte l’offensiva di Anonymous?

R. – Sono sempre legati a un concetto esteso di libertà, quindi Anonymous agisce su tutti i regimi repressivi o regimi di terrore. Che siano regimi nazionali o che siano in questo caso attacchi terroristici, poco cambia.

D. – A che livello è la collaborazione con le autorità?

R. – Storicamente è sempre stata molto complessa, sia perché Anonymous non condivide buona parte dei suoi risultati in maniera preventiva con l’Intelligence sia perché comunque, viste le diverse persecuzioni dei membri del collettivo in buona parte del mondo, non esiste un regime di grande fiducia tra l’identità collettiva di Anonymous e gli inquirenti. Spesso proprio non esiste il contatto, cioè i dati che Anonymous rilascia sono spesso rilasciati direttamente al vasto pubblico e l’Intelligence è solo una delle realtà che usufruisce di questi dati.

D. – L’obiettivo – quelli di Anonymous lo hanno ribadito – è quello di rallentare la propaganda dell’Is on line. Ma di tutta risposta gli esperti cosiddetti dell’Is non sono rimasti a guardare: hanno diffuso on line addirittura dei manuali per difendersi. Vuol dire che è una lotta tra pari? E’ una lotta informatica, quella che stiamo vivendo?

D. – Stiamo parlando di un conflitto telematico a tutti gli effetti; stiamo parlando, in realtà, di un conflitto che vede contrapposti diversi tipi di organizzazioni. Senza ombra di dubbio, parte di questo conflitto digitale consiste in operazioni volte a manipolare l’opinione pubblica, da una parte e dall’altra. E secondo me, questi sono in realtà il tipo di attacchi che porterà a maggiori risultati.

D. – L'Is ha altrettanti esperti in questo campo?

R. – Bè, da questo punto di vista sì: pare ovvio. Basta vedere anche solo come si muovono gli organi di comunicazione: l’ultimo spot diffuso su Daesh potrebbe essere benissimo un provino di un nuovo gioco di ultima generazione. Le tecniche utilizzate – di montaggio, di analisi, di grafica – non hanno nulla da invidiare alle migliori produzioni cinematografiche e televisive. Non dimentichiamo che non stiamo parlando di beduini del deserto, come tanta gente si immagina Daesh operativa; ma stiamo parlando di una rete internazionale che ha a disposizione moltissimi agenti sul territorio con un livello di istruzione elevato, se non elevatissimo, professionisti nel loro ambito che semplicemente si votano a una causa.

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Guinea libera dall’Ebola: storia di Noubia, sopravvissuta grazie a Msf

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Dopo la Sierra Leone a novembre, anche la Guinea Conakry è stata dichiarata fuori pericolo dal virus ebola. Ad annunciarlo oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), seguendo l’evolversi del virus di febbre emorragica che ha ucciso oltre 2.500 persone nel Paese dell'Africa Occidentale, con 3.800 casi su un totale di 28.000. Sono infatti trascorsi 42 giorni dal decesso o dal ricovero dell’ultimo paziente, senza che in questo periodo si siano registrati nuovi contagi. Ora anche la Liberia - che ha registrato il numero più alto di vittime, circa 4.000 - attende la conferma della fine dell'epidemia, scoppiata nel dicembre del 2013. Ma come questa tragedia lascia di fatto la Guinea? Giada Aquilino lo ha chiesto a Chiara Burzio, infermiera torinese di Medici Senza Frontiere (Msf), appena rientrata da Conakry: 

R. – L’ebola, dopo quasi due anni di epidemia, ha segnato profondamente tutti e tre i Paesi: non solo la Guinea, ma anche la Liberia e la Sierra Leone; ha lasciato più di 11.300 morti e, fortunatamente, anche 15 mila sopravvissuti. Si tratta di pazienti che hanno problemi non solo fisici, ma anche psicologici. L’ebola lascia delle conseguenze per cui queste persone devono essere prese in carico da un sistema sanitario che però è stato colpito profondamente. Non bisogna dimenticare, infatti, che l’ebola ha attaccato e ucciso più di 110 operatori sanitari.

D. – Questo virus ha provato il Paese anche dal punto di vista economico e sociale. Cosa c’è da fare ora?

R. – Bisogna prendere in cura i sopravvissuti e bisogna non abbassare la guardia, restando sempre in allerta, perché è vero che l’ebola è finita per ora ma è sempre possibile che questa epidemia ricominci.

D. – Come avete operato in questi mesi?

R. – Dall’inizio dell’epidemia, Medici Senza Frontiere ha operato in Sierra Leone, Guinea e Liberia con 3.500 staff locali, nazionali, e 300 staff internazionali. Per due anni si è lavorato nei centri di trattamento dell’ebola, per cercare di salvare più vite possibili ed arginare l’epidemia.

D. – C’è un episodio che durante le vostre operazioni l’ha colpita in modo particolare?

R. – Sì, assolutamente. Durante la mia ultima missione in Guinea – sono tornata il 15 dicembre scorso – abbiamo “chiuso” l’epidemia con l’ultima paziente, una bimba nata nel nostro centro di trattamento dell’ebola a Conakry, da una mamma positiva alla malattia e nata anch’ella positiva. E’ la prima neonata sopravvissuta e guarita dall’ebola al mondo.

D. – Come si chiama?

R. – Noubia. Sta bene e la seguiamo tutte le settimane nel nostro centro. La mamma purtroppo è deceduta per emorragia il giorno in cui ha dato alla luce Nubia.

D. – Questa è un’altra faccia del dramma, cioè i bambini orfani. Sono oltre seimila in Guinea. Come si cerca di far fronte a tale emergenza?

R. – Il governo della Guinea e altre associazioni stanno cercando di far fronte al problema, prendendo in carico i bambini e cercando famiglie adottive. Si spera di dare supporto a tutti. Più che altro noi, come Msf, ci mettiamo in contatto con le associazioni che se ne occupano e facciamo da collante con le altre organizzazioni.

D. – L’emergenza ebola è stata dichiarata conclusa in Guinea e a novembre in Sierra Leone. Rimane la Liberia…

R. – La Liberia era stata già negli scorsi mesi dichiarata libera dall’ebola, ma ci sono stati altri casi sporadici. In questo momento anche lì si sta facendo il conto alla rovescia: la Liberia dovrebbe essere dichiarata libera dall’ebola all’inizio del 2016, se non si verificheranno altri casi.

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2015: economia in ripresa per Ue ma meno a livello globale

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In tema di economia, il 2015 sostanzialmente è stato l’anno della ripresa per Stati Uniti e Europa, mentre in Asia ha portato turbolenza. C'è il rischio di nuovi scollamenti tra economia della finanza e economia reale. Per tracciare un bilancio e capire qualcosa delle possibili prospettive, Fausta Speranza ha intervistato l’economista Paolo Guerrieri, docente all’Università La Sapienza di Roma: 

R. – C’è stata una ripresa che era appannaggio solo degli Stati Uniti e dell’Asia fino a qualche tempo fa e che, invece, si è estesa sia al Giappone ma soprattutto all’Europa, all’area dell’euro, che ha ripreso a crescere nel 2015. In qualche modo l’euro è il motore che in questo momento sta accelerando rispetto invece ad altri motori, per esempio anche la stessa economia americana, che conoscono un periodo di rallentamento. Se per questo verso è stato un anno positivo, per l’altro ha, invece, deluso perché si pensava che questa ripresa a livello internazionale non solo si consolidasse ma in qualche modo imboccasse senza indugi un vero e proprio sentiero di crescita stabile. Questo non è avvenuto perché nella seconda parte dell’anno, in realtà, c’è stato un rallentamento, tanto che la crescita a livello mondiale quest’anno si stima un po’ superiore al 3% e quindi molto al di sotto degli standard medi. E ci sono nuvoloni che si addensano, e che sono un po’ il portato di questi ultimi mesi, che vengono soprattutto, come sappiamo, dalla Cina e da quella vasta area di Paesi emergenti che sono stati in questi anni la vera risorsa di sostegno alla ripresa globale e che si stanno invece trasformando in un grande problema. Questo è un po’ il lascito del 2015.

D. – Parliamo proprio di equilibri a livello mondiale. Abbiamo cominciato a imparare con la crisi scoppiata nel 2007 che quello che succede in un Paese comunque ormai ha una ripercussione anche dall’altra parte del pianeta…

R. – Io direi proprio di sì. Nel senso che il 2015 è stato l’anno in cui in particolare si è toccato con mano. Anche i meno avvertiti – coloro che in qualche modo non avevano poi fino in fondo creduto a questa sorta di riequilibrio dell’economia mondiale – hanno visto che un’economia basata sostanzialmente su Stati Uniti e Europa si è sempre più trasformata in un’economia in cui c’è un terzo polo, quello del Sudest asiatico, e soprattutto c’è un terzo grande attore che è la Cina. Anche i più scettici hanno toccato con mano nel 2015 proprio una cosa di questo genere, quando ad agosto in piena estate – di solito è sempre in piena estate che scoppiano le crisi finanziarie – abbiamo cominciato a tremare e in Europa e nel resto dell’area avanzata proprio perché c’era stato un vero e proprio crollo dei corsi azionari sui mercati cinesi. In particolare, il rallentamento dell’economia cinese che dai mitici 10-11% era scesa intorno al 7, se non ancora più in basso. Lì abbiamo temuto in maniera molto concreta che addirittura la crescita, che si stava consolidando nell’area europea e proseguiva in quella americana, potesse addirittura arrestarsi. Quindi, si è ormai constatato che l’economia è almeno tripolare, cioè si muove su poli consolidati quali quello euroamericano ma ormai ha un polo asiatico, in particolare cinese, che conta molto. Conta, come è successo negli ultimi anni, in positivo perché è stato il traino della crescita, ma conta e può contare anche in negativo quando avranno dei problemi di natura soprattutto strutturale. Questo lo dico perché c’è una vera transizione in Cina da un modello tutto trainato dalle esportazioni a un modello basato sui consumi interni. Questa transizione è difficile e, a questo punto, non è solo la Cina a preoccuparsi ma è l’intera economia mondiale. Quindi, credo che il 2015 abbia definitivamente consolidato questa immagine di un’economia mondiale tripolare, se non addirittura multipolare.

D. – Una parola anche sul binomio, o possiamo dire doppio binario, tra economia della finanza e economia reale: anche questo abbiamo toccato con mano in tempi di crisi?

R. – Lo abbiamo toccato e ritoccato con mano, perché noi veniamo da anni bui, nel senso che la grande crisi, la grande recessione del 2008-2009 sono nate proprio da distorsioni di questo binomio: economia finanziaria-economia reale. Si tratta di un binomio che, quando si muove in parallelo, in qualche modo si sostiene a vicenda, ma quando soprattutto l’economia finanziaria prende una sua direzione, indipendentemente dall’economia reale, e quindi si gonfia a dismisura, succede quello che è successo nel 2008-2009, vale a dire un grande crack finanziario trasformatosi poi in una recessione reale. Nel 2015, abbiamo cominciato a vedere – per fortuna per ora sono ancora primi segnali ma primi segnali preoccupanti – un nuovo scollamento tra un’economia finanziaria che marcia a ritmo impetuoso e un’economia reale che invece stenta in qualche modo a seguirne le orme. E questo è sempre foriero di problemi perché i mercati finanziari che si gonfiano poi alla fine devono per forza ritornare sul mondo reale. Non sono ancora assolutamente segnali rossi come si cominciarono ad avvertire nel 2006-2007, ma certamente vanno presi sul serio e bisogna mettere in atto delle contromisure, altrimenti il pericolo potrebbe diventare ancora più minaccioso.

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Rapporto Rsf: due giornalisti su tre muoiono in zone di pace

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Sono stati 110 i reporter uccisi nel 2015. A documentarlo è l’annuale dossier dell’organizzazione Reporter senza frontiere, che quest’anno sottolinea un dato a sorpresa, rispetto al 2014 e agli altri anni: delle vittime solo una su tre si trovava in zona di confitto. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Non si muore più solo in guerra, ma anche seduti alla propria scrivania. E’ il sette gennaio quando a Parigi, in un attacco terroristico, vengono uccise nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo, dodici persone, sette delle quali giornalisti. A meno di un anno di distanza, Reporter senza frontiere ci dice che a crescere in questi 12 mesi è stato proprio il numero di cronisti uccisi in Paesi formalmente in pace, assassinati in casa per aver condotto scomode inchieste. L’attacco parigino ha portato la Francia a ritrovarsi al terzo posto nella classifica dei Paesi più a rischio, guidata da Iraq, Siria e poi ancora da  Yemen, Sud Sudan, India, Messico. Di chi sono quindi oggi bersaglio i giornalisti? Domenico Affinito, vicepresidente di Reporter senza frontiere Italia:

“Di chi ha sete di potere, di chi detiene il potere e lo esercita in maniera autoritaria, di chi ha il potere militare o ha il potere paramilitare – quindi gruppi di criminalità organizzata – a cui chiaramente il lavoro del giornalista approfondito, critico e che porta alla luce le verità nascoste dà fastidio”.

54 i reporter rapiti e tenuti in ostaggio, il numero più alto dei quali in Siria. Altro dato drammatico, quello degli arresti, l’altro modo per ridurre al silenzio la stampa libera. Sono state 154 le persone nel 2015 a essere state imprigionate, soprattutto in Cina, in Egitto, ma anche nella Turchia del presidente Erdogan, che quest’anno ha fatto arrestare nove persone. A correre i rischi maggiori sono i fotoreporter, coloro che documentano fotograficamente e che per questo sono in prima linea sul campo. Enrico Mascheroni è uno di loro, anch’egli di Reporter senza frontiere italia:

“Io ho iniziato a seguire la guerra dell’Iraq del 1991, seguita poi da Sarajevo, dove sono morti più di 60 giornalisti e forse quella, nella mia esperienza trentennale, è stata poi una svolta significativa su come le parti violente, le parti militarizzate del conflitto puntavano sul giornalista rispetto a quello che succedeva in altre guerre. Dall’assedio di Sarajevo è cambiato molto e ne è stata poi la dimostrazione anche la seconda guerra del Golfo, completamente blindata alla stampa”.

Nella lista delle vittime compaiono 27 “citizen-journalists”, ancora Affinito:

“Per ‘citizen journalists’ noi consideriamo quelle persone che, pur non essendo giornalisti, si occupano di giornalismo per informare di quello che avviene nel loro intorno, quelli che una volta potevano essere definiti “cyber dissidenti”, quei giornalisti cioè del giornalismo cittadino, del libero informare di quanto avviene all’interno della propria comunità. Infatti, per il 64% dei casi sono stati uccisi non in zone di guerra, ma perché evidentemente quello che avevano scritto aveva dato fastidio a qualcuno”.

Tra i morti si contano freelance e soprattutto "stringer", giornalisti locali utilizzati dalle testate importanti internazionali per coprire realtà difficili di guerra e non solo. Sono proprio questi  professionisti i meno tutelati, Domenico Affinito:

“Noi, come Reporter senza frontiere, cerchiamo di fare qualcosa e questo qualcosa è fornire loro degli strumenti: lì, dove sono zone di guerra, elmetti e giubbotti antiproiettile, ma anche, sia in zone di guerra che in zone non di guerra, cerchiamo di fornire loro una copertura di carattere assicurativo a costi accessibili. Si parla di 3-6 euro al giorno, anziché le migliaia di euro che vengono a costare invece i giornalisti delle grandi testate, che sono coperti dalle grandi assicurazioni europee”.

Da non sottovalutare, infine, il rischio che oggi comporta l’evoluzione delle tecnologie. Mascheroni:

"Una mancanza di presa di coscienza di cosa si sta andando a fare e dei rischi che ci sono: questo, secondo me, è stato molto facilitato dall’evoluzione del digitale, da un’evoluzione tecnologica, adesso dalle reflex agli smartphone tutto diventa più accessibile e molto più immediato nella condivisione, adesso si condivide il materiale immediatamente sul posto. Quindi, può creare sicuramente il problema di bonariamente banalizzare il rischio. Ciò che spaventa molto è la facilità con la quale una fotografia che viene scattata da una qualsiasi persona, che sia giornalista, che sia un aspirante giornalista, che sia un turista, la possibilità con la quale possa essere poi veicolata sui social media: ecco, io penso che sia questo a fare paura. Oltretutto, non si cancella più niente di quello che è stato scritto, di quello che è stato detto".

La minaccia principale, si legge nel  rapporto, viene dai cosiddetti gruppi non statuali, un esempio fra tutti, i jihadisti dell’Is. Molti governi però non rispettano i loro obblighi stabiliti dal diritto internazionale. Ecco, quindi, che la risposta a queste morti deve arrivare dalla comunità internazionale che deve farsi carico di tutelare il lavoro del giornalista, un lavoro utile dal punto di vista sociale e dal punto di vista storico.

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La Cittadella di Assisi compie 75 anni

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La Cittadella di Assisi compie 75 anni. "Pro Civitate Christiana", l’Associazione di laici d'ispirazione cattolica nata prima del Concilio Vaticano II, festeggia la sua storia di dialogo e accoglienza con una tre giorni di incontri. Il tema scelto è “Quando la memoria ha il fascino dell’Utopia” per ragionare, secondo gli organizzatori, su come “continuare a far germogliare quel seme di Assisi che ognuno si porta dentro”. Veronica Di Benedetto Montaccini ne ha parlato con Roberto Mancini, professore di Filosofia teoretica all’Università di Macerata, coordinatore di Cittadella Edizioni e relatore in occasione del 75.mo: 

R. – La realtà di Pro Civitate è radicata nella città di Assisi, nella memoria e nell’utopia di Assisi, che sono categorie particolari di questa città, date anche dall'insegnamento di Francesco e Chiara. Direi che la Pro Civitate per mantenere alti questi valori dovrà essere un centro permanente di incontro e di dialogo interreligioso. Questo direi merita un impegno continuativo.

D. – Avete scelto di dare un tema a questo anniversario: “Quando la memoria ha il fascino dell’utopia”. Pro Civitate Cristiana vuole essere un invito per una Chiesa che precorre il futuro?

R. – La memoria è stata una categoria dell’amore e non dell’intelletto: significa che ha tenuto conto delle persone in primo luogo e del creato. L’utopia, a sua volta, non è stata una fuga in un avvenire immaginario, ma è stata la scelta di cominciare a vivere nel modo che il Vangelo illumina. Per questo sono stati 75 anni di grande fecondità, che lasciano un’eredità da seguire.

D. – L'anniversario della Cittadella ricorre nel 40.mo dalla morte del suo fondatore, che ha dato un grande insegnamento ai volontari che hanno animato negli anni l'associazione. Don Giovanni Rossi come leggeva questa utopia?

R. – Don Giovanni diceva che l’utopia crea rapporti nuovi fra le persone e semina una società nuova. Il cristianesimo non può essere dato come un patrimonio scontato, come qualcosa di già consumato, che semplicemente si ripete. Con l'utopia si può continuare a crescere, impegnandosi ogni giorno. 

D. – Pro Civitate è l’esperienza laica partita prima del Concilio Vaticano II, che ha aperto poi le porte a tante altre iniziative. Può spiegare l’importanza storica di questa svolta e che valore hanno portato le associazioni laiche per il futuro?

R. – Pro Civitate è stato veramente un luogo di incontro tra culture, tendenze e persone diverse, che accettavano di confrontarsi col Vangelo. Ricordo solo che, dopo uno dei Convegni qui alla Cittadella, Pier Paolo Pasolini concepì e realizzò “Il Vangelo secondo Matteo”. E’ stato, quindi, un luogo veramente di incontro nell’annuncio del Vangelo. La Pro Civitate può ancora oggi realizzare un’alleanza con quei movimenti, associazioni, persone che nella Chiesa, o in altre appartenenze, cercano veramente un modo adeguato per esprimere la dignità umana e la salvaguardia del creato.

D. – Centrale è sempre stata la cultura, questo anche per riuscire a dialogare con laici, con atei o comunque con il maggior numero di persone possibile?

R. – L’importanza della cultura nella Pro Civitate ha avuto due significati. Primo: la cultura come autocoscienza umana. L’uomo, quando non si vede, combina disastri. Se invece vede la sua dignità, allora realmente può vivere la fraternità. Secondo, la cultura è coltivare il tempo nuovo. Il futuro non viene da sé, ma viene grazie alla passione, alle idee, alle elaborazioni che nell’insieme fanno la cultura. Allora, sviluppare la cultura significa imparare ad accogliere il futuro.

D. – Pace e accoglienza rimangono le parole d'ordine per il futuro di Pro Civitate Christiana?

R. – Assisi è diventata un luogo di amore culturale, amore educativo, amore sociale e quindi accoglienza, una fonte non solo per la Chiesa italiana, ma anche per la nostra società. Ecco perché la Pro Civitate non è un contenitore, ma è una realtà viva di grande futuro.

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Trattamento sanitario obbligatorio: in tv il film "87 ore"

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E’ già nei cinema italiani e dalla tarda serata di oggi approda anche in tv - per la serie "DOC3, documentari d'autore di Rai 3 - un film unico nel suo genere, che documenta quanto ripreso dalle telecamere del reparto psichiatrico dell’Ospedale di Vallo della Lucania, in provincia di Salerno, nel 2009. "87 ore" è il titolo ma anche la durata del ricovero del protagonista, Francesco Mastrogiovanni, maestro elementare, che morirà dopo cinque giorni di Trattamento sanitario obbligatorio trasformatosi in tortura e omicidio, perseguito dai magistrati. Dall’arrivo in ospedale, al letto di contenzione con le caviglie e i polsi legati da cinghie ininterrottamente, Francesco non verrà mai visitato, mai curato o nutrito, mai neanche lavato. "Sono rimasto profondamente colpito dalle immagini graffianti, striate dalla sofferenza di questa persona”, ha commentato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. La regista, Costanza Quatriglio, ne parla come un "percorso disumano che vuole e deve far riflettere”. Gabriella Ceraso l'ha intervistata: 

R. – Al centro c’è l’osservazione come veicolo di relazione degli esseri umani: lui è stato osservato da una macchina e non dagli uomini. Se fosse stato guardato dagli esseri umani sarebbe vivo.

D. – Qual è stato il suo sforzo - perché c’è stato e chi ha visto il film lo sa - di trasformare quel "disumano" in umano? Dov’è la vita, il grido alla libertà in questo film?

R. – C’è ed è trasparente in tutti i fotogrammi del film, anche laddove c’è il disumano più terribile. Il percorso che io ho fatto è quello di voler dare un senso a quella insensatezza, attraverso una struttura drammaturgica che fosse il rovesciamento della cura. Il primo atto è l’accettazione, cioè l’ingresso in ospedale, ma anche l’accettazione del Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) da parte di Francesco Mastrogiovanni, il che, peraltro, farebbe venir meno l’obbligatorietà del Tso. Il secondo atto è l’osservazione che risulta parossistica, perché invece di essere osservato dall’essere umano, Francesco è stato osservato da una macchina. Poi il mantenimento, che è un mantenimento dello stato di fatto e non ha nulla a che vedere con il "tenere in vita". Poi c'è la visita, la visita interdetta ai familiari, ma è anche la visita che noi facciamo alla casa di Francesco Mastrogiovanni e capiamo che c’è un "fuori", oltre che un "dentro" … E così come le dimissioni, ultimo capitolo del film, sono dimissioni di tutti quanti noi: le dimissioni dello Stato e non solo le dimissioni di Francesco.

D . – Quali effetti vorrebbe producesse questo film? Chi lo guarda si riempie un po’ di impotenza, ma anche di rabbia…

R. – Io vorrei che questo film facesse parlare della storia di Francesco Mastrogiovanni, come primissima cosa, che fosse una luce per poter parlare della contenzione e delle modalità di applicazione dei Tso. E poi vorrei che se ne parlasse anche dal punto di vista del linguaggio che utilizza, che se ne parlasse cioè come un film vero e proprio, perché è stato molto importante sfidare la meccanicità di quelle immagini.

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Thomas Becket, martire per la libertà della Chiesa

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La Chiesa celebra oggi la memoria di San Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury, morto martire nel 1170 sotto il regno di Enrico II d’Inghilterra. La sua vicenda – che ha ispirato tra l’altro il capolavoro letterario di Thomas Eliot, “Assassinio nella cattedrale” – è emblematica di cosa significhi essere fedele a Cristo senza cedere alla tentazione di condurre una vita evangelica sfruttando poteri e rendite di posizione. Il servizio di Alessandro De Carolis

Il momento prima, gigantesco uomo di Stato, ossequiato anfitrione con l’odore del potere. Il momento dopo, un semplice uomo del Vangelo con l’odore dei poveri. La gloria può vestire morbidi panni o un saio austero, dipende da dove la si cerchi.

Strenuo difensore della Chiesa
Quando Thomas Becket accetta di diventare arcivescovo di Canterbury – lui, cancelliere di sua maestà, cioè il numero due del regno d’Inghilterra – sa che sta per attraversare un ponte che gli crollerà alle spalle. Se fino ad allora era stato il primo consigliere di re Enrico II – che premeva perché accettasse il seggio di Canterbury così da avere un alleato per i suoi piani – non appena insediatosi, il nuovo arcivescovo diventa strenuo difensore della Chiesa e dunque, in un attimo, primo nemico del suo amico re. Il fatto è che Becket è uomo dal cuore integro e se la sua carica precedente gli chiedeva di spalleggiare il suo signore, ora accade lo stesso, solo che il Signore di cui è ora ministro è un Altro, che non siede in trono ma è appeso in Croce.

Senza esitare
È il 1161 quando Becket lascia Londra per la sede di Canterbury. Feste e fasti di corte diventano un ricordo. La sua vita ora è in ginocchio in preghiera, è abbondante elemosina per i poveri, è chinarsi sul pagliericcio di un malato. Ed è contrasto fiero e duro con il suo re. Il piano di Enrico II prevedeva l’appoggio del “suo” Thomas per limitare i privilegi della Chiesa a vantaggio della corona. Ma il diniego irremovibile di Becket manda tutto all’aria. Le Costituzioni di Clarendon non vengono sottoscritte dall’arcivescovo di Canterbury, che anzi si appella al Papa Alessandro III per chiedere aiuto. Intanto si dimette e lascia l’Inghilterra.

“Sono vescovo e sacerdote di Dio”
Torna in patria dopo sei anni, trascorsi in un monastero cistercense e anche come ospite del re di Francia, Luigi VII. Torna, ma anche l’ultimo barlume dell’antica amicizia con Enrico II ormai è spento. Un ulteriore contrasto accende la miccia di una vendetta che la storia sostiene non fosse nelle intenzioni del monarca inglese. In ogni caso, la richiesta proferita un giorno – cronaca o mito che sia – che qualcuno lo liberasse da quel vescovo detestato viene presa sul serio da quattro cavalieri. I quali il 29 dicembre 1170 piombano in cattedrale a Canterbury urlando: “Dov’è Thomas il traditore?”, e ricevendo in risposta: “Sono qui, ma non sono un traditore, bensì un vescovo e sacerdote di Dio”. Thomas Becket cade sotto le coltellate e quel giorno nasce al cielo un martire per la Chiesa inglese. La gente viene in massa a visitarne la tomba, Papa Alessandro lo canonizza due anni dopo la morte. Ha commentato uno storico inglese: “Thomas non aveva vissuto come un santo, ma morì come tale, un uomo dai molti aspetti che cercava la gloria, che trovò alla fine, con coraggio e abnegazione”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nigeria, nuovi attacchi di Boko Haram: decine di vittime

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Tornano a colpire in Nigeria i miliziani islamici di Boko Haram. Una serie di attentati nello Stato del Borno hanno provocato decine di morti e feriti. Un’azione che, secondo gli osservatori, potrebbe rappresentare il primo atto di una ripresa in grande stile dell’attività terroristica del gruppo terrorista. A Maiduguri, capitale dello Stato del Borno, in un primo attacco nella notte tra domenica e lunedì con esplosioni e sparatorie 30 persone sono morte e 90 sono rimaste ferite, mentre altre 20 sono state uccise ieri mattina da una donna kamikaze nei pressi di una moschea. Altre due ragazze si sono fatte esplodere nel quartiere di Buraburin, uccidendo diverse persone; successivamente, alcuni residenti hanno trovato ordigni inesplosi. Invece a Madagali, 150 chilometri a sudest di Maiduguri, il bilancio delle vittime è ancora da stabilire. Gli attacchi dei fondamentalisti islamici appaiono come una sfida al presidente Muhammadu Buhari che la settimana scorsa aveva dichiarato che il movimento Boko Haram è “tecnicamente” sconfitto, ormai incapace di compiere attentati suicidi. Una dichiarazione che peraltro ha irritato le opposizioni politiche che l’hanno giudicata inopportuna e di fatto provocatoria.

Mons. Oliver Dashe Doeme, vescovo di Maiduguri, interpellato da Fides, afferma: “Boko Haram è una setta che non fa una grande distinzione tra musulmani e non musulmani. La maggior parte della popolazione vuole vivere in pace. Boko Haram uccide chi non aderisce alla sua ideologica che vieta in particolare l’educazione all’occidentale. I musulmani che non supportano la loro ideologia diventano nemici di Boko Haram”.

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Renzi: l'Italia è ripartita, con Ue chiediamo rispetto regole

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Per il premier Renzi l'Italia è ripartita. Durante la conferenza stampa di fine anno, il presidente del Consiglio afferma che il 2015 è andato meglio del previsto. Dunque, Pil che cresce dello 0,8%, disoccupazione in calo, consumi in aumento. E il 2016 sarà "l'anno dei valori" dice Renzi, che conferma di continuare sul cammino delle riforme.

"Questo non significa che vada tutto bene", sottolinea il presidente del Consiglio, "ma ricordando quanto succedeva due anni fa, possiamo dire che quella legislatura era una legislatura che non riusciva neanche ad eleggere il presidente della Repubblica. L'Italia si è rimessa in moto, è un Paese stabile. Torna ad essere un Paese che può tornare a segnare la vittoria della politica contro il populismo: elezione del capo dello Stato, riforme costituzionali, con la prima grande operazione di autoriforma dall'interno, la questione dell'immigrazione, quella della scuola".

Altro tema fondamentale è il sistema bancario. Il presidente del Consiglio afferma che non esiste un rischio sistemico, ma comunque serve più trasparenza soprattutto nei prospettivi informativi. In merito alla commissione sarà il Parlamento a decidere, e saranno risarciti coloro che sono stati truffati. Per evitare altri casi come quello di Banca Etruria, l'esecutivo intende fare nuovi provvedimenti, come quello delle popolari, per favorire le aggregazioni.

Ed ancora, le unioni civili. Il premier dice che non ci sarà la fiducia su questo provvedimento, anche se afferma che dovrà essere approvato entro il 2016. e chiede che il dibattito sia franco e sereno in Senato, quando il ddl arriverà a fine 2016.

Sullo smog, che in questi giorni sta attanagliando tante città, il governo conferma di voler puntare sulle energie alternative e sul rinnovo del parco bus, questo mettendo anche fondi su tale capitolo.

Il rapporto con l'Europa poi è chiaro: "Non attacchiamo la Ue, chiediamo regole uguali per tutti. L'Italia può tornare ad essere protagonista in Europa", rimarca il presidente del Consiglio, che si dice sicuro del fatto che Bruxelles darà il via libera alla Legge di Stabilità, nonostante l'aumento del rapporto deficit/Pil. "Non stiamo sforando il 3%" sottolinea il capo del governo.

Sul fronte istituzionale, Renzi definisce un "capolavoro" la riforma del Senato, dicendosi sicuro che sarà approvata dal referendum, una riforma, ha detto, su cui nessuno un anno fa avrebbe scommesso.

Infine un riconoscimento dello spessore del Papa. Per Renzi, Francesco "è un punto di riferimento importante" in Italia e nel mondo, e va condiviso "totalmente" l'appello contro la pena di morte e per la liberta' di fede del pontefice. (A.G.)

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Filippine: appello dei vescovi in difesa di un ambiente sano

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Ancora drammatica la situazione nelle Filippine colpite, il 15 dicembre, dal tifone Melor che ha causato oltre 40 morti e danneggiato gravemente abitazioni e terreni agricoli. Molti i villaggi ancora senza elettricità, mentre si contano 750mila sfollati. Non è la prima volta che l’arcipelago asiatico subisce le gravi conseguenze di un tifone: basti pensare al ciclone Haiyan che, nel 2013, ha provocato oltre 7mila vittime, distruggendo interi villaggi. Di fronte, dunque, a tale emergenza climatica, la Chiesa locale fa sentire la sua voce.

Salvaguardia del Creato è una questione morale
In una nota pubblicata il 17 dicembre, subito dopo il passaggio del tifone Melor, la Conferenza episcopale filippina (Cbcp) ribadisce l’importanza della salvaguardia del Creato, invitando i fedeli a guardare alla “dimensione morale” di tale questione. Nel documento, i presuli fanno riferimento anche alla Cop21, la Conferenza internazionale sul clima svoltasi a Parigi ai primi di dicembre. Prendendo, quindi, spunto dall’Enciclica di Papa Francesco “Laudato si’ sulla cura della casa comune”, i vescovi esortano ad intraprendere “azioni decisive in favore dell’ambiente”, bollando come “irresponsabile ed eticamente inaccettabile” la posizione di chi nega “le minacce” provocate dai cambiamenti climatici.

Chi turba equilibrio dell’ecosistema, offende la giustizia sociale
“La cura dell’ambiente e la ricerca di misure risolutive per la salute del pianeta – scrive la Chiesa di Manila – sono un imperativo morale che chiama in causa il singolo individuo, le comunità e le nazioni”. Ogni atto che vada a “turbare il già precario equilibrio dell’ecosistema o che provochi una diminuzione nella biodiversità”, sottolineano i vescovi, “non è solo deplorevole, ma costituisce anche un’offesa alla giustizia sociale”. Di qui, il richiamo a non lasciare soli i poveri e le nazioni in via di sviluppo, mentre “i Paesi più ricchi si crogiolano nel lusso, godendo dei benefici della prosperità”.

Diritto ad un ambiente sano è diritto umano fondamentale
È, infatti, insito “nel messaggio cristiano della misericordia” che “la prosperità di tutti sia calcolata in base al benessere degli ultimi della terra”. Anche perché – insistono i vescovi filippini – “il diritto ad una sana ecologia e ad essere protetti dagli effetti negativi del riscaldamento globale, è un diritto umano fondamentale che va difeso e promosso con la stessa determinazione che si usa per gli altri diritti umani”. Purtroppo, invece, “spesso i poveri pagano il prezzo della prosperità dei ricchi”.

No a nuove centrali termiche a carbone
In questo’ottica, “la Chiesa delle Filippine fa la sua parte”, ricordano i presuli, invitando poi “le comunità ecclesiali di base a rendere argomento di riflessione e discernimento, alla ricerca di una soluzione comune, le attuali minacce all’ecosistema e le cause del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici”. Non solo: “la Chiesa – prosegue la nota – si oppone all’apertura di nuove centrali termiche a carbone e manifesta la volontà di controllare i permessi accordati dal governo per l’avvio di miniere di carbone”.

Incrementare ricerca e sviluppo di energie alternative, evitare gli sprechi
Anche gli scienziati e gli studiosi universitari, in particolare coloro che operano nei centri di formazioni cattolici, vengono esortati ad “incrementare la ricerca e lo sviluppo di fonti di energia alternative”. Le parrocchie, i vescovi ed i sacerdoti, inoltre, sono invitati a “desistere da quelle pratiche che aggravano le condizioni climatiche già di per sé precarie, come il mantenimento di veicoli non necessari, l’uso irresponsabile di energia elettrica o lo spreco di acqua”.

Le aspirazioni della Cop21 diventino realtà della vita quotidiana
Guardando, infine, alla Cop21 e all’accordo vincolante che ne è scaturito - che prevede la revisione, ogni cinque anni, dei piani nazionali per il taglio dei gas serra, così da contenere l'aumento della temperatura al di sotto di 2 gradi, insieme ad un progetto di cento miliardi di dollari per aiutare i Paesi in via di sviluppo – la Cbcp chiede al governo di “essere costantemente informata” sui temi ambientali, così da “trovare, tutti insieme, il modo di trasformare le aspirazioni della Conferenza di Parigi in norme della vita quotidiana di ogni filippino”. (I.P.)

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India: 2015, anno di luci e ombre per la Chiesa del Paese

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Il 2015 è stato un anno di luci ed ombre per la Chiesa in India. L’anno si è concluso con l’annuncio della canonizzazione, il prossimo settembre, di Madre Teresa di Calcutta, una notizia che ha riempito di gioia il Natale dei cristiani indiani, come sottolineato nei giorni scorsi alla Radio vaticana, l'arcivescovo di New Delhi, mons. Anil J.T. Couto.

Un anno segnato ancora da violenze contro i cristiani
Ma il 2015 – ricorda l’agenzia Ucan - è stato segnato anche dal perdurare delle violenze anti-cristiane in tutto il Paese. Tra gli eventi più esecrabili, gli stupri di due religiose negli Stati del Bengala Occidentale e di Chhattisgarh, crimini rimasti a tutt’oggi impuniti e che si sono aggiunti ai ripetuti attacchi e alle forzate riconversioni di massa all’induismo, compiuti da gruppi estremisti indù considerati vicini al Bharatiya Janata Party (Bjp) del Presidente Narendra Modi. E proprio il Governo Modi, salito al potere nella primavera-estate del 2014, è stato chiamato più volte in causa per la contiguità del suo partito con questi gruppi e per i suoi iniziali silenzi sulle violenze. Secondo un rapporto pubblicato a giugno da diverse organizzazioni per i diritti umani, le aggressioni e i discorsi di odio avrebbero visto una nuova escalation proprio dopo la vittoria del Bjp. Negli ultimi mesi peraltro il Governo federale ha assicurato che i cristiani avranno giustizia. A un ricevimento organizzato  nei giorni scorsi dalla Conferenza episcopale indiana (Cbci) per le feste natalizie, il Ministro degli Interni, Rajnat Singh ha affermato che l’Esecutivo “sarà sempre a fianco della comunità cristiana in India”.

L’opera umanitaria della Chiesa indiana
Nel 2015 La Chiesa indiana ha intanto continuato la sua opera umanitaria in tutto il Paese. La Caritas India è stata in prima linea negli aiuti al Nepal dopo il terremoto dello scorso aprile e, più di recente, alle popolazioni del Tamil Nadu, colpite dalla alluvioni. Per finanziare questi aiuti – ha spiegato il direttore padre Frederick D’Souza - l’organizzazione ha promosso diverse campagne di raccolta locali, dal momento che i finanziamenti dall’estero hanno subito una drastica riduzione in questi ultimi anni.

La “Laudato si’” spunto per diverse iniziative per l’ambiente e i poveri
Un altro evento saliente per la Chiesa indiana nel 2015 è stata la pubblicazione dell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato sì” che ha dato spunto a diverse iniziative a livello locale. Proprio dal documento pontificio ha tratto ispirazione lo slogan scelto quest’anno per la Giornata nazionale per la Liberazione dei Dalit (i fuori casta), celebrata lo scorso 13 dicembre sul tema: “Clima, caste e cura per la Terra”, a sottolineare lo stretto legame tra la cura dell’ambiente e quella degli emarginati e degli oppressi. (L.Z.)

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Norvegia. Una nuova cattedrale per i cattolici di Trondheim

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Nel 2017 i cattolici di Trondheim, terza città della Norvegia, avranno una nuova cattedrale dedicata a Sant’Olav. La nuova chiesa, la cui costruzione è iniziata dopo la posa della prima pietra lo scorso 29 ottobre, da parte del vescovo Bernt Eldsvig, sostituirà la vecchia cattedrale consacrata nel 1973 e demolita per problemi strutturali, ma anche di capienza.

La costruzione finanziata con il contributo dei fedeli tedeschi
In 42 anni, infatti, la comunità cattolica locale è passata da 500 a 6mila fedeli di diverse nazionalità attirati dal boom economico della città.  Più della metà sono polacchi. Il nuovo edificio ne potrà ospitare circa 500, contro i 200 della vecchia cattedrale. “Sarebbe stato difficile costruire una chiesa più grande nel centro della città”,  spiega al quotidiano francese “La Croix” il parroco, padre Egid Mogstad. A questo va aggiunto il fatto che i mezzi finanziari della Chiesa cattolica norvegese sono limitati. I lavori, il cui costo è stimato in 11 milioni di euro, sono finanziati in buona parte dai fedeli tedeschi. Tra i principali benefattori ci sono, infatti, le istituzioni tedesche Bonifatiuswerk (un’organizzazione che sostiene le comunità cattoliche in Nord Europa)  e Diasporakommisariat, l’arcidiocesi di Colonia, Paderborn e la diocesi di Münster.

La nuova cattedrale “simbolo di integrazione”
La nuova Cattedrale di San’Olav sorgerà a qualche centinaio di metri dalla Cattedrale luterana di Nidaros, una vicinanza che ormai non è solo geografica. Dopo secoli di contrasti, i rapporti tra la Chiesa luterana, non più Chiesa di Stato, e quella cattolica (una comunità che conta oggi appena 113mila fedeli su una popolazione di circa 5 milioni di abitanti) sono nettamente migliorati. In particolare, la visita di San Giovanni Paolo II in Norvegia,  nel 1989, ha segnato una nuova era dei rapporti tra le due comunità. La costruzione della nuova cattedrale cattolica è stata salutata anche dal sindaco della città, Rita Ottervik come “un simbolo di integrazione” . (L.Z.)

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La Cei lancia una iniziativa mediatica per la Gmg di Cracovia

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Mancano  poco più di duecento giorni alla Gmg di Cracovia (25-31 luglio 2016) e il Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei (Snpg) lancia una sfida mediatica alle diocesi: l’iniziativa, lo spot, il video più divertente e più accattivante per rispondere all’invito di Papa Francesco, “Siete pronti a partecipare?”. Un’analoga campagna – riferisce l'agenzia Sir - è già stata avviata dal comitato organizzatore di Cracovia.

Gli originali lunotti per auto con l’immagine di Papa Francesco
In questo modo il Snpg intende stimolare le diocesi italiane alla partecipazione che si annuncia già numerosa. Le Chiese locali italiane si stanno attrezzando con creatività e fantasia e i primi spot sono  già stati realizzati. Le diocesi di Trani, Bari e Molfetta – che stanno organizzando insieme la partenza per Cracovia – “hanno preparato degli originali lunotti per le loro auto”, ovvero la gigantografia di Papa Francesco. I materiali possono essere pubblicati direttamente sulla pagina Facebook del Servizio nazionale pastorale giovanile.

Pronto anche il sussidio di Quaresima
Inoltre, sarà presto disponibile il sussidio di Quaresima che si inserisce nella collana “Dentro la Parola”: si compone di sei tappe scandite dalle riflessioni del teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer e incentrate sul significato della Croce. Ogni tappa corrisponde ad una settimana di Quaresima e termina con la Settimana Santa.

Riflessioni incentrate sulla Croce e su tragica vicenda del teologo Bonhoeffer
La vicenda tragica di Bonhoeffer, protagonista della resistenza al nazismo, impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg all'alba del 9 aprile 1945 – spiega la Pastorale giovanile della CEI -“permetterà di scoprire come nella vita di un cristiano la Croce sia imprescindibile perché dedizione e sete di giustizia non permettono scelte comode e consolanti, ma sacrificio instancabile per il bene dei fratelli”. Accanto a Bonhoeffer, nel sussidio ci sarà spazio per le parole di Papa Francesco, per un momento di preghiera, per una canzone e l’indicazione di un film. Da gennaio sarà possibile ordinare il sussidio attraverso il Snpg.

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 363

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.