Logo 50 Radiogiornale Radio Vaticana
Redazione +390669883674 | +390669883998 | e-mail: sicsegre@vatiradio.va

Sommario del 28/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Mons. Becciu: il 2015 di Francesco all’insegna della misericordia

◊  

Il Giubileo della Misericordia, i viaggi apostolici internazionali e ancora il Sinodo sulla Famiglia e la riforma della Curia Romana. Sono alcuni dei temi e momenti forti del 2015 di Papa Francesco. Su questo intenso anno che si sta concludendo, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato, che inizia la sua riflessione proprio dall’Anno Santo voluto dal Papa: 

R. – Ciò che mi ha colpito e che mantengo nella mia memoria è il momento in cui il Papa me lo comunicò, manifestò l’idea di indire l’Anno Santo. Vidi in lui tanta gioia, tanta gioia perché era ed è consapevole di offrire al mondo una possibilità unica: quella cioè di sperimentare la Misericordia di Dio. E poi anche l’aver scelto le varie Porte Sante indica, nel Santo Padre, il desiderio di porgere a tutti – a tutti! – la possibilità di usufruire dei benefici che l’Anno Santo deve portare. Non è preoccupato delle folle oceaniche a Roma, ma è preoccupato che ognuno possa avere il modo e la facilità di sperimentare la bontà, l’amore misericordioso di Dio. Ecco, a me rimane molto impressa la gioia del Papa di poter indire l’Anno Santo.

D. – Il Sinodo della Famiglia è un’altra pietra miliare di questo 2015 di Francesco. Ritiene che lo stile sinodale, tanto spesso richiamato dal Papa, stia passando come messaggio nella Chiesa, non solo al vertice?

R. – E’ certamente un augurio, ma direi che non è facile: non è facile far passare questo messaggio e viverlo. Però vedo attorno tanta buona volontà. Dobbiamo passare dalla mentalità di una Chiesa verticistica a una Chiesa “comunionale”, sapendo far convivere l’aspetto gerarchico e l’aspetto di comunione. Questo vuol dire far entrare lo spirito, l’arte della comunione nelle nostre varie strutture, nelle strutture assembleari: nella parrocchia, il consiglio pastorale; nelle diocesi, il consiglio presbiterale e il consiglio pastorale diocesano; così come il Papa esercita e aiuta a vivere in spirito “comunionale” quando convoca il Sinodo. Le stesse Conferenze episcopali nelle loro assemblee… Per noi è importante saper esprimere le nostre opinioni e il Papa vorrebbe che ogni fedele si sentisse responsabile nella fase elaborativa dei documenti o dei momenti decisionali. Però vivere sinodalmente, vivere “comunionalmente” questi momenti significa sentire la libertà di esprimere la propria opinione e, allo stesso tempo, aver la libertà e il distacco dalle proprie opinioni per accogliere quelle altrui. Da noi non devono esistere correnti di pensiero, che forzano gli altri ad accogliere le proprie idee: per noi è importante lasciare spazio affinché sia lo Spirito Santo a condurre le nostre idee, le nostre decisioni! Comunione tuttavia non significa oscurare o eliminare il momento dell’autorità, che deve intervenire nel fare la sintesi dei vari contributi. Ecco, non è facile! Però vedo che si sta tentando e si sta cercando di vivere questo aspetto “comunionale” nei nostri momenti assembleari.

D. – La riforma della Chiesa, e della Curia in particolare, è stata un altro punto forte in questo 2015 di Papa Francesco: un progetto che va avanti. Lei, che è uno dei più stretti collaboratori del Pontefice, cosa coglie in questa voglia così forte di riforma che il Santo Padre sta imprimendo, da subito?

R. – Il Papa – lo ha ripetuto più volte – è deciso a mandare avanti la riforma, la riforma della Curia. E’ deciso e sta imprimendo dei ritmi importanti. Allo stesso tempo, però, faremmo torto al Papa se dicessimo che l’unica preoccupazione del Papa sia la riforma della Curia. Lui ha lo sguardo sul mondo intero e vi sono tanti altri problemi… Ci rendiamo conto, anche uscendo dai nostri palazzi, di come il mondo abbia bisogno di essere evangelizzato: la scristianizzazione avanza in maniera inesorabile e vediamo come i valori della Chiesa vengano messi all’angolo e non se ne voglia sentire parlare. Tutto questo preoccupa il Papa! E non ultima la preoccupazione per i cristiani perseguitati nel mondo intero. Sì, preoccupiamoci di ristrutturare la Curia, però cerchiamo di non ripiegarci troppo su noi stessi, allarghiamo lo sguardo verso il mondo intero e sentiamo l’urgenza di diffondere la Parola di Dio.

D. – In questo anno non sono mancate situazioni e vicende di turbamento anche all’interno del Vaticano. Il Papa ha però mantenuto una serenità che ha rassicurato i fedeli, che – lo abbiamo visto tante volte – lo amano davvero come un padre. Qual è la sua riflessione al riguardo?

R. – Prima di tutto, è stata una vicenda che ha fatto soffrire tanto il Papa. Nello stesso tempo, però, non lo ha piegato: ci ha dato anzi esempio di serenità, di coraggio e ha comunicato anche a noi la necessità e la volontà di andare avanti, di non lasciarsi condizionare da vicende negative che succedono attorno a noi e soprattutto da questa vicenda che è capitata: parliamo del cosiddetto “Vatileaks”. A questo proposito vorrei dire e vorrei precisare che le due persone che sono accusate di aver diffuso i documenti certamente sono venute meno alla fiducia del Papa, ma venute meno anche all’impegno, che avevano assunto con giuramento, di tener segrete le carte che avrebbero preso in mano. Vi sono anche i due giornalisti accusati di aver diffuso le notizie in maniera non corretta. Su questo punto vorrei precisare questo: i giornalisti hanno tutto il diritto di pubblicare le notizie che ricevono…. perché spesso in questo ultimo tempo hanno accusato il Vaticano di essere oscurantista e di usare metodi inquisitori. Non si tratta di mettere in discussione il loro diritto di diffondere notizie, ma casomai vi sono dubbi sul metodo, sul modo con cui hanno ricevuto le notizie! C’è un processo in corso, il processo chiarirà questi dubbi.

D. – C’è un’immagine di questo anno di Francesco che la ha colpita particolarmente e che, secondo lei, racchiude anche un po’ questo 2015 del Papa?

R. – Immagini ce ne sono tante… Forse perché più vicina a noi, a me è rimasta impressa l’immagine dell’apertura della Porta Santa a Bangui, nella Repubblica Centrafricana. E questo perché – prima di tutto – ha sottolineato la predilezione del Papa verso quel popolo, da tanti anni sofferente e vittima di guerre fratricide, e poi perché quello spalancare quella porta, che è una porta semplice di una cattedrale altrettanto semplice, ha quasi voluto essere un grido, un'invocazione verso Dio Padre perché concedesse la pace a questo popolo che ha diritto di vivere in pace e di non essere oggetto di giochi da parte di potenze straniere. Ha diritto di vivere finalmente nella serenità e nella tranquillità. La stessa Messa che hanno celebrato con il Papa è stato un grido di gioia, un desiderio di questo popolo di conoscere tempi più belli per sé e per i propri figli.

inizio pagina

Nomina episcopale in Scozia

◊  

In Scozia, Papa Francesco ha nominato vescovo di Argyll and The Isles mons. Brian McGee, del clero della diocesi di Paisley, finora vicario generale della medesima diocesi. Il neo presule è nato a Greenock, nella diocesi di Paisley, l’8 ottobre 1965. Dopo aver frequentato il seminario minore di St. Vincent a Langabank e quello di Blairs in Aberdeen, ha completato la sua formazione sacerdotale al St. Patrick’s College di Thurles. È stato ordinato sacerdote, per la diocesi di Paisley, il 29 giugno 1989. È stato dapprima Vice Parroco a St. Charles, Paisley e poi Parroco, prima a St. Joseph, Clarkston e poi a Holy Family, Port Glasgow. Dal 2006 al 2008 è stato Direttore Spirituale presso lo Scotus College a Bearsden, Glasgow. Successivamente è diventato Direttore del programma Rite of Christian Initiation for Adults di istruzione catechetica a livello della diocesi di Paisley e Vicario Episcopale per il Matrimonio e la Famiglia. Nel 2014 è stato nominato Vicario Generale della diocesi di Paisley.

inizio pagina

Seimila "Pueri Cantores" a Roma in concerto per il Giubileo

◊  

Si apre oggi il 40.mo Congresso internazionale dei Pueri Cantores con una serie di manifestazioni che si svolgeranno a Roma fino al 1 gennaio. Seimila bambini e ragazzi da tutto il mondo si uniscono in un grande coro di voci bianche per festeggiare in musica l’anno del Giubileo. Qual è la forza di questa tradizione che esiste da quindici secoli? Veronica Di Benedetto Montaccini lo ha chiesto a mons. Robert Tyrała, presidente della Federazione internazionale "Pueri Cantores": 

R. – Questa manifestazione, questo nostro Congresso è il quarantesimo. E’ un piccolo Giubileo. Veniamo da 18 Paesi del mondo, questi sono cori di ragazze e di ragazzi canteranno la pace di Dio perché una volta questo nostro fondatore, mons. Maillet, ha detto: “Domani tutti i bambini canteranno la pace di Dio”. Allora, anche noi veniamo adesso a Roma perché ogni terzo Congresso facciamo quello internazionale a Roma per cantare per la pace del mondo. Soprattutto, veniamo perché abbiamo deciso un tema: “Cantate spem vestram”, allora cantate tutto questo che è dentro di voi, la vostra speranza, la vostra fede. Il terzo motivo è il Giubileo della Misericordia. Anche noi vogliamo cantare la misericordia, "misericordias Domini in eterno cantabo". Veniamo per incontrarci col Santo Padre Francesco.

D. – Quindi, sono i giovani che possono ridare speranza…

R. – Sarà un canto di speranza, perché i giovani sono il futuro della Chiesa. Allora, speriamo bene e sappiamo anche bene che quando si fanno questi incontri si prepara anche il futuro: non è soltanto per oggi, ma è per il futuro nel mondo e per questo i bambini canteranno la pace di Dio.

D. – Il Congresso dei "Pueri Cantores" è anche un momento di integrazione, perché vengono da molti Paesi diversi questi ragazzi...

R.  – Sì, questo anche è bello, la nostra diversità. Perché veniamo dall’Africa, dall’America Latina, inoltre dal Giappone, dall’Asia, dalla Corea e soprattutto anche dall’Europa. Siamo diversi ma siamo uniti perché siamo una fede, una famiglia cristiana, e questa gioia è dentro i "Pueri Cantores". Per esempio, in occasione delle preghiere per la pace in diverse chiese a Roma vogliamo anche regalare un momento di gioia, un momento di speranza. Negli occhi dei bambini si possono sempre vedere gli occhi di Dio. Tutto questo è dentro la tradizione dei nostri cori.

D. – Ci fa un esempio anche delle canzoni che riuscite a realizzare con tanti bambini tutti insieme?

R.  – Cantiamo per esempio in un incontro con il Santo Padre e vogliamo iniziare un canto di Natale in argentino. Poi, continueremo con dei canti da tutti i Paesi del mondo e in tutte le lingue.

inizio pagina

Oggi su "L'Osservatore Romano"

◊  

La misericordia che libera: nel messaggio natalizio il Papa sottolinea che la pace è un dono da invocare e costruire.

Il re povero: Felice Accrocca su san Francesco a Greccio nel Natale del 1223.

Un articolo di Pietro Messa dal titolo "Fieno, mangiatoia ed eucaristia": scelte e gesti del Poverello nel racconto di Tommaso da Celano.

La conquista di Ramadi: in ritirata i miliziani dell'Is.

Con la legge adottata dal Parlamento finisce in Cina l'era del figlio unico.

 

inizio pagina

Oggi in Primo Piano



Iraq: Ramadi strappata all'Is. L'esperto: cruciale appoggio sunnita

◊  

Anche gli ultimi jihadisti hanno lasciato Ramadi, la città a 100 km a ovest di Baghdad, conquistata dal sedicente Stato Islamico (Is) nel maggio scorso. Ad annunciarlo le forze d’elite antiterroriste dell’esercito iracheno, che hanno strappato il controllo del compound governativo ai miliziani, fuggiti dopo giorni di strenua resistenza, durante i quali non hanno esitato a usare ostaggi nelle loro mani come scudi umani. I militari – che hanno già issato la bandiera irachena su quello che era stato il fortino jihadista - devono ora procedere a completare l’operazione per rioccupare l’intero capoluogo della provincia a maggioranza sunnita di Al-Anbar. Secondo alcuni osservatori, quella di Ramadi può essere considerata come un’importante vittoria per le forze irachene in vista di una prossima battaglia per Mosul, la seconda maggiore città dell'Iraq e roccaforte dell'Is nel Paese. Ma è davvero così? Giada Aquilino lo ha chiesto a Dario Fabbri, analista della pubblicazione di geopolitica ‘Limes’: 

R. – E’ in atto un’azione militare maggiormente coordinata e maggiormente efficace rispetto al passato, da parte soprattutto delle forze armate irachene. Il che non significa moltissimo, se non fosse altro che in precedenza l’azione sul terreno delle forze armate irachene era pessima e adesso sono riuscite a riconquistare la città di Ramadi. Dobbiamo calcolare che Ramadi era occupata essenzialmente da 4-500 miliziani dello Stato Islamico e ci sono voluti circa 10 mila uomini dell’esercito iracheno per riprenderla. Le forze armate irachene solitamente utilizzano milizie sciite per combattere e loro si limitano ad un ruolo di supporto. Ramadi, che è città quasi esclusivamente sunnita, richiedeva un intervento di un esercito iracheno composto da sunniti - e questo è accaduto - ma non la definirei una grande vittoria.

D. – Come è stata preparata l’operazione dell’esercito?

R. – La fedeltà locale è una fedeltà di tipo tribale. Lo Stato non esiste, lo Stato iracheno è “artificiale” per eccellenza. Ci si rivolge, quindi, ai capi tribù sunniti, ai quali si garantiscono elargizioni anzitutto finanziarie e poi si promette che la città sarà gestita da miliziani o da forze sunnite, non sciite, che sono quelle che invece governano a Baghdad. Ciò che è interessante è che alcuni capi tribù sunniti hanno accettato queste offerte. Dobbiamo calcolare che in tali zone - siamo nella provincia irachena dell’Anbar - lo Stato Islamico è stato considerato un liberatore rispetto al governo di Baghdad e che ancora oggi la grande maggioranza della popolazione di Ramadi è favorevole all’Is, perché è sunnita. Anche per questo quindi ci vuole un rapporto di dieci a uno per riconquistare la città da parte delle forze armate irachene, perché ci si aspetta una resistenza molto forte.

D. – Ora c’è da bonificare il territorio dalle mine. Il prossimo passo nel contrasto all’Is quale sarà?

R. – Purtroppo dobbiamo attenderci degli attacchi suicidi realizzati dai miliziani dello Stato Islamico, per scatenare la reazione delle forze governative, che potrebbero andare a cercarli casa per casa e quindi indurre la popolazione a sollevarsi ancora una volta contro gli sciiti di Baghdad. Per quanto riguarda invece la questione di Mosul, di cui si parla in queste ore, è tutta un’altra storia. Prima che lo Stato Islamico conquistasse Mosul, nella città c’erano 2 milioni di persone. Ci vuole veramente una forza enorme da parte dell’esercito iracheno per riprendere Mosul. Quindi non mi aspetterei grandissimi risultati dopo la presa di Ramadi, ammesso che Ramadi venga bonificata e non lo darei per scontato.

D. – Un anno e mezzo di Califfato: che fase si vive?

R. – Una fase in cui il Califfato resta abbastanza misterioso per le cancellerie internazionali, che non hanno alcuna reale voglia di combatterlo: dal cielo abbastanza e dal terreno per niente, anche se questo sarebbe l’unico modo per sconfiggerlo. E in cui lo Stato Islamico continua a difendere anche facilmente il proprio cuore, che è la regione desertica a cavallo tra Iraq e Siria: al momento non vede all’orizzonte nessuna forza di terra che possa sostituirlo, soprattutto sunnita. Si parla, cioè, di milizie curde, di milizie sciite del governo di Baghdad, tutte forze che - se anche riuscissero a sconfiggere lo Stato Islamico - non sarebbero poi accettate dalla popolazione locale.

inizio pagina

Bilancio 2015: attentati in Europa e guerre in Medio Oriente e Africa

◊  

Un anno il 2015, segnato da attentanti con risonanza globale, che non hanno risparmiato l’Europa e da guerre irrisolte che hanno insanguinato soprattutto il Medio Oriente e l’Africa, con un attore nuovo protagonista sulla scena internazionale il sedicente Stato Islamico. In questo scenario quale bilancio sul piano geopolitico? Roberta Gisotti ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana, esperto di politica estera. 

D. – Partiamo proprio con l’Is: a che punto siamo nel progetto di espansione perseguito da questo soggetto delirante e lucido allo stesso tempo?

R. – Direi che purtroppo siamo a un buon punto, perché l’Isis – non contento di essersi ritagliato uno spazio enorme in quell’area che ormai chiamiamo “Siriaq”, un po’ di Siria e un po’ di Iraq – ha comunque ottenuto l’affiliazione di altri gruppi terroristici, anche molto lontani: pensiamo per esempio a Boko Haram in Nigeria; e ha potuto comunque marcare una presenza abbastanza significativa e preoccupante anche molto vicino alle nostre coste, cioè in Libia. Se a questo uniamo il fatto che si rinnovano gli impegni, le promesse, gli sforzi per contrastare l’Isis là, dove è nato, cioè in Siria e in Iraq, e i risultati sono comunque modesti, non possiamo certo essere ottimisti, ecco. Per il momento, l’Isis ha vinto la sua battaglia.

D. – Quindi, per quanto riguarda la controffensiva della comunità internazionale contro l’Is, è un bilancio fallimentare …

R. – Io direi di sì, e metto anche in dubbio che ci sia stata una vera controffensiva internazionale contro l’Is, o Isis o Daesh, come vogliamo chiamarlo, altrimenti non si spiegherebbe perché migliaia e migliaia di incursioni aeree da parte di un’armata che comprende Stati militarmente molto potenti come, per esempio, gli Stati Uniti e la Turchia, abbiano prodotto così pochi risultati. In realtà, dovremmo entrare piuttosto nella mentalità che ci sono tolleranze, per non dire complicità internazionali, diffuse che aiutano l’Isis.

D. – Non si parla più da tempo di un mondo contrapposto tra Est e Ovest, ma i rapporti tra Stati Uniti e Russia camminano ancora sul filo del rasoio …

R.- Non si parla più di questa contrapposizione perché diciamo che l’Ovest ha vinto la sua battaglia e evidentemente ormai, soprattutto attraverso la sua potenza principale – gli Stati Uniti – il mondo predominante: basta osservare una mappa delle basi americane o basi Nato in Europa per vedere che di fatto la Russia è stata ricacciata, è stata spinta ad Est, certamente dal punto di vista dell’influenza geopolitica. L’ultimo colpo, naturalmente, è stato quello dell’Ucraina: la Russia ha perso il controllo sull’Ucraina, dopo mille anni, e l’Ucraina è un territorio di transito fondamentale per i gasdotti e gli oleodotti russi. Quindi, la Russia come ha reagito? Ha reagito in una maniera che sa di disperazione, di accerchiamento: ha reagito con la violenza, mentre gli Stati Uniti sono riusciti a imporre un cambio di governo a Kiev che non è stato certamente morbido, che ha richiesto molti morti ma che non è paragonabile alla guerra. E questa è una metafora abbastanza evidente di quello che è oggi il contrasto Est-Ovest. L’Ovest è predominante, l’Ovest ha molti più strumenti per intervenire e per affermare i propri interessi; l’Est, in particolare la Russia, reagisce come può e questo provoca, ovviamente, frizioni molto molto pericolose.

D. – Ad acuire queste frizioni c’è stata anche, alla fine di quest’anno 2015, l’entrata del Montenegro nell’Alleanza atlantica …

R. – Sì. Naturalmente. Poi, prossimamente avremo sicuramente quella dell’Ucraina … L’Alleanza Atlantica che è diventata un vero e proprio strumento della geopolitica come viene determinata nei circoli politici di Washington. E lo abbiamo visto anche, per esempio, sul fronte mediorientale: quando la Turchia ha abbattuto l’aereo russo e subito l’Alleanza Atlantica si è schierata a sostegno della Turchia nonostante il gesto fosse stato un atto di guerra con pochissimi precedenti.

D. – La predominanza degli Stati Uniti in questo Ovest influenza fortemente anche la politica dell’Unione Europea rispetto a Mosca, e alcuni si chiedono se invece l’Europa non avrebbe interesse ad avere rapporti migliori con Mosca …

R. – A me pare assolutamente chiaro che l’Europa, anche nella veste di Unione Europea, non ha alcun interesse ad avere rapporti conflittuali con Mosca, che è sempre stata – storicamente, almeno, anche ai tempi dell’Unione Sovietica – un partner anche commerciale, geopolitico in generale, superate alcune crisi, piuttosto affidabile. Noi non abbiamo mai avuto problemi con la Russia post-sovietica per quanto riguarda il gas, per quanto riguarda il petrolio. E infatti ci sono Paesi europei come la Germania che continuano molto serenamente ad avere rapporti commerciali, per quanto riguarda l’energia, con la Russia e addirittura pensano ad incrementarli. L’Unione Europea si è fatta coinvolgere in questa crisi ucraina e sta pagando il prezzo della crisi ucraina, molto più di quanto avvenga con gli Stati Uniti che sono stati nella realtà il vero interlocutore politico dell’attuale Ucraina e il Paese che in realtà profitta di questa crisi ucraina: non a caso è diventato ministro dell’economia dell’Ucraina una donna che si chiama Yaresko, un’ex funzionaria – addirittura – dell’ambasciata americana a Kiev. E questo dice tutto su quali sono i rapporti di forza, attualmente.

D. – Spostiamoci in un continente spesso dimenticato: l’Africa. Quali le preoccupazioni più grandi?

R. – Io credo che il fenomeno più rilevante – e purtroppo un fenomeno preoccupante – sia l’impetuoso aumento della persecuzione anticristiana in Africa. La Somalia è il secondo Paese al mondo, dopo la Corea del Nord, per persecuzioni anticristiane. Nella lista di questa terribile graduatoria sono entrati tre Paesi africani, tra i primi dieci, tra cui la Nigeria che è appunto il Paese dove imperversa Boko Haram, ormai affiliata all’Isis, ma dove i cristiani sono il 40% della popolazione, quindi neanche una minoranza debole e sparuta. Naturalmente, come vediamo anche in Medio Oriente e come vediamo altrove, la persecuzione a sfondo religioso è quasi sempre una persecuzione che ha radici e realtà politiche, economiche, etniche e che impugna la bandiera della religione molto spesso solo come copertura, solo come strumento di mobilitazione delle masse.

inizio pagina

Siria. Scomparso p. Dhya Azziz. Non escluso il sequestro

◊  

Dalle ore 9 del mattino del 23 dicembre scorso si è perso ogni contatto con il padre francescano, Dhiya Azziz, 41 anni, parroco di Yacoubieh, in Siria, che era in viaggio in taxi di ritorno dalla Turchia, dove era andato a trovare la famiglia lì rifugiata. Ne dà notizia la Custodia di Terra Santa che ritiene "lecito pensare che sia stato preso da qualche gruppo". A bordo del veicolo partito da Latakia c'erano altre persone. P.Dhiya era stato già rapito dai jihadisti in luglio, ma era risuscito a fuggire. Paolo Ondarza ha raggiunto telefonicamente il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa

R. – Non abbiamo più sue notizie dalla mattina del 23 dicembre, l’antivigilia di Natale. Abbiamo aspettato qualche giorno prima di verificare se si ritrovava, ma ora…

D. – I vostri sospetti sono che possa essere stato preso da qualche gruppo?

R. – Non abbiamo nessunissima informazione. Stava viaggiando in una zona pericolosa per tornare in parrocchia. Pensavamo l’avesse preso qualcuno dell’esercito, ma non abbiamo avuto riscontro. Quindi, le alternative restano che l’abbiano preso i ribelli oppure – Dio non voglia – che sia stato ucciso.

D. – Lui si trovava esattamente dove?

R. – Con precisione dove sia stato preso, non lo sappiamo. Lui era partito da Latakia, che è una città importante sulla costa. Il tragitto per Yacoubieh originariamente era molto breve, ma, essendo zona pericolosa, ha dovuto scendere nel centro del Paese. Spostarsi in Siria oggi è estremamente pericoloso. Lui ha dovuto spostarsi per vedere i suoi genitori ammalati, che anch’essi – ahimé – sono rifugiati in Turchia. E quindi ha dovuto, come tantissime altre persone in Siria, correre il rischio di spostarsi, e questa volta gli è andata male.

D. – Solo nel luglio del 2015 è stato rapito e detenuto da un gruppo jihadista…

R. – Rapito e detenuto, ma riuscì a fuggire. E speriamo che possa ripetersi anche questa volta.

D. – Padre Pizzaballa, può dirci brevemente chi è padre Azziz?

R. – È nato nel 1974, quindi è abbastanza giovane. È iracheno, nato a Mosul, ma cresciuto a Qaraqosh, che era un villaggio, una cittadina interamente cristiana nel nord dell’Iraq, e che oggi è sotto il controllo del sedicente Stato islamico. Quindi, hanno dovuto fuggire tutti. E lui stesso poi si offrì volontario per andare a servire come parroco a Yacoubieh, che è una zona abbastanza pericolosa, perché è una zona sotto il controllo dei ribelli e non più dei governativi.

D. – Il vostro appello…

R. – Che tutti coloro che possono darci informazioni possano farsi capire in modo che noi possiamo fare tutto quello che è possibile per cercare di recuperarlo, lui assieme a coloro che viaggiavano con lui.

inizio pagina

Il dramma dei cubani bloccati, paradosso delle nuove regole

◊  

Ieri, al termine dell’Angelus in piazza San Pietro, un pensiero di Papa Francesco è stato rivolto ai cubani che si trovano in difficoltà in Centroamerica e che spesso cadono vittima dei trafficanti di esseri umani. Sono circa ottomila, infatti, i migranti che da Cuba non riescono a entrare negli Stati Uniti da Nicaragua, Costa Rica e Panama. Da dove nasce questa situazione? Roberta Barbi lo ha chiesto al collega Luis Badilla, esperto di questioni latinoamericane:  

R. – La questione nasce da questa realtà: con l’avvicinarsi degli accordi diplomatici definitivi tra Stati Uniti e Cuba, appare evidente che finiranno anche le leggi speciali statunitensi che garantiscono asilo politico e trattamento speciale a qualsiasi cubano che arrivi sul territorio statunitense. Prima che questi accordi diplomatici – dei quali nei giorni scorsi è ricorso il primo anniversario – finiranno definitivamente, perché si normalizzeranno pienamente le relazioni tra Cuba e Stati Uniti, da mesi molti cubani, approfittando del fatto che ora si può uscire dal Paese liberamente, sono “usciti” come turisti, in particolare verso l’Ecuador, ma sono usciti con l’intenzione poi di migrare – come sta ormai succedendo da mesi – verso gli Stati Uniti, cercando di entrare prima che le leggi speciali che favoriscono l’accoglienza dei cubani vengano derogate. Per arrivare negli Stati Uniti, però, devono transitare in America centrale: questi Paesi poveri, piccoli e mal organizzati – come il Nicaragua, la Costa Rica e Panama – si sono visti arrivare, dalla sera alla mattina, migliaia e migliaia di cubani che non possono entrare negli Stati Uniti, perché gli Stati Uniti hanno regolamentato un po’ la situazione di fronte all’emergenza, ma questi Paesi non sono in grado di mantenerli.

D. – Molte di queste persone – ricordiamo che ci sono intere famiglie con bambini – si trovano in stato di fermo temporaneo, mentre alcune sono state già rimpatriate…

R. – È proprio così e molte si trovano in quella situazione. Quindi, l’appello ieri del Papa ha sorpreso molti, perché purtroppo in Europa di questa questione non si è parlato. Eppure, sono 200 mila i cubani che stanno vivendo questo. molti sono riusciti a passare, ma 8-9-10 mila sono lì “parcheggiati”. Quello che il Papa ha detto ieri è che i governi locali del Centroamerica, ma anche gli Stati Uniti e la stessa Cuba, devono trovare un accordo per risolvere questo problema, in attesa che le leggi negli Stati Uniti vengano o confermate o derogate. Altrimenti, la tentazione di molti cubani sarà quella di cercare di arrivare negli Stati Uniti comunque, prima della fine di queste leggi speciali.

D. – Il fenomeno delle crisi migratorie in questo momento non riguarda solo l’Europa, come troppo spesso si pensa…

R. – No, non riguarda solo l’Europa. Noi ben sappiamo che quell’area lì – dove tra l’altro andrà il Papa nel mese di febbraio, Ciudad Juárez – viene chiamata la “Lampedusa d’America” e con questo diciamo subito di che cosa si tratta. Ma questo specifico dei cubani è un problema fra L’Avana e Washington, che nel contesto degli accordi che stanno negoziando deve essere risolto. Il problema è che gli americani non avevano calcolato questa realtà e cioè che si sarebbero trovati con 200 mila cubani – queste sono le stime – che dalla mattina alla sera si sarebbero presentati. Questa è una cosa completamente nuova, che nasce dalla normalizzazione degli accordi: è questo il paradosso...

D. – La Chiesa si è molto mobilitata per chiedere l’apertura di corridoi umanitari. Quali sono le speranze?

R. – La Chiesa cubana, attraverso il suo presidente, mons. Dionisio García, arcivescovo di Santiago de Cuba, ha scritto a tutti i vescovi dell’America centrale chiedendo loro che si mobilitassero affinché i governi locali affrontassero l’emergenza umanitaria in attesa di una soluzione giuridica. Il problema è che oltre a chiederlo la Chiesa cubana, e oltre alla buona disponibilità degli episcopali locali dell’America centrale, sono tutti Paesi molto poveri che non si possono permettere di far entrare così, dalla mattina alla sera, migliaia di persone, alle quali garantire cibo, alloggio, protezione per i bambini, assistenza medica… E' un problema dovuto anche alla povertà di questi Paesi.

inizio pagina

Smog. Divieti di circolazione a Roma e Milano

◊  

Emergenza smog. A Milano da oggi a mercoledì blocco totale del traffico. A Roma disposta la circolazione delle targhe alterne: oggi ferme le dispari, domani le pari. Nella capitale rafforzati i mezzi pubblici ed estesa all’intera giornata la durata del biglietto di metro e bus. Il ministro dell’Ambiente, Galletti, ha convocato per mercoledì prossimo un vertice tra governo, regioni e Comuni. Sui rischi per la salute derivanti dal superamento dei livelli delle polveri sottili, Paolo Ondarza ha intervistato Loredana Musmeci, direttore del Dipartimento ambiente dell’Istituto Superiore di Sanità: 

R. – La situazione dell’aria è tale che abbiamo superamenti che al massimo nelle due città peggiori, che sono Milano e Torino, raggiungono il doppio del valore limite stabilito dall’Europea, che è 50 mg al metro cubo per quanto riguarda le polveri sottili. Quindi, non stiamo davvero ai livelli di Pechino, come qualche giornale ha scritto, siamo ben lontani... A Roma non siamo ancora arrivati a queste concentrazioni: siamo intorno al 70, quindi un superamento di circa il 40% del valore limite. In grandi aree verdi o in un parco, abbiamo concentrazioni più basse, perché anche il verde contribuisce ad assorbire gli inquinanti.

D. – Allo stato attuale delle cose, quali sono gli effetti sulla salute?

R. – L’Organizzazione mondiale della Sanità e l’Agenzia per la ricerca sul cancro hanno classificato l’inquinamento atmosferico – e in particolare le polveri e quindi il particolato – come una sostanza tossica, cancerogena. Quindi, possiamo dire che abbiamo sia degli effetti cronici a lungo termine, con una percentuale maggiore di incidenza eventualmente del tumore polmonare e del tumore della laringe, quindi delle vie respiratorie, sia degli effetti acuti a breve termine, quindi irritazione delle prime vie respiratorie. In soggetti che sono già vulnerabili, perché magari hanno già malattie quali asma o cardiopatici, l’inquinamento atmosferico può causare degli effetti anche acuti a breve termine.

D. – La situazione attuale potremmo dunque definirla critica senza allarmismi?

R. – L’inquinamento atmosferico, lo smog cosiddetto, costituisce sempre una fonte di potenziale rischio. Non dobbiamo arrivare a pensare che dovremmo arrivare a zero, perché questo non è tecnicamente possibile, perché poi ci sono anche delle origini naturali – basti pensare alle polveri del deserto – però certo dovremmo cercare di intervenire in modo strutturale fondamentalmente sulla mobilità e sul riscaldamento domestico, che sono le prime due sorgenti e fonti di contaminazione urbana. Ma anche – e questo mi permetto di sottolinearlo – avendo un comportamento individuale più rispettoso e più consono con quelli che sono i problemi delle grandi città: quindi cercare di limitare l’uso della macchina, non sostare in doppia fila perché si creano ingorghi, limitare anche la velocità. Quindi, ci deve essere anche un comportamento individuale, unito – è ovvio – a interventi strutturali, perché non si può certo dire alle persone di non prendere la macchina se poi non abbiamo i mezzi pubblici…

D. – Le misure prese nelle due principali città – Roma e Milano – in questi giorni sono misure efficaci?

R. – Le targhe alterne non servono a niente. Diminuiscono di qualche punto percentuale: nell’arco delle 24 ore noi registriamo più o meno gli stessi dati. Un blocco totale del traffico, sicuramente migliora…

D. – Anche una sola giornata?

R. – Anche sull’intera giornata. Qui l’anomalia è stato il periodo lungo di superamento di polveri sottili.

D. – Anomalo rispetto agli anni scorsi?

R. – Agli anni scorsi. Per un periodo così lungo, tutti i giorni, non ce lo ricordiamo.

D. – Durante questa fase, fino a quando non pioverà, è possibile continuare a svolgere una vita normale?

R. – Chi fa sport all’aria aperta, lungo le strade, magari anche con traffico intenso, in questo periodo sarebbe meglio lo evitasse. Così come sarebbe meglio evitare che escano per lunghi periodi le fasce di popolazione più vulnerabili e più deboli, quali gli anziani, i bambini e le persone che già soffrono di malattie cardiocircolatorie o respiratorie. 

inizio pagina

Aperta la Porta Santa nella Basilica di Nazareth

◊  

La Basilica dell’Annunciazione a Nazareth ha vissuto ieri il momento giubilare dell’apertura della Porta Santa. Una celebrazione partecipata e intensa, come riferisce fratel Marco Cosini, della Comunità dei Piccoli Fratelli di Jesus Caritas a Nazareth, al microfono di Antonella Palermo

R. – E’ stata sicuramente una bella festa, una bella cerimonia, che ha visto molta partecipazione di gente, sia di Nazareth sia anche di alcuni gruppi di pellegrini. È stato un momento direi commovente. Chiedevano subito dove fosse il luogo per le confessioni e forse questo è un piccolo segno che ci fa capire che il messaggio, in qualche modo, è stato lanciato e forse è stato anche ricevuto.

D. – Come sono le porte delle famiglie di Nazareth? Sono aperte alla speranza, semichiuse, serrate?

R. – La sensazione di molte persone, in questo momento, forse è anche un po’ di paura per quello che sta accadendo, per cui immagino che nella maggior parte le porte saranno semichiuse. Però, ci sono anche delle porte molto aperte su quelle persone che hanno una sensibilità ampia nei confronti dell’altro, del diverso da sé, per la sua storia, per la sua appartenenza, per la sua religione. Per cui, ci sono famiglie cristiane che si impegnano, che cercano comunque di costruire ponti nonostante la tendenza generale a chiudersi, ma ci sono anche famiglie musulmane che hanno, allo stesso modo, la stessa sensibilità.

D. – Fratel Marco, ieri è stato celebrato il Giubileo delle famiglia: come lo avete vissuto voi, pensando a cosa significa Nazareth?

R. – La proposta che viene fatta un po’ da tutta la Chiesa è, in qualche modo, di guardare a Nazareth come luogo in cui si realizza anche l’ideale della famiglia cristiana. Senz’altro, qui a Nazareth questo evento dell’apertura della Porta Santa, della Porta della Misericordia, è stato vissuto con particolare partecipazione da parte delle famiglie. E vuol dire tentare di fare un’opera – direi – di composizione di luogo: provare cioè ad immaginare, anche partendo dai Vangeli, la vita di questa famiglia, che è una vita molto normale – perché è una vita fatta di lavoro, fatta di relazione sponsale, fatta di relazione paterna e materna e fatta probabilmente anche di qualche tensione – che ci rimanda però a quel primato di Dio al quale la Santa Famiglia ci richiama: quel punto focale che va oltre la famiglia stessa, che va oltre il nucleo stesso, ma che permette di camminare tutti in una direzione ben precisa, guidati da una bussola che orienta in modo molto chiaro la vita e le scelte personali e familiari.

D. – Arrivano i pellegrini a Nazareth?

R. – Stiamo vivendo un momento particolare difficile anche da questo punto di vista, perché, come sappiamo, non appena si scatenano queste recrudescenze di violenza, ma anche guardando un po’ alla situazione generale del Medio Oriente, la prima reazione è quella della paura. Anche se poi dobbiamo dire che soprattutto qui in Galilea la situazione è abbastanza tranquilla. E’ un periodo certamente di “bassa” e ovviamente questo ricade poi sulla gente che vive qui. L’auspicio è quello di poter accogliere il volto misericordioso di Dio, che in una parola – per noi credenti e per noi cristiani – è il volto di Gesù. Gesù non solo ci rivela la misericordia del Padre, ma Gesù è la misericordia del Padre. Il mio auspicio è un po’ questo, che l’Anno Santo della Misericordia possa essere un passo avanti verso questo riconoscere il nostro Dio come Padre e Madre.

inizio pagina

I bambini soldato, "martiri innocenti" dei nuovi Erode

◊  

Istruzioni su come distruggere una postazione nemica invece che un libro di scuola. Un fucile mitragliatore e dosi di droga al posto di un quaderno e una merenda. Decine di migliaia di minorenni – maschi ma anche sempre più femmine – sono assorbiti loro malgrado nel girone infernale dei bambini-soldato in molte zone del mondo. Anche Papa Francesco ha pregato per loro all’ultimo messaggio Urbi et Orbi di Natale. Questi giovanissimi possono essere annoverati tra quei Martiri Innocenti che la Chiesa ricorda nella liturgia odierna. Alessandro De Carolis ne ha parlato con Marco Rotelli, segretario generale di Intersos: 

R. – Il problema è che il fenomeno effettivamente sta addirittura aumentando: si stima normalmente che almeno 250 mila ragazzini siano reclutati nei conflitti. È un fenomeno globale: africano, mediorientale, asiatico, ma anche centroamericano... E non sono solamente i maschi armati di AK-47 o quant’altro, ma anche le ragazze – le loro sorelline – molto spesso reclutate per sfruttamento sessuale, per ragioni di approvvigionamento,  alimenti, cucina ecc.

D. – Tra chi non smette di combattere il fenomeno dei bambini e delle bambine soldato siete voi di Intersos. In che modo agite?

R. – Su due livelli: quello di prevenzione e quello di reintegrazione, reinserimento. La prevenzione prevede per esempio attività che evitino il reclutamento spontaneo, l’avvicinamento dei ragazzini a persone o gruppi che potrebbero portarli nelle zone di combattimento. Formazione professionale, per esempio: in Somalia, centri di formazione hanno risposto e arginato un po’ la tendenza di alcune famiglie e alcuni ragazzini ad andare verso questi gruppi, perché un mini-reddito e una forma di sussistenza arrivava dalle nuove capacità. Quando si riesce a rientrare in contatto con questi bambini – o perché cacciati dai gruppi o perché presi addirittura prigionieri dagli eserciti che combattono contro i gruppi di opposizione – la fase di reinserimento nella società è estremamente difficile. Queste sono persone che hanno subito traumi, quasi “lavaggi” del cervello, e le famiglie stesse hanno enormi problemi a riprendere le persone che hanno fatto oggettivamente le cose peggiori che possa fare un uomo. Figuriamoci un bambino che effetto traumatico sulla psiche possa avere…

D. – Negli anni sono state varate normative sempre più stringenti sul fenomeno dei bambini soldato, ma si tratta spesso di normative inascoltate. Si muove qualcosa di più in questo campo?

R. – Diciamo che c’è il tentativo di rendere sempre più efficace soprattutto la Risoluzione delle Nazioni Unite n. 1612, che cerca di arginare questo fenomeno. La risoluzione viene integrata in quasi tutte le attività, soprattutto umanitarie, ma anche di sviluppo, in cui ci deve essere un’attenzione particolare a integrare elementi di contrasto di questo fenomeno in ogni attività. Da un punto di vista legale, ci sono poi le conseguenze, i capi legali di imputazione veri e propri che vengono addossati ai colpevoli in sedi di processi internazionali o dai governi stessi.

D. – C’è una storia anche positiva, pur nel dramma, che l’ha colpita di recente, tra le tante?

R. – Sì, per fortuna ci sono anche delle storie positive. Io in questo momento parlo dal Senegal, da Dakar, quindi molto vicino al Mali. Qualche tempo fa gruppi di ragazzini diciamo “liberati” dalle milizie radicali islamiche del nord, che combattevano contro il governo di Bamako nella capitale, sono stati tenuti in una sorta di isolamento dalla società proprio per evitare i rischi di una rappresaglia da parte della società contro ragazzini, che avevano perpetrato delle violenze e degli atti di guerra veri e propri. Questi sono stati tenuti quasi di nascosto all’interno di centri di recupero in Mali e, pian piano, con molta calma, hanno recuperato una loro normalità e anche una capacità delle famiglie e della società di riaccoglierli. Una cosa molto simile è successa in Congo: in questo caso erano ragazzine sottratte alla famigerata milizia del “Lord’s Resistance Army”, che dopo anni sono state abbandonate dalla milizia stessa perché probabilmente non più necessarie o in stato di salute troppo precario per essere “utili” alla guerra. E anche lì, pur con molta difficoltà, si è riusciti a rimetterle addirittura nelle loro stesse famiglie, nei villaggi. All’inizio erano assolutamente stigmatizzate: le famiglie stesse nei confronti della società, ma anche le famiglie avevano grossi problemi e paura di quello che queste persone potevano fare. Oggi, finalmente, noi stiamo festeggiando il successo di queste ragazze che sono rientrate nella loro comunità. Però, questo purtroppo non è il destino di centinaia di migliaia di ragazzini.

inizio pagina

Taizé, a Valencia l’incontro dei giovani. Frère Alois: aprirsi all'altro

◊  

E’ iniziato oggi a Valencia, in Spagna, “l’Incontro europeo dei giovani” che si concluderà il prossimo primo gennaio. L’evento, promosso dalla Comunità ecumenica di Taizé, riunisce diverse decine di migliaia di giovani  in una nuova tappa del “pellegrinaggio di fiducia sulla terra”, iniziato da Frère Roger alla fine degli anni 70. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Sono 30mila i giovani che hanno deciso di trascorrere la fine dell’anno in preghiera con la comunità ecumenica di Taizé. Il gruppo più numeroso proviene dalla Polonia. In un messaggio inviato ai giovani riuniti a Valencia, Papa Francesco esorta le nuove generazioni a diventare “oasi di misericordia” in particolare “per i numerosi migranti che hanno così bisogno di essere accolti”. Ai giovani di Taizé sono arrivati messaggi da tutti i leader delle Chiese cristiane. Il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, ricorda che “l’anno appena concluso è stato scosso dall’odio”. “Il terrorismo - aggiunge - si combatte cambiando lo sguardo dei nostri occhi verso gli altri e rispondendo alla paura con l’amore”. L’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, leader spirituale della Comunione anglicana, augura ai giovani di essere “segno di speranza” per l’umanità. “Possano i giovani - sottolinea - scoprire il perdono e la comunione per rafforzare la loro fiducia cristiana ed essere testimoni al servizio nel mondo”.

“In tutto il mondo – si legge nella riflessione di Frère Alois, priore della Comunità di Taizè rivolta ai giovani riuniti a Valencia - nuove difficoltà, legate alle migrazioni, ecologiche, sociali, sono una sfida per credenti di differenti religioni ed anche per non credenti”. Ascoltiamo Frère Alois, appena tornato da un viaggio ad Homs, in Siria. L’intervista è di Marie Duhamel

R. - Une grande partie de la ville, nous le savons, est détruite mais c’est inimaginable...
Una grande parte della città è distrutta ma lo scenario è inimmaginabile: quando lo vediamo, il cuore soffre. C’è qualche famiglia che torna per cercare di vivere nei propri appartamenti distrutti senza acqua, senza elettricità. E’ tutto in rovina… Allo stesso tempo davanti alla cattedrale greco-cattolica si è celebrato il Natale per i bambini. I giovani hanno preparato dei regali. In Siria c’è il grande dramma dei bambini, ci sono molte iniziative per loro.

D. – Nonostante le difficoltà lei ha sentito che la festa della natività è stata di luce e fonte di speranza?

R.  – C’est difficile parce que ils sont epuisés, decouragés les gens…
E’ difficile perché le persone sono veramente stanche e scoraggiate. E’ piuttosto la Chiesa e le feste che sostengono il popolo ed è la celebrazione del Natale che risveglia una piccola speranza per una speranza più profonda. I giovani che ho incontrato mi hanno chiesto: “Dov’è Dio? Perché questa violenza? Perché così tanto tempo?” Sono 4, 5 anni che questa violenza non si ferma. Le parole più forti, sono state quelle di un giovane: "Dite in occidente che noi vogliamo vivere insieme. La maggioranza dei giovani vuole vivere insieme tra differenti religioni, tra musulmani e cristiani, ma la nostra voce non è ascoltata, la voce delle armi è più forte". Allora quando sentiamo questo, ci chiediamo: cosa possiamo fare? Diamo un aiuto materiale ma certo è insufficiente… Penso che questo sia un appello rivolto a noi tutti: quello di restare in questa fiducia, nella fede che Dio è amore. Ma dobbiamo vivere questo, dobbiamo mostrare questo attraverso la nostra vita. Dobbiamo mostrare che Dio è amore e che il Signore non vuole la violenza. Penso che sia un appello anche per noi che siamo qui: vivere questo amore di Dio ancora più radicalmente e adesso l’Anno della misericordia ci invita a questo.

D.  – Tanti siriani sono dovuti fuggire dal loro Paese e bisogna accoglierli. Il Papa ha inviato un messaggio ai giovani di Taizè chiedendo loro di essere delle "oasi di misericordia". Che ne pensa del messaggio?

R.  – Ça nous va droit au coeur, droit au coeur…
Va dritto al nostro cuore, dritto al cuore: aprirci all’altro, non lasciarci ipnotizzare dalla paura. Certo, questa situazione con un numero così grande di rifugiati non è facile e la paura è comprensibile. Ma non possiamo lasciarci ipnotizzare dalla paura. Dobbiamo aprirci all’altro. A Taizé concretamente abbiamo accolto una famiglia irachena, giovani sudanesi. Ci può aiutare a ritornare all’essenziale, a sapere che la misericordia, l’amore, la fraternità, la fraternità vissuta attraverso il mostrarsi cristiani con tutti gli uomini e le donne di buona volontà possono aprire un avvenire per le nostre società. L'avvenire non è invece il ripiegamento nella paura.

Sono più di 1.000 i giovani italiani arrivati a Valencia per l’incontro promosso dalla Comunità di Taizè. Amedeo Lomonaco ha raccolto la testimonianza di uno di loro, Vittorio

R. - Per me essere qui è la risposta migliore che posso dare all’idea che sta nascendo adesso: quella di chiudere le frontiere, di chiuderci in noi stessi. Siamo tutti qui per una cosa sola: pregare per la pace nel mondo e dare una testimonianza concreta del fatto che questo è possibile.

D. – Cosa si impara dalla preghiera e dal confronto con giovani provenienti da vari Paesi e con esperienze diverse?

R. – L’insegnamento più grande che ho appreso io in questi anni è quello che sono tante le maniere con le quali ci possiamo avvicinare a Dio. Ma la cosa più importante è che il fine è uno solo: è quello di essere in grado di costruire un mondo migliore a partire da oggi. L’insegnamento è questo: sia che tu sia ortodosso o protestante o cattolico c’è la possibilità di costruire tutti insieme un futuro migliore con un fine comune. 

inizio pagina

Pellegrini in viaggio verso la misericordia, passando per la Chiesa Nuova

◊  

E’ la misericordia a segnare questo tempo di grazia dell’Anno Santo. I pellegrini che vogliono recarsi alla Porta Santa della Basilica di San Pietro potranno seguire quattro cammini giubilari. Essi seguono antichi percorsi che permettono di rivivere il tesoro spirituale della Città Eterna attraverso tanti luoghi sacri che testimoniano la fede di generazioni di cristiani, di Santi e di martiri. Tra questi il "cammino papale", percorso seguito per secoli dai Papi, specialmente in occasione della loro elezione e la presa di possesso di Roma come Vescovi della città. Tra i luoghi forti di questo cammino c'è la chiesa giubilare di Santa Maria in Vallicella. Alessandro Filippelli ha intervistato il parroco, padre Vladimiro Tyka

R. – Noi come Chiesa Nuova, Santa Maria in Vallicella, celebriamo anche il quinto centenario dalla nascita di San Filippo Neri; celebriamo praticamente due giubilei contemporaneamente: il primo quello di San Filippo che è iniziato il maggio scorso e quello della Misericordia che il Papa ha indetto per quest’anno!

D. – Cosa avete preparato affinché il pellegrino arrivi alla Porta Santa con la giusta disposizione del cuore e dello spirito?

R. – Abbiamo un programma intenso per quanto riguarda il Giubileo di San Filippo al quale si può partecipare. Tutto dipende poi tra l’altro dal coordinamento dei gruppi che devono essere registrati, inviati verso uno delle due chiese. Possiamo offrire le confessioni, l'adorazione del Santissimo Sacramento, l’apertura della chiesa per tutto il giorno, cosa che facciamo già da un anno.

D. – Lei ha citato spesso San Filippo Neri: può spiegarci storicamente quanto è legato alla Chiesa di Santa Maria in Vallicella?

R. – L’ha costruita San Filippo Neri! Qui giace il suo corpo e la sua pastorale si è svolta in questa zona. Nel ‘500 ha risanato la zona dove è stata ricostruita ex novo una chiesa che da 400 anni viene denominata appunto “chiesa nuova”, ma fondamentalmente chiamata Santa Maria in Vallicella, perché qui c’è un piccolo avvallamento di terreno dove c’erano delle paludi, una zona molto umida.

D. – Il Giubileo è anche un’occasione per riscoprire le bellezze di Roma. Cosa offre Santa Maria in Vallicella dal punto di vista artistico?

R. – Tutta la chiesa è piena di opere di artisti famosi. La Cappella di San Filippo tra l’altro è un gioiello artistico dove giace l’urna con le sue spoglie mortali. Ci sono le stanze di San Filippo che possono essere visitate previa prenotazione. Insomma, è tutto da vedere!

inizio pagina

Nella Chiesa e nel mondo



Mons. Shevchuk: pace per le grandi sofferenze dell'Ucraina

◊  

È un’invocazione alla pace per “le grandi sofferenze” dell’Ucraina il cuore del messaggio di Natale dell’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, capo del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina. Nel documento, il presule ricorda che “la pace è una delle espressioni principali dell’amore di Dio per il suo popolo”; essa non è, quindi, soltanto “una mera assenza di guerra”, bensì implica “l’unione e la riconciliazione con Cristo, fonte di pace per il mondo intero”.

Pregare Dio perché doni la pace all’Ucraina
Guardando, poi, alla drammatica situazione nel Paese, da tempo devastato dal conflitto con i ribelli filorussi, l’arcivescovo maggiore scrive: “Con l’aiuto di Dio, abbiamo vissuto un altro anno di guerra. Le sofferenze e le prove del nostro popolo non sono finite, ma siamo sopravvissuti tra pene incommensurabili, sangue e lacrime” ed “abbiamo dovuto ripensare il valore ed il significato delle parole pace, misericordia, coraggio, umanità e responsabilità”. Tutto questo, ribadisce l’arcivescovo maggiore di Kiev, “si trova radicato nella preghiera, con la quale, tutti insieme, continuiamo ad implorare Dio perché ci doni la pace”.

Solidarietà e compassione sono la vera via della pace
Di qui, il richiamo dell’arcivescovo ucraino ad “essere solidali” con i soldati al fronte, con coloro che hanno perso familiari ed amici a causa del conflitto, con “le sofferenze dei feriti e dei prigionieri”, perché “in mezzo a queste grandi necessità, alle difficoltà economiche, alla corruzione ancora presente ovunque ed alla mancanza di un’efficace gestione politica, noi non abbiamo perduto la compassione nei confronti del prossimo, ma siamo diventati più responsabili e più coraggiosi nel difenderne la dignità”. “Solidarietà, compassione e fiducia ci donano la speranza in Dio e ci rivelano la vera via della pace”, aggiunge il presule.

Accogliere gli sfollati, gesto di misericordia
L’arcivescovo maggiore di Kiev esorta, inoltre, i fedeli a “celebrare il Natale insieme con chi è sfollato, chi ha perduto i propri cari ed i propri beni”, affinché “in questo Anno Santo della Misericordia, le porte di ogni casa possano diventare le porte della misericordia del Signore”. “Accogliendo i rifugiati, i poveri ed i sofferenti – sottolinea ancora il presule – diamo il benvenuto nelle nostre case, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità al Figlio di Dio, fonte della pace”. A prescindere, dunque, dalla fede che i profughi praticano, l’appello dell’arcivescovo maggiore Shevchuk è ad accoglierli, andando loro incontro, “con la preghiera e con gesti di misericordia”.

Conforto e speranza sono radicate in Cristo
​Infine, a tutti gli ucraini, anche a quelli “in diaspora”, il presule invia “parole di conforto e speranza, radicate in Cristo Salvatore”. “Possa Gesù Bambino – conclude il messaggio – ascoltare le nostre preghiere, conservare la pace nel Paese ed effondere su di esso la benedizione celeste”. (I.P.)

inizio pagina

Haiti: la Chiesa nella Commissione di valutazione elettorale

◊  

La Conferenza dei vescovi di Haiti (Ceh) ha informato che ha deciso di partecipare alla costituzione della Commissione di valutazione elettorale. Nel comunicato ripreso dall'agenzia Fides, firmato dal card. Chibly Langlois, vescovo di Les Cayes e presidente della Ceh, si spiega che la Conferenza episcopale ha scelto mons. Patrick Aris come suo rappresentante in questo organismo, e che si è arrivati a questa decisione dopo un profondo discernimento e dopo aver ascoltato attentamente le preoccupazioni delle parti coinvolte. Mons. Aris è Segretario delle comunicazioni e portavoce della Conferenza episcopale.

La decisione per un corretto e pacifico svolgimento del voto
Questa decisione comporta, si legge nella nota, che tutti i prerequisiti indicati dalla Ceh per un corretto e pacifico svolgimento della consultazione, dovranno essere tenuti in considerazione da tutti i protagonisti coinvolti nel processo elettorale. Per questo la Ceh ritiene che una Commissione in cui sono presenti rappresentanti dei diversi settori sociali, credibile, con un chiaro mandato, possa fare chiarezza nel rispetto della verità, mettere le regole al processo elettorale e correggere ciò che deve essere corretto.

Rimandata la data del ballottaggio
I tempi per giungere alla creazione di questa Commissione di valutazione elettorale, per mandato della Commissione elettorale provvisoria, hanno fatto rimandare la data del ballottaggio, fissato per il 27 dicembre. Al ballottaggio vanno Jovenel Moise, sostenuto dal Presidente uscente e dal partito di maggioranza, e Jude Celestin. L'attuale Presidente di Haiti, Michel Martelly, nel suo messaggio di Natale ha chiamato il popolo haitiano a dimostrare al mondo che il Paese è capace di mantenere l'unità e svolgere una consultazione democratica in modo pulito e popolare. (C.E.)

inizio pagina

Congo: vigilia di Natale di sangue nell'est del Paese

◊  

Vigilia di Natale di sangue in tre località nel territorio di Beni, nel Nord Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. Secondo notizie giunte all’agenzia Fides, la mattina del 24 dicembre gli abitanti di Vemba-Todo/Mavivi, Mukoko/Oïcha, e di Mayangos/Beni sono stati assaliti dai guerriglieri dell’Adf-Nalu, un gruppo di origine ugandese che opera nell’area, che hanno ucciso almeno 20 civili all’arma bianca.

Il movimento jihadista ha interessi nello sfruttamento delle risorse naturali
È la prima volta che tre località vengono colpite contemporaneamente, fanno notare commentatori locali, che denunciano inoltre la pratica dello smembramento dei corpi delle vittime per seminare il terrore nella popolazione. L’Adf-Nalu ha assunto negli ultimi anni la caratterizzazione di un movimento jihadista, ma secondo gli abitanti della regione si tratterebbe solo dell’ultimo dei diversi gruppi armati attivi nell’area, sostenuti da potenze locali ed extrafricane, che seminano il terrore per poter sfruttare impunemente le enormi risorse naturali locali. 

Uccisi altri civili presi in ostaggio da un altro gruppo armato
​Un altro gruppo armato presente nell’area sono le Fdlr (Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda) che si sono rese responsabili del massacro di 33 civili in altre tre località del Nord Kivu. Secondo notizie pervenute alla Fides, i massacri sono stati perpetrati tra il 16 e il 22 dicembre. La maggior parte delle persone uccise erano ostaggi rapiti in precedenza.

L'appello del Papa per la pace nel martoriato Paese africano
Nel suo messaggio Urbi et Orbi, Papa Francesco aveva chiesto “pace e concordia per le care popolazioni della Repubblica Democratica del Congo, del Burundi e del Sud Sudan affinché, mediante il dialogo, si rafforzi l’impegno comune per l’edificazione di società civili animate da un sincero spirito di riconciliazione e di comprensione reciproca”. (L.M.)

inizio pagina

Sud Corea-Giappone: storico accordo per le "donne conforto"

◊  

I governi di Giappone e Corea del Sud hanno raggiunto un accordo di portata storica per dirimere la controversa questione delle “donne conforto”, costrette a lavorare come schiave del sesso per i soldati nipponici prima e durante la II Guerra mondiale. Tokyo ha annunciato lo stanziamento di 1 miliardo di yen (circa 8,3 milioni di dollari) per un fondo – amministrato da Seoul – che garantisca il “maggior benessere possibile” alle sopravvissute. Il primo ministro giapponese Shinzo Abe - riporta l'agenzia AsiaNews - ha anche espresso attraverso il suo ministro degli Esteri “delle scuse di cuore” per quanto accaduto.

Accordo preliminare siglato a Seoul dai due ministri degli Esteri
Fumio Kishida, rappresentante del Sol Levante, è arrivato questa mattina nella capitale sudcoreana. Alla sua controparte Yun Byung-se ha dichiarato: “Abe, come primo ministro del Giappone, offre di cuore le sue scuse per tutti coloro che hanno subito molto dolore e ricevuto ferite che sono difficili da curare, sia dal punto di vista fisico che mentale”.

Oggi le sopravvissute sono poco più di 50
La questione era stata aperta nel 1965, quando sia Tokyo che Seoul iniziarono a liberarsi dal controllo amministrativo degli Stati Uniti imposto dopo la fine del conflitto mondiale. Secondo i coreani, le “donne conforto” erano 400mila donne rapite con la forza o con l’inganno per lavorare nei bordelli o nelle caserme giapponesi sparsi per l’Asia; per i giapponesi si è trattato di un traffico di esseri umani (che coinvolgeva "al massimo 40mila persone") orchestrato da privati, e non da rappresentanti dell’esercito o dell’esecutivo. Oggi le sopravvissute sono poco più di 50. La Corea è stata colonia giapponese dal 1910 al 1945. Nel corso della conferenza stampa che ha concluso l’incontro, Kishida ha dichiarato: “Basandoci sul fatto che la questione ha lasciato profonde ferite nell’onore e nella dignità di molte donne a causa del coinvolgimento dell’esercito giapponese, il Sol Levante si sente molto responsabile”.

Con l'accordo Seoul e Tokyo più vicine
​L’accordo ora apre la strada a maggiori rapporti bilaterali fra le due nazioni, schiacciate dalla presenza cinese nell’area. Secondo alcune fonti coreane, le scuse ufficiali espresse di persona da Shinzo Abe arriveranno durante un meeting bilaterale che si terrà negli Stati Uniti a marzo 2016, a margine di un incontro sul disarmo nucleare. Da quel momento in poi, gli analisti di entrambe le nazioni sono concordi nel ritenere che Seoul e Tokyo “faranno di tutto” per rafforzarsi in modo reciproco. (R.P.)

inizio pagina

Chiesa Usa: al via la settimana nazionale delle migrazioni

◊  

“Ero straniero e mi avete accolto”: è ispirato ad un versetto del Vangelo di Matteo (Mt 25, 35) il tema della Settimana nazionale delle migrazioni, in programma negli Stati Uniti dal 3 al 9 gennaio 2016. L’evento, a cadenza annuale, è organizzato dalla Conferenza episcopale locale (Usccb). “L’appello ad accogliere lo straniero – si legge in una nota dei vescovi – gioca un ruolo importante nelle vite dei fedeli cristiani, in particolare per coloro che lavorano nell’ambito delle migrazioni”.

Migrante necessita del supporto della comunità locale
“Il migrante – prosegue la nota – si muove da una nazione ad un’altra ed è davvero uno straniero” che si trova ad affrontare numerose difficoltà, tra cui “una lingua non familiare” e “costumi differenti”. Per questo, sottolineano i vescovi, “il migrante necessita del supporto delle comunità locale, affinché possa adattarsi meglio al suo nuovo ambiente”. La Settimana nazionale delle migrazioni ha preso il via, negli Stati Uniti, 26 anni fa, con l’obiettivo di sensibilizzare i fedeli e gli operatori ecclesiali sul tema dei migranti.

Attenzione particolare nel Giubileo della misericordia
​L’iniziativa, in programma ogni anno a gennaio, anticipa, in un certo senso, la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che ricorre il 17 dello stesso mese. Per l’occasione, il Papa diffonde sempre un messaggio: il tema scelto per l’edizione 2016 è stato “Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia”, con un chiaro riferimento al Giubileo straordinario della misericordia, in corso fino al 20 novembre del prossimo anno. (I.P.)

inizio pagina

Vaticano: presepe "biblico" nella parrocchia di Sant'Anna

◊  

Il tradizionale presepe della parrocchia di Sant’Anna in Vaticano evoca quest’anno suggestivi scenari della Tunisia arricchiti di simboli biblici. Stupisce la natività ambientata in un antico portico e posta al centro della rappresentazione che riproduce anche la torre di Sion, il lago di Tiberiade e la cascata di un’oasi. Un singolare effetto di luci crea l’alternarsi del giorno e della notte illuminata da tante stelle e da una brillante cometa.

Piccoli dettagli richiamano all’atmosfera di Betlemme
Un gioco di prospettive lascia apparire l’angelo che annuncia la nascita di Gesù idealmente pensata nell’atrio di una cattedrale, proprio dove tanti pellegrini, celebrando il Giubileo della Misericordia, varcheranno la Porta Santa. “La peculiarità di questo presepe risiede nello stupore che è in grado di offrire da ogni punto di osservazione – nota il parroco, l’agostiniano padre Bruno Silvestrini –. Colpisce la cura minuziosa dei singoli dettagli e l’atmosfera che riconduce a Betlemme”.

L’allestimento realizzato da artisti marchigiani e le statuine da un artigiano siciliano
Autori del presepe sono i marchigiani Mariano Piampiani, Sandro Brillarelli e Alberto Taborro che hanno lavorato a Tolentino (Macerata). Le statuine provengono da Monreale, in provincia di Palermo, e sono state realizzate da Antonio Giordano. “Quello che vogliamo ricordare a quanti vengono a vedere il nostro presepe sono i versetti biblici 14-16 del capitolo 18 del libro della Sapienza – spiega p. Silvestrini – perché è come se ne fosse stata riprodotta l’ambientazione: ‘Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua Parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, scese sulla terra’. Ecco – conclude il parroco di Sant’Anna – ci auguriamo che contemplando nel silenzio, ogni visitatore possa ascoltare la Parola di Dio fattasi carne in Gesù Cristo”. (A cura di Tiziana Campisi)

inizio pagina

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 362

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.