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Sommario del 26/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa all’Angelus: con il perdono vinciamo il male e ci avviciniamo a Dio

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“Attraverso il perdono vinciamo il male con il bene, trasformiamo l’odio in amore e rendiamo così più pulito il mondo”. E’ quanto ha detto, stamani, Papa Francesco all’Angelus nel giorno in cui la Chiesa festeggia Santo Stefano, il primo martire. E’ tanto brutto vivere nel rancore, il perdono – ha affermato il Santo Padre – avvicina l’uomo a Dio. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Il perdono guarisce e rigenera i cuori. Ogni giorno – ha ricordato Papa Francesco - abbiamo “l’occasione per allenarci a perdonare, per vivere questo gesto tanto alto che avvicina l’uomo a Dio”. “Nasciamo dal perdono di Dio” ed ogni volta che siamo perdonati – ha aggiunto il Papa – “il nostro cuore rinasce, viene rigenerato”.

“Se vogliamo avanzare nella fede, prima di tutto occorre ricevere il perdono di Dio; incontrare il Padre, che è pronto a perdonare tutto e sempre, e che proprio perdonando guarisce il cuore e ravviva l’amore. Non dobbiamo mai stancarci di chiedere il perdono divino, perché solo quando siamo perdonati, quando ci sentiamo perdonati, impariamo a perdonare”.

Il perdono nasce dalla preghiera
Perdonare però è sempre molto difficile. Come possiamo – ha chiesto il Papa - imitare Gesù? Da dove incominciare “per scusare i piccoli o i grandi torti che subiamo ogni giorno?

“Si comincia dal proprio cuore: possiamo affrontare con la preghiera il risentimento che proviamo, affidando chi ci ha fatto del male alla misericordia di Dio. ‘Signore, ti chiedo per lui, ti chiedo per lei’. Poi si scopre che questa lotta interiore per perdonare purifica dal male e che la preghiera e l’amore ci liberano dalle catene interiori del rancore”.

Il vero testimone di Gesù prega, ama, dona e perdona
Inchiodato sulla Croce – ha ricordato il Santo Padre – Gesù ha perdonato. E anche Santo Stefano ha fatto come Gesù. Tra quelli per i quali Stefano implorò il perdono – ha affermato - c’era anche “un giovane di nome Saulo” che perseguitava la Chiesa. Saulo, poco dopo, divenne Paolo, l’apostolo delle genti. “Paolo – ha detto il Papa - nasce dalla grazia di Dio e dal perdono di Stefano”. Dal perdono di un testimone e di un martire:

“E’ infatti vero testimone chi si comporta come Lui: chi prega, chi ama, chi dona, ma soprattutto chi perdona, perché il perdono, come dice la parola stessa, è l’espressione più alta del dono”.

Oggi brilla la luce dell'amore 
Con il Natale abbiamo contemplato l’amore misericordioso di Dio. Nel giorno in cui la Chiesa ricorda il martirio di Santo Stefano – ha spiegato il Papa – “vediamo la risposta coerente del discepolo di Gesù, che dà la vita”. “Ieri – ha detto il Pontefice - è nato in Terra il Salvatore; oggi nasce al cielo il suo testimone fedele”:

“Ieri come oggi, compaiono le tenebre del rifiuto della vita, ma brilla ancora più forte la luce dell’amore, che vince l’odio e inaugura un mondo nuovo”.

Maria orienti la preghiera
Per ricevere e donare il perdono, il Papa ha infine esortato a pregare Maria:

“La Vergine Maria, cui affidiamo coloro – e sono purtroppo tantissimi – che come santo Stefano subiscono persecuzioni in nome della fede, i nostri tanti martiri di oggi, orienti la nostra preghiera a ricevere e donare il perdono”.

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Repubblica Centrafricana: pace più vicina dopo la visita di Francesco

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La Repubblica Centrafricana, dopo la recente visita di Papa Francesco, è un Paese non più scosso da quotidiane violenze e da continui scontri tra opposte fazioni. Il clima generale, anche in questo Santo Natale, è profondamente mutato e il Paese, anche se instabile, attende con rinnovata speranza le elezioni in programma il prossimo 30 dicembre. Nella Messa di Natale l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, ha auspicato la nascita di un Paese nuovo. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Nell’omelia l’arcivescovo di Bangui ha ricordato la visita di Papa Francesco nella Repubblica Centrafricana, uno dei Paesi più poveri al mondo che, dal 2012, affronta una delle crisi più difficili della sua storia. Nel recente viaggio del Pontefice – ha detto il presule – “vediamo la visita di un Angelo inviato dal Signore a noi pastori sulle rive del fiume Oubangui”.

Il Papa ha seminato nei cuori amore e misericordia
Il Santo Padre ha incontrato donne, uomini, bambini, persone anziane, giovani, ricchi, poveri, sfollati. A ciascuno ha parlato di pace, di riconciliazione, di amore e di misericordia. Con la visita del Papa – ha aggiunto mons. Nzapalainga – la gloria di Dio si è manifestata in molti aspetti. Molte “differenze sono state superate” e ha prevalso la ricerca dell’unità.

Francesco messaggero di pace
Uno dei segni della manifestazione della gloria di Dio – ha ricordato il presule - si è visto nel quartiere musulmano del “Km 5”. Cristiani e cattolici si sono mischiati con i loro fratelli musulmani per dare il benvenuto al Papa. Il Santo Padre è venuto nella Repubblica Centrafricana come messaggero di pace e aprendo la Porta Santa della cattedrale – ha osservato - “ha fatto di Bangui la capitale spirituale del mondo”.

La misericordia è la via per la pace
La pace è possibile – ha sottolineato mons. Nzapalainga – “se apriamo la porta del nostro cuore alla misericordia”. La misericordia – ha spiegato – è legata alla pietà, porta sulla strada del perdono ed esorta ogni uomo a scegliere la via della bontà e della tenerezza. Essere misericordiosi – ha detto –significa volere il bene del prossimo, in nome della reciprocità voluta da Gesù stesso.

Un Paese stabile e nuovo
Ricordando le parole di Papa Francesco, l’arcivescovo di Bangui ha invitato i politici ad essere i primi ad “incarnare con coerenza nella loro vita i valori dell'unità, della dignità e del lavoro, per essere modelli per i loro connazionali”. ”Gesù è venuto per fare nuove tutte le cose”. Speriamo – ha concluso – in una Repubblica Centrafricana “stabile e nuova”.

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Oggi in Primo Piano



Anche nel 2015, tanti cristiani perseguitati e dimenticati

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"Preghiamo per i cristiani che sono perseguitati, spesso con il silenzio vergognoso di tanti". E' quanto scrive, nel tweet lanciato oggi dal suo account, Papa Francesco. Dall’Africa al Medio Oriente, anche il 2015 è stato un anno in cui purtroppo, in tante aree del pianeta, i cristiani sono stati vittime di discriminazioni e persecuzioni. Se il pensiero va subito alle efferatezze perpetrate dai miliziani del sedicente Stato islamico, il quadro delle persecuzioni anti-cristiane è molto più vasto di quanto si possa comunemente pensare. E’ quanto sottolinea, al microfono di Alessandro Gisotti, la portavoce in Italia di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), Marta Petrosillo

R. – Purtroppo il 2015 conferma la tendenza che noi di Aiuto alla Chiesa che Soffre riscontriamo già da alcuni anni, quindi un aumento della persecuzione nei confronti dei cristiani. Proprio nell’ottobre scorso, abbiamo presentato il nostro Rapporto sulla persecuzione anti-cristiana, dal titolo significativo “Perseguitati e dimenticati”. Quindi vediamo, innanzitutto, un aumento della pressione dell’estremismo islamico, un aumento che riscontriamo sicuramente in Africa, dove Boko Haram, oltre alla Nigeria, inizia ad estendere la sua azione anche nei Paesi vicini. Passando dall’Africa al Medio Oriente, l’azione del sedicente Stato Islamico continua a schiacciare la comunità cristiana. Vi sono stati numerosi attacchi di chiese, ed Aleppo, che è sempre stata una delle roccaforti della cristianità in Siria, si svuota drammaticamente di cristiani: da 150 mila che erano prima dell’inizio della crisi, nel 2011, oggi se ne contano appena 50 mila. Stato Islamico, che continua la sua drammatica azione anche in Iraq, dove i cristiani subiscono discriminazioni anche a livello politico. In Asia, non possiamo non citare il Pakistan e fare un cenno all’Indonesia, che vive una situazione poco conosciuta. Anche lì i cristiani soffrono, in particolare nella provincia di Aceh, dove vige la sharia e dove nell’ottobre scorso sono state attaccate numerose chiese. Non è soltanto il fondamentalismo islamico a colpire i cristiani, ma anche ad esempio quello indù. In India abbiamo visto un aumento degli attacchi anti cristiani. In particolare si sta diffondendo una pratica con il tentativo da parte dei fondamentalisti indù di convertire all’induismo cristiani e musulmani.

D. – Sempre più cristiani, da diverse aree del mondo, sono costretti tra mille sofferenze, tra mille difficoltà a fuggire…

R. – L’aumento dell’esodo cristiano, in particolare dal Medio Oriente, sta raggiungendo delle proporzioni drammatiche, tanto che vi sono comunità a rischio. Ad esempio, l’Iraq rischia di svuotarsi della sua comunità cristiana. Anche dalla Siria ci giungono notizie, ad esempio, di autobus che due o tre volte a settimana partono dai principali quartieri di Damasco per portare i giovani cristiani in Europa, perché ormai in Siria non vi è più alcuna prospettiva. Ma anche dall’Italia ci confermano delle associazioni che lavorano con i rifugiati che negli ultimi anni vi è stato un aumento del 30 per cento dei rifugiati cristiani che giungono sulle nostre coste e, ad esempio, molti casi di cristiani nigeriani. Una bella storia è quella dei due gemellini sbarcati nei mesi scorsi, che saranno battezzati proprio in questo mese nel Salento.

D. – Ci sono dei Paesi, delle situazioni, dove invece in questo 2015 ci sono stati dei miglioramenti nella situazione dei cristiani…

R. – Sì, vi sono degli esempi di miglioramenti, per quanto riguarda anche il dialogo interreligioso. Penso sicuramente alla Repubblica Centrafricana, che ha beneficiato molto della recente visita di Papa Francesco, che ha dato davvero un ulteriore impulso alla distensione del dialogo interreligioso. La locale comunità musulmana ha molto apprezzato l’attenzione di Papa Francesco per i fedeli islamici, e dal Paese ci giunge una testimonianza della Chiesa locale proprio della convinzione che questa visita possa segnare un nuovo inizio e una distensione dei rapporti interreligiosi.

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Paul Bhatti: Natale in Pakistan, fede più forte della violenza

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Tra i Paesi dove i cristiani soffrono maggiormente a causa di discriminazioni e persecuzioni c’è il Pakistan. Agli attacchi dei gruppi fondamentalisti si aggiunge la presenza di una legge, quella sulla blasfemia, che limita gravemente la libertà religiosa dei cristiani e non solo. Su questo periodo natalizio per i cristiani del Pakistan, Alessandro Gisotti ha intervistato l’ex ministro cristiano pakistano, Paul Bhatti, fratello di Shahbaz Bhatti, ministro per le Minoranze religiose, assassinato nel 2011: 

R. – Natale in Pakistan ha un significato davvero importante, data la violenza e il terrorismo. Le chiese sono sotto strette norme di sicurezza e sono circondate dalle pattuglie. La gente è terrorizzata dal fatto che possa succedere qualcosa. Nonostante tutto, però, è un Natale che, indipendentemente dagli aspetti negativi, porta gioia e anche speranza in tutti noi. 

D. – Purtroppo anche il 2015, che si sta concludendo, è stato un anno in cui si sono verificate tante vicende di discriminazione e di vera e propria persecuzione dei cristiani in Pakistan…

R. – Sì, è successo questo! Siamo stati vittime, questo è vero. Ma anche altre fedi hanno subito violenze: anche tanti musulmani sono stati uccisi. Chiaramente noi siamo i più colpiti per la fede che condividiamo, ma anche tante persone appartenenti ai gruppi sciiti, agli hindu, sono morte e ha perso la vita e anche qualche sikh. Il Paese, quindi, è tormentato. Speriamo e preghiamo che questo Natale, questo anno nuovo, porti pace e serenità per tutto il popolo del Pakistan.

D. – Quando si pensa ad una legge che mette a rischio la libertà religiosa, spesso si nomina la legge sulla blasfemia. Proprio in Pakistan il pensiero va ovviamente ad Asia Bibi, come esempio poi di tanti cristiani, e non solo, che soffrono a causa di questa legge…

R. – Sì, questo è vero. Noi abbiamo cercato di modificare questa legge - anche mio fratello, che è sempre stato in lotta – per fare in modo che almeno non venisse usata a scopi personali. Questo stiamo facendo. Io vorrei dire però che non c’è solo la legge, ma c’è un’ideologia che è cresciuta nell’arco degli anni, e si uccide e si muore in nome di questa ideologia. Sembra che il loro obiettivo, infatti, sia questo. E’ sbagliato, e noi dobbiamo pensare ai bambini che sono vittime di questa imposizione, di questa ideologia radicale.

 

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Nigeria. Onaiyekan: cristiani e musulmani vittime di Boko Haram

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Dalla Nigeria arrivano quasi quotidianamente notizie di attentati e di violenze, per lo più perpetrati dal gruppo di matrice islamica Boko Haram. A provocare vittime ora sono anche ragazzini kamikaze coinvolti, in maniera inconsapevole, in azioni di morte. Ma come vivono quest’anno i cristiani di quel Paese la rinnovata nascita di Gesù? Adriana Masotti lo ha chiesto al cardinale John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, la capitale della Nigeria, che nei giorni scorsi ha aperto la Porta Santa nella Cattedrale: 

R. – Questo dipende da dove una persona si trova. Per esempio io mi trovo qui, ad Abuja e la mia vita scorre normalmente, senza problemi. Ci sono dei posti di controllo qua e là sulle grandi vie; abbiamo le solite misure di sicurezza nelle Chiese. Il giorno di Natale sono andato in prigione a visitare i prigionieri del carcere centrale di Abuja: anche quest’anno l’ho fatto. Prima di Natale, con un buon numero di sacerdoti, suore e fratelli, siamo andati a visitare due campi profughi: siamo andati a trovarli e abbiamo portato loro tanti viveri e indumenti. Sono cristiani e musulmani e sono tutti insieme, perché sono tutti vittime del terrorismo del Nord. È una cosa che fa molta impressione: vedere questa gente povera, le donne che si coprono con gli abiti musulmani e le donne cristiane che si vedono con il Rosario intorno al collo. Sono tutti nella stessa folla, tutti accumunati dal fatto che sono dovuti fuggire dalle loro case. 

D. – Quindi cristiani e musulmani vittime dell’estremismo. Lei diceva: dipende da dove ci si trova. Dove, allora, c’è più difficoltà a vivere?

R. – Sempre nella zona del Nord-Est. Anche se le forze dell’ordine hanno ottenuto qualche successo nel controllo del gruppo Boko Haram, non direi che la zona è ancora sicura. I combattenti di Boko Haram girano con le armi e attaccano qua e là, anche se i soldati nigeriani cercano di controllarli. Ciò vuol dire che il problema di Boko Haram non si risolve solo con la risposta armata da parte delle nostre forze dell’ordine, ma ci vorrebbe, secondo me, un maggiore sforzo nella linea del dialogo, della discussione politica, affinché i leader di questo gruppo di terroristi si convincano di smettere di continuare a causare problemi alla gente nella zona.

D. – Qual è il messaggio che lei hai dato e che dà alla sua gente in queste feste natalizie?

R. – Il messaggio è puntato sull’argomento del Natale, della pace e della gioia, ma ho parlato anche del fatto che tutto ciò viene posto nel contesto dell’Anno della Misericordia. E dobbiamo cogliere questa occasione di chiedere la Misericordia di Dio su noi tutti e sul nostro Paese, perché non ci siamo comportati bene tra di noi: c’è stata troppa violenza, conflitti, morti… È tempo di chiedere il perdono di Dio. Poi anche noi, nell’Anno della Misericordia, dobbiamo essere misericordiosi: tutto il discorso del perdono del prossimo, della riconciliazione nazionale, persino il gruppo di Boko Haram non si deve escludere. Poi in Nigeria, oltre alla sicurezza, è molto importante il tema della corruzione: c’è tanta gente che ha rubato miliardi e miliardi di dollari. Ora dobbiamo cercare di convincerli a pentirsi e a restituire i soldi rubati. Ma il discorso del perdono sia per i corrotti sia per i Boko Haram, non è un discorso facile da fare in Nigeria. In ogni caso, non abbiamo comunque dimenticato di dire alla nostra gente di spargere il messaggio dell’Anno della Misericordia ai loro amici e connazionali, perché vogliamo che tutti siano missionari della misericordia, che raccontino come è buono il Signore e come dobbiamo cercare di essere buoni gli uni con gli altri.

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Pranzo di Sant’Egidio al carcere Regina Coeli

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Oltre 180mila persone hanno partecipato alle centinaia di pranzi di Natale offerti dalla Comunità di Sant’Egidio in tutto il mondo. Ieri, nella basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma, ha preso parte al pasto con i poveri anche il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, che ha rivolto il saluto del Papa a tutti i presenti. Sant’Egidio ha organizzato pranzi anche con i detenuti di molti carceri. Fra gli altri, quello che si è tenuto oggi nel penitenziario romano Regina Coeli. Marco Guerra ne ha parlato Carlo Santoro, volontario della comunità di Sant’Egidio oggi in visita al penitenziario di Roma: 

R.  –  Il cardinale Parolin ha portato il saluto personale del Papa, dicendo che stare insieme ai poveri al pranzo di Natale è un esempio di convivenza e ha detto anche: “Il Papa vi vuole bene”. Ha ripetuto più volte questa frase, anche personalmente fermandosi con ognuno dei commensali. Il pranzo a Santa Maria in Trastevere è stato il primo, per la prima volta nel 1982, ma ormai questo pranzo c’è in molte chiese di Roma e ovunque, attraverso la comunità di Sant’Egidio, nel mondo. Questa tavola così larga ha visto partecipare quasi 180 mila persone: poveri di tutto il mondo e anche, in molte carceri, ogni detenuto che si trova in condizioni molto difficili di vita.

D.  – Infatti, l’Anno santo ci invita a riscoprire le opere di misericordia, e tra queste c’è sicuramente l’attenzione per i carcerati, come ha più volte ricordato Papa Francesco…

R. – Il carcere è un po’ un esempio forte: quando il Papa parla della cultura dello scarto, il carcere è esattamente un posto di esclusione. Invece noi pensiamo, come dice il Papa, che la misericordia è rivolta a tutti. Spesso il Papa cita i carcerati. Anche in occasione di ogni viaggio in genere vuole essere vicino ai carcerati. Nel carcere di Philadelphia a settembre scorso il Papa ha detto che la misericordia si mostra chiaramente per mezzo di due gesti: lavare i piedi e andare a tavola. Lavare i piedi perché ognuno di noi merita di essere purificato, lavato dagli altri, e la tavola perché Gesù vuole che da questa tavola nessuno rimanga fuori, perché la tavola è stata apparecchiata per tutti e tutti siamo invitati. Ma io devo dire che l’invito esigente è rivolto anche agli stessi carcerati, ad essere misericordiosi ognuno nei confronti del proprio vicino. Il Papa parlava addirittura della Porta Santa che è quella di ogni cella, quindi anche chi non può andare a San Pietro o nelle basiliche ovunque nel mondo, può avere l’indulgenza che può essere l’inizio di una nuova vita, anche addirittura nella propria cella.

D. – Tu oggi ti trovi a Regina Coeli, il carcere di Roma, per uno di questi pranziqual è l’atmosfera, come si vive questa giornata?

R. – Noi siamo qui in questa rotonda, che è il punto centrale dell’Antico Monastero, dove in genere la domenica celebriamo la messa con i detenuti. Siamo qui ormai per la settima volta il giorno di Santo Stefano, il 26 dicembre, in ricordo di una grande visita che fu quella di Papa Giovanni il 26 dicembre del 1958. Per la prima volta nella storia un Papa volle visitare i detenuti e disse con parole semplici che voleva mettere il proprio cuore vicino a quello dei detenuti e anche gli occhi nei loro occhi. Con questo spirito noi ci dobbiamo avvicinare ai detenuti. Questo è un invito a tutti, a guardare i detenuti con altri occhi, con occhi misericordiosi perché la stessa misericordia verrà riservata anche a ciascuno di noi.

D.  – Dal Regina Coeli parte un augurio anche a tutti gli altri carcerati, nel segno della misericordia, del perdono e del rinnovamento della vita...

R. – Il primo augurio che vogliamo fare qui, da Regina Coeli è l’invito a essere misericordiosi, nessuno escluso. Un pensiero va anche a chi lavora qui dentro, agli agenti che spesso operano in condizioni complesse, difficili. Sappiamo che troviamo spesso molte vittime della cultura dello scarto ma da qui oggi parte una ribellione. Quindi da qui, ovviamente anche per i detenuti che dovessero sentirci su Radio Vaticana, parte un augurio sincero per questo Natale. E anche un augurio finale: che il prossimo anno noi saremo qui ma che loro saranno fuori e potranno festeggiare insieme a noi, al pranzo di Natale o a Santa Maria o altrove, dove ormai festeggiamo, in altre città e in altre parti del mondo.

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Celebrazioni per i 100 anni dalla morte di Charles de Foucauld

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Il primo dicembre  2016 saranno cent’anni dalla morte del beato Charles de Foucauld, ucciso all’età di 58 anni, a Tamanrasset, nel sud dell’Algeria, per mano di una banda di predoni del deserto. L’associazione Famiglia spirituale Charles de Foucauld, che conta migliaia di aderenti tra consacrati e laici in tutto il mondo, ha già dato il via alle celebrazioni dell’anniversario. Soprattutto in Francia, terra natale del beato, sono stati programmati numerosi incontri, conferenze, mostre. Ma anche a Roma nel settembre 2016 si terrà un grande convegno. Il servizio di Adriana Masotti

Charles de Foucauld aveva scelto di vivere nel Sahara algerino a contatto con la popolazione nomade dei Tuareg. Unico cristiano in una terra islamica, abitava in estrema povertà in una tenda in cui per lunghe ore adorava l’Eucaristia. “Nessun vascello a vela né a vapore ti condurrà così lontano quanto un minuto di preghiera”, scriveva ad un nipote che desiderava fare il marinaio per vedere il mondo e continuava: “Ci sono più misteri nel piccolo Tabernacolo che nelle profondità dei mari e nella superficie della terra”. Prima trappista in Francia e a Nazareth, fratel Carlo sentì poi la spinta a fondare una nuova Congregazione. Ciò che desiderava era “essere un’immagine viva dell’amore di Gesù” e potersi dedicare alle anime più trascurate. A Tamanrasset, pur desiderando di condividere la propria esperienza spirituale con altri fratelli, morì solo, ma fu come il chicco di grano del Vangelo che morendo porta molto frutto. Sentiamo fratel Lorenzo Chavelet, procuratore generale dei Piccoli Fratelli di Gesù, Congregazione che si ispira alla spiritualità di Charles de Foucauld:

R. – Ha fatto della religione un amore. Io credo che questo sia fondamentale, per Charles de Foucauld: è un innamorato di Gesù, Gesù scoperto soprattutto nella sua vita a Nazareth. Un Gesù che era semplicemente – come diceva de Foucauld – un carpentiere, un uomo che era un po’ come tutti e questo essere come tutti significa soprattutto che l’amore di Dio si esprime in questa vicinanza alla gente semplice di un piccolo villaggio, lontano dal Tempio, lontano dalla capitale: questo è Nazareth, per Charles de Foucauld …

D. – Amare Dio e amare gli uomini: questo era l’obiettivo di fratel Carlo. E ha scelto il silenzio, il deserto e anche la convivenza con i non cristiani …

R. – Una volta interiorizzata profondamente questa realtà di Nazareth, lui ha voluto andare verso coloro che sono lontani dalla Chiesa, gente che vive al di fuori dei ranghi della società. Per questo è andato a cercare i popoli che vivono nel deserto, tra cui il popolo Tuareg al quale si è fatto molto vicino. Ammirava molto la loro fede e il modo di vivere, cercava soprattutto di rispettare questo modo di vivere, così diverso per un francese che veniva da una famiglia aristocratica, ricca …

D. – Pregava anche molto per la gente che viveva vicino a lui....

R. – Sì, tutto questo per lui è molto collegato al suo legame con Gesù, Gesù che incontrava nell’Eucaristia. Infatti, Charles de Foucauld è stato ordinato prete e per lui l’adorazione del Santissimo era una realtà vissuta con molta intensità. Però c’è da dire che essendo solo nel deserto, l’unico cristiano, gli era stato vietato di celebrare l’Eucaristia. Lui voleva essere un prete molto rispettoso e obbediente con la gerarchia cattolica e dunque, malgrado il suo grande amore per l’Eucaristia ha preferito rimanere solo, senza celebrare la Messa, per anni - per anni è durato questo divieto! - preferendo rimanere vicino alla gente. Viveva questo mistero della presenza di Gesù nella vita condivisa con gli altri.

D. – Abbiamo detto che è morto solo, senza vedere nascere la Congregazione che voleva fondare. Ma poi sono sorte, nel tempo, tante realtà ispirate proprio alla sua spiritualità, e la prima è stata la Congregazione dei Piccoli Fratelli di Gesù, di cui lei fa parte. Che cosa l’ha conquistata della spiritualità di Charles de Foucauld?

R. – Ho pensato, quando avevo già 22-23 anni, ad essere prete. Vedevo Gesù che per la maggior parte della sua vita – visto che ha vissuto 33 anni - ne ha passati 30 anni a Nazareth: questa preferenza di Gesù per questa via mi ha conquistato. Ho pensato che suo Padre voleva salvare il mondo e l’ha salvato tramite questo suo Figlio che è morto in croce. Dunque ho cercato di entrare in questo movimento di Gesù che si abbandona a suo Padre. E io credo che all’interno della Chiesa ci sia posto per un gruppo di persone come noi che entra in questa realtà di abbandono nel silenzio.

D. – Lei per anni ha lavorato come operaio in un’impresa di pulizie. Questo è lo stile di vita di un Piccolo Fratello di Gesù?

R. – Sì è questo: noi cerchiamo di vivere una vita come la gente nei gradini più bassi della scala sociale. E' una vita molto banale, apparentemente, però questa banalità è piena di cose molto belle: si vede, appunto, la luce di Gesù nella sua vita nazarena …

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Itinerari giubilari: la Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini

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Un tempo di grazia, un periodo speciale per la riconciliazione. Questo è l’orizzonte che offre l’Anno Santo della Misericordia. A Roma i pellegrini potranno incamminarsi verso la Porta Santa della Basilica di San Pietro passando per le tre chiese giubilari. San Giovanni Battista dei Fiorentini è una di queste, Alessandro Filippelli ha intervistato il parroco, mons. Luigi Venturi: 

R. – San Giovanni Battista dei Fiorentini è stata scelta come Chiesa giubilare insieme ad altre due Chiese, sia per la sua posizione – è vicinissima a Ponte Sant’Angelo e quindi a San Pietro – e in secondo luogo per la ricchezza delle memorie storiche legate alla Divina Misericordia e ai Giubilei.

D. – Cosa avete preparato per i pellegrini che passeranno per questa Chiesa durante l’Anno Santo?

R. – Innanzi tutto i pellegrini che vengono qui troveranno i confessori per accostarsi al Sacramento della Penitenza; poi c’è l’adorazione eucaristica…E potranno partecipare alla Messa e svolgere i loro momenti di catechesi.

D. – Può spiegare questo legame particolare tra la Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini e San Filippo Neri?

R. – Lui è stato il primo parroco di questa Chiesa; questa è la Chiesa dei fiorentini, lui era fiorentino e quindi quando costruirono l’edificio fu naturale chiamarlo a servizio della comunità dei fiorentini che erano a Roma. Qui lui viveva con i suoi confratelli, tra cui il cardinale Cesare Baronio. Qui iniziò a ideare la sua iniziativa della vita degli oratori. È evidente che noi siamo molto legati a San Filippo Neri.

D. – Questo è il Giubileo della Misericordia. La Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini è particolarmente legata al culto della Divina Misericordia. Perché?

R. – A Roma, negli Anni ’50, la devozione alla Divina Misericordia era proibita. Per opera di una santa donna che abitava qui vicino alla parrocchia che aveva conosciuto il confessore di Santa Faustina, nacque questo primo gruppo – direi quasi nella clandestinità – che iniziò la devozione a Gesù misericordioso, la celebrazione della Domenica della Misericordia. Quindi questa tradizione si è perpetuata anche se è chiaro che ora si è spostata in modo particolare verso la Chiesa di Santo Spirito in Sassia, dove Giovanni Paolo II ha eretto il Santuario della Divina Misericordia.

D. – Questa chiesa custodisce un frammento osseo del piede di Santa Maria Maddalena, una particolarità per il percorso giubilare verso la Porta Santa di San Pietro …

R. – Anticamente il Papa fece costruire questa cappellina proprio all’inizio di Ponte Sant’Angelo, l’unico accesso per andare a San Pietro, quindi con l’intento che tutti i pellegrini avrebbero dovuto venerare i piedi di Maria Maddalena prima di andare a San Pietro, stimolo ad una vera ed autentica conversione. Adesso abbiamo pensato di riportare questa tradizione. Ho realizzato in Chiesa una Cappella proprio dedicata a Maria Maddalena e tutti i gruppi che vengono in questa Chiesa, prima di andare verso Ponte Sant’Angelo venereranno il piede di Maria Maddalena, reciteranno una preghiera composta per l’occasione e poi si dirigeranno verso Castel Sant’Angelo o verso la Porta Santa.

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Torna a Roma il presepe vivente della Comunità di Villaregia

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Questa domenica 27 dicembre e il prossimo 2 gennaio torna a Roma l’ormai tradizionale Presepe vivente missionario della Comunità di Villaregia. Si tratta della nona edizione di questa sacra rappresentazione che si svolge nella splendida cornice della riserva naturale di Monte Migliore, sulla Laurentina, e alla quale prenderanno parte oltre 150 figuranti. Ce ne parla Raffaella Campana, missionaria della Comunità di Villaregia, al microfono di Elisa Miucci: 

R. – Il nostro Presepe vivente missionario è giunto alla sua nona edizione; le persone vengono accolte da un’équipe, da alcuni dei nostri figuranti che danno alcune indicazioni relative alla visita del Presepe e se il gruppetto – o anche la persona singola – volesse un “Cicerone”, troverà un “Cicerone” che spiegherà il percorso del Presepe. All’inizio verrà presentato il senso del Presepe stesso e poi i visitatori potranno visitare il villaggio di Betlemme nonché una mostra missionaria e una piccola esposizione di Presepi etnici e attendere così fino a quando non ci sarà il corteo dei Magi che scenderà per calare la realtà di 2.000 anni fa nell’oggi. In questo oggi in cui viviamo anche con l’accoglienza dei migranti, l’Anno Santo. Quindi con il Presepe verrà dato anche questo senso, come annuncio di evangelizzazione, un annuncio di fraternità universale. Dopo, chi volesse, potrà anche partecipare alla celebrazione eucaristica. Tutto questo nell’arco di un pomeriggio.

D. – Il Presepe è giunto alla sua nona edizione. Quali novità sono state introdotte, quest’anno?

R. – Abbiamo ampliato alcune delle capanne con le arti e i mestieri: quindi quest’anno ci sarà la zona del barcaiolo con la lavorazione delle reti, ci sarà un forno interamente fatto di mattoni, costruito con le modalità dell’epoca, in cui verrà ammassato il pane e poi cotto. Sono queste alcune delle novità. E poi, la mostra missionaria, il percorso missionario di quest’anno è totalmente nuovo e inedito. Il titolo è: “Il mondo visto da un’altra prospettiva”.

D. – I visitatori, attraverso un’offerta libera, potranno sostenere una missione in Messico...

R. –  Noi siamo nella terra messicana dal 1998, lavoriamo in mezzo alla gente e con la gente che ha parecchie difficoltà. Con le persone stiamo cercando di portare avanti sia l’aspetto dell’evangelizzazione sia l’aspetto umano coinvolgendo tutti. Non vogliamo essere come i grandi signori che arrivano e posseggono già cosa daranno, ma vogliamo coinvolgere proprio la popolazione per far crescere sempre di più anche un senso di collettività, di comunità. Le difficoltà sono varie, sono quelle che si incontrano in varie zone povere, anche in diverse zone in difficoltà della nostra terra. Quindi, difficoltà scolastiche, alimentari. Ultimamente, tra le altre attività, abbiamo costruito officine per le donne in modo da insegnare loro a svolgere lavori manuali per poter poi aprire attività proprie e vendere. E la gente è stata molto contenta. Abbiamo fornito anche un’assistenza per i bambini, soprattutto nel doposcuola, per aiutarli a fare i compiti.

D. – Invitiamo dunque i nostri ascoltatori a visitare il Presepe missionario. Quali sono le date e dove sarà possibile ammirarlo?

R. – Domenica 27 dicembre e sabato 2 gennaio, al pomeriggio; sul sito “preseperoma.it” si potranno trovare anche le informazioni. Siamo sulla Laurentina: saremo molto lieti di accogliere tutti. Vi aspettiamo numerosi. Ci sarà anche qualche piccola attrazione per i bambini: quindi non temete di portare i bambini che si trovano sempre molto bene qui da noi.

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Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica

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Nella Domenica della Santa Famiglia, la liturgia ci presenta il Vangelo dello smarrimento di Gesù a Gerusalemme. Dopo tre giorni, Maria e Giuseppe lo ritrovano nel Tempio. La madre gli dice: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. E Gesù risponde:

«Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti: 

Oggi è la festa della famiglia di Nazaret, che come ogni famiglia veramente cristiana è immagine perfetta di quello che è Dio: Unità e Comunione. In questo momento storico, diciamo, di autopoiesi dell’uomo – l’uomo vuole costruirsi, farsi, a sua immagine, senza Dio e senza anima – ciò che a molti dà fastidio è proprio la rivelazione della famiglia cristiana: una donna, un uomo ed i figli; ad immagine della Trinità divina, in una intimità di relazioni d’amore. Si preferiscono rapporti fluidi: finché mi piace, finché mi diverte, finché mi sta bene! Il Vangelo getta luce su un momento della Famiglia di Nazaret: durante il pellegrinaggio annuale per la festa della Pasqua, il fanciullo Gesù, dodicenne, scompare ed i genitori sono in ansia. Lo ritrovano dopo 3 giorni nel tempio, ad ascoltare e porre domande ai maestri d’Israele. La domanda della Madre esprime tutta la sua sofferenza: “Figlio, perché ci hai fatto questo?”. E la risposta del Figlio è ancor più seria: “Perché cercarmi? Non sapete che debbo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Il Vangelo nota: “Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro”. Ci sono fatti, ci sono momenti nella vita di ogni famiglia che non si comprendono: vanno custoditi nel cuore, in attesa che il Dio che conduce la storia, li porti a compimento, ne dia la comprensione. Oggi siamo invitati anche noi alla scuola di questa Famiglia per apprenderne e custodirne il mistero e viverne la bellezza, per diventarne testimoni semplici, gioiosi e coraggiosi nella società di oggi, fedeli al disegno di Dio, senza compromessi con le logiche del mondo. Così saremo con Cristo, nella Chiesa, luce del mondo!

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Nella Chiesa e nel mondo



Migranti: oltre 900 salvati nelle ultime 24 ore nel Canale di Sicilia

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Prosegue anche durante i giorni di Natale il massiccio flusso di migranti lungo le rotte del Mediterraneo che portano verso l’Europa. Solo ieri oltre 700 persone sono state salvate nel Canale di Sicilia. Due migranti sono morti nel tentativo di raggiungere a nuoto l’enclave spagnola di Ceuta dalle spiagge del Marocco. 

Salvati 179 migranti
Nelle acque del canale di Sicilia il giorno Santo Stefano si è aperto nello stesso mondo in cui è chiuso quello di Natale: con le operazioni navali per il salvataggio di migranti in ambito della missione navale europea Eunavformed. Sono 179 i profughi recuperati oggi in due distinti interventi, uno della Capitaneria di porto e uno portato a termine da un’unità di Medici senza frontiere; a cui si aggiungono i 751 salvati ieri anche grazie ad un mezzo della marina militare tedesca. Tutti i migranti sono in viaggio verso un porto italiano. 

Tensioni in un centro di accoglienza
Le buone condizioni meteo agevolano i viaggi della speranza e ieri circa 200 migranti hanno cercato oggi di raggiungere a nuoto, dalle spiagge marocchine, l'enclave spagnola di Ceuta. Due sono morti, 180 sono riusciti nell'impresa, gli altri sono stati intercettati. Infine si segnalano tensioni in un centro di accoglienza in provincia di Trapani, dove alcuni cittadini del Gambia hanno bloccato le attività della struttura chiedono di essere ricongiunti con le loro comunità di appartenenza in altri Paesi europei. (A cura di Marco Guerra)

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Siria: ucciso in un raid leader ribelle islamista

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Abo Hammam al Bwaydani è il nuovo capo del Jaysh al Islam, una delle principali fazioni di ribelli islamici in Siria, dopo l'uccisione ieri in un raid aereo nei pressi di Damasco del leader dell'organizzazione, Zahran Allush. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani, il comandante ribelle Allush è stato colpito mentre era riunito insieme ad altri importanti ufficiali in un edificio in un quartiere orientale della capitale siriana.

Allush morto in seguito a raid russo
L’attacco mirato sarebbe stato condotto dall’aviazione russa. La morte di diversi dirigenti della ribellione potrebbe destabilizzare la guerriglia, alimentando le divisioni e favorendo il regime di Assad. Allush era infatti considerato una figura centrale della resistenza al governo di Damasco, capace di guidare un groppo di decine di migliaia di combattenti che hanno tenuto testa al esercito governativo grazie ad una buona preparazione militare.

Nuovo accordo tra Russia e Usa
Il duro colpo contro l’opposizione coincide con l’annuncio di Mosca sul raggiungimento di un accordo con gli Usa relativo alla lista dei gruppi ribelli che possono partecipare ai futuri negoziati sulla Siria. Un obiettivo a lungo inseguito dalle due diplomazie alla ricerca di una soluzione per la crisi siriana. Inoltre si segnala l’accordo tra il regime e lo Stato islamico che consente l’evacuazione di una zona a sud della capitale controllata dai miliziani islamisti, i quali hanno ottenuto un salvacondotto per spostarsi nella regione di Mare mentre le forze di Assad possono riacquistare il controllo sull’area.

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Filippine: tutto pronto per 51° Congresso eucaristico di Cebu

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Nelle Filippine, sono ormai in dirittura di arrivo i preparativi per il 51.mo Congresso Eucaristico Internazionale, previsto a Cebu 25 al 31 gennaio 2016.  Lo ha annunciato mons. Jose Palma, l’arcivescovo della città che ospiterà l’importante incontro ecclesiale. “Siamo praticamente pronti”, ha detto il presule citato dall’agenzia Ucan a un briefing il 14 dicembre. All’evento sono attesi 10mila partecipanti e 8.500 delegati da 71 Paesi si sono già iscritti. Per il vescovo ausiliare di Cebu, Dennis Villarojo, si tratta già di un buon risultato.

“Cristo in voi, speranza della gloria” tema della Congresso
Quello di Cebu è il secondo Congresso Eucaristico Internazionale ospitato dalle Filippine dopo quello di Manila del 1937, il 33°, durante il pontificato di Pio XI. Il tema scelto per questo il Congresso, che segue quello di Dublino del 2012, è “Cristo in voi, speranza della gloria”, tratto dalla lettera di San Paolo ai Colossesi. Esso vuole sottolineare come la tensione escatologica insita nell'Eucaristia offra impulso al cammino storico dei cristiani, ponendo un seme di vivace speranza nella quotidiana dedizione di ciascuno ai propri compiti e stimolando la comune responsabilità verso la terra e la storia di oggi. All’interno del tema della speranza verrà recuperato anche l’annuncio del dono di Dio ai giovani, di cui l’Asia è ricchissima, e l’impegno a favore delle schiere di poveri del continente.

Il Congresso Eucaristico nello spirito del Giubileo della Misericordia
Per mons. Palma l’evento sarà sicuramente una “fonte di rinnovamento” per i cattolici: “rinvigorirà speranza di chi la sta perdendo” , ha detto il presule. Il cardinale arcivescovo di Manila Luis Antonio Tagle, ha sottolineato, da parte sua, che il significato di questo incontro “va oltre alla Chiesa cattolica”: “C’è una disperato bisogno di umanità oggi. Umanità implica il dono dell’amore, del perdono e ci auguriamo che il Congresso Eucaristico Internazionale possa arricchire il Giubileo della Misericordia”, ha detto il cardinale .

Il card. Charles Maung Bo Inviato Speciale del Santo Padre
Tra relatori principali al Congresso figurano il card. Timothy Dolan , arcivescovo di New York, il vescovo ausiliare di Los Angelse Robert Barron, il cardinale nigeriano John Onaiyekan, il card. Oswald Gracias di Bombay. A rappresentare il Santo Padre ci sarà il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon (Birmania). (A cura di Lisa Zengarini)

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Rep. Ceca: Giornata di formazione tutela dei minori dagli abusi

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Prevenire gli abusi sessuali e tutelare le vittime, in particolare i minori: con questo obiettivo il 13 febbraio 2016, a Praga, si terrà una giornata di formazione a tutto campo. L’evento sarà ospitato dal “Centro formativo Borromeo”, fondato dall’Ospedale delle Suore della Misericordia di San Carlo Borromeo della città.

Tra gli oratori, anche padre Hans Zollner
“L’incontro – spiegano gli organizzatori, citati dall’agenzia Sir - vuole contribuire al miglioramento delle conoscenze di psicologi, leader spirituali, catechisti, educatori, assistenti pastorali, organizzatori di campi estivi e di tutti coloro che potrebbero ritrovarsi ad affrontare il fenomeno degli abusi sessuali sui minori sul posto di lavoro”. Tra gli oratori è atteso anche il padre gesuita Hans Zollner,  presidente del Centro per la protezione dei minori presso la Pontificia Università Gregoriana e membro della Commissione pontificia per la tutela dei minori, istituita da Papa Francesco a marzo 2014.

Non ignorare problema degli abusi, ma affrontarlo con le misure necessarie
In particolare, il programma della giornata si concentrerà sul riconoscimento dei segnali precoci degli abusi sui minori e dei potenziali aggressori, nonché sulla prevenzione delle recidive.  “È fondamentale non fingere che il problema non esista, ribadiscono gli organizzatori. Il problema c’è e dobbiamo non solo riconoscerlo, ma anche adottare tutte le misure necessarie per tentare di risolverlo, partendo da un approccio di esperti a tutti i livelli”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 360

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.