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Sommario del 24/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: Dio si fa piccolo perché è innamorato di noi

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La Chiesa si appresta a celebrare il Natale del Signore in quest’Anno Santo della Misericordia. Papa Francesco presiede alle 21.30 la Messa della Notte nella Basilica di San Pietro. Il servizio di Sergio Centofanti

La celebrazione eucaristica della Messa della Notte sarà introdotta dal tradizionale canto della Kalenda che annuncia il Natale di Gesù, Signore e centro della storia. Papa Francesco ha scelto il silenzio in questi giorni per prepararsi a celebrare il Dio che si fa uomo. Un silenzio rotto oggi solo da un tweet: “Dio è innamorato di noi. Si fa piccolo per aiutarci a rispondere al suo amore” scrive il Papa. E nel biglietto di auguri natalizi stampato dalla Tipografia Vaticana c’è la sua esortazione: “Exultemus in die salutis nostrae” ("Esultiamo nel giorno della nostra salvezza"), parole tratte dal sermone 29 di San Leone Magno.

Durante la Messa della Notte la preghiera dei fedeli, come di consueto, sarà in varie lingue. In arabo si pregherà per i pastori e gli evangelizzatori perché “innamorati del Verbo di Dio fatto carne, annuncino con franchezza la verità”. In francese la preghiera è per i governanti: “illuminati dalla novità del Natale, servano la dignità di ogni persona e la pace dei popoli”. In cinese si prega per i poveri e gli ultimi della terra perché “consolati dalla gioia di Betlemme, ritrovino in Gesù Bambino speranza e forza”. E in aramaico la preghiera è rivolta per gli increduli e i peccatori perché “raggiunti dalla luce della verità, aderiscano al Signore in pensieri e opere”.

Domani alle 12.00, dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana Papa Francesco rivolgerà il suo messaggio natalizio al mondo e impartirà la Benedizione “Urbi et Orbi”.

Sabato 26 dicembre, nella festa di Santo Stefano protomartire, il Papa recita la preghiera dell'Angelus alle 12.00.

Domenica 27 dicembre nella festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe il Papa celebra la Messa per le Famiglie alle 10.00 nella Basilica di San Pietro e poi alle 12.00 guiderà l’Angelus dalla finestra dello studio privato del Palazzo Apostolico.

Per le cerimonie del Natale, la Radio Vaticana provvederà anche quest’anno ad offrire la trasmissione Live della Messa della Notte e del Messaggio “Urbi et Orbi” in diretta sulle consuete frequenze e in multilingua su YouTube e sul Vatican player.

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Mons. Sorondo: il programma di Francesco sono le Beatitudini

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Nel tweet per la Vigilia del Natale del Signore, Papa Francesco torna a parlare di Dio che si fa piccolo come un Bambino per manifestarci tutto il suo amore. Proprio su questo pensiero, Alessandro Gisotti ha raccolto la riflessione di uno dei più stretti collaboratori di Francesco: l’arcivescovo argentino Marcelo Sánchez Sorondo, cancelliere delle Pontificie Accademie delle Scienze e delle Scienze Sociali: 

R. – E’ chiaro che “farsi piccolo” vuol dire Natale, perché Dio si fa Bambino: non solo si incarna! Il Verbo di Dio lo fa naturalmente con tutte le condizioni della natura umana e quindi con la nascita. Tutti hanno ammirato quando il Papa dice “si fa piccolo”: è un bambino, completamente disarmato… Immediatamente fa nascere in noi il sentimento della cura, della responsabilità, del fare qualcosa per Lui.

D. – La rivoluzione di Gesù è “la rivoluzione della tenerezza”, lo vediamo in particolare a Natale, ed è qualcosa che ci ripete tante volte Papa Francesco. Questo – lo sappiamo – è un messaggio non sempre facile da attuare e perfino da comprendere nella nostra società. Da dove partire, anche qui in Vaticano, anche nel lavoro proprio al servizio del Successore di Pietro?

R. – Questa idea del Papa è molto forte ed è in se stessa l’idea della Bibbia e del Cristo stesso. Che si può fare? La prima cosa è cercare di seguire il Papa e non avere alcuna reticenza, perché ci sta effettivamente mostrando la radicalità del Vangelo. Non è né di sinistra né di destra, non è né di sopra né di sotto: semplicemente vuole applicare le Beatitudini! E cosa promette il Signore a coloro che sono giusti e a coloro che sono mansueti, a coloro che amano la giustizia e che sono operatori di pace, che hanno il cuore puro? Il Signore promette: “Loro possederanno la terra”. Non i ricchi, ma coloro che sono come San Francesco. “Saranno chiamati Figli di Dio e vedranno Dio”. Queste sono le tre promesse che il Signore fa a coloro che vivono in accordo alle Beatitudini. E guardate che questo è il programma del Signore, del Vangelo! Non c’è un altro programma! Quindi il Papa non fa altro che attuare questo programma. Perciò la prima cosa, per noi, è seguire il Papa, capirlo bene, cercare di comprenderlo bene nel senso profondo di quello che vuole portare avanti, tanto più in questa sua apertura per significare l’essenza di Dio stesso, che è la Misericordia, nell’Anno Santo. Quindi collaborare con lui.

D. – L’apertura della Porta Santa a Bangui come anche l’apertura della Porta della Carità all’Ostello Caritas di Roma sono gesti che parlano e che hanno parlato molto ai credenti e in realtà non solo ai credenti. Come dargli seguito nella vita quotidiana?

R. – E’ una indicazione: bisogna cominciare da lì, bisogna cominciare da dove sono le esclusioni, da dove c’è la marginalizzazione, da dove c’è la fame. Il Papa ha detto, tante volte, che il suo progetto è realizzare le Beatitudini del Signore. Una delle principali Beatitudini dice questo: “Beati coloro che hanno sete e fame di giustizia”. E il Papa vuole mettere questo a fuoco.

D. – Nel 2015 abbiamo visto un grande impegno del Papa non solo per le creature, ma anche a difesa proprio del Creato; con l’Enciclica Laudato si’, ma anche con il sostegno diretto e chiaro ad un accordo alla Conferenza sul Clima di Parigi. Qualcuno si è stupito, sostenendo che un Pontefice non dovrebbe occuparsi di queste cose, dell’ambiente… Lei cosa ne pensa?

R. – Credo che quelli che si sono stupiti – e sappiamo chi sono… - si sono stupiti perché difendono l’interesse privato. Il Papa si chiama Francesco e San Francesco significa la realizzazione pratica del fatto che tutte le cose sono create da Dio e hanno un ordine a Dio. In Seminario studiamo il Trattato della Creazione e San Tommaso introduce la Creazione nel tema di Dio: tutte le cose hanno un rapporto con Dio in quanto sono create e destinate a Dio. Joseph Ratzinger diceva che uno dei trattati che bisogna ripensare è proprio il Trattato della Creazione. E’ una cosa straordinaria il fatto che il Papa, in questa Enciclica Laudato si’, abbia parlato della “conversione ecologica”. La sua Enciclica, in definitiva, ha anche un senso di giustizia: quello che è chiaro è che trattare male la Creazione, il non rispettare le sue leggi produce un boomerang che va contro lo stesso uomo. Questo produce più povertà, produce migrazione, produce le forme più estreme di marginalizzazione. Sono tutte cose, queste, che stanno capitando in quello che il Papa chiama “globalizzazione dell’indifferenza”. Il Papa vuole che a tutti gli esseri umani siano riconosciute la dignità e la libertà.  Ed e’ particolarmente preoccupato da queste nuove forme di schiavitù.

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La Deus caritas est di Benedetto XVI ha 10 anni. Dal Toso: grande messaggio

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Porta la data del 25 dicembre 2005 la prima Enciclica di Benedetto XVI: “Deus caritas est”. Un testo accolto nel mondo, attraversato da crisi, conflitti e tensioni, come un richiamo alla speranza. Dio è Amore: è l’annuncio che Benedetto XVI rivolgeva all’uomo contemporaneo, è Lui che dà vita al mondo, ma è un Dio che ha un volto e un cuore umano in Gesù. Per celebrare i 10 anni dell’Enciclica, il Pontificio Consiglio Cor Unum sta lavorando ad un Convegno internazionale in programma il prossimo febbraio, in Vaticano. Adriana Masotti ha intervistato il segretario del Dicastero, mons. Giovanni Pietro Dal Toso

R. – Un punto fondamentale o forse il punto fondamentale dell’Enciclica, che è stata la prima Enciclica di Papa Benedetto, quindi in qualche modo anche la sua Enciclica programmatica, è esattamente questo: far vedere chi è il Dio cristiano e qual è il nome del Dio cristiano. Il nome del Dio cristiano è “carità”, è – appunto – “amore”. Io penso che questo grande messaggio di Papa Benedetto ha voluto centrare quale sia la volontà di Dio sull’uomo e per questo è stato importante ribadirlo. La volontà di Dio sull’uomo è quella di poterlo amare: pensiamo anche in questi giorni di Natale, in cui esattamente si manifesta questo. Dio nasce per noi, diventa uomo, diventa carne come noi, proprio per far conoscere all’uomo l’amore di Dio. Per me, anche questo fatto di aver voluto sottolineare fin dall’inizio che Dio è carità – “Deus caritas est” – per me questo è fondamentale anche perché dà un connotato molto chiaro anche a quello che noi intendiamo per carità, cioè: chi ci dice che cos’è la carità, è esattamente Dio. Per me non è per niente irrilevante che proprio il concetto di “agape”, quindi di carità, è entrato nella storia dell’uomo con il cristianesimo, perché carità intende l’amore come dono di sé, come darsi pienamente all’altro.

D. – Infatti, presentando l’Enciclica, proprio Benedetto XVI ha detto: “La parola ‘amore’ oggi è così sciupata, consumata … Dobbiamo riprenderla, riportarla al suo splendore originario. E’ stata questa consapevolezza che mi ha indotto a scegliere l’amore come tema dell’Enciclica”...

R. – Di nuovo, io posso solo sottolineare quanto dice Papa Benedetto. Di amore oggi si parla – o forse si è parlato sempre – in tutte le salse; per noi cristiani è importante, invece, oggi, proprio dove vediamo che c’è questa difficoltà nei rapporti umani, questa difficoltà anche della fiducia verso l’altro, riappropriarci di questo termine “carità” che dice, invece, qual è il modo in cui il cristiano si rapporta con l’altro e si rapporta con l’altro perché Dio si è rapportato così con noi. In questo modo diciamo a cosa siamo veramente chiamati, come persone, proprio in questa chiave di “dono di sé”: è un amore che si esprime nelle diverse dimensioni. Come noi siamo fatti di corpo e anima, così l’amore si esprime nel corpo e si esprime nell’anima. Mi piace in questo senso ricordare come Papa Francesco abbia voluto molto sottolineare, per il Giubileo, il discorso delle opere di carità corporale e spirituale.

D. – Benedetto XVI sottolinea che l’amore non è solo individuale, ma è comunitario, e parla delle opere di carità della Chiesa …

R. – Questo per noi è stato chiaramente un passaggio molto importante, perché il nostro Pontificio Consiglio è quello che è chiamato a orientare, ad aiutare i grandi organismi cattolici di carità. Per noi, in questo senso, è stato molto importante riappropriarci, riapprofondire il termine di carità, ed è stato importante poi, appunto, che questa Enciclica abbia voluto mettere il servizio della carità, cioè quello che la Chiesa fa concretamente nei diversi ambiti – dalla salute all’educazione, all’assistenza – al centro della vita della Chiesa. E mi sembra che anche poi la Provvidenza abbia voluto Papa Francesco che di nuovo su questi temi – come sappiamo – è molto chiaro e anche molto insistente.

D. – E più volte chiede di distinguere: “La Chiesa - dice - non è una organizzazione umanitaria, una ong”...

R. – Questo lui lo ripete e mi sembra che anche in questo sia in linea con Papa Benedetto, che nella “Deus caritas est” dice che la Chiesa non può fare la carità semplicemente come una organizzazione non governativa ma la Chiesa, essendo il soggetto della carità, vive questa sua missione legata alle altre sue missioni che sono, appunto, la proclamazione della Parola di Dio e la celebrazione dei Sacramenti: cioè, è un tutt’uno. Anche proprio per fedeltà all’uomo stesso che vogliamo servire.

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Nomina episcopale di Francesco in Polonia

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In Polonia, Francesco ha nominato Vescovo Ausiliare di Łowicz Mons. Wojciech Tomasz Osial, finora Responsabile diocesano per la Catechesi e Notaio della Curia, assegnandogli la sede titolare di Cedie.

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Oggi in Primo Piano



Natale a Betlemme. Suor Maria Rosaria: la gente vuole la pace

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Ha sempre un sapore particolare il Natale in Terrasanta, dove questa sera, prima della Messa della Notte nella Basilica della Natività di Betlemme, cui parteciperà anche il presidente palestinese Abu Mazen, sarà aperta la Porta Santa nella Chiesa di Santa Caterina. Dei segnali che questo Natale può portare alla Terrasanta, Roberta Barbi ha parlato con suor Maria Rosaria Mastino, delle Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli, che si occupano di La Crèche, a Betlemme, il solo istituto nei Territori palestinesi abilitato all’accoglienza di bambini abbandonati: 

R. – Io penso che siano dei segnali molto positivi, anche se la situazione è sempre drastica. La gente ha bisogno anche di questo e in modo speciale in questo momento del Natale, perché a Betlemme, che è la città natale di Gesù, si sente tutto in modo particolare.

D. – È di stamattina l’ultima notizia di cronaca della cosiddetta “intifada del coltelli” iniziata a ottobre. In questo momento quali sono le prospettive reali di pace tra israeliani e palestinesi?

R. – Penso che sia molto difficile. Si parla tanto di pace, anche il presidente vuole la pace…. E’ molto complicato.

D. – Il 2015 è stato anche l’annus horribilis dei pellegrinaggi in Terra Santa, con un calo dei viaggi di oltre il 28 per cento…

R. – Non è difficile interpretare, perché sia la televisione che i giornali parlano della situazione in modo negativo, ma non è così! Qui la vita continua nonostante tutto… Quindi io invito la gente a venire, perché se la gente non viene cosa succede di Gerusalemme, di Betlemme? Se non vengono i pellegrini non c’è vita.

D. – L’anno sta per concludersi: qual è l’auspicio per la Terra Santa per il 2016?

R. – Che ci sia veramente un’era di pace, che riescano a fare fratellanza: anche se c’è sempre questo antagonismo, in fin dei conti sono fratelli sia gli ebrei che i palestinesi. È stata sempre in guerra dai tempi di Abramo e si continua sempre lo stesso soggetto: ma si deve arrivare a una pace! Come possiamo dire pace a tutti gli uomini del mondo quando nella terra in cui Gesù è nato la pace non c’è?

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Siria, mons. Zenari: quarto Natale di guerra, ma ora c'è speranza

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La gioia del Natale in Siria “è una sfida alle sofferenze e all’odio che ormai dilaga nel cuore della popolazione”. Sono le parole dell’arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, nelle ore in cui si rivive la nascita di Gesù nelle parrocchie del Paese, nelle case, ma anche nei campi che accolgono sfollati e profughi a causa di un conflitto che si protrae dal 2011, con un bilancio di oltre 250 mila morti. Giada Aquilino ha chiesto a mons. Zenari quale sia il senso di questo Natale in Siria, nell’Anno Santo della Misericordia: 

R. – Qui direi che sia proprio il campo della misericordia a 360 gradi. Dar da mangiare agli affamati: pensiamo che ci sono circa 13 milioni di persone, più della metà della popolazione, che hanno bisogno di assistenza. Dar da bere agli assetati: secondo le statistiche, il 72 per cento della popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Fino a seppellire i morti: magari in Europa non si pensa che sia un’opera di misericordia così particolare, ma alle volte anche seppellire i morti è un atto di coraggio in certe situazioni, quando si è sotto il tiro dei cecchini. In questo campo vasto della misericordia, possiamo dire che sono impegnati i cristiani, sono impegnate persone di ogni religione e anche persone non credenti.

D. – Dall’Onu, che nei giorni scorsi ha approvato una risoluzione per un cessate-il-fuoco in Siria, un governo di transizione in sei mesi ed elezioni entro un anno e mezzo, è arrivato anche un appello alle parti ad agevolare l’arrivo degli aiuti umanitari. Qual è la situazione sul terreno?

R. – Farei un accenno a come si vive il Natale in Siria. Nonostante ci si trovi in un Paese a maggioranza musulmana, circa il 90 per cento, è un giorno non lavorativo e quindi anche i nostri amici musulmani partecipano alla gioia del Natale. Da quello che ho visto in questi ultimi giorni e settimane, nonostante questo clima così pesante di guerra, c’è sempre una certa atmosfera del Natale. Ho ricevuto nei giorni scorsi molti inviti a partecipare a recital, ad inaugurazioni di presepi, di alberi di Natale. Domenica scorsa ero in una parrocchia rurale a sud di Homs e c’erano numerosi bambini delle elementari, delle medie, che intonavano canti natalizi, facevano scenette sulla nascita di Gesù. Fermandomi, però, più tardi con i loro genitori, con i loro nonni, la musica è cambiata: perché non c’è lavoro. Pensiamo che in Siria il 60 per cento della popolazione non ha lavoro e quattro famiglie su cinque, secondo le statistiche dell’Onu, vivono nella povertà. Questo Natale, vissuto da Maria e Giuseppe e dal Bambino Gesù, si ripete qui su larga scala, quando pensiamo che circa 12 milioni di siriani hanno dovuto abbandonare le loro case, in questi ultimi cinque anni. Una gran parte sono sfollati all’interno del Paese - circa 7 milioni -e quattro milioni nei Paesi vicini. E pensiamo a questa povertà, quando cantiamo “Tu scendi dalle stelle al freddo e al gelo”: tanti bambini in questi giorni nascono in accampamenti, sotto le tende o in case non riscaldate. Proprio qualche giorno fa una persona del nord-est della Siria mi ha fatto vedere delle foto veramente agghiaccianti di bambini denutriti: pensiamo ad un bambino di 3 anni e mezzo che pesa solo tre chili! Una situazione di povertà, di tragedia, di fame che si ripete, che alle volte non è proprio lontana da Damasco, da dove parlo attualmente: qui, a sei-sette chilometri, c’è una situazione più o meno simile, se pensiamo al cosiddetto campo palestinese di Yarmouk, con circa 4 mila civili asserragliati, da più di due anni, con i viveri che entrano con il contagocce, per non parlare dei medicinali, del materiale per il riscaldamento, del gasolio. E per non parlare della terribile tragedia, della strage degli innocenti: questi cinque anni di guerra in Siria hanno fatto più di diecimila morti tra i bambini. Bisogna fermare questa strage degli innocenti, come pure quella dei bambini morti in mare, mentre attraversavano con i loro genitori il Mediterraneo per andare nei Paesi europei.

D. – Un auspicio dalla Siria, in un contesto così difficile per i cristiani del Medio Oriente a Natale…

R. – Ci auguriamo che sia l’ultimo Natale vissuto in queste situazioni. E’ il quarto. Vogliamo sperare che questi germogli, che sono apparsi negli ultimi giorni, nelle ultime settimane, di una possibile uscita dalla crisi, possano fiorire: che l’anno prossimo, nei presepi di tutta la Siria, ci siano tanti rami di ulivo.

D. – Come sono state accolte le preghiere del Papa per una prosecuzione del dialogo ed una pace definitiva in Siria?

R. – Con molto rispetto. Direi che incoraggiano a proseguire sulla giusta strada.

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Natale in Turchia. Mons. Bizzeti: da periferie si vedono meglio sfide Vangelo

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La piccola minoranza cristiana che vive in Turchia si appresta a vivere nella gioia il Natale. Le tensioni politiche si sono fatte più acute, ma tante sono le speranze di pace e riconciliazione, in particolare in occasione di questo Anno Santo della Misericordia. Antonella Palermo ne ha parlato con mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia: 

R. – Nelle città ci sono degli addobbi, che noi chiameremmo “natalizi” – anche là, il consumismo ha cavalcato questi momenti. Però, sicuramente, i cristiani vivranno il Natale in una normale giornata di lavoro. Questa marginalità, in realtà è la marginalità anche del cristianesimo, fin da quando è nato.

D. – Come è stato per lei vivere l’inizio del Giubileo in questa terra, sulle orme di San Paolo?

R. – Ancora di più si comprende quanto sia urgente la riconciliazione, la misericordia, non soltanto come fatto religioso, ma proprio anche in tutta la sua dimensione civile, politica, culturale … San Paolo è un campione della riconciliazione; però, quello che San Paolo dice è: “Lasciatevi riconciliare da Dio”, cioè: lui vede la riconciliazione anzitutto come un’opera di Dio a cui noi dobbiamo acconsentire, più che il frutto di un nostro sforzo.

D. – E’ questo il modo in cui bisogna declinare questa parola, “misericordia”, in questa regione?

R. – Ogni gruppo sociale, ogni gruppo religioso prima di tutto deve riconoscersi complice del male, della violenza che c’è in circolazione. Proprio in una terra come la Turchia ci si rende conto di come il presente, appesantito da questo passato conflittuale che ha visto un po’ tutti protagonisti – la gente locale, ma anche le grandi potenze occidentali – ognuno ha lasciato un po’ il segno della sua violenza, dei suoi progetti di dominio …

D. – In fondo, l’intera Turchia può essere considerata una porta tra Oriente e Occidente; cosa implica questo, in termini di stabilità politica, di rapporti tra islam e altre fedi, tra profughi e autoctoni?

R. – Io vedo che la maggior parte, la stragrande maggioranza della gente sicuramente vuole la pace e accetta anche il pluralismo. Bisogna che questo, quindi, diventi anche un programma politico sempre più determinato, sempre più ricercato e perseguito in tutti i modi. E allora, ecco che la Turchia può tornare a essere una nazione che svolge un ruolo con un’autorità indiscutibile.

D. – Guardare il Papa che si decentra in continuazione, che sembra voler continuamente decentrare il Vaticano stesso, che decide di anticipare il Giubileo in Africa: che effetto le fa, ora che anche lei è stato chiamato a spostare il baricentro su un “altrove”, alle frontiere della cristianità, là dove si diceva sia in minoranza?

R. – La mia esperienza mi conferma che nelle periferie si comprendono meglio le sfide del Vangelo e anche quello che c’è di specifico nel cristianesimo: quando si è una piccola minoranza e si affermano valori come quelli del perdono, della misericordia, dell’accoglienza …

D. – “Vinci l’indifferenza, costruisci la pace”, è l'esortazione del messaggio per la Giornata mondiale della pace, che sarà celebrata il 1° gennaio 2016. Come risuonano in lei, queste parole, pensando alla forte instabilità nella regione?

R. – La pace la si costruisce attraverso un processo attivo; non può essere semplicemente il risultato di accordi di vertice. Io credo che noi corriamo due grandi rischi: il primo, quello dell’allarmismo e di una paura alimentata anche a volte dagli strumenti della grande comunicazione, che portano ad alzare muri a volte in modo ingiustificato; l’altro pericolo è quello di chi fa il callo a tutto quanto avviene e quindi scivola nell’indifferenza, nel fatalismo, nel pensare che non c’è niente da fare. Come si vince questa indifferenza, e come si costruisce la pace? Io direi, prima di tutto informandosi, conoscendosi, incontrandosi … Io concepisco anche il mio ministero episcopale come un’occasione per aiutare le comunità dell’Occidente a incontrarsi con quelle dell’Oriente turco, anche più ampiamente come un’occasione per far sì che questo popolo nostro italiano – e non solo – possa conoscere meglio il popolo turco, e viceversa.

D. – La nascita di Gesù ci invita a guardare con occhi di benedizione e ringraziamento tutte le altre buone notizie. In che senso la Turchia, oggi, è una buona notizia?

R. – I turchi sono un popolo giovane, le coppie sono felici di mettere al mondo dei bambini … quindi, per certi versi si respira un clima positivo, di speranza. C’è un ecumenismo di base molto forte, molto bello; c’è una generosità nell’accoglienza dei profughi; c’è un’umanità che ancora è capace di mettere da parte le paure, le divisioni di fronte a chi ha bisogno, di fronte a chi si trova in una situazione terribile come quella dei profughi dalla Siria e dall’Iraq.

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Pakistan. I cristiani festeggiano il Natale all'insegna del dialogo

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I cristiani del Pakistan festeggiano il Natale cercando di promuovere il dialogo con la maggioranza musulmana. Le difficoltà più grandi continuano ad essere create dalla legge sulla blasfemìa che colpisce in modo indiscriminato innocenti come Asia Bibi, tuttora in carcere dopo 6 anni. Nel Punjab, dove nel marzo scorso 22 cristiani sono rimasti uccisi negli attentati contro due chiese, è attivo il Peace Centre che tenta di rilanciare la conoscenza reciproca e la comprensione tra i membri delle varie religioni, anche grazie al lavoro del padre domenicano James Channan e dell’imam Abdul Khabir Azad. Il servizio di Veronica Di Benedetto Montaccini

La legge nera: viene definita così la legge che in Pakistan punisce il reato di blasfemia con ergastolo e pena di morte e che ha portato ad abusi crescenti e a ritorsioni sulle minoranze, come nel caso di Asia Bibi la donna cristiana condannata per false denuncie a pena capitale. I musulmani sono il 97%, chi è di un’altra religione ha una vita difficile nella regione del Punjab e l’ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre evidenzia come i cristiani siano i più perseguitati. A ricordare uno degli episodi più violenti è padre James Channan, responsabile del Peace Centre di Lahore:

“Le minoranze religiose si sentono costantemente in pericolo qui. Le persecuzioni sono all’ordine del giorno. Vengono perseguitate sia la Chiesa cattolica che quella protestante, non fa differenza. Uno degli ultimi esempi più gravi è stata la coppia di giovani cristiani che per non conoscere i versi del Corano è stata bruciata viva nel villaggio Kishan, qui vicino, nel Punjab. Per fortuna molti musulmani condannano questi avvenimenti terribili”.

I musulmani che vogliono cambiare la situazione in Pakistan e le minoranze religiose si sono riunite nel 2010 per fondare il Peace Centre, centro dei frati domenicani per la promozione del dialogo interreligioso che lavora sul territorio, come spiega padre Channan:

“Nel Peace Centre noi cerchiamo di cambiare la situazione con programmi per ristabilire armonia e pace fra maggioranza e minoranze. Organizziamo conferenze e workshop aperti a donne, bambini e persone di tutte le estrazioni sociali. Sono fiero di dirvi che molti musulmani partecipano a queste attività con entusiasmo. Persone importanti come i leader religiosi o i professori, che possono influenzare anche il resto della comunità”.

Alcuni leader musulmani, mettono quotidianamente in pericolo la loro stessa vita per fermare le violenze anti-cristiane, in particolare l’imam Syed Azad, che racconta quando ha iniziato ad aiutare i perseguitati:

“Avrei moltissimi esempi di atti compiuti dall’Islam radicale che condanno, ma uno in particolare mi ha colpito perchè è successo vicinissimo a dove abito: l’episodio della Joseph Colony, il quartiere cristiano che è stato raso al suolo dalle fiamme nel marzo scorso. Da quel momento ho capito che dovevo combattere e ricostruire un dialogo tra musulmani e cristiani. Sono riuscito a salvare molte chiese da allora”.

Le discriminazioni nascono da un aumento di intolleranza mal gestita dalle autorità, ma continua l’imam Azad, una rivoluzione in Pakistan è possibile:

“Il mio messaggio per i musulmani di Lahore e del Pakistan è di leggere bene il Corano, perché troveranno indicazioni di pace e non di guerra. Il mio appello è di vivere bene insieme alle altre religioni; credo davvero in una rivoluzione, ovvero il nostro Paese libero dalle persecuzioni”.

Ricordando l’appello di Papa Francesco per denunciare e non ripetere più le persecuzioni in Pakistan, padre Channan lancia il suo messaggio per il Giubileo:

“Questo anno del Giubileo apre i nostri cuori e ci mette davanti la possibilità di non odiare gli altri, di non perseguitarli ma di conoscere le diversità e vivere così in armonia anche in un Paese difficile come il Pakistan”.

Quello del Peace Centre di Lahore è un esempio di come il dialogo porti a superare le discriminazioni, ridando dignità a tutte le minoranze.

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Da Amnesty le buone notizie sui diritti umani del 2015

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Condannati a morte salvati dall’esecuzione, progressi verso la fine dell’impunità: sono alcune delle buone notizie del 2015 che Amnesty International ci presenta in occasione della fine dell’anno. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Ci sono comunità, in Africa, risarcite dalle multinazionali per danni ambientali, c’è il rilascio di prigionieri di coscienza, così come nuovi passi in avanti verso l’abolizione della pena di morte. Le buone notizie del 2015 nel campo della difesa dei diritti umani sono ancora una volta inserite in una lista che, come ogni fine anno, ci presenta Amnesty International, confortata dai successi che questi traguardi rappresentano. L’elenco ci dice che la pena capitale ha subito sconfitte quest’anno in Suriname, dove il 6 marzo scorso è stata approvata la legge che la abolisce, e poi in luglio in Belize, dove l’ultimo uomo in attesa di esecuzione nel braccio della morte ha visto commutare la sua condanna. Riccardo Noury, portavoce e direttore della comunicazione di Amnesty Italia:

“Ogni anno è vero che aumenta il numero dei Paesi abolizionisti ed è particolarmente importante sottolinearlo quest’anno, nel 2015, in cui abbiamo assistito a 12 mesi terribili di uso della pena capitale in Arabia Saudita, in Pakistan, in Iran, dove saremo arrivati alle 1000 esecuzioni il 31 dicembre. Ma nonostante questo il numero dei Paesi abolizionisti aumenta, abbiamo superato quella soglia importante dei 100 Paesi con Suriname, Belize, e poi da ultimo anche con la Mongolia (il Parlamento in dicembre ha approvato il nuovo Codice penale che non prevede la pena di morte, entrerà in vigore nel 2016 ndr). Siamo a 104 Paesi abolizionisti e il numero di quelli che la applicano ancora è costante intorno alla ventina. Però quante esecuzioni ci sono in questi Paesi è ancora uno scandalo globale".

Merito dell’azione di Amnesty è soprattutto quello di portare alla luce casi di violazione dei diritti umani totalmente ignorati dalla comunità internazionale, facendo così luce su realtà rimaste taciute, come quella di Filep Karma, rimesso in libertà il 19 novembre scorso. Ancora Noury:

"I governi che violano i diritti umani hanno come loro "colonna sonora" il silenzio da parte dei mezzi di informazione, da parte dell’opinione pubblica che non viene a conoscenza di quanto accade in una larga parte del mondo. E quindi scopriamo che ci sono Paesi come l’Indonesia nei quali sventolare le bandiere dei vari movimenti indipendentisti è un reato, comporta anni di carcere ma Amnesty International, nel caso di Filep Karma, ha attivato la sua rete, la sua mobilitazione, i suoi metodi consueti di invio di firme, petizioni, manifestazioni e siamo riusciti, dopo 10 dei 15 anni di condanna che gli erano stati inflitti, a far rilasciare questo attivista per l’indipendenza di Papua. La buona notizia è che quei 5 anni che doveva scontare ancora li passerà per fortuna a casa, ma la brutta notizia è che ha dovuto trascorrere 10 anni in carcere e non avrebbe dovuto passarci neanche un secondo".

Shaker Hamer, cittadino saudita con residenza nel Regno Unito è stato liberato il 30 ottobre scorso, dopo 13 anni di prigionia nel centro di detenzione di Guantanamo. L’uomo era stato arrestato in Afghanistan nel 2002 e imprigionato senza una formale accusa e tantomeno un processo:

"E’ la conferma, intanto, che il sistema di Guantanamo non ha funzionato perché il numero delle persone che sono state rilasciate, o che saranno rilasciate perché giudicate quantomeno non colpevoli dei fatti per i quali erano state arrestate, è superiore al 90 per cento del totale della popolazione carceraria che dal 2002 è finita in quel centro di detenzione. Però non si riesce a ottenere la chiusura del centro, a causa di un meccanismo di ‘scaricabarile’ per cui il presidente Obama accusa il Congresso, il Congresso accusa qualcun altro e, alla fine, questo obbrobrio dal punto di vista giuridico rimane, con ancora 111 detenuti all’interno. Devo anche dire che di questi 111 detenuti provengono da Paesi come lo Yemen nei quali oggi come oggi non ci sono le condizioni perché possano essere rimpatriati in condizioni di sicurezza, e questo è un ulteriore ostacolo alla chiusura di Guantanamo".

Molte persone finirono a Guantanamo a causa dei devastanti effetti della guerra al terrore aperta dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, e condotta in prima linea dagli Stati Uniti. Oggi ci si domanda se con i sanguinosi attentati del 2015 si rischi di nuovo di cadere in drammatiche ingiustizie:

"Di sicuro di diverso, rispetto al post 2001, c’è una maggiore consapevolezza da parte dell’opinione pubblica e anche da parte di alcuni organi di informazione, sulla necessità che non si scenda di nuovo sul terreno che è l’unico che conoscono i gruppi armati, cioè quello della violazione, dell’abuso, del terrore, contro il terrorismo. Però devo dire che qualcosa ricorda purtroppo quel periodo se confrontato a oggi, perché stiamo rivedendo in alcuni Paesi come la Tunisia e la Francia, quelli più colpiti, questo ossimoro dell’emergenza permanente. Io credo che il futuro della Francia, con questa proposta governativa di modificare la Costituzione, proprio per rendere l’emergenza una soluzione possibilmente a tempo indeterminato, ci stia riportando verso quel periodo di eccezione e di eccezionalità rispetto alla tutela dei diritti umani che vede quei diritti come un ostacolo alla sicurezza. E sappiamo, l’esperienza ce lo ha insegnato, che per una sicurezza autentica, i diritti umani devono essere il primo obiettivo, la cosa che più deve essere tutelata".  

Il 2015 è stato un brutto anno per i diritti umani, è purtroppo la conclusione alla quale si giunge, resta però un anno importante in cui opinione pubblica e mezzi di informazione, attraverso anche le campagne di Amnesty International, “hanno dato forza – spiega Noury - a una mobilitazione che ha favorito tante cose belle”:

"Queste buone notizie sono una piccolissima parte delle belle notizie che Amnesty International ha raccolto durante l’anno. E voglio dire che quando con una mobilitazione, che magari può durare anni, con milioni di persone che mandano un appello alla stessa autorità di governo, si ottiene un risultato è la conferma del principio che ispirò il fondatore di Amnesty International nel 1961, e cioè che quando le persone si arrabbiano da sole non cambia nulla, quando si arrabbiano in tante, la loro indignazione può provocare un cambiamento".

E’ sul sito Amnesty.it che si possono trovare tutte le altre migliori buone notizie sui diritti umani del 2015.

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Eutanasia. Prof. Pessina: la morte non è un diritto né un bene

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Un nuovo caso di eutanasia di una cittadina italiana in Svizzera, ha riaperto nei giorni scorsi il dibattito sul fine vita, alimentato da un video della donna malata di tumore che annunciava in Tv la sua decisione, sostenuta - anche economicamente per i costi della trasferta a Berna, dove ha posto fine alla sua vita - dal Partito radicale, da molti anni impegnato a promuovere il suicidio assistito, quale diritto della persona. In realtà un diritto insostenibile, come spiega il prof. Alberto Pessina, ordinario di Filosofia morale, direttore del Centro di bioetica dell’Università Cattolica di Milano. Ascoltiamolo al microfono di Roberta Gisotti: 

R. – Credo che si debba innanzitutto fare una distinzione molto importante per fare un ragionamento sereno e cioè distinguere tra il suicidio assistito - il caso di cui stiamo parlando - e l’eutanasia. Qual è la differenza? Il suicidio assistito viene compiuto di fatto con l’aiuto di un medico dallo stesso soggetto che vuole morire e di solito viene compiuto quando ancora non si è in una fase terminale. Nell’esempio portato dai radicali, infatti, la stessa persona dice che facendo la chemio avrebbe potuto continuare a vivere due o tre anni. Quindi si tratta di una situazione molto diversa da quella che solitamente è legata all’eutanasia, che viene compiuta nella fase terminale della vita. A questo aggiungerei anche un altro aspetto che mi pare assolutamente importante: nel suicidio assistito si chiede un aiuto per morire. Io credo che una civiltà oggi debba dare in realtà un aiuto per vivere in modo dignitoso - senza accanimento terapeutico - le fasi terminali della malattia. Da questo punto di vista le cure palliative sono una grande risorsa e sono una cosa che deve essere incrementata. Non esiste propriamente un diritto a morire per il semplice fatto che la morte non è né un diritto né un bene, tanto è vero che tutta la medicina combatte la morte e cerca di favorire e accompagnare la persona alla morte nel modo più adeguato.

D. – Tutto l’argomento viene però rimosso nell’opinione pubblica e se ne parla solamente in termini conflittuali invece che propositivi…

R. – C’è da dire una cosa. La nostra è un’epoca nella quale si ha più che paura della morte, paura della sofferenza e dei tempi lunghi della malattia. In un certo senso ho l’impressione che si stia in qualche modo speculando su alcuni casi molto particolari dimenticando che una risposta adeguata alla domanda di sostegno e di solidarietà delle persone non sia certo quella di procurare immediatamente la morte. Tra l’altro io non credo che nessuno abbia il potere di procurare la morte ad altre persone. 'Bypassare', togliere il divieto di uccidere significa entrare in un contesto culturale che è lesivo dei diritti della persona e non credo che questa battaglia dei radicali sia una battaglia capace di rispondere all’esigenza del nostro tempo. Siamo in un’epoca nella quale dovremmo tornare a pensare che l’eutanasia e le pratiche dell’eutanasia sono sempre state legate a un modello di barbarie.

D. – E’ pur vero che dobbiamo anche lottare contro le pratiche di accanimento terapeutico che sono state sicuramente esasperate dall’evoluzione della tecnologia…

R. – Sì, ma io credo che mentre stiamo discutendo sull’accanimento terapeutico, stiamo anche dimenticando le cattive morti, cioè le situazioni nelle quali non c’è assolutamente l’accanimento terapeutico ma c’è l’abbandono terapeutico, cioè non c’è la capacità di dare un sostegno che è un sostegno psicologico, è un sostegno farmacologico: è un sostegno umano. Quindi mi pare che si accentui un argomento ma poi alla fine, la tesi di fondo che i radicali stanno promuovendo non è una tesi che va nella linea della difesa della dignità della persona e quindi della proporzionalità dei trattamenti ma semplicemente della rivendicazione di poter decidere della propria vita. Una decisione che da una parte viene dichiarata come assolutamente soggettiva e personale e dall’altra parte però vuole essere regolata, normata con delle leggi che dovrebbero poi imporre a qualcuno di essere in qualche modo soggetto al ‘dictat’ delle altre persone. Credo che la battaglia dei radicali faccia male a tutte le questioni e a tutte le impostazioni che hanno a cura un’assistenza reale delle persone che sono sofferenti.

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Tassa sui licenziamenti, un salasso da più di un miliardo

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Imprese preoccupate per la tassa sul licenziamento. Una norma della legge Fornero impone di versare fino a 1470 euro a dipendente per ogni impresa che esce da un appalto. Alessandro Guarasci: 

Il salasso rischia di superare il miliardo e duecento milioni di euro per tutto l’universo delle imprese. E’ il caso di quelle imprese che escono da un appalto, e nonostante il loro personale venga riassunto da chi subentra, sono costrette a pagare dai 490 ai 1470 euro a lavoratore. La platea degli interessati è di 2,5 milioni di dipendenti. La legge di Stabilità e il milleproroghe non hanno messo riparo a questa stortura. Massimo Stronati, presidente di Ferlavoro e Servizi Confcooperative:

R. – E’ una tassa che va a colpire tutti i lavoratori oggetto di cambio di appalto. Quindi le imprese, che finiscono un periodo di appalto, devono pagare per quei lavoratori che poi verranno riassunti da un’altra impresa, perché l’art. 4 del Contratto dei multiservizi prevede che nessuno rimanga a casa. Quindi - a questo punto - non è un ammortizzatore,  ma è una tassa vera e propria. E i numeri sono spropositati: parliamo di due milioni e mezzo di addetti di questo settore, tra le pulizie, il facility management e tutto quello che gli ruota intorno. E quindi è una enormità pensare che una tassa in un settore del genere, già in difficoltà, si abbatta in questo momento in cui si comincia a vedere un po’ di ripresa.

D. – Una tassa pensata per quale motivo? Solo per fare cassa, secondo lei?

R. – All’origine era nato come ammortizzatore, ma l’ammortizzatore funziona se c’è disoccupazione. Non essendoci disoccupazione, perché questi lavoratori vengono riassunti immediatamente, non si capisce se veramente non sia più un ammortizzatore o quindi sia veramente una tassa, un prelievo in un settore fatto di piccole e medie imprese. 

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Pompei, restaurate 6 domus. Renzi: è Italia che riparte

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“A Pompei l’Italia dice basta alle opere incompiute”. Così il presidente del Consiglio Matteo Renzi, intervenendo stamattina all’inaugurazione di 6 domus restaurate nel sito archeologico campano. L’intervento è stato realizzato dal governo e dall’Unione Europea con un finanziamento di 105 milioni di euro all’interno del “Grande progetto Pompei”. “Prima facevamo notizia per i crolli - aggiunge Renzi - adesso facciamo notizia per i restauri" e poi annuncia l’apertura, entro la metà del prossimo anno, di altri siti restaurati, mentre il 24 agosto del 2016, anniversario dell’eruzione del Vesuvio, sarà l’occasione per fare il punto sugli ulteriori progressi del "Grande progetto Pompei". Sull’importanza di questa riapertura Elvira Ragosta ha intervistato Antonio De Simone, docente di Archeologia all’Università Suor Orsola Benincasa: 

R. – Sono “domus” molto importanti che attestano anche delle tipologie costruttive diverse e inoltre sono case notevoli perché hanno degli apparati decorativi – sia i pavimenti, con mosaici e marmi pregiati, sia le pareti, con pitture – di notevole importanza. E la casa di Fabio Amandio, è la casa dell’Efebo, la casa del criptoportico sono degli episodi notevolissimi ai quali poi si aggiunge la Fullonica Stephani, la bottega della lavanderia di Stefano che ci attesta la completezza del ciclo della lavorazione e della lavatura dei panni, considerando che il lavandaio – il “fullone” antico – attiene a una di quelle categorie emergenti, a Pompei, che condizionano fortemente anche gli esiti delle elezioni politiche all’interno della città antica, perché sono corporazioni che hanno la forza di candidare persone e di farle eleggere. Quindi sono realtà molto importanti che hanno una significanza anche nella vita politica della città.

D – Dopo gli episodi dei crolli e gli interventi emergenziali, quanto è importante questo intervento per Pompei e per il patrimonio artistico e archeologico di tutto il Paese?

R. – Ci troviamo di fronte a una realtà di ripresa: dopo una serie di realtà problematiche, finalmente pare che si stia uscendo dal tunnel e che si veda la luce. Inoltre, non dimentichiamo che Pompei non è una grande città, nel mondo antico, ma è una città completa. L’antichità, altrove ci ha dato dei ruderi, come io dico sempre, lacunosi e frammentari; Pompei “è” la testimonianza viva di una città, cioè del modo più alto con il quale l’uomo si approccia al territorio. Ed è chiaro che questa valenza, sia simbolica che documentaria della storia degli studi, diventa il forte attrattore e fa di Pompei un caso eccezionale. E allora è chiaro che il recupero di questi episodi importanti di architettura assumono una valenza che travalica il confine locale e nazionale, pure ampio, per aprirsi all’interesse e all’attenzione di tutto il mondo moderno.

D. – Come procede l’avanzamento dei lavori del grande “Progetto Pompei”?

R. – Procede sostanzialmente bene, nel senso che in pochissimi anni sono stati recuperati i ritardi precedenti e le realizzazioni che si stanno portando avanti sono imponenti. La cosa che io volevo sottolineare è che forse l’unico problema è che la realizzazione di intervento di restauri per quella dimensione e per quella importanza, richiedeva forse dei tempi maggiori rispetto a quelli previsti.

D. – Lavori che sono stati finanziati dall’Unione Europea con 105 milioni di euro. Come sono stati utilizzati?

R. – Prevalentemente, nella messa in sicurezza; poi con la programmazione e la realizzazione di restauri completi. Ma gli interventi hanno riguardato anche il rilancio complessivo dell’immagine della città antica.

D. – Secondo lei manca qualcosa a Pompei per offrire una visione completa ai turisti?

R. – Pensi che Pompei-scavi non ha un museo: il museo sarebbe indispensabile per offrire la visione completa della vita antica, ma anche per sforzarsi di trasformare i visitatori in turisti, fare in modo che i flussi turistici – due milioni e mezzo per gli scavi, un milione e mezzo per la chiesa – trovino anche un punto di confluenza e di convergenza. Su questo debbo dire, per testimonianza mia personale, che la Chiesa è stata sempre sensibile: ha generosamente offerto la disponibilità di un grande edificio, che attualmente è vuoto, l’edificio del Sacro Cuore, che è centrale nella città ed è di fronte all’ingresso di Porta Anfiteatro. Questa disponibilità è stata anche recentemente confermata dall’attuale arcivescovo Tommaso Caputo. La speranza nostra, che operiamo in queste cose, che qualcuno apra gli occhi, ci dia modo di trasformare questi 15 mila metri quadri inutilizzati in una realtà multipolare, che possa ospitare un museo degno di questo nome, ma che possa ospitare anche luoghi di incontro per chi, da ogni parte del mondo, viene a Pompei o per la visita agli scavi, o per una preghiera alla Vergine di Pompei che ha un culto internazionale.

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Tante iniziative nelle città italiane per un Natale di solidarietà

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In Italia sono molte le iniziative che rendono migliore il Natale alle persone meno fortunate. Dai pasti caldi di Sant’Egidio offerti il giorno della Vigilia a tutte le attività per senzatetto e rifugiati. La grande forza è dei volontari e delle associazioni che decidono di trascorrere un Natale all’insegna della condivisione con l’altro, rendendo le feste più belle a qualcuno. Il servizio di Veronica Di Benedetto Montaccini: 

Natale solidale, Natale per tutti. Numerose le iniziative organizzate in tutta Italia per rendere migliore il Natale di chi è ai margini della società, mettendo al primo posto la partecipazione e la condivisione. C’è chi sceglie di trascorrere le feste offrendo ai migranti un pasto in famiglia con i piatti tradizionali. E’ il caso del progetto “Aggiungi un posto a tavola” nel Lazio. Una collaborazione tra Migrantes e Unione Inquilini Lazio che vede l’integrazione passare dal cibo. Neanche i senzatetto della capitale saranno soli quest’anno: alla Stazione Termini c’è un binario dei desideri, una Onlus che per Natale cercherà di soddisfare le aspettative di chi non ha una fissa dimora. Alessandro Radicchi, presidente della cooperativa Binario 95:

“Abbiamo fatto scrivere ai senzatetto che vengono presso la nostra cooperativa i loro desideri. E’ davvero particolare che non abbiano citato per esempio una maglia, un pasto caldo ma tutti oggetti e prospettive future per la sede della cooperativa, dove possono godersele tutti insieme, hanno detto. Per questo Natale abbiamo attuato anche una forma di regalo speciale ovvero attraverso internet si può scegliere di fare un pensiero direttamente ad un ospite, un biglietto per il cinema, un vestito e con poco c’è di nuova dignità”.

La solidarietà si mescola invece alla cucina stellata nelle carceri, con l’iniziativa "L’altra cucina" che propone in cinque case circondariali italiane pranzi cucinati da famosi chef ai detenuti. Attori e cantanti fanno da camerieri e, per un momento, si dimenticano le sbarre. Ad allietare la festa per i pazienti pediatrici ricoverati saranno invece clown, elfi e mamme che non si arrendono. Come a Perugia, al reparto di oncoematologia dell’ospedale Santa Maria della Misericordia. Il direttore del Comitato che gestisce le attività, Franco Chiarelli:

"Portiamo i doni ai bambini proprio all'interno dell’ospedale e si farà una piccola preghiera tutti insieme. Cerchiamo di rendere ogni giorno Natale per i nostri piccoli pazienti. L’augurio migliore? Che il Natale porti loro la guarigione e il ritorno a una vita normale”.

Tutti piccoli esempi di come il Natale possa essere vissuto con gioia nelle periferie, tra i dimenticati o nelle pieghe delle difficoltà.

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"White Christmas" compie 75 anni: un successo mondiale

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Una canzone che parla di gioia e speranza, che dipinge un Natale innevato, tra slitte, campanelli e bambini in grande attesa in un’atmosfera d’altri tempi. E’ un intramontabile successo, interpretato dai più disparati artisti: è White Christmas, traccia simbolo di queste feste, che compie 75 anni e ci riporta all’epoca della Seconda Guerra Mondiale e al suo autore, Irving Berlin un grande compositore. Storia e curiosità di questo successo nelle parole di Paolo Limiti, autore e storico della canzone, intervistato da Gabriella Ceraso

R.  –  Gli americani questa canzone la conoscono a memoria, la cantano tutti, a qualunque età, di qualunque generazione. Però difficilmente si ricordano che è stato Irving Berlin, uno dei più grandi compositori che loro abbiano avuto, a farla. La canzone nasce ufficialmente nel gennaio del 1940 però era nata in realtà nel ‘38.  Berlin che faceva commedia musicale l’aveva concepita per uno spettacolo, un musical che si chiamava “La palla di cristallo” però si perse un pochino. Poi nel ’40 cominciò a parlare di fare un film, fu allora che praticamente Bill Crosby la cantò e nacque "Bianco Natale".

D. – E come mai questo successo grandissimo attraverso gli anni?

R. – E’ una canzone che va bene per tutti. Possiamo dire che alla metà del secolo scorso fu la canzone che aveva legato ogni spirito. E’ in realtà un quadretto di un Natale di molti anni prima, sembra quasi un Natale ottocentesco. Comunque quello che si vede è un Natale della Nuova Inghilterra, quella delle slitte, della neve, della gioia del Natale, dello spirito che c’è senza fare distinzioni. E’ una descrizione assoluta. L’unica cosa è che lui la scrisse quando si trovava a Los Angeles, quindi la strofa della canzone racconta: “E’ una giornata come non hanno mai visto a Los Angeles: c’è il sole, le palme dondolano... E’ il 24 di dicembre e io sto sognando di essere al Nord”. E da lì parte poi il ritornello che cantiamo tutti: “Sto sognando un Bianco Natale”, che da noi è “Quel dolce tuo candore, neve…” e divenne subito un successone, appena uscì il film. E quando anche l’America entrò in guerra tutti i soldati che vennero in Europa a combattere se la portavano perché a loro ricordava la casa, ricordava questo periodo della pace, della tranquillità, della gioia, della neve. Quando lui la cantò ai soldati - faceva lo spettacolo durante la guerra a tutti i soldati - si presentò e allora cominciò a cantare la canzone… Senonché i soldati lo fermarono: “No, no! Noi vogliamo Bianco Natale!”. E dice: “Sì, questo è Bianco Natale!”. E loro: “No, non è vero stai parlando delle palme e del sole!”. E capì che quella parte introduttiva non c’entrava niente con la canzone e allora per anni obbligò tutti gli editori a togliere la strofa iniziale, che infatti pochi conoscono del Bianco Natale perché rovinava tutto. Poi ci fu una cosa divertente, quando nel ’57, Elvis Presley in piena esplosione Rock and Roll decise di fare un disco dedicato al Natale e fece “Bianco Natale” in versione rock, Irving Berlin si infuriò e fece una causa per bloccare il disco. Non voleva assolutamente che questa canzone incredibile fosse, secondo lui, rovinata.

D. – Sue interpretazioni preferite ce ne sono?

R. – Sì, ce ne sono diverse, però Bill Crosby, secondo me, è quella che la rende meglio di tutti perché ha quel tipo di voce di velluto. Tra l’altro la può cantare chiunque, praticamente sta in un’ottava…

D. – Quindi breve estensione e melodia semplice è il segreto di questo testo?

R. – Sì, Irving Berlin diceva sempre: “Sai che questa canzone la puoi suonare con un dito sul piano?”… Effettivamente la puoi suonare!

D. – E comunque il suo desiderio da Elvis Presley in poi non si è avverato perché poi tutti l’hanno ripresa, rivisitata…

R. – Anche lui poi ha lasciato perdere, fu una causa che si esaurì abbastanza presto.

D.  – La versione che noi conosciamo in italiano ha un testo completamente diverso…

R. – Perché allora, quando arrivavano le canzoni dall’estero, gli adattatori non stavano molto a sottilizzare, tiravano giù quello che veniva e poi dicevano: “Ma, sì, questo va benone, vediamo di fare dei soldi con la versione italiana”.

D. – Il messaggio di fondo rimane…

R. – Ma, certo, c’è tutto perché c’è la musica che ti allarga il cuore!

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Nella Chiesa e nel mondo



Terra Santa: nel 2015 calo vistoso dei pellegrini

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I pellegrini che nel 2015 hanno prenotato un servizio nei santuari sono stati solo 275.118. I gruppi 8.254. Numeri impietosi che emergono dal "Rapporto sommario sul numero dei pellegrini cattolici” in Terra Santa, dal 1 gennaio al 15 dicembre 2015, fornito dal Franciscan Pilgrim Office (Fpo) l’ufficio della Custodia di Terra Santa che regola la celebrazione delle Messe e preghiere nei luoghi santi gestiti dalla Custodia. Un “calo vistoso e progressivo” che consegna il 2015 alla storia - riferisce l'agenzia Sir - come un anno “assai mediocre”.

Il drastico calo dovuto alla paura dell'Is e delle violenze tra palestinesi e israeliani
I pellegrini che nel 2015 hanno prenotato un servizio nei santuari - riporta l'agenzia Sir - sono stati 275.118. I gruppi 8.254. Si tratta di numeri che confermano un “calo vistoso e progressivo” che consegna il 2015 alla storia come un anno “assai mediocre” per il pellegrinaggio in Terra Santa. Le cifre sono contenute nel “Rapporto sommario sul numero dei pellegrini cattolici” in Terra Santa, dal 1 gennaio al 15 dicembre 2015, fornito dal Franciscan Pilgrim Office (Fpo) l’ufficio della Custodia di Terra Santa che regola la celebrazione delle Messe e preghiere nei luoghi santi (16) gestiti dalla Custodia. Le cause? La paura dello Stato Islamico, delle guerre nell'area (Iraq e Siria) e l'insicurezza derivante dalle violenze tra israeliani e palestinesi.

Numeri attendibili perchè forniti da un sistema di prenotazione digitale
Numeri attendibili poiché dal mese di ottobre 2014 è in funzione presso il Fpo di Gerusalemme un sistema di prenotazione digitale, che permette ai diversi operatori di prenotare online i servizi liturgici presso i santuari. Non sono inclusi in queste statistiche “i semplici visitatori e i gruppi di pellegrini che, anche se sprovvisti di prenotazione, hanno potuto celebrare nei santuari della Custodia”. 

Unico santuario che calcola i pellegrini effettivi è Cafarnao
Allo stesso modo, spiegano dal Fpo, “non si possono prendere come riferimento assoluto le cifre fornite dal Ministero del Turismo sugli ingressi dei turisti. Il Ministero, infatti, non può distinguere i diversi obiettivi dei visitatori del Paese, se non sommariamente così come non può facilmente calcolare il turismo interno (turisti israeliani, scolaresche, altro)”. L’unico santuario che al momento è in grado di calcolare, oltre i pellegrini che celebrano, anche i visitatori è Cafarnao, che nel 2015 ha avuto 481.781 presenze. Nel 2014 (altro anno non positivo, per via della crisi di Gaza in estate) sono stati 674.327.  Per questo motivo, secondo il Fpo, le cifre riportate nel Rapporto “costituiscono una interessante indicazione, ma non designano il numero reale dei visitatori e dei pellegrini, che deve essere perciò abbondantemente aumentato”. Secondo il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, i pellegrini cattolici che si sono recati in Terra Santa nel 2015 sono circa mezzo milione, “un calo drastico rispetto al passato”.

Pellegrini in calo
Tenendo come riferimento Cafarnao, nel 2015 si è avuto un calo, rispetto all’anno precedente, del 28,5%. Il mese più calmo è tradizionalmente gennaio, che ha avuto solo 11.117 pax. I mesi di giugno, luglio e agosto, tradizionalmente affollati, sono stati particolarmente bassi con un totale di 43.623 presenze. Dopo vari appelli, si era registrata una buona ripresa (ottobre 40.639 persone), per poi tornare in calo a novembre (32.291, sino a registrare il crollo di dicembre (18.130). In ottobre il numero è stato alto poiché “i pellegrini avevano già pagato il loro pellegrinaggio e non hanno potuto cancellare la prenotazione”.

In aumento i pellegrini dalla Cina
Provenienza dei pellegrini. I pellegrini occidentali (Nord America e Europa), che nel passato erano la quasi totalità, oggi costituiscono non più della metà dei pellegrini. Asia e America Latina sono sempre più presenti, mentre restano in basso Africa e Oceania. Fa eccezione la Cina che, con 3.396 presenze, aumenta il numero dei pellegrini di oltre il 100%.

I più numerosi i pellegrini Usa, polacchi e italiani
Nel 2015 i pellegrini Usa sono stati 50.135, seguiti dai polacchi con 29.882 e dagli italiani con 27.508. Crescono gli indonesiani (19.786) i brasiliani (18.106)  e gli indiani 13.638e che superano i francesi. Questi ultimi si fermano a 13.445, davanti agli spagnoli che hanno fatto segnare 13.803 pellegrini. Chiudono questa ipotetica classifica di presenze, il Madagascar con 9 pellegrini e il Venezuela con 5.

Le denominazioni 
La maggioranza dei pellegrini che prenotano un servizio è cattolica. Nel 2015 quelli che hanno prenotato celebrazioni al Fpo sono stati 216.639 (per 6.605 gruppi) di cui 215.346 (per 6575 gruppi) cattolici di rito latino. In aumento le celebrazioni delle chiese protestanti, riformate e delle diverse congregazioni evangeliche: i protestanti sono stati 25.831, gli evangelici 21.360, gli anglicani 3.626, i mormoni 1.813, i luterani 786, i battisti 664. I non cattolici, generalmente, celebrano nei santuari che sono dotati di infrastrutture specifiche (altari all’aperto, luoghi di preghiera interreligiosi,), quasi sempre Tabga, Getsemani, in qualche caso il Campo dei Pastori nei pressi di Betlemme.

I santuari più visitati
Dal Rapporto del Fpo emerge che i santuari più visitati sono il Santo Sepolcro (128.453 pellegrini vi hanno celebrato), il Getsemani (125.697) e Betlemme (complessivamente, tra Basilica, Grotta del Latte e Campo Pastori 151.626). Nazareth è entrato nel sistema solo dal 1 novembre. Il numero di celebrazioni a Nazareth è sempre piuttosto limitato per via della mancanza di infrastrutture. Molto visitati il Monte Tabor (61.779), Cana (73.790) e il Cenacolino (38.549). Non sono più marginali nuove tipologie di pellegrini come quelli che desiderano pellegrinare a piedi per il Paese (Pellegrinaggio verde). Aumentano anche i pellegrini di ritorno che desiderano visitare altri Luoghi o fare esperienze più prolungate nei santuari, nonché le richieste di infrastrutture che permettono un’accoglienza semplice e sobria.

Prospettive
​I dati del Rapporto, spiegano dal Fpo, indicano che i prossimi anni vedranno un cambiamento sempre maggiore delle modalità di pellegrinaggio. Cambia la provenienza culturale e geografica dei pellegrini, le richieste dei gruppi sono sempre più diversificate. Non basta più solo la Messa. Ci sono molti altri tipi di servizi richiesti e attesi, in particolare spazi di silenzio, luoghi per la celebrazione di non cattolici. I gruppi giovanili, e non solo, (soprattutto in estate) chiedono un’accoglienza sobria (anche per motivi economici) che le normali case di accoglienza e alberghi non possono sempre offrire. Per cercare di mettere a punto delle strategie utili a favorire i pellegrinaggi, il 21 dicembre il Custode Pizzaballa ha avuto un incontro presso il Ministero del Turismo israeliano. “Bisogna lavorare innanzitutto con quei Paesi sudamericani e asiatici che stanno incrementando il numero dei pellegrini – afferma il Custode – servono facilitazioni nei voli verso Israele che hanno ancora costi molto alti e dunque pacchetti con prezzi accessibili e proposte articolate”. (A cura di Daniele Rocchi)

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Vescovi Usa: legge non tutela obiezione di coscienza per aborto

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I vescovi degli Stati Uniti esprimono “profondo disappunto” per il mancato inserimento nella proposta di legge "omnibus" 2016 presentata al Congresso della Legge contro la discriminazione sull’aborto (Abortion Non-Discrimination Act, Anda in sigla). Il provvedimento presentato nel 2011, mira a tutelare meglio l’obiezione di coscienza in materia di aborto, garantendo quindi alle istituzioni religiose che offrono servizi sanitari e di assistenza la libertà di servire i più bisognosi seguendo le loro convinzioni morali sul rispetto della vita umana. 

Nessuno può essere obbligato dal governo ad agire contro i propri principi
In una nota pubblicata il 23 dicembre, il presidente della Conferenza episcopale (Usccb) Joseph E. Kurtz,  si dice “profondamente preoccupato” per il fatto che “un principio fondante che in passato ha sempre avuto un ampio consenso bipartisan sia diventato improvvisamente una questione di parte”. “Nessuno – sottolinea il vescovo di Louisville - dovrebbe essere costretto dal Governo a partecipare attivamente in quello che considera l’uccisione di una vita innocente. Qui non si tratta di ‘accesso’, all’aborto. In gioco è il principio  per cui i credenti e coloro che si oppongono all’interruzione volontaria della gravidanza e alla sua copertura finanziaria debbano essere obbligati a parteciparvi”.

Rispettare le differenze e per le diverse convinzioni di coscienza
Di qui il pressante appello agli oppositori all’Abortion Non-Discrimination Act a rivedere la propria posizione contro l’applicazione della legge che si basa su un principio sancito dalla Costituzione americana. Citando le parole rivolte il 24 settembre da Papa Francesco al Congresso, il presidente dei vescovi Usa esorta a rinnovare quello “spirito di collaborazione, che ha procurato tanto bene nella storia degli Stati Uniti con rispetto per le nostre differenze e per le nostre convinzioni di coscienza” e a superare le divisioni per difendere questo diritto fondamentale. “La missione della Chiesa nell’arena pubblica – conclude la dichiarazione - è di testimoniare la dignità di ogni essere umano e difendere la libertà di agire in conformità con le proprie convinzioni religiose” in difesa delle vite più vulnerabili. (A cura di Lisa Zengarini)

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Filippine. Card. Tagle: i sacerdoti non facciano campagna elettorale

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In vista delle elezioni presidenziali e legislative nelle Filippine, previste il 9 maggio 2016, il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle richiama i sacerdoti a non farsi strumentalizzare e coinvolgere nella campagna elettorale già iniziata. 

Evitare di celebrare la Messa in occasione di eventi politici
In una lettera circolare pubblicata sul sito dell’arcidiocesi, il porporato  li esorta in particolare ad evitare di celebrare la Messa in occasione di eventi politici legati alle elezioni. “L’Eucarestia – scrive - è segno di unità. La sua celebrazione non dovrebbe essere vista come un sostegno ad un particolare candidato, organizzazione o partito”. Inoltre, l’arcidiocesi esorta i parroci ad “un maggiore discernimento nel cercare assistenza o favori dai politici per non mettere a rischio l’integrità degli insegnamenti della Chiesa e la sua autorità morale”. In questo senso, precisa “è meglio evitare di apparire in pubblico nell’ambito di eventi e campagne politiche senza peraltro scoraggiare i politici e i candidati dal cercare un vero consiglio spirituale, ma solo in forma strettamente privata”.

Aiutare gli elettori a fare scelte ragionate con la preghiera
La lettera conclude con l’auspicio che le elezioni possano essere un “periodo di unità e integrità” per le Filippine: “Aiutiamo gli elettori a fare decisioni ragionate con l’educazione e la preghiera, per spingere il nostro Paese sulla strada del buon governo, dello sviluppo e di una pace durevole”.

Anche nelle chiese è proibito fare campagna elettorale
Il richiamo del card. Tagle non è il primo in questo senso.  A ottobre, l’arcivescovo di Cebu, mons. Jose Palma, ha proibito l’utilizzo delle chiese per le campagne elettorali e ha vietato di fare discorsi di carattere politico durante le Messe, chiedendo ai sacerdoti di non farsi fotografare con i candidati per non essere accusati di partigianeria. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 358

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