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Sommario del 23/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Premio Carlo Magno a Papa Francesco. Lombardi: per il suo impegno per la pace

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A Papa Francesco è stato conferito il Premio Carlo Magno, attribuito dalla città di Aquisgrana a personalità che si siano contraddistinte per il loro ruolo in favore dei valori europei. Il Papa - si legge nella motivazione - porta un messaggio di speranza all’Europa in un momento di crisi che ha messo in secondo piano “tutte le conquiste del processo di integrazione”. Si citano in particolare gli interventi del Pontefice durante il suo viaggio a Strasburgo nel novembre dell’anno scorso. Il Papa - si afferma - è la “voce della coscienza” che chiede di mettere l’uomo al centro, “un’autorità morale straordinaria”. Sul Premio Carlo Magno a Papa Francesco ascoltiamo il commento del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, al microfono di Sergio Centofanti

R.  –  Sappiamo che Papa Francesco non ha mai accettato premi né onorificenze dedicate alla sua persona. Quindi questo è un fatto del tutto eccezionale e ci possiamo interrogare perché lo abbia accettato. Io gliel’ho chiesto e lui mi ha risposto che questo è un premio per la pace ed egli in questo tempo in cui vediamo questi gravi rischi che ci sono per la pace nel mondo - parla spesso anche della Terza guerra mondiale a pezzi - ritiene che parlare della pace, incoraggiare ad agire per la pace, sia fondamentale. Quindi il Papa interpreta questo premio non tanto come qualcosa dato a lui stesso per onorare lui, ma come l’occasione di un nuovo messaggio di impegno per la pace, dedicato e rivolto a tutta l’Europa che è un continente che deve costruire e continuare a costruire la pace al suo interno ed essere attivo, avere un grande ruolo per la pace nel mondo. Quindi un premio per la pace, un’occasione di preghiera per la pace, tutti insieme, il Papa con tutti i popoli e le persone di buona volontà che manifesta l’anelito, il desiderio, l’impegno di costruire la pace nel continente e anche in tutto il mondo.

D. – Questo è un importante premio europeo ma il Papa non è europeo…

R. – Sì mi pare anche significativo questo aspetto. Il primo Papa non europeo di questo tempo moderno riceve un grande premio europeo. Questo perché con il suo grande discorso a Strasburgo che tutti ricordiamo, egli ha saputo già rivolgersi all’Europa, al continente, con prospettive molto ampie e con prospettive di incoraggiamento, in un momento, in un periodo, già di anni, in cui la costruzione fa fatica, incontra grandi difficoltà. Il Papa ha saputo rilanciare gli orizzonti più solidi, più profondi, più belli, di valori: il rispetto della persona umana, l’impegno per la solidarietà con tutti i popoli, la costruzione della pace… I grandi valori su cui nasce l’idea dell’Europa e deve rinascere e deve continuare a essere attuale e viva e capace di dare un contributo ricco anche di prospettiva ideale per l’umanità intera. Un Papa che guarda all’Europa con consapevolezza anche dall’esterno dell’Europa, in un orizzonte di carattere globale, è capace, ha l’autorità di ridire all’Europa la sua vocazione più profonda e più importante, e di incoraggiarla a non avere paura, a non scoraggiarsi, per continuare a proporre questi ideali all’umanità intera, con la sua ricchezza di risorse di intelligenza, di storia, di cultura che devono continuare a essere impiegate per il bene dell’umanità intera.

D. – Ricordiamo che anche Giovanni Paolo II nel 2004 ha ricevuto questo premio…

R. – Sì, è vero, Papa Francesco non è il primo. Giovanni Paolo II anch’egli è stato un grande Papa della pace, un grande costruttore, ispiratore dell’Europa con i suoi due polmoni, della riconciliazione, dell’unione fra l’est e l’ovest dell’Europa. Direi che però Giovanni Paolo II era un Papa profondamente europeo nella sua storia personale e quindi credo che i suoi meriti per l’Europa potevano essere letti in una chiave differente. Invece con Papa Francesco mi pare che la prospettiva sia proprio quella della vocazione dell’Europa nell’orizzonte globale, perché Papa Francesco sta parlando in questo tempo al mondo intero, con l’Enciclica Laudato sì, con i suoi discorsi sulla pace nel mondo, sul dialogo interreligioso, sulla solidarietà fra tutti i popoli. Quindi è proprio con l’importanza di questi messaggi che si propone come un grande ispiratore del continente europeo oggi.

Ma riascoltiamo la parte finale del discorso di Papa Francesco all’Europarlamento il 25 novembre 2014: 

“Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità! Grazie”.

Papa Francesco è la terza personalità non-europea a ricevere questo premio e contemporaneamente il terzo americano. Nel 2000 l’onore era spettato al presidente statunitense Bill Clinton e nel 1959 a George C. Marshal, l’ideatore del Piano Marshal per la ricostruzione dopo la guerra. Tra gli altri premiati: Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Angela Merkel, Jean-Claude Juncker, Václav Havel, Frère Roger Schutz di Taizé. Helmut Kohl, François Mitterrand.

La consegna del Premio avverrà in data da destinarsi nel prossimo anno a Roma.

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Pensieri del Papa sul Natale, tenerezza di Dio per ogni uomo

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La notte della Natività ha ispirato le due omelie tenute da Papa Francesco durante le Messe solenni presiedute in San Pietro il 24 dicembre del 2013 e del 2014. In entrambe si colgono i punti fondamentali del suo magistero: l’amore di Dio per gli ultimi, la sua misericordia per tutti gli uomini, la tenerezza di Gesù Bambino che chiede di trovare spazio nei cuori. Nel suo servizio, Alessandro De Carolis ricorda alcuni dei pensieri del Papa sul Natale: 

Una notte qualsiasi, mille volte uguale ad altre dove il segno del tempo che trascorre è scandito da qualche racconto e poi da parole che si fanno più stanche, rarefatte, che si assopiscono come il fuoco del bivacco che emana scintille sempre più rade. Una notte di buio e stelle e belati e poi, all’improvviso, di una luce che irrompe e di presenze che sono fatte di luce anch’esse, messaggeri vestiti di cielo, latori di un invito di pace che attira verso una stalla e verso un neonato, adagiato sulla paglia come i figli della miseria perché non c’era posto per lui nell’albergo.

La grande luce per gli ultimi
La notte di Betlemme che azzera il tempo e dilata lo spazio comincia con chi, nella città della storia, ha sempre vissuto in periferia. Comincia – ha ricordato Papa Francesco – con il privilegio della “grande luce” che abbaglia lo sguardo assonnato e poi stupito di chi la luce della prima fila la intravede sempre dal fondo:

“I pastori sono stati i primi (…) a ricevere l’annuncio della nascita di Gesù. Sono stati i primi perché erano tra gli ultimi, gli emarginati. E sono stati i primi perché vegliavano nella notte, facendo la guardia al loro gregge. E’ legge del pellegrino vegliare, e loro vegliavano. Con loro ci fermiamo davanti al Bambino, ci fermiamo in silenzio. Con loro ringraziamo il Signore di averci donato Gesù”. (Omelia Notte di Natale 2013)

La pazienza di Dio
“Pace in terra agli uomini di buona volontà”, dicono ai pastori i messaggeri vestiti di cielo. E non dicono una cosa diversa agli ultimi e ai primi dell’era delle crisi globalizzate e del terrore che spara a freddo contro ragazzi che si divertono a un concerto. “Il corso dei secoli – ha osservato Francesco la scorsa Notte di Natale – è stato segnato da violenze, guerre, odio, sopraffazione. Ma Dio, che aveva riposto le proprie attese nell’uomo fatto a sua immagine e somiglianza, aspettava”:

“Dio aspettava. Egli ha atteso talmente a lungo che forse ad un certo punto avrebbe dovuto rinunciare. Invece non poteva rinunciare, non poteva rinnegare sé stesso. Perciò ha continuato ad aspettare con pazienza di fronte alla corruzione di uomini e popoli. La pazienza di Dio. Quanto è difficile capire questo: la pazienza di Dio verso di noi”. (Omelia Notte di Natale 2014)

“Mi lascio cercare?”
Poi, il bagliore che ha reso giorno la notte si attenua e le stelle tornano a ricamare il cielo. Il popolo in cammino che ha visto la grande luce torna al bivacco e ai suoi belati. Però, quel Bimbo ha cambiato tutto, gli occhi lo hanno visto e adesso fanno mille domande al cuore:

“Come accogliamo la tenerezza di Dio? Mi lascio raggiungere da Lui, mi lascio abbracciare, oppure gli impedisco di avvicinarsi? (...) Tuttavia, la cosa più importante non è cercarlo, bensì lasciare che sia Lui a cercarmi, a trovarmi e ad accarezzarmi con amorevolezza. Questa è la domanda che il Bambino ci pone con la sua sola presenza: permetto a Dio di volermi bene?”. (Omelia Notte di Natale 2014)

"Non temete"
Forse non ci sono risposte immediate attorno al bivacco, mentre l’alba avanza come un invito a rendere davvero nuovo il giorno che inizia dopo quella notte a Betlemme. Ma sono gente semplice, i pastori. Inadeguati, senza risposte. Quello, assicura Francesco, è il sentimento giusto per parlare con il cielo:

“Il Signore ci ripete: Non temete’. Come hanno detto gli angeli ai pastori: ‘Non temete’. E anch’io ripeto a tutti voi: Non temete! Il nostro Padre è paziente, ci ama, ci dona Gesù per guidarci nel cammino verso la terra promessa. Egli è la luce che rischiara le tenebre. Egli è la misericordia: il nostro Padre ci perdona sempre, Egli è la nostra pace". (Omelia Notte di Natale 2013)

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Rinunce e nomine episcopali

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In Brasile, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della prelatura di Xingu, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Erwin Kräutler, dei Missionari del Preziosissimo Sague. Al suo posto, il Papa ha nominato padre João Muniz Alves, dell’Ordine dei Frati Minori, finora guardiano della Comunità francescana di São Luís do Maranhão. Il neo preule è nato l’8 gennaio 1961 a Carema, municipio di Santa Rita, arcidiocesi di São Luís do Maranhão. Ha emesso i primi voti religiosi nell’Ordine dei Frati Minori il 2 febbraio 1986 e i voti solenni il 14 gennaio 1991. È stato ordinato sacerdote il 4 settembre 1993. Ha frequentato il Corso di Filosofia (1986-1988) e il Corso di Teologia (1989-1992) presso il Seminario Maggiore “Sagrado Coração de Jesus” a Teresina. Inoltre, ha ottenuto la Licenza (2004) e il Dottorato in Filosofia alla Pontificia Università Antonianum (2006-2008) e il Dottorato in Teologia Morale presso l’Alfonsianum (2005-2007). Nel corso del ministero sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario parrocchiale della parrocchia “São José” a Lago da Pedra, diocesi di Bacabal (1993-1994); Vicario parrocchiale della parrocchia “São Francisco das Chagas” e Vice-Maestro dei Postulanti a Bacabal (1994-1995); Parroco della parrocchia “São Francisco das Chagas” (1995-1998) e Maestro dei Postulanti a Bacabal (1995-2001); Definitore della Vice-Provincia Francescana di “Nossa Senhora da Assunção”, con sede a Bacabal (1995-2001); Membro del Consiglio Presbiterale della diocesi di Bacabal (2007); Ministro Provinciale a Bacabal (2007-2013); Visitatore Generale della Provincia Francescana di Mozambico (2014). Attualmente esercita il suo ministero come Guardiano della Comunità Francescana a São Luís do Maranhão, Vicario parrocchiale, Formatore e Professore di Teologia Morale.

Nella Zambia, il pontefice ha nominato vescovo della diocesi di Mpika, in Zambia, il sacerdote Justin Mulenga, coordinatore pastorale dell’arcidiocesi di Kasama. Mons. Mulenga è nato il 27 febbraio 1955 in Rosa Mission (oggi Nondo Parish), nel distretto di Mungwi, Arcidiocesi di Kasama. Dopo aver frequentato la scuola elementare Rose Primary School, è entrato nel Seminario Minore di Lubushi a Kasama e, successivamente, nel Seminario Maggiore di Mpima. In seguito, ha frequentato l’Evelyn Hone College di Lusaka, dove ha ottenuto il Diploma in Ragioneria. L’Arcivescovo di Kasama, S.E. Mons. Elias Mutale, l’ha inviato al Pontificio Collegio San Beda in Roma, dove ha completato gli studi di Filosofia e Teologia, prima dell’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 18 luglio 1993. Dopo la sua ordinazione ha ricoperto i seguenti incarichi: 1993 – 1994: Vicario Parrocchiale in Holy Family Parish a Lwena; 1994 – 1998: Economo generale dell’Arcidiocesi di Kasama; 1998 – 1999: Vicario Parrocchiale di Kapatu Parish; 2000 – 2005: Parroco della Cattedrale di St. John a Kasama; 2005 – 2010: Parroco di St. Francis Parish a Mbal e, nel contempo, Vicario Episcopale per i Religiosi e per il decanato di Mbala; dal 2009: Presidente dell’Associazione del clero diocesano dell’Arcidiocesi di Kasama; dal 2010: Coordinatore Pastorale della medesima Sede Metropolitana. La Diocesi di Mpika (1933), è suffraganea dell’Arcidiocesi di Kasama. Ha una superficie di 86.135 kmq e una popolazione di 548.000  abitanti, di cui 133.511 sono cattolici. Ci sono 14 parrocchie. Vi lavorano 36 sacerdoti diocesani e 5 missionari. Vi sono, inoltre, 26 Religiosi e 58 Religiose e 25 seminaristi maggiori.
La Diocesi di Mpika, è vacante dal 12 gennaio 2012, a seguito del trasferimento dell’Ordinario, S.E. Mons. Ignatius Chama alla Sede Metropolitana di Kasama.

In Francia, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Châlons presentata per raggiunti limiti di età da mons. Gilbert LouisAl suo posto, il Papa ha nominato il sacerdote François Touvet, del clero della diocesi di Dijon, finora Vicario Generale di Langres, Vescovo della Diocesi di Châlons.Il neo presule è nato il 13 maggio 1965 a Parigi. Ha compiuto gli studi secondari al liceo Saint-Louis-de-Gonzague di Parigi, poi alla scuola Militare di Saint-Cyr, dove ha ottenuto il grado di Ufficiale della Marina. Per un anno ha pure frequentato una scuola in Inghilterra. Entrato in Seminario a Paray-le-Monial, ha poi continuato la formazione ecclesiastica a Besançon e a Lione, conseguendo nel 1992 la Licenza in Teologia presso l’Institut Catholique de Lyon. È stato ordinato sacerdote il 28 giugno 1992 a Dijon, dove si è incardinato. Ha svolto i seguenti incarichi : Vicario pastorale di Is-sur-Tille (1992-1993), Decano Aggiunto di Tilles e Parroco in solidum di Selongey (1993-1999), Cappellano diocesano del Mouvement eucharistique des Jeunes (1996-2004), Parroco di Châtillon-sur-Seine e di Côteaux-de-Haute-Seine (1999-2004), Decano di Val-de-Seine (2001-2004), Parroco di Montigny-sur-Aube (2002-2004), Vicario Episcopale di Dijon per la Zona pastorale Seine et Tilles (2002-2004), Vicario Generale di Dijon (2004-2010), Parroco della Cattedrale di Langres e Decano della città di Langres (2010-2014), Vicario Episcopale di Langres per la Zona pastorale Sud (2012-2014), Vicario Generale di Langres dal 2014.

In Italia, il Pontefice ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Adria-Rovigo, presentata per raggiunti limiti di età da mons. Lucio Soravito De Franceschi. Al suo posto, Francesco ha nominato mons. Pierantonio Pavanello, del clero della diocesi di Vicenza, finora cancelliere vescovile, vicario giudiziale aggiunto del Tribunale Ecclesiastico Regionale del Triveneto e Docente di Diritto Canonico. Mons. Pavanello è nato a Bassano del Grappa (VI) il 20 maggio 1955. Dopo aver conseguito la maturità classica, ha frequentato per un biennio la Facoltà di Giurisprudenza di Padova. Accolto nel Seminario Diocesano di Vicenza nel 1982 ha ottenuto il Baccellierato in Teologia. Ha proseguito gli studi a Roma dove nel 1993 ha acquisito il Dottorato in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. È stato ordinato sacerdote il 16 maggio 1982, incardinandosi nella diocesi di Vicenza. Mons. Pavanello ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale di San Clemente in Valdagno  (VI) dal 1982 al 1989; Segretario del Consiglio Presbiterale e del Consiglio Pastorale Diocesano dal 1994 al 2005; Vicario Giudiziale Aggiunto del Tribunale Ecclesiastico Regionale Triveneto dal 2001 ad oggi. Dal 2004 è Cancelliere Vescovile; Docente presso l’Istituto S. Antonio Dottore di Padova dal 1996 al 2001; Docente di Diritto Canonico presso lo Studio Teologico del Seminario Diocesano di Vicenza dal 1993 ad oggi; Professore presso l’Istituto di Diritto Canonico “S. Pio X” di Venezia dal 2004 ad oggi e dal 2005 è Direttore della Casa del Clero di Vicenza. Dal 27 ottobre 2005 è Cappellano di Sua Santità.

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Parolin: la droga non si vince con la droga, serve prevenzione

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Il cardinale Pietro Parolin ricorda che la droga non si vince con la droga, bisogna piuttosto lavorare sulla prevenzione. Il segretario di Stato ieri sera ha presieduto la Messa di Natale del Giubileo della Misericordia con i tossicodipendenti nel Centro Italiano di Solidarietà di don Mario Picchi a Roma. Il servizio di Alessandro Guarasci

Niente compromessi con la droga
Il cardinale Parolin ribadisce che la Chiesa, di fronte al dramma della droga, non può rimanere in silenzio. E così il segretario di Stato ricorda le parole del Papa pronunciate in più occasioni durante lo scorso anno:

“La droga non si vince con la droga! La droga è un male e con il male non ci possono essere cedimenti o compromessi. Pensare di poter ridurre il danno, consentendo l’uso di psicofarmaci a quelle persone che continuano a usare droga, non risolve affatto il problema”.

No alla legalizzazione delle droghe leggere 
Il cardinale ha sottolineato che “le legalizzazioni delle cosiddette ‘droghe leggere’, anche parziali, oltre a essere quanto meno discutibili sul piano legislativo, non producono gli effetti che si erano prefisse. Le droghe sostitutive, poi, non sono una terapia sufficiente, ma un modo velato di arrendersi al fenomeno”.

Don Picchi come il buon samaritano 
Le droghe si combattono con “opportunità di lavoro, educazione, sport, vita sana”, questo per far crescere "l'autostima delle nuove generazioni". E la Chiesa prende per mano tutti coloro che sono impegnati nel liberarsi da questa schiavitù. Un esempio è stato don Picchi, che il cardinale ha paragonato al “buon samaritano della parabola di Gesù”.  

Le vostre vite raccontano la resurrezione di Cristo
“Le vostre vite – ha detto ancora il porporato - con le cicatrici che parlano di sofferenza e di dolore, raccontano però anche la risurrezione di Cristo che si compie in voi”.  I casi di successo ci sono e “abbiamo davanti agli occhi l’esempio di tanti giovani che, desiderosi di sottrarsi alla dipendenza dalla droga, si impegnano a ricostruire la loro vita. È uno stimolo a guardare in avanti con fiducia”.

No alle nuove dipendenze, sì alla prevenzione
Il cardinale ha poi messo in guardia dalle nuove dipendenze, come "il grave fenomeno della dipendenza compulsiva verso la navigazione in internet, lo shopping, il gioco d’azzardo, il cibo e il sesso”. Un passo fondamentale è la “prevenzione che si traduca in un intervento sulla comunità nella sua interezza, affinché l’azione educativa, culturale e formativa coinvolga il più ampio numero di ragazze e ragazzi, e non soltanto gruppi a rischio”.

Banche, immigrazione, simboli religiosi
A margine della celebrazione il segretario di Stato ha fatto cenno all'appello al Papa da parte di un gruppo di risparmiatori delle quattro banche salvate dal governo. Il cardinale ha fatto notare che Francesco si è sentito molto partecipe delle vicende della gente. E sulle tragedie dell'immigrazione ha chiesto che la comunità internazionale dia risposte efficaci. Poi, i simboli religiosi: non offendono i credenti di altre religioni, no dunque ad arretramenti.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Nel giorno della nostra salvezza: gli auguri del Papa per il Natale.

Confronto mondiale: Obama propone un summit sull'immigrazione.

Uomini, siate uomini: il commento di Giacomo Scanzi, direttore editoriale del "Giornale di Brescia", sui fatti avvenuti lunedì scorso nel Nord-Est del Kenya.

Geneviève Honoré-Lainé, Lucetta Scaraffia, Mario Aldegani, Gianni Rodari, Marco Beck, Angela Bertelli: riflessioni, commenti, racconti, poemi e testimonianze dal mondo per celebrare il Natale 2015.

Senza lettere di raccomandazione: il priore Enzo Bianchi sui cinquant'anni della comunità di Bose.

Un articolo di Manuel Nin dal titolo "Il suo nome è meraviglia": da Adamo a Cristo negli inni di Efrem il Siro.

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Oggi in Primo Piano



Oim: fermate la guerra in Siria, salvate la vita dei migranti

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Ennesimo naufragio nel Mar Egeo: 13 i migranti morti, tra loro sette bambini. La barca a bordo della quale viaggiavano è affondata al largo di Farmakonisi, isola del Dodecaneso, a una decina di chilometri dalle coste turche. L’ennesima tragedia avviene a poche ore dalla pubblicazione di un comunicato congiunto con cui Oim e Acnur danno le nuove cifre sui flussi di migranti. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

I numeri sono spaventosi, sebbene non diano le reali dimensioni della tragedia. Oltre un milione, (1,005,504) i migranti giunti nel 2015 in Europa, quattro volte più dello scorso anno, ma coloro che si sono messi in cammino nel tentativo di arrivarvi sono in realtà molti di più, e si calcola che le vittime dei cosiddetti “viaggi della speranza” siano state almeno 3.600. Le stime sono dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni e dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, che indicano quali destinazioni degli arrivi la Grecia al primo posto (820,000 persone), seguita da Italia (150,000), Bulgaria, Spagna, Cipro e Malta. La metà dei rifugiati proviene dalla Siria, ma arrivano anche da Afghanistan e Iraq. Parlare di migranti significa affrontare la questione più importante per i 28 dell’Ue, spiega l’Eurobarometro, mentre organizzazioni come Save The Children puntano il dito contro l’Europa perché “fa troppo poco” per proteggere i più vulnerabili e fermare i naufragi di intere famiglie poco lontano dalle coste europee. Il numero più alto di vittime si registra nel tratto di mare tra il Nord Africa e l’Italia: 2889. E la ragione la spiega Daniel Esdras, capo missione Oim in Grecia:

The explanation is the huge difference between the two cases …
"La spiegazione sta nella grande differenza tra le due tratte, quella del Mediterraneo e quella dell’Egeo. Per attraversare quest’ultimo, dato che la distanza tra la costa turca e le isole greche è più breve, si usano barche che possano contenere 20-30 persone circa. In questo senso, finora le vittime sono state, per così dire, “poche”, circa 600 sui due lati, quello greco e quello turco. Così non è nel tragitto dal Nord Africa all’Italia, si utilizzano barche molto più grandi, capaci di raggruppare 600-700 persone. Quindi, immaginate: un singolo naufragio già implica 600 morti! Ecco perché ci sono questi grandi numeri di vittime in mare aperto".

Serve una migrazione legale e sicura per tutti, per i migranti e per i Paesi che diverranno le loro nuove case, sottolinea l’Oim. Ancora Esdras:

First of all, we have to try to assist these people, especially the refugees …
"Prima di tutto dobbiamo assistere queste persone, soprattutto i profughi, persone che non hanno altra alternativa che fuggire dal proprio Paese, dobbiamo assisterli almeno affinché non debbano pagare i trafficanti per poter attraversare il mare, dove perderanno la vita. Quindi, un’idea – ad esempio – è quella di creare un programma di ricollocamento direttamente dalla Turchia affinché non debbano nemmeno arrivarci, in Grecia, e ci sembra una buona idea. Una seconda cosa, molto importante, è che il momento in cui le persone salgono sulla barca e prendono il largo, è già troppo tardi, la cosa migliore è tenerli sulla terra ferma, sulla costa, prima che salgano sulla barca. E questo significa che la Turchia deve predisporre maggiori controlli della linea costiera. La terza cosa: sappiamo che c’è sempre scarsezza di manodopera e di lavoratori specializzati. In futuro, non ora, che siamo in tempo di crisi, potremmo considerare programmi di migrazione legali e organizzati, dei quali possano beneficiare sia il Paese d’origine sia il Paese di destinazione. Ma noi, comunque, dobbiamo almeno tentare di essere proattivi e non reattivi. Per risolvere il problema e per evitare di perdere ulteriori vite umane, tornerei al vecchio appello che tutti pensano e nessuno osa dire ad alta voce: “Fermate la guerra! Salvate le vite umane!”.

A Trapani da ieri è intanto entrato in funzione il nuovo hotspot, che da subito ha aperto le porte a 128 dei migranti soccorsi ieri nel canale di Sicilia.

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Siria: attesa per l’incontro di fine gennaio a Ginevra

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A pochi giorni dall’approvazione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di una risoluzione sull'avvio di un processo politico di pace per la Siria, si lavora alle tappe dell’agenda. A fine gennaio a Ginevra si terrà un incontro internazionale, annunciato dal direttore generale dell’Onu nella città elvetica, Michael Moller. Negli anni passati in Svizzera si tennero già due altre conferenze, nel 2012 e a inizio 2014. Di fatto le precedenti tornate negoziali non riuscirono a porre fine al conflitto in Siria, iniziato nel 2011 e costato la vita ad oltre 250 mila persone, con milioni di profughi nei Paesi limitrofi e non solo. Quando sul terreno proseguono le violenze, quali sono le attese per il prossimo incontro di Ginevra? Giada Aquilino ha girato la domanda a Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’Università degli Studi di Firenze: 

R. – Già in passato sono stati espletati vari tentativi per giungere ad una qualche forma di soluzione del conflitto in Siria. Questi tentativi si sono scontrati con una realtà che è fatta di interessi diversi, contrapposti, non conciliabili delle potenze regionali e delle parti coinvolte attualmente nel conflitto. Mi sembra che tali interessi in questo momento non consentano con facilità, perlomeno nel breve periodo, il raggiungimento di un’intesa. Mettere d’accordo le volontà - per rimanere nell’area - di Turchia, Iran, Israele e Arabia Saudita e Stati del Golfo e - per allargare il campo - rendere conciliabili gli interessi in quell’area di Stati Uniti, Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese mi pare impresa non da poco, per non parlare evidentemente degli interessi diversi dei gruppi sunniti e della frattura esistente fra sunniti e sciiti.

D. – C’è da dire però che la scorsa settimana la risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha stabilito per la Siria un cessate il fuoco tra opposizione e regime, un governo di transizione in sei mesi ed elezioni entro un anno e mezzo. Con le violenze ancora in atto è possibile un’agenda di questo tipo?

R. – In passato, per quell’area geografica sono state disegnate varie road map; penso all’ormai storico e drammatico confronto tra israeliani e palestinesi. È facile stabilire un calendario, è un pochino più difficile poi tradurre quel calendario in realtà, quando appunto si trovano contrapposti interessi molteplici di attori esterni a quell’area alla quale sono interessati e nella quale hanno valori maggiori in gioco. La road map c’è; l’intervento delle Nazioni Unite c’è stato; ho qualche perplessità circa la possibilità che quelle scadenze siano rispettate e che portino ad una transizione di regime – c’è il problema Assad – e quindi all’eventuale sostituzione di questo leader, sostituzione che trovi d’accordo le parti interessate ad un cambiamento in questo senso in Siria.

D. – Sull’uscita dalla scena politica di Assad quali sono le posizioni?

R. – L’uscita dalla scena politica di Assad è ovviamente condizione sine qua non per alcuni degli attori coinvolti. Su questo punto si è giocato e si gioca ad esempio buona parte della credibilità della politica estera dell’attuale leadership turca. Su questo punto si è impegnata la leadership americana. Poi è anche vero che ci sono attori non meno rilevanti: penso alla Federazione Russa, alla stessa Cina e ovviamente attori interni alla Siria - gli alawiti, ad esempio - che invece non intendono o almeno fino ad oggi non hanno inteso negoziare sul punto. Sarà possibile conciliare queste posizioni apparentemente inconciliabili? Si dovrebbe trovare un possibile sostituto di Assad che accontenti tutti, un personaggio chiave della leadership alawita che possa risultare accettabile tanto agli Stati Uniti, alla Turchia quanto alla Federazione Russa e agli attori direttamente coinvolti - gli attori più rilevanti dell’opposizione interna - e che consenta al tempo stesso alla cerchia di Assad di “salvare la faccia”. In questo momento, c’è un attore del genere disponibile sul campo? Si sono fatti alcuni nomi in passato, ma attualmente non mi pare che si sia concretizzata alcuna prospettiva stabile, solida.

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In Iraq forze governative alle porte di Ramadi, in mano a Is

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In Iraq, dopo un'offensiva durata già diversi mesi, le forze governative hanno lanciato un attacco da più direzioni su Ramadi. Avanzano verso il centro della città che dal maggio scorso è nelle mani del sedicente Stato Islamico. Intanto nella vicina Siria un bombardamento dell’Is, a colpi di mortaio su una scuola elementare, ha provocato la morte di nove bambine e il ferimento di altre venti. Ma per capire se davvero l’Is è in difficoltà in Iraq, Fausta Speranza ha intervistato Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss: 

R. – Ci sono dei dati che sembrano confermarlo. A quanto pare, nel corso di questo 2015, il sedicente Stato Islamico ha perduto una porzione significativa dei territori che controllava: si parla più o meno di un 15 %.

D. – In questo ridimensionamento dei miliziani del sedicente Stato Islamico chi sono i protagonisti?

R. – Un ruolo significativo, forse quello più importante, lo stanno giocando proprio i curdi siriani i quali hanno contro di loro la Turchia, ma sono variamente appoggiati sia dagli Stati Uniti, cui debbono il successo della resistenza a Kobane, che dalla Federazione Russa, seppure in misura minore. Io credo che il successo riportato sul campo dai curdi siriani porrà a tempo debito, a medio termine, il problema di che forma di statualità riconoscere ai curdi. Forse non nascerà mai un grande Stato curdo, ma una forte forma di autonomia in Siria e in Iraq, secondo me, può preludere anche a una forma di indipendenza futura. E diciamocelo francamente: sarebbe anche ora, perché ai curdi uno Stato è stato promesso fin dalla fine della Prima Guerra Mondiale e stanno ancora lì, alla mercè di chi comanda nei quattro Stati in cui sono dispersi.

D. – Ci porta a parlare del vicino conflitto in Siria: c’è una risposta in qualche modo contro l’Is che coinvolge tutti e due i Paesi o sono realtà, da questo punto di vista, molto diverse?

R. – Non è che siano realtà diverse, però la situazione in Iraq è leggermente differente da quella in Siria. In Siria l’Is è parte di una guerra civile straordinariamente intensa che ha molti attori protagonisti, mentre invece in Iraq la situazione è relativamente più chiara, più semplice e delineata. Né, d’altra parte, l’Is nella parte irachena pone lo stesso tipo di sfide come dal lato siriano, anche dal punto di vista della logistica, del tipo di messaggio che viene dato. Cerco di spiegarmi: è soprattutto in Siria che noi abbiamo visto l’Is proporsi nelle vesti di un erogatore di servizi, di un dispensatore di welfare e quant’altro, adottando un modello molto simile a quello di Hamas o a quello della Fratellanza Musulmana. Mentre invece, fintantoché era rimasto circoscritto all’Iraq, l’Is operava e sta operando soprattutto come organismo di autodifesa dei sunniti rispetto alle presunte prevaricazioni del potere centrale iracheno a Baghdad che è nelle mani degli sciiti.

D. – Che dire altro di un Paese – l’Iraq – che vive violenza praticamente dal 1991?

R. – Dove non ci sono Stati consolidati, la fine delle dittature crea alle volte violenze e turbolenze maggiori dei crimini di cui queste dittature si macchiavano. Con tutta probabilità, forse una forma di federalismo, se non addirittura la frammentazione dell’Iraq in almeno due se non tre Stati, avrebbe permesso di evitare il bagno di sangue che si è verificato. Dovremmo pensarci di più quando consideriamo le frontiere esistenti come qualche cosa di intoccabile. È naturale che gli Stati sovrani cerchino anche, a livello di comunità internazionale, di rendere immutabili ed eterni i confini, ma alle volte non è detto che questa sia la soluzione migliore.

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Brunei, 5 anni di carcere a chi festeggia Natale in pubblico

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Niente alberi o presepi, nessuna decorazione né festa, e nemmeno lo scambio di auguri. Quest’anno nel Brunei sarà vietato festeggiare il Natale in pubblico. La decisione è stata presa dal sultano, Hassanal Bolkiah, per non danneggiare i fedeli musulmani che vivono nel piccolo e ricco Stato a maggioranza islamica e preservarne la fede. I cristiani potranno vivere questi giorni solo in privato o rischiano, come tutti i trasgressori, fino a 5 anni di carcere. Al microfono di Cecilia Seppia, l’analisi di padre Bernardo Cervellera direttore di Asia News: 

R.  – Il Brunei cerca da anni di mostrarsi molto molto islamico. Ha introdotto la legge islamica da tanto tempo con tutte le forme delle violenze tipiche di questa legge, cioè l’amputazione della mano per i ladri, fustigazioni, pena di morte per la blasfemia... Non parliamo poi se ci sono delle conversioni dall’islam al cristianesimo o a qualche altra religione… Infatti, è un Paese molto ricco in cui però il sultano vive come un potere unico e assoluto. Quindi, per riuscire a mantenere un minimo di legame con la sua base mostra di essere una persona fedelissima all’islam.

D. – Il Brunei è solo l’ultimo di una lunga lista di Paesi islamici dove non è permesso celebrare il Natale, ovviamente con delle differenze; penso alla Turchia o al Marocco dove il Natale è un giorno come gli altri. In Arabia Saudita invece è totalmente diverso, non è permesso il culto pubblico di altre religioni…

R. – Esatto, non soltanto il culto pubblico, neanche il culto privato è permesso in Arabia Saudita. Se vado in Arabia Saudita non posso nemmeno mettere un’icona piccolina in camera mia perché sarebbe proibito: se venisse la polizia religiosa io rischierei la prigione o l’espulsione, non si può nemmeno insegnare il catechismo ai bambini, spiegargli il senso del Natale.

D. – In Pakistan, Afghanistan, Iran, dove la popolazione cristiana invece è più numerosa, che aria si respira nel periodo natalizio?

R. – Diciamo che Pakistan o in Indonesia, per esempio, sono due grossi Paesi islamici. Ci sono le chiese, le persone vanno in Chiesa, certo. Purtroppo, la presenza di gruppi fondamentalisti – soprattutto in Pakistan più che in Indonesia – crea sempre tensioni, a Natale e a Pasqua ogni tanto ci sono stati attentati negli anni passati. Quest’anno, anche in Pakistan la polizia ha dato indicazioni precise per un controllo delle chiese. Anche i vescovi hanno chiesto un maggiore controllo della sicurezza, mentre in Indonesia è abbastanza tradizionale ormai che i gruppi musulmani moderati, amici dei cristiani, facciano un cordone attorno alla chiesa durante la Messa di Natale della notte per fare in modo di fermare qualunque possibile attentato.

D.  – Questi divieti sono rivolti a tutte le feste cristiane, però con il Natale sembra che le norme si facciano più stringenti, addirittura il carcere a 5 anni… Perché proprio il Natale?

R. – Perché il Natale è diventato una festa così internazionale, un po’ gonfiata dal mondo occidentale. E un po’ perché presenta un Dio bambino, un Dio buono, un Dio dolce e indifeso, e quindi molto spesso queste monarchie o questi luoghi di islam fondamentalista lo vedono molto concorrenziale. In Brunei, ad esempio, avranno paura che la grande maggioranza dei musulmani rischi di essere deviata dalla strada giusta, cioè temono conversioni… In effetti, molto mondo islamico a causa di questi terrorismi che sono diffusi un po’ ovunque si domanda veramente: "Come mai nella nostra religione c’è una tale amplificazione della violenza?". Va detto però che ci sono proibizioni non del culto, ma magari di fare presepi o di fare "Christmas Carol", cioè canti di Natale, rappresentazioni sacre del Natale anche in Occidente. Questo non a causa dei musulmani, ma a causa di un laicismo violento in cui si mettono in contrapposizione le diverse religioni. In realtà, molto spesso le diverse religioni non sono in contrapposizione, perché se c’è una contrapposizione tra il terrorismo islamico e il cristianesimo, o tra il terrorismo islamico e l’islam moderato, non vuol dire che cristiani e musulmani non possano gioire insieme del Natale.

D. – Ci sono invece alcuni Paesi islamici, penso agli Emirati Arabi, a Dubai, negli altri Paesi del Golfo, dove c’è invece molta tolleranza, non si hanno problemi ad esibire gli alberi di Natale, gli addobbi, le luci… In questo caso, è il lato commerciale del Natale che ha vinto e il Natale è diventato quasi una festa pagana…

R. – Forse il consumismo, o più che altro una globalizzazione delle feste, ha portato a questa tolleranza. Va detto però che effettivamente gli Emirati, Dubai, questi Paesi, stanno cercando davvero di modernizzarsi, di diventare Paesi che, sì, conservano la loro identità islamica, ma sono aperti a tutto il resto del mondo, per cui danno la possibilità ai cristiani di avere chiese.

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Legge Stabilità: novità nella lotta a povertà e sostegno disabili

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Approvata definitivamente ieri dal Senato, la manovra economica, da 35,4 miliardi, è ormai legge dello Stato. Secondo maggioranza e governo, i provvedimenti in essa contenuti rafforzano crescita e lavoro, per le opposizioni invece il testo è inadeguato e composto da "mance". Di certo per contrastare la povertà viene messo in campo un pacchetto di interventi, che puntano in particolare ad aiutare minori e famiglie numerose: dalla card familiare, al fondo sostegno “Dopo di noi” per disabili gravi o a quello di contrasto alla povertà educativa minorile. Luci e ombre dunque su un testo che però "sembra cambiare prospettiva nel sociale": è il parere del prof. Flavio Felice, ordinario di Dottrine economiche e politiche alla Pontificia Università Lateranense, intervistato da Gabriella Ceraso: 

R. – Da una parte sono d’accordo con la maggioranza, quando dice che ha fatto il massimo che avrebbe potuto fare con i fondi a propria disposizione. Dall’altra parte però bisogna riconoscere che così non si cambia verso e non si porta il Paese verso una fase di crescita economica ma semplicemente di contenimento.

D. – Non c’è una cosa che le fa pensare che si sia puntato allo sviluppo e alla competitività?

R. – Competitività assolutamente no. Mentre per quanto riguarda l’assistenza si è fatto probabilmente il massimo possibile, soprattutto sul fronte della famiglia. L’individuazione di un nuovo strumento, di uno strumento creativo come quella della card, anche il voucher, va nella giusta direzione... E’ lo strumento che libera risorse e in modo efficace, senza pesare sulla collettività.

D. -  Ma serve, arriva?

R. – Certo, ovviamente dipende dall’entità e da come è attuato.

D.  – Sotto questo punto di vista attrae la nostra attenzione questa estensione dell'attuale Sostegno inclusione attiva (Sia) su tutto il territorio, un aiuto perché è proporzionale al numero dei figli minori e disabili. Che cosa ne pensa?

R. – Un sostegno per un’inclusione attiva è interessante, vuol dire che si esce dalla sfera e dalla logica assistenzialista e si passa invece a quella della cittadinanza attiva, dunque dell’inclusione. Inclusione sociale significa consentire a ciascuno di entrare a far parte della cittadinanza con le proprie forze.

D. – L'aver posto lo sguardo su questi aspetti è stata una cosa nuova effettivamente? E’ una cosa importante anche solo per l’idea o no?

R. – Sì, per l’idea è importantissimo. Questo governo ha il merito di aver incarnato un’esigenza, di averla resa concreta, istituzionalizzata, di aver risposto dunque a una domanda. Questo non tocca il tema della competitività. Questo tocca i temi della minima decenza, della civiltà all’interno di una comunità dove appunto si riconosce alla famiglia una funzione primaria e non solo sulla carta.

D. – Sempre in materia di lotta alla povertà, secondo lei provvedimenti come questo “Dopo di noi” che punta al sostegno per le persone con disabilità grave che non hanno legami famigliari oppure la risposta alla povertà educativa, con un Fondo apposito, cose del genere, sono destinate a restare e ad incidere?

R. – Sicuramente, ma nella misura in cui l’istituzionalizzazione di questi provvedimenti avvenga in modo trasparente in modo non familistico non clientelare come è già accaduto. Mi auguro che questo non accada questa volta, ma non c’è dubbio che queste soluzioni, che questi strumenti siano strumenti adatti ai nostri tempi.

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Taranto. Comunità islamica regala Bambinello a Mons. Santoro

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La comunità musulmana di Taranto ha donato all'arcivescovo della città, mons. Filippo Santoro, una statuetta di Gesù Bambino in segno di rispetto per il Natale alle porte. Il gesto è stato compiuto a margine dell'apertura della Porta Santa nella Basilica di San Martino, a Martina Franca, indicata dal vescovo di Taranto tra le Chiese Giubilari. Al microfono di Cristiane Murray, mons. Santoro sottolinea l’importanza del gesto: 

“È un gesto particolare, perché questi nostri fratelli islamici sono venuti a trovarmi. Mi hanno detto che sono rimasti colpiti, perché qui a Taranto sono arrivate, assieme ai migranti, delle salme provenienti dall’Eritrea e da altre parti dell’Africa. La maggior parte era di origine eritrea. Ho celebrato per loro una Messa di esequie. Ma c’erano anche degli islamici che hanno voluto che benedicessi le loro salme. Sono rimasti molto colpiti dalla vicinanza, dall’attenzione verso loro e hanno voluto contraccambiare. Mi hanno detto: ‘Possiamo farle un regalo?’. Quando ho aperto la Chiesa giubilare di Martina Franca hanno portato un Bambinello dicendo: ‘Riconosciamo Gesù, abbiamo un grande rispetto e occupa un posto importante anche nella nostra religione islamica’. Per questo motivo, si sono uniti a noi proprio per valorizzare questo dialogo interreligioso e la celebrazione di questo Anno Santo, che tende ad abbattere tutti i muri di separazione e a costruire ponti di dialogo. Per cui, è stato un momento molto partecipato nel clima della misericordia, dell’accoglienza reciproca, del dialogo e costruzione di ponti che ci uniscono e che ci fanno portatori di solidarietà per tutti”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: l'Is contro il Natale. A Kirkuk profanati due cimiteri

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Nuovi attacchi contro i cristiani e le feste del Natale nel nord dell’Iraq per mano di Daesh (acronimo arabo dello Stato islamico, Is) e altri gruppi estremisti. Fonti dell'agenzia AsiaNews nel nord del Paese riferiscono che i miliziani dell’Is a Mosul hanno affisso dei cartelli in città, in cui ordinano ai musulmani “di non festeggiare” in alcun modo il Natale con i cristiani, perché “sono eretici”. A Kirkuk, invece, gruppi di estremisti islamici hanno fatto irruzione all’interno di due cimiteri cristiani, profanando e distruggendo diverse tombe. I cristiani irakeni rispediscono al mittente gli attacchi di queste ultime ore e affermano di voler celebrare la festa, senza curarsi di minacce e intimidazioni. 

Il Corano descrive il Cristo come “portavoce della parola di Dio
Il patriarcato caldeo condanna i nuovi episodi di violenza e intimidazione ai danni della comunità cristiana irakena, e lo fa utilizzando le stesse parole contenute nel Corano e in cui si afferma che i cristiani non sono eretici e la Trinità è una espressione teologica della rivelazione dell’unico Dio. Il libro sacro dei musulmani, spiegano i vertici della Chiesa caldea, descrive il Cristo come “portavoce della parola di Dio”. I cristiani non sono politeisti, né degli infedeli ed è per questo che il Corano afferma che “sono i più vicini a coloro che credono”. Alcuni fedeli della capitale, interpellati da AsiaNews, invitano i musulmani a “occuparsi della loro fede” e “di lasciarci vivere e celebrare liberamente la nostra” come dice il Corano stesso che vieta “costruzioni” in tema di fede e afferma: “Io ho la mia religione e voi la vostra”. 

700mila cristiani iracheni hanno lasciato il Paese
Intanto il parlamentare cristiano Yonadam Kanna, presidente del gruppo Rafeedain, ha mostrato all’Assemblea un documento in cui emerge che oltre 700mila cristiani hanno lasciato il Paese a causa del conflitto e delle violenze negli ultimi 30 anni. Le migrazioni sono iniziate già negli ultimi anni del regime di Saddam Hussein ed è precipitato negli ultimi anni.

L'ultimo esodo dei cristiani da Mosul e dalla Piana di Ninive
La comparsa del sedicente Stato islamico e l’esodo di centinaia di migliaia di persone da Mosul e dalla piana di Ninive nell’estate del 2014 sono l’ultimo di una serie di attacchi, con profanazione di chiese e luoghi di culto, violenze a singoli e gruppi, sradicamento e spossessamento di beni e proprietà. Dagli oltre 1,5 milioni del 2003 si è passati oggi a meno di 500mila. (J.M.)

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Re di Giordania: i cristiani parte integrante della società

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I cristiani arabi “sono una parte integrante del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro”, e fin dall'inizio “sono stati partner essenziali per la nostra cultura, per la costruzione della nostra civiltà e per la difesa dell'islam”. Così si è espresso re Abdullah II di Giordania nel corso del discorso, trasmesso ieri dalla tv nazionale, con cui il monarca hascemita ha voluto felicitarsi con tutti i suoi sudditi in occasione della festa islamica della natività del Profeta Mohammad (celebrata in quasi tutto il mondo il 23 dicembre) e della solennità cristiana del Natale di Nostro Signore. Re Abdullah – riferiscono fonti giordane riprese dall'agenzia Fides - ha sottolineato il valore simbolico della prossimità tra le due celebrazioni, in un tempo in cui molti Paesi “soffrono per l'estremismo e la violenza”, alimentati da chi tradisce “i veri principi dell'islam e del cristianesimo”.

Cristiani e musulmani uniti da “valori comuni” 
Alla vigilia della festa islamica e di quella cristiana, Abdullah ha voluto ribadire che “l'islam è una religione di misericordia”, e che cristiani e musulmani sono uniti da “valori comuni” totalmente opposti alle pratiche di coloro che lui ha definito come “fuorilegge dell'islam”. In tale contesto, il monarca ha ribadito che tutti i giordani “vivono sotto l'ombrello di una medesima cittadinanza”, e che i cristiani arabi hanno contribuito in maniera essenziale alla costruzione della civiltà arabo-islamica fin dai tempi della battaglia di Mu'tah (quando Mohammad aveva ordinato alle forze islamiche in lotta contro l'esercito bizantino di non nuocere ai cristiani della Siria).

La coincidenza delle feste cristiana e musulmana
​La festività islamica del Mawlid al-nabi, la natività del Profeta Mohammad – che dipende dal calendario lunare – nell'anno 2015 viene celebrata anche il 23 dicembre. Una simile prossimità tra la festa islamica e il Natale cristiano non si verificava da 457 anni. (G.V.)

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Le nascite di Gesù e di Maometto celebrate nella stessa data

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Non accadeva da 457 anni che la celebrazione della nascita di Gesù coincidesse con quella del profeta Maometto. Quest’anno, infatti, il Mawlid al-Nabī verrà ricordato la sera del 24 dicembre nella totalità del mondo arabo. In precedenza, la coincidenza si era verificata nel 1558, mentre nel 1852 il Mawlid coincise con il 25 dicembre. A spiegarlo, in un articolo diffuso sul sito web della Conferenza episcopale francese e citato da L’Osservatore Romano, è padre Vincent Feroldi, direttore del Servizio nazionale per le relazioni con i musulmani.

La gioia comune di cristiani e musulmani
La notizia ha suscitato vasta eco in Francia e non solo: “Da giorni – spiega padre Feroldi - i media algerini e marocchini ne parlano. La trasmissione ‘Islam de France’ del 27 dicembre sarà dedicata a questo tema. Alcune diocesi, come quelle di Metz, Angers e Lille, si sono mobilitate attorno all’avvenimento. Cristiani e musulmani, in Belgio come in Maghreb, se ne rallegrano”.

Un segno di Dio in questi tempi difficili
“Comunità cristiane e musulmane — scrive ancora padre Feroldi — avranno il cuore in festa. Renderanno grazie a Dio, ciascuna nella propria tradizione, per questa buona novella che è la nascita di Gesù o di Maometto, nascite che saranno fonte di incontro tra uomini e donne credenti e Colui che è fonte di vita, fonte della vita”. “In tale unità di data rarissima – aggiunge padre Vincent - molti vogliono vedervi un segno di Dio, in questi tempi difficili in cui la pace annunciata dagli angeli, la notte di Natale, è maltrattata dalla follia degli uomini”.

Festeggiare ciò che unisce senza ignorare ciò che differenzia
Il messaggio lanciato, dunque, dal direttore dell’organismo episcopale è di  “festeggiare ciò che ci unisce senza ignorare ciò che ci differenzia”, perché “non si tratta di incorrere in un banale sincretismo, comparando Gesù e Maometto”, ma “questa simultaneità di feste è una bellissima opportunità di incontro e di scambio”, perché “offre la possibilità di dirsi che siamo felici di stare insieme, credenti, in uno stesso atteggiamento spirituale e umano in cui, da una parte, ci rivolgiamo a Dio nella preghiera e, dall’altra, viviamo momenti di fratellanza e amicizia” in famiglia e con il prossimo.

Rispetto e riconoscimento reciproci tra le due religioni
L’invito dunque è ad “accoglierci vicendevolmente tra cristiani e musulmani, in questo periodo di Natale, esprimendo “il rispetto ed il riconoscimento reciproci delle due tradizioni religiose”, e dando così “un grande segnale del vivere insieme in quest’epoca in cui, in nome della religione e di Dio, alcuni predicano odio o commettono attentati”. Nel 2015 — conclude padre Feroldi — “Gesù il Salvatore è più che mai segno, grazia e misericordia per tutti gli uomini. È il principe della pace”. (A cura di Isabella Piro)

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Terra Santa: vescovi reagiscono a frasi choc di un rabbino

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L'Assemblea dei vescovi ordinari cattolici di Terra Santa ha appreso “con sgomento” e subito condannato le recenti dichiarazioni anticristiane diffuse dal rabbino Benzi Gopstein, proprio nei giorni in cui si celebravano i cinquant'anni della dichiarazione conciliare Nostra aetate, che ha aperto una fase nuova dei rapporti tra ebrei e Chiesa cattolica.

Le false accuse del rabbino di proselitismo
Nei giorni scorsi - riferisce l'agenzia Fides - il rabbino, noto per le sue posizioni estremiste e leader del movimento Lehava, nato per opporsi ai matrimoni tra ebrei e non ebrei, ha pubblicato su un sito internet la sua proposta – poi ripresa dalla stampa israeliana - di bandire le feste cristiane e espellere i cristiani da Israele, “prima che questi vampiri”, così ha scritto Gopstein, “bevano il nostro sangue”. Nel suo intervento, il rabbino accusava i cristiani di voler fare proselitismo nello Stato ebraico.

Gli Ordinari di terra Santa condannano le parole del rabbino
In una dichiarazione, diffusa dai canali ufficiali del Patriarcato latino di Gerusalemme, l'Assemblea dei vescovi ordinari cattolici di Terra Santa condanna con fermezza le parole “irresponsabili di Rabbi Gopstein”, definendole “un oltraggio allo stesso dialogo” fiorito dopo il Concilio Vaticano II. I vescovi cattolici, che già in altre occasioni avevano denunciato le provocazioni intimidatorie del rabbino estremista, si appellano alle autorità israeliane, rimarcando che simili sortite “rappresentano una vera minaccia per la convivenza pacifica nel Paese”, davanti alla quale occorre “adottare le misure necessarie, nell'interesse di tutti i cittadini”.

Il rabbino giustifica gli attacchi contro chiese e moschee
In passato, il rabbino Gopstein aveva giustificato gli attacchi e i roghi appiccati a chiese e moschee nello Stato ebraico, come legittimi tentativi di purificare la terra d'Israele da culti idolatrici. (G.V.)

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Anniversario Charlie Hebdo: vescovi francesi: non cedere alla paura

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Era il 7 gennaio 2014 quando un attentato contro la sede del giornale satirico “Charlie Hebdo” faceva precipitare Parigi nel terrore. A quasi un anno di distanza dal quel tragico evento, la Chiesa francese si prepara a commemorare le vittime. In particolare, il Servizio episcopale nazionale per le relazioni con l’Islam cambia nome in “Servizio episcopale nazionale per le relazioni con i musulmani”. La differenza non è da poco: come spiega in una nota padre Vincent Feroldi, direttore dell’organismo, “si tratta, da una parte, di prendere in considerazione la diversità che c’è tra i differenti componenti dell’islam”, perché “non si può ridurre ad una cosa sola tutta la religione e la comunità musulmana”.

Promuovere incontro, conoscenza e dialogo tra cristiani e musulmani
Dall’altra parte, “è essenziale mettere al centro delle relazioni le persone, gli uomini e le donne testimoni di una fede e di una ricerca spirituale”. Di qui, il richiamo a “la promozione dell’incontro, della conoscenza e del dialogo reciproco tra cattolici e musulmani”. “L’anno 2015 – spiega ancora padre Feroldi – in Francia è stato caratterizzato da un filo rosso, il colore del sangue provocato da attentati, aggressioni e crimini che hanno lasciato un segno profondo”. Di fronte a tale scenario, si deve forse “cedere alla paura e fermare il dialogo con il mondo musulmano?” chiede il sacerdote francese. La risposta, naturalmente è “No”, perché “tale atteggiamento non sarebbe evangelico”.

Formare alla verità e cercare la pace per ridare speranza
Al contrario, è proprio questo il momento di “reintrodurre il dibattito, l’analisi e la riflessione, in un tempo in cui dobbiamo effettivamente cambiare i nostri paradigmi”. Per questo, sottolinea padre Feroldi, è necessario che “il dialogo e l’incontro siano al centro delle nostre comunità”, “formando lo spirito alla verità” e “ricercando la pace”. Bisogna agire, dunque, insiste padre Feroldi: agire “per il dialogo e l’incontro, per tracciare cammini di speranza, ridare un senso alla vita sociale e prendersi cura gli uni degli altri”.

Religiosi e laici impegnati nel dialogo interreligioso
​Per il 2016, inoltre, il Servizio episcopale nazionale per le relazioni con i musulmani ha coprodotto, insieme a Kto e Hurricane Production, un documentario intitolato “Il dialogo nelle azioni”: si tratta di un film di 52 minuti che mostra il lavoro concreto portato avanti da sacerdoti, laici ed associazioni francesi in favore una conoscenza reciproca tra cristiani e musulmani. (I.P.)

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Bartolomeo I: il 'rifugiato' Gesù è vicino ai profughi di oggi

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Il Bambino Gesù, costretto a divenire un rifugiato per sottrarsi alle intenzioni omicide di Erode, “è il reale difensore dei profughi di oggi”. La sua nascita chiama tutti a non restare insensibili di fronte al dramma delle migliaia di migranti  del nostro tempo, tra i quali tanti bambini che hanno diritto alla vita, alla educazione e alla crescita all’interno della propria famiglia. E’ centrato in particolare sulla condizione di chi è costretto ad emigrare - riporta l'agenzia AsiaNews - il messaggio di Natale del patriarca ecumenico Bartolomeo, che sottolinea come aiuto e assistenza per uno di quei fratelli “saranno per il Signore che nasce doni assai più preziosi dei doni dei magi”.

Obbligato a fuggire in Egitto, Gesù divenne un "rifugiato politico"
“La dolcezza della Santa Notte di Natale – scrive Bartolomeo - avvolge ancora una volta il mondo. E nel mezzo delle pene e delle sofferenze dell’umanità, della crisi e delle crisi, delle passioni e delle inimicizie, delle insicurezze e delle delusioni prevale con lo stesso fascino di sempre, reale e attuale come mai, il mistero della incarnazione di Dio”. “Purtroppo, tuttavia, nella nostra epoca molti uomini pensano come quell’uccisore di bambini, Erode, quell’ignobile e spietato, annientano il loro prossimo in svariati modi”. Per salvarsi dalle intenzioni omicide, il Bambino Gesù “fu obbligato a fuggire in Egitto, costituendo così, diremmo secondo la terminologia della nostra epoca, ‘un rifugiato politico’, unitamente a Maria, Sua Madre, la Santissima Madre di Dio e a Giuseppe suo sposo”.

Bambini costretti a diventare profughi: una ignominia per il genere umano
“Nella nostra epoca, considerata come un’epoca di progresso, molti bambini sono costretti a diventare profughi, seguendo i propri genitori, per salvare la propria vita, vita che i loro molteplici nemici guardano con sospetto. Tale fatto costituisce una ignominia per il genere umano”. Tutte le società, invece, “devono assicurare una crescita serena dei bambini e rispettare il loro diritto alla vita, alla educazione  e alla loro crescita sociale, che può essere loro assicurata dalla alimentazione e dalla istruzione nell’ambito della famiglia tradizionale, basata sui principi dell’amore, della filantropia, della pace, della solidarietà, beni che il Signore incarnato ci offre. Il Salvatore che è nato, chiama tutti ad accogliere questo messaggio di salvezza degli uomini". 

Le società odierne non assicurano la convivenza pacifica degli uomini nei propri Paesi
"E’ vero che lungo la storia dell’uomo, i popoli hanno compiuto molte migrazioni ed insediamenti. Speravamo tuttavia che dopo le due guerre mondiali e le dichiarazioni sulla pace di leader ecclesiastici e politici, le società odierne avrebbero  potuto assicurare la convivenza pacifica degli uomini nei propri Paesi. I fatti purtroppo deludono la speranza, in quanto grandi masse di esseri umani, difronte alla minaccia del loro annientamento, sono obbligati a prendere la via della migrazione”.

La terra ed il mare bevono il sangue innocente dei bambini dei profughi di oggi
“Tale situazione creatasi, con l’onda continuamente crescente dei profughi, accresce la  responsabilità di noi che abbiamo ancora la benedizione di vivere in pace e con qualche comodità, a non restare insensibili davanti al dramma giornaliero di migliaia di nostri fratelli, ma ad esprimere loro la nostra tangibile solidarietà e il nostro amore, con la certezza che ogni beneficenza verso di loro, giunge al volto del Figlio di Dio che è nato e si è incarnato e non è venuto al mondo come un re, o come un dominatore, o come un potente, o come un ricco, ma è stato generato come un bimbo ignudo ed inerme, in una piccola stalla, senza un focolare, così come vivono in questo momento migliaia di nostri fratelli, ed è stato obbligato nei primi anni della Sua vita terrena a espatriare in una terra lontana, per salvarsi dall’odio di Erode. Potremmo dire che la terra ed il mare bevono il sangue innocente dei bambini dei profughi di oggi, mentre l’anima di Erode ‘ha ricevuto il giudizio’”.

Il Bambino Gesù emigrato in Egitto è il reale difensore dei profughi di oggi
 “Questo divino fanciullo nato e portato in Egitto è il reale difensore dei profughi di oggi, dei perseguitati dagli Erode di oggi. Egli, il Bambino Gesù, il nostro Dio, ‘si  è fatto debole con i deboli’ (1 Cor. 9,22), simile a noi, ai privi di forza, agli umiliati, a coloro che sono in pericolo, ai profughi. L’assistenza e il nostro aiuto verso i perseguitati e i nostri fratelli deportati, indipendentemente dalla razza, stirpe e religione, saranno per il Signore che nasce doni assai più preziosi dei doni dei magi, tesori più degni ‘dell’oro, dell’incenso e della mirra’ (Mt. 2,11), ricchezza spirituale inalienabile e unica, che non si rovinerà per quanti secoli passeranno, ma ci attenderà nel regno dei Cieli. Offriamo dunque ciascuno di noi, quanto possiamo al Signore, che vediamo nel volto dei nostri fratelli profughi. Offriamo al piccolo Cristo partorito oggi a Betlemme, questi venerabili doni dell’amore, del sacrificio, della filantropia, imitando la sua benevolenza, e prosterniamoci a Lui con gli Angeli, i magi ed i semplici pastori, gridando ‘gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra  agli uomini che egli ama’ (Lc. 2,14), assieme a tutti i Santi. La grazia e la copiosa misericordia del profugo Bambino Gesù, siano con tutti voi!”. (R.P.)

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Indonesia: il Presidente Jokowi incontra i leader cristiani

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I vertici della Chiesa cattolica indonesiana guidati da mons. Ignatius Suharyo, arcivescovo di Jakarta e presidente della Conferenza episcopale (Kwi), insieme ai leader del Sinodo delle chiese protestanti (Pgi), hanno incontrato ieri il Presidente Joko Widodo, per il tradizionale scambio di auguri in occasione del Natale. Durante l’incontro si è parlato delle misure di sicurezza contro le minacce terroristiche e di una possibile visita del Presidente al “centro della cristianità”. 

La visita in Vaticano un segnale forte per mostrare il volto moderato dell'islam indonesiano
I leader cattolici e protestanti indonesiani hanno rivolto un accorato appello al capo di Stato, invitandolo a includere una tappa in Vaticano in vista di un suo futuro viaggio in Europa. La visita del Presidente della nazione musulmana più popolosa al mondo al cuore della fede cattolica, spiega il presidente della Kwi, "sarebbe apprezzata da tutto il mondo". Un segnale forte, prosegue mons. Suharyo, anche ai leader europei che in questi mesi si trovano ad affrontare l’emergenza profughi, con l’arrivo di decine di migliaia di rifugiati molti dei quali di fede musulmana e originari dei Paesi del Medio Oriente martoriati dalla guerra. Per il presule l’incontro fra Papa Francesco e il Presidente Joko Widodo in Vaticano, mostrerebbe all’Europa il volo “differente” -  tollerante, moderato - della maggior parte dei musulmani indonesiani, che hanno costruito rapporti solidi e amichevoli con i concittadini di altre fedi religiose. 

Il rischio di attentati nel corso delle feste natalizie
A margine dell’incontro fra leader cristiani e Capo di Stato si è affrontato anche il tema della sicurezza in occasione delle feste, con il rischio concreto di attentati ad opera di movimenti terroristi o singoli fanatici. “Per quanto concerne le misure di sicurezza - ha affermato il mons. Suharyo - sono state rafforzate a tutela dei fedeli che parteciperanno alle funzioni del Natale. Apprezziamo molto la scelta. Perché se succede qualcosa, la nostra reputazione come Paese sarà danneggiata”. 

In Indonesia i cattolici sono una piccola minoranza
​In Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo, i cattolici sono una piccola minoranza composta da circa 7 milioni di persone, pari al 3% circa della popolazione. Nella sola arcidiocesi di Jakarta, i fedeli raggiungono il 3,6% della popolazione. Essi sono una parte attiva nella società e contribuiscono allo sviluppo della nazione o all'opera di aiuti durante le emergenze, come avvenuto per in occasione della devastante alluvione del gennaio 2013. (M.H.)

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Card. Bo: in Myanmar Natale di pace e riconciliazione

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In Myanmar ci sono "tutte le ragioni per festeggiare con l'angelo che a Natale ha cantato: Gioia a tutto il mondo! Natale è un invito a uscire dalla nostra oscurità e vivere nella luce, ad accogliere la luce in modo che il nostro cuore possa veramente essere riempito di gioia": lo afferma il card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, nel suo messaggio diffuso in occasione del Natale. Una parola-chiave del messaggio, inviato dal cardinale all'agenzia Fides, è "buona volontà", che riecheggia nell'annuncio degli angeli: "e pace in terra agli uomini di buona volontà".

Il Myanmar vede l'alba di un cambiamento
"Con le elezioni generali dell'8 novembre, la nostra nazione vede l'alba di un cambiamento. Spetta a noi permettere che sorga un giorno luminoso. Quello che viene è un anno di benedizione per ognuno di voi, fratelli e sorelle. Dimenticando tutto il passato, le tenebre dell'odio, possiamo realizzare il messaggio di pace rivolto a tutte le persone di buona volontà", afferma il cardinale. "La buona volontà è una conditio sine qua non per l'acquisizione della pace", rimarca, invitando a “costruire un nuovo Myanmar, un nuovo cielo e una nuova terra", grazie alla buona volontà di ciascuno.

Invito a costruire la pace tra le comunità del Paese
Il messaggio invita " tutti gli uomini e le donne di buona volontà ad unire le forze in Myanmar", costruendo la pace tra le comunità, "mai diffondendo discorsi di odio". Elogia poi i vincitori delle elezioni per aver dimostrato sagacia, "proponendo un governo di riconciliazione nazionale", apprezzato dalla Chiesa. Chiede a chi ha perso le elezioni di "accettare il verdetto e accogliere con favore i vincitori", trasferendo in modo pacifico il potere.

L'esercito può diventare "guardiano della transizione democratica"
Invoca la buona volontà dei militari, affermando di "credere sinceramente nel cambiamento del cuore dell'esercito" che può diventare "guardiano della transizione democratica". Si dice “certo della buona volontà dei leader religiosi e delle religioni”, per dare prova di "prendersi cura gli uni degli altri" abbandonando " i tentativi di abusare della religione per scopi politici".

La Chiesa invoca un tempo di perdono e di riconciliazione nazionale
​In particolare il card. Bo vede e auspica la buona volontà della Chiesa, "una delle poche organizzazioni nel Paese che è davvero di carattere nazionale avendo al suo interno gente di ogni tribù, lingua ed etnia". La Chiesa - conclude - "è chiamata a stare con i più emarginati, per garantire che la democrazia sia inclusiva, indirizzata verso i più vulnerabili". In occasione del Natale, la Chiesa in Myanmar ribadisce il proprio contributo nella costruzione della nazione, pur ferita da tanti problemi, operando per "un tempo di guarigione, non di vendetta. Un tempo per il perdono, un momento per la riconciliazione nazionale". (P.A.)

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Vescovi Canada: a Natale contrapporsi a miseria e terrorismo

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Natale è un tempo propizio per “contrapporsi alle forze distruttrici della miseria e del terrore”, perché “la bontà sovrabbonda”: questo l’invito rivolto ai fedeli canadesi da mons. Douglas Crosby, presidente della Conferenza episcopale locale, nel suo messaggio natalizio 2015. “I terroristi possono fare notizia – si legge nel documento – ma la bontà conquista i cuori e le anime”.

Praticare le opere di misericordia
Guardando, poi, al Giubileo straordinario della misericordia, inaugurato l’8 dicembre da Papa Francesco, il presule ricorda l’importanza del praticare le opere di misericordia, tra le quali c’è quella di “dare da mangiare agli affamati”: “Sono molte le persone che soffrono la fame ogni giorno – sottolinea mons. Crosby – e che spesso vivono situazioni difficili, come i genitori single o disoccupati che non riescono a nutrire i loro figli”.

Nonostante gli orrori del male, il bene abbonda nel mondo
Ma di fronte al male presente nel mondo, evidenzia il vescovo canadese, non bisogna mai dimenticare la bontà originaria creata da Dio e quindi “Natale è il momento giusto per ricordare che, nonostante gli orrori del male, il bene abbonda”. In questi giorni – esorta il presule – “guardiamo alla gentilezza degli altri e lasciamo che il bene ci raggiunga, affinché la misericordia di Dio si manifesti anche negli umili gesti di gentilezza quotidiani”.  Infine, il presule esorta a “riconoscere ed incoraggiare le buone azioni compiute dagli altri”, anche dicendo “un semplice ‘grazie’ che non è difficile, ma può fare miracoli”. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 357

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.