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Sommario del 18/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco riconosce il miracolo, Madre Teresa sarà Santa

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Papa Francesco ha approvato il Decreto che porterà alla Canonizzazione Madre Teresa di Calcutta. Nel documento, presentatogli ieri pomeriggio durante l’udienza concessa al cardinale Angelo Amato, si riconosce l’intercessione della Beata nel miracolo che ha portato un uomo di nazionalità brasiliana, gravemente ammalato al cervello, a ottenere nel 2008 una guarigione straordinaria e totale. Il servizio di Alessandro De Carolis

La sera del 10 settembre 1948, Maria Teresa – questo il nome preso al momento della consacrazione religiosa tra le Suore di Loreto – viaggia in treno tra Calcutta e Darjeeling, distretto indiano alle pendici dell’Himalaya, devastato da disordini. Racconterà più tardi la minuta religiosa 38.enne destinata a diventare un’icona planetaria della carità: “Quella notte aprii gli occhi sulla sofferenza e capii a fondo l'essenza della mia vocazione... Sentivo che il Signore mi chiedeva di rinunciare alla vita tranquilla all'interno della mia Congregazione religiosa per uscire nelle strade a servire i poveri”. E soggiuse: “Non era un suggerimento, un invito o una proposta”, “era un ordine”.

Esattamente 60 anni dopo, il 10 settembre 2008 un ingegnere brasiliano, in coma per un gravissimo male al cervello, viene portato in sala operatoria per un intervento disperato. La moglie è nella cappella dell’ospedale con un sacerdote e alcuni familiari e dalla sera prima ha chiesto di pregare perché Madre Teresa “curi” lei stessa il marito. Tutto accade in pochi minuti. Il chirurgo, uscito mezz’ora prima dalla sala operatoria per un breve rinvio dell’intervento, vi rientra e trova il paziente seduto sul lettino, sveglio e cosciente, che gli domanda: “Cosa ci sto a fare qui?”. La guarigione, verrà certificato poi, è stata istantanea e gli “ascessi multipli cerebrali con idrocefalo ostruttivo” semplicemente, e inspiegabilmente, scomparsi. È uno dei rari casi di miracolo di “primo grado”, quello che contempla la risurrezione dalla morte o la cosiddetta “restitutio ad integrum, cioè una guarigione totale che comporti la sanazione degli organi distrutti dalla malattia – mentre la maggior parte dei miracoli accertati dal dicastero vaticano sono di “terzo grado”, cioè guarigioni istantanee da malattie per le quali la medicina avrebbe potuto ottenere risultati solo dopo molto tempo. È l’ultimo segno che spalanca le porte della santità all’Angelo dei poveri e delle periferie, come direbbe Papa Francesco.

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P. Vazhakala: felici, Madre Teresa Santa nel Giubileo della misericordia

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87 anni di vita a seminare speranza fra la disperazione. Una scelta di vita totalizzante, quella di Madre Teresa, che da decenni attira sulle sue orme centinaia di uomini e donne, da oggi in festa in tutto il mondo per l’annuncio della prossima Canonizzazione della loro fondatrice. A esprimerla al microfono di Alessandro De Carolis, è il superiore generale dei Missionari della Carità, padre Sebastian Vazhakala

R. – Sono contentissimo, felicissimo, perché noi aspettavamo e aspettavamo… Ma lei sempre – per come l’ho conosciuta in trent’anni di vita insieme – diceva sempre: “Dobbiamo pregare molto di più”. E allora l’approfondimento della fede è la misericordia di cui Papa Francesco sta parlando oggi. Lei, con la sua esperienza, è stata sempre il simbolo della misericordia e non solo con le parole ma anche con le azioni. La Chiesa riconosce in lei a questo punto la misericordia: è per me una grande gioia che questa cosa accada nell’Anno Straordinario della Misericordia.

D. – Di straordinario, oltre al fatto che la Canonizzazione avvenga durante l’Anno Santo Straordinario della Misericordia, c’è anche il miracolo di questo malato in Brasile…

R. – Il miracolo è per una coppia brasiliana: lui era in condizioni disperate e non aveva più nessuna speranza di vita. La signora andò in cappella, implorò e pregò Madre Teresa. Quando andò a trovare il marito, lui stava in piedi e camminava. E poi, di più: questo miracolo è avvenuto il 10 settembre 2008, proprio il giorno dell’ispirazione che ebbe Madre Teresa nel 1948. Inoltre, questa coppia non poteva avere figli e adesso invece, dal 2008, due figli sono arrivati. Allora, c’è stato “un miracolo su un miracolo” diciamo così: due miracoli perché loro hanno continuato a pregare Madre Teresa anche per questo dono dei bambini.

D. – Papa Francesco è il Papa delle periferie. Madre Teresa, tanti anni prima, ha cominciato ad andare nelle periferie del mondo ad assistere i poveri. Il messaggio di Madre Teresa oggi è ancora di attualità…

R. – La nostra missione è dovunque si trovino i poveri: in periferia, in città, le persone abbandonate alle stazioni… “Periferia” secondo me significa persone abbandonate. Anche il Papa parla dell’indifferenza e Madre Teresa diceva sempre: “La malattia più grave è l’indifferenza verso gli altri”. Lei parlava sempre dell’indifferenza come di una periferia.

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Tra i nuovi Venerabili due medici: padre Ambrosoli e Heinrich Hahn

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Nell’udienza al cardinale Angelo Amato, il Papa ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare i Decreti riguardanti le virtù eroiche di tre Servi di Dio: due sono medici, un laico e un missionario comboniano, e un religioso lasalliano. Diventano, dunque, Venerabili. Ce ne parla Sergio Centofanti: 

Tra i nuovi Venerabili Servi di Dio, c’è padre Giuseppe Ambrosoli. Comasco, suo padre è il fondatore della nota industria italiana del miele, ma lui sceglie un’altra strada: diventare medico e poi missionario comboniano. Parte per l’Uganda nel 1956 all’età di 32 anni, spinto da una consapevolezza: “Dio è amore, c'è un prossimo che soffre e io sono il suo servitore”. Per oltre 30 anni, la gente lo chiama il “medico della carità”. Fa nascere dal nulla l’ospedale di Kalongo, nel Nord dell’Uganda. Passa tantissime ore in sala operatoria, non risparmia fatiche, incurante dei rischi perché imperversa la guerra civile. Si ammala ma convince i superiori a non trasferirlo. Muore nel 1987 nella Diocesi di Lira.  Ancora oggi l’ospedale è un punto di riferimento per tutti i malati della regione: sostenuto dalla Fondazione Ambrosoli, ha 210 dipendenti, quasi tutti ugandesi.

Proclamato Venerabile anche il chirurgo tedesco Heinrich Hahn, vissuto nel 1800. Uomo di profonda fede, sposato, padre di 10 figli, esercita la sua professione medica prendendosi cura in particolare dei più poveri. Un Giuseppe Moscati in Germania. Alla professione sanitaria affianca l'attività scientifica con la pubblicazione di un apprezzato studio sulla meningite tubercolotica. Fonda l'associazione missionaria San Francesco Saverio e l'Istituto Giuseppino per accogliere i malati incurabili. Impegnato anche in politica, per circa quarant'anni è assessore ad Aquisgrana e per tre anni deputato al parlamento di Berlino.

Infine, tra i nuovi Venerabili c’è fra Adolfo, spagnolo, religioso professo dell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, i lasalliani. Vissuto nel secolo scorso, insegna per 40 anni nel Collegio La Salle-Montemolin. E' un grande maestro, ma soprattutto un testimone e un modello di vita, grande esempio di equilibrio e serenità. Vive amando Dio e gli altri come fratelli. Insegna con dolcezza, guarda dentro i cuori, perché si aprano a Cristo.

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Francesco: Dio cambia il mondo facendosi piccolo come un bambino

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Sostando davanti al Presepe, contemplate la misericordia divina. Papa Francesco ha preso spunto dall’udienza ai donatori del Presepio e dell’Albero di Natale che oggi pomeriggio verranno inaugurati in Piazza San Pietro, per ricordare che Dio non ama le rivoluzioni dei potenti, ma tocca i nostri cuori con la sua umile bontà. Il Pontefice ha quindi sottolineato che, seguendo l'intenzione di San Francesco, nel Presepe possiamo cogliere la tenerezza di Dio che si china verso chi ha bisogno. Quest’anno l’Albero è stato donato dalla Baviera, mentre il Presepe è stato allestito dalla Provincia Autonoma e dall’arcidiocesi di Trento. Gli addobbi sono opera della “Fondazione Lene Thun”. Il servizio di Alessandro Gisotti

“Il Presepe ci ricorda questo: Dio, per la sua grande misericordia, è disceso verso di noi per rimanere stabilmente con noi”. Papa Francesco ha messo l’accento sul significato più profondo del Presepe, di quello in Piazza San Pietro come di quello che trova ospitalità nelle nostre case nel periodo natalizio.

Dio non ama le rivoluzioni dei potenti, la sua forza è la mitezza
“Il Presepe – ha avvertito ancora il Papa – ci dice inoltre che Egli non si impone mai con la forza. Per salvarci, non ha cambiato la storia compiendo un miracolo grandioso. È invece venuto in tutta semplicità, umiltà, mitezza”.

“Dio non ama le imponenti rivoluzioni dei potenti della storia e non utilizza la bacchetta magica per cambiare le situazioni. Si fa invece piccolo, si fa bambino, per attirarci con amore, per toccare i nostri cuori con la sua bontà umile; per scuotere, con la sua povertà, quanti si affannano ad accumulare i falsi tesori di questo mondo”.

Queste, ha soggiunto, erano anche le intenzioni di San Francesco, quando inventò il Presepe. Il Poverello d’Assisi, infatti, desiderava fare memoria della nascita del Bambino di Betlemme per poter “intravedere” i “disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato”.

Nel Presepe, cogliamo la misericordia di Dio che si china su di noi
Di qui l’invito “a sostare davanti al Presepe, perché lì la tenerezza di Dio ci parla”. Lì, infatti, “si contempla la misericordia divina, che si è fatta carne umana e può intenerire i nostri sguardi”. Soprattutto, però, ha ribadito, “desidera smuovere i nostri cuori”:

“È bello che sia presente in questo Presepe una figura, che coglie subito il mistero del Natale. È quel personaggio che compie un’opera di bene, chinandosi per porgere aiuto ad un anziano. Egli non soltanto guarda Dio, ma anche lo imita, perché, come Dio, si china con misericordia verso chi ha bisogno”.

Ai bimbi che hanno decorato l’albero: Michelangelo ha iniziato così
Francesco non ha poi mancato di rivolgere un pensiero speciale ai bambini che hanno decorato l’albero, definiti dal Papa “piccoli artisti”:

"Siete ancora molto giovani, ma esponete già le vostre opere in Piazza San Pietro. E questo è bello eh! Coraggio, avanti! Michelangelo ha incominciato così eh!”.

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Presepe trentino in Piazza San Pietro: segno di fede e fraternità

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Il Presepe allestito quest'anno in Piazza San Pietro è opera della comunità trentina. Al microfono di Luca Collodi, ce ne parla il coordinatore dell'iniziativa della Provincia autonoma di Trento, Dino Leonesi: 

R. – Vorrei fare una premessa che spiega il motivo per cui Trento ha voluto essere in Piazza San Pietro per realizzare il grande Presepe: perché, soprattutto quest’anno, sul piano valoriale, la comunità trentina ha la convinzione forte che non ci sia simbologia più potente e più universalmente conosciuta come quella del Presepe. Infatti a poche settimane dal Sinodo straordinario sulla famiglia, riteniamo che la Santa Famiglia di Nazareth ricordi che l’umanità è costituita anche e soprattutto da chi fatica a tenere il passo di un mondo troppo orientato sul “diviso” piuttosto che sulla comunità. Quindi guardando il Presepe non possiamo non pensare alle immani tragedie dell’immigrazione, della povertà, della fuga dai conflitti che hanno spento le vite di tanti innocenti a pochi metri dalla terra promessa. Allora da un decennio la provincia autonoma di Trento ha fatto un percorso estremamente puntuale per quanto attiene alla valorizzazione dell’idea del Presepe.

D. - Questo per dire che il Presepe ha un linguaggio universale che guarda l’uomo ed è espressione di dialogo, accoglienza, misericordia e speranza …

R. – Sicuramente ed è per questo che noi abbiamo come istituzione pubblica voluto questa iniziativa in quanto riassume la bellezza dei valori di fratellanza, di amicizia, di fede, di interesse che la comunità trentina ha nel proprio Dna e che continua ad esprimere.

D. - Cerchiamo di descrivere questo Presepe …

R. - L’allestimento che abbiamo realizzato in Piazza San Pietro si compone di figure a grandezza naturale in legno scolpito e dipinto. I gruppi principali sono due: la Natività con Maria, Giuseppe e il Bambino al centro della scena, e tre Re Magi in arrivo per l’adorazione. Queste sei figure vestite secondo i canoni classici dell’iconografia della nascita di Gesù, sono sorvegliate dall’alto da un Angelo. A fare da contorno ci sono alcuni personaggi con abbigliamento tipico dei paesi dolomitici del Trentino di metà Novecento. Una delle figure maschili è china nell’atto di porgere aiuto ad un anziano, in una raffigurazione della Misericordia. Quindi anche simbolicamente abbiamo voluto produrre il concetto e un riferimento al Giubileo creando questa figura che simboleggia la Misericordia. Questo è il grande Presepe che riproduce la capanna che richiama la forza di una baita alpina. La capanna è alta circa sei metri è poggiata su una pedana di 60 centimetri, che veramente si intona in maniera egregia nel contesto di Piazza San Pietro.

D. - Non possiamo non abbinare il Presepe a quelle che sono le tradizioni più semplici, in questo caso l’artigianato trentino, le tradizioni popolari più semplici legate alla vita quotidiana ..

R. – Sì, anche perché per quanto riguarda la nostra comunità, l’usanza di allestire la Natività nelle case è una tradizione che risale al fine Settecento - inizio Ottocento. Da generazioni le Natività sono un bene così prezioso che sono citate anche nei lasciti testamentari; sono fatte in legno, quindi da una materia prima  che proviene dai nostri boschi e sono custodite gelosamente e tramandate di generazione in generazione. Oltre al Presepe in Piazza San Pietro, abbiamo allestito una mostra di Presepi artistici nell’atrio dell’aula Paolo VI - sono 20 Presepi - che chiaramente invito a visitare perché sono un’espressione significativa dell’iconografia presepistica della Natività.

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Cantalamessa: come Maria, testimoni della misericordia di Dio

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E’ dedicata a Maria, ”Madre di Dio e dei credenti”, la terza e ultima predica di Avvento proposta in mattinata da padre Raniero Cantalamessa, alla Curia Romana. Nelle parole del predicatore della Casa pontificia, la dottrina mariana espressa dal Concilio Vaticano II e la sua portata ecumenica nei confronti dei fratelli protestanti, ma anche l’insegnamento che, come “Madre e figlia di misericordia”, Maria può dare a ciascuno in questo Anno giubilare. Il servizio di Gabriella Ceraso: 

Nell’imminenza del Santo Natale, augurando a tutti un buon anno della misericordia, padre Raniero Cantalamessa sceglie di riflettere su Maria, vista nel “mistero di Cristo e della Chiesa”. Punto di partenza, come nella prima predica, è la mariologia della Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa, la “Lumen Gentium”. Essa ci parla di Maria, Madre di Dio e dei credenti, e in modo innovativo le riconosce il ruolo di “membro del Corpo della Chiesa”, interno ad essa e non intermediaria tra Cristo e la Chiesa. Inoltre il Concilio insiste sulla sua fede, come apporto personale al mistero di salvezza, secondo le parole di S. Agostino :

“La Vergine Maria partorì credendo, quel che aveva concepito credendo... Dopo che l'angelo ebbe parlato, ella, piena di fede (fide plena), concependo Cristo prima nel cuore che nel grembo, rispose: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola” .

Ed è in questi termini e su questi presupposti conciliari, specie di Maria “Madre dei credenti”, “esempio di benedizione e salvezza” e anche “causa”, mediatrice, di salvezza per tutto il genere umano, che può avvenire, spiega padre Raniero, un riavvicinamento tra cattolici e protestanti nell’ambito della devozione alla Vergine, per secoli “terreno delicato e controverso”. Ma attraverso quale via?

“Tale via passa per un sincero riconoscimento da parte di noi cattolici del fatto che spesso, specialmente negli ultimi secoli, abbiamo contribuito a rendere Maria inaccettabile ai fratelli protestanti, onorandola in modo talvolta esagerato e sconsiderato e soprattutto non collocando tale devozione dentro un quadro biblico ben chiaro che ne facesse vedere il ruolo subordinato rispetto alla Parola di Dio, allo Spirito Santo e a Gesù stesso”.

Lo stesso Concilio Vaticano II raccomanda ai fedeli una devozione ”priva di sentimentalismi e di vana credulità”. Da parte protestante, d'altronde, occorre riconoscere l’influsso negativo cha ha avuto la polemica anticattolica ma soprattutto l’atteggiamento razionalista nei confronti di Maria, che ha fatto perdere il senso di ogni riferimento biblico alla Vergine. Ma padre Raniero Cantalamessa guarda anche a Maria nell’attuale Anno giubilare dedicato alla Misericordia e spiega cosa possa insegnarci per viverlo più intensamente:

“Ella infatti non è solo canale e mediatrice della misericordia di Dio; ne è anche l’oggetto e la prima destinataria. Non è soltanto colei che ci ottiene misericordia, ma anche colei che ha ottenuto, per prima e più di tutti, misericordia”.

Maria, dunque, "porta" della misericordia e "oggetto e destinataria prima di essa”. E come lei anche noi. Da qui l'esortazione finale di padre Raniero:

“La cosa più bella che possiamo fare in questo anno della Misericordia è prendere coscienza più viva dell’amore e della misericordia infinita di Dio verso ciascuno di noi. Lodarlo, benedirlo, adorarlo pieni di commossa gratitudine”.

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Papa Francesco riceve presuli messicani

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, mons. Fabio Martínez Castilla, arcivescovo di Tuxtla Gutierrez (Messico), con il l’ausiliare, mons. José Luis Mendoza Corzo, e con mons. Felipe Arizmendi Esquivel, vescovo di San Cristóbal de Las Casas.

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Santa Sede - Rabbinato Israele: migranti, opportunità non minaccia

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“Migranti e rifugiati: minaccia o opportunità?”: su questo tema si è svolto, il 16 e 17 dicembre a Gerusalemme, il 13.mo incontro della Commissione bilaterale delle delegazioni del Gran Rabbinato di Israele e della Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l'ebraismo, guidate rispettivamente da Rabbino capo Rasson Arousi e dal card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Di fronte alle “sfide” derivanti da una “enorme crisi umanitaria” che comporta “centinaia di migliaia di rifugiati in cerca di asilo” – si legge in un comunicato congiunto – “ebrei e cristiani sono chiamati a fare tutto il possibile per garantire che l’Immagine divina in base alla quale tutta l’umanità viene creata, sia rispettata e promossa pienamente tra le popolazioni migranti e rifugiate”.

Migranti, una risorsa da rispettare nella loro umanità
La nota congiunta ribadisce, inoltre, l’importanza di “riconoscere che gli immigrati sono una risorsa benedetta da accogliere e rispettare per la loro umanità e per il potenziale contributo” che possono dare “ad una crescita positiva ed allo sviluppo della società”. Di qui, l’esortazione rivolta ai legislatori affinché “implementino, in modo più efficace, le procedure migratorie, tenendo conto delle destinazioni preferite dei migranti stessi”. Al centro del meeting, anche la presentazione di iniziative israeliane per affrontare “la piaga dei rifugiati e delle vittime di conflitto”.

Il ricordo del card. Mejia, storico promotore dei rapporti cattolico-ebraici
Nel corso dell’incontro, le due delegazioni hanno poi ricordato anche il card. Jorge Mejia, deceduto a dicembre dello scorso anno, “primo co-presidente cattolico della Commissione bilaterale”, sottolineando “il suo storico contributo alla trasformazione dei rapporti tra ebrei e cattolici”, tanto più ora che ricorrono i cinquant’anni della “Nostra Aetate”, la dichiarazione Conciliare sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Auguri di pronta guarigione sono stati, inoltre, inviati al Rabbino capo Shear Yashuv Cohen.

Cattolici ed ebrei uniti per un mondo più giusto e pacifico
Infine, la delegazione ebraica ha espresso apprezzamento per il nuovo documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo dal titolo “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29), contenente riflessioni su questioni teologiche relative ai rapporti cattolico-ebraici. Tale documento – spiega la nota – “afferma la validità eterna della Divina Alleanza con il popolo ebraico” e asserisce che “da parte della Chiesa non c’è l’intento di convertire gli ebrei”. Centrale anche l’invito ad una “maggiore cooperazione” tra cattolici ed ebrei “per un mondo più giusto e pacifico”. (I.P.)

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Relazione medica conferma morte naturale Wesołowski

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Il 14 dicembre scorso, è stata depositata, nella Cancelleria del Tribunale di prima Istanza dello Stato della Città del Vaticano, la Relazione sugli esami chimico tossicologici effettuati sui prelievi eseguiti nel corso dell'autopsia sulla salma di Józef Wesołowski. “Le conclusioni della Relazione – informa una nota della Sala Stampa – hanno definitivamente confermato quanto già emerso dall'esame necroscopico, vale a dire che la morte è ascrivibile ad un evento naturale (infarto acuto del miocardio), con esclusione di altre cause esogene”.

“I vari accertamenti – prosegue la nota – sono stati condotti, nel rigoroso rispetto delle indicazioni derivanti dalle linee guida e dai protocolli riconosciuti in ambito internazionale, da un Collegio di medici legali nominato dal Promotore di Giustizia dello Stato l'indomani dell'improvviso decesso del Prelato”.

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50 parole ricostruiscono in un libro "Il Vocabolario di Papa Francesco"

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Raccontare Papa Francesco attraverso 50 parole ricorrenti nei suoi discorsi e nelle sue omelie. E’ quanto si propone “Il Vocabolario di Papa Francesco”,  un libro edito da Elledici, in cui giornalisti e scrittori hanno dato la loro interpretazione di un linguaggio che non smette di stupire per la sua profondità e semplicità. Il volume, curato dal sacerdote salesiano Antonio Carrero, è stato presentato nella sede della nostra emittente. Il servizio di Michele Raviart

Dalla “A” di abbraccio alla “V” di vergogna, “benedetta perché ci fa dire la verità. Il “Vocabolario di Papa Francesco" ci guida attraverso i grandi temi del suo Pontificato: “misericordia”, “creato”, “scarto”, ma anche “popolo” e “clericalismo”, raccontati da chi segue le parole del Papa quotidianamente. Padre Antonio Carrero, curatore del volume:

“Il linguaggio di Papa Francesco crea interesse. I media sono affascinati dal modo in cui lui si relaziona sia con i gesti, ma anche con le parole, che sono molto semplici. Nel vocabolario ci sono sicuramente termini come Giubileo, misericordia, tenerezza, consolazione, che sono poi quelle parole che stanno segnando il Pontificato di Papa Bergoglio. Molti giornalisti hanno scelto le parole che in un certo senso hanno toccato la loro vita, come ad esempio adozione, mamma, immigrato.

Le parole di Papa Francesco, come scrive nell’introduzione il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, fanno parte di “un linguaggio semplice, accessibile a tutti, fatto di frasi brevi e ripetizioni delle parole chiave”. Mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali:

"Papa Francesco è un dono e la sua comunicazione è un dono, perché riesce a stabilire subito un contatto con le persone che lo ascoltano. Non è né sopra, né sotto… è allo stesso livello. E’ accanto. E questa possibilità gli permette proprio di poter parlare a cuore aperto ai cuori che sono aperti. Ti mette di fronte al Vangelo, ti mette di fronte a Gesù e ti mette di fronte a un fatto: 'Che scelta fai?'. E di questo l’uomo di oggi è stupito. Rimane sorpreso, perché non è abituato ad ascoltare uomini che parlano in questo modo".

Contaminando lo spagnolo "porteño" che si parla a Buenos Aires, con i retaggi delle sue origini piemontesi, Papa Francesco non esita a creare neologismi, come “primarear”, prendere l’iniziativa, o “balconear”, guardare la vita dalla finestra. Mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontifica Università Lateranense:

“Il Papa ci esorta ad essere creativi. Una delle sue parole d’ordine più chiare è rifiutare slogan del tipo 'si è sempre fatto così' o 'si è sempre detto così'. Ecco, la 'creatività', anche dal punto di vista pastorale, di 'gente che vuole profumare dell’odore del suo gregge', credo che sia una parola essenziale”.

Quando il Papa comunica, spiega padre Antonio Spadaro, direttore di “Civiltà Cattolica”, cerca sempre una chiarezza che faciliti la comprensione, perché, come si legge nella Evangelii Gaudium, le parole devono essere come le conversazioni di una madre:

“Papa Francesco usa un linguaggio assolutamente pastorale, quindi immediato e diretto. Le sue parole non sono frutto di una speculazione intellettuale, ma sono frutto di una riflessione che parte dall’esperienza diretta. La cosa che noto nel suo linguaggio è una dimensione “verbale”. Per esempio “misericordia” è un sostantivo, ma in realtà il Papa lo usa come verbo: “misericordiare” o “misericordiando”. E’ interessante questo fatto che per lui anche il sostantivo ha un valore verbale dinamico, di movimento. Questo mi colpisce nella sua parola: la dinamica, il movimento, il contatto reale e concreto con il linguaggio della gente. Riesce a creare un linguaggio di valenza poetica usando parole comuni, parole ordinarie”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Oltre la soglia della carità: Francesco apre la porta santa dell'ostello della Stazione Termini.

Davanti alla tenerezza: il Papa a fedeli tedeschi e trentini per il dono dell'albero e del presepe.

Non elucubrare ma vivere: la prima delle dieci prediche inedite tenute dal cardinale Joseph Ratzinger a Pentling tra il 1986 e il 1999, da oggi in italiano.

Due donne incinte, due promesse: Enzo Bianchi spiega la Visitazione.

Antonella Lumini su quella terribile rivoluzione interna: riproposte le riflessioni di Thomas Merton sulla contemplazione mistica.

Ha sempre e solo amato: Paolo Rizzi sulla carità eroica di Teresio Olivelli.

La sfida delle migrazioni: commissione bilaterale Gran Rabbinato d'Israele e Santa Sede

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Oggi in Primo Piano



No dell'Europarlamento a utero in affitto: mina dignità donna

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L’assemblea plenaria al Parlamento europeo boccia l’utero in affitto. Ieri è stato infatti recepito l'emendamento dell’eurodeputato popolare slovacco Miroslav Mikolasik all’interno del Rapporto annuale sui diritti umani. Il servizio di Massimiliano Menichetti: 

Il testo votato “condanna la pratica della maternità surrogata, che mina - si legge al paragrafo 114 - la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani”. La decisione segna senza dubbio un punto fermo in materia, anche se il Rapporto nel suo insieme continua a contenere elementi negativi, come negli anni passati, ovvero la richiesta agli Stati membri di assicurare, nel quadro della pianificazione familiare, il “facile acceso all’aborto sicuro”; per persone dello stesso sesso "l’accesso a istituti legali possibilmente attraverso unioni registrate o matrimoni"; ed un ampio riferimento al concetto di “identità di genere”. "Finalmente una decisione che fa chiarezza e molto incoraggiante" commenta Paola Ricci Sindoni, presidente nazionale dell'associazione Scienza e Vita:

R. – L’utero in affitto non era che una forma, tra le più degradanti, di sfruttamento del corpo femminile; finalmente la donna in gravidanza non è più vista come prodotto tecnogeno, rendendola semplicemente – come viene detto – un sistema uterino di approvvigionamento. A parte questa rivoluzione linguistica per cui il bambino diventa un feto, l’utero in affitto in questa forma della maternità surrogata, questo significa recuperare una visione d’insieme della donna che non può e non dovrebbe mai più prestarsi a queste forme di sfruttamento.

D. – C’è il rimando nel trovare gli strumenti per i diritti umani: che cosa accadrà, in concreto?

R. – Ma io spero, intanto, come successo in alcuni Paesi – mi pare il Pakistan che era il più grande “produttore” di madri surrogate – dovrebbe recepire, l’Unione Europea, queste indicazioni legislative. Poi, rieducare anche le giovani generazioni al fatto che non è possibile indicare il desiderio di un figlio come l’assoluto, al fine poi di gestire operazioni che sono disumane.

D. – Questo paragrafo – il 114 – è collocato all’interno di un rapporto che ha anche, però, aspetti negativi. Ci sono richiami al facile accesso all’aborto sicuro, richiami all’accesso a istituti legali possibilmente attraverso unioni registrate o matrimoni per persone dello stesso sesso, un ampio riferimento al concetto in generale di identità di genere …

R. – Questa cosa del “no” all’utero in affitto è una crepa che si apre di fronte a questo mondo apparentemente compatto del “gender”, perché in fondo si va a colpire proprio uno dei capitoli più importanti, quello dell’idea che la donna sia soltanto un costrutto culturale e quindi la donna può essere vista anche semplicemente come un utero … E quindi questa crepa che si è aperta non è solo una critica alle tecnologie e allo strapotere della scienza, in ordine al fatto che si può trapiantare da un utero a un altro un embrione, ma anche che tutto il quadro complessivo del “gender” viene a essere messo in crisi, perché certi paradigmi anche teorici del “gender” cominciano ad essere decostruiti dall’interno.

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Firmata intesa sulla Libia, nuovo governo entro 40 giorni

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È stato firmato a Skhirat, in Marocco,  l’accordo sulla Libia per formare un governo di riconciliazione nazionale che s’insedierà entro 40 giorni e porterà in un anno all’approvazione di una nuova Costituzione sottoposta a referendum popolare e a nuove elezioni. Un’intesa accolta come “storica” da molti come gli Stati Unite e l’Onu, con la soddisfazione espressa dal segretario generale Ban Ki-moon. Ma è davvero così? Roberta Barbi lo ha chiesto a Paolo Sensini, storico e autore dei libri "Libia 2011"’ e "Divide et Impera-Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente": 

R. – Già il fatto che sia stato firmato in Marocco dà l’idea di qual è il livello di credibilità: non lo si è neppure potuto fare in Libia perché di fatto non ha l’appoggio di nessuno. Non ha l’appoggio dei due governi, dei due parlamenti - a Tobruk e a Tripoli - non ha l’appoggio delle milizie, sostanzialmente non ha l’appoggio delle milizie, e si erano incontrati i presidenti dei due rami, dei due parlamenti. Questo tentativo di accordo che vuole insediare un Consiglio presidenziale incaricato di formare un governo di accordo nazionale è voluto solo dall’Onu, Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, e l’Italia che si è accodata.

D.  – I firmatari dell’accordo infatti non avevano il mandato dei rispettivi parlamenti antagonisti. Il presidente del parlamento di Tobruk sembra anche che l’abbia già definito “incostituzionale”…

R. – Non ha l’appoggio di nessuno, di nessuna milizia, di nessun gruppo - che sono poi quelle che dettano legge sul terreno - nasce già come una specie di governo “morto” e viene utilizzato come una specie di cavallo di Troia da parte dell’Onu e dei Paesi che hanno dato vita alle risoluzioni, per poterlo poi insediare e avere una parvenza di legittimità in funzione di un intervento internazionale militare, che nessuno di questi governi attualmente presenti, richiede e vuole.

D. – Il grande assente in Marocco è stato l’attuale capo delle forze armate libiche, il generale Haftar, appoggiato da Egitto e Arabia Saudita…

R. – È un’alchimia che serve solamente alle Nazioni Unite per tentare di bypassare questi due governi – questi due governi a livello ufficiale perché poi in realtà ce ne sono molti di più e coincidono con le milizie disseminate sul territorio - e quindi avere una scusa per bloccare le esportazioni di petrolio, chiamare le forze internazionali di cui teoricamente l’Italia dovrebbe essere a capo, ma che però non ha avuto né l’appoggio di Khalifa Haftar neppure di Alba libica, a Tripoli. Nasce di fatto come una specie di governo figlio di nessuno, se non dei Paesi che all’inizio hanno cominciato questo intervento militare con una risoluzione Onu che non contemplava assolutamente quello che è stato fatto - cioè, non contemplava i bombardamenti che sono stati fatti sulla Libia, ma solo una “no-fly zone” - e che in virtù di questa “responsibility to protect”, che è stata invocata per giustificare l’intervento, ha ridotto la Libia in questo modo e ha creato un focolaio di instabilità che solo degli illusi possono pensare di risolvere attraverso un governo creato in questo modo.

D. - Molti sono ancora i nodi da sciogliere, ad esempio la rivalità fra le tribù. Designare rappresentanti da Tripolitania, Cirenaica, piuttosto che dal Fezzan, può essere la soluzione?

R. – Non credo. Questo è un modo per propiziare un intervento militare sul terreno che ormai viene reso necessario perché la situazione di instabilità è talmente alta sia sul terreno sia per quanto riguarda anche l’immigrazione che viene gestita, questi flussi enormi da cui poi le milizie jihadiste e non solo traggono i loro maggiori finanziamenti. Non sarà assolutamente facile tentare di ricreare quell’equilibrio problematico, con tante questioni aperte e tanti lati oscuri, che vi era durante il periodo di Gheddafi, ma certamente questa non è la strada e già le premesse sono tutte chiare: nel momento in cui tutte le milizie e tutti i gruppi, gli stessi interessati, ripudiano questo accordo, quali premesse ci possono essere?

D. – Tra le sfide che il nuovo esecutivo dovrà affrontare c’è quella della costituzione da approvare con il referendum popolare e poi quella delle elezioni?

R. -  Proveranno a farlo, poi che ci riescano è tutto un altro paio di maniche.

D. - Il processo di normalizzazione della Libia come influenzerà la lotta allo Stato islamico e la problematica delle migrazioni?

R.  – È stato fatto il tentativo di un accordo proprio per intervenire su questo piano: cercare di porre argine allo Stato islamico e a tutta quella galassia di gruppuscoli islamisti che non sono spuntati ieri o l’altro ieri, ma che sono presenti addirittura già da prima che venisse tolto di mezzo Gheddafi e che sono poi, di fatto, quelli che hanno dato vita alla rivolta in Cirenaica. È una presenza che è cresciuta gradualmente sempre di più nel corso del tempo e che oggi si cerca di affrontare attraverso questo tentativo di insediamento di un governo.

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Rwanda: referendum su terzo mandato presidente Kagame

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Elezioni oggi in Rwanda per un referendum costituzionale che potrebbe garantire al presidente in carica, Paul Kagame, di candidarsi per un terzo mandato consecutivo. L’esito sembra scontato in favore dell’abolizione del limite dei due mandati, considerato l’alto gradimento di Kagame e il fatto che l’unico partito mobilitato contro il referendum ha rinunciato a fare campagna elettorale. Troppo pochi infatti i dieci giorni trascorsi tra l’annuncio della consultazione e il voto. Marco Guerra ne ha parlato con Massimo Alberizzi, direttore di Africa ExPress: 

R. – Il risultato credo che sia scontato, nel senso che di solito chi ha potere riesce in qualche modo a vincere, perché i risultati sono un po’ manipolati dall’opinione pubblica, dalla paura di eventuali ritorsioni, quindi non sono così chiari e trasparenti come dovrebbero essere. A parte questo, i presidenti africani non sanno applicare la regola dei due mandati, nonostante siano stati ammoniti anche proprio da Barack Obama. Lui ha detto, a un certo punto: “Io ho fatto due mandati, anche se la mia presidenza ha fatto cose importanti, faccio due mandati perché la mia Costituzione prevede così. Ma perché voi volete sempre cambiare le leggi?”. E’ vero. E la stessa cosa si può dire di Paul Kagame: in Rwanda sicuramente non si parla di democrazia scandinava, però il Paese è avanzato e quindi anche le classi meno abbienti sono state avvantaggiate dalla politica di Paul Kagame. E’ un Paese che risente molto della colonizzazione tedesca di ormai un secolo fa, perché non c’è una carta per terra, ci sono le luci sulle strade, tutto è ben organizzato, la polizia non è corrotta e quindi l’organizzazione del Paese sicuramente ha aiutato Paul Kagame nella ricostruzione dopo il terribile genocidio del 1994.

D. – Quindi, Kagame gode di una certo favore tra la gente …

R. – Sì, gode di un certo favore. Avendo lui raggiunto dei risultati economici un po’ per tutta la gente, gode di buoni favori, anche se l’élite Hutu è piuttosto seccata dei comportamenti che sono appunto filo-Tutsi.

D. – Una vittoria del “sì” autorizzerebbe Kagame a candidarsi per un terzo settennato, e poi per altri due mandati da cinque anni: perché, cosa prevede questo referendum?

R. – Non è solamente un terzo mandato: prevede anche una modifica della Costituzione, non solo sul mandato ma anche sul modo di candidarsi, sulla possibilità di candidarsi, la riduzione da sette a cinque anni dei mandati presidenziali … E’ una cosa anche abbastanza complicata, quindi possiamo immaginare i risultati di un simile referendum sulla popolazione che, invece, sicuramente non è a livello di capire esattamente quali siano tutti i meccanismi di questo referendum, e che cosa comporta alla fine. Anche per questo io credo che comunque Paul Kagame vincerà e continuerà a restare al potere.

D. – Di fatto, quindi, Kagame è il presidente, è l’uomo forte del Rwanda dalla fine del genocidio. Che Paese è, dopo oltre vent’anni da quella pagina drammatica?

R. – E’ un Paese in grande sviluppo: le strade sono state rifatte, il Paese lo stavano cablando … voglio dire, sicuramente avanzato. Appunto è – lasciatemi passare il paragone – un po’ tedesco, come ho detto prima; fatto sta che lo sviluppo c’è ed è per questo che con lo sviluppo economico c’è stato anche un aumento del benessere della popolazione; la povertà è diminuita. Quindi, è uno dei Paesi emergenti che per questo trova anche un certo “rispetto” tra i Paesi Occidentali, nonostante le critiche che vengono rivolte perché sicuramente non è un Paese democraticissimo.

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Migrantes e Centro Astalli: accompagniamo cammino dei migranti

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Chi diventa rifugiato oggi ha le probabilità di tornare a casa più basse degli ultimi 30 anni. Lo dichiara l’Alto commissariato Onu per i rifugiati in occasione della Giornata internazionale del migrante, sottolineando che in tutto il mondo sono in aumento le migrazioni forzate. Un grazie a chi contrasta il traffico di migranti arriva dal presidente della Repubblica italiana: nel giorno in cui si contano ancora vittime dei naufragi, Sergio Mattarella chiede che il Mediterraneo torni un mare di pace. Il servizio di Francesca Sabatinelli

“Tanti bambini riescono ad arrivare e tanti no”. Le parole del Papa, ieri, hanno avuto ulteriore conferma con la morte nell’Egeo di altri due bimbi, iracheni, vittime del naufragio di un’imbarcazione diretta dalla Turchia sull’isola greca di Kos, morti loro come gli adulti che cercavano di portarli in salvo. Celebrare la Giornata internazionale del migrante dovrebbe ricordare a tutti l’enorme potenziale umano che queste persone rivestono per le società più ricche e sviluppate, affette da un cronico e inesorabile calo demografico. Eppure, anche quest’anno si procede al conteggio delle vittime e di chi fugge da guerre, persecuzioni e calamità naturali, così come alla registrazione delle polemiche politiche tra i vari partner europei, più preoccupati della salvaguardia dei loro confini che della sorte di migliaia e migliaia di “innocenti”. “Con i bimbi morti nel Mediterraneo muore il nostro futuro”, ha avvertito mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei:

“La centralità della persona migrante è l’aspetto fondamentale da ricordare in questa Giornata, che chiede certamente un rispetto del cammino di queste persone, un accompagnamento nel cammino di queste persone perché, soprattutto i più deboli, i più fragili, come i 700 e più bambini che sono morti nel Mediterraneo, possano raggiungere un altro Paese in sicurezza fuggendo da Paesi che invece sono in guerra, che vivono un disastro ambientale o una persecuzione religiosa. Quindi, è una Giornata di responsabilità nei confronti dei migranti che, tra l’altro, sono una risorsa importante per il nostro futuro e per quello dell’Europa, che avrà bisogno di almeno 20 milioni di lavoratori nei prossimi anni. Il volto di questi giovani, la loro storia, possono essere il volto e la storia del futuro dell’Europa”.

Il 2015 è stato l’anno record, ci ricorda Medici senza frontiere, perché è dalla Seconda Guerra mondiale che non si registrava un numero così alto di sfollati, richiedenti asilo e rifugiati: 60 milioni. A breve, stime Oim, si raggiungerà il milione di migranti arrivati via terra e via mare in Europa e “non saranno certo né il freddo né le cattive condizioni del mare a bloccare il flusso, proveniente soprattutto dalla Siria”. Le richieste di asilo a metà del 2015 erano già il 78% in più dello stesso periodo del 2014, ma  l’anno che sta per chiudersi, prevede Msf, “sarà purtroppo ricordato soprattutto per l’incapacità dei governi di rispondere in modo adeguato a questa emergenza umanitaria che non può essere affrontata come un problema di sicurezza”. Ancora mons. Perego:

“Purtroppo, l’Europa pensa di ritrovare la propria sicurezza soprattutto alzando i muri e non valorizzando invece le sue frontiere, come una strada in sicurezza in cui camminano i migranti per raggiungere i vari Paesi europei, per trovare nuove situazioni di vita, protezione e magari per incontrare i propri familiari o le proprie comunità. Forse, dovrebbe essere questo il primo aspetto su cui l’Europa dovrebbe, a partire dalla sua Costituzione e dalla democrazia che la anima, ritrovare la propria unità, perché tutte le volte che abbiamo fatto crescere ed innalzare i muri, subito dopo li abbiamo distrutti non risolvendo niente. Forse, oggi è importante che ci siano invece strade, canali umanitari che possano far viaggiare in sicurezza le persone non vittime di tratta e possano essere così salvaguardate le vite e le storie di tante persone che, ripeto, sono il futuro dell’Europa. Gli "hotspots" di cui si parla – che dovrebbero essere centri collocati alla frontiera, dove si fa l’identificazione ma si rischia di fare anche il respingimento delle persone – rischiano di essere dei Cie in nuova versione, cioè carceri a cielo aperto e non luoghi di tutela di un diritto fondamentale che è quello alla protezione internazionale”.

E’ l’Alto Commissario per i Rifugiati Antonio Guterres a ricordare che “le migrazioni forzate hanno una grande influenza sui nostri tempi” e che non c’è mai stato così tanto bisogno di tolleranza, compassione e solidarietà con le persone che hanno perso tutto". Ma il dibattito politico non prevede compassione verso queste persone, ma soltanto polemiche sulla raccolta delle loro impronte per il riconoscimento, sul corpo di guardie di frontiera dell’Ue e sulla necessità di accelerare hotspots, ricollocamenti e rimpatri. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati:

“Purtroppo, l’impressione è che non si veda molto questa comprensione, questa empatia, soprattutto con queste persone. Siamo più preoccupati di difendere le nostre frontiere, di difendere i nostri confini, piuttosto che di difendere queste persone che scappano da situazioni tragiche e che hanno perso tutto. Tutti sono d’accordo sul fatto che sia importante identificare delle persone, ma molto più importante è accompagnare i drammi che queste persone hanno vissuto. E quindi bisognerebbe avere un programma complessivo su queste persone, non semplicemente l’identificazione e poi abbandonarle a loro stesse. Infatti, l’aspetto del ricollocamento è ancora tutto in alto mare perché poi gli Stati dell’Europa non riescono a trovare la quadra, l’accordo su come fare, su come ridistribuirli, anche se poi sulla carta questi accordi erano stati trovati. Io spero che il Giubileo della Misericordia, come dice spesso il Papa, faccia convertire la misericordia di Dio per noi, faccia convertire il nostro cuore e si diventi tutti più accoglienti e aperti a quella umanità sofferente che continuamente bussa alle nostre porte”.

Un appello a firmare e ratificare la Convenzione internazionale sulla tutela dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie è arrivato dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha ricordato come a oggi lo abbia fatto solamente un quarto degli Stati membri delle Nazioni Unite. Il 2015 “verrà ricordato come un anno di sofferenza umana e di tragedie dei migranti”, scrive Ban, che chiede “di accrescere i canali sicuri per i migranti regolari, inclusi coloro che viaggiano per ricongiungersi con le loro famiglie, per mobilità di lavoro a qualsiasi livello, per opportunità di reinsediamento e di istruzione di bambini e adulti”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Giordania. Chiese cristiane celebrano il 40.mo Natale insieme

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Il 25 dicembre tutte le Chiese e le comunità cristiane della Giordania celebreranno il quarantesimo Natale insieme. Era il 1975 quando i capi delle Chiese cristiane hanno concordato insieme un meccanismo che ha consentito a tutti i battezzati del Regno Hascemita di festeggiare la solennità del Natale il 25 dicembre seguendo il calendario gregoriano e la Pasqua nel giorno indicato dal calendario giuliano.

La Giordania unico Paese in cui Natale e Pasqua sono celebrati insieme da tutti i cristiani
La Giordania, ricorda l’agenzia Fides, è a oggi l’unico Paese al mondo in cui le due principali solennità cristiane vengono celebrate insieme da tutti i cristiani. Il Natale è festa nazionale dal 1999, anno in cui è asceso al trono Re Abdullah II. Sull’opportunità di unificare le date delle solennità liturgiche, attualmente celebrate in giorni diversi dalle varie Chiese e comunità di battezzati, si ridiscute da quando, nel maggio 2014, il patriarca copto ortodosso, Tawadros II, ha inviato a Papa Francesco una lettera a un anno dal loro primo incontro in Vaticano,nella quale era contenuta anche la sollecitazione a unificare la data di celebrazione della Pasqua. (T.C.)

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Congo. I vescovi: aiutare la Caritas nell'anno del Giubileo

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Un messaggio ai fedeli per spiegare il senso del Giubileo Straordinario della Misericordia, le celebrazioni che lo caratterizzeranno, le indicazioni per ricevere il dono dell’indulgenza plenaria. Lo hanno scritto i vescovi del Congo che, oltre a ricordare i tratti salienti della bolla di indizione del Giubileo di Papa Francesco spiegano in che modo il cristiano deve essere testimone di misericordia.

Le comunità cristiane siano oasi di misericordia
“Le nostre parrocchie, le nostre comunità cristiane ecclesiali di base, i nostri Movimenti e gruppi ecclesiali devono diventare ‘Oasi di misericordia” – aggiungono i presuli – superando l’indifferenza, riscoprendo e praticando le sette opere di misericordia corporali (...) e le 7 opere di misericordia spirituali”. Più concretamente i vescovi suggeriscono di impegnarsi con la Caritas, da considerare come “strumento privilegiato di misericordia verso gli indigenti, i poveri (vedove, orfani, stranieri)”.

Vivere la misericordia per far fronte ai mali della società congolese
Gettando lo sguardo sulla società congolese, poi, i presuli sottolineano quanta povertà vi si riscontri – da quella materiale a quella morale, da quella spirituale a quella intellettuale – oltre alla destrutturazione della famiglia, alle malattie, agli anti-valori in gran parte provocati dalla mancanza d’amore, di attenzione e di misericordia. “Per questo – rimarcano i vescovi – l’iniziativa di Papa Francesco (…) è benvenuta, perché accanto ai nostri istinti di aggressività e violenza possiamo scoprire nella persona di Gesù Cristo l’incarnazione stessa del Volto vivente della Misericordia del Padre (…) E’ esattamente la misericordia che è al cuore della rivelazione che culmina in Gesù, Volto del Padre e del suo amore”.

Riscoprire la misericordia anche nel creato attraverso la "Laudato si’"
Infine, i presuli notano che il Giubileo della Misericordia offre anche l’opportunità di riscoprire i contenuti dell’Enciclica “Laudato si’” per potersi riconciliare con la creazione, con la terra, con se stessi “implorando la misericordia di Dio che esige da noi, secondo l’espressione di Papa Giovanni Paolo II, ‘una conversione ecologica globale’”. (T.C.)

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Argentina. Vescovi: politiche pubbliche efficaci e lotta alla povertà

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Un dialogo aperto e franco sulle questione prioritarie del Paese, quello di ieri, il primo, tra i vescovi e il nuovo presidente della Repubblica, Mauricio Macri. Ricevuti nella Casa del Governo, i membri della Commissione esecutiva della Conferenza episcopale argentina, dopo i saluti di rito, hanno consegnato al capo di Stato alcuni documenti che esprimono le preoccupazioni della Chiesa in questi ultimi anni: “Verso un Bicentenario in Giustizia e solidarietà” (2009), “Il dramma della droga e il narcotraffico” (2013) e “No al narcotraffico, si alla vita piena” (2015).

Uno Stato dinamico per la crescita e contro l’esclusione
Prendendo spunto dagli argomenti che la Chiesa argentina ha voluto approfondire per la celebrazione del Bicentenario dell’Indipendenza (2010-2016), i vescovi hanno parlato dell’urgenza di “uno Stato dinamico, trasparente, efficace ed efficiente” e della necessità di un accordo sulle politiche pubbliche indirizzate a un miglioramento delle condizioni di vita e di crescita del Paese e, in particolare, all’eliminazione della povertà e dell’esclusione. In tale contesto, i presuli incoraggiano “il passaggio dalla condizione di abitanti a quella di cittadini” attraverso il “rinnovo dello stile di leadership nei diversi ambiti della società”. I vescovi hanno poi parlato della lotta contro il narcotraffico, un tema che sta molto a cuore alla Chiesa argentina negli ultimi anni, insieme al grande problema del gioco di azzardo. Anche l’approfondimento dei rapporti di integrazione con i diversi Paesi dell’America Latina e del mondo è stato al centro dell’incontro con il presidente Macri.

Auguri natalizi e una preghiera per la Patria
Al termine della visita, durata circa 25 minuti, i vescovi hanno donato al presidente un trittico con l’immagine del Signore del Miracolo di Salta, la Preghiera per la patria e la Preghiera Semplice di San Francesco, e per la sua famiglia un’immagine della Sacra Famiglia. Inoltre, al presidente è stato presentato il breve Messaggio di Natale pubblicato mercoledì scorso, al termine dell’assemblea del Comitato permanente della Conferenza Episcopale. All’incontro hanno partecipato i vescovi della Commissione esecutiva, il presidente della Conferenza episcopale, mons, Josè Maria Arancedo, arcivescovo di Santa Fe, il primo vicepresidente, il card. Mario Poli, arcivescovo di Buenos Aires, il secondo vicepresidente, mons. Mario Cargnello arcivescovo di Salta, e il segretario generale mons. Carlos Malfa, vescovo di Chascomùs. Insieme con il presidente Macri erano presenti il capo del Gabinetto ministeriale, Marcos Peña e il segretario e sottosegretario del Culto, Santiago de Estrada e Alfredo Abriani. (A cura di Alina Tufani)

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Myanmar. Card. Bo: convivenza fra etnie e religioni

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Mostrare amore e compassione per il prossimo e promuovere la convivenza pacifica tra religioni ed etnie diverse: queste le linee-guida dettate dal card. Charles Bo, arcivescovo di Yangoon in Myanmar, nel corso della Messa presieduta ieri, in occasione del suo 25.mo anniversario di ordinazione episcopale. La celebrazione si è tenuta nella Chiesa di San Michele, alla presenza di tredici vescovi e numerosi sacerdoti provenienti da sedici diocesi del Paese.

Armonia interreligiosa tra cattolici e buddisti, tratto distintivo del Paese
Ricordando che il tratto distintivo del Myanmar è l’armonia interreligiosa tra cattolici e buddisti, il porporato ha messo in guardia da atteggiamenti che mirino all’ottenimento, nel Paese, di “una sola razza, una sola religione ed una sola lingua”. Al contempo, il card. Bo ha sottolineato che la libertà di espressione non deve preludere alla libertà di attaccare gli altri.

Sostenere dialogo tra popoli e religioni
Deciso sostenitore del dialogo fra i popoli e le religioni, concretamente impegnato nella promozione della pace, della riconciliazione e della giustizia, Charles Maung Bo è il primo cardinale del Myanmar. Nato il 29 ottobre 1948, ha compiuto la sua formazione presso la Famiglia Salesiana. Ordinato sacerdote nel 1976, è divenuto vescovo di Lashio il 16 dicembre 1990. Il 15 maggio 2003 è stato promosso arcivescovo di Yangon. Presidente della Conferenza Episcopale del Myanmar dal 2000 al 2006, è stato creato cardinale da Papa Francesco nel Concistoro del 14 febbraio 2015. (I.P.)

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Concerto Unicef per i bambini delle aree difficili del mondo

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Ci sarà il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, questa sera, alle 21, all’Auditorium Conciliazione di Roma, al concerto della Pace per l’Unicef a sostegno dei bambini in pericolo nelle aree difficili del mondo. Il ricavato della serata di solidarietà sarà devoluto alla campagna “Bambini in pericolo”, che in particolare vuole offrire aiuti ai bambini siriani.

Mozart, Beethoven e solidarietà
Il programma musicale della serata, ideata e organizzata dall’Associazione culturale Arturo Toscanini di Savigliano (CN), assieme all’Anfiteatro dell’Anima, si aprirà con il Concerto in La Maggiore di Mozart, il più aperto ed estroverso, tra i cinque concerti del compositore, con la sua brillante marcia nel finale. Seguirà la Romanza in Fa Maggiore di Beethoven, che richiama uno stato d’animo sereno e lirico, a sottolineare quanto il musicista amasse l’umanità e la fratellanza universale. Il programma della serata terminerà con il Concerto n. 4 di Paganini, emblema del violino che si sposa perfettamente con la grande lirica italiana. (T.C.)

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Chiude l’agenzia Misna, sconcerto e amarezza dei giornalisti

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Sconcerto e amarezza: sono i sentimenti espressi dall’assemblea dei giornalisti della Misna per l’annuncio della chiusura della loro agenzia di stampa, prevista il 31 dicembre prossimo, da parte dell’editore ovvero le direzioni generali degli Istituti Missionari. La testata giornalistica, fondata nel dicembre del 1997 dal padre comboniano Giulio Albanese, racconta da 18 anni quelle “periferie” del mondo, non solo geografiche, tanto care a Papa Francesco. “La redazione, con i collaboratori e i traduttori – si legge in un comunicato, pubblicato sul sito web di Misna - è sconcertata per un grave errore, compiuto in un momento più che mai delicato per l’informazione da e con i Sud del mondo”. Il sindacato dei giornalisti chiede un sussulto di orgoglio ai padri missionari e l'intervento della Conferenza Episcopale Italiana per far sì che non si spenga quella che per molti rappresenta la “voce degli ultimi”. (A.G.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 352

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.