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Sommario del 16/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Il Papa: tornare a fare esperienza del perdono di Dio nella Confessione

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Nella catechesi all’udienza generale di oggi Papa Francesco è tornato a parlare dell’Anno Santo appena cominciato, proponendo all’attenzione dei fedeli, raccolti in Piazza San Pietro, due segni centrali del Giubileo e cioè la Porta Santa e la Confessione. Francesco ha sottolineato quanto è difficile a volte perdonare ma, ha detto, se ci apriamo alla misericordia di Dio a nostra volta diventiamo capaci di perdono. Adriana Masotti

“Il Giubileo è in tutto il mondo, non soltanto a Roma”, anche se Roma è il segno visibile della comunione universale che deve diventare sempre più intensa "perché la Chiesa sia nel mondo segno dell’amore e della misericordia del Padre". Papa Francesco ricorda che in tutte le diocesi, nei santuari e nelle cattedrali, si è aperta una Porta Santa a cominciare da quella spalancata da lui stesso a Bangui, nel cuore dell’Africa:

Ho desiderato che questo segno della Porta Santa fosse presente in ogni Chiesa particolare, perché il Giubileo della Misericordia possa diventare un’esperienza condivisa da ogni persona".

La misericordia e il perdono non devono rimanere però belle parole, dice Francesco, ma realizzarsi nella vita quotidiana:

Amare e perdonare come Dio ama e perdona. Questo è un programma di vita che non può conoscere interruzioni o eccezioni, ma ci spinge ad andare sempre oltre senza mai stancarci, con la certezza di essere sostenuti dalla presenza paterna di Dio”.

Le diverse Porte Sante sono vere Porte della Misericordia, afferma, e la Porta indica Gesù stesso. Attraversare la Porta Santa è il segno della nostra fiducia nel Signore Gesù che non è venuto per giudicare, ma per salvare:

“State attenti, eh?, che non ci sia qualcuno un po’ svelto o troppo furbo che vi dica che si deve pagare: no! La salvezza non si paga. La salvezza non si compra. La Porta è Gesù e Gesù è gratis! E la Porta, Lui stesso, abbiamo sentito, che parla di quelli che fanno entrare non come si deve, e semplicemente dice che sono ladri e briganti. Ancora, state attenti: la salvezza è gratis”.

Quando attraversiamo la Porta Santa, continua Francesco, è bene ricordare che dobbiamo tenere spalancata anche la porta del nostro cuore, per non escludere nessuno. Neppure quello o quella che ci dà fastidio. E davanti alla Porta Santa dobbiamo chiedere: “Signore, aiutami a spalancare la porta del mio cuore!”.

Un segno importante del Giubileo è anche la Confessione, ricorda il Papa. Accostarsi a questo Sacramento “è trovare il Padre che perdona" e comprende tutto. Tanto da fare festa in Cielo quando ci riconosciamo peccatori. Perdonare non è però facile, riconosce: il vicino, il compagno di lavoro, la vicina, la suocera, la cognata … Non riesco a perdonare. Con le nostre sole forze non ce la possiamo fare, se però, conclude Francesco, ci apriamo ad accogliere la misericordia di Dio per noi, a nostra volta diventiamo capaci di perdono:

"E anche tante volte io ho sentito dire: 'Ma a quella persona io non la potevo vedere: la odiavo. Ma un giorno, mi sono avvicinato al Signore e Gli ho chiesto perdono dei miei peccati, e anche ho perdonato quella persona'. Queste sono cose di tutti i giorni. E abbiamo vicino a noi questa possibilità".

Al termine della catechesi Papa Francesco ha salutato i fedeli nelle diverse lingue. Rivolgendosi ai pellegrini sloveni ha detto di voler far giungere, tramite loro, il suo apprezzamento all’intera Chiesa slovena per l’impegno in favore della famiglia, incoraggiando tutti, specialmente quanti hanno responsabilità pubbliche, a sostenere la famiglia, struttura di riferimento del vivere sociale.

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Francesco compie 79 anni. Card. Abril: avanti con le riforme con decisione

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Domani, 17 dicembre, Papa Francesco compie 79 anni. Messaggi augurali gli stanno giungendo già da tutto il mondo. E al termine dell'udienza generale in Piazza San Pietro, i fedeli hanno intonato il canto "Tanti auguri a te", mentre una giornalista messicana gli donava una torta speciale, da parte del popolo del Messico che lo aspetta il prossimo febbraio. Ascoltiamo gli auguri del cardinale Santos Abril y Castelló, arciprete della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, dove il Papa è ormai quasi di casa. L'intervista è di Sergio Centofanti: 

R. – E’ una grande gioia, quella di poter esprimere al Santo Padre il più caldo augurio di buon compleanno e aggiungiamo anche la preghiera fervente al Signore perché lo aiuti in questo suo delicatissimo e importantissimo ruolo per la Chiesa. Vediamo che lui sta svolgendo con grandissima dedizione, totale, assoluta, questo suo ruolo e perciò lo accompagniamo con la preghiera, con l’affetto e con l’augurio che il Signore e che la Madonna, alla quale è talmente devoto, possano aiutarlo a continuare a svolgere questo compito nella maniera in cui l’ha svolto finora.

D. – Il Papa è venuto tante volte ormai nella Basilica di Santa Maria Maggiore, per venerare la Madonna …

R. – Sì, è molto, molto devoto alla Madonna “Salus Populi Romani”, non soltanto adesso, come Papa. Ricordo che quando ero nunzio in Argentina, spesso, dopo le sue visite a Roma che faceva di tanto in tanto, sempre mi diceva che veniva a fare una visitina per salutare la Madonna e per affidarle anche le sue intenzioni per i bisogni della Chiesa e per poter svolgere la sua missione nella maniera migliore. Dopo, già da Papa, è venuto 28 volte: questo è molto indicativo del suo amore, della sua devozione. Lo fa sempre quando sta per intraprendere un viaggio all’estero e poi anche quando ritorna, viene sempre per salutare: come lui mi dice tante volte, “non potevo fare a meno di venire a salutare la Signora”.

D. – Come lei ha detto, il Papa sta svolgendo un’azione molto forte, molto particolare per la Chiesa. Quali punti principali vede di questa sua azione, di questo suo ministero?

R. – Evidentemente, è un ministero molto, molto ricco che ha tanti, tanti diversi aspetti da poter considerare. Io credo che sia molto importante, prima di tutto, il suo ruolo di continuatore della missione di Pietro nella Chiesa e come Vescovo di Roma: lui parla spesso del suo ruolo come Vescovo della Chiesa di Roma. Come Papa, guida della Chiesa, credo che stia dando alla Chiesa un esempio di una dedizione assoluta, completa, straordinaria, di un amore a questa Chiesa, in maniera tale che ciò lo porta a non risparmiare né forze né energie né rischi – perché sa che a volte si espone a dei rischi – e lo sta facendo proprio con una dedizione assoluta. E credo che quello che sta impressionando molto il mondo sia la maniera come lui la sa svolgere questa sua missione: con una grande delicatezza, con una grande fiducia nel Signore e allo stesso tempo anche con quella semplicità con la quale si sa avvicinare a tutti. Predica molto la misericordia: ma credo che stia dimostrando con il suo agire che questa misericordia sia una norma, per lui, verso tutti: verso coloro che gli sono vicini e verso la Chiesa universale.

D. – Ecco, lui dice proprio: “E’ il tempo della misericordia” …

R. – Sì. E’ una caratteristica che lui ha voluto imprimere al suo Pontificato ed è perciò giusto che abbia anche voluto pensare a questo Anno Santo della Misericordia che, come ha detto in più occasioni, vuole che veramente si estenda a tutta la Chiesa, in tutte le diverse parti del mondo: non è soltanto a Roma, è un Anno Santo di Misericordia per tutto il mondo. E perciò ha voluto compiere questa maniera particolare – credo unica, finora – di poter celebrare l’Anno Santo con l’apertura della Porta Santa non a Roma, ma anche fuori, in un Paese africano che sta soffrendo molto. Ha voluto aprirla lì per dire che l’Anno della Misericordia non è soltanto per una parte del mondo, ma che deve arrivare a tutti, assolutamente a tutti, in tutti i diversi continenti, perché di misericordia credo che noi tutti esseri umani abbiamo tanto, tanto bisogno.

D. – Un aspetto molto importante, anche, di questo Pontificato, dell’azione di Papa Francesco, è la riforma della Curia. Come viene vissuto, questo?

R. – Credo che ci siano alcuni che magari non hanno capito tutto il significato, il desiderio del Santo Padre di poter riformare in tutto quello che è possibile e ciò – come ha detto lui stesso diverse volte – non è soltanto una sua iniziativa, ma lui nei momenti preparatori della scelta del nuovo Papa ha ascoltato le voci che in tanti cardinali gli avevano presentato, indicando la convenienza di poter riformare diverse cose e punti, modi di agire eccetera, nella Curia; e lui ha raccolto questi suggerimenti e ha voluto plasmarli nella vita reale, nella vita di ogni giorno, nella vita della Chiesa. E’ naturale che si tratti di qualcosa che non si può fare in breve tempo, che è una cosa che richiederà molto più tempo e lui la sta portando avanti a poco a poco, ma in maniera decisa e chiara.

D. – Qual è il suo augurio per il Pontificato, per l’azione di Papa Francesco?

R. – Il primo è augurargli tutto l’aiuto del Signore e l’aiuto della Madonna, perché possa compiere tutto quello che vuol fare per riformare la Chiesa, perché questa possa a sua volta essere di aiuto anche a tutta l’umanità, e che con questo aiuto continui con serenità, con tranquillità e che possa sentirsi contento e gioioso. Più volte gli ho sentito dire anche: io vado avanti sereno e deciso, a continuare con queste riforme e la guida di questa Chiesa, dandosi totalmente per il bene degli altri ed essendo un buon esempio per noi che seguiamo tutto quello che fa e che siamo anche i destinatari di queste sue preoccupazioni, di tutte queste sue cure, del suo desiderio di migliorare questa Chiesa perché la Chiesa possa anche migliorare il nostro mondo di oggi.

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Nomine

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Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di São Carlos (Brasile), presentata da S.E. Mons. Paulo Sérgio Machado, in conformità al can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo Ausiliare di Dallas (U.S.A.) Mons. J. Gregory Kelly, del clero della medesima diocesi, finora Vicario per il Clero, assegnandogli la sede titolare vescovile di Jamestown. Mons. J. Gregory Kelly è nato il 15 febbraio 1956 a LeMars, Iowa, nella diocesi di Sioux City. Ha frequentato la “Sacred Heart Elementary School” (1962-1970) e la “Saint Mary High School” (1970-1974) a Colorado Springs e la “Colorado State University” (1974-1976) a Fort Collins, Colorado. Entrato nel Seminario “Holy Trinity”, ha ottenuto il Baccalaureato in Filosofia (1978) e il “Master of Divinity” (1982) presso l’Università di Dallas a Irving, Texas. È stato ordinato sacerdote per la diocesi di Dallas il 15 maggio 1982. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della “All Saints Parish” a Dallas (1982-1986); Cappellano presso la “University of Dallas” (1986-1996); Parroco della “Saint Gabriel Parish” a McKinney (1996-2008). È stato anche Direttore delle vocazioni sacerdotali, Vicario Foraneo, Rettore ad interim presso il Seminario “Holy Trinity”, e Membro del Collegio dei Consultori, del Consiglio Presbiterale e del “Board of Directors” dell’Università di Dallas. Dal 2008 è Vicario per il Clero. Nel 2013 è stato nominato Cappellano di Sua Santità. Oltre all’inglese, conosce lo spagnolo.

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Santa Sede a Moneyval: riciclaggio, sì a investigazioni più incisive

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Il rapporto del Comitato Moneyval dell’8 dicembre scorso conferma che negli ultimi due anni la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano hanno compiuto notevoli progressi nella costruzione di un assetto istituzionale e normativo per la prevenzione ed il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo che è adeguato e funzionante (cf., in particolare, p. 18-19: i tribunali vaticani hanno congelato 11,2 milioni di euro come risultato delle indagini in corso). Lo afferma una nota della Sala Stampa della Santa Sede, in risposta a Moneyval, organismo del Consiglio d'Europa, che ha pubblicato il secondo rapporto sui progressi fatti nell'adempiere alle raccomandazioni fatte nel 2012.

Per quanto riguarda l’Ufficio del Promotore di Giustizia le indagini sono complesse dal punto di vista tecnico e richiedono un’accurata analisi. Esse hanno un forte aspetto internazionale o transnazionale, coinvolgendo reati commessi fuori del territorio vaticano e persone che si trovano fuori del Vaticano (cf. p. 18).

­La Santa Sede ha stabilito una rete internazionale che le consente di collaborare attivamente con altri Stati in questi casi, sia a livello dell’AIF che a livello dei tribunali. Le informazioni e le statistiche contenute nel Rapporto lo dimostrano bene. Il Tribunale vaticano ha chiesto e ricevuto l’assistenza giudiziale reciproca (rogatorie) di altri Stati. Il Rapporto conferma che l’assistenza giudiziaria reciproca è utilizzata ampiamente (p. 79).

La Santa Sede accoglie l’invito del Comitato Moneyval a rafforzare ancora di più la capacità dei propri Tribunali e della Gendarmeria di condurre investigazioni più incisive nell’ambito penale e per punire i reati di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo commessi nell’ambito della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano.

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Giubileo, Vatimecum.com un portale web per tutelare i pellegrini

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Sotto la supervisione del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, è stato realizzato 'vatimecum.com', un portale web, in sette lingue, che garantisce ai pellegrini una permanenza sicura a Roma, tramite l'erogazione di servizi di qualità a prezzi controllati, contro truffe e speculazioni. Fabio Colagrande ne ha parlato con Andrea Collalti, amministratore delegato della società Itineris srl che gestisce il portale: 

R.- Il portale nasce dall’idea di garantire ai pellegrini, che stanno venendo in questi giorni a Roma e che verranno molto più numerosi nei prossimi giorni, dei prezzi garantiti sui servizi essenziali: quindi ospitalità e ristorazione. Tramite il portale i pellegrini potranno acquistare questi servizi a prezzi che sono assolutamente garantiti e controllati anche dal Pontificio Consiglio.

D. – Quindi un portale per tutelare i pellegrini che vengono a Roma per il Giubileo?

R. – Assolutamente sì! Noi abbiamo intrapreso questa iniziativa proprio al fine di  andare incontro ai pellegrini che, nelle scorse edizioni del Giubileo, avevano probabilmente avuto delle brutte esperienze, esperienze che ci erano state trasmesse. Proprio sulla base di questi fatti ci siamo messi in testa di costruire un qualcosa che potesse offrire per la prima volta dei servizi a prezzi garantiti e controllati.

D. - Quindi - potremmo dire - un portale che ha una funzione commerciale, ma che rispetta dei canoni di eticità…

R. – Sì! Chiaramente il portale è un'iniziativa che nasce con degli scopi commerciali, ma - nell’ambito di questi scopi commerciali - rispetta tutti i canoni etici e anche soprattutto cristiani, perché abbiamo la volontà di fare in modo che il pellegrino abbia la possibilità di vivere del Giubileo con la massima serenità possibile e quindi non avendo il pensiero di dover preoccuparsi se una offerta è una cosa conveniente o non conveniente: il pellegrino sa che, attraverso il portale, può acquistare tutti questi servizi, senza dover pensare troppo alla convenienza, perché i servizi sono tutti allo stesso prezzo e garantiti in tutta Roma presso gli esercizi che saranno convenzionati.

D. – Andando sul Portale Vatimecum noi troviamo subito – è di facile consultazione – quattro voci: ristorazione, alloggio, assicurazioni e la parte dedicata alla cultura. Sono questi i quattro ambiti in cui ci sono le offerte?

R. – Questi sono gli ambiti principali dell’offerta del Portale Vatimecum. Chiaramente ci saranno anche altre offerte, stiamo infatti convenzionando anche delle altre attività che possono essere interessanti per il pellegrino, ma queste sono attualmente le offerte principali, perché sono le offerte basiche: il pellegrino che viene a Roma ha bisogno chiaramente di ospitalità e quindi noi offriremo sul nostro portale – a brevissimo – dei servizi di prenotazione alberghiera che saranno in assoluto i più bassi mediamente presenti sul web.

D. – E per quanto riguarda, per esempio, la ristorazione, noi possiamo sul Portale Vatimecum acquistare dei ticket che ci permettono di prenotare dei pasti con un rapporto qualità-prezzo che è certificato?

R. – Grazie al nostro partner Ticket Restaurant, che si è generosamente prestato a questa iniziativa, i pellegrini potranno comprare dei ticket di valore facciale di 5 euro, attraverso i quali acquistare dei menù negli esercizi convenzionati, che saranno più di 100 in tutta Roma e che chiaramente saranno concentrati nelle zone intorno al Vaticano, alle Basiliche e al centro storico: direttamente sul portale, con prezzi assolutamente convenienti.

D. – Quindi una delle funzioni di questo Portale è, appunto, combattere i cosiddetti prezzi gonfiati…

R. – Sì, questo ci è stato chiesto espressamente da mons. Fisichella, proprio perché la preoccupazione del Pontificio Consiglio era quella di fare in modo che il pellegrino potesse vivere questa esperienza giubilare nel modo migliore possibile.

D. – Il portale Vatimecum, che trovate all’indirizzo www.vatimecum.com è l’unico autorizzato dal Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, che è il dicastero vaticano che organizza il Giubileo…

R. – Ed effettivamente – se si va a controllare – è l’unico portale su Internet che può utilizzare il logo del Giubileo. Questo fa la differenza…

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Segno del Giubileo: all'udienza generale il Papa parla della Confessione.

Ricucire ciò che è cresciuto separato e distante: Michele Dau su nascita ed esperienza della Caritas.

Sergio Massironi sul Natale di un pastore smarrito: l'incertezza della fede e la misteriosa presenza di Dio nel romanzo "Theo" di Paul Torday.

Quel pulcino triste applaudito da tutto il pollaio: Silvia Gusmano sulle lettere di Mariele Ventre, grande maestra dello Zecchino d'Oro, pubblicate a vent'anni dalla morte.

Un articolo di Silvia Guidi dal titolo "New York e il sogno di Qumran": uno studio architettonico comparato tra un antico testo aramaico sulla Nuova Gerusalemme e la painta della Grande Mela.

Sulle rive del Bosforo per l'unità: Hubertus Blaumeiser sul convegno ecumenico dei Focolari.

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Oggi in Primo Piano



Nasce l'alleanza militare islamica contro il terrorismo

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L'Arabia Saudita ha chiesto all'Afghanistan di aderire alla nuova coalizione musulmana contro il terrorismo annunciata ieri. Ne fanno già parte 34 Paesi tra cui Qatar, Egitto, Pakistan, Turchia, Marocco, Giordania, Anp, Ciad, Somalia e Nigeria. L’alleanza guidata da Riad non si limiterà a contrastare il sedicente Stato Islamico, ma anche “ogni gruppo terroristico”.  Paolo Ondarza ne ha parlato con Valentina Colombo, ricercatrice di Storia dei Paesi islamici all’Università Europea di Roma: 

R. – Questo è, innanzitutto, un messaggio molto chiaro. Si tratta di un’alleanza islamica che vuole risolvere il problema terrorismo all’interno del mondo islamico stesso. Sarebbe veramente opportuno e sarebbe decisamente onesto che questa coalizione fornisse la definizione di terrorismo.

D. – Perché qual'è la definizione di terrorismo per Paesi come l’Arabia Saudita?

R. – Se noi andiamo  a vedere la definizione di terrorismo della nuova legge antiterrorismo saudita, noi all’interno appunto dei terroristi troviamo anche tutte quelle persone che possono operare contro il regime saudita. Per cui ritroviamo i blogger, gli avvocati per i diritti umani, condannati proprio in base ad una legge antiterrorismo: terrorismo è tutto ciò che attacca l’islam. Terrorismo, però, è diverso dalla resistenza  armata, ritenuta invece “lecita e necessaria”. Questa distinzione è una distinzione, a mio parere, decisamente pericolosa.

D. – Pericolosa perché?

R. – Pericolosa, perché questo fa sì che in alcune circostanze si giustifichino per esempio gli attentati suicidi. E alcuni teologi, che operano anche in Europa, ma che operano per esempio in Qatar, che operano in Arabia Saudita, giustificano gli attentati suicidi in Israele. Vogliamo sapere se, per i membri di questa coalizione, Hamas è un’entità terroristica. Per noi lo è!

D. – Tra l’altro, l’Arabia Saudita e non solo, anche altri Paesi che fanno parte di questa coalizione sono sospettati di sostenere i gruppi estremisti sunniti in Siria…

R. – Sappiamo anche che, per esempio, un personaggio come Bin Laden, al Qaeda, è nato in quella terra (Arabia Saudita). E sappiamo anche che se non è stato direttamente appunto lo Stato, il governo saudita a finanziare l’Isis, di fatto ci sono degli sceicchi residenti in Arabia saudita, delle persone abbienti, che hanno finanziato questa entità, senza che il governo però prendesse delle misure necessarie.

D. – Perché si specifica che questa coalizione non si limiterà a combattere Daesh, lo Stato Islamico, ma più in generale  qualunque gruppo terroristico?

R. – Per l’Arabia Saudita Daesh è un pericolo che può avere delle ripercussioni a livello interno, ma ricordiamoci anche che il pericolo più sentito per l’Arabia Saudita oggi è lo Yemen, dove l’Arabia Saudita è in azione con una vera operazione militare, nei confronti delle milizie Huthi, che sono sciite.

D. – Questa coalizione come si pone rispetto alla questione del futuro politico siriano?

R. – Dobbiamo ricordare innanzitutto che noi parliamo ancora di Siria, quando la Siria non esiste più. Io credo che questa coalizione si porrà per una transizione siriana che sia gestita però ancora una volta dal mondo arabo islamico e non dall’Occidente. Quindi credo che loro proporranno, qualsiasi sia la loro posizione, una gestione interna all’islam di quell’area.

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Accordo sulla Libia: sfida difficile, incertezza sulla firma

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E’ tutta in salita la strada per un governo di unità nazionale in Libia. Ieri sera a sorpresa i presidenti dei due parlamenti rivali di Tobruk e Tripoli hanno annunciato che, nonostante i progressi fatti, c’è bisogno di più tempo, dunque oggi non ci sarà alcuna firma. “La comunità internazionale” hanno fatto intendere le parti “non interferisca con la volontà libica”. Tanti i festeggiamenti nella notte a Tripoli. Ma già stamattina è arrivata la smentita del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza: tutto regolare, la firma sarà domani. Si è trattato semplicemente di un equivoco, come è stato detto o ci sono ancora perplessità e il rischio che la firma salti del tutto? Gabriella Ceraso lo ha chiesto ad Arturo Varvelli ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, responsabile area terrorismo: 

R. – Il rischio che tutto salti c’è sempre. Il problema vero, l’equivoco, è nato dal fatto che siamo passati a questo piano B che di fatto prevede non siano i due parlamenti di Tobruk e di Tripoli a ratificare l’accordo raggiunto, ma che siano singoli parlamentari di entrambe le parti. Il tentativo di Kobler,delle Nazioni Unite e dell’Italia in questo momento è di fatto quello di ottenere una maggioranza di firme di parlamentari. Quindi da qui abbiamo visto la fronda che ieri è sorta da parte dei due presidenti che in realtà sono stati bypassati perché naturalmente ognuno è legato alla propria posizione e continua a reiterare la propria posizione di potere.

D.  – Rispetto a quanto stabilito a Roma, il 13 diecembre, proprio nella conferenza sulla Libia, è cambiato qualcosa, è successo qualcosa?

R. – E’ successo che è stata esplicitata l’opposizione da parte di alcuni gruppi interni al Paese. Quindi quella delle Nazioni Unite, di Kobler e dell’Italia e anche degli Stati Uniti, si profila come una sorta di scommessa: la scommessa è quella di creare un accordo e attorno a quell’accordo coagulare i vari pezzi del Paese. Certamente ci sono motivazioni per essere scettici su questo approccio. Se da una parte esso risulta intelligente e opportuno, quanto mai per bypassare i vincoli che venivano imposti da queste due persone o da questi gruppi  che in realtà non rappresentano nessuno, dall’altra parte ancora non abbiamo una visione chiara di chi appoggi questo accordo, di quali attori locali e milizie che sono sul terreno e che detengono realmente il potere, siano un “board” in questo accordo. Penso che quello in cui si confida - e per questo dico che è una scommessa - è che, avendo un governo di unità nazionale protetto e spinto a livello internazionale, molti degli attori locali decidano di salire a bordo, di farne parte, piuttosto che venirne esclusi e poi essere sanzionati dalla comunità internazionale. Tutto questo però, certamente, rimane molto rischioso ed è una sorta di scommessa.

D.- Quindi il ruolo della comunità internazionale è questo, fare un po’ da ente “minaccioso”, da monito per chi non aderisce?

R. – Certamente, per come sono state condotte la trattative nelle ultime settimane, la comunità internazionale ha cambiato passo. Questo è successo per diverse motivazioni, a cominciare da quanto è successo a Parigi, che ha evidenziato quanto la sicurezza di questi Paesi dell’area mediterranea sia legata alla sicurezza europea, poi anche al fallimento di Bernardino León, certamente Bernardino León, ha fallito nelle ultime settimane e si è svelato quanto gli attori internazionali e regionali, gli Emirati, l’Egitto, influiscano e interferiscano in queste vicende. E quindi si è creata una sorta di finestra temporale nella quale l’Italia, con l’appoggio della comunità internazionale e delle Nazioni Unite hanno fatto una forte pressione per arrivare a questo risultato. Vedremo domani e questo risultato si concretizzerà o poi sarà possibile implementarlo realmente.

D. - E soprattutto quanto consenso effettivo avrà…

R. – Questa è un po’ realmente la scommessa! Mi sembra una scommessa un po’ disperata, come è richiesta però dalla situazione della Libia, che mi pare una situazione molto disperata.

 D . –Situazione che si porta con sé un grosso problema non solo politico ma anche socio-economico se pensiamo alla questione dei migranti, e Is che avanza?

R.  – Sì, non possiamo neanche pensare che magicamente un accordo possa risolvere tutte queste questioni, potrebbe essere un primo passo che rimanda alla necessità di ricostruzione di uno Stato.

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Immigrazione, avrà massimi poteri la guardia costiera Ue

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In Europa dibattito sull’immigrazione e sulla possibile sostituzione di Frontex. Al posto dell’agenzia vi sarebbe una guardia costiera per proteggere le frontiere esterne dell’Europa. Questa la proposta della Commissione Europea presentata ieri al Parlamento di Strasburgo e che verrà discussa domani dai capi di Stato europei. Da Strasburgo, iI servizio di Samantha Agrò

Secondo la Commissione, questa nuova agenzia dovrebbe garantire una gestione più efficace dei flussi migratori. Rafforzerebbe la sicurezza interna dell’Unione e salvaguarderebbe il principio della libera circolazione delle persone. Il vice presidente della Commissione Ue,Timmermans, specifica: “La guardia costiera e di frontiera europea riunirà un’Agenzia potenziata, che avrà la possibilità di attingere a una squadra di persone e a un parco di attrezzature di riserva, e le autorità degli Stati membri, che continueranno a occuparsi delle attività quotidiane di gestione delle frontiere”. Ma la proposta solleva già una serie di obiezioni perché contiene un punto controverso. É infatti previsto che la nuova agenzia possa intervenire alle frontiere esterne dei Paesi anche contro la loro volontà. Anche seTimmermans, presentando la proposta ieri al Parlamento europeo ha dichiarato che "si tratta di creare una sorta di rete di sicurezza” e che l’intervento contro la volontà degli Stati è “qualcosa che non succederà spesso, anzi uno scenario piuttosto raro”. Ma Polonia, Grecia e Svezia hanno già avanzato diverse riserve verso questa soluzione, mentre la proposta sembra più gradita da Italia, Germania e Francia. 

Della proposta di una guardia costiera europea e dei cambiamenti rispetto all'agenzia Frontex, Fausta Speranza ha parlato con Francesco Cherubini, docente di organizzazioni internazionali e diritti umani all'Università Luiss: 

R. – Si tratta di una europeizzazione o comunitarizzazione di una fase che è estremamente delicata, che è quella di esecuzione di alcune norme dell’Unione, in particolare quelle sull’ingresso, in modo da togliere questa competenza agli Stati membri che attualmente la esercitano.

D. – Toglierla per omologare.. perché le normative erano molto differenziate…

R. – In realtà, qui c’è un problema che spesso si verifica con le competenze dell’Unione e qui è più evidente. Perché la loro attuazione, la loro esecuzione poi è rimessa agli Stati membri con la possibilità che, appunto, determinati standard non vengano completamente livellati, e quindi che poi ciascuno Stato membro provveda con un certo margine di discrezionalità. Si dovrebbe andare in questa direzione soprattutto nell’ambito di materie come immigrazione e asilo, e mi sembra che la proposta della Commissione vada in questa direzione.

D. – Dunque, nell’intenzione si dovrebbe passare dal poliziotto di Frontex all’esperto di questa nuova Guardia costiera...

R. – Più o meno. Nel senso che, in questo momento, Frontex  ha dei poteri in termini di controllo che sono piuttosto limitati. Direi che complessivamente sarebbe un rafforzamento: mi sembra che si parli addirittura di una nuova agenzia per svolgere queste funzioni; dicevo, un rafforzamento dei poteri di controllo, però dei poteri di controllo che spettano all’Unione, che in questo momento – ripeto – al di là di alcune competenze, non voglio dire “marginali”, secondo Frontex spettano in prima battuta agli Stati membri.

D. – Abbiamo invocato l’Unione Europea perché intervenisse proprio alle frontiere e non lasciasse soli i singoli Stati. Ora, questa è una risposta?

R. – Sì, questa è una risposta; per conto mio, è ancora una risposta insufficiente. Perché? Perché il miglioramento dell’efficacia di queste politiche si raggiunge non soltanto con questo passo che va senz’altro in quella direzione; probabilmente, sarebbe opportuno rimettere la fase esecutiva all’Unione Europea in materia di asilo, e non soltanto di controlli alle frontiere esterne: si tratta di una materia contigua, direi quasi sovrapponibile a quella. E poi, forse, andrebbe rafforzata anche un po’ di più la tipologia di competenza che l’Unione esercita in queste materie perché attualmente questa competenza è di natura concorrente: forse, probabilmente, ma è difficile, perché bisognerebbe mettere mano ai Trattati, si potrebbe pensare a un suo passaggio nell’ambito delle competenze esclusive.

D. – Professore, in tema di diritti umani, che dire?

R. – Ma qui, sia che la fase “esecutiva” venga rimessa agli Stati membri sia che venga rimessa all’Unione Europea, come sembrerebbe prospettare la Commissione, ovviamente il rispetto dei diritti fondamentali è fuori discussione: si tratta di un punto fermo che deriva dal diritto internazionale generale, prima di tutto, oltre che – naturalmente – da alcune norme di diritto dell’Unione Europea. Evidentemente il passaggio da Stati membri a Ue, se mai ci sarà, non determinerà un venir meno di questo punto fermo, perché ovviamente riguarda in modo particolare il divieto di respingimento. In ogni caso, anche l’Unione Europea sarebbe “vincolata” al rispetto del divieto di respingimento.

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Immigrati. S. Egidio ed Evangelici aprono corridoio umanitario

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Per la prima volta in Italia un progetto di corridoi umanitari dal Libano, Etiopia e Marocco. La Comunità di Sant’Egidio insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche presenta a Roma, di fronte alla stampa internazionale, il progetto di un canale per ottenere i visti di entrata in Italia per donne, bambini e disabili per i quali l’asilo è urgente. Un milione di euro i fondi previsti per l’accoglienza e l’integrazione delle prime 1000 persone. Il servizio di Veronica Di Benedetto Montaccini

Ero straniero, mi avete accolto. La Comunità di Sant’Egidio parte da questo principio per porre fine ai viaggi della morte nel Mediterraneo e crea un corridoio umanitario sicuro per le categorie più vulnerabili. 1000 saranno i primi beneficiari del progetto, a cui verrà dato un visto d’ingresso per l’Italia, saranno accompagnati nel viaggio e troveranno accoglienza presso la Comunità. Luca Negri, presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche spiega da dove arrivano i fondi necessari alla realizzazione:

“Le spese sono pagate dalle associazioni che lo hanno promosso. In Italia i soldi provengono in parte dai fondi dell’otto per mille alle Chiese valdesi e metodiste, in parte dalle offerte a livello mondiale anche dei singoli cittadini, con una disponibilità che per noi è molto alta: cioè un milione di euro”.

Per il momento si tratta di un progetto in collaborazione con il Ministero degli Interni e il Ministero degli Esteri ed è solo italiano: i rifugiati infatti una volta diventati beneficiari del progetto, non potranno spostarsi in altri Paesi. Ma, continua Negri, questa iniziativa sarà un esempio per altri Stati europei:

“Questo è un progetto ecumenico, nel senso che lo stiamo facendo in contatto, in collaborazione con le Chiese di tutta Europa. In altri Paesi europei, le Chiese, le organizzazioni anche di volontariato, sapranno sviluppare progetti simili e sapranno coinvolgere i governi e le istituzioni internazionali”.

Intanto, per decisione dell’Unione Europea verranno rafforzati i controlli alle frontiere sul mare. Secondo Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio, queste misure non ostacoleranno il progetto, che al contrario rafforza le procedure di identificazione:

“Non ci sarà nessun problema sulla sicurezza. Diversamente infatti dalle persone che sbarcano dai barconi, con i quali è difficile prendere le impronte sia per la paura di un asilo negato, sia perchè vogliono raggiungere i Paesi del nord Europa, a queste persone invece verranno regolarmente prese le impronte proprio negli uffici, nei nostri uffici in Libano, Etiopia e Marocco prima della partenza e con la volontà dei beneficiari del progetto. Questo progetto è un bel segno all’inizio del Giubileo della Misericordia, perché una delle opere della misericordia è proprio accogliere i rifugiati.”

Da gennaio le prime accoglienze, i numeri sono ancora bassi ma è un segnale per far partire dei viaggi legali e più sicuri per donne e bambini e creare ponti invece che muri.

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Accordo tra governo Colombia e Farc: risarcimento a vittime conflitto

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Al più tardi “entro il prossimo 23 marzo la fine del conflitto potrà essere segnata”. Con queste parole il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha ribadito la volontà di portare a termine il processo di pace con le Farc, le Forze armate della Colombia, dopo la firma ieri di un ulteriore passo in tale direzione: ai negoziati in corso a Cuba, infatti, il governo di Bogotà e i rappresentanti del movimento guerrigliero hanno raggiunto un accordo sulla spinosa questione della riparazione dovuta alle vittime del conflitto armato, iniziato nel 1964 e costato la vita ad almeno 220 mila persone. Giada Aquilino ha chiesto perché questa intesa venga giudicata come cruciale a Maurizio Stefanini, giornalista free lance che si occupa di questioni relative all’America Latina: 

R. – Perché, normalmente, nella maggior parte dei casi in cui ci sono stati accordi per il superamento di guerre civili o di regimi dittatoriali, è sempre andata a finire - soprattutto in America Latina, ma non soltanto - con forme di amnistia, per cui poi chi aveva compiuto crimini anche abbastanza gravi in qualche modo non l’ha pagata; tanto meno sono state risarcite le vittime delle violazioni commesse. Con questa intesa, ci saranno delle formule di punizione e di risarcimento, ognuna secondo il grado di accettazione. Si verrà puniti integralmente se non si ammetterà niente e ci saranno le prove del crimine; se si ammetterà in modo ritardato, ci sarà una pena limitata; e se si ammetterà del tutto, ci saranno delle pene ancora più limitate. E ci saranno dei risarcimenti alle vittime che dovranno essere fatti da chi ha commesso le violazioni. Dopo di ché, poi, se chi è il responsabile di tali crimini non ha risorse per risarcire, a quel punto sarà lo Stato che dovrà subentrare. E tutte le parti dovranno ammettere le loro responsabilità: sia il governo, sia le gravi violazioni compiute dalle Farc. Questa intesa ha dunque precisato ulteriormente il quadro.

D. – Si parla quindi di un risarcimento, di un indennizzo ai sopravvissuti e ai parenti di chi è stato ucciso?

R. – Non si parla sono di uccisioni: si parla di violazioni di tutti i tipi. Anche uno stupro è una violazione, anche le distruzioni, le espropriazioni, la gente che è stata cacciata dalle proprie case o che è stata privata della terra…

D. – Quindi ci sarà una giurisdizione speciale, almeno così ha detto il presidente Santos…

R. – Sì: ci sarà una giurisdizione speciale. I particolari dovranno ancora essere definiti. Dovrà esserci comunque un tipo di magistratura che dovrà avere la fiducia di tutte le parti, probabilmente con una partecipazione internazionale, quindi con un monitoraggio anche per la correttezza del procedimento. E inoltre si sta dicendo che l’anno prossimo dovrà essere convocato un referendum sull’accettazione o non dell’accordo di pace.

D. – Anche perché questo della riparazione alle vittime del conflitto è uno dei capitoli dell’agenda di pace. A che punto sono i colloqui?

R. – Era il più spinoso. Altri punti riguardavano l’ammissione delle Farc come movimento politico, riguardavano la riforma agraria, riguardavano il problema del narcotraffico.

D. – La pace si concluderà davvero entro marzo 2016, come ha detto il presidente Santos?

R. – Adesso l’accordo è con le Farc, però resta ancora l’Esercito di liberazione nazionale, che rimarrebbe comunque in armi. E poi c’è sempre il rischio che vi sia una componente, una parte più o meno importante dei combattenti delle Farc, che non accetti. Quindi è un passo in avanti, ma non definitivo.

Riguardo a quale punto allora è importante l’accordo siglato a Cuba? Risponde Marcello Carmagnani, esperto di questioni latinoamericane della Fondazione Luigi Einaudi e già docente all’Università di Torino. L’intervista è di Giada Aquilino: 

R. - Alle persone che sono state spostate. Si sono spostate moltissime persone per effetto tanto della guerriglia quanto della contro guerriglia. Allora stabilire questo principio che le vittime di entrambe queste realtà hanno diritto a delle riparazioni è un fatto evidentemente importante. Segna un passo avanti nel negoziato tra le Farc e il governo colombiano. Cioè: tanto la guerriglia come la contro guerriglia che era di destra, sostenuta dai proprietari fondiari con l’appoggio indiretto del governo, in questi anni hanno provocato uno spostamento notevole di popolazione e nessuna di queste persone ha ricevuto mai un sussidio.

D. - Negli accordi si fa cenno ad una giurisdizione speciale. Il presidente Santos ha precisato che non ci saranno forme di perdono o di amnistia per chi si è macchiato di crimini contro l’umanità. Quindi come si procederà?

R. - Bisognerà fare uno screening sicuramente delle persone. Tra l’altro, esiste già un elenco di coloro che hanno commesso dei crimini contro l’umanità, non sono tantissimi. Mentre stiamo parlando di milioni di persone che sono dovute scappare da regioni che erano o nelle mani dei guerriglieri o nelle mani della contro guerriglia.

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Premio Beato padre Puglisi dedicato al piccolo Aylan

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E' stata dedicata ad Aylan, il piccolo profugo siriano di tre anni annegato davanti alla spiaggia turca di Bodrum, l’undicesima edizione del “Premio internazionale dedicato al Beato padre Pino Puglisi”, che si è svolta ieri sera a Palermo. Alessandra Zaffiro

“Per me se c’è un premio vuol dire che c’è una continuità della proposta di vita che don Pino Puglisi ha continuato a fare come meraviglioso educatore. E spero che questa sia una proposta di vita che raggiunga soprattutto le nuove generazioni: un pensare l’esistenza come dono di sé per altri, perché altri possano avere vita”.

Sono le parole del neo-arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, che per la prima volta ha partecipato al premio intitolato al sacerdote ucciso dalla mafia e proclamato Beato, a lui tanto caro. Tra i sei premiati, don Maurizio Patriciello, per il suo impegno a difesa degli abitanti della "Terra dei fuochi", in Campania, e mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes:

“22.500 persone accolte nelle nostre strutture ecclesiali sono un segno di quell’ospitalità di cui padre Puglisi è stato campione su questo territorio, unendo al tempo stesso l’accoglienza e la carità con il cammino di giustizia, la denuncia di situazioni, che sono certamente sbagliate, perché non mettono al centro la tutela e la dignità di tante persone, in questo caso soprattutto dei migranti”.

Chiara la 'missio' del promotore del Premio, don Antonio Garau, fondatore dell’associazione Jus Vitae:

“Denunziamo il disinteresse e la colpevolezza degli uomini che guardano soltanto al potere e che considerano l’uomo ancora uno schiavo o una bestia”.

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Due libri per raccontare Papa Francesco e il suo Pontificato

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Presentati a Roma i libri “Papa Francesco, una lotta per la gioia” del vaticanista dell’agenzia France Presse Jean Louis de la Vaissière e il volume intitolato semplicemente “Papa Francesco” di Marie Duhamel, nostra collega del programma francese di Radio Vaticana. Il servizio di Eugenio Murrali

Raccontare la personalità di Papa Francesco, ritrovare la verità del suo messaggio al di là dei luoghi comuni e delle semplificazioni spesso proposte dai media. Questi gli obiettivi delle approfondite ricerche che hanno permesso a due vaticanisti di scrivere i loro libri su Papa Bergoglio. Marie Duhamel ha incentrato il suo lavoro sulla figura del Pontefice, ha raccolto foto, interviste, documenti:

“Ho avuto l’opportunità di essere in diretta quando il Papa è stato eletto e ho visto questa “connessione” immediata che ha avuto con la folla presente in Piazza San Pietro, anche quando si è inchinato per chiedere alla gente di pregare per lui. Questo è stato veramente un momento magnetico. Allora mi sono detta che dovevo cercare di vedere veramente chi fosse. Ho così avuto l’opportunità di fare questo libro, che è un bel libro-oggetto: all’interno ci sono delle tasche che si possono aprire e contengono documenti. Quindi un libro di facile accesso, che somiglia molto al modo in cui il Papa parla alla gente: molto semplice, sì, ma molto denso. E’ stato un lavoro intenso durato sei mesi e nutrito dalle tantissime interviste che ho realizzato, in gran parte a Buenos Aires. Ho intervistato i suoi amici di infanzia, gli ex studenti e ovviamente tantissimi gesuiti. Ma anche tante persone che la vita gli ha fatto incontrare e che non c’entrano niente con la Chiesa, come l'uomo che vendeva i giornali, il suo medico cinese di agopuntura o l'artigiano che fabbrica i calici: un giovane ragazzo che aveva bisogno di un sostegno a un certo punto della sua vita, che il Papa ha preso sottobraccio e che adesso è per lui veramente come un figlio. Ma anche tantissimi preti che lavorano nelle favelas. Tutte queste persone sono state favolose, perché mi hanno parlato con grande semplicità e mi hanno dato tantissimi documenti che nessuno prima di me aveva chiesto. Quindi ho avuto questa grande fortuna di avere la sua professione di fede scritta a mano, la tessera di adesione al San Lorenzo, il club di calcio, e ancora il bigliettino della sua ultima festa di liceo, quella dei 10 muchachos che invitano le ragazze a ballare. E poi ho incontrato tante persone a Roma".

Jean-Louis de la Vaissière, autore anche della recente opera “Da Benedetto a Francesco: una rivoluzione tranquilla”, si è invece soffermato sull’azione di Bergoglio, sulle convinzioni, su quello che definisce “un combat pour la joie”, una lotta per la gioia:

"Ho voluto approfondire il tema della misericordia. La parte centrale del libro si chiama “Bergoglioterapia”, perché penso che questo Papa abbia "il fiuto" del popolo, conosca le situazioni concrete, le molteplici difficoltà della vita e le gioie e condivida queste gioie e queste difficoltà, perché è un Papa della strada. Non è per niente demagogo: a lui interessa più parlare con la gente che non i discorsi ufficiali. Ho dedicato poi una parte del mio libro alla famiglia, perché per lui la famiglia è il dono essenziale della società”. 

Nelle intenzioni degli autori, queste due opere aiuteranno i lettori a vivere con maggiore consapevolezza anche il Giubileo della Misericordia.

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Arriva nei cinema "Star Wars 7" di J. J. Abrams

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Da oggi sugli schermi italiani e di molti Paesi europei l'attesissimo "Star Wars-Il risveglio della Forza", settimo capitolo della famosa saga fantascientifica che inizia così una nuova trilogia. Vecchi e nuovi personaggi, suddivisi tra chi segue il male e chi aderisce al bene, impugnano nuovamente le armi e solcano le galassie. In gioco anche questa volta c'è la difesa del valore della libertà e della fratellanza. Il servizio di Luca Pellegrini

Trentotto anni sono passati dal primo episodio, poi divenuto il quarto, di "Guerre stellari". Trentotto anni in cui un paio di generazioni si sono succedute e sono diventati adulti, e a loro volta mamme e papà, quei ragazzini e ragazzine d'allora, accorsi nei cinema e travolti nel loro immaginario dalle avventure galattiche di Luke Skywalker, la principessa Leila, il generoso contrabbandiere Han Solo, il cattivo e ansimante Darth Vader, il peloso Chewbecca, i cavalieri Jedi, i droidi fedeli, imperatori ed eserciti e una miriade di buoni, cattivi e creature d'ogni tipo. Tra prequel e la gloriosa trilogia, fino all'attuale "Il risveglio della forza" - il film certamente più atteso, e fino ad oggi segreto, dell'attuale stagione cinematografica - sette sono stati i capitoli della saga, distesi in una dimensione senza tempo e nello spazio infinito, palcoscenico offerto da una miriade di mondi, raggiunti per lo più alla velocità della luce e attorno ai quali si combattono poderose guerre per difendere la libertà della luminosa repubblica dall'oscuro dispotismo dell'impero. Il tempo, nella saga, sembra immutabile, però, perché sono i temi della nostra esistenza, ben seminati, che non mutano. Così come gli ambienti, quegli scenari meravigliosi di deserti aridi sui quali tramonta un sole pallido, foreste rigogliose e misteriose, ardite architetture e ingegnosi macchinari. Questa volta le novità sono state volutamente ridotte al minimo: le armi, le navi spaziali, gli interni, le divise e la suddivisione dei ruoli sono sempre quelli. Sono, invece, invecchiati i protagonisti di allora, richiamati in servizio dal regista J. J. Abrams per solleticare la curiosità soprattutto degli adulti di oggi, che scrutano i capelli bianchi e il segno dell'età apparsi sugli eroi e le eroine d'allora. Tutto, in quest'ultimo episodio, è una continua evocazione dei precedenti. "Guerre stellari", nella sua semplicità drammatica e nel suo schematismo, è stato un marchio di enorme successo e troppo rischioso sarebbe stato imprimere novità che ai più sarebbero apparse incomprensibili, se non addirittura un tradimento vero e proprio.

In quel futuro che è "tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana..." - che è il famosissimo incipit - il film ci mette però anche questa volta molto del nostro presente, tra assassini codardi e vittime innocenti, assolutismi che strumentalizzano la cosiddetta "forza" portandola al lato oscuro per asservire interi mondi ad un potere folle e un credo intollerante, cui si oppongono eroi che difendono il valore della libertà e della fratellanza tra popoli e mondi. Non sono mancate anche, e non mancheranno nemmeno questa volta, letture religiose e cristiane, per lo più forzate. Rimane il piacere di uno spettacolo avvincente, con qualche inaspettato colpo di scena, pochi e ben disegnati nuovi personaggi, piazzati nei rispettivi campi del bene e del male, ai quali spetterà prendere sulle spalle il fardello della trilogia appena iniziata, la cui conclusione è prevista per il 2019. Anno in cui noi e il mondo, presumibilmente, saremo cambiati. La galassia e le sue guerre, certamente no.

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Nella Chiesa e nel mondo



Patriarca Twal, messaggio di Natale: basta sangue in Terra Santa

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“Ai capi israeliani e palestinesi diciamo che è il momento di dar prova di coraggio, e di operare per una pace stabile fondata sulla giustizia. Basta rimandare”: nel suo messaggio di Natale il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal lancia un appello per la Terra Santa perché vengano rispettate le risoluzioni internazionali, ascoltate le voci degli israeliani e dei palestinesi che aspirano alla pace e perché si agisca nel loro interesse. “Ciascuno dei due popoli della Terra Santa … ha diritto alla dignità, a uno Stato indipendente e ad una sicurezza duratura” aggiunge il patriarca che ha presentato alla stampa il suo messaggio questa mattina senza dimenticare le recenti vittime del terrorismo e il clima di paura diffusosi ovunque a causa soprattutto degli attentati in Europa, negli Stati Uniti e in Turchia. 

Cessi il commercio delle armi che alimenta i conflitti in Medio Oriente
Sui conflitti in Medio Oriente il patriarca Twal ha evidenziato che si tratta di “terribili guerre … alimentate dal commercio delle armi, che coinvolge numerose potenze internazionali” con l’assurdo che “si parla da una parte di dialogo, di giustizia, di pace e si promuove, dall’altra, si vendono armi ai belligeranti”. “A questi trafficanti d’armi senza scrupoli e senza coscienza diciamo: convertitevi – ha aggiunto il patriarca –. La vostra responsabilità in questa tragedia è grande e voi dovrete rispondere davanti a Dio del sangue dei vostri fratelli”.

Lottare contro povertà e ingiustizie senza l’uso delle forze militari
Per il patriarca latino di Gerusalemme “la risposta militare e l’uso della forza non possono risolvere i problemi dell’umanità. Occorre trovare quali sono le cause e le radici di questo flagello, e affrontarle. Bisogna lottare contro la povertà e l’ingiustizia, che possono costituire un terreno favorevole al terrorismo” e la risposta della Chiesa e della comunità dei credenti è il Giubileo della Misericordia. “Quando la misericordia diventa una componente dell’azione pubblica, allora riesce a condurre il mondo dalla sfera degli interessi egoistici a quella dei valori umani - ha spiegato il patriarca Twal - che definisce la misericordia “atto politico per eccellenza, a condizione di considerare la politica nel suo senso più nobile, cioè la presa in carico della famiglia umana a partire dai valori etici, dei quali la misericordia è una componente fondamentale, che si oppone alla violenza, all’oppressione, all’ingiustizia e allo spirito di sopraffazione”.

Natale più sobrio in Terra Santa. Nelle parrocchie preghiere per le vittime del terrorismo
Circa i festeggiamenti per il Natale in Terra Santa, infine, il patriarca Twal ha specificato che la situazione attuale suggerisce di limitare gli aspetti più appariscenti delle celebrazioni a favore di un approfondimento del loro significato spirituale, da qui l’invito a “ogni parrocchia a spegnere per 5 minuti le luci dell’albero di Natale, in segno di solidarietà con tutte le vittime della violenza e del terrorismo” e ad offrire la Messa di Natale per le vittime e i loro familiari. (A cura di Tiziana Campisi)

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Kurdistan: 24 dicembre festivo in solidarietà con i cristiani

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Quest'anno il Natale del Signore per le Chiese che seguono il calendario gregoriano cade di venerdì, giorno festivo anche per i musulmani. Per questo, volendo offrire anche stavolta in maniera pubblica un segnale di solidarietà delle istituzioni e di tutta la società verso i cristiani, il governatore della provincia di Kirkuk, il curdo Necmettin Karim, ha dichiarato che anche giovedì 24 dicembre, vigilia di Natale, sarà giorno festivo, e tutte le istituzioni pubbliche della provincia, comprese le scuole – si legge nel comunicato diffuso dall'ufficio del governatore e ripreso dall'agenzia Fides – osserveranno una giornata di riposo.

Un segno di vicinanza dei musulmani alla comunità cristiana
Così – ha sottolineato il governatore – anche i musulmani potranno far sentire la propria vicinanza ai loro concittadini cristiani. La decisione è stata resa nota lunedì scorso, in occasione della riunione del Consiglio municipale di Kirkuk. Nel corso dell'incontro – riferiscono le fonti ufficiali del patriarcato caldeo, consultate da Fides – il governatore ha anche rinnovato l'allarme per l'attività di “gruppi criminali che cercano di diffondere il terrore”.

I jihadisti dell'Is a pochi chilometri da Kirkuk
​Kirkuk dista meno di 180 chilometri da Mosul, e fin dal giugno 2014 ha resistito alle offensive e ai tentativi di espansione dei jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh) soprattutto in virtù della protezione assicurata alla città dalle milizie curde Peshmerga. Le forze jihadiste occupano comunque una parte della provincia di Kirkuk, e rimangono a poche decine di miglia dal capoluogo. La situazione sul territorio è resa ancor più intricata dalla presenza nella regione di truppe inviate dalla Turchia con la giustificazione di dover proteggere la locale minoranza turcomanna. (G.V.)

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Indonesia: a Sumatra chiese sotto protezione per Natale

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Le comunità cristiane della provincia di Nord Sumatra saranno sottoposte a misura di sicurezza per garantire l'incolumità durante le festività di fine anno. A comunicarlo, con un comunicato ripreso dal quotidiano The Jakarta Globe, la polizia di Medan, capoluogo della provincia. Mobilitati 1500 poliziotti a cui si affiancheranno, in caso di necessità, squadre anti-sommossa. Precauzioni - riferisce l'agenzia Misna - che sarebbero necessarie per il rischio di attacchi terroristici.

L'influenza del sedicente Stato Istalico tra i fondamentalisti islamici
La memoria degli attentati dinamitardi contro chiese e luoghi di preghiera alla vigilia di Natale del 2000, con la morte di 18 persone, resta nella memoria collettiva della minoranza cristiana. Allora la responsabilità venne attribuita al movimento Jemaah Islamiyah, responsabile anche dei successivi attentati di Bali e a Jakarta. Da allora l'influenza del Movimento è stata notevolmente ridotta anche con severe azioni repressive, ma per le autorità è il sedicente Stato Islamico a raccogliere ora le simpatie di centinaia di indonesiani che ne hanno accolto l'invito a confluire sui luoghi di confitto mediorientali.

Ad Aceh atti di violenza contro le comunità cristiane
A Nord Sumatra la percentuale di cristiani è tra le più alte in Indonesia, circa il 30%, e i dati del ministero per gli Affari religiosi – riferiti al 2008 - indicano in 2,6 milioni i protestanti e 450.000 cattolici. Sebbene la provincia sia relativamente tranquilla quanto a episodi di intolleranza religiosa, quella limitrofa di Aceh, unica dell'arcipelago in cui sia in vigore la legge coranica, ha visto anche nelle scorse settimane tensioni per la richiesta dei radicali musulmani, sostenuta con atti di vandalismo e aggressioni, di demolire luoghi di culto cristiani considerati illegali. (C.O.)

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Pakistan: i cristiani ricordano le vittime della strage di Peshawar

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Ad un anno esatto dalla strage, la Chiesa cattolica pakistana si unisce al cordoglio del Paese nel ricordare le vittime dell’attacco alla scuola militare di Peshawar, e in particolare i bambini caduti sotto i colpi del commando terrorista. In mattinata - riporta l'agenzia AsiaNews - i fedeli hanno partecipato a una speciale cerimonia di preghiera che si è tenuta nelle chiese di Peshawar e Lahore. In tutto il Pakistan si è inoltre tenuto un minuto di silenzio, con interruzione totale del traffico automobilistico, per omaggiare la memoria delle vittime e manifestare un gesto concreto di solidarietà verso le loro famiglie. 

Il vescovo invita a pregare per la pace
Interpellato da AsiaNews mons. Rufin Anthony, vescovo di Islamabad/Rawalpindi sottolinea che pur a distanza di un anno “le emozioni e il dolore non si possono esprimere a parole”. Il prelato invita a pregare per la pace, in particolare in questo periodo di Natale che “è un messaggio di pace per tutta l’umanità”. “Ricordiamo il sacrificio di quanti hanno perso la vita - aggiunge il prelato - in questo atto terribile di terrorismo” e “plaudiamo al coraggio dei genitori e delle famiglie” dei bambini uccisi che “continuano a soffrire”.  Per combattere l’ideologia terrorista, avverte il vescovo, sono oggi più che mai importanti “l’istruzione dei giovani” e la possibilità di “dar loro un futuro”, perché “non succeda più di vedere bambini andare a scuola e uscirne in ambulanza”. Per questo il 20 dicembre si terrà una speciale giornata di preghiera per la pace “e chiediamo a tutti di unirsi in solidarietà”. 

Il ricordo della strage nella scuola militare di Peshawar
Il 16 dicembre 2014 un commando composto da nove persone e affiliato al Tehreek-e-Taliban Pakistan (Ttp) ha assaltato una scuola militare di Peshawar uccidendo 148 persone, di cui 132 bambini tra i 7 e i 14 anni. I talebani hanno affermato che l'attacco era una vendetta all'offensiva dell'esercito pakistano nelle regioni del nord-ovest, lungo il confine con l'Afghanistan, storiche roccaforti degli islamisti, che ha causato la morte di oltre 1.200 miliziani.

La strage ha segnato una ferita profonda nel Paese
​La strage è stata condannata con forza da tutta la società, dai vertici della Chiesa cattolica pakistana - con duri interventi del vescovo di Islamabad e dell'arcivescovo di Karachi - oltre che dalla comunità internazionale. Ancora oggi l’attacco richiama alla memoria una ferita profonda e in molti, soprattutto fra i familiari, più che giustizia cercano vendetta. Un gruppo di sopravvissuti alla strage si dice “felice” delle esecuzioni capitali comminate (ed eseguite) ai componenti del commando. Difatti all’attacco talebano alla scuola militare di Peshawar è legata la decisione del governo di cancellare la moratoria sulla pena di morte, in particolare per i reati legati al terrorismo. Dall’inchiesta è emerso che il commando autore della strage alla scuola militare aveva l’ordine di sparare e causare il maggior numero di vittime. (J.K.)

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Pakistan. Vescovo Hyderabad: anno difficile per le minoranze

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Anche il 2015 è stato un anno particolarmente difficile per le minoranze religiose in Pakistan, che continuano a essere vittime di violenza e discriminazione nonostante il Governo si sia impegnato formalmente a tutelare i loro diritti. È quanto denuncia, attraverso l’agenzia Ucanews, il vescovo di Hyderabad, Samson Shukardin, che sottolinea l’importanza e la necessità di intensificare ogni sorta di “pressione internazionale” affinché le istituzioni pakistane provvedano a far rispettare il diritto alla libertà religiosa.

Le chiese obiettivo di attentati e i cristiani vittime di vessazioni
Per il presule, anche quest’anno ha “visto le stesse discriminazioni e difficoltà a cui assistiamo” da tempo. Con le chiese divenute obiettivo di attentati e i cristiani vittime di vessazioni e di una pretestuosa applicazione della legge sulla blasfemia. “Il Governo parla molto a favore delle minoranze, ma fa poco in termini di riforma della legislazione”, afferma mons. Shukardin. Il 10 dicembre in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani 400 persone appartenenti a minoranze religiose hanno manifestato di fronte al Parlamento del Punjab per chiedere protezione per non musulmani. I partecipanti hanno denunciato le vessazioni, le conversioni forzate e le violenze di cui sono vittime le minoranze nel Paese, dove tra l’altro, ogni anno bambine vengono rapite e costrette a sposarsi e convertirsi all’Islam. (L.Z.)

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Vescovi Usa: dopo le stragi non cedere a terrore e odio

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“Non cedere al terrore, all’odio e al sospetto che porta a politiche discriminatorie”, ma “essere messaggeri di speranza e voci profetiche contro la violenza insensata che non può mai essere giustificata invocando il nome di Dio". E’ l’appello rivolto da mons. Joseph E. Kurtz, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb), in una dichiarazione diffusa lunedì scorso, in cui, a nome dei vescovi, esprime preghiera e vicinanza alle famiglie e amici delle vittime delle recenti stragi a San Bernardino e nella clinica per aborti a Colorado Springs.

Le politiche della paura offrono solo un terreno fertile agli estremisti
“Di fronte a tanta violenza e odio - afferma l’arcivescovo di Louisville – occorre rispondere con decisione e coraggio”, ma “distinguendo i nostri nemici dalle persone di buona volontà”. In questo senso, servono “leggi sull’immigrazione che siano umane e garantiscano la nostra sicurezza, ma che non prendano di mira specifiche categorie di persone sulla base della loro appartenenza religiosa - sottolinea il presule riferendosi implicitamente ai violenti attacchi verbali contro i musulmani e i rifugiati rivolti dal candidato repubblicano alle presidenziali Donald Trump -. Le politiche della paura e i discorsi incendiari offrono solo un terreno fertile agli estremisti e spianano la strada verso la divisione e un futuro di paura".

Necessaria una regolamentazione responsabile della vendita delle armi
Mons. Kurtz ribadisce quindi che la Conferenza episcopale continuerà il suo impegno a favore dei rifugiati, “che spesso fuggono da gravi persecuzioni". I vescovi americani chiedono inoltre “una regolamentazione responsabile” della vendita di armi da fuoco negli Stati Uniti. La dichiarazione conclude con un rinnovato appello ad “affrontare la minaccia estremista con coraggio e compassione, riconoscendo che cristianesimo, islam, ebraismo e molte altre religioni sono unite contro la violenza perpetrata nel loro nome". (L.Z.)

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Messico-Usa: preghiera dei vescovi su ponte di frontiera

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Considerato "un evento storico" dalla stampa locale, si è svolto ieri l'incontro dei vescovi di El Paso (Stati Uniti d’America) e di Ciudad Juarez (Messico), e dei consoli generali di Messico e Stati Uniti, proprio sulla linea di frontiera tra i due Paesi, sul Ponte Internazionale Santa Fe. Qui hanno celebrato insieme “las posadas”, vale a dire una preghiera e un momento di festa per i bambini, tipico della tradizione latinoamericana in questo periodo natalizio, per far crescere la comunione nella regione di confine.

In questa frontiera a febbraio la visita di Papa Francesco
“E' un momento magico” ha detto mons. Mark Seitz, della diocesi di El Paso, all'inizio dell'incontro, dopo la benedizione della frontiera che il prossimo 17 febbraio vedrà giungere in visita pastorale Papa Francesco. "Questo è il momento più opportuno dell'anno per parlare di unità, quando si avvicina la celebrazione della nascita di Dio, per parlare non delle frontiere che ci dividono, ma che ci uniscono, perché anche se c’è una rete che ci separa, siamo uniti in diversi modi" ha detto mons. Seitz.

Divisi dal confine ma uniti dalla celebrazione del Natale
Il vescovo di El Paso ed il vescovo di Ciudad Juarez si sono quindi abbracciati, mentre un gruppo di bambini faceva festa vicino al ponte, con i giochi tradizionali, dinanzi allo sguardo sorpreso degli automobilisti di passaggio. "È davvero un momento molto speciale" ha commentato Jacob Prado, console generale del Messico a El Paso. Daria Darnell, console generale Usa a Ciudad Juarez, ha affermato: "Essere qui, in questo punto, è l'occasione per mettere in evidenza le buone relazioni tra i due Paesi. Perché se è vero che i confini dividono, in questo caso ci uniscono". "Da 20 anni lavoro nella zona di El Paso, e non ero mai stato ad un incontro di questo tipo" ha detto Ruben Jauregui, responsabile della Us Customs and Border Protection (Cbp). (C.E.)

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Nord Corea: condanna all'ergastolo per missionario canadese

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La Corte Suprema del Popolo della Corea del Nord ha condannato un missionario cristiano protestante canadese all’ergastolo per “crimini contro lo Stato”. Lim Hyeon-soo, 60 anni, avrebbe “confessato” un “piano sovversivo” per rovesciare il governo e creare al suo posto uno Stato di matrice religiosa. Egli era “scomparso” nel febbraio 2015, e da allora di lui non si era saputo più nulla fino all’emissione della condanna.

Potrebbe aver aiutato dei nordcoreani a fuggire dal regime
Capo della Light Korean Presbyterian Church, con base nei pressi di Toronto - riferisce l'agenzia AsiaNews - il reverendo Lim dovrà scontare la sentenza ai lavori forzati. Fra le accuse vi è anche quella di aver organizzato un traffico di esseri umani verso la Corea del Sud, la Cina e la Mongolia. I suoi fedeli sostengono invece che nel corso degli anni egli “potrebbe aver aiutato” dei nordcoreani a fuggire il regime, ma sempre e soltanto su loro richiesta.

Le visite del rev. Lim tutte per motivi umanitari
Il rev. Lim ha compiuto più di 100 viaggi in Corea del Nord, e viene descritto come "del tutto non politico". Le visite sono state compiute tutte per motivi umanitari, soprattutto nei confronti di anziani e orfani. Cittadino canadese, l'uomo è nato nella penisola coreana: tuttavia, il suo Paese d'adozione non ha una presenza diplomatica nel Paese e da sempre sconsiglia ai propri cittadini di visitare la Corea del Nord.

Le vicende giudiziarie contro missionari cristiani protestanti
​Negli ultimi anni i missionari cristiani protestanti sono stati spesso al centro di vicende giudiziarie in Corea del Nord. Il missionario australiano John Short, 75 anni, venne fermato il 16 febbraio 2014 con l'accusa di "distribuire materiale religioso"; il 3 marzo successivo è stato rilasciato "per motivi umanitari".  Più complicata la posizione dei cittadini statunitensi: gli ultimi due americani nelle mani di Pyongyang – Kenneth Bae e Matthew Miller – sono stati rilasciati soltanto dopo anni in carcere e grazie a un'intensa attività diplomatica. (R.P.)

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Belgio: opuscolo dei vescovi per l’accoglienza dei migranti

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“Vivere insieme con rifugiati e migranti, nostri fratelli e sorelle”: si intitola così l’opuscolo diffuso ieri dai vescovi del Belgio sul tema delle migrazioni. Nel documento, i presuli ricordano ai cristiani il dovere evangelico di essere dalla parte di coloro che soffrono e richiedono, al contempo, una politica migratoria coerente e sostenibile.

Dovere evangelico è stare accanto a chi soffre
"Ero forestiero e mi avete accolto", dice Gesù nel Vangelo di Matteo (Mt 25, 35) – si legge nell’opuscolo - Come cristiani, quindi, è nostro dovere evangelico essere al fianco di coloro che soffrono”.  “Insieme a Papa Francesco – continua il documento - anche noi vescovi siamo preoccupati per la sorte delle persone che sono state costrette a venire in Belgio, senza alcun punto di riferimento, senza accompagnamento o prospettive future”. Di qui, il richiamo all’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium” in cui il Pontefice esorta tutti i Paesi ad "una generosa apertura che, invece di temere la distruzione dell’identità locale, sia capace di creare nuove sintesi culturali”. (EG 210).

Promuovere politica migratoria coerente e sostenibile
“Con quale spirito – è la domanda dei vescovi belgi – noi cittadini o cristiani accogliamo gli immigrati? In questo senso, l’opuscolo offre testimonianze edificanti per capire come accogliere i migranti nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, sul posto di lavoro, così da implementare, insieme ai leader politici nazionali, una politica migratoria coerente e sostenibile”. Si tratta, ribadiscono i presuli, “di mettere a punto una politica ed un atteggiamento che rendano il nostro pianeta una ‘casa comune’ per tutti. Perché, a partire dall’opzione preferenziale per i poveri, ciò favorirà la solidarietà”.

Aiutare Paesi d’origine dei migranti
I presuli si domandano, inoltre, “come fare per aiutare i Paesi di origine dei migranti, in uno spirito di sostegno reciproco e di rispetto della dignità di ogni persona”. L’opuscolo si conclude rimarcando che l'arrivo in Europa di “nuove generazioni in grado di suscitare un rinnovamento del 'Vecchio Continente', rappresenta una opportunità per la società”. (A cura di Isabella Piro)

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Cattolici e anglicani d'Irlanda: messaggio di Natale sulla speranza

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“Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo(Rm 15,13)”. Prende spunto dalla Lettera di San Paolo ai Romani il messaggio natalizio congiunto di mons. Eamon Martin e del rev. Richard Clarke, arcivescovi di Armagh e Primati della Chiesa cattolica  e anglicana d’Irlanda.

Non lasciarsi “rubare” la speranza
Un messaggio incentrato sul tema della speranza, che è al cuore del Natale, ma che è oggi offuscato dalla violenza e dalla distruzione nel mondo. In questo scenario a molti sembra difficile sperare in un futuro migliore per il mondo e per se stessi. Eppure – sottolineano i due primati irlandesi -, come ha più volte ripetuto Papa Francesco, non dobbiamo lasciarci “rubare” la speranza.

Essere portatori di speranza nel nome di Cristo
Essa, prosegue il messaggio, non è semplicemente il desiderio  individuale di avere una vita migliore per sé e per chi amiamo: è qualcosa che “siamo chiamati a portare nel nome di Cristo” agli altri. Nella visione cristiana, essere persone di speranza, significa, infatti, “essere agenti di speranza”.  Operare  per gli altri – con gesti semplici o più impegnativi - è “seminare speranza per il futuro”. Di qui l’esortazione a diventare “inviati di speranza”:  “Come Cristo è venuto al mondo per portare speranza nei luoghi di disperazione e luce nel buio, anche noi possiamo diventare portatori di speranza”. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 350

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.