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Sommario del 13/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa apre Porta Santa a San Giovanni: è tempo del perdono, non della rigidità

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In questo tempo di gioia si riscopra la presenza di Dio per diventare strumenti di misericordia. E’ la richiesta di Francesco alla Messa per l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, la terza aperta dal Papa dopo quella di Bangui, in Centrafrica, e quella di San Pietro, l’8 dicembre. Il servizio di Francesca Sabatinelli: 

L’apertura della Porta Santa è un invito alla gioia, e in questo tempo di misericordia è il momento di riscoprire la presenza e la tenerezza di Dio Padre, ed è il momento di essere strumenti di misericordia, perché per questo saremo “giudicati”. E’ ciò che chiede il Papa ai fedeli, nel giorno in cui apre la Porta Santa “porta del Signore”,  “porta della giustizia”, di San Giovanni in Laterano, la Cattedrale di Roma. Nell’omelia, Francesco ripete le parole di Sofonia il profeta, rivolte a Gerusalemme, chiede di esultare e di rallegrarsi, perché “il Signore ha revocato ogni condanna e ha deciso di vivere in mezzo a noi”:

"Questa terza domenica di Avvento attira il nostro sguardo verso il Natale ormai vicino. Non possiamo lasciarci prendere dalla stanchezza; non ci è consentita nessuna forma di tristezza, anche se ne avremmo motivo per le tante preoccupazioni e per le molteplici forme di violenza che feriscono questa nostra umanità. La venuta del Signore, però, deve riempire il nostro cuore di gioia".

E’ Sofonia “che apre il nostro cuore alla fiducia”, perché “Dio protegge il suo popolo”:

"In un contesto storico di grandi soprusi e violenze, ad opera soprattutto di uomini di potere, Dio fa sapere che Lui stesso regnerà sul suo popolo, che non lo lascerà più in balìa dell’arroganza dei suoi governanti, e che lo libererà da ogni angoscia".

Dubbio, impazienza o sofferenza, spiega ancora Francesco, non devono lasciarci cadere le braccia, come ci chiede Sofonia, perché, come ribadisce anche l’apostolo Paolo, “Il Signore è vicino”:

"Per questo dobbiamo rallegrarci sempre, e con la nostra affabilità dare a tutti testimonianza della vicinanza e della cura che Dio ha per ogni persona".

Anche il “semplice segno”, dell’apertura della Porta Santa a San Giovanni e in tutte le cattedrali del mondo, “è un invito alla gioia”:

"Inizia il tempo del grande perdono. E’ il Giubileo della Misericordia. E’ il momento per riscoprire la presenza di Dio e la sua tenerezza di Padre.
Dio non ama le rigidità, lui è Padre, è tenero. Tutto fa con tenerezza di Padre".

Anche per i fedeli di oggi vale la risposta di Giovanni Battista alle folle che chiedevano cosa fare e dunque il suo invito “ad agire con giustizia e a guardare alle necessità di quanti sono nel bisogno”. Ma c’è qualcosa in più:

"A noi, invece, viene chiesto un impegno più radicale. Davanti alla Porta Santa che siamo chiamati a varcare, ci viene chiesto di essere strumenti di misericordia, consapevoli che saremo giudicati su questo. Chi è stato battezzato sa di avere un impegno più grande".

"Chi è stato battezzato sa di avere un impegno più grande", prosegue il Papa perché "la fede in Cristo provoca ad un cammino che dura per tutta la vita: quello di essere misericordiosi come il Padre”:

"La gioia di attraversare la Porta della Misericordia si accompagna all’impegno di accogliere e testimoniare un amore che va oltre la giustizia, un amore che non conosce confini. E’ di questo infinito amore che siamo responsabili, nonostante le nostre contraddizioni".

In conclusione, la richiesta di pregare per tutti coloro che “attraverseranno la Porta della Misericordia” perché possano “comprendere e accogliere l’infinto amore del nostro Padre celeste, che ricrea, trasforma e riforma la vita".

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Papa all'Angelus: convertirsi è impegno concreto di giustizia e solidarietà

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All’Angelus in Piazza San Pietro, Papa Francesco, ha affermato che convertirsi significa un concreto impegno alla giustizia e alla solidarietà. Quindi ha lanciato un appello per l’attuazione dell’accordo di Parigi sul Clima. Il servizio di Sergio Centofanti

Nel Vangelo della terza Domenica di Avvento, Giovanni il Battista invita tutti a convertirsi, condividendo i beni essenziali con i poveri. Ai soldati dice di non estorcere niente a nessuno e agli esattori delle tasse dice di non esigere nulla di più della somma dovuta. Ecco la riflessione del Papa:

“Cosa vuol dire questo? Non fare tangenti! E’ chiaro! … Dagli ammonimenti di Giovanni Battista comprendiamo quali fossero le tendenze generali di chi in quell’epoca deteneva il potere, sotto le forme diverse ... le cose non sono cambiate tanto!”.

Convertirsi è un impegno concreto:  

“Bisogna cambiare direzione di marcia e intraprendere la strada della giustizia, della solidarietà, della sobrietà: sono i valori imprescindibili di una esistenza pienamente umana e autenticamente cristiana”.

Dopo la preghiera dell’Angelus, il Papa ha ricordato l’accordo sul clima da molti definito storico firmato alla Conferenza di Parigi:

"La sua attuazione richiederà un corale impegno e una generosa dedizione da parte di ciascuno. Auspicando che venga garantita una particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili, esorto l’intera comunità internazionale a proseguire con sollecitudine il cammino intrapreso nel segno di una solidarietà che diventi sempre più fattiva".

Ha poi ricordato che  martedì prossimo a Nairobi inizierà la Conferenza Ministeriale dell’Organizzazione Internazionale del Commercio lanciando un appello a tenere conto dei Paesi più poveri. Quindi, si è riferito all’apertura delle Porte Sante nelle cattedrali di tutto il mondo e delle ‘Porte della Misericordia’ che si aprono nei luoghi di disagio e di emarginazione”:

“A questo proposito, saluto i detenuti delle carceri di tutto il mondo, specialmente quelli del carcere di Padova, che oggi sono uniti a noi, in questo momento, spiritualmente, per pregare e li ringrazio per il dono del concerto”.

Infine, ha salutato i membri del Movimento dei Focolari e di alcune comunità islamiche, presenti in Piazza San Pietro e riuniti oggi a Roma per un convegno sul dialogo interreligioso:

“Andate avanti, andate avanti con coraggio nel vostro percorso di dialogo e di fraternità, perché tutti siamo figli di Dio”.

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Storico accordo sul clima: l'incoraggiamento di Papa Francesco

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Si è conclusa con uno storico accordo tra 195 Paesi la Conferenza di Parigi sul clima. Il Papa all’Angelus ha sottolineato che l’attuazione dell’intesa richiederà “un corale impegno e una generosa dedizione da parte di ciascuno” e ha incoraggiato “l’intera comunità internazionale a proseguire con sollecitudine il cammino intrapreso” auspicando “che venga garantita una particolare attenzione alle popolazioni più vulnerabili”. Il documento, vincolante in alcune sue parti, è stato accolto con favore dalla comunità internazionale, anche se non mancano alcune critiche. Il servizio di Michele Raviart: 

L’entusiasmo del padrone di casa, il presidente francese Hollande, è per “il primo accordo universale nella storia dei negoziati sul clima”. Nei prossimi cinque anni l’aumento della temperatura media globale dovrà rimanere inferiore a 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, in vista di ulteriori miglioramenti, mentre le emissioni di gas serra saranno ridotte fino ad essere assorbite naturalmente nell’ultima parte del secolo. Un risultato definito da molti Paesi “storico”. Tra questi gli Stati Uniti, che non avevano firmato il precedente protocollo di Kyoto sul clima del 1997. Barack Obama ha definito l’accordo “un tributo alla leadership americana, che in sette anni è diventata il Paese guida nella lotta al cambiamento climatico”. Tra le misure non vincolanti, la creazione di un fondo di 100 miliardi di dollari l’anno per incentivare i Paesi più poveri allo sviluppo delle energie rinnovabili. Per alcune ong come Oxfam, sono risorse non garantite e non sufficienti a scongiurare l’innalzamento delle temperatore anche se l’accordo rappresenta “un significativo passo avanti”. Per Action Aid il risultato è poco ambizioso, mentre la scrittrice no-global Naomi Klein nota l’esclusione di ogni riferimento ai combustibili fossili nel testo finale.

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Il Papa: cristiani e musulmani, avanti con coraggio nel dialogo

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Ad un mese dagli attentati di Parigi del 13 novembre, gli aderenti al Movimento dei Focolari e i rappresentanti delle Comunità islamiche delle varie regioni d’Italia si sono ritrovati insieme questa domenica per un convegno all’Augustinianum di Roma. Le due comunità, inoltre, erano presenti in Piazza San Pietro per l’Angelus del Papa per testimoniare che un dialogo tra cristiani e musulmani è possibile. Il servizio di Alessandro Filippelli

“Andate avanti con coraggio nel vostro percorso di dialogo e di fraternità”. E’ questo l’invito che Papa Francesco, durante l’Angelus, ha rivolto ai membri del Movimento dei Focolari presenti in Piazza San Pietro insieme agli amici di alcune comunità islamiche per testimoniare percorsi di fraternità e misericordia. Così oggi il Movimento dei Focolari e i rappresentanti della comunità musulmana si sono incontrati per portare a conoscenza, riflessioni, storie e percorsi comuni frutto di un dialogo avviato ormai da anni. Non poche sono state le iniziative, soprattutto dopo i fatti di Parigi. E l’appuntamento di oggi stato l’occasione per stringere un Patto di prossimità e di collaborazione da estendere a quanti in Italia e altrove vorranno raccoglierlo. Rosalba Poli delegata del Movimento dei Focolari in Italia:

"Vorremmo che fosse una testimonianza di una vita già sperimentata come solidarietà, come aiuto reciproco fra le famiglie, anche come impegno e servizio per gli altri, insieme, cristiani e musulmani. E poi è anche un messaggio di richiesta di un nuovo impegno, di un impegno più radicale, visto che sono radicali le violenze, un impegno radicale che vorremmo esprimere in un patto di prossimità e di collaborazione: prossimità nel senso di farci vicini e di non considerare gli altri come nemici, ma anzi come persone con cui possiamo collaborare, condividere la vita nella pace e nella solidarietà; e di collaborazione, perché è necessaria una collaborazione fattiva per servire quelle che sono le periferie, le esigenze degli uomini, ma anche per un’educazione per le nuove generazioni alla pace, al vivere sociale, fondato sul rispetto e sul dialogo”.

Un’occasione per mettere insieme un mosaico di esperienze e rispondere a chi vuol fare credere che solo la forza risolve i problemi. Come spiega Abdelhafid Kheit, imam della moschea di Catania e membro del direttivo dell’Unione delle Comunità Islamiche d'Italia (Ucoii):

“Le idee sono tante. Il fatto è che per metterle in pratica ci vuole l’impegno di tutti. Basta che ci siano il buon senso e la buona volontà, perché tutte le diversità si incontrino. Possiamo lavorare, perché quello che ci unisce – penso – è di più di quello che ci divide. Tutti abbiamo bisogno di questo incontro, che porterà ad un dialogo costruttivo per realizzare una società migliore”.

Non si tratta quindi d’inseguire un sogno irraggiungibile nei fatti di convivenza fraterna, ma di evidenziare strade percorribili verso una società inclusiva e arricchita dalle diversità.

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Gioia dei fedeli a San Paolo fuori le Mura per apertura Porta Santa

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Questa mattina a Roma è stata aperta anche la Porat Santa della Basilica papale di San Paolo fuori le Mura. Il rito è stato presieduto dal cardinale arciprete James Harvey. Il servizio di Marina Tomarro: 

“Questo è il tempo della Chiesa di ritrovare il senso della missione e per far sentire a tutti quell’amore di Dio che perdona, che consola e che dona la speranza”. Così il cardinale James Harvey ha aperto l’omelia della celebrazione eucaristica per l’apertura della Porta Santa della Basilica papale di San Paolo fuori le Mura. Ascoltiamo le sue parole:

“Il cosiddetto motto di questo Giubileo straordinario è preso dal Vangelo: ‘Misericordiosi come il Padre’. Nella misericordia infatti abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso per sempre, gratuitamente. Egli viene a salvarci dalla condizione di debolezza in cui viviamo e il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compassione, possiamo anche noi diventare compassionevoli verso gli altri”. 

Il cardinale ha sottolineato che tutti siamo chiamati a vivere la Misericordia perché a noi per primi ci è stata donata attraverso il Sacramento della Penitenza:

“Il Papa pone al centro il Sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia, affinché sia per ogni penitente ponte di vera pace interiore”.

Il porporato ha esortato i fedeli a riscoprire le opere di misericordia sia spirituali che corporali e a non perdere mai la speranza di fronte ad un mondo che sembra non averne più, ma di affidarsi al Signore, e di guardare a questo Giubileo come un nuovo punto di partenza:

“Il Giubileo della misericordia con il quale la Chiesa, a nome di Cristo, il Buon Samaritano per eccellenza, proclama con rinnovata forza ed insistenza all’umanità intera, cristiana e non, che l’amore di Dio è più forte dei nostri peccati. L’invito alla conversione rivolto da Cristo alla sua Chiesa va sempre accompagnato da un forte invito alla speranza”.

Grande la gioia per i tanti fedeli presenti alla cerimonia. Ascoltiamo alcune testimonianze:

R. – Per noi cristiani è un po’ l’universalità, il concetto cui questo Giubileo vuole arrivare: vuole giungere un po’ a tutti. San Paolo è stato l’Apostolo delle Genti, lui non è rimasto solo in Galilea, ma ha portato il cristianesimo a tutto il mondo. Fare, quindi, il Giubileo, aprire la Porta Santa a San Paolo, è come dire che questo amore dovrebbe essere inviato a tutti i popoli, a tutte le genti della Terra.

R. – A livello spirituale significa aprire anche noi il nostro cuore a Cristo, che viene nell’Anno della Misericordia. Significa un’accoglienza verso i pellegrini che verranno a cercare la misericordia.

R. – Il Giubileo significa l’apertura, nella vita che si sta vivendo, di una fase nuova in cui con impegno e con la grazia di Dio si può ricevere il perdono e impegnarsi in qualcosa per essere migliori.

R. – Per me l’apertura della Porta Santa più che altro è l’apertura del nostro cuore a questo anno giubilare che inizia. E l’invito del Santo Padre di vivere le opere di misericordia e spirituali penso sia un modo di vivere evangelico grande e necessario per il mondo che stiamo vivendo oggi. Per me l’apertura della Porta Santa è come un richiamo, a me e a tutti noi, ad aprire il cuore.

D. – In che modo sta vivendo queste prime giornate di Giubileo?

R. – Mi sto preparando appunto ad accogliere questo messaggio pregando, sicuramente, e anche cercando di capire un po’ di più la storia del Giubileo e tutto quello che comporta.

R. – Chiaramente, ci prepariamo. Parlare adesso di passaggio della Porta Santa è prematuro, perché ci vuole tutto un percorso di avvicinamento. E’ un pellegrinaggio e noi ci mettiamo in cammino come tutti i pellegrini.

R. – Sono stata all’apertura della Porta Santa a San Pietro e per me è stato un momento molto particolare, un momento in cui la Porta si è aperta veramente verso uno spazio che non ha confini. Questi momenti sono per me un’apertura, una speranza che si possa andare oltre.  

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Festa Madonna Guadalupe. Francesco: in Messico dal 12 al 18 febbraio

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Papa Francesco compirà il suo viaggio apostolico in Messico dal 12 al 18 febbraio dell'anno prossimo. Lo ha annunciato lui stesso, ieri pomeriggio, nella Basilica di San Pietro dove ha celebrato la Santa Messa in occasione della Festa di Nostra Signora di Guadalupe, Patrona del Paese. Francesco ha centrato la sua omelia sull’amore misericordioso di Dio. Massimiliano Menichetti: 

"Viajaré a venerarla en su Santuario el próximo 13 de febrero...
“Viaggerò per venerarla nel suo Santuario il prossimo 13 febbraio”. Affidando il Messico e il continente americano alla Vergine, il Papa ha annunciato il suo XII Viaggio Apostolico internazionale. Una visita di cinque giorni che inizierà il 12 -  riferisce la Sala Stampa vaticana - e che vedrà il Papa confermare nella fede ed abbracciare tutto il popolo del Paese latinoamericano. Francesco incontrerà autorità, indigeni, farà visita ai detenuti, agli ammalati, naturalmente pregherà con tutta la Chiesa locale. Un viaggio che il Pontefice ha messo nel cuore di Maria nel giorno della “Festa di Nostra Signora di Guadalupe”, patrona del Messico. Il Papa nella Basilica di San Pietro ha sottolineato “l’amore misericordioso” di Dio, che ci ama di un amore “gratuito - dice - senza limiti, senza attendersi nulla in cambio”. Un amore che è “la sintesi in cui è condensato il messaggio evangelico, la fede della Chiesa”:

"La palabra misericordia está compuesta por dos palabras...
“La parola misericordia è composta da due parole distinte: miseria e cuore. Il cuore indica la capacità di amare; la misericordia è l’amore che abbraccia la miseria della persona”.

L’amore di Dio prosegue “è un amore che sente la nostra indigenza come se fosse propria con lo scopo di liberarcene”. Dio ha mandato suo Figlio che si è fatto carico “con la Croce di tutto il dolore dell’esistenza umana” e porsi vicino e “al servizio dell’umanità ferita”. “A Dio - ha sottolineato – non piace nemmeno lo gnosticismo”:

"Ningún pecado puede cancelar su cercanía misericordiosa...
“Nessun peccato può cancellare la sua vicinanza misericordiosa, né impedirgli di porre in atto la sua grazia di conversione, a condizione che noi la invochiamo”.

“Il peccato stesso - continua il Papa - fa risplendere con maggior forza l'amore di Dio Padre che, per riscattare lo schiavo, ha sacrificato il suo Figlio”. Questa misericordia di Dio ci raggiunge con il dono dello Spirito Santo nel “Battesimo”:

"Por más grandes y graves que sean los pecados del mundo...
“Per quanto i peccati del mondo possano essere grandi e gravi, lo Spirito, che rinnova la faccia della terra, rende possibile il miracolo di una vita più umana, piena di gioia e di speranza”.

“Il Signore cammina al nostro fianco” “ci sostiene” - prosegue Francesco - “ci apre gli occhi per farci vedere le nostre miserie e quelle del mondo” e allo tesso tempo ci “riempie di speranza”:

"Esta es la fuente de nuestra vida pacificada y alegre...
“Questa è la fonte della nostra vita serena e felice; non c’è nessuno che possa privarci di questa pace e felicità, nonostante le sofferenze e le prove della vita”.

Il Papa poi chiede di coltivare “questa esperienza di misericordia, di pace e di speranza:

"El Señor con su ternura nos abre su corazón...
“Il Signore con la sua tenerezza ci apre il suo cuore, ci apre il suo amore; Il Signore è allergico alla rigidità”.

E “nel cammino di Avvento”, “alla luce dell’Anno giubilare” Francesco invita ad “Annunciare la Buona Novella ai poveri”, “compiendo opere di misericordia”. Indica Maria “che ha sperimentato la misericordia divina”, che “ha sempre vissuto intimamente unita a suo Figlio” che “sa più di chiunque altro ciò che Egli vuole”:

"Que todos los hombres se salven...
“Che tutti gli uomini si salvino, e che a nessuno venga mai a mancare la tenerezza e la consolazione di Dio. Che Maria, Madre di Misericordia, ci aiuti a comprendere quanto Dio ci ama”.

A Maria il Papa affida “sofferenze e le gioie dei popoli di tutto il continente americano”:

"Ella le pedimos que en este año jubilar...
“A Lei chiediamo in questo Anno giubilare che sia una semina di amore misericordioso nel cuore delle persone, delle famiglie e delle nazioni. Che continui a ripeterci: Non avere paura, non sono forse qui io che sono tua Madre, Madre di Misericordia”.

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Il programma del viaggio di Papa Francesco in Messico

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La Sala Stampa della Santa Sede ha pubblicato il programma del prossimo viaggio Apostolico di Papa Francesco in Messico che si terrà dal 12 al 18 febbraio 2016 (leggi il programma integrale). Sarà una visita molto intensa a partire dall’accoglienza ufficiale che il Papa riceverà al suo arrivo all’aeroporto Internazionale “Benito Juárez” di Città del Messico il 12 febbraio alle 19.30. Il giorno dopo, il 13 febbraio, ci sarà la cerimonia di benvenuto, la visita di cortesia al presidente della Repubblica, l’incontro con le autorità, con la società civile e con il Corpo diplomatico. Sempre in mattinata, l’incontro con i Vescovi del Messico e nel pomeriggio la Santa Messa nella Basilica di Guadalupe.

Domenica 14, dopo il trasferimento in elicottero ad Ecatepec, si terrà la Santa Messa nell’area del Centro Studi di Ecatepec, poi alle 12.50 il trasferimento in elicottero a Città del Messico per la visita all’ospedale pediatrico “Federico Gómez” e l’incontro con il mondo della cultura.           

La mattina di lunedì 15 arriverà a San Cristóbal de Las Casas per la Santa Messa con le comunità indigene del Chiapas nel Centro sportivo municipale. Dopo il pranzo con rappresentanti di indigeni e con il seguito papale si terrà la vista alla Cattedrale di San Cristóbal. Presso lo stadio “Víctor Manuel Reyna” di Tuxtla Gutiérrez si terrà invece l’incontro con le famiglie. In serata il rientro a Città del Messico.

Il 16 febbraio Francesco raggiungerà in aereo Morelia per la Santa Messa con sacerdoti, religiose, religiosi, consacrati e seminaristi. Visiterà la Cattedrale e incontrerà i giovani nello stadio “José María Morelos y Pavón”. Quindi il rientro a Città del Messico.

Mercoledì 17 febbraio, il Papa partirà per Ciudad Juárez, dopo l’atterraggio all’aeroporto internazionale “Abraham González” si recherà al Penitenziario locale per una visita ai detenuti. Alle 12.00 incontrerà presso il Colegio de Bachilleres dello Stato di Chihuahua i rappresentati del mondo del lavoro. Nel pomeriggio la Santa Messa nell’Area fieristica di Ciudad Juárez. Alle 19:15, dopo la cerimonia di congedo all’aeroporto internazionale di Ciudad Juárez il rientro in Italia presso l’aeroporto di Roma/Ciampino. 

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Giubileo in Terra Santa. Pizzaballa: misericordia, parola dimenticata

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Apertura della Porta Santa anche a Gerusalemme, questo pomeriggio. A presiedere il rito nella Basilica del Getsemani, il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal. Ma come ci si è preparati al Giubileo della Misericordia? Elvira Ragosta lo ha chiesto al custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa: 

R. – Ci si è preparati in tutte le parrocchie, in tutte le case religiose, insomma in tutti i centri di attività della Chiesa, innanzitutto con la preghiera e poi con gesti di carità anche tra di noi: con l’apertura delle nostre case agli stranieri, ai profughi che sono qui, non potendo accogliere i profughi che vengono dalla Siria per via della situazione politica. Insomma, abbiamo cercato anche noi di rientrare in questo clima che appartiene a tutta la Chiesa.

D. – Quanto è importante questo Giubileo della Misericordia per la Terra Santa?

R. – Direi che sia fondamentale. La Terra Santa, da generazioni e generazioni, vive un conflitto che sembra interminabile, che è a sfondo politico, ma anche religioso, dove comunque le comunità continuano a rinfacciarsi l’un l’altra i torti e le ingiustizie. Senza il perdono, senza la misericordia, non si potrà nemmeno parlare di giustizia, di cui abbiamo tanto bisogno. E questo Giubileo della Misericordia è l’occasione per aiutare anzitutto noi stessi, ma anche le comunità che vivono attorno a noi, a recuperare uno sguardo diverso, più libero, redento e misericordioso sull’altro.

D. – In Terra Santa, l’apertura della Porta nella Basilica del Getsemani, poi ad Haifa nella Cattedrale melchita e in quella maronita. Ma Porte Sante si aprono anche in Giordania, a Cipro, in Iraq, in Siria. Il valore della misericordia per il Medio Oriente...

R. – La misericordia sembra essere dimenticata sia nell’ebraismo, come anche nell’islam e in modo particolare nel cristianesimo. La misericordia è una delle virtù importanti e fondanti e sembra essere dimenticata. Basti guardare le grandi guerre che ci sono. Noi, piccola comunità cristiana, vogliamo ricordarci innanzitutto la misericordia che Dio ha usato con noi: l’essere una presenza di misericordia, di perdono, di riconciliazione, laddove le situazioni sembrano anche incancrenite o irreversibili. E’ l’unica parola positiva che possiamo dire in questo contesto lacerante.

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Giubileo tra i profughi cristiani di Erbil: perdono per i persecutori

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Ad Ankawa, nel Kurdistan iracheno, nella diocesi di Erbil, si trovano i cristiani iracheni cacciati dalla Piana di Ninive dalle violenze dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico. Stamattina, qui, nella Cattedrale di San Giuseppe, è stata aperta la Porta Santa. Tanti i fedeli presenti. Ascoltiamo la testimonianza di padre Benham Benoka, sacerdote siro-cattolico di Mossul, al microfono di Fabio Colagrande

R. – Come già aveva detto il Santo Padre, annunciando questo Giubileo, Cristo è il volto della misericordia di Dio. Essendo il Corpo di Cristo, come Chiesa, ci dà questa responsabilità di essere come il Cristo: misericordiosi in mezzo al mondo. Per noi questo non è facile. E’ proprio molto difficile, essendo perseguitati in una società che abbiamo costruito noi migliaia di anni fa e in cui oggi noi siamo rifiutati, siamo perseguitati. Vivere la misericordia qui sembra difficile, però non impossibile al cristiano. Questo non ci distoglie dalla responsabilità di aprire le mani verso, non solo i fratelli, ma anche verso coloro che ci perseguitano.

D. – Come è possibile questo? Come è possibile parlare di perdono in una situazione così drammatica?

R. – La vita del cristiano oggi lo vede portare le stesse ferite del Cristo, tradito da tutta la sua società. Il cristianesimo qui, in Medio Oriente, non solo in Iraq, ma in tutto il mondo dove ci sono cristiani perseguitati, questa persecuzione ci dà la possibilità di vivere la grazia della croce. Forse queste parole non sono accettabili da una società molto “ragionevole”, ma da una società che vive la persecuzione quotidianamente e che ha in casa, nella tenda e nel container anche la croce di Cristo, è molto possibile. Anzi, forse questa per noi è l’unica speranza da cui prendiamo tutta la forza per andare avanti. Questo perdono, però, non vuol dire accettare che il male avanzi. Questo è contro il progetto di Dio di portare la pace, di portare l’amore al mondo.

D. – Questa porta aperta nella cattedrale di Ankawa ad Erbil può essere una porta aperta sulla pace?

R. – Sicuramente questa porta è come le porte del cuore di ogni cristiano: è aperta per avere uno scambio di pace con gli altri, per accettare gli altri malgrado i loro comportamenti verso i cristiani. Su un altro livello, però, ci deve essere anche la giustizia, giustizia che è l’unica condizione che può impedire il male dei malvagi.

D. – Quindi voi pregate anche perché questa apertura di una Porta Santa ad Erbil sia occasione per ricordare al mondo, alla comunità internazionale, la situazione drammatica in cui vivete voi cristiani iracheni…

R. – Sicuro. La nostra testimonianza attraverso l’apertura della Porta del cristianesimo della misericordia a tutti è un segnale per dire: “Avvicinatevi tutti e gustate l’amore di Cristo”. Questo credo che sia non una propaganda, ma la nuova evangelizzazione voluta dal Santo Padre e voluta anche dalla Chiesa sin dall’inizio.

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Aperta Porta Santa ad Aleppo. Francescano: grande segno di speranza

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Mentre continuano in Siria gli scontri e i raid, ieri pomeriggio è stata aperta la Porta Santa ad Aleppo. Il rito si è svolto nella Parrocchia di San Francesco, attaccata lo scorso 25 ottobre con un lancio di granate. Sul significato di questo evento ascoltiamo il padre francescano Ibrahim Alsabagh, parroco della comunità latina di Aleppo, al microfono di Fabio Colagrande

R. – E’ un grande segno di carità di questi cristiani, che vivono qui nonostante tutto l’odio e non pensano alla vendetta, ma invece alla riconciliazione e ad aprire la porta anche alle persone che hanno tirato bombe alla Chiesa. E’ un grande segno di speranza. Questo significa anche, infatti, che l’odio non prevale, la morte che viene da queste bombe e da quello che succede oggi nel Paese non prevale sulla vita e non prevale sull’intervento misericordioso di Dio, che sperimentiamo ogni giorno nella nostra vita. E’ un grande segno, quindi, di speranza e di carità per tutta la comunità cristiana, ma anche per tutti i cittadini.

D. – La porta della parrocchia di San Francesco ad Aleppo può essere una porta aperta anche sulla pace, sulla riconciliazione, sul dialogo?

R. – Certamente, perché ormai lanciamo ogni giorno messaggi di riconciliazione, di speranza non soltanto ai cristiani, di carità. Stendiamo la mano non soltanto ai nostri, ma anche alle persone che appartengono all’altra parte, a quelli più fondamentalisti, che per odio lanciano bombe cieche sulle abitazioni, sulle strade, sulle chiese, sulle moschee. Stendiamo sempre la mano e abbiamo ogni giorno qualche messaggio che viene mandato a tutte le persone, a tutta Aleppo, ma anche a tutto il Medio Oriente e a tutto il mondo.

D. – Come si vive oggi ad Aleppo?

R. – C’è paura, perché abbiamo sempre notizia delle tante bombe che cadono ancora in diverse zone della città, zone controllate dall’esercito regolare. Queste bombe continuano a creare danni, a distruggere tante case, ad ammazzare tante persone. Per questo c’è sempre un po’ di paura, un po’ di tensione, un po’ di amarezza. A livello di fede, però, abbiamo sempre i cuori pieni della consolazione dello Spirito Santo ed anche di gioia. Per noi questa Porta Santa, voluta dal Papa nel nome di tutta la Chiesa, in tutto il mondo, è un grande segno di speranza e un grande segno di questa presenza affettuosa di un Padre misericordioso che provvede sempre ai suoi figli, ma anche a tutti gli uomini che sono qui.

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L'arcivescovo Zuppi a Bologna: nessuno si senta escluso

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Da ieri pomeriggio Bologna ha un nuovo arcivescovo: mons. Matteo Maria Zuppi, che succede al cardinale Carlo Caffarra. Nominato da Papa Francesco lo scorso 27 ottobre, mons. Zuppi lascia la diocesi di Roma, dove era vescovo ausiliare per il settore Centro. Il suo insediamento è coinciso con l'apertura della Porta Santa. Da Bologna Luca Tentori: 

“Cominciamo da quei tanti che sono ancora sulle panchine delle Piazze grandi per i quali possiamo noi trovare il modo di  dargli le carezze di cui hanno bisogno, come cantava il poeta. E in realtà "a modo mio" ne abbiamo bisogno tutti, come anche di pregare Dio”.

Le parole di Lucio Dalla in "Piazza grande" hanno aiutato mons. Matteo Maria Zuppi a presentarsi a Bologna, alla diocesi che da ieri pomeriggio guida come nuovo arcivescovo. Un episcopato che inizia sotto la cifra dell’Anno Santo della misericordia; un programma pastorale che è stato spiegato chiaramente con i numerosi incontri della mattinata prima della presa di possesso della cattedra che fu di San Petronio. Un viaggio iniziato di buon mattino che ha percorso la geografia della Chiesa emiliana visitando le periferie fisiche ed esistenziali: il Santuario della Madonna di Bocca di Rio con le comunità di montagna dell’Appennino, la Casa della Carità con i disabili e i profughi, i bambini di oncologia dell’ospedale Sant’Orsola. Periferie che diventano centro se è presente e annunciato Cristo. Poi la sosta nella memoria storica di una terra che conserva ancora aperte le ferite del secolo scorso: Marzabotto con gli eccidi della seconda guerra mondiale, la stazione centrale con la strage terrorista del 2 agosto 1980. E mons. Zuppi non si è sottratto anche all’accoglienza degli operai della Saeco che, per il momento, vedono solo un futuro molto incerto. L’abbraccio della città nel pomeriggio, con i giovani e i ragazzi che dalle due torri, simbolo di Bologna, lo hanno accompagnato nella Basilica di San Petronio. Lì con la lettura della Bolla papale di nomina è diventato il 120.mo successore del primo vescovo dell’antica Bononia, San Zama. A pregare con lui decine di migliaia di fedeli provenienti anche dalla Comunità di Sant’Egidio, in cui è cresciuto, e da molte parrocchie romane guidate dal cardinale Vicario Agostino Vallini. Queste le parole di mons. Zuppi:

“La gioia del Vangelo, quella di cui oggi in questa domenica siamo chiamati, si confronta con i tanti motivi di preoccupazione, che agitano i nostri cuori e il mondo. Noi non ci chiudiamo nei paradisi finti, non smettendo di lottare contro il male. L’avvento ci prepara a riconoscere la nostra gioia nella scandalosa debolezza della mangiatoia di Betlemme, così vera, così umana. E in tutte quelle mangiatoie di quelli che non trovano posto come Gesù. Allora la gioia si misura con le difficoltà vere della vita ed è anche lotta. E tutt’altro che buonismo, è come la misericordia. E la misericordia vede quello che ancora non c’è e la prepara”.

E anche per la diocesi di Bologna ieri pomeriggio il Giubileo straordinario ha portato l’apertura della Porta Santa nella cattedrale cittadina di San Pietro. E’ stato il primo atto dell’arcivescovo Zuppi che domenica prossima salirà al Santuario della Madonna di San Luca per aprire la seconda Porta della Misericordia nella sua nuova Chiesa:

“E’ per me una grazia nella grazia potere iniziare mettendomi insieme a voi tutti in cammino verso la porta santa che è Cristo e la sua misericordia. Questa è la Chiesa: un popolo di pellegrini, tutti gente di strada, una famiglia tanto più larga dei nostri confini (da scoprire e servire) che attraversa la porta che è Cristo perché ascolta la sua voce, la riconosce nella confusione e nell’incertezza della vita. La porta fa entrare in un'altra dimensione e permette di non restare prigionieri della propria. Questa porta ci apre il cuore a tutta la città. E nessuno deve essere escluso”.

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Oggi in Primo Piano



Violenze in Burundi: oltre 80 morti, ma non è guerra tra Hutu e Tutsi

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Giornate di scontri e violenze in Burundi, dove circa 90 persone sono rimaste uccise nella capitale Bujumbura, in quello che è l’episodio più grave dallo scorso maggio, quando sono cominciate le proteste contro la rielezione, per la terza volta consecutiva, del presidente Nkurunziza.150 uomini armati hanno attaccato tre basi militari nei pressi della città e sono stati fermati da esercito e polizia. Non è chiaro, invece, se nel bilancio fornito dalle autorità siano compresi i 28 corpi ritrovati nelle strade dei quartieri in cui è più forte l’opposizione al presidente. Ma a dieci anni dal conflitto interetnico tra Hutu e Tutsi, c'è il rischio di una nuova guerra civile in Burundi? Roberta Gisotti lo ha chiesto a don Dieudonné Niyibizi, sacerdote burundese: 

R. – La situazione è a rischio di una guerra civile. I ragazzi, infatti, che hanno manifestato durante questi otto mesi contro la candidatura del presidente al suo terzo mandato sono armati. In Burundi inoltre girano le armi sia fra gli Hutu che fra i Tutsi. Ci sono infatti gruppi armati sia dal Congo che dal Burundi. Allora, in questo caso, c’è il rischio di una guerra civile, ma non tra gli Hutu e i Tutsi, perché l’esercito è al 50 per cento Hutu e Tutsi e così le istituzioni e gli oppositori. Abbiamo quindi una situazione conflittuale non tra gli Hutu e i Tutsi, ma tra due gruppi politici. Un conflitto, quindi, politico con forse un sottofondo etnico, perché il nostro passato, la nostra storia recente, è una storia di opposizione tra Hutu e Tutsi. Oggi non così, ma in sottofondo, i sentimenti che abbiamo, i sentimenti dei burundesi, sono quelli delle vittime Hutu e Tutsi. Oggi, comunque, la questione è più politica.

D. – Siamo di fronte, quindi, ad un deficit di democrazia in questo caso…

R. – Sì, un deficit di democrazia, perché i partiti politici non funzionano correttamente. Gli oppositori, fuori del Paese, vogliono tornare e c’è anche il rischio che si armino. C’è la tendenza ad armarsi per ritornare nel Paese. Questa non sarà più una democrazia, ma un regime politico basato sulla forza, su chi è più forte. La democrazia in Burundi va salvata quindi con un dialogo tra i due gruppi: quelli che sono al potere e  quelli che sono ora all’opposizione, sia all’interno che all’esterno del Paese.

D. – Come vive oggi la popolazione del Burundi che, con tanta sofferenza alle spalle, aveva intrapreso una via di riconciliazione etnica? Questa riconciliazione era a buon punto?    

R. – La riconciliazione è già cominciata da 10 anni. Ci sono, però, ferite ancora sanguinanti. Questa guerra di cui si parla – perché viene annunciato che domani ci sarà una guerra – crea paura, stressa la gente che voleva tornare ad una vita normale. Capite che nel Burundi le popolazioni rurali, nelle province, sono tranquille, ma hanno bisogno della pace, hanno bisogno di poter mangiare e vivere. Il Burundi è uno dei Paesi più poveri del mondo, quindi la popolazione cerca la riconciliazione, di ritrovare la pace, di vivere, di mangiare, di trovare qualcosa da mangiare. La guerra quindi di cui si parla in Burundi è una cosa che tocca le ferite ancora sanguinanti di un Paese non ancora riconciliato.  

D. – Quale ruolo svolge la Chiesa cattolica?

R. – La Chiesa cattolica ha cercato di aiutare il governo durante questa crisi a trovare una via che riconcili i burundesi: in questi ultimi dieci anni ha cercato di riconciliare il Burundi organizzando un Sinodo per la riconciliazione. Questo ha messo in luce che i burundesi sono stanchi; i burundesi vogliono vivere in pace, vogliono riconciliarsi. Il contesto, in questo momento però, è quello di un ritorno al passato. Si perdono ora tutti i risultati raggiunti durante questo Sinodo. E la Chiesa continua ad accompagnare, a dare consigli al governo, perché dialoghi e arrivi alla pace, senza l’uso delle armi.

D. – E’ importante anche che ci sia correttezza nell’informazione sulla situazione critica che sta vivendo il Burundi, cioè di non paventare un genocidio, perché non si è a questo. Sarebbe comunque un altro tipo di conflitto…

R. – Adesso, in Burundi, ci sono più media privati che possono dare un’altra lettura della situazione. Ci sono tante notizie che girano soprattutto nelle reti sociali e anche nei media del governo. Bisogna, quindi, oggi, saper parlare - sia dal lato del governo che dal lato dell’opposizione - sapere cosa dire, perché parlando di genocidio ora c’è il rischio di una guerra civile, di uccisioni a larga scala. Un genocidio è qualcos’altro, deve essere organizzato, deve essere preparato, ma non è questo. Parlare, infatti, ancora di questo in Burundi, nei media, e fare paura alla gente o, ancora, creare allarme nella comunità internazionale, questo per me incentiva la guerra, crea disperazione: è chiamare la gente a difendersi, mentre in realtà non siamo ancora a questo.

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Conferenza sulla Libia a Roma: verso governo di unità nazionale

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Si è aperta a Roma questa mattina la Conferenza internazionale sulla Libia, promossa da Italia, Stati Uniti e Onu. L’incontro, a cui partecipano molti attori regionali e internazionali, ha l’obiettivo di trovare un’intesa per la formazione di un governo di unità nazionale fra i parlamenti di Tobruk e di Tripoli di fronte all'avanzata del sedicente Stato Islamico. Il servizio di Marco Guerra: 

I capi delle diplomazie occidentali e arabe riuniti alla Farnesina vogliono chiudere la partita nei tempi previsti, ovvero il 16 dicembre, data in cui i due parlamenti libici di Tobruk e di Tripoli dovrebbero firmare l'accordo per un governo di unità nazionale mediato dall'Onu. Al meeting sono infatti presenti i rappresentati dei due governi libici e anche di gruppi indipendenti che si oppongono all’intesa sostenuta dalla Comunità internazionale. Su tutti questi ci saranno le pressioni dei vari attori presenti a Roma: l’inviato speciale delle Nazioni Unite Martin Kobler; il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni; il segretario di Stato Usa, John Kerry; i rappresentati degli altri quattro membri permanenti del Consiglio di Sicurezza - Russia, Gran Bretagna, Cina e Francia – e quelli dei principali Paesi Arabi e del Maghreb. L’imperativo è fare presto perché in Libia la minaccia dell’Is è sempre più incombente. Sirte è ormai una roccaforte dello Stato Islamico e due giorni fa la presenza di milizie jihadiste è stata segnalata a Sabrata, a qualche decina di km dal confine con la Tunisia.

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Ballottaggio in Francia: duro scontro Valls-Le Pen

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In Francia si vota questa domenica per i ballottaggi delle Regionali che hanno visto al primo turno l’ascesa del Fronte Nazionale di Marine Le Pen in 6 Regioni su 13. Il premier socialista Valls accusa la formazione di destra di fomentare divisione e scontro civile nel Paese. “Un modo violento di concludere la campagna elettorale”, replica la Le Pen. In questo clima conflittuale cresce in queste ore l'affluenza alle urne. Eugenio Bonanata ne ha parlato con Riccardo Brizzi, docente di storia contemporanea all’Università di Bologna: 

R.  – È uno scambio che si ricolloca nella tradizione francese. Quando vengono individuati partiti, movimenti o personalità pericolose per il sistema, si ha una sorta di riflesso della cosiddetta “difesa repubblicana”, nella quale i partiti di governo - in questo caso il rappresentante del governo - cercano di delegittimare l’avversario, individuato come “anti-sistema” per portarlo al di fuori della legittimità repubblicana. È un fenomeno che in Francia torna ciclicamente, ma questa volta testimonia qualcosa di più attuale: il fatto cioè che nel contesto politico francese essenzialmente i partiti di governo, le coalizioni di centro-sinistra e di centro-destra – Hollande e Valls a sinistra, e Sarkozy e Juppé a destra – sollecitano un voto contro. Una sorta di argine contro l’avanzata del Front National che al primo turno è parsa evidente.

D. – A chi giova questo stato di cose?

R. – La situazione attuale è piuttosto difficile da decifrare. Il primo turno aveva visto una grande avanzata del Front National; ma se guardiamo tutti i sondaggi del secondo turno, questi ci dicono che i Socialisti, nonostante uno stato di salute malconcio, probabilmente vinceranno almeno in quattro Regioni. Il resto dovrebbe andare alla destra repubblicana di Sarkozy, salvo una Regione, l’Alsazia-Lorena che dovrebbe probabilmente cadere – storicamente – nelle mani del Front National per la prima volta. Alla luce di questi risultati, la retorica che si spargerà dopo il voto è quella della tenuta del sistema repubblicano francese, che è un sistema che perde acqua. Come abbiamo detto, è un sistema nel quale si vota contro l’avversario che viene ritenuto più lanciato elettoralmente – il Front National – ma soprattutto è un sistema che mostra come il doppio turno non possa più funzionare. Questo può funzionare in un sistema bipartitico, ma non in un sistema, come è quello francese, che è ormai nettamente tripartitico, tripolare. Il Front National è evidentemente il primo partito di Francia, ma, a seguito di alleanze contro natura tra la sinistra e la destra, non ottiene quel premio in termini di seggi, e in questo caso di Regioni, che i propri consensi meriterebbero. E il rischio è quello di alimentare poi un senso di disaffezione o di estraneità alla politica da parte di un’opinione pubblica francese che già lo ha mostrato in occasione del primo turno, andando a votare sotto il 50% degli aventi diritto.

D. – In che modo questa tornata prepara il campo alle presidenziali del 2017?

R. – L’intera vita politica francese è incentrata essenzialmente sulle presidenziali che sono la madre di tutte le campagne elettorali. E di conseguenza questo rappresenta una sorta di grande anticipazione del voto presidenziale. Tutti i sondaggi in Francia stanno elaborando dati per prevedere quale potrebbe essere l’esito della tornata presidenziale. Il dato che emerge è un dato che, fino sostanzialmente al mese scorso, vedeva Hollande escluso dal secondo turno: tutti i sondaggi davano primo partito Marine Le Pen e secondo il Centro-Destra con Hollande nettamente terzo. Questa era una sorta di riproposizione del 21 aprile 2002, quando a confrontarsi al secondo turno erano stati Le Pen, da un lato, e Chirac dall’altro. Il dato che cambia la situazione sono gli attentati del 13 novembre che hanno riportato Hollande con un credito di popolarità notevole, ma una popolarità “dopata” che rischia di sgonfiarsi nel corso del prossimo anno e mezzo. E di conseguenza la grande battaglia politica che attende Hollande è anzitutto la riduzione della disoccupazione nel corso del 2016. L’altro dato che attende Hollande per poter concorrere al secondo turno delle presidenziali è quello di emergere come un presidente autorevole. La normalizzazione, il presidente “normale", che lo aveva portato all’Eliseo nel 2012, non regge in un contesto in cui il presidente è assimilato ad una sorta di monarca repubblicano. Di conseguenza, Hollande deve ripresidenzializzare la propria figura per poter correre sicuramente contro Marine Le Pen, e probabilmente contro uno tra Alain Juppé e Nicolas Sarkozy.

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Nella Chiesa e nel mondo



Voto in Arabia Saudita: per la prima volta elette alcune donne

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In Arabia Saudita, sarebbero almeno quattro le donne elette nello storico voto di ieri per le regionali. Lo scrive al Jazira citando media locali. Il conteggio delle schede è ancora in corso, ma secondo i primi dati, due donne hanno ottenuto un seggio nei consigli comunali nel governatorato di Ihsaa e due rispettivamente in quello di Tobouk e della Mecca. Le elezioni di ieri sono state le prime in cui le donne potevano votare ed essere elette. Secondo quanto riferisce al Jazeera, l'affluenza è stata di circa il 25%. Oltre 900 donne si erano candidate, contro quasi 6.000 uomini, in 284 comuni che hanno poteri limitati alle questioni locali, come gestione di strade, giardini pubblici e raccolta dei rifiuti.

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Il Gambia diventa una "Repubblica islamica"

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Il presidente del Gambia, Yahya Jammeh, ha dichiarato il Paese una “Repubblica islamica”, anche se i diritti delle minoranze cristiane - afferma - non saranno toccati né alle donne sarà richiesto un abbigliamento particolare. In un discorso trasmesso dalla tv nazionale, ha detto di aver preso la decisione “in linea con l'identità religiosa e i valori dello Stato” e anche per prendere le distanze dal passato coloniale.

"Il destino del Gambia è nella mani di Allah, ha detto Jammeh, assicurando che lo Stato rispetterà i diritti dei cittadini. "I cristiani saranno trattati con il dovuto rispetto - ha concluso - le celebrazioni per il Natale continueranno". Ex colonia britannica, il piccolo Paese africano ha una popolazione di circa due milioni di abitanti, il 90% dei quali di fede musulmana. I cristiani sono circa l'8% della popolazione. 

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Francia. Sondaggio sulla vita consacrata: vocazioni in crescita

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Un francese su dieci ha pensato almeno una volta nella vita di entrare in un ordine religioso, una cifra che sale al 15 per cento tra i giovani tra i 18 e i 24 anni e al 14 per cento tra quelli tra i 25 e i 34 anni. E’ risultato di uno studio sulla vita consacrata realizzata dall’Istituto OpinionWay per la Conferenza dei religiosi e delle religiose di Francia (Corref).

Un trend che si osserva da qualche anno
Un risultato sorprendente nella patria della laïcité e che colpisce anche padre Jean-Pierre Longeat, presidente della Corref: “Anche se per alcuni si tratta solo di una vaga idea, vuol dire che le vocazioni ci sono!”, dice al quotidiano “La  Croix”. Per suor Nathalie Becquart, direttrice del Servizio nazionale per l’evangelizzazione della Conferenza episcopale francese,  i dati confermano un trend che si osserva da qualche anno.

Ancora diffusi alcuni luoghi comuni sulla vita religiosa
L’indagine indica che il 65 per cento dei francesi ha una buona immagine della vita consacrata. E tuttavia oggi questa scelta fa paura: per il 58 per cento degli intervistati essa si scontra con il desiderio di fondare una famiglia, con i timori di un impegno a vita  (25 per cento) o con la paura di non potere rispettare i voti presi (12 per cento). Il 63 per cento dei francesi (il 67 per tra i giovani) considera la vita consacrata “un modo per alcuni di fuggire dal mondo” e soltanto il 50 per cento (43 per cento tra i giovani) come un “servizio utile per la società”. La stessa domanda posta a giovani professi ha ottenuto risposte opposte: l’85 per cento si sente utile alla società e il 93 per cento afferma di non sentirsi fuori dalla realtà. Per suor Nathalie, la principale difficoltà dei promotori vocazionali è quella di cambiare questa percezione della vita consacrata e una soluzione in questo senso potrebbe essere quella di promuovere incontri tra i giovani e i consacrati.

La sete di spiritualità più sentita tra i giovani
L’indagine ha anche analizzato la spiritualità dei giovani tra i 18 e i 40 anni, con un’attenzione particolare a quelli tra i 18 e i 24 anni, età decisiva per le vocazioni. Anche qui si riscontra una maggiore sete di spiritualità tra i più giovani: il 51 per cento considera probabile, o certa l’esistenza di Dio, mentre il 25 per cento si dice praticante. Di fatto si tratta della fascia d’età più credente in Francia oggi. (L.Z.)

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La Chiesa australiana indice l’Anno della Gioventù

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Nel 2018 la Chiesa australiana celebrerà l’Anno nazionale della gioventù per ricordare il decimo anniversario della Gmg di Sydney, celebrata nel 2008 con Benedetto XVI. Lo ha annunciato ufficialmente il responsabile della pastorale giovanile nella Conferenza episcopale, mons. Anthony Fisher, durante la messa conclusiva del Festival dei giovani cattolici australiani, svoltosi nei giorni scorsi ad Adelaide.

Un’occasione per celebrare i frutti della GMG 2008
L’idea è del Consiglio nazionale della gioventù cattolica ed è stata approvata dai vescovi. L’anno speciale sarà lanciato il 29 novembre 2016 in occasione del prossimo Festival dei giovani. Sarà “un’occasione per ricordare un evento miliare per la vita della Chiesa in Australia”, ha detto mons. Fisher. “È fondamentale che essa punti prioritariamente sui giovani e riaffermi e sostenga il suo impegno pastorale per loro nello spirito della Gmg del 2008”.

Incoraggiare il dialogo dei giovani con Cristo
L’Anno della gioventù ricalcherà il modello dell’Anno di grazia indetto dai vescovi australiani dalla Pentecoste 2012 alla Pentecoste 2013 con l’obiettivo di costruire il futuro della Chiesa in Australia ripartendo da Cristo, per attingere un rinnovato slancio nella vita cristiana, ascoltando la voce di Gesù con più profonda attenzione e con un nuovo senso di appartenenza ecclesiale. In questo senso esso vuole essere un invito alla Chiesa australiana ad incoraggiare il dialogo dei giovani con Cristo perché possano condividere i loro doni con la comunità ecclesiale  e la società e a dare loro speranza nel futuro della Chiesa nelle loro comunità. Il focus principale dell’Anno della gioventù saranno quindi le comunità di fede locali. Il Consiglio della gioventù darà il suo supporto alle varie iniziative messe in campo fornendo sussidi e vario materiale.  (L.Z.)

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Slovacchia. Settimana nazionale del matrimonio

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“Ricetta per un buon matrimonio”: è questo il motto della Settimana nazionale del matrimonio (Snm) che si terrà dall’8 al 14 febbraio 2016 in Slovacchia. “Vogliamo incoraggiarvi ad essere attivi, vogliamo esprimervi la nostra più profonda gratitudine per le interessanti attività e progetti destinati alle coppie sposate che state organizzando nel vostro quartiere”, ha dichiarato il promotore della Snm, Vlado Sochor, citato dall’Agenzia Sir. Di qui, l’auspicio che la quinta edizione di questa iniziativa di successo rappresenti per tutti i coniugi della Slovacchia un’occasione per ravvivare la loro relazione e rinnovare la propria decisione di affrontare insieme ogni difficoltà e momento difficile.

Occasione per riflettere sulla sacralità del matrimonio
“La settimana nazionale del matrimonio non è la celebrazione di matrimoni perfetti, ma offre a tutti noi uno spazio per fermarci a riflettere sulle ragioni che ci hanno spinto ad entrare in questa unione sacra, per rinnovare il nostro lato romantico, o semplicemente per fare qualcosa di carino per il nostro partner”, spiegano gli organizzatori. La Settimana del matrimonio si è tenuta per la prima volta in Inghilterra circa vent’anni fa. Oggi decine di Paesi in tutto il mondo organizzano la campagna a livello nazionale. (I.P.)

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Convenzione tra Conferenza episcopale svizzera e Chiese cantonali

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Promuovere una maggiore collaborazione: questo, in sintesi, l’obiettivo della convenzione siglata oggi tra la Conferenza dei vescovi svizzeri (Ces) e la Conferenza centrale cattolico-romana di Svizzera, ovvero l’associazione delle organizzazioni cantonali di diritto pubblico ecclesiastico (Rkz). Istituita nel 1971, la Rkz ha il compito di cofinanziare istituzioni ecclesiastiche intercantonali, interdiocesane e linguistiche. A firmare il documento, mons. Markus Büchel, presidente uscente della Ces, e Hans Wüst, presidente uscente della Rkz.

Accordo di collaborazione e cofinanziamento
“Nello specifico – spiega una nota della Ces – si tratta della conclusione di due accordi: una convenzione sui principi che regolano la collaborazione tra i due organismi, ed un nuovo contratto di cofinanziamento che regola il coordinamento delle decisioni di natura pastorale e finanziaria nelle diverse regioni linguistiche della Svizzera”. In quest’ultimo ambito, si stabilisce “l’azione congiunta di Ces e Rkz nell’attribuzione di mezzi finanziari alle istituzioni ecclesiastiche attive” in Svizzera, tra cui i centri formativi, gli organismo pastorali per i giovani ed i migranti e gli enti mediatici ecclesiali.

Centrale la questione dei rapporti Stato-Chiesa
Tale convezione, continua la nota, “è legata ai mutamenti sociali ed ai cambiamenti avvenuti nel panorama religioso, che lanciano sfide importanti allea Chiesa cattolica elvetica”, come “la questione dei rapporti Stato-Chiesa e l’organizzazione del finanziamento costante alla vita ecclesiale”. “Di fronte a questi problemi – sottolinea ancora la nota – linee salde di cooperazione tra le istanze pastorali e le autorità di diritto pubblico ecclesiastico sono destinate ad occupare un posto sempre più importante”.

Incentivare l’informazione reciproca tra i due organismi
Basata “sul riconoscimento reciproco, tra la Ces e la Rkz, dei rispettivi compiti, competenze e ruoli specifici”, la convenzione affronta anche il nodo della comunicazione, sottolineando l’importanza della “informazione reciproca e la comunicazione diretta con i fedeli, in caso di argomenti di particolare importanza”. Infine, l’accordo prevede la creazione di “un organismo comune incaricato di sviluppare la cooperazione tra i due organismi, a livello strategico ed operativo”.

La struttura specifica della Chiesa svizzera
Da notare che la Chiesa svizzera ha una sua specifica struttura organizzativa legata alla organizzazione federale dello Stato elvetico che pone la regolamentazione dei rapporti con la religione sotto l'autorità sovrana dei cantoni. In pratica, oltre alle diocesi e alle parrocchie (le strutture tradizionali della Chiesa cattolica universale), in ogni cantone ci sono enti di diritto pubblico ecclesiastico create dallo Stato e ai quali è attribuito il potere di riscuotere dai fedeli le imposte ecclesiastiche, a condizione di attenersi ai principi democratici che governano organismi elettivi. (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 347

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.