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Sommario del 09/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa Francesco: con la misericordia si può cambiare il mondo

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La catechesi di Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro è stata tutta incentrata sul tema della misericordia di Dio. Il Papa ha ricordato il senso di questo Anno Santo e ha affermato che credere nella misericordia e viverla con i fratelli significa entrare nel cuore della fede cristiana, perché è “ciò che a Dio piace di più”. Il servizio di Adriana Masotti: 

La Chiesa ha bisogno del Giubileo della Misericordia
Oggi vorrei riflettere insieme a voi sul significato di questo Anno Santo, rispondendo alla domanda: ma perché un Giubileo della Misericordia? Così Papa Francesco comincia la sua riflessione:

"La Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario. Non dico: è buono per la Chiesa questo momento straordinario … No, no! Dico: la Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario".

Ciò che a Dio piace di più: perdonare
Rendere visibili i segni della presenza e della vicinanza di Dio, sottolinea Francesco, è il contributo peculiare che la Chiesa è chiamata ad offrire oggi. E il Giubileo è un tempo favorevole per tutti noi, perché possiamo diventare testimoni più convinti ed efficaci. Guardare alla misericordia di Dio, afferma il Papa, e ai fratelli bisognosi di misericordia, significa puntare l’attenzione sul contenuto essenziale del Vangelo, lo specifico della fede cristiana. Questo Giubileo, insomma, è un momento privilegiato perché la Chiesa impari a scegliere unicamente "ciò che a Dio piace di più". E cioè "perdonare i suoi figli, aver misericordia di loro, affinché anch’essi possano a loro volta perdonare i fratelli”. E il Papa spiega:

"Perché Dio è tanto contento dopo la creazione dell’uomo e della donna? Perché alla fine aveva qualcuno da perdonare. È bello eh? La gioia di Dio è perdonare, l’essere di Dio è misericordia. Per questo in quest’anno dobbiamo aprire i cuori, perché questo amore, questa gioia di Dio ci riempia tutti di questa misericordia".

Misericordia edifica un mondo più umano
Anche la necessaria opera di rinnovamento delle istituzioni e delle strutture della Chiesa, dice Francesco, "è un mezzo che deve condurci a fare l’esperienza viva e vivificante della misericordia di Dio che, sola, può garantire alla Chiesa di essere quella città posta sopra un monte che non può rimanere nascosta”. Sentire forte in noi la gioia di essere stati ritrovati da Gesù, continua il Papa, questo è l’obiettivo che la Chiesa si pone in questo Anno Santo:

"Così rafforzeremo in noi la certezza che la misericordia può contribuire realmente all’edificazione di un mondo più umano. Specialmente in questi nostri tempi, in cui il perdono è un ospite raro negli ambiti della vita umana, il richiamo alla misericordia si fa più urgente, e questo in ogni luogo: nella società, nelle istituzioni, nel lavoro e anche nella famiglia".

Riconoscersi peccatori per accogliere la misericordia
Riguardo alla perplessità  di qualcuno a cui sembra poco che la Chiesa in questo Anno Santo si dedichi a contemplare la misericordia, di fronte ai tanti bisogni urgenti dell’umanità, il Papa riconosce: “è vero, c’è molto da fare”, ma senza la misericordia, c’è sempre l’amor proprio,  che nel mondo si traduce in ricerca esclusiva dei propri interessi, di piaceri, onori e ricchezze, mentre nella vita dei cristiani si traveste spesso di ipocrisia e di mondanità. Ecco perché, conclude, è necessario riconoscere di essere peccatori:

“Signore, io sono un peccatore; Signore, io sono una peccatrice: vieni con la tua misericordia”. Questa è una preghiera bellissima. È facile, eh! È una preghiera facile da dire tutti i giorni: “Signore, io sono un peccatore; Signore, io sono una peccatrice: vieni con la tua misericordia”.

Credere che il mondo possa cambiare con la misericordia
È da ingenui credere che questo possa cambiare il mondo? Sì, afferma Francesco, umanamente parlando è da folli, ma «ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini».

In piazza tra i fedeli anche alcuni zampognari che con il suono dei loro strumenti hanno ricordato a tutti che presto sarà Natale.

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Papa: da Immacolata speranza per vita libera da schiavitù, rancori e paure

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Vengo “come Pastore”, a nome di “chi sente più duro il cammino”. Così Papa Francesco, ieri pomeriggio, nel tradizionale omaggio all’Immacolata in Piazza Mignanelli, accanto a Piazza di Spagna, a Roma. Il Pontefice, nel giorno dell'apertura della Porta Santa in San Pietro per il Giubileo della Misericordia, ha pregato ai piedi della statua della Vergine, circondato da una grande folla radunatasi già dalla mattina. Ad accoglierlo, tra gli altri, il cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, e il commissario straordinario della città, il prefetto Francesco Paolo Tronca. Il servizio di Giada Aquilino

Vengo come Pastore
Un “pellegrinaggio” prima in Piazza di Spagna, poi a Santa Maria Maggiore. Quello che all’Angelus il Papa aveva definito un “atto di devozione filiale a Maria, Madre di Misericordia” è diventato nel pomeriggio l’“omaggio di fede e d’amore” alla Vergine di Francesco a nome di tutto il “popolo santo di Dio” che vive a Roma:

“Vengo a nome delle famiglie, con le loro gioie e fatiche;
dei bambini e dei giovani, aperti alla vita;
degli anziani, carichi di anni e di esperienza;
in modo particolare vengo a te
da parte degli ammalati, dei carcerati,
di chi sente più duro il cammino.
Come Pastore vengo anche a nome di quanti
sono arrivati da terre lontane in cerca di pace e di lavoro”.

Speranza di una vita migliore, libera da schiavitù, rancori e paure
Nella preghiera per il tradizionale appuntamento dell’8 dicembre, particolarmente sentito dai romani, ai piedi della statua della Vergine Immacolata - a cui ha offerto un omaggio floreale - il Papa ha ricordato che “c’è posto per tutti” sotto il “manto” della Madre della Misericordia: il suo cuore, ha aggiunto, “è pieno di tenerezza” verso i propri figli:

“Guardando te, Madre nostra Immacolata,
riconosciamo la vittoria della divina Misericordia
sul peccato e su tutte le sue conseguenze;
e si riaccende in noi la speranza di una vita migliore,
libera da schiavitù, rancori e paure”.

L'abbraccio misericordioso con i malati
Quindi l’abbraccio prolungato, del tutto personale e misericordioso, di Francesco con la folla che a gran voce lo chiamava, con i bambini, con gli anziani e i malati che – chi avvolto in una coperta, chi sorretto dalla forza di un familiare o di un volontario – hanno ricambiato, con un sorriso e tanta devozione.

La Porta di Cristo
Nel “cuore” di Roma, ha quindi proseguito il Pontefice, risuona la “voce di madre” che chiama “a mettersi in cammino” verso quella Porta che, ha spiegato il Papa, rappresenta Cristo, ad avvicinarla, ad entrare e ricevere “il dono della Misericordia”:

“Non abbiate paura, non abbiate vergogna:
il Padre vi aspetta a braccia aperte
per darvi il suo perdono e accogliervi nella sua casa.
Venite tutti alla sorgente della pace e della gioia”.

La preghiera a Santa Maria Maggiore
Ha infine ringraziato l’Immacolata, perché ci accompagna nel “cammino di riconciliazione”, standoci vicina e sostenendoci “in ogni difficoltà”. Poi il trasferimento a Santa Maria Maggiore, altro appuntamento divenuto tradizione per il Papa, con un momento di raccoglimento davanti all'immagine della Salus Populi Romani. Ancora una volta, con lui, una folla di fedeli.

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La gioia e le speranze dei pellegrini per l'Anno Santo

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Tanti i pellegrini giunti a Roma per l’apertura della Porta Santa, l’omaggio all’Immacolata e l’udienza generale di oggi. Grande la gioia e tante le speranze della gente. Ascoltiamo alcune testimonianze raccolte da Michele Raviart

R. – Spero che sia un inizio di pace per tutto il mondo, perché ultimamente per quello che si sente viviamo solo esclusivamente di tragedie. Vogliamo che da oggi in poi il mondo sia solo pace e che porti serenità e felicità per tutto il mondo grazie a Papa Francesco.

R. – Pensavamo che il prossimo Anno Santo ci sarebbe stato tra tanti anni e invece è stata una bellissima sorpresa. Il Giubileo della Misericordia in questo momento è veramente molto importante. Il Papa ha pensato che in questi tempi c’è bisogno di misericordia. Per noi è una cosa bellissima stare vicino a tutti, pregare tantissimo ed essere misericordiosi.

R. - Tutta l’emozione del Giubileo l’abbiamo vissuta a Piazza San Pietro al momento dell’apertura della Porta Santa. Siamo materialmente passati da un giorno nuvoloso a un momento di splendore. Bisogna approfittare di questo momento. In fondo l’Anno Santo cos’è? È un’occasione che ci viene messa a disposizione per aprire i nostri cuori e il nostro tempo a Dio.

R. - Faccio parte del gruppo della Divina Misericordia perché mi ha dato tanta forza. Cosa devo dire? Grazie!

R. - Quando i miei figli hanno saputo che venivo qui mi hanno detto: “Mamma, non andate nei posti affollati!”. Ed io ho risposto: “Sia fatta la volontà del Signore. Io ci devo essere”. Mi sono sentita protetta perché la sicurezza è tanta.

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Il cardinale Ravasi spiega il significato biblico del Giubileo

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“Tutti i Giubilei dovrebbero essere delle occasioni di misericordia e di solidarietà”. A sostenerlo è il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che come biblista e studioso dell’ebraismo, riflette con noi sul significato biblico dell’Anno Santo e del concetto di misericordia. Il servizio è di Fabio Colagrande

Quello cominciato l’8 dicembre è il primo Anno Santo ‘tematico’ della storia della Chiesa, ma la dimensione del ‘perdono’, o meglio della ‘perdonanza’, e quella della compassione sono sottese da sempre al concetto di Giubileo. Lo spiega bene il cardinale Gianfranco Ravasi:

“Un evento particolare, che coinvolge la cattolicità e che punta al cuore profondo del Giubileo, alla sua vera anima, che è un’anima di amore, di liberazione, di giustizia, di ritorno ad una fraternità tra i popoli, tra le persone, e ad una fraternità anche con la terra. Non dimentichiamo che anche il famoso Giubileo del Duemila, che tutti ricordano con quella figura centrale inginocchiata, ormai già colpita dalla malattia, di San Giovanni Paolo II sulla soglia della Porta Santa, era centrato spesso sul tema del perdono, anzi della domanda di perdono che la Chiesa faceva per le colpe che nell’interno della sua storia erano state commesse dai suoi figli”.

Anche le radici bibliche del concetto di Giubileo, rintracciabili nell'Antico Testamento, nel capitolo venticinquesimo del Libro del Levitico, confermano la sua anima ‘misericordiosa’, come spiega Ravasi:

“Questo Giubileo era caratterizzato da alcune componenti che sono ancora – direi – tipiche di questo Giubileo straordinario della Misericordia. C’era la remissione dei debiti delle singole famiglie, il ritorno e il possesso ancora delle terre che erano state alienate a queste famiglie; c’era la liberazione degli schiavi e quindi un ritorno ancora, una celebrazione della libertà; c’era un aspetto ecologico, perché la terra per un anno veniva fatta riposare, considerandola quasi come una creatura – anch’essa – che partecipava al Giubileo, a questo momento che era un momento quindi di giustizia, di carità, di solidarietà”.

L’esplorazione della Bibbia rivela però un’altra sorpresa che riguarda la parola misericordia, etimologicamente legata al cuore, e ne accentua il carattere istintivo. Ascoltiamo ancora il cardinale Ravasi:

“In realtà è significativo che nella lingua dell’Antico e del Nuovo Testamento, in uno strano parallelo, l’organo simbolico da cui scaturisce la misericordia della persona è un altro: infatti abbiamo nell’interno nell’Antico Testamento il vocabolo reiterato e applicato a Dio ripetutamente “rachamim”, al plurale, che indica letteralmente il “grembo materno”, per cui c’è nell’interno della concezione di questa misericordia una sorta di componente istintiva, tenera, appassionata, immediata. Nel Nuovo Testamento abbiamo un verbo che ricorre 12 volte nei Vangelo ed è il verbo “splagchnizomai”, che ha alla base proprio gli “splagchna”, che sono non soltanto le viscere materne, ma anche la capacità generativa del padre. Quindi Dio e in questo caso Cristo si presentano con un volto sia maschile, sia femminile, con una tenerezza che è anche quasi esclusiva della donna, una finezza del sentimento e della donazione. Per esempio, quando si trova davanti a quella povera vedova che ha perso il figlio unico e del quale si sta celebrando il funerale a Nain, Gesù – ecco il verbo usato dagli evangelisti, da Luca – prova 'splagchnizomai', prova questo sentimento istintivo”.

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La bellezza del creato illumina la Basilica di San Pietro

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La prima giornata del Giubileo della Misericordia si è conclusa, ieri sera, con “Fiat Lux”, una proiezione architettonica dedicata alla casa comune e alla dignità umana. La facciata e la Cupola della Basilica di San Pietro illuminate da immagini e video sul rapporto tra uomo e pianeta. Elvira Ragosta

I suoni, le immagini e i colori: lo sbocciare dei fiori, lo scrosciare dell’acqua, gli animali e i popoli. Poi le grandi città, le baraccopoli, i villaggi più lontani. In Piazza San Pietro tantissimi i fedeli con il naso e gli smartphone all’insù, verso la  facciata della Basilica, scenario privilegiato che riflette immagini ispirate alla dignità umana, alla natura e ai cambiamenti climatici. L’emozione della gente di fronte alla proiezione:

R. – Vedere la Terra rappresentata in un solo punto che si espande di nuovo all’infinito in tutto l’Universo. Le immagini sono veramente spettacolari.

R. – Vedere qui, nel centro della cristianità, la suggestione della natura e anche il collegamento della foresta con tutti gli animali, soprattutto per i bambini, è molto, molto suggestivo.

R. – E’ la prima volta che vedo una cosa del genere. E’ stupendo!

R. – Il fatto che tantissime persone si siano riunite qui per vedere questo spettacolo è una cosa molto bella, secondo me.

R. – Commovente, toccante, perché fa vedere il bello, il più bello che ci sia.

R. – E’ molto emozionante, perché trasforma una Basilica in tutto quello che c’è nel mondo: dalla creazione alle attività umane.

R. – E’ una cosa sensazionale. Specialmente qui è una cosa che non si era mai vista prima: si vede la natura nel suo essenziale. La cosa è veramente emotiva.

R. – Mi è piaciuto tanto, perché mostra la creazione e tutto quello che Dio ha fatto per noi.

Opere di fotografi e cineasti di fama internazionale, da Salgado a Doubilet, raccolte in un’istallazione  architettonica che è stata un regalo per Papa Francesco e un appello per sensibilizzare il mondo alla protezione della casa comune, nei giorni in cui i leader mondiali cercano alla Conferenza Onu di Parigi un accordo per limitare i cambiamenti climatici. Uno spettacolo che ha emozionato grandi e piccini e che ha fatto riflettere sul nostro rapporto con il pianeta:

R. – Direi stupefacente. Ci sono immagini molto belle. Se noi rispettiamo la natura, la natura a sua volta rispetterà noi.

R. – Credo che ci renda consapevoli, forse per la prima volta, perché tanto consapevoli ultimamente non siamo più. E’ un messaggio, quindi, proprio per reimparare la consapevolezza che molti di noi purtroppo hanno perso.

R. – Il pianeta è la casa comune. E quindi vedere tutto insieme, in un unico punto, diventa un punto di riflessione per come abitare il pianeta.

R. – Io credo che sia un momento di contatto e di incontro con il mondo. Reimparare, dunque, ad amare il creato, ad incontrarlo, con la bellezza e le immagini dell’universo. Speriamo che tutti quanti impariamo a guardare con occhi nuovi.

R. – Ci sarebbe da fare molto.

R. – Dobbiamo avere cura del nostro pianeta, questo è il messaggio che sta arrivando, che ci ha dato il Santo Padre Francesco. E arriva, perché in Piazza c’era tanta gente e tutta la gente che è venuta lo porterà a casa sua.

R. – Ci aiutano a renderci conto di quanto quello che ci circonda sia importante e di quanto ne abbiamo bisogno.

R. – Fa riflettere su quello che stiamo facendo e sulle cose su cui il Papa richiama la nostra attenzione: il fatto, cioè, che l’uomo stia distruggendo tutto il bello del creato.

R. – Ricordare come ha già fatto il Papa, con la sua straordinaria Enciclica, che davvero siamo parte di questo meraviglioso sistema.

R. – Preoccupazione per il futuro, rammarico per quello che è stato fatto, ma anche speranze, per il fatto di essercene accorti. C’è, quindi, speranza per il futuro.

"Fiat Lux" questo il nome dell’evento, uno spettacolo realizzato in partnership e a scopo benefico da 5 tra società, fondazioni e organizzazioni con il patrocinio della Banca Mondiale.

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Giubileo: 4000 operatori per l’accoglienza e la sicurezza

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Sono circa 200mila in totale le persone che ieri hanno partecipato ai vari eventi per l'apertura del Giubileo. Il dato è fornito dalla Questura. I dispositivi di sicurezza e di accoglienza dei pellegrini hanno funzionato senza criticità di ordine pubblico, grazie ad una macchina organizzativa che impiega migliaia di operatori e nuove tecnologie. Marco Guerra ne ha parlato con Giuseppe Cerrone, viceprefetto aggiunto e responsabile della sala gestione del Giubileo: 

R. – Ieri è stata una giornata di grande serenità: tutto si è svolto secondo le previsioni. Tutti i servizi sia in termini di sicurezza sia in termini di accoglienza che la città aveva predisposto e aveva potenziato per l’occasione sono certamente andati a buon fine. Le presenze che noi possiamo registrare con ragionevole dose di certezza sono sicuramente quelle legate agli eventi per così dire “statici” della giornata, quindi la Santa Messa, l’apertura della Porta Santa e l’Angelus. Al momento dell’apertura della Porta Santa noi abbiamo registrato la presenza di circa 50mila persone. Il numero poi è sicuramente cresciuto per l’Angelus. Nel corso della giornata c’è stato un ulteriore flusso di persone che si è recato verso San Pietro e che addirittura si è dilungato fino alla sera per l’evento – tra l’altro bellissimo – di Fiat Lux. Quindi quel numero che abbiamo detto sopra è cresciuto in relazione a questo flusso continuo di arrivi e di passaggi per Piazza San Pietro.

D. – In campo c’erano quattromila uomini, tante altre istituzioni impegnate sul territorio. Poi c’è la sala gestione del Giubileo di cui lei fa parte. Questa squadra accompagnerà tutta la durata del Giubileo?

R. – Certo. Il numero che lei ha detto in realtà comprende oltre tremila uomini delle forze dell’ordine e si arriva a quattromila aggiungendo gli operatori della macchina del soccorso, i volontari della protezione civile comunale che sono una spina dorsale degli eventi che hanno come scenario San Pietro, i vigili del fuoco e gli operatori sanitari. La sala gestione del Giubileo è il luogo della regia di tutte queste componenti. Ormai è entrata a pieno regime e accompagnerà tutto il Giubileo con diverse configurazioni; non tutti i 347 giorni del Giubileo romano avranno lo stesso grado di complessità. La maggior parte dei servizi a cui facevo riferimento sono necessariamente legati al numero dei pellegrini attesi che varierà in relazione alla tipologia dei tanti eventi giubilari che abbiamo in calendario. La sala quindi consente di fare questa regia grazie alla presenza al suo interno di tutte le principali componenti deputate all’accoglienza e alla gestione dei servizi della città di Roma, dai trasporti, alla sanità, alla protezione civile e alle forze dell’ordine.

D. – Una specie di ‘cervello’ centrale che coordina l’intervento di tutte le forze in campo …

R. – Esatto. Si è parlato molto anche in questi giorni delle telecamere che noi riusciamo a gestire: sono state messe comunque a beneficio di questa sala dove abbiamo la possibilità di osservare tutte le telecamere che insistono sugli scenari del Giubileo.

D. – Per i prossimi mesi quali sono le date cerchiate di rosso?

R. – L’attenzione sarà costante per tutto l’anno. È chiaro che la nostra attenzione va per quegli eventi cari ai pellegrini che avranno luogo la primavera prossima: dalla cerimonia in onore di Padre Pio, alle festività pasquali, alle giornate che si succederanno dopo le festività pasquali. Questo è il target per un ulteriore rafforzamento e perfezionamento che la nostra macchina dovrà registrare in questi mesi.

D. – Quali sono le zone calde della città, quelle che appunto si trovano sotto la lente d’osservazione delle varie istituzioni?

R. – Noi abbiamo concentrato i nostri sforzi innanzi tutto - e non poteva essere diversamente - nella zona di San Pietro, che sarà lo scenario della maggior parte delle cerimonie religiose. Non ci siamo però fermati qui; abbiamo già pianificato la programmazione della nostra attività sulle basiliche giubilari che tra l’altro saranno interessate già dal prossimo fine settimana dall’apertura delle Porte Sante - e quindi dall’afflusso dei pellegrini - per arrivare poi dopo ad un ulteriore cerchio concentrico di attenzione che va ai principali nodi di scambio della mobilità romana per rendere più agevole l’arrivo e la permanenza dei pellegrini a Roma.

D. – Un dispositivo di sicurezza che si avvale di nuove tecnologie e di grandi professionalità. Tutto questo per non far sentire la città e i pellegrini in un ambiente militarizzato. C’è anche un tocco di umanità in questa gestione del Giubileo?

R. – Il numero, la tipologia e la caratteristica degli operatori sul territorio sono tali da assicurare quel coordinamento e anche quell’afflato così umano che deve necessariamente caratterizzare un evento religioso. Bisogna rispettare il riserbo, il decoro dei luoghi. Per questo motivo anche la presenza fisica dei nostri operatori è stata comunque immaginata nel modo meno invasivo possibile. Questi controlli e l’approccio delle forze dell’ordine sono stati visti come un fattore di serenità per le persone che hanno partecipato alla cerimonia religiosa e che dopo questi controlli hanno potuto concentrarsi esclusivamente sulla cerimonia religiosa in tutta serenità.

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Moneyval promuove impegno vaticano contro riciclaggio

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Ieri, a Strasburgo, l’Assemblea Plenaria di Moneyval, il “Comitato di esperti per la valutazione delle misure contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo” del Consiglio d’Europa, ha approvato il secondo Progress Report della Santa Sede/Stato della Città  del Vaticano. L’adozione di questa nuova relazione, che segue l’adozione del “Rapporto di valutazione” (Mutual Evaluation Report) del 4 luglio 2012, nonché quella del primo Progress Report del 9 dicembre 2013, fa parte della procedura ordinaria seguita dal Comitato Moneyval per tutti i Paesi membri.

Il Comitato Moneyval – riferisce la Sala Stampa vaticana - ha accolto positivamente i risultati dei continuati sforzi intrapresi da parte della Santa Sede e dallo Stato della Città del Vaticano al fine di rafforzare ulteriormente il proprio assetto istituzionale, giuridico e operativo, per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio e  del finanziamento del terrorismo.

“Questo più recente Progress Report conferma che la Santa Sede ha istituito un sistema ben funzionante, efficace e sostenibile per prevenire e combattere i crimini finanziari”, ha affermato Mons. Antoine Camilleri, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati e Capo della Delegazione della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano alla Plenaria del Comitato Moneyval.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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In prima pagina, in apertura: Con la misericordia del buon samaritano. Papa Francesco apre la Porta Santa della Basilica Vaticana. E all’udienza generale ricorda che la gioia di Dio è perdonare. Accanto l'editoriale del direttore, Il Giubileo del Concilio. Sotto: Ennesime stragi. Migranti morti in diversi naufragi nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso l’Egeo.

A pagina quattro: Giubileo come nuovo inizio. L’incontro con Gesù nel deserto delle nostre vite, di Lucetta Scaraffia.

Omelie e compiti a casa. Le parole di Papa Francesco nella cappella di Santa Marta.

Architrave della vita cristiana, i commenti della stampa internazionale sull'inizio del Giubileo.

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Oggi in Primo Piano



Migranti, strage di bimbi. Zerai: Europa sia solidale con i disperati

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Sembra imminente l’apertura della procedura di infrazione da parte della Commissione europea contro l’Italia, per non aver adempiuto alla raccolta delle impronte digitali dei migranti. Intanto si contano ancora piccole vittime in diversi naufragi nel Mar Egeo, l’ultimo la notte scorsa con undici vittime, cinque delle quali bambini, annegati al largo dell’isola greca di Farmakonissi. Francesca Sabatinelli: 

Fermiamo la strage silenziosa dei bambini nel Mediterraneo: a chiederlo sono organizzazioni come l’Unicef e la Fondazione Migrantes, che conta 700 bimbi morti in mare dall’inizio dell’anno. Soltanto nelle ultime ore sono stati 11 i piccoli corpi restituiti dalle onde al largo delle coste turche, tra loro anche quello di un neonato. C’è poi l’immagine di Sajida, siriana di 5 anni, pietosamente coperta da un lenzuolo sulla spiaggia turca di Cesme, una foto drammatica, che richiama quella del piccolo Aylan e che fa invocare una soluzione affinché si metta fine a questa “strage degli innocenti” sulla rotta tra Turchia e Grecia, quest’anno attraversata da oltre 750mila persone, un quarto delle quali minori. Non si conta neanche più il numero dei naufragi, dei morti, dei migranti che perdono tutto per raggiungere la salvezza, denuncia l’Unicef, che si appella ai vertici dell’Europa proprio nelle ore in cui circola la bozza delle conclusioni del Consiglio europeo del 17 e 18 dicembre, in cui si indica, tra le priorità, la necessità di "assicurare la registrazione e scoraggiare il rifiuto ad essere registrati". Un chiaro avvertimento di Bruxelles a Italia, Grecia e altri Paesi europei di primo approdo, che rischiano la procedura di infrazione per una "non corretta applicazione del regolamento Ue" che prevede la raccolta delle impronte digitali di tutti quelli che sbarcano e quindi l’inserimento di tali impronte nel sistema Eurodac. Una tale procedura sarebbe irragionevole: è la reazione del ministro dell’interno italiano Alfano, per il quale l’Europa dovrebbe ringraziare l’Italia per il lavoro svolto nell’accoglienza dei migranti. Critico verso Bruxelles anche don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo sviluppo, che offre assistenza a richiedenti asilo e rifugiati presenti in Italia, oggi in audizione alla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione e trattenimento dei migranti:

R. – Non è un comportamento solidale di cooperazione tra gli Stati sanzionare o comunque aprire una procedura contro l’Italia, mentre molti Paesi europei egoisticamente ancora si rifiutano di dare spazio, di prendere una quota di questi migranti, così come previsto dal programma di riallocazione di queste persone. In questo programma sono pochi ad aver messo a disposizione una quota, spesso irrisoria, e che va anche molto a rilento per quei pochi posti che ci sono. Per cui sanzionare l’Italia o la Grecia, perché non hanno adempiuto a prendere le impronte digitali, vuol dire che ancora c’è la volontà di non superare l’Accordo di Dublino che è diventato una gabbia per molti profughi richiedenti asilo che vorrebbero invece andare nel Nord Europa per raggiungere i propri famigliari. L’Europa non sta facendo la sua parte per quanto riguarda prendere le persone e sistemarle nei Paesi del Nord Europa, quindi non può pretendere che il peso rimanga solo sull’Italia e sulla Grecia.

D. – Come sta procedendo l’accoglienza italiana?

R. – Sempre in affanno, perché non si è stata fatta una programmazione strutturale, duratura nel tempo e perché si procede sempre in questo modo di gestire emergenziale con posti pieni. Ci sono circa 90mila posti a fronte di 145mila persone arrivate quest’anno. Quindi, molti rimangono fuori. Non ci sono spazi per accoglierli, non ci sono spazi per garantire loro un’accoglienza dignitosa. Quindi il sistema rischia il collasso.

D. – I migranti attraversano la Turchia per imbarcarsi alla volta delle isole greche. Purtroppo stiamo contando molti morti e moltissimi bambini. Come si ferma questa strage degli innocenti?

R. – Non si fermerà mai finché i potenti che hanno il potere decisionale non metteranno al centro delle proprie decisioni la persona, i suoi bisogni, i suoi diritti. Si fanno accordi per la costruzione di muri, per impedire l’arrivo di queste persone e poi come vivranno queste persone? Chi li accoglierà? Chi garantirà loro dignità, bisogni e diritti? Ma non c’è muro che tenga, non ci sono fili spintati che tengano, tantomeno legislazioni o accordi bilaterali. Chi è disperato continuerà a cercare di raggiungere certi luoghi rischiando anche la vita, come è accaduto in questi giorni nel Mar Egeo e nelle Canarie (11 morti per un naufragio avvenuto ieri, ndr). Le persone, se disperate, diranno: “Preferisco morire tentando la fortuna piuttosto che morire lentamente abbandonato in qualche tenda, in qualche campo profughi”. Questa esternalizzazione dei propri confini che sta portando avanti l’Europa, che delega la Turchia oppure i Paesi del Nord Africa ad impedire l’arrivo di queste persone, però senza preoccuparsi di come vivranno, di quale sarà il loro futuro, i loro diritti la loro dignità, ecco, questo è un egoismo tradotto in politica che sta portando a gestire questa situazione dei profughi, dei migranti, in questo modo.

D. – Nelle sue parole rientra questo accordo tra la Turchia e l’Unione Europea affinché le autorità di Ankara blocchino il passaggio dei migranti con un rafforzamento dei controlli alle frontiere …

R. – L’Europa continua a pagare i nuovi gendarmi, adesso è la Turchia, in passato era la Libia o il Marocco, per impedire l’arrivo di queste persone. Quindi, sta facendo una guerra passiva contro i richiedenti asilo, i profughi, i disperati e i poveri. Questo è in sostanza, una guerra dove si muore, le vittime però sono solo e soltanto i profughi, i più deboli, i più vulnerabili come donne, bambini, giovani migranti richiedenti asilo che stanno morendo nel Mar Egeo, nel Mediterraneo, nelle Canarie o nel deserto.

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Nigeria: 150 morti in attacco, accuse contro il Camerun che nega

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È ancora da chiarire la dinamica dell’assalto degli ultimi giorni ad alcuni villaggi nigeriani, al confine con il Camerun. Secondo alcuni sopravvissuti, giunti in oltre 600 al centro per rifugiati di Fufore, soldati di Yaoundé avrebbero attraversato il confine con la Nigeria, attaccando e bruciando villaggi nella striscia di confine tra Gamboru e Banki, con un bilancio di almeno 150 morti. Il governo del Camerun ha negato ogni addebito, ma la tensione con Abuja sta effettivamente crescendo a causa delle continue stragi perpetrate dagli estremisti islamici nigeriani Boko Haram, che agiscono anche oltre confine. Per un quadro della situazione alla frontiera tra i due Paesi, Giada Aquilino ha intervistato fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime, coordinatore della Caritas della diocesi di Yagoua, in Camerun: 

R. – Da informazioni che abbiamo sentito, una colonna di Boko Haram sarebbe arrivata in alcuni villaggi al confine con il Camerun, con l’intenzione di fare violenti attacchi. C’è poi stata un’azione da parte delle forze armate del Camerun per contrastare questa situazione. E’ probabile che ci siano stati scontri tra le forze armate del Camerun e i Boko Haram, con la conseguenza che vari villaggi siano stati bruciati o attaccati da una parte o dall’altra. Quando c’è la guerra, è sempre difficile capire come vadano esattamente le cose.

D. – I sopravvissuti hanno raccontato di aver percorso a piedi circa 150 km: non è la prima volta che succede. Voi siete a contatto con sfollati interni e profughi nigeriani. Quali sono le loro condizioni?

R. – Nella zona di Fotokol c’è un aumento di sfollati camerunensi e una diminuzione di rifugiati nigeriani, perché con la presa di posizione da parte dell’esercito nigeriano dei posti di confine c’è stato un riflusso di nigeriani verso il loro Paese. Mentre, sempre a causa di queste azioni di guerra, molti villaggi del Camerun sul confine sono stati evacuati dalle forze armate, costringendo gli abitanti ad riversarsi a Fotokol o in altre località come Makari o Kousseri, dove già c’erano sfollati.

D. – Come vivono queste persone?

R. – Purtroppo non hanno grosse risorse e quindi si affidano agli aiuti nazionali o internazionali per la loro sopravvivenza. Noi abbiamo verificato l’aumento della malnutrizione nei bambini fino a 59 mesi, cioè quasi cinque anni. L’alimentazione non è regolare e sicuramente non è sufficiente e a soffrirne di più sono i bambini, le persone anziane, le donne incinte.

D. – Come Caritas, come state operando nella zona?

R. – Come Caritas abbiamo delle attività, delle presenze nelle zone più calde, quindi a Fotokol, a Kousseri, a Makari, sul lago Ciad, dove facciamo assistenza sia a livello alimentare, sia a livello sanitario. Stiamo cercando anche di poter intervenire per dare una mano alle persone che hanno subito soprusi: ci sono violenze di tipo sessuale o fisico inflitte su persone deboli, che devono subire le angherie di Boko Haram o anche di alcune parti deviate delle forze dell’ordine.

D. – Il presidente nigeriano Buhari aveva annunciato di voler porre fine alla violenza dei Boko Haram entro il 2015. Mancano poche settimane alla fine dell’anno: come appare questo contrasto ai terroristi?

R. – E’ vero che c’è stata una presa di posizione da parte delle forze armate della Nigeria sulla zona di confine, ma non si sa come stiano organizzandosi e come riescano a contrastare Boko Haram.

D. – Sulla carta il Camerun partecipa alla forza multinazionale Boko Haram…

R. – Sì. Però, questa forza multinazionale è proprio sulla carta, per il momento. Ci sono ancora gli eserciti dei singoli Paesi che agiscono come unità distinte. Quello che abbiamo potuto notare in questi ultimi mesi, in queste ultime settimane, è il fatto che purtroppo ci sono stati attacchi suicidi anche nella zona camerunense vicino al Lago Ciad, cosa che finora non c’era mai stata.

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Iraq, Galantino inaugura Università cattolica ad Erbil

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Una Università cattolica e una Porta Santa per milioni di profughi del Kurdistan. Sono i due doni che mons. Nunzio Galantino, segretario della Conferenza episcopale italiana, ha portato ai rifugiati iracheni scappati dalla Piana di Ninive a causa della violenza dei jihadisti. Oltre due milioni di euro derivanti dall'8 per mille sono serviti per l’inaugurazione dell’ateneo di Erbil, i cui primi corsi saranno di economia, lingue e informatica. Invece nel piccolo villaggio di Enishke, al confine con la Turchia, mons Galantino insieme al parroco padre Samir Yousif e alla comunità yazida, ha aperto una Porta Santa avviando anche qui un cammino giubilare del tutto speciale.“Sono importanti segni di speranza”, racconta lo stesso padre Samir al microfono di Gabriella Ceraso: 

R. – Cominciare questa Università è stato un segnale di speranza. L’apertura poi è stata una gioia, una festa. Prima di tutto, per far lavorare i cristiani e i non cristiani all’interno, poi per farli studiare in un comune spazio di convivenza, al livello culturale. E questa per noi è una cosa grande.

D. – Quindi dialogo culturale ma anche futuro dignitoso, perché questi giovani hanno visto il loro futuro cancellato?

R. – Sì, veramente. Perché le università in Kurdistan erano quasi tutte piene. Ci sono tre milioni di profughi qui in Kurdistan. Abbiamo delle scuole che fanno quattro turni. Molti dicevano che era inutile studiare, perché non c’erano abbastanza università per aiutarli a finire i loro studi. Non c’era posto. Aprire allora questa Università significa dare futuro.

D. – Lei ha parlato con questi ragazzi iracheni, cristiani e non, hanno voglia di andare avanti o hanno più paura di quello che sta succedendo?

R. – Nonostante le difficoltà, le situazioni difficili, c’è questa voglia di andare avanti, di studiare. Oggi il mondo sta vivendo un momento difficile, un momento di paura. Allora non dobbiamo fermarci, la vita continua. E questa è la Porta della misericordia: aprire il cuore alla speranza, andare avanti. La croce è pesante, ma se noi portiamo la croce con fede, con speranza, la croce si può portare, altrimenti ci uccide. Stamattina, mentre uscivo di casa, guardavo questi bambini yazidi andare a scuola - la Chiesa  ha trovato il modo per mandarceli, infatti – nonostante vivano in case abitate da cinque o sei famiglie. Questo è un segnale di vita.

D. – So che lei ha voluto anche la presenza di mons. Galantino per aprire simbolicamente la Porta Santa di Enishke, proprio in questo Kurdistan iracheno così devastato. Perché ha voluto questa Porta e che cosa rappresenta per voi lì iniziare un Giubileo?

R. – La Porta come dice Papa Francesco è simbolo: potrebbe essere cuore, potrebbe essere parola, vita, il nostro passato. Aprire questa Porta vuol dire aprire una via nuova. Enishke è un villaggio come quello di Betlemme ai tempi della nascita di Gesù. Venire, dunque, ed aprire qui questa Porta, significa dire che Gesù continua ad entrare nelle nostre vite, nelle nostre zone, nelle nostre Chiese, nelle nostre parrocchie, non solo dove c’è sempre la luce, ma anche dove ci sono zone dimenticate.

D. – Il Papa ha detto anche che questo sarà un anno in cui crescere nella convinzione della misericordia. Per gli iracheni del Kurdistan, l’essere misericordiosi in questo momento è una prova dura, difficile, che cosa significa? 

R. – Sì, veramente, ci sono persone che sono state perseguitate, violentate, famiglie che hanno visto uccidere i loro figli. Misericordia vuol dire non fare come gli altri. Non è che noi dimentichiamo quello che ci hanno fatto, non è che noi possiamo parlare con loro senza problema, ma non proviamo odio dentro di noi. Possiamo perdonare, nel senso di aprire una pagina nuova. Preghiamo per loro. Oggi ci sono dei musulmani sunniti qui tra i profughi e mi hanno detto: “Padre, noi ci vergogniamo, perché vi abbiamo cacciato dalle vostre case; noi vi abbiamo fatto del male - non loro, ma la loro gente - invece voi come Chiesa ci avete raccolto, ci aiutate. Noi adesso capiamo cosa voglia dire l’amore nel Vangelo”.

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Siria, Save the Children: mente bambini devastata da guerra

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Tra i 4,2 milioni di rifugiati dovuti alla guerra in Siria, più della metà sono bambini e un quarto di loro sviluppa disturbi mentali legati alla situazione di conflitto. Lo rivela Save the Children nell’ultimo rapporto “Infanzia all’ombra della guerra”: un campanello d’allarme sul recupero psicologico e sociale di questi minori che in fuga in Libano, Iraq e zone interne della Siria non riceveranno mai un’istruzione. Veronica Di Benedetto Montaccini ne ha parlato con Marco Guadagnino di Save the Children Italia: 

R. – Siamo ormai al quinto anno di una guerra che ha avuto degli effetti devastanti per milioni di persone. Ovviamente chi ha sofferto e sta soffrendo di più in questa situazione sono i bambini. Si sviluppano moltissimi danni psicologici legati ai traumi della guerra. Le ripercussioni sulla salute mentale di un’intera generazione di bambini siriani sono catastrofiche.

D. – Di quali patologie si tratta? E quali risvolti sociali ci sono?

R. – Nei bambini ci sono stati di ansia e attacchi di panico dovuti alla separazione dalle famiglie e dagli amici. Un fattore molto forte è la discriminazione quotidiana che questi bambini vivono nelle comunità dove si sono trasferiti e dove sono rifugiati, che li rende insicuri e fragili. Ci sono bambini che non dormono la notte, che fanno la pipì a letto anche di giorno. Nei maschi abbiamo riscontrato un aumento considerevole della violenza; ci sono addirittura situazioni in cui bambini al di sotto degli 8 anni hanno iniziato ad utilizzare alcool. Le bambine invece si chiudono per interi mesi in un silenzio che talvolta porta alla depressione. Oltre alle patologie psichiche ci sono dei comportamenti sociali negativi, per esempio tra i maschi è in aumento il lavoro minorile. Tra le bambine c’è un aumento molto importante di matrimoni precoci: soltanto in Giordania quasi il 32% delle spose sono minorenni. Questo perché cercano di ricreare una situazione familiare che non hanno mai conosciuto.

D. – Uno dei fattori più negativi è la mancanza d’istruzione. Quanti bambini non vanno a scuola e cosa significa questo?

R. – Si calcola che ci sono circa 700mila bambini siriani nei Paesi confinanti con la Siria che non vanno a scuola. Questo significa una cosa enorme. Significa privarli della possibilità di avere un futuro diverso, migliore. Perché un bambino che ritorna a scuola riprende la normalità, riprende a sognare, riprende a vivere. A volte c’è proprio una mancanza fisica di luoghi dove potersi recare. C’è la difficoltà materiale di raggiungere le scuole; c’è – nel caso dei bambini che vivono in Siria – il pericolo quotidiano che la scuola venga individuata come bersaglio per una bomba o un attacco. Tutto questo sulla pelle dei bambini diventa un problema serio.

D. – Solo il 3% dei fondi per gli aiuti umanitari viene riservato ai bambini. Perché?

R. – Perché si sottostima l’importanza dell’intervento di protezione psicologia e sociale nei confronti di minori che hanno vissuto i traumi della guerra. È importante fornire cibo e interventi di prima necessità, ma dal nostro punto di vista il supporto psicologico e sociale in termini di protezione di questi bambini ha la stessa identica importanza. È un intervento che può essere salvavita.

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Fao: cresce commercio agricolo, rischi per sicurezza alimentare

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Presentato presso la Fao a Roma il Rapporto 2015/2016 sullo stato dei mercati dei prodotti agricoli nel mondo. Si tratta di uno studio volto a migliorare l’equilibrio tra le priorità nazionali e il bene collettivo dell’umanità e del Pianeta, come ha evidenziato il vicedirettore generale della Fao Daniel Gustafson. Vogliamo collaborare per arrivare ad un consenso sulle politiche agricole e commerciali, ha aggiunto Xiaozhun Yi, vicedirettore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio, in vista della X Conferenza ministeriale dell’Omc, prevista a Nairobi, in Kenya, dal 14 al 18 dicembre. Roberta Gisotti ha intervistato Eleonora Canigiani della Divisione Commercio e Mercati della Fao: 

D. - Dr. Canigiani, in evidenza nel rapporto è il tema della sicurezza alimentare. Crescono i rischi?

R. – Come sappiamo, negli ultimi 10 anni il commercio è aumentato notevolmente: circa tre volte in termini di valore. Questa tendenza si prevede che continuerà nei prossimi anni e di conseguenza il commercio avrà sempre più impatto su quella che è la sicurezza alimentare, in quanto diversi Paesi saranno sempre più coinvolti o come importatori o come esportatori. Questo avrà delle implicazioni su tutti i quattro pilastri della sicurezza alimentare: disponibilità, accesso, stabilità e utilizzazione. Il commercio agisce infatti su delle variabili socio-economiche che hanno a che fare con la crescita, la povertà, il reddito degli individui e il reddito di un Paese e può anche avere degli impatti a livello strutturale su infrastrutture e servizi. Tutte queste variabili condizionano la sicurezza alimentare. Per esempio: tramite le importazioni si aumenta la disponibilità; nello stesso tempo si ha anche un impatto sui prezzi perché aumentando l’offerta, i prezzi normalmente tendono a scendere. Quindi questo potrebbe rappresentare un vantaggio, ma allo stesso tempo questo meccanismo presenta anche dei rischi, perché aumentare l’offerta e abbassare i prezzi può essere un vantaggio per i consumatori, ma non per i produttori, perché a livello nazionale hanno meno incentivo a produrre quegli alimenti. E nel momento in cui si verifica uno shock a livello internazionale e di conseguenza non c’è più possibilità di importare, il Paese si trova in difficoltà nel gestire il fatto di non avere più la stessa capacità che aveva prima di soddisfare la domanda interna, perché il produttore nazionale è impreparato a dover rispondere a quella domanda.

D. – Dott.ssa Canigiani, questo aumento del commercio mondiale vuol dire che c’è aumento anche di produzione: questo quali effetti può avere nella difesa dell’ecosistema?

R. – Questa sicuramente è una delle grandi sfide dei prossimi anni, anche dei prossimi decenni, in quanto la popolazione mondiale aumenta e cambiano le modalità di consumo: c’è una proiezione almeno di un incremento del 60 per cento fino al 2050. Certo, la grande sfida è che questa produzione venga incrementata rispettando la sostenibilità ambientale, nonché sociale. Quello che noi cerchiamo di argomentare in questa pubblicazione è il fatto di guardare a quella che è la specificità dei Paesi: non c’è una regola per tutti, non c’è una best-practice o una modalità di produrre o di fare politiche commerciali che vale ovunque. Bisogna vedere qual è lo stato di sviluppo del Paese, in particolare dell’agricoltura all’interno di quel Paese.

D. – A questo proposito, libero scambio e protezionismo: a che punto siamo rispetto al pensiero del passato, forse un po’ troppo semplificato?

R. – Il pensiero forse è ancora un po’ semplificato, nel senso che c’è questa forte polarizzazione tra chi parla di libero scambio in termini assoluti – apparentemente almeno – e chi invece parla di politiche più protezioniste. Quello che diciamo noi è che bisogna sempre considerare quale sia la situazione di un Paese, perché non c’è una legge uguale per tutti: se l’obiettivo è quello di passare da un’economia fondamentalmente agricola ad una economia più evoluta, in cui il manifatturiero piano piano cresce e si articola in più settori l’economia, bisogna avere un obiettivo di lungo termine; mentre invece le politiche commerciali – per quello che riguarda la sicurezza alimentare – spesso hanno un obiettivo di corto termine, che si limita quindi a guardare quello  che è l’impatto sui prezzi e ad andare a mitigare il rischio di questo impatto, senza porsi necessariamente in una prospettiva di quella che è la trasformazione strutturale dell’economia.

D. – In questo rapporto  la Fao propone una sua idea per governare meglio il commercio dei prodotti agricoli nel mondo…

R. – Innanzitutto fare una distinzione fra il breve e il lungo termine e quindi valutare molto attentamente, in base a quella che è la situazione specifica del Paese e in particolare il ruolo che il settore agricolo svolge, e ragionare in termini di trasformazione strutturale dell’economia. Quindi non pensare solo ai prezzi, se il commercio internazionale favorisce i produttori piuttosto che i consumatori. L’altro aspetto è riflettere su come vengono formulate le politiche commerciali, perché spesso e volentieri nei Paesi in via di sviluppo sono processi paralleli, legati al Ministero dell’agricoltura, al Ministero del commercio e alle istituzioni rilevanti nei due ambiti, senza che ci sia una vera coordinazione: per cui sono processi paralleli, che poi coinvolgono attori anche internazionali e donatori in due processi che non sono interconnessi.

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Nella Chiesa e nel mondo



Etiopia: oltre 10 milioni a rischio fame per la siccità

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Sono oltre 10 milioni le persone che hanno urgente bisogno di aiuti in conseguenza della siccità che ha colpito l’Etiopia: lo ha confermato Getachew Reda, esponente del governo e consigliere del primo ministro Haile Mariam Desalegn. “Stiamo cercando di assicurarci che nessuno perda la vita” ha aggiunto il responsabile, calcolando nell’equivalente di 200 milioni - riferisce l'agenzia Misna - l’ammontare delle risorse messe a disposizione dall’esecutivo per far fronte all’emergenza.

Gravi conseguenze per la salute dei bambini
Secondo l’ong Save the Children, a causa della carestia “circa 400.000 bambini rischiano di sviluppare nel 2016 forme acute di malnutrizione, arresti della crescita e ritardi mentali e fisici nello sviluppo”. In diverse regioni del Paese la siccità ha compromesso entrambi i raccolti dell’anno.

In passato la siccità ha causato centinaia di migliaia di morti
​All’emergenza ha contribuito il fenomeno di El Nino, legato al riscaldarsi delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico. Con 95 milioni di abitanti, l’Etiopia è il secondo Paese più popoloso dell’Africa. Gravi carestie si sono già verificate nel 2008, nel 2011 e soprattutto nel 1984, quando le vittime furono centinaia di migliaia. (V.G.)

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Giubileo Filippine: appello card. Tagle per i poveri e contro la corruzione

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Porre fine alla corruzione, alle violenze sulle donne, sui bambini e sugli oppressi. Con questo appello il cardinale arcivescovo di Manila Luis Antonio Tagle ha aperto ieri la Porta Santa nella cattedrale della capitale filippina.

Presenti al rito disabili e ex bambini di strada
Il rito ha visto una partecipazione speciale: quella di un gruppo di disabili e di due ex bambini di strada assistiti dalla Fondazione Tulay ng Kabataan (Tnk Foundation) che hanno aiutato il card. Tagle, a spingere i battenti della Porta, in un gesto che voleva simboleggiare l’attenzione preferenziale per gli emarginati e i poveri nell'Anno Santo. A seguirli sacerdoti, religiosi e centinaia di fedeli.

Chiamati e diffondere la misericordia
Durante la Messa di apertura del Giubileo, l’arcivescovo di Manila ha sottolineato l’urgenza di fermare la corruzione e l’oppressione dei poveri e dei più vulnerabili, esortando i fedeli a rendere la Misericordia di Dio “più visibile” nel mondo di oggi. “Quest’anno abbiamo una missione: quella di diffondere la misericordia e di costruire un mondo fondato sull’amore di Dio”, ha detto. “Dobbiamo costruire una società fondata su Gesù misericordioso e ognuno di noi deve essere una pietra di questa società di giustizia, verità e amore”. Quindi l’invito ai fedeli a passare anche attraverso le “Porte della carità” dei senza casa, dei poveri, dei carcerati e dei malati. 

Dai vescovi l’appello alla misericordia per le famiglie indigenti
​L’esortazione ad avere misericordia per i poveri è stata al centro della recente lettera pastorale pubblicata dalla Conferenza episcopale filippina Cbcp) in vista del Giubileo, in cui i presuli hanno invitato i fedeli in particolare a chinarsi con umiltà sulle famiglie indigenti a una particolare attenzione alle famiglie indigenti non solo “per chiedere misericordia per i nostri peccati, ma anche come gesto di compassione verso le persone ferite che come noi hanno peccato”.  (A cura di Lisa Zengarini)

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Vescovi Sudafrica: Giubileo sia rinnovamento spirituale

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Il Giubileo straordinario della misericordia, inaugurato ieri da Papa Francesco, non si riduca “ad un’elemosina per i mendicanti”, ma sia un tempo di vero “rinnovamento” spirituale: questa l’esortazione contenuta nella Lettera pastorale della Conferenza episcopale del Sudafrica (Sacbc), diffusa in occasione dell’Anno Santo indetto dal Pontefice. “Gesù Cristo – scrivono i presuli – è il volto della misericordia del Padre” e “guardando a Lui, possiamo essere strumenti più efficaci dell’azione misericordiosa del Signore nelle nostre vite”, affinché “diventiamo tutti misericordiosi come il Padre”, come recita il motto del Giubileo.

Leggere il Vangelo di Luca, Vangelo della misericordia
Ricordando, poi, che questo Anno Santo, per volontà del  Papa, è a carattere “diffuso”, ovvero può essere celebrato nelle diocesi di tutto il mondo, la Sacbc esorta ad aprire Porte Sante nelle diverse cattedrali sudafricane ed incoraggia i sacerdoti locali “ad essere creativi nell’organizzare eventi e progetti giubilari sul tema della misericordia”. Ad esempio – spiega la Lettera pastorale – i fedeli possono scegliere di “pregare in famiglia dopo aver letto un passo del Vangelo di Luca, noto come il ‘Vangelo della Misericordia’”.

Celebrare, e non subire, il sacramento della Riconciliazione
“Essere colmati dall’amore e dalla misericordia di Dio – proseguono i presuli – ci stimolerà a raggiungere gli altri con le opere di misericordia spirituali e corporali”. E non solo: “Al centro di questo Anno Santo deve esserci la Riconciliazione: incoraggiamo i fedeli a celebrare (e diciamo ‘celebrare’, non ‘subire’) la confessione, sacramento dell’incontro gioioso con il Signore misericordioso e compassionevole, al quale accostarsi regolarmente”.

Raggiungere i fratelli lontani dalla Chiesa
Infine, l’auspicio della Chiesa sudafricana è che questo Giubileo sia “un tempo di rinnovamento per tutti i membri della famiglia di Dio, così da divenire missionari della Sua misericordia nel mondo di oggi, raggiungendo quei fratelli e quelle sorelle che si sono allontanati dalla Chiesa”. (A cura di Isabella Piro)

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Sud Corea. Card. Yeom: delegazione cattolica al Nord, punto di partenza

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“La visita ufficiale compiuta in Corea del Nord ha un significato importante perché questa volta la delegazione era composta da un gran numero di prelati della Corea del Sud. Prego che possa essere un punto di partenza per una maggiore comunicazione tra il Sud e il Nord”: lo dichiara all’agenzia Fides il card. Andrew Yeom Soo-jung, arcivescovo di Seul e amministratore apostolico di Pyongyang, commentando la recente visita in Corea del Nord da parte di 17 componenti di una delegazione cattolica sudcoreana, che comprendeva quattro vescovi e 13 sacerdoti. I presenti hanno celebrato la liturgia eucaristica nella cattedrale di Changchung a Pyongyang, con una assemblea di 70 laici cattolici nordcoreani.

In Nord Corea sacerdoti cattolici sudcoreano celebreranno Messe nelle feste liturgiche
“I nostri sforzi per entrare in contatto con la Corea del Nord risalgono al 2000, quando l'allora vicario episcopale per la Pastorale sociale visitò la Corea del Nord. Nel 2003, i cattolici nordcoreani sono venuti da noi e abbiamo celebrato la Messa insieme nella cattedrale di Myeongdong, per la prima volta in 58 anni” ricorda il cardinale, che a maggio 2014 è stato il primo arcivescovo di Seul a visitare il complesso industriale del Kaesong, oltre confine. Ora un passo avanti è stato sancito: dall'anno prossimo, la Chiesa cattolica sudcoreana potrà inviare in Corea del Nord sacerdoti a celebrare le liturgie eucaristiche in occasione delle principali solennità del calendario liturgico cattolico. “Come l'amministratore apostolico di Pyongyang, credo che l'invio di sacerdoti ad amministrare i sacramenti nella diocesi di Pyongyang sia una priorità”, conferma il cardinale a Fides.

La speranza di inviare sacerdoti in Nord Corea
​“Abbiamo negoziato con la Corea del Nord per oltre dieci anni, nella speranza di inviare sacerdoti da Seul a occuparsi della vita religiosa dei credenti della Corea del Nord. Noi stiamo facendo del nostro meglio per raggiungere un consenso sulla questione. Spero che la recente visita possa rappresentare il punto di partenza di un nuovo accordo” conclude. (P.A.)

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Patriarca Raï visita Siria: segno d'amore per il popolo siriano

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Il Patriarca maronita Boutros Bechara Raï ha compiuto una visita di due giorni in Siria, sostando nella città di Tartus, nella regione costiera di Lattakia. Durante la visita, iniziata domenica 6 dicembre, il Primate della Chiesa maronita ha celebrato l'ordinazione episcopale di Joseph Tobji, il nuovo arcivescovo maronita di Aleppo. La visita in Siria – ha dichiarato ai media locali il Patriarca Raï - “è un segno d'amore e un auspicio di pace per tutto il popolo siriano”. A Tartous, il Patriarca maronita ha avuto occasione di incontrare tra gli altri anche l'arcivescovo Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, e il Patriarca greco ortodosso di Antiochia Yohanna X. 

Convocazione dei leader delle forze politiche libanesi per la candidatura di Franjieh
​In alcune dichiarazioni rilasciate a media libanesi, il Patriarca Raï ha anche riferito di aver convocato nella sede patriarcale di Bkerkè tutti i leader delle forze politiche cristiane libanesi per discutere insieme della possibile intesa sulla candidatura di Suleiman Franjieh, capo del partito Marada, alla carica di Presidente della Repubblica libanese, vacante dal maggio 2014. (G.V.)

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Egitto: minacce jihadiste ai monasteri copti

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Negli ultimi giorni, secondo fonti egiziane consultate dall'agenzia Fides, minacce jihadiste sono state rivolte in particolare contro il monastero copto ortodosso di al Baramos, dedicato alla Vergine Maria. Le minacce sono state corredate di informazioni relative alla dislocazione e alla struttura del monastero, già sottoposto da tempo a misure di protezione consistenti da parte della polizia egiziana.

Chieste misure di protezione eccezionali
Alla luce degli ultimi sviluppi, Yussif Malak, avvocato e direttore del Centro egiziano per i diritti umani, ha chiesto che siano garantite misure di protezione eccezionali per le chiese e i monasteri copti sotto minaccia. Malak ha ricordato che minacce analoghe furono diffuse anche prima della strage terroristica compiuta la notte di capodanno del 2011 presso la chiesa copta dei Santi di Alessandria d'Egitto, che provocò 23 morti e un centinaio di feriti. Anche Nader Shoukry, portavoce dell'Associazione “Copti per l'Egitto”, ha invitato il Ministero dell'Interno e gli apparati di sicurezza egiziani a prendere sul serio le minacce diffuse via internet contro obiettivi copti.

Quello di al Baramos è uno dei quattro storici monasteri copti gravemente danneggiati all'inizio di novembre dalle inondazioni provocate dalle pesanti piogge abbattutesi nella regine di Wadi al Natrun. (G.V.)

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Svizzera. Appello ecumenico per rispetto dei diritti umani

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Ricorre domani, 10 dicembre, la Giornata internazionale dei diritti umani. Per l’occasione, la Conferenza episcopale svizzera, la Federazione delle Chiese protestanti e la Chiesa cattolica-cristiana elvetica lanciano un appello congiunto per ribadire “il legame tra la democrazia e i diritti umani”, poiché “constatano con preoccupazione che i diritti fondamentali sono sempre più soggetti ai capricci della volontà popolare”.

Forza di una comunità si misura sul benessere delle persone più deboli
Per questo, le tre Chiese svizzere pubblicano un breve documento informativo intitolato “Ricercate la giustizia!” (Is 1,17), che illustra gli aspetti fondamentali della democrazia: “la partecipazione democratica all’elaborazione delle leggi alle quali la popolazione è sottoposta” perché “la legittimità di uno Stato si basa sulla partecipazione attiva di tutti i cittadini”; “l’esigenza di giustizia per garantire uno Stato e delle leggi giuste”, poiché “la maggioranza, da sola, non è sufficiente” e “non difende, automaticamente, i diritti delle minoranze”. “Le decisioni della popolazione – infatti – devono rispondere alle esigenze di giustizia e di solidarietà”, così come afferma la Costituzione: “La forza di una comunità si misura sul benessere dei suoi membri più deboli”.

Esigenza di solidarietà nei confronti di tutti
E ancora: le Chiese svizzere richiamano “l’esigenza di solidarietà nei confronti di tutti coloro che risiedono nel Paese e l’accesso a dei Tribunali indipendenti, inclusi quelli per le istanze di ricorso”, perché “un ordinamento giuridico degno di fiducia offre sempre la possibilità di ricorrere ad un’istanza superiore e quindi di sottoporre il giudizio di un Tribunale a quello di un organismo di più alta istanza”.

Diritti umani, misura delle decisioni giudiziarie
“I diritti umani – affermano ancora i rappresentanti delle tre Chiese – devono essere la misura delle decisioni giudiziarie, comprese le istanze di ricorsi davanti alla Corte europea dei diritti umani, altrimenti restano lettera morta. Questa è la garanzia ultima della nostra libertà e della nostra sicurezza come cittadini, di uno Stato degno di fiducia”.

La politica non guardi agli interessi particolari
​Di qui, la sottolineatura del fatto che “ogni uomo ed ogni donna può far riferimento” a tali diritti, “quale che sia il suo status socio-economico, la sua cultura, la sua religione o la sua appartenenza etnica”. “Le Chiese insistono – conclude la nota – affinché questa conquista di civiltà non sia sacrificata agli obiettivi di una politica quotidiana che è spesso a breve termine e privilegia gli interessi particolari o nazionali”. (I.P.)

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Paraguay: 2 milioni di fedeli alla festa della patrona del Paese

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Quasi due milioni di fedeli, secondo le stime della polizia, si sono riuniti tra lunedì 7 e martedì 8 dicembre, intorno alla Basilica di Nostra Signora dei Miracoli di Caacupé, Patrona del Paraguay, circa 50 chilometri ad est di Asuncion. La Messa principale della festa è stata presieduta dal vescovo di Caacupé, mons. Catalino Claudio Giménez Medina, alla presenza del Presidente del Paraguay, Horacio Cartes, accompagnato dai suoi collaboratori. Nell’omelia mons. Giménez ha condannato la corruzione, la violenza armata nel nord, gli attacchi contro le donne e l'aborto.

Quest'anno anche l'associazione dei ciclisti
I pellegrini sono arrivati a piedi, in ginocchio, portando croci, oppure a cavallo o sui carri con i buoi, manifestando la loro devozione alla Vergine. Quest’anno per la prima volta ha partecipato l'associazione dei ciclisti, con diverse centinaia di membri, e perfino un gruppo da Hernandarias, al confine con il Brasile, che ha compiuto un viaggio di due giorni per percorrere 300 km.

Ripudio della violenza che va contro la misericordia
Il vescovo di Caacupé nella sua omelia ha criticato le "chiacchiere politiche" e ha sottolineato "il ripudio del popolo per la violenza armata", riferendosi a un gruppo clandestino che ha rapito alcune persone e militari nel nord del Paese. "Ripudiamo la violenza domestica e la violenza contro le donne, che va contro la misericordia" ha concluso il vescovo. (C.E.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 343

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.