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Sommario del 02/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: convivenza tra ricchezza e miseria è scandalo e vergogna

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La convivenza tra ricchezza e miseria, in Africa e non solo, è “uno scandalo”. Questa la riflessione di Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, a pochi giorni dalla conclusione del suo viaggio apostolico in Kenia, Uganda e Repubblica Centrafricana. A colpire il Pontefice, tra l’altro, la testimonianza offerta dai missionari e dai giovani africani. Il servizio di Giada Aquilino

Convivenza ricchezza-miseria: uno scandalo
Nel “cuore dell'Africa” la convivenza tra ricchezza e miseria è tangibile. Lo ha sperimentato in prima persona Papa Francesco, nel viaggio appena conclusosi che lo ha portato in Kenia, Uganda e Repubblica Centrafricana:

“Questo è uno scandalo! Non solo in Africa: anche qui, dappertutto. La convivenza tra ricchezza e miseria è uno scandalo, è una vergogna per l’umanità”.

Missionari: una esistenza per il Signore e per la vita
Ripercorrendo il proprio pellegrinaggio, all’udienza generale il Pontefice sceglie di soffermarsi in particolare su missionari e giovani. A proposito del Centrafrica, ultima tappa, ma – precisa – “in realtà la prima” nelle sue intenzioni, parla di “uomini e donne” che hanno lasciato “la patria da giovani” e se ne sono andati in quelle terre, scegliendo una vita di “tanto lavoro”, alle volte dormendo addirittura “sulla terra”. Francesco ricorda di aver conosciuto a Bangui una di quei “missionari coraggiosi”, un’anziana suora italiana, di 81 anni: due più di lui, osserva. Dal Papa in Centrafrica è arrivata “in canoa” dal Congo, in compagnia di una bimba che la chiama “nonna”! Si tratta di un’infermiera e un’ostetrica, che ha fatto nascere più di 3.200 bambini:

“Tutta una vita per la vita, per la vita degli altri. E come questa suora, ce ne sono tante, tante: tante suore, tanti preti, tanti religiosi che bruciano la vita per annunciare Gesù Cristo. E’ bello, vedere questo. E’ bello”.

In Europa la natalità sembra un lusso
Quindi una riflessione sui giovani:

“Ce ne sono pochi, perché la natalità è un lusso, sembra, in Europa: natalità zero, natalità 1% … Ma mi rivolgo ai giovani: pensate cosa fate della vostra vita”.

Missionarietà non è fare proselitismo
L’invito del Papa è a prendere esempio da questa suora e da “tante come lei, che hanno dato la vita” per la missione, a volte anche perdendola:

“La missionarietà non è fare proselitismo, perché mi diceva questa suora che le donne musulmane vanno da loro perché sanno che le suore sono infermiere brave che le curano bene e non fanno la catechesi per convertirle! Rendono testimonianza; poi a chi vuole fanno la catechesi. Ma la testimonianza: questa è la grande missionarietà eroica della Chiesa”.

Appello ai giovani: non escludete possibilità di diventare missionari
Quindi annunciare “Gesù Cristo con la propria vita”: questa l’esortazione ad ogni ragazzo:

“E’ il momento di pensare e chiedere al Signore che ti faccia sentire la sua volontà. Ma non escludere, per favore, questa possibilità di diventare missionario, per portare l’amore, l’umanità, la fede in altri Paesi. Non per fare proselitismo: no. Quello lo fanno quelli che cercano un’altra cosa. La fede si predica prima con la testimonianza e poi con la parola. Lentamente”.

Speranze per il futuro del Centrafrica
Le speranze del Papa sono per il futuro del Centrafrica, un “Paese che soffre tanto”, che sta cercando di “uscire da un periodo molto difficile, di conflitti violenti e tanta sofferenza nella popolazione”. Francesco ha voluto aprire proprio là, a Bangui, la prima Porta Santa del Giubileo della Misericordia, come segno – sottolinea – “di fede e di speranza per quel popolo e simbolicamente per tutte le popolazioni africane le più bisognose di riscatto e di conforto”.

“Lasciare alle spalle la guerra, le divisioni, la miseria, e scegliere la pace, la riconciliazione, lo sviluppo. Ma questo presuppone un ‘passaggio’ che avviene nelle coscienze, negli atteggiamenti e nelle intenzioni delle persone”.

A questo livello, ha osservato, è “decisivo” l’apporto delle comunità religiose. Per questo, prosegue, ha incontrato le comunità evangeliche e quella musulmana locali per condividere “la preghiera e l’impegno per la pace”. Ma ha visto anche i sacerdoti e i consacrati, oltre che i giovani, soprattutto alla “meravigliosa” Messa allo stadio di Bangui: più della metà della popolazione della Repubblica Centrafricana – fa notare - ha meno di 18 anni” e ciò costituisce “una promessa per andare avanti”.

Kenia: tutelare il creato
Il pensiero di Francesco va pure al Kenia, simbolo – osserva - della “sfida globale della nostra epoca”, riscontrabile in particolare a Nairobi, quella di “tutelare il creato” riformando il modello di sviluppo “perché sia equo, inclusivo e sostenibile”. Per questo, spiega, ha incoraggiato a fare tesoro della “ricchezza naturale e spirituale” del Paese, costituita “dalle risorse della terra, dalle nuove generazioni e dai valori che formano la saggezza del popolo”, portando “la parola di speranza di Gesù”, che invita ad essere “saldi nella fede”, senza avere “paura”:

“Una parola che viene vissuta ogni giorno da tante persone umili e semplici, con nobile dignità; una parola testimoniata in modo tragico ed eroico dai giovani dell’Università di Garissa, uccisi il 2 aprile scorso perché cristiani. Il loro sangue è seme di pace e di fraternità per il Kenia, per l’Africa e per il mondo intero”.

Uganda: testimonianza è lievito per società
Quindi la visita in Uganda, a 50 anni dalla canonizzazione dei Martiri di quel Paese, svoltasi nel “fervore della testimonianza animata dallo Spirito Santo”, come nel caso dei catechisti e delle loro famiglie; come per gli esempi di carità, che il Papa racconta di aver “toccato con mano” nella Casa di Nalukolongo; come per i giovani che, “malgrado le difficoltà”, cercano di vivere secondo il Vangelo e non – sottolinea – “secondo il mondo, andando contro-corrente”; come i sacerdoti, i consacrati e le consacrate “che rinnovano giorno per giorno il loro “sì” totale a Cristo e al popolo di Dio”:

“Tutta questa multiforme testimonianza, animata dal medesimo Spirito Santo, è lievito per l’intera società, come dimostra l’opera efficace compiuta in Uganda nella lotta all’AIDS e nell’accoglienza dei rifugiati”.

Una varietà di aspetti, dunque, che spinge il Papa a concludere: “Bella l’Africa!".

In Avvento, più attenzione per chi ha bisogno
Nei saluti finali un pensiero per il Tempo di Avvento, iniziato domenica scorsa: 

“Esorto tutti a vivere questo tempo di preparazione alla nascita di Gesù, Volto del Padre misericordioso, nel contesto straordinario del Giubileo, con spirito di carità, maggiore attenzione a chi è nel bisogno, e con momenti di preghiera personale e comunitaria”.

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Card. Filoni: anche musulmani aprano Porta Santa della misericordia

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Una nuova speranza per la pace, il dialogo e la giustizia: Così il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha definito il viaggio di Papa Francesco in Kenya, Uganda e Centrafrica. Ascoltiamo il porporato che ha vissuto questa missione del Pontefice col seguito, in questa intervista di Paul Samasumo

R. – Questa presenza del Santo Padre ha suscitato una gioia straordinaria in tutti e tre i Paesi che abbiamo visitato. Forse l’entusiasmo nella Repubblica Centrafricana ha colpito di più, perché il Paese attraversa una fase ancora politicamente, socialmente, civilmente e religiosamente instabile. Sono convinto, però, che proprio la presenza del Santo Padre, attraverso questi momenti - la visita ai cristiani e l’apertura della Porta Santa nella cattedrale di Bangui, che è diventato per un momento il centro della cattolicità; la visita agli evangelici, la cui presenza anche è così significativa sotto tanti aspetti; la visita alle comunità musulmane, cioè questo modo gioioso con cui anche i musulmani hanno accolto il Papa - è una pagina straordinaria che aprirà un nuovo capitolo. Io spero che altri non soffino contro la pace che il Papa ha annunziato, contro la pacifica convivenza. Il Papa ha detto una cosa molto significativa: “Non mi piace parlare di tolleranza”. E io dico che anche a me non piace parlare di tolleranza e, dove mi trovo, lo dico sempre. La tolleranza, infatti, indica solamente quasi una concessione di me, che sono maggioranza, verso gli altri che sono minoranza. Non è così, non deve essere così. C’è un diritto alla pace, c’è un diritto alla convivenza, che non deve essere interessata dagli elementi di maggioranza, di minoranza, religiosi o non religiosi, perché – come il Papa ha detto – dal punto di vista proprio esistenziale, religioso, tutti siamo figli di Dio. Ma se anche non vogliamo credere a questo: siamo tutti figli della stessa Terra, siamo tutti figli di questa stessa realtà. Perché non possiamo camminare e vivere assieme? Ecco, non più tolleranza, che forse è il primo gradino per non fare guerre, violenze e così via, ma diritto di tutti di vivere, di lavorare, di stare insieme, il diritto di tutti di convivere nella pace, professando ognuno il bene, facendo del bene professando la propria fede, nella semplicità e nella testimonianza reciproca. Sia i cristiani che i musulmani possono dare la loro testimonianza di fede. Io trovo sempre bello, lo ripeto – come il Papa anche ha potuto vedere qui, ma anche in tante altre parti dove i cristiani sono minoranza - come nelle nostre scuole cattoliche non facciamo differenza di religione. E devo dire che tante volte sono proprio i leader musulmani che dicono: “Noi siamo ex alunni di scuole cristiane”. Ora, se questo è possibile già in tante parti, perché non lo possiamo estendere? Credo che la visita del Santo Padre lavorerà anche in questo senso: per la pacifica coesistenza di tutti, per il rispetto dei diritti di tutti.

D. – Qual è stato il significato dell’apertura della Porta Santa a Bangui?

R. – Aprendo la Porta Santa il Papa, anche da un punto di vista teologico ed ecclesiale, ha fatto un gesto straordinario. Non c’era bisogno di aprire la Porta Santa in una città pacifica – può essere Roma, può essere da un’altra parte dell’Occidente, non importa - ma farlo lì dove fino a ieri ancora c’erano difficoltà e scontri. E’ lì che la riconciliazione ha bisogno di rinascere, è lì che la riconciliazione e il perdono hanno bisogno di essere nuovamente generati. E questo perché? Perché il cuore del cristianesimo è la misericordia. Ma anche nel cuore dell’islam non c’è Dio se non un Dio misericordioso; anche nel cuore dell’islam c’è una misericordia, alla quale a volte vengono tagliate le ali - viene dimenticata da alcuni, viene messa da parte - ma sappiamo che è uno dei 99 nomi con cui Dio, Allah, viene nominato. Il Papa va in una terra dove ci sono stati questi conflitti: sono conflitti civili, ma sono anche determinati da aspetti religiosi, almeno in una visione fondamentalista. Ecco, allora, il significato di dire: noi cristiani apriamo una Porta Santa che è quella della misericordia ed ora aspettiamo che pure i nostri fratelli musulmani, che credono in un Dio misericordioso, aprano, anche loro, una Porta Santa che è quella, anche per loro, della misericordia di Dio, che deve essere attuata, praticata, buttando via le armi e magari facendo un bel falò per bruciarle e finirla con esse.

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Papa: mondo ha bisogno di misericordia, Chiesa a volte è dura

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Il Giubileo della misericordia sarà “l’anno del perdono e della riconciliazione”: così Papa Francesco in un’intervista concessa al settimanale “Credere”, rivista ufficiale dell’Anno Santo straordinario. “Sono un peccatore ed un uomo perdonato”, afferma il Pontefice, richiamando la necessità di una “rivoluzione della tenerezza”. Il Papa rende noto, infine, che durante il Giubileo, un venerdì al mese, compirà “un gesto diverso” per testimoniare la misericordia di Dio. Il servizio di Isabella Piro

Giubileo misericordia non è strategia, ma risposta allo Spirito Santo
“Non è stata una strategia, mi è venuto da dentro: lo Spirito Santo vuole qualcosa”. Risponde così Papa Francesco alla rivista “Credere” che gli chiede perché abbia deciso di indire un Giubileo straordinario della misericordia, dal prossimo 8 dicembre al 20 novembre 2016. Un tema accentuato anche da Paolo VI e Giovanni Paolo II, spiega il Pontefice che riprende così “una tradizione relativamente recente”, espressa già – ricorda – nel suo primo Angelus e nella sua prima omelia nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, a marzo 2013. “Il mondo oggi – continua il Papa – ha bisogno di misericordia e di compassione”, di fronte all’abitudine alle notizie “cattive e crudeli”, alle “atrocità più grandi che offendono il nome e la vita di Dio”. Ed è per questo che il mondo ha bisogno di scoprire “che la crudeltà e la condanna non sono la strada”.

La Chiesa sia ospedale da campo, aiuti i feriti a guarire
“La Chiesa stessa – nota il Santo Padre – a volte segue la linea dura”, cade nella “tentazione di sottolineare solo le norme morali”, lasciando fuori molta gente. E invece, ribadisce il Papa, ricordando un’immagine a lui particolarmente cara, la Chiesa deve essere come “un ospedale da campo dopo la battaglia”, in cui “i feriti vanno curati ed aiutati a guarire, non sottoposti alle analisi per il colesterolo”. Di fronte, quindi, al “traffico e ed alla produzioni di armi, all’assassinio di innocenti nei modi più crudeli possibili, allo sfruttamento di persone e di minori”, di fronte al “sacrilegio contro l’umanità che si sta attuando”, Dio Padre dice “Fermatevi e venite a me”.

“Sono peccatore. Mi confesso ogni 15 giorni”
Il Pontefice, poi, si sofferma sulla sua vita personale: “Sono peccatore – dice – e sono un uomo perdonato” che Dio “ha guardato con misericordia”. “Ancora adesso commetto errori e peccati, e mi confesso ogni 15 o 20 giorni”, proprio per “sentire la misericordia di Dio”. Il Papa ricorda anche quel lontano 21 settembre 1953 quando, all’età di 17 anni, avvertì la chiamata vocazionale proprio grazie al sacramento della riconciliazione ed all’incontro con il suo confessore, un sacerdote di Corrientes, don Carlos Benito Duarte Ibarra. E dal 21 settembre, memoria liturgica di San Matteo, deriva anche il suo motto episcopale, “Miserando atque eligendo”, perché Gesù “guardò Matteo, ne ebbe misericordia e lo scelse”. Ma “la traduzione letterale – spiega il Papa – sarebbe ‘misericordiando e scegliendo’, quasi come un lavoro artigianale”. Infatti, racconta, “anni dopo mi accorsi che il Signore mi aveva modellato artigianalmente con la Sua misericordia”.

Necessaria la rivoluzione della tenerezza
Rispondendo, inoltre, ad una domanda sulla “maternità di Dio” nel cui grembo, secondo la Bibbia, dimora la misericordia, il Papa ricorda l’importanza della “tenerezza” del Signore, che “nasce dalle sue viscere”, perché “Dio è padre e madre”. Di qui, il richiamo alla “rivoluzione della tenerezza”, così ad avere “un atteggiamento più tollerante e più paziente” nei confronti degli altri. Una rivoluzione che il Pontefice auspicava – rivela – già al Sinodo del 1994, dedicato al tema della vita consacrata, suscitando qualche perplessità in un “anziano Padre sinodale”. Eppure, sottolinea Francesco, “io continuo a dire che oggi la rivoluzione è quella della tenerezza perché da qui deriva la giustizia”. E fa un esempio: l’imprenditore che nega ad un dipendente il diritto “all’indennità, alla pensione, alla previdenza sociale”, “lo tratta come un oggetto” e “non mostra tenerezza” nei suoi confronti. La rivoluzione della tenerezza, invece, va “coltivata come frutto di questo Anno della misericordia”.

Durante Giubileo, un venerdì al mese, un gesto di misericordia
Infine, il Papa rende noto che durante il Giubileo “un venerdì di ogni mese” compirà “un gesto diverso” per testimoniare la misericordia di Dio, un gesto che sarà come “una carezza”, quella che i genitori fanno ai loro figli per dire loro: “Ti voglio bene”.

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Papa benedice Autocappella della Missione del Rosario di Pompei

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Questa mattina, poco prima dell’udienza generale in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha benedetto la nuova “Autocappella”, utilizzata durante il servizio pastorale della Missione Mariana del Rosario del Santuario di Pompei. Per la prima volta, nella storia della Missione Mariana, un Pontefice ha impartito la benedizione al mezzo che porta in tutte le diocesi del mondo l’Immagine della Vergine di Pompei.

La tradizione della Missione Mariana del Rosario nasce negli anni ’50 del XX secolo come impegno di evangelizzazione fondato sulla più nota e popolare preghiera mariana: il Rosario. Bartolo Longo, fondatore della nuova Pompei e del Santuario, al termine del suo cammino di conversione, scoprì nella propagazione del Rosario l’essenza della sua chiamata. Per realizzare questa specifica vocazione, nasce proprio la Missione Mariana del Rosario, oggi guidata da mons. Francesco Paolo Soprano, coadiuvato dal vice responsabile, don Rosario Maria Franco Pepe, che assieme all’arcivescovo, mons. Tommaso Caputo, stamattina erano presenti in Piazza San Pietro.

Le Missioni organizzate dal Santuario di Pompei, durante il tempo della loro celebrazione, portano una copia dell’Icona della Vergine del Rosario di Pompei nelle diocesi che ne fanno richiesta, per un tempo forte di preghiera ed evangelizzazione. In Italia e all’estero, la Missione Mariana del Rosario, seguendo il carisma della Chiesa di Pompei, avvicina migliaia di persone presenti nelle comunità parrocchiali, negli ospedali, nelle caserme, nelle scuole, nelle fabbriche, nei luoghi di detenzione, e, attraverso una catechesi attenta e puntuale, indica una strada privilegiata per la salvezza: la contemplazione dei Misteri di Cristo, attraverso lo sguardo premuroso di Maria, quale esperienza individuale e comunitaria di conversione, di carità e di pace. Le numerose Missioni che si realizzano durante l’anno toccano tutte le regioni italiane e, nel corso degli anni, hanno raggiunto anche Australia, Stati Uniti, Canada e Malta.

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Giubileo. Mons. Viganò: copertura mediatica senza precedenti

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Un evento senza precedenti: la copertura mediatica dell’apertura della Porta Santa del Giubileo della Misericordia – il prossimo 8 dicembre in San Pietro – verrà effettuata in mondovisione live in tecnologia UltraHD. L’iniziativa che vede la collaborazione del Centro Televisivo Vaticano (Ctv) con Radio Vaticana e il contributo tecnologico di Sony, Eutelsat, Globecast e DBW Communication, è stata presentata stamani nella sede della Filmoteca Vaticana. Su questo eccezionale avvenimento, Alessandro Gisotti ha intervistato mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione e direttore del Ctv: 

R. – Come è avvenuto in questi ultimi anni, è il frutto di mettere attorno a un progetto un insieme di soggetti particolarmente significativi. In occasione dell’apertura della Porta Santa della Misericordia, produciamo il segnale in 4K Ultra-HD attraverso una distribuzione che avverrà con dei satelliti Eutelsat. Avremo quindi uno shooting unico ma con una molteplicità di formati e questo permetterà da un lato una fruizione molto massiva e insieme però anche la possibilità per chi ha un televisore 4K, in Italia, di vedere in 4K questa cerimonia di apertura dell’Anno Santo; penso però soprattutto ad alcune parti dell’Asia o del Nord America dove il 4K è una realtà di fatto già molto quotidiana. Devo dire, dunque, un insieme di realtà e forse anche una prima occasione in cui la Segreteria per la Comunicazione lavora insieme con il Centro Televisivo Vaticano e la Radio Vaticana. La Radio, appunto, produrrà un segnale 5.1 audio, quindi di grande livello, e avremo quattro canali linguistici: questo è un altro elemento molto importante. Quindi, si va verso quello che il Santo Padre ci ha indicato, cioè una fusione dei due enti in quella che sarà, appunto, la Radio Televisione Vaticana.

D. – Una tecnologia così coinvolgente sembra quasi nata per Papa Francesco …

R. – Sì! Anche se lui è coinvolgente di natura. Diciamo che noi possiamo “addomesticare” la tecnologia mettendogliela a disposizione, ma la forza non è tanto della tecnologia quanto piuttosto di un uomo che fa di un annuncio, un annuncio che ha il peso della verità della sua storia.

D. – Mentre si esplorano queste frontiere della tecnologia, però, il Ctv, la Santa Sede tiene a non tagliare fuori chi questa tecnologia ancora non può averla a disposizione: anche in questo evento si vede, questo, no?

R. – Sì, si vede a due livelli. Da un lato, portando nel luoghi della sofferenza il massimo grado della tecnologia: penso, ad esempio, al fatto che saremo presenti – con dei punti di visione - nel Carcere di San Vittore a Milano, all’Ospedale Gemelli e stiamo cercando di mettere a fuoco la possibilità di portare questo anche in Terra Santa. Dall’altro lato, invece, è il fatto che produciamo con tutti i formati, quindi anche chi ha l’SD, cioè lo “standard definition”, ad esempio, può tranquillamente vedere questo evento.

Mettere la tecnologia più avanzata al servizio del Magistero di Papa Francesco per coinvolgere il pubblico di fedeli è dunque la sfida del Centro Televisivo Vaticano e più in generale dei media della Santa Sede. Il Ctv, inoltre, per l’apertura della Porta Santa e i successivi eventi giubilari ha anche attrezzato con apparati e infrastrutture Ultra HD 4K uno dei sui mezzi mobili. Tre i satelliti che garantiranno la copertura planetaria dell’evento. Abbiamo raccolto il commento di Renato Farina, amministratore delegato di Eutelsat Italia: 

R. – L’8 dicembre, per noi, è un’altra data storica, perché oltre a replicare quello che abbiamo fatto già – cioè la mondovisione in HD – vogliamo aggiungere un’altra data importante nella storia di Eutelsat e della televisione in generale: la mondovisione di un evento live in 4K: 4K che è una definizione televisiva quattro volte superiore all’HD ed è la nuova frontiera della televisione per il futuro.

D. – La tecnologia è dunque al servizio anche di messaggi fortemente positivi, come quello del Giubileo della Misericordia?

R. – Sì: oltre all’importanza della parola del Santo Padre, credo che le immagini bellissime che saranno sicuramente fonte di questo evento, potranno essere apprezzate con una qualità mai percepita.

Particolarmente significativo sarà anche l’impiego di ben 19 telecamere Sony, di cui 12 di ultima generazione 4K, equipaggiate con le modernissime ottiche Fujinon. L’evento sarà inoltre trasmesso live in UltraHD presso l’atrio dell’Aula Paolo VI dove saranno installati 2 maxischermi Sony da 65 pollici. La riflessione al riguardo di Benito Manlio Mari, direttore Media Business di Sony Europe: 

R. – E’ un’esperienza meravigliosa: da oltre 20 anni siamo partner tecnologici del Centro Televisivo Vaticano che ha fatto un percorso di innovazione molto importante. Da quando il Ctv è passato all’HD e poi attraverso tanti test e sperimentazioni fatti insieme, devo dire che oggi approdiamo a una diretta ultra-HD, finalmente con tutti i canoni di una reale trasmissione televisiva. E quindi è un evento eccezionale. Avremo 19 telecamere che il Ctv dispiega tra Piazza San Pietro e la Basilica, tutte in 4K, che fanno fulcro sul mezzo mobile OB8 e OB16, con il supporto di DBW Communication, e questo dispiegamento mostra come il Ctv voglia essere ancora una volta un punto di riferimento nella comunicazione. Queste immagini, per la loro ricchezza, trasferiscono un’emozione, un’immersività.

D. – Si parla tanto di immersività, di una capacità così espressiva delle immagini: veramente è un connubio particolare con la figura di Papa Francesco …

R. – Assolutamente. Nelle immagini, Papa Francesco che ci emoziona per la ricchezza di attività, per la ricchezza di iniziative ci dà veramente la possibilità di raccogliere queste immagini dove abbiamo ambientazioni di assoluto interesse e televisivo e di narrazione: veramente, ciò enfatizza il livello e la capacità comunicativa. Quindi, grazie ancora, anche per questo, a Papa Francesco!

Alla presentazione alla Filmoteca Vaticana sono intervenuti anche David Bush, di Sony Europe, Alessandro Alquati, direttore generale di Globecast Italia, Giuliano Berretta, presidente di DBW Communication, Stefano D’Agostini, direttore tecnico del Centro Televisivo Vaticano. Tutti i relatori hanno messo l’accento sulla sfida avvincente di coniugare una qualità tecnologica di avanguardia con la narrazione di un avvenimento di grande significato spirituale come l’apertura del Giubileo della Misericordia.

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Viganò: cambiamenti di Papa Francesco sono fedeltà al Vangelo

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L’unico vero cambiamento nasce dalla fedeltà al Vangelo: “E’ il cuore del messaggio di Papa Francesco”. Lo ha ripetuto mons. Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede, presentando a Milano con Aldo Grasso ed Enrico Mentana, il suo libro “Fedeltà è cambiamento”. Da Milano, il servizio di Fabio Brenna

“Non si tratta di fedeltà ad un proprio progetto o a proprie idee. Se avvenisse questo, avremmo una Chiesa fatta di cordate, alleanze e potere. Ed è proprio ciò che il Papa denuncia come patologia”, ha sottolineato mons. Viganò, “si tratta di essere fedeli all’amore del Padre”. Su questo principio si innesta la svolta di Francesco raccontata da chi lo accompagna nelle cerimonie, nelle udienze e nei viaggi come quello appena conclusosi in terra africana:

“Proprio perché sei fedele non hai paura di intraprendere i cammini creativi che lo Spirito Santo suggerisce. Quindi la fedeltà è ciò che permette il cambiamento. Quando invece uno non è radicato, non è fedele al bene più prezioso, ha paura e diventa un uomo e una donna da museo”.

Il dibattito si è sviluppato attorno ad una sorta di filo rosso nell’azione riformatrice iniziata da Benedetto XVI e ripresa con vigore dal primo Papa sudamericano della storia che sembra proprio intenzionato a introdurre un profondo mutamento in senso evangelico, nella Chiesa ma anche nella società. Un’azione che non si basa solo su una bella teoria, ha evidenziato ancora mons. Viganò, ma sulla teoria che si fa testimonianza reale ed in prima persona da parte di Francesco:

“Ogni sua parola è la forza, lo spessore della sua vita. Quindi non è un attore e non proclama dei precetti o una dottrina, ma dice e racconta la storia di una vita. E in questo momento in cui abbiamo carenza di leadership una figura così che tiene insieme credenti e non credenti, curiosi e interessati è un momento molto importante: è una figura straordinaria, soprattutto penso per i processi di pacificazione e di riconciliazione e di convivenza civile e politica pacifica”.

L’efficacia dell’identità fra parole e prassi confermata anche da Aldo Grasso:

“Lui è la notizia, perché è contemporaneamente forma e sostanza che cambia”.

E con uno spirito di serenità si guarda anche all’ormai prossimo Giubileo. Ancora mons. Viganò:

“Io credo che la vita vada avanti e non si debba mostrare paura per nulla. Noi viviamo questo momento, tanti verranno, tanti staranno a casa. Questo fa parte della vita!".

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Settemila poveri all'anteprima del film su Papa Francesco

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Tutto esaurito in Aula Paolo VI per l’anteprima del film “Chiamatemi Francesco”, diretto dal regista Daniele Luchetti, dedicato a Papa Bergoglio e che si potrà vedere nei cinema italiani dal 3 dicembre. In sala settemila poveri accompagnati dai volontari e dalle varie realtà caritative della città di Roma. “Questa è la vostra casa”: ha detto a nome del Papa, l’Elemosiniere, mons. Konrad  Krajewski. C’era per noi Benedetta Capelli

Sono loro i poveri, gli ultimi, i senzatetto a rappresentare il Papa. Sono i preferiti di Dio e il cuore di Francesco. Arrivano in settemila in Aula Paolo VI con le fatiche di ogni giorno cucite addosso ma pronti a vivere questa esperienza con curiosità in attesa di conoscere meglio la vita dello stesso Santo Padre. Ad accompagnarli ci sono i volontari, religiosi e laici, sono le presenze diventate famigliari. Alcuni indossano la divisa della banda musicale della Guardia Svizzera Pontificia, che di solito offre concerti solo due volte l’anno – per il giuramento e per Natale – ma che per i poveri ha fatto un’eccezione. Ecco alcune testimonianze:

R. – Io vivo qua a San Pietro perché sono senza fissa dimora e dormo qua fuori. La mattina, sì, d’accordo, ti alzi, vai ai bagni, quando fa freddo in qualche libreria oppure in qualche chiesa che è aperta, per stare al riparo dal freddo. Sono esodato: sono giovane ancora per la pensione e vecchio per il lavoro … Ancora la speranza c’è di andare avanti e di cercare di sopravvivere in qualche modo, no? Però, poi è anche duro fare questa vita senza una meta … Io ho conosciuto un po’ di gente della mia età: due l’hanno fatta finita. Ed è triste, questo …

R. – Noi veniamo dalla Associazione Peter Pan, veniamo dal Bambin Gesù. Un augurio grande che finisca tutto nel migliore dei modi, per tutti i bambini che stanno soffrendo di questa sofferenza.

R. – Io vedo tutti gli ospiti che hanno più bisogno di me … Aspetto di trovare un lavoro perché ho perso il lavoro e a quasi 60 anni è difficile trovare un lavoro. Ma aspetto ...

D. – Chi è per lei, Papa Francesco?

R. – E’ una figura importante per l’epoca nostra, perché è una persona che è molto vicina ai poveri.

R. – Io frequento la Comunità di Sant’Egidio, aiuto anche dentro la mensa, faccio pure il giro del martedì sera a portare la cena alla Stazione Tuscolana e ho mangiato a tavola seduto con Andrea Riccardi, il fondatore della Comunità, insieme a Papa Benedetto XVI. A Santa Maria in Trastevere è venuto Papa Francesco e ho avuto l’onore di salutarlo e di parlare con lui. Io, prima, vivevo per la strada – problemi di famiglia, tante cose … Sono contento di stare insieme alla comunità, di aiutare il prossimo, finché riuscirò a mantenere questo impegno, lo farò!

R. – La pensione è ridotta a 490 euro …

D. – Chi è Papa Francesco per lei?

R. – Una persona molto umile, affettuosa con tutti….tutto qui.

Al termine del film, all’esterno dell’aula Paolo VI, una nuova carezza del Papa: un sacchetto con la cena da consumare al sacco.

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Nomine episcopali in Brasile

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Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Santo Amaro (Brasile), presentata da S.E. Mons. Fernando Antônio Figueiredo, O.F.M., in conformità al can. 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede S.E. Mons. Giuseppe Negri, P.I.M.E., finora Vescovo Coadiutore della medesima diocesi.

Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Passo Fundo (Brasile) S.E. Mons. Rodolfo Luís Weber, trasferendolo dalla Prelatura di Cristalândia. S.E. Mons. Rodolfo Luís Weber è nato il 30 agosto 1963 a Bom Princípio, diocesi di Montenegro, nello Stato di Rio Grande do Sul. Ha compiuto gli studi primari nel Seminario di Bom Principio, poi quelli di Filosofia presso il Seminario Nossa Senhora da Conceição, a Viamão, e di Teologia presso l’Istituto di Teologia della Pontificia Università Cattolica di Porto Alegre. Inoltre, ha ottenuto la Licenza in Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. È stato ordinato sacerdote il 5 gennaio 1991 per l’arcidiocesi di Porto Alegre, dove ha svolto gli incarichi di: Vicario Parrocchiale della parrocchia Santo Antônio a Santo Antônio da Patrulha (1991-1992); Vice Rettore (1993-1997) e poi Rettore (2000-2007) del Seminario maggiore Nossa Senhora da Conceição, a Viamão; Parroco della parrocchia Nossa Senhora das Graças, a Gravataí (2008-2009). È stato nominato Vescovo Prelato di Cristalândia il 25 febbraio 2009 e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 15 maggio successivo. Nell’ultima Assemblea generale della CNBB, dello scorso aprile, è stato eletto Segretario del Regionale Norte 3.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Sfida globale: ripercorrendo il viaggio in Africa il Papa denuncia lo scandalo della miseria che convive con la ricchezza e ancora una volta esorta alla tutela del creato.

Un uomo perdonato: anticipazione dell'intervista rilasciata dal Pontefice alla rivista "Credere".

Washington rafforza la presenza in Siria e in Iraq.

Quel fusibile che salvava dalla violenza: a un mese dalla morte Oddone Camerana ricorda lo studioso delle religioni René Girard.

Un articolo di Emilio Ranzato dal titolo "Oltre la siepe leopardiana": la storia del cinema raccontata dai movimenti della macchina da presa.

Contro la violenza sulle donne: campagna mondiale di organizzazioni religiose.

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Oggi in Primo Piano



Cristiani, i più perseguitati nel mondo: Europarlamento si muove

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I cristiani costituiscono la comunità religiosa al mondo maggiormente colpita da odio, violenza e aggressione sistematica. Anche se tale persecuzione avviene fuori dall’Europa, “l’Ue non può permettersi di ignorarla”. E' quanto ha detto il presidente dell’Europarlamento Schulz intervenuto ieri a Bruxelles ad una conferenza sul tema. Sono 150 milioni i cristiani perseguitati per la fede. Iraq, Siria, Pakistan, Corea del Nord e Nigeria, tra i Paesi maggiormente colpiti. Il servizio di Paolo Ondarza

Torturati, struprati, imprigionati, in una parola perseguitati per la fede in Cristo. Sono i 150 milioni di fedeli che nel mondo soffrono a motivo del loro credo secondo i dati diffusi dalla Ong Open Doors. In 700mila sono fuggiti dalla Siria in 4 anni, il 70% dei cristiani ha lasciato l’Iraq dal 2003. In un solo anno sono 4344 i fedeli uccisi e 1062 le chiese bruciate. A causa del Vangelo in Corea del Nord circa 70mila persone sono in carcere, mentre in Pakistan ogni anno 700 donne sono vittime di conversioni forzate. Va sfatata l’idea che i cristiani siano intrusi nei luoghi in cui l’Islam è ora religione di maggioranza: la loro presenza in Medio Oriente e nel sub continente indiano infatti risale a secoli prima della diffusione del Corano, ha spiegato il vescovo ausiliare di Bruxelles Malines Jean Kockerols nel corso di una conferenza di alto livello organizzata dal Parlamento Europeo. In quest’occasione il presidente Schulz ha inviato l’Ue a scuotersi assicurando l’impegno a proteggere i cristiani ovunque perseguitati. Quanto le istituzioni europee hanno fatto finora? Alfredo Mantovano, presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre?

R. – Io credo che sia meglio parlare di quanto possono fare da subito e nell’immediato futuro, perché di ciò che è stato fatto finora c’è – ahimé! – ben poco da dire. E’ evidente che la denuncia non può essere il punto d’arrivo, ma che debba essere il punto di partenza. E un punto di partenza dal quale attendersi una traduzione concreta di questa attenzione. Negli ultimi cinque anni, la percentuale di cristiani tra i profughi che arrivano in Europa è salita del 30%, il che sottolinea ancora di più, con questo dato a valle, la persecuzione che c’è a monte. L’altro canale che comunque va preso in seria considerazione con azioni concrete, è quello di fare in modo che nelle aree di partenza non si sia costretti a fuggire. Se i cristiani lasciano in numero così significativo alcuni territori, non è un problema soltanto per ciascuno di loro e per le loro famiglie, ma anche per quei territori che sono oggettivamente impoveriti.

D. – Tant’è che diviene quasi convinzione che i pochi cristiani che rimangono siano quasi degli “intrusi” nei luoghi in cui magari l’islam diventa la religione prevalente …

R. – Se noi vogliamo avere un’idea di quello che succederà tra pochi anni – se non addirittura tra pochi mesi – in zone di antichissimo radicamento cristiano come la Siria e l’Iraq, guardiamo alla presenza cristiana nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Sant’Agostino era vescovo di Ippona: cosa è rimasto, oggi, della comunità cristiana in quel territorio?

D. – Un distorto concetto di laicità, cui spesso si ricorre in Occidente come risposta al radicalismo religioso, sempre più si è rivelato o si rivela inefficace. Allora, come rompere il muro di silenzio sulla persecuzione dei cristiani? A partire da cosa?

R. – Ma, a partire, innanzitutto, dalla descrizione di ciò che accade a questi nostri fratelli i quali sono oggi gli autentici testimoni della fede: per il semplice fatto di essere cristiani sono duramente perseguitati. La prima cosa da fare è conoscere, perché l’indifferenza si nutre della non conoscenza del fenomeno. La seconda cosa è chiedersi che cosa possiamo fare, per loro e anche per noi, perché la loro esperienza attuale rischia di essere la nostra esperienza dell’immediato futuro. Se noi riteniamo che nascondere la nostra identità, quasi a vergognarcene, possa renderci indenni da atti di violenza nei nostri confronti, stiamo proprio sbagliando strategia. Si è visto che non funziona e, anzi, mostrarsi poco convinti di se stessi, della propria storia, della propria identità convince l’aggressore a potersi muovere con ancora maggiore virulenza e decisione, perché sa che non incontrerà nessuna resistenza.

D. – E se va rilevato e sottolineato che in Europa non c’è una persecuzione pari a quella in altri continenti, ugualmente non si può dire di un pieno rispetto della libertà religiosa nel Vecchio Continente …

R. – Si fa strada quella discriminazione che è l’anticamera della persecuzione. Certamente vi è un clima di intolleranza culturale non soltanto nei confronti della fede cristiana, ma di uno stile di vita conforme ai principi del diritto naturale. Con sempre maggiore frequenza, dall’intolleranza si sta passando alla discriminazione. Quando l’estensore di una sentenza come quella del Consiglio di Stato di fine ottobre di quest’anno - una sentenza ritenuta da tutti ineccepibile che riguardava la impossibilità di trascrivere nell’ordinamento giuridico italiano un matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero –  viene additato dalla larga parte dei media come “non adeguato a svolgere il ruolo di giudice”, solo perché è un cristiano, a prescindere dal contenuto della sentenza, beh, vuol dire che stiamo percorrendo la stessa strada che negli Stati Uniti ha portato un’impiegata statale addirittura in carcere, perché si era rifiutata di celebrare civilmente le nozze tra persone dello stesso sesso. E’ un piano inclinato, a valle del quale vi è poi la persecuzione diretta.

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Gli Usa annunciano forze speciali contro l'Is

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Si rafforza l’impegno internazionale contro il sedicente Stato islamico in Siria e Iraq. Gli Stati Uniti hanno annunciato l’invio di forze speciali per condurre operazioni in Siria e per supportare i militari e i peshmerga in Iraq. La Camera inglese dei Comuni vota oggi l’autorizzazione a raid in Siria, mentre venerdì il parlamento tedesco voterà l’invio di 1.200 uomini. Francia e Germania hanno chiesto alla Turchia di poter utilizzare la base di Incirlik per operazioni e militari. Elvira Ragosta ne ha parlato con il vicepresidente di Archivio Disarmo, Maurizio Simoncelli

R. – Fino adesso, abbiamo avuto dei bombardamenti aerei o forme di addestramento, forniture di armi e così via. Questo è un coinvolgimento diretto delle Forze armate statunitensi, seppur limitato alle forze speciali, che però cambia anche l’atteggiamento dell’amministrazione Obama, che negli anni passati aveva cercato anzi di ritirare il più possibile le proprie truppe da quello scenario, cercando soluzioni diverse rispetto a quelle di un intervento diretto.

D. – C’è però il premier iracheno, al Abadi, che in un comunicato ha chiarito di non volere ingerenze né da parte degli Stati Uniti né da parte della Russia sul territorio iracheno…

R. – Questo è l’altro problema della questione. Inevitabilmente, la presenza di truppe straniere in quel territorio martoriato da 20 anni di guerre non può che essere sentita come, effettivamente, un’ingerenza.

D. – Nel frattempo, si rafforza anche l’impegno europeo da parte dei singoli Stati alla lotta al terrorismo jihadista. La Gran Bretagna vota oggi in parlamento i raid sulla Siria; la Germania, venerdì, voterà l’invio di 1.200 militari, di sei Tornado e di una nave da guerra. E’ la risposta alla strage di Bataclan?

R. – Sicuramente. Ricordiamoci, infatti, che ci sono sempre morti di "serie A" e di "serie B". I dati che inoi abbiamo dal "Global Terrorism Index" ci dicono che l’80 e il 90% delle vittime non sono europee, ma dei Paesi del Medio Oriente o dell’Africa. Quello che appare, però, ancora più sorprendente è che le Forze armate del cosiddetto Califfato si stima che si aggirino attorno ai 30-40 mila uomini, ma non le si riesce a fermare e non si riescono a fermare i finanziamenti che provengono dal commercio clandestino del petrolio, dalla vendita sul mercato nero dei reperti archeologici e anche dal commercio di droga. Le forniture di armi che arrivano a questo Califfato non riescono a essere bloccate. Sembra molto strano tutto questo. Una piccola enclave come quella del Califfato islamico non riesce a essere bloccata dai Paesi vicini che, sulla carta, sarebbero molto più organizzati, forti, molto più capaci di un intervento di tipo militare. Sappiamo, per esempio, che il confine turco è un confine estremamente permeabile e addirittura ha portato negli ultimi giorni a dure accuse reciproche tra Putin ed Erdogan, al punto tale che il leader russo ha accusato la Turchia di complicità con il Califfato.  

D. – Ecco, appunto, qui si inserisce anche la tensione fra Turchia e Russia. Da parte del presidente degli Stati Uniti, Obama, c’è stato un invito ad alleggerire questa tensione, a lavorare tutti insieme per il nemico comune jihadista. L’impressione, però, è che, come diceva lei, ci siano tanti Stati che combattono tante guerre contro tanti nemici nello stesso territorio…

R. – Esattamente. Potremmo dire veramente che siamo di fronte a un caso esemplare di geopolitica del caos, in cui i vari attori svolgono ognuno una propria battaglia, una propria politica diversa gli uni dagli altri. Per cui, se noi ci mettessimo teoricamente a sommare le forze armate degli Stati Uniti, della Russia, dell’Unione Europea, della Turchia, dell’Arabia Saudita, dell’Iran, i più grossi Paesi coinvolti in tutta la vicenda, avremmo qualcosa come 5 milioni di uomini armati sulla carta, grosso modo. Le Forze armate, ripeto, le poche decine di migliaia del Califfato, a questo punto, teoricamente sono già sconfitte in partenza. Eppure, come vediamo, regna effettivamente  il caos da questo punto di vista.

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Cop21, impegno per 85 miliardi di dollari sul clima

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I migranti “climatici” e il futuro delle piccole isole che rischiano di finire sommerse dall’innalzamento delle acque. Hanno discusso di questo in particolare i delegati riuniti a Parigi per la Cop21, il vertice di Parigi che cerca un complesso accordo per porre un limite alle emissioni di gas inquinanti. Intanto, dai 150 leader mondiali arriva la dichiarazione di impegno per 85 miliardi di dollari in favore della tutela ambientale a vari livelli. La cronaca, da Parigi, di Francesca Pierantozzi

Da oggi si entra nel vivo alla COP 21. Dopo i discorsi dei presidenti, importanti per certificare le intenzioni dei governi, tocca adesso alle delegazioni nazionali negoziare i 50 punti dell’accordo. Sui tavoli occorrerà trovare un compromesso tra duecento opzioni e 1200 espressioni ancora tra parentesi. Oggi è la giornata del primo test della buona volontà, espresso fino ad oggi più o meno da tutti. Il portavoce della fondazione per l’ambiente, Nicolas Hulot, ha spiegato che si entra nella fase di costruzione del compromesso, molto delicata.

Piccole isole, rifugiati climatici
Al centro delle discussioni, oggi, il futuro delle piccole isole, minacciate di scomparire sommerse dalle acque e il problema drammatico dei rifugiati climatici. Si va avanti anche sugli impegni finanziari dei Paesi più ricchi: in due giorni si è passati da 64 a 85 miliardi. E’ un grande passo verso l’obiettivo dei cento miliardi, anche se Nicolas Hulot ha avvertito che proprio gli ultimi, seppur fondamentali, 15 miliardi saranno i più difficili da ottenere.

Apre la "Galleria delle soluzioni"
Da oggi inoltre la COP 21 inaugura il nuovo spazio denominato “Galleria delle soluzioni”, in cui verranno esposti progetti di privati per combattere e attenuare il riscaldamento climatico.

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Dialogo nazionale in Congo: l'opposizione non aderisce

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Nella Repubblica Democratica del Congo è stallo politico. La proposta di dialogo nazionale, lanciata dal presidente Kabila, è stata infatti respinta dalle opposizioni che la ritengono una “trappola” per rimandare le elezioni del 2016 che lo vedrebbero per legge escluso dalla candidatura. Anche l’ipotesi di un governo di transizione e di un referendum sulla costituzione andrebbero in questa direzione. Le fazioni anti-Kabila chiedono al popolo di manifestare e sollecitano una mediazione internazionale. “Siamo di fronte ad un vera lotta di popolo” commenta al microfono di Gabriella Ceraso, il direttore della rivista dei comboniani Nigrizia, padre Efrem Tresoldi: 

R. – Non è una reazione episodica, ma è una cosa che ha le sue radici nel tempo: è sempre stata sbarrata la strada, dalle opposizioni ma direi in particolare dalla Chiesa cattolica che rappresenta oltre il 50 per cento della popolazione e che da sempre ha detto “sì” all’alternanza, non vogliamo nuovamente degli scontri. Per cui si spera che questa determinazione possa indurre il presidente a cambiare i suoi piani per rimandare le elezioni.

D. – Una parte delle opposizioni accetterebbe anche il dialogo, ma con una mediazione internazionale: perché? Che cosa garantirebbe?

R. – Sarebbe una garanzia di avere innanzitutto un appoggio esterno, e poi di potere far leva sul presidente perché rispetti la Costituzione sapendo che c’è stato un cambiamento anche di mentalità a livello internazionale, ma direi in particolare anche in Africa. Pensiamo, ad esempio, al colpo di Stato – fallito, fortunatamente – in Burkina Faso: è stato condannato. Per la prima volta, l’Unione Africana ha avuto il coraggio di dire che i "golpisti sono terroristi" e che "la Costituzione va rispettata", quindi vuol dire che c’è una maggiore pressione perché non avvengano cambiamenti di Costituzione per permettere a questi presidenti di rimanere presidenti a vita.

D. – Nel suo recente viaggio in Africa, il Papa ha parlato alle autorità, e ha parlato loro di rispetto, di dialogo, di cooperazione. Guardando questo genere di situazioni, è fattibile?

R. – Direi che è una sfida grossa. Sappiamo bene come in questo caso Joseph Kabila non lascerà il posto se non a un prezzo molto alto. C’è solo da sperare, appunto, che la mobilitazione interna, con l’appoggio esterno, possano veramente fare una tale pressione che l’attuale presidente non intervenga con misure di repressione. C’è questa speranza anche che la Chiesa cattolica, che è un catalizzatore di tante speranze per una repubblica democratica, che sia veramente tale, possa sostenere anche chi non è cattolico cristiano a percorrere questo cammino, perché di fatto qui c’è di mezzo proprio lo Stato di diritto, c’è di mezzo la pace, la giustizia e la libertà.

D. – Quindi ora si può parlare di una impasse: a che punto siamo?

R. – Direi che al momento è proprio un’impasse, perché non si conoscono ancora le date del nuovo calendario elettorale e ormai non c’è il tempo anche materiale per organizzare queste elezioni a questi tre livelli locale, provinciale e nazionale e poi presidenziale.

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Rozzano, la secolarizzazione dietro i no ai simboli del Natale

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Il caso dell’Istituto di Rozzano, nel milanese, il cui dirigente avrebbe deciso di annullare il concerto scolastico di Natale per non offendere gli allievi musulmani, notizia in parte rettificata, ha riaperto in questi giorni dibattiti e polemiche sulle tradizioni cristiane in Italia a confronto con una società sempre più multireligiosa. Sulla questione è intervenuto anche il vescovo di Padova, mons. Claudio Cipolla, che ha difeso i simboli natalizi purché non creino divisioni e ha richiamato ai veri valori portati da Gesù. Ma a chi dà fastidio il presepe o un canto sulla Natività? Adriana Masotti lo ha chiesto al sociologo Mario Pollo

R. – Io mi stupisco che ci si possa fare la domanda: “A chi può dare fastidio il presepe?”, perché mi sembra veramente che si sia al di fuori di qualsiasi logica. Il Presepe, proprio per la sua struttura, è un segno di amore: è il segno dell’incarnazione di un Dio sulla terra, che entra nella storia. E quindi non capisco a chi possa dare fastidio. E in più, negli anni, è diventato in qualche modo il simbolo di una festa che è universale. Anche in Italia, infatti, il Natale è festeggiato anche da chi non è credente.

D. – Eppure, è successo che qualche preside o dirigente abbia preso delle decisioni per non offendere i non cristiani, ad esempio i musulmani…

R. – Io credo che in questo caso la tolleranza, il non offendere gli altri ecc., siano semplicemente una scusa che maschera invece la propria voglia di eliminare completamente dalla vita sociale ogni residuo sacrale. Uno dei grandi obiettivi della modernità era eliminare completamente il sacro dalla vita della società. E credo che le persone utilizzino come paravento – come, direi, un alibi – questa ragione del non offendere che è inesistente. Quando un musulmano celebra il Ramadan io non mi offendo, anzi, cerco di capire il significato che quel periodo ha per la sua vita. Quindi, il motivo della divisività è un falso motivo.

D. – Ma non c’è una contraddizione tra il nostro sbandierare la libertà a tutti i costi e poi l’autocensurarsi: impedire che questa libertà di espressione avvenga?

R. – Ma, quando entra in ballo l’ideologia, questa offusca anche la razionalità, la capacità di pensare anche in modo laico. Di fatto, le persone non si rendono conto che, assumendo quegli atteggiamenti, negano per esempio il concetto stesso di libertà di espressione che è connaturato al nostro vivere civile.

D. – Il fatto che anche degli esponenti politici entrino in questi dibattiti…

R. – Spesso, questi politici intervengono in questi dibattiti alla caccia di consenso: per loro è quindi un intervenire spesso strumentale e non legato all’oggetto in sé. Per noi, che comunque abbiamo una storia collettiva alle spalle, quello che la politica dovrebbe fare è tutelare le condizioni perché le persone possano ancora riconoscersi nella propria storia senza che tale riconoscimento produca l’esclusione degli altri. Far convivere da un lato l’identità storico-culturale delle persone, con la necessità di apertura al nuovo, al diverso, ma senza rinunciare alle proprie radici. Questo sarebbe un grosso tema politico: come sarebbe pensabile un tipo di convivenza...

D. – Mi viene da dire che in una società, sempre più multiculturale e multireligiosa, bisognerebbe aggiungere qualcosa nelle nostre società, più che togliere, cancellando ad esempio il Natale…

R. – Esattamente. E anche dietro al termine “multiculturale” c’è una grossa confusione. Una società che abbia semplicemente varie culture, una accanto all’altra, è una società che non regge. Una società ha bisogno di riconoscere sì le differenze, ma intorno a un centro unificatore. Se manca questo, la società non esiste: diventa semplicemente uno stare insieme così, accostati l’uno all’altro, ma senza qualcosa che unisce.

D. – Centro che potrebbero essere rappresentato da valori come la solidarietà, i diritti…

R. – Valori come la solidarietà, la diversità come ricchezza, la giustizia, la fede nella dignità di ogni essere umano. Tutti questi sono elementi che dovrebbero essere parte del nucleo fondante che tutti condividono e che tiene insieme una comunità.

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L'arte secondo Papa Francesco: un antidoto alla cultura dello scarto

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“L’arte, oltre a essere un testimone credibile della bellezza del creato, è anche uno strumento di evangelizzazione. Attraverso l’arte la Chiesa spiega, interpreta la rivelazione”. Così Papa Francesco racconta la sua concezione del rapporto fra pittura, scultura e architettura, e religione. Lo fa, per la prima volta, nel volume “La mia idea di arte” a cura della giornalista Tiziana Lupi. Il libro, pubblicato da Mondadori è stato presentato ai Musei Vaticani. Il servizio di Michele Raviart

“La Chiesa ha sempre usato l’arte per dimostrare la meraviglia della creazione di Dio e della dignità dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza. Per questo la bellezza ci unisce e come dice Giovanni Paolo II citando Dostoevskij ci salverà”. Papa Francesco parla per la prima volta di cosa intende per arte, una forza creatrice che è uno degli antidoti alla “cultura dello scarto”. Il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani:

“Papa Francesco è un pastore che si mette al livello visuale del suo popolo e da quel punto di vista parla dell’arte in modo molto poetico e toccante, perché dice che l’arte è “speranza” ed è “consolazione”. Dice che l’arte deve essere aperta a tutti, ma soprattutto ai poveri, gli emarginati, i diseredati... E c’è, nella sua riflessione sull’arte, una cosa che a me personalmente piace molto e che coincide poi con la sua più generale riflessione sulla “teoria degli scarti”. È un Papa venuto dall’America e non dimentichiamo che in America è nata la “Pop Art”: un’arte cioè che cercava di dare dignità e significato estetico ai detriti della civiltà industriale e alle icone consumate dall’uso”.

Nel volume sono state selezionate 11 opere custodite in Vaticano che possono rientrare in questa visione. Non solo capolavori riconosciuti, ma anche l’obelisco di Piazza San Pietro, proveniente dall’Egitto e “scarto” del circo voluto da Nerone. O l’auto bianca regalata al Papa da don Renzo Zocca, che la usava per predicare nelle periferie operaie di Verona e che ora è esposta nel Padiglione delle Carrozze. Tiziana Lupi, curatrice del volume:

“Abbiamo identificato in base alle idee del Pontefice le opere custodite qui nei Musei Vaticani che potessero essere in linea con il suo pensiero. Abbiamo preparato delle schede, gliele abbiamo sottoposte, e lui le ha accettate con grande entusiasmo devo dire. È stato un gesto di grande generosità. E quindi con lui abbiamo costruito la sua galleria d’arte ideale. Sono opere d’arte le più diverse: si va da “La Deposizione” di Caravaggio, che è un’opera classica, alla Cappella Sistina che lui definisce un’opera di evangelizzazione”. E quella che a me piace di più è “Le opere di misericordia”, perché credo che rappresentino un po' la summa del suo pensiero, ma soprattutto del suo Pontificato.

Chiudono il volume il Cristo operaio e la Vergine di Lujàn dell’artista argentino Alejandro Marmo, collocate nei Giardini Vaticani. Le sue opere sono composte da ferro e altri materiali di scarto, mentre nella sua bottega lavarono persone che vivono ai margini della società. Di lui il Papa scrive che “sente il bisogno di fare qualcosa e lo fa dove la cultura dello scarto toglie il bene e la bellezza e lascia solo la sporcizia”. Marmo è un amico di Papa Bergoglio, che ha conosciuto quando era a Buenos Aires:

“Il rapporto, la relazione, è tra figlio e pastore. Lui è il mio pastore che parla della cultura dello scarto. Io costruisco il polo opposto, il polo contrario alla cultura dello scarto, con una coscienza sociale volta al recupero. Semplicemente vuole fare una sorpresa a tutti coloro che hanno il 'cuore freddo'. Le persone dal 'cuore freddo' sono tutte quelle al di fuori del sistema sociale. La bellezza abbraccia i cuori freddi. Questo io penso dell’arte e, umilmente, credo che sia il suo pensiero”.

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Nelle librerie, una guida pratica per parlare di fede in Tv

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“Parlare di fede in TV”. E’ il titolo di un volume scritto da Bruno Mastroianni e Raffaele Buscemi, edito dalla Pontificia Università della Santa Croce. Il testo – nelle librerie in questi giorni – si propone come una guida pratica per chi è chiamato a intervenire in Tv per parlare di fede, di morale e di tutti quei temi che riguardano i significati profondi e le scelte di vita. Sull’idea che ha dato vita a questo libro e sull’esempio di Papa Francesco nella comunicazione, Alessandro Gisotti ha intervistato Bruno Mastroianni, giornalista e docente alla Facoltà di Comunicazione della “Santa Croce”: 

R. – Questo libro nasce da una constatazione: spesso, quando un ecclesiastico, un religioso o un semplice credente va in tv ad affrontare temi di fede, succede che non riesce ad esprimere pienamente le sue convinzioni, non tanto per la sua preparazione, ma a volte perché ci sono pregiudizi o contrasti, perché il dibattito si fa duro e non si riesce a farsi spazio. Allora, con Raffaele Buscemi, che è un istruttore di media training, e molte volte ha dovuto "allenare" le persone ad andare in tv, abbiamo deciso di fare una piccola guida pratica con alcuni consigli, per fare cosa? Guadagnarsi spazi di ascolto nel momento in cui si dibatte o si fa una conversazione pubblica, cercando di farsi capire, soprattutto da chi è più lontano, cioè da chi è non credente, da chi ha pregiudizi magari sulla fede.

D. – Il libro è uno strumento di tecnica della comunicazione con tanto di casi di studio, casi concreti. Ma c’è un tema, un messaggio che si può cogliere pagina dopo pagina?

R. – L’idea di fondo del libro è che comunicare è principalmente entrare in relazione, costruire un legame. Un problema, cioè, che noi spesso abbiamo è quello di vedere la comunicazione in senso utilitaristico: l’idea di far passare un messaggio, avere un impatto su un altro, su un interlocutore. Invece, la comunicazione è il luogo proprio dove conoscersi, conoscere, farsi capire. Non è un libro, quindi, soltanto di tecniche. Le tecniche servono più che altro per liberarsi di ciò che ostacola la relazione. Infatti, il centro di questo libro è l’idea che "tu sei il messaggio". Andare a comunicare in tv, ma anche su altri mezzi di comunicazione, è sempre presentare se stessi. Allora riuscire ad avere l’autenticità di dire ciò in cui si crede, riuscendo a costruire un legame con l’altro, e non semplicemente un litigio o un dibattito, è il vero scopo della comunicazione.

D. – Papa Francesco è uno straordinario comunicatore, lo abbiamo visto anche nel viaggio in Africa, e questo pur non applicando alcuna strategia comunicativa. Quale lezione si può trarre dal suo esempio?

R. – Beh, sì, si vede effettivamente che Papa Francesco non ha nessuna strategia, ma ha chiarissima la sua “mission”, il suo intento finale, che è quello di arrivare al cuore dell’altro, della persona che incontra. Anche quando incontra folle oceaniche, si vede proprio che quello che lui sta cercando è ciascuno, ciascuno in quanto persona reale che è di fronte a lui. E ci dà proprio questo messaggio: comunicare è questo entrare in relazione, costruire legami, avvicinarsi. Direi che la grande efficacia nella comunicazione di Papa Francesco stia innanzitutto nel fatto che lui lascia lo spazio all’altro; ha capacità di ascoltare proprio le persone, la folla, il popolo. E infatti quando parla, ognuno si sente interpellato di per sé: interpellato nella sua vita, nelle sue condizioni. Anche a volte – e lo abbiamo visto in diversi momenti – chi ha pregiudizi, sente che Papa Francesco fa crollare alcune difese, più che, anzitutto, insegnare qualcosa. Allora, quando questa difesa cede si crea lo spazio per costruire un legame, una relazione. E’ all’interno di questa relazione che poi si tramette veramente la fede.

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Nella Chiesa e nel mondo



Iraq: l'8 dicembre si inaugura l'Università cattolica di Erbil

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E' fissata nel pomeriggio di martedì 8 dicembre la cerimonia inaugurale dell'Università cattolica di Erbil (Catholic University in Erbil Campus, Cue). L'invito a partecipare all'inaugurazione di questo importante polo d'istruzione è stato diffuso dall'arcidiocesi caldea di Erbil, che invita tutti, come si legge nel comunicato ripreso dall'agenzia Fides, ad unirsi a un “percorso educativo che condurrà molti, verso un futuro di prosperità e di pace”.

Sorge in un'area di 30mila mq messa a disposizione dalla Chiesa caldea
La prima pietra dell'istituto universitario era stata posta ad Ankawa, sobborgo di Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, il 20 ottobre 2012, all'interno di un'area di 30mila mq messa a disposizione dalla Chiesa caldea. Dopo il Sinodo sul Medio Oriente, svoltosi a Roma nel 2010 – aveva spiegato allora alla Fides l'arcivescovo caldeo di Erbil, Bashar Warda, grande patrocinatore dell'iniziativa – erano stati presi i primi contatti con l'Universitè Saint-Esprit di Kaslik, il rinomato Ateneo fondato in Libano dall'Ordine libanese maronita, per chiedere aiuto e orientamento nella realizzazione del progetto. L'obiettivo era quello di creare un polo d'insegnamento universitario privato aperto a tutti, conforme alle esigenze del mercato e strettamente associato alla ricerca scientifica. Già allora, l'arcivescovo Warda contava di concludere i lavori entro il 2015, anche con l'intento di offrire ai giovani cristiani iracheni la possibilità di “continuare a testimoniare il dono della fede nella loro terra”. 

L'avanzata del sedicente Stato Islamico, non ha fermato il progetto
​Le convulsioni drammatiche che hanno sconvolto l'Iraq settentrionale, trasformando proprio Ankawa in luogo di rifugio per migliaia di cristiani fuggiti dalla Piana di Ninive davanti all'avanzata dei jihadisti del sedicente Stato Islamico, non ha fermato il progetto. Segno eloquente che i cristiani iracheni ancora continuano, nonostante tutto, ad avere fiducia in un futuro di pace, dove poter confessare la fede in Cristo convivendo in armonia con i propri connazionali musulmani e di altre comunità religiose. (G.V.)

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Ucraina: Lettera pastorale di Shevchuk per il Giubileo

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Ricevere la misericordia, condividerla, testimoniarla: queste le tre linee-guida indicate dall’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatolslav Shevchuk, Capo del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina, in una lettera pastorale indirizzata ai fedeli in occasione del Giubileo straordinario della misericordia. L’Anno Santo, indetto da Papa Francesco, avrà inizio martedì 8 dicembre, mentre la missiva verrà letta nelle Chiese greco-cattoliche ucraine al termine della Divina liturgia di domenica 13 dicembre.

Accettare misericordia di Dio attraverso Sacramento della riconciliazione
“È tempo – si legge nel documento pastorale – di guarire le ferite del corpo e dell’anima, di ritornare a Dio, di riscoprire la misericordia”. Di qui, la sottolineatura di “un aspetto importante di questo Anno Santo”, ovvero “l’invito, rivolto a ciascuno, a ricevere la misericordia di Dio”. Tuttavia, spiega l’arcivescovo ucraino, “per accettare e vivere tale misericordia, dobbiamo tornare ad accostarci al sacramento della penitenza e della riconciliazione”. Un’abitudine che, “sfortunatamente, in molte parti del mondo”, sembra “dimenticata e poco praticata”. E la conseguenza è “la perdita del senso del peccato”. Per questo, l’arc. Shevchuk lancia un appello affinché “tutti i battezzati che si dicono cristiani, ma che raramente si confessano”, tornino a farlo, così da “poter ricevere l’amore di Dio”.

Condividere misericordia di Dio nel mondo deturpato da sofferenza umana
Un secondo aspetto del Giubileo evidenziato nella lettera pastorale riguarda “la condivisione della misericordia di Dio” con il prossimo, così da essere fedeli al motto scelto dal Papa per l’Anno Santo, ovvero “Misericordiosi come il Padre”, tratto dal Vangelo di Luca. “In tal modo – scrive l’arcivescovo ucraino – non solo esprimiamo la nostra gratitudine a Dio per la sua misericordia, ma riveliamo al nostro prossimo il volto e la presenza di Dio nel mondo, mondo che è spesso deturpato da sofferenze umane, solitudine, paura e disperazione”. “I fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina – ribadisce l’arcivescovo – non importa in quale parte del mondo vivano, sentono la sofferenza ed il dolore di milioni di cittadini ucraini” a causa dell’attuale conflitto in corso con i ribelli filorussi. Ed è per questo che bisogna “cogliere l’opportunità di essere misericordiosi”.

Testimoniare misericordia di Dio e forza del suo amore
L’esortazione dell’arcivescovo è, quindi, ad essere misericordiosi in famiglia ed in parrocchia, affinché “nessuno si senta dimenticato, abbandonato, trascurato, a prescindere dalla sua nazionalità, dal suo stato sociale, dalla sua religione o schieramento politico”. La terza indicazione per il Giubileo riguarda, invece, “il diventare testimoni della misericordia di Dio”, “una vocazione” che il popolo ucraino ha sempre avuto – sottolinea l’arcivescovo Shevchuk – sia in passato, “nei tempi difficili della persecuzione”, sia oggi, “dal momento che i soldati ucraini, e coloro che li sostengono fisicamente e spiritualmente, sono divenuti testimoni notevoli della forza dell’amore” in tempo di guerra. Per questo, “non bisogna tacere la grande opera misericordiosa di Dio”, così che “tutti possano conoscerla e viverla”.

Maria, “Porta Santa” verso Cristo
Infine, l’arcivescovo ucraino esorta i fedeli a porsi “sotto la protezione di Maria, Madre della Misericordia”, Colei che “come una Porta Santa”, permette all’umanità di accostarsi a Cristo. (I.P.)

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Sri Lanka. Card. Ranjith: “La riconciliazione è più vicina”

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“La riconciliazione è più vicina in Sri Lanka. Siamo fiduciosi, l'atmosfera sociale e politica fa ben sperare. Tutti vogliono voltare pagina e lavorare insieme per un tempo di pace e di prosperità”: lo dice all'agenzia Fides il card. Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo, che sta partecipando ai lavori della Assemblea plenaria della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli.

Tribunale speciale per i crimini di guerra commessi sulla popolazione civile
Accogliendo le raccomandazioni delle Nazioni Unite, il governo del nuovo Presidente Maithripala Sirisena, eletto all’inizio del 2015, ha ufficialmente deciso di istituire un Tribunale speciale per esaminare i crimini di guerra commessi sulla popolazione civile nella fase finale del conflitto che per 26 anni ha visto l'esercito combattere contro i ribelli tamil. Il Tribunale speciale dovrebbe iniziare i lavori entro la fine dell’anno o agli inizi di gennaio, ha dichiarato Chandrika Kumaratunga, ex presidente dello Sri Lanka, che ora guida la speciale “Unità di riconciliazione” nell’esecutivo.

Sostegno concreto dei leader religiosi per dar vita ad un periodo di pace
“Il criterio è riconciliazione nella verità e nella giustizia” ha spiegato a Fides il card. Ranjith, riferendo che i leader religiosi saranno attivamene coinvolti nel processo di riconciliazione nazionale: “Sarà creata infatti una speciale Commissione, definita il ‘Consiglio della clemenza’, composta dai leader delle principali religioni. Davanti a questa Commissione compariranno gli imputati del processo civile avviato dal Tribunale speciale, ammettendo le loro responsabilità e presentando le loro richieste di perdono. Saranno i leader religiosi ad accogliere tali richieste e a definire una sorta di compensazione, tramite un servizio sociale o un simbolico atto di carità o di solidarietà verso le vittime”. Sin dal principio il presidente Maithripala Sirisena ha dichiarato apertamente di aspettarsi il sostegno concreto dei leader religiosi per dar vita ad un periodo di pace, di convivenza e di progresso nella nazione. (P.A.)

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Vescovi Argentina: narcotraffico “dramma nazionale”

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“La piaga del narcotraffico” è “un dramma nazionale” che affonda le sue radici “nello spirito del capitalismo più selvaggio e nell’idolatria del denaro”: “Questa globalizzazione dell’indifferenza che genera una cultura individualista centrata sul consumo è l’ambiente favorevole per l’espansione delle reti del narcotraffico”. È una condanna e una presa di posizione forte e netta quella che emerge dal messaggio dei vescovi argentini “No al narcotraffico, sì alla vita piena”, reso noto ieri al termine della 110.ma Assemblea plenaria che si è svolta a Buenos Aires. 

La presenza del narcotraffico è incomprensibile senza la complicità del potere
I vescovi si assumono in prima persona “la responsabilità” e “l’impegno” di lottare contro il narcotraffico. Incoraggiati dalle parole di Papa Francesco e vista la crescente e allarmante diffusione del fenomeno, chiedono a tutta la società “una conversione urgente”: “Lo Stato deve opporre una forza organizzata per neutralizzare gli enormi danni provocati da questo flagello”. La presenza del narcotraffico, “e la sua diffusione – proseguono – è incomprensibile senza la complicità del potere nelle sue diverse forme. È doloroso constatare che le droghe, simbolo di morte, vengono prodotte in Argentina. Il crimine organizzato si arricchisce anche di altre forme di schiavitù, come la tratta di persone, il traffico di armi, il traffico e la vendita di organi, il lavoro minorile”.

La cultura globale del consumismo
I vescovi argentini puntano il dito, in particolare, contro “la cultura globale del consumismo” che “genera desideri insoddisfatti e impone nel nostro Paese un mercato con una scala inadeguata di valori. Trasmette costantemente la falsa idea che senza determinati beni non si può essere felici”: “Quanti ragazzi hanno perso la vita per seguire la voce seduttrice del consumismo come legge personale! Come si globalizza l’indifferenza quando ci accomodiamo alla ricerca del confort personale!”. 

Il fenomeno dello spaccio in piccole dosi
​La Conferenza episcopale argentina mette in guardia anche sul fenomeno del “narcomenudeo”, lo spaccio di droga in piccole dosi, spesso prodotte addirittura in casa e fatte vendere da bambini e ragazzi. “Dobbiamo fare attenzione – avvertono – che su questi ultimi non si scarichi la forza del castigo”. “La guerra contro la droga – insistono – è perduta per chi non si oppone all’installazione di questo sistema”. Serve quindi una “profonda trasformazione culturale”, educando i giovani alla “cultura dello sforzo, del lavoro e all’importanza dello Stato di diritto”, con “politiche statali adeguate ed esplicite, concrete e ferme”. (R.P.)

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India. Tamil Nadu: almeno 188 vittime per alluvioni a Chennai

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È salito a 188 vittime il bilancio delle violente piogge che da giorni colpiscono lo Stato indiano del Tamil Nadu. In particolare la città più flagellata dalla violenta alluvione è Chennai, dove le autorità sono state costrette a schierare l’esercito per aiutare la popolazione rimasta sott’acqua. I voli dell’aeroporto cittadino sono stati cancellati e i collegamenti ferroviari sospesi.

La città è sommersa dall’acqua, con intere periferie inondate
Ieri sera - riferisce l'agenzia Asianews - le autorità statali hanno deciso di sospendere tutti i voli in partenza e in arrivo all’aeroporto cittadino, dopo che anche le piste di atterraggio erano state allagate. Circa 400 passeggeri sono rimasti bloccati all’interno dell’aeroporto, senza possibilità di uscita. Anche i treni sono stati soppressi, con i binari ricoperti dalle piogge torrenziali.

Il governo cittadino ha chiesto l’aiuto dell’esercito
Secondo gli esperti, si tratta del fenomeno atmosferico più violento degli ultimi 100 anni. Il governo cittadino ha chiesto l’aiuto dell’esercito, che è stato schierato nelle zone più colpite, soprattutto alla periferia di Chennai. Anche la National Disaster Response Force sta aiutando la popolazione locale a mettersi in salvo. Inoltre la fornitura di energia elettrica è stata interrotta nel 60% del territorio, per evitare possibili corto-circuiti. Anche le scuole di sei distretti hanno sospeso tutte le attività da 17 giorni, cioè da quando è iniziato il nubifragio.

Le piogge continueranno ancora per diversi giorni
Un residente dichiara: “Non vedevamo piogge simili da almeno 25-30 anni, quando l’elettricità è stata sospesa per una settimana. Si vedono strade allagate ovunque e il livello dell’acqua sfiora in alcune zone i 90 centimetri”. Le previsioni riportano che le piogge continueranno ancora per diversi giorni. Secondo un recente rapporto dell’Onu, l’India figura tra i primi tre Paesi al mondo (con Stati Uniti e Cina) più colpiti dai disastri provocati dai cambiamenti climatici. Le violente alluvioni degli ultimi 20 anni rientrano in questa categoria. (R.P.)

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Filippine: speciale “passaporto” per i pellegrini giubilari

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Un “passaporto” per i fedeli che parteciperanno a uno speciale pellegrinaggio giubilare nel periodo di Quaresima e pasquale. E’ l’iniziativa lanciata dall’arcidiocesi di Manila per l’ormai imminente Giubileo della Misericordia. Il “passaporto” – spiega il cancelliere diocesano padre Regie Malicdem - si presenterà come una guida contenente una breve storia delle chiese indicate dal cardinale arcivescovo di Manila Luis Antonio Tagle per il pellegrinaggio giubilare, gli orari delle Messe e le azioni che i fedeli dovranno compiere per lucrare l’indulgenza. Dopo i vari adempimenti, tra i quali il passaggio attraverso la Porta Santa, l’adorazione del Santissimo, la venerazione della Croce giubilare e donazioni per le opere caritative dell’arcidiocesi, i pellegrini potranno recarsi negli uffici parrocchiali per farsi apporre il timbro sul passaporto.

Cinque le chiese giubilari scelte dal card. Tagle
Le cinque chiese scelte per il pellegrinaggio hanno tutte un’attinenza con il tema della Misericordia. Si tratta della cattedrale di Manila; del santuario nazionale del Sacro Cuore a Makati City; del santuario diocesano della Divina Misericordia  di Mandaluyong City; di quello di Santo Cristo a San Juan City e della chiesa di Nostra Signora della Tristezza di Pasay City.

Non solo atti di penitenza e devozione, ma anche opere di carità
​Ai fedeli non saranno chiesti solo atti di penitenza e devozione, ma anche  opere di carità. Come spiega, infatti, padre Jason Laguerta dell’Ufficio per la Nuova Evangelizzazione della Conferenza episcopale filippina (CbcpP),  i riti non accompagnati da opere di misericordia e atti concreti di carità non bastano per ricevere la misericordia di Dio:  “La misericordia non è solo un concetto o un’idea astratta, ma una parola che implica un’azione, è qualcosa che facciamo” , ha detto il sacerdote. Lo speciale pellegrinaggio della Misericordia  prenderà il via il Mercoledì delle Ceneri, il 10 febbraio per concludersi il giorno di Pentecoste. (L.Z.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 336

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.