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Sommario del 01/12/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa ai giornalisti su Africa, fondamentalismo, corruzione

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“Che Dio benedica l’Africa!”  E’ con questo tweet che oggi Papa Francesco è tornato col pensiero al continente appena visitato, in tre tappe: Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana. L’11° viaggio Apostolico del Pontefice si è concluso ieri sera con l’atterraggio a Ciampino alle 18.30 e la visita, prima del rientro in Vaticano, alla Basilica di Santa Maria Maggiore. E’ la 28.ma volta che Francesco ripete questo gesto tradizionale di affidamento e ringraziamento alla Vergine, la Salus populi romani, per il felice esito dei suoi viaggi.

Sul volo di rientro, la consueta conferenza stampa con i giornalisti al seguito. In un’ora circa, Papa Francesco ha risposto a diverse domande sugli aspetti salienti del viaggio ma anche sul processo in corso in Vaticano e sulle principali questioni internazionali, dal dialogo possibile con l’Islam, al fondamentalismo, presente in tutte le religioni, alla Conferenza in corso a Parigi su cui Francesco si è detto fiducioso. Quindi la conferma del prossimo viaggio in Messico. Il servizio di Gabriella Ceraso

Nel taccuino di viaggi del Papa c’è sicuramente il Messico e la promessa fatta ai tre patriarchi di una presenza in Armenia, ma nel presente c’è l’Africa appena visitata, che ha lasciato “memorabili” nel suo cuore - confessa ai giornalisti - le folle, la gioia, la “capacità di fare festa con lo stomaco vuoto”:

“Per me l’Africa è stata una sorpresa. Io ho pensato: “Dio ci sorprende, ma anche l’Africa ci sorprende!”… Io ho visto, nelle tre Nazioni, che avevano questo senso dell’accoglienza, perché erano felici di sentirsi visitati. Poi, ogni Paese ha la sua identità: il Kenya è un po’ più moderno, sviluppato; l’Uganda ha l’identità dei martiri…il coraggio di dare la vita per un ideale, e la Repubblica Centrafricana, la voglia di pace, di riconciliazione, di perdono”

Parlando con giovani e famiglie povere ed escluse dai diritti Francesco ha provato, rivela, grande dolore e descrive l’Africa come paese vittima anzi “martire” dello sfruttamento di quella che torna a definire, “idolatria” del Dio denaro, "centro del sistema economico". Chi dice che dall’Africa vengano “tutte le calamità e tutte le guerre non capisce bene che fanno all’umanità certe forme di sviluppo”.

Anche l’Aids devasta l’Africa, chiede un giornalista, c’è la possibilità di cambiare la linea della Chiesa in materia di prevenzione?

“La grande ferita è l’ingiustizia sociale, l’ingiustizia dell’ambiente, l’ingiustizia che ho detto, dello sfruttamento, e la malnutrizione. Quello è. A me non piace scendere a riflessioni così casistiche, quando la gente muore per mancanza di acqua e di fame, di habitat …”

Quando tutto questo non ci sarà più, conclude il Papa, allora ci soffermeremo su problemi così particolari.

Attualità internazionale in primo piano tra le domande. Il  fondamentalismo in azione a Parigi è per Francesco una “malattia che esiste in tutte le religioni” a partire dal cattolicesimo:

“Noi cattolici ne abbiamo alcuni: non alcuni, tanti, che si credono con la verità assoluta e vanno avanti sporcando gli altri con la calunnia, con la diffamazione, e fanno male: fanno male. E questo lo dico perché è la mia Chiesa: anche noi, tutti! E si deve combattere “

Ma non si può cancellare una religione perché ci sono gruppi fondamentalisti, riflette Francesco. Con l’Islam, ripete il Papa a più riprese, “il dialogo” e l’amicizia è esperienza possibile, tanti sono i loro “valori costruttivi”. Sul nuovo capitolo della guerra tra Russia e Turchia Francesco ripete che come tutte le guerre è un “peccato contro l’umanità”, un “affare di armi” e che l’Onu deve fare di più superando il rischio di un “nominalismo dichiarazionista”.

Pieno di speranza è lo sguardo di Francesco sulla conferenza in corso a Parigi sui cambiamenti climatici, nonostante quanto fatto finora, dice, sia poca cosa e la situazione peggiori ogni giorno: 

“Ma siamo al limite! Siamo al limite di un suicidio, per dire una parola forte. E io sono sicuro che  quasi la totalità di quelli che sono a Parigi, al Cop21, hanno questa coscienza e vogliono fare qualcosa ….mi auguro sia così, prego per questo”

Due le domande anche sulla lotta alla corruzione e sul processo in corso in Vaticano. “Continuerò con i cardinali l’opera di pulizia”, sono state le parole di Francesco, che apprezza e incoraggia il ruolo di denuncia della stampa purchè, precisa, sia “professionale” e le notizie non “vengano manipolate”; e se ”un giornalista sbaglia chiede scusa”:

“La stampa professionale deve dire tutto, senza cadere nei tre peccati più comuni: la disinformazione – dire la metà e non dire l’altra metà -, la calunnia – la stampa non professionale, quando non c’è professionalità, si sporca l’altro con verità o senza verità – e la diffamazione”

Di certo, ricorda Francesco, Benedetto XVI è stato il primo a denunciare la “ sporcizia nella Chiesa” e “ noi lo abbiamo eletto per questa libertà di dire le cose”; e di certo è stato un "errore" aver introdotto nella Cosea, la Commissione Vaticana, mons. Balda e la signora Chaouqui, oggi imputati nel processo in corso:

“I giudici ci diranno la verità sulle intenzioni, come l’hanno fatto … Per me, non è stata una sorpresa, non mi ha tolto il sonno perché propriamente hanno fatto vedere il lavoro che si è incominciato con la Commissione di Cardinali – il C9 – di cercare la corruzione e cose che non vanno”

Il desiderio del Papa sarebbe stato quello di chiudere entro l’8 dicembre ma ”non credo si potrà fare”, afferma, perché è importante che gli avvocati abbiano tempo di organizzare bene le difese.

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P. Lombardi: dall’Africa un insegnamento su come vivere il Giubileo

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Una visita memorabile che ha dato coraggio e speranza al Continente africano. All’indomani del primo viaggio di Papa Francesco in Africa, Alessandro Gisotti ha chiesto al direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, di tracciare un bilancio della visita in Kenya, Uganda e Centrafrica: 

R. – E’ vero, il Papa era perfettamente a suo agio e direi che anche gli africani erano perfettamente a loro agio nell’incontrare e nel ricevere il Papa. C’era un desiderio intensissimo da ambedue le parti che si sono incontrate. Il Papa parla sempre dell’incontro: è stato un bell’incontro, tra il Papa e l’Africa! Naturalmente l’Africa, per tutti noi e per la realtà del mondo di oggi, è un po’ una periferia dal punto di vista del potere nel mondo di oggi, e quindi il Papa ci teneva in modo particolare ad andare in Africa e anche in un Paese come il Centrafrica, che è tra i più disastrati dell’Africa di oggi, per dimostrare la sua attenzione a questo intero continente e ai Paesi che soffrono per diversi aspetti di povertà, di malattia, di emarginazione, di difficoltà a trovare la loro via per il futuro nella piena dignità della persona.

D. – In tutti e tre i Paesi visitati, il Papa spesso ha messo da parte il testo preparato e ha parlato a braccio, fino a dialogare con i presenti, soprattutto con i giovani. La risposta della gente è stata eccezionale …

R. – Sì, questo abbiamo capito oramai – dall’inizio del Pontificato – che è il suo modo di comunicare. Lui ama molto questo modo spontaneo, questo modo dialogico, questo modo coinvolgente, facendo anche rispondere e parlare le persone presenti in modo tale che si senta e si veda che sono parte attiva di un processo di dialogo e di impegno. Questo era già successo anche in Asia. Io ero rimasto colpito del fatto che proprio nei primi viaggi in Asia, in cui il Papa era quindi in una cultura estremamente diversa e con difficoltà di uso della lingua dei presenti, e quindi con la necessità di un traduttore, però questo modo di comunicare aveva funzionato perfettamente. Quindi, si vede che il carisma di comunicazione spontanea, di gesto e di espressione totale che il Papa ha, riesce a superare anche le differenze linguistiche. Questo, se ha funzionato in Asia, ha funzionato anche e perfettamente in Africa, dove evidentemente vedevamo anche la disponibilità dei giovani nel loro entusiasmo a essere coinvolti. Le occasioni classiche in cui il Papa preferisce la via del dialogo sono gli incontri con i giovani e anche gli incontri con il clero e i religiosi, cioè quando si trova di fronte a una audience con la quale si sente più spontaneamente portato a essere in dialogo.

D. – C’era grande attesa per l’apertura della Porta Santa della cattedrale di Bangui. Questo gesto rimarrà davvero tra le pietre miliari del Pontificato di Francesco …

R. – E’ vero. Qui credo che tutti abbiamo fatto una riflessione, e c’eravamo domandati che significato avesse questa apertura anticipata rispetto a quella annunciata da tanto tempo, dell’8 dicembre, che è l’ufficiale apertura dell’Anno della Misericordia nel mondo intero. E quindi, avevamo un po’ pensato: ecco, è un’eccezione per delle persone particolarmente in difficoltà, che poi hanno difficoltà a muoversi o a partecipare ai grandi eventi mondiali, quindi un atto di attenzione locale. Ma poi il Papa, prima dell’apertura della Porta Santa, ha detto: “Questa è la capitale spirituale del mondo, questa sera”, quindi lui stesso ha dato a questo gesto un significato tutt’altro che locale, ma veramente universale. In certo senso credo che dobbiamo dire: l’Anno della Misericordia, per chi ha seguito questo viaggio, abbiamo capito benissimo che per il Papa si apriva da lì. Allora, il Papa che va nelle periferie, che dice che l’attenzione dev’essere alla periferia della Chiesa, ai poveri, alle persone che soffrono e così via ha voluto aprire l’Anno della Misericordia in una situazione “di periferia” per dargli veramente il suo significato dell’amore di Dio che si manifesta anche con un’attenzione privilegiata per i poveri e per chi soffre. Questo non toglie nulla all’importanza della cerimonia dell’8 dicembre e alle aperture in tutte le altre parti del mondo, che sono evidentemente nella prospettiva di questo Anno della Misericordia che è universale, che è diffuso in tutto il mondo, perché? Perché la misericordia di Dio si può incontrare dappertutto. Però, l’inizio, il primo modo in cui il Papa ha voluto dare questo annuncio è stato lì. E vorrei aggiungere un’altra cosa. Dopo l’apertura della porta e l’inizio della Veglia, il Papa ha confessato cinque giovani. Era una Veglia difficile, questa, perché nella notta a Bangui, con tutti i problemi che ci sono non è che fosse facilissimo per i giovani venire e partecipare! Quindi, a chi guardava dall’esterno sembrava una Veglia a volte anche non di grandissime masse … Però, poi, al mattino, io parlavo con il vescovo e con altri sacerdoti ed erano entusiasti e contentissimi perché dicevano che le confessioni dei giovani sono state numerosissime, durante tutta la Veglia e la notte, dopo che il Papa aveva incominciato. Questo vuol dire che hanno capito perfettamente di che cosa si tratta. Quindi, l’Anno della Misericordia è andare a incontrare la Misericordia di Dio anche attraverso il Sacramento della Confessione, e questo i centrafricani, i giovani lo hanno capito benissimo. Mi sembra che sia un messaggio che dobbiamo recepire anche noi. Il Papa non solo ha aperto simbolicamente una porta, ma ha anche celebrato il Sacramento della Riconciliazione e tutti sono andati a godere di questa porta spirituale che è il Sacramento della Riconciliazione. Dovremmo imparare dai centrafricani che cos’è il Giubileo, pensando a tutte le discussioni che stiamo facendo anche qui a Roma, dal punto di vista logistico, economico, di sicurezza eccetera e dire: “Ah, abbiamo capito: è la Misericordia di Dio che si manifesta e dobbiamo andare a riceverla nei sacramenti e spiritualmente”.

D. – Ecco, rimaniamo proprio su questo. Prima del viaggio non è mancato chi sconsigliasse il Papa di andare in Centrafrica per motivi di sicurezza, appunto. Con la sua visita, Francesco ha dato una grande testimonianza di coraggio che darà anche speranza, coraggio alla popolazione centrafricana, vero?

R. – E’ verissimo. Credo che tutti coloro che si sono espressi, a partire dalla presidente di transizione, hanno manifestato la loro gratitudine al Papa per essere andato “comunque”, pur sapendo benissimo che c’erano stati tantissimi tentativi, anche molto forti, per sconsigliarlo ad andare, da parte di autorevoli forze del mondo di oggi. E il Papa è andato lo stesso, dimostrando una totale determinazione, non lasciandosi mai mettere in incertezza su questa cosa, e questo è stato un messaggio – una parte essenziale del messaggio – che il Papa ha portato: “Io vengo, vengo e voglio venire da voi proprio perché siete in difficoltà, e sono con voi per incoraggiarvi a trovare la via per il futuro”. Questo aspetto, quindi, anche del coraggio rispetto alla tematica della sicurezza, è un aspetto evidente di questa presenza nel Centrafrica. Mi permetterei di fare presente che in questo Papa Francesco si è messo in continuità con una tradizione anche dei suoi predecessori, perché chi ha un po’ di memoria ricorda bene che anche in diversi casi i suoi predecessori si erano trovati a decidere di andare pur in situazioni difficili, dimostrando un notevole coraggio e resistendo a pressioni contrarie. L’ultimo viaggio di Benedetto XVI, che è ancora abbastanza vicino nel tempo, quello in Libano – per chi si ricorda – è avvenuto in una situazione di Medio Oriente incendiato, di Nord del Libano in conflitto e con attentati. Quindi era anche una situazione in cui la decisione del Papa di andare era stata apprezzata come un grande atto di coraggio e un grande messaggio di pace. E chi ha una memoria ancora più lunga e ritorna a Giovanni Paolo II, sa che Giovanni Paolo II anche lui il coraggio certo non aveva bisogno che gli fosse insegnato, ed era andato anche lui in situazioni molto difficili. Chi conosce, si ricorda bene di Sarajevo, per esempio: era stato trovato poi dell’esplosivo sotto un ponte: non si è capito bene se era una scena o se era per un vero attentato, però di fatto c’era. Allora, anche il viaggio a Sarajevo, per chi c’era, ci si ricorda che era abbastanza problematico dal punto di vista della sicurezza. E chi ha memoria ancora più lunga mi parla del Nicaragua del 1983, in cui c’era una situazione di tensione interna ed esterna nel Paese evidentissima, che infatti si è manifestata molto anche durante il viaggio; e quando è andato in Perù, al tempo in cui imperversava “Sendero Luminoso”, ci sono stati anche degli attentati in giro per il Paese. Quindi, il fatto che i Papi vadano, vadano dove c’è bisogno, dove c’è attesa, dove c’è anche un certo rischio ma proprio perché il messaggio porta in sé la necessità di un impegno, di un coraggio, altrimenti il messaggio … mica si va a fare turismo, insomma: si va perché c’è bisogno e questo ha anche un prezzo!

…Mi permetto di aggiungere – perché questo è stato un aspetto su cui sono stato anche interrogato infinite volte nei giorni passati – un altro piccolo episodio che mi ha toccato: durante le settimane precedenti, tra i vari tentativi – anche ben intenzionati – di dissuadere o di fare presenti le difficoltà e i rischi, avevo ricevuto anche io una persona, che aveva parlato naturalmente anche con persone più autorevoli di me, e che mi faceva presente le difficoltà e i rischi in particolare nella visita al quartiere musulmano e alla moschea. Lo diceva rispettosamente, ma lo diceva anche con convinzione. Ebbene, io questa persona la ho incontrata nella Moschea, è una persona autorevole, come molte altre nella moschea, che faceva salti di gioia, era assolutamente entusiasta e diceva: “Siete formidabili! Siete bravissimi! Il Papa ha fatto esattamente quello che bisognava fare… Siamo tutti estremamente grati!”. Quindi egli stesso, che era stato in qualche modo un po’ attore di questa preoccupazione, si rendeva conto che la determinazione del Papa di andare e di andare anche nella moschea aveva un significato che era preziosissimo per tutti e in particolare per la comunità musulmana di Bangui e del Centrafricana.

D. – Oggi è la Giornata mondiale della lotta contro l’Aids. Anche questo è stato un tema fortemente presente nel viaggio di Francesco, in particolare in Uganda…

R. – Sì. L’Uganda è un Paese che con l’Aids ha molto a che fare: il primo caso documentato di Aids è stato in Uganda nell’82; poi la diffusione dell’epidemia è stata grandissima e c’è stato poi un grande impegno da parte sia delle autorità locali, sia anche della Chiesa in Uganda, per contrastare l’epidemia, anche con notevoli risultati dobbiamo dire - per fortuna! – di contenimento e di riduzione del dilagare dell’epidemia. Il tema era evidentemente presente: abbiamo sentito la ragazza nella testimonianza dell’incontro dei giovani e cosa voglia dire vivere con l’Aids. Una testimonianza veramente molto impressionante. Il Papa ha anche incontrato i responsabili di queste attività, per esempio, per i bambini malati di Aids del “Progetto Dream”; ha nominato il problema dell’Aids nella visita anche alla Casa della Carità di Nalukolongo. Quindi era ben consapevole di questo. Nella conferenza stampa del viaggio di ritorno c’è stata una domanda su questo e che qualcuno ha interpretato male, come se il Papa avesse sottovaluto la questione: il Papa ha voluto, invece, inserirla in un contesto molto più ampio e generale di tutte le responsabilità che l’umanità e i popoli hanno per creare giustizia, sviluppo ed evidentemente anche per contrastare quelle che sono le condizioni di povertà e di mancanza di salute che ci sono in giro. Ha considerato che la domanda, rivolta specificatamente solo sull’uso del condom fosse troppo restrittiva e quindi portasse ad equivocare la problematica. Ma noi possiamo dire ed è bene ricordate - come hai detto bene - in questa Giornata della lotta contro l’Aids a livello mondiale che la Chiesa è in prima linea, in Uganda in particolare, ma anche in altri Paesi dell’Africa, con una quantità di iniziative che è molto ampia: combattere l’Aids vuol dire naturalmente fare una attività di prevenzione e tutti gli esperti sanno che nell’attività di prevenzione il fatto del ridurre le attività sconsiderate di rapporti sessuali promiscui o molteplici e irresponsabili è l’aspetto principale e più efficace: “abstinence” e “be faithfull” sono le prime parole importanti per combattere efficacemente l’Aids ed esattamente tutto l’aspetto educativo che la Chiesa fa in questo senso è di primaria importanza. Poi c’è tutto l’aspetto della cura, perché una cosa è dire “Bene, mettete il condom e non prendete l’Aids”… Ma poi quando tutti quelli che l’hanno – e che sono tanti! – chi li cura? C’è tutta l’attività di curare con l’uso dei farmaci antiretrovirali, del seguire veramente gli ammalati e lo stare loro vicino; occuparsi delle mamme e dei bambini, delle mamme che sono rimaste vedove… E’ tutto un campo in cui la presenza della Chiesa – in Uganda in particolare, ma poi dappertutto – è estremamente importante. Quindi credo che sia giusto ricordare l’impegno della Chiesa in questo campo e capire che non bisogna avere una visione molto ristretta di un problema, su cui poi il Papa ha anche manifestato l’attenzione ad una valutazione poi specifica di casi che ci possono essere, quando ha parlato della problematica del quinto e del sesto Comandamento. L’attenzione al problema in sè e l’impegno della Chiesa in Africa nel campo dell’Aids è vastissimo, è enorme, ma – come dicevo, vorrei ritornarci – l’aspetto educativo dell’invito all’insistenza sul comportamento responsabile nella vita matrimoniale e nella vita di coppia e nell’evitare un uso irresponsabile illimitato della sessualità è assolutamente il punto importante, anche per la prevenzione. Tra l’altro, ricordando questo giorno, oggi è anche per gli africani in particolare il giorno della Festa della Beata Anuarite Nengapeta: una suora che è stata uccisa nel 1964 proprio per aver resistito alle richieste di rapporti sessuali dei leader ribelli del Congo. Quindi è una martire della fedeltà alla castità, al suo impegno e molti in Africa la considerano la protettrice dell’impegno dei cristiani e della Chiesa nella lotta contro l’Aids. Una persona che ha vissuto per il servizio e che è morta proprio per la fedeltà al suo impegno in questo campo, che è così drammatico anche per la problematica dell’Aids.

D. – Da ultimo, padre, cercando di legare le visite nei tre Paesi – Kenya, Uganda, Centrafrica – qual è, secondo lei, il messaggio più forte che Francesco ha lasciato per la Chiesa, ma ovviamente per tutto il continente africano e non solo per i tre Paesi visitati?

R. – Io sarei molto sintetico nel rispondere a questa domanda. Quello che ci ha colpito a tutti, girando per l’Africa, è la gioventù. La grande maggioranza di tutti coloro che erano presenti anche ad acclamare il Papa, anche lungo le strade in particolare, erano bambini o ragazzi giovani. La grande maggioranza della popolazione è giovanissima e quindi capiamo perché anche i demografi dicono che nel giro di relativamente pochi decenni la popolazione dell’Africa si sarà sviluppata in miliardi di persone e sarà quindi un continente di una importanza anche nella popolazione mondiale enorme. Il Papa è presente, la Chiesa è presente; è presente per questi bambini, è presente per questi giovani, è presente per il futuro di questo popolo, è presente con cordialità. La Chiesa c’è ed accompagna ed è un segno di riferimento, di speranza, di fiducia per un futuro migliore di un continente che ha uno sviluppo incredibile: vogliamo o non vogliamo, buono o cattivo, questo lo si dovrà vedere, lo si dovrà costruire nella responsabilità… Vedendo gli episcopati che si incontravano con il Papa, io ero colpito dal fatto che alcuni dei più anziani sono i vescovi missionari europei, mentre la grande maggioranza, la quasi totalità sono invece vescovi africani, del posto. Quindi la Chiesa è cresciuta in Africa, ha messo le sue radici, è presente, è corresponsabile dello sviluppo di questi popoli. La Chiesa è africana con gli africani e accompagna questo continente nei suoi problemi e nelle sue speranze. Il Centrafrica è stato un po’ la situazione più drammatica che si è vissuta, per cui il Papa si è impegnato di più a portare speranza e orientamenti positivi per il futuro. Altri Paesi sono già – diciamo – un po’ più avanti, un po’ più sistemati, come il Kenya e l’Uganda, ma la Chiesa c’è per tutti! Cammina con tutti ed è una Chiesa africana, con un Papa universale, che si sente africano con gli africani e che è riuscito infatti a dialogare e ad essere sentito come un padre da tutti i cristiani e da tutti gli uomini di buona volontà che si trovavano lì. Tutti! Per concludere con una immagine che mi ha molto colpito: il Papa che girava con la papamobile insieme all’imam è stato un messaggio fortissimo. Il Papa che ha incontrato e reincontrato la piattaforma per il dialogo interreligioso, composta dall’arcivescovo, dal presidente delle comunità evangeliche e dall’imam è un messaggio fortissimo. Ecco, il futuro dell’Africa. La Chiesa dà il suo contributo, non pensa certo di farla da sola. Lo fa con gli altri, per il dialogo, per la pace, con l’aiuto di tutte le persone di buona volontà e in particolare dei credenti.

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Arcivescovo Bangui: avevano previsto apocalisse, c'è stata solo tanta gioia

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Il viaggio del Papa in Centrafrica ridà nuova speranza al Paese. Avevano fatto previsioni catastrofiche, c’è stata solo tanta gioia: è questo il bilancio che mons. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, traccia della visita di Papa Francesco. Ascoltiamo il presule al microfono della nostra inviata Romilda Ferrauto

R. – Je peux dire que je suis satisfait parce-que je suis un homme de foi : vous avez vu que c’est …
Posso dire di essere soddisfatto, perché io sono un uomo di fede e voi avete visto che è stato un uomo di fede quello che è venuto a incontrare i nostri uomini di fede e così la nostra gioia è stata reciproca: tutti eravamo consapevoli del fatto che questo popolo avesse bisogno di una rinascita. Un popolo abbandonato, un popolo assassinato, un popolo dimenticato ha bisogno di un messaggio di speranza. E il Santo Padre è venuto a portare questo messaggio di speranza, ha invitato i centrafricani alla riconciliazione, ha invitato i centrafricani ad avere un cuore misericordioso, ha invitato i centrafricani a perdonare, soprattutto a seminare per costruire un Paese bellissimo che si chiama Centrafrica.

D. – Lei è stato sempre vicino al Papa, in tutto questo tempo. Che impressione ha avuto?

R. – J’ai trouvé un Pape simple, un Pape qui aime les pauvres, un Pape qui est proche, il est solidaire …
Ho trovato in lui un Papa semplice, un Papa che ama i poveri, un Papa vicino, solidale con la situazione: si preoccupa di quello che succede qui e porta la speranza che un cambiamento sia possibile. Egli ci ha annunciato che la nostra rinascita è vicina, auspica che tutti abbiamo fiducia e comprendiamo la Parola di Dio per unire le nostre forze, per tenerci per mano e raccogliere la grande sfida che ci aspetta, quella della riconciliazione, perché nel nostro Paese torni a regnare l’unità: che siamo del Nord, dell’Est, dell’Ovest o musulmani, cristiani e protestanti … siamo tutti centrafricani! Dobbiamo seminare e ricostruire il nostro Paese.

D. – Ha avuto paura che all’ultimo minuto potesse rinunciare alla visita oppure è stato sempre fiducioso nei mesi della preparazione del viaggio?

R. – Moi j’ai été confiant, parce-que je sais que ce peuple et moi-même nous avons demandé à ce que …
Io sono stato fiducioso, perché questo popolo e io stesso avevamo chiesto al Papa di venire perché potesse dare un messaggio per toccare i cuori. E il Santo Padre è venuto, con il suo messaggio e ci ha detto: “E’ necessario accettare la penitenza”, e l’avete visto, egli stesso ha dato l’esempio confessando: per tutta la notte i giovani hanno aperto i loro cuori per ricevere il perdono di Dio. E avreste dovuto vedere l’esultanza, l’allegria che erano dipinte sui volti degli uomini e delle donne che mi sono trovato accanto! Questo dimostra che c’era bisogno di un soffio nuovo … E io ho sempre creduto che quest’uomo sarebbe venuto da noi: è venuto, è ripartito, gloria a Dio!

D. – Il ricordo di un’immagine, di una frase …

R. – Ce que j’ai vu à la mosquée: le Pape a enlevé ses chaussures, il est allé se recueillir, il s’était fait …
Quello che ho visto alla moschea: il Papa si è tolto le scarpe, è andato a raccogliersi, si è fatto prossimo ai musulmani e ha detto: “Se non fossi venuto qui, dai musulmani, mi sarebbe mancato qualcosa: una parte di noi si trova nell’altro”. Questo è quello che ricorderò in modo particolare …

D. – Ovviamente, il Papa non è venuto con una bacchetta magica per risolvere tutti i problemi del Centrafrica; lei, però, ha fiducia – ci saranno le elezioni a breve – che la visita del Papa veramente possa scuotere le coscienze?

R. – Nous espérons que les Centrafricains vont avoir ce qu’on appelle «un sursaut patriotique». …
Noi ci auguriamo che i centrafricani abbiano quello che noi chiamiamo “un sussulto patriottico”. Abbiamo sofferto tanto. E’ giunto il momento. C’è un tempo per la guerra e un tempo per la riconciliazione, un tempo di rinascita. Si stanno avvicinando le elezioni: non possono essere tutti il presidente; bisognerà fare dei sacrifici, accettare che l’uno o l’altro diventi presidente per prendere in mano il destino della nostra Nazione e tutti dovranno aiutarlo in questo compito. Un presidente che avrà il “consenso” non dovrà escludere le persone, ma riunirle. E soprattutto dovrà avere a cuore la questione della riconciliazione. Noi siamo lacerati e feriti … ma dovremo pensare a quelle ferite con il nostro impegno, con i risultati che piano piano otterremo. Io ho molta fiducia nei centrafricani: l’hanno dimostrato! Non c’è stato un colpo d’arma da fuoco, al PK5! Non c’è stato un colpo d’arma da fuoco sulla piazza della Cattedrale! Era stata prevista l’apocalisse: non è successo niente. Al suo posto, c’è stata la gioia …

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Card. Parolin alla Cop21: è tempo di un accordo globale sul clima

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Serve un accordo sul clima che abbia un chiaro orientamento etico per la difesa della dignità umana, soprattutto dei più bisognosi. E’ l’esortazione levata dal card. Pietro Parolin, intervenuto ieri alla Conferenza sul clima di Parigi (Cop21). Il Segretario di Stato vaticano, che guida la delegazione della Santa Sede al Summit, ha portato il saluto e l’incoraggiamento di Papa Francesco ai partecipanti all’evento. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“A nome di Papa Francesco, rivolgo a tutti voi un cordiale saluto, insieme al Suo sincero incoraggiamento a lavorare alacremente per un esito fecondo di questa” Conferenza sul clima. Il card. Pietro Parolin ha iniziato così il suo intervento alla Cop21 di Parigi. Il porporato ha rammentato che nel suo discorso all’Onu di Nairobi, Papa Francesco ha auspicato un Accordo “globale” e “trasformativo” sul clima “fondato sui principi della solidarietà, della giustizia, dell’equità e della partecipazione, orientato al conseguimento di tre obiettivi complessi e interdipendenti: alleviare gli impatti del cambiamento climatico, combattere la povertà, far fiorire la dignità della persona umana”. Ed ha ricordato che per il Papa “sarebbe tragico che gli interessi particolare prevalgano sul bene comune e portino specialmente a manipolare l’informazione”. Un accordo globale e trasformativo, ha dunque sottolineato il card. Parolin, “dovrebbe ancorare le sue fondamenta su tre pilastri”.

Accordo sul clima abbia orientamento etico
Il primo pilastro, ha detto, “consiste nell’adozione di un chiaro orientamento etico, che ispiri le motivazioni e le finalità dell’Accordo”. “Sappiamo bene – ha ammonito – che le persone più vulnerabili all’impatto del fenomeno del cambiamento climatico sono i più poveri e le generazioni future, che ne patiscono le conseguenze più gravi, senza spesso esserne responsabili”. Ed ha evidenziato che “questo fenomeno non conosce frontiere né barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci” e va quindi rafforzata “in noi la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana e che non c’è spazio per la cosiddetta globalizzazione dell’indifferenza”. Di fronte “all’urgenza di una situazione che richiede la più ampia collaborazione possibile per il raggiungimento di un piano comune – ha proseguito il Segretario di Stato vaticano – è importante che quest’Accordo sia imperniato sul riconoscimento sia dell’imperativo etico ad agire in un contesto di solidarietà globale, sia della responsabilità comune ma differenziata di ciascuno, secondo le rispettive capacità e condizioni”.

Paesi sviluppati siano i primi ad impegnarsi per lo sviluppo sostenibile
Il secondo pilastro, ha proseguito, “riguarda il fatto che l’Accordo dovrebbe non solo individuare le modalità per la sua attuazione, ma anche e soprattutto trasmettere chiari segnali che orientino i comportamenti di tutti gli attori interessati a cominciare dai governi, ma anche le autorità locali, il mondo imprenditoriale, la comunità scientifica e la società civile”. Ciò, ha ribadito, “richiede di intraprendere con convinzione la strada verso un’economia a basso contenuto di carbonio e verso uno sviluppo umano integrale”. E qui ha esortato tutti ad impegnarsi e in particolare i  Paesi “con maggiori risorse e capacità” che, ha ammonito, “dovrebbero dare il buon esempio, apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile”. Il card. Parolin si è in particolare riferito “alla promozione delle energie rinnovabili e della dematerializzazione, così come allo sviluppo dell’efficienza energetica; oppure a una gestione adeguata delle foreste, del trasporto e dei rifiuti; allo sviluppo di un modello circolare dell’economia". E ancora "all’attuazione di programmi appropriati, sostenibili e diversificati di sicurezza alimentare e di lotta allo spreco del cibo; a strategie di contrasto a speculazioni e a sussidi inefficaci e talvolta iniqui; allo sviluppo e trasferimento di tecnologie appropriate”. Sono tutti aspetti, ha affermato, “la cui efficace attuazione dovrebbe essere ispirata dal nuovo Accordo”.

Cambiare modelli di produzione, no alla cultura dello scarto
Il terzo pilastro, ha proseguito, “riguarda la visione del futuro”. La Cop-21 “non rappresenta né un momento di arrivo, né un punto di partenza, ma una tappa cruciale di un percorso che certo non termina nel 2015”. Un Accordo con un’ampia “prospettiva temporale come quella in oggetto – è stata la sua esortazione – dovrebbe prevedere dei processi di revisione degli impegni e di follow-up trasparenti, efficaci e dinamici, in grado di aumentare progressivamente il livello di ambizione, nonché garantire un adeguato controllo”. Inoltre, ha detto il porporato, “è necessario prendere in seria considerazione l’attuazione di modelli di produzione e consumo sostenibili e di nuovi atteggiamenti e stili di vita”. Le “soluzioni tecniche sono necessarie  - ha ripreso - ma non sufficienti, se non si entra nel merito dell’educazione a stili di vita sostenibili e a una consapevolezza responsabile”. “L’attuale stile di vita, con la sua cultura dello scarto, è insostenibile – ha detto, riprendendo la Laudato si’ - e non deve avere spazio nei nostri modelli di educazione e di sviluppo”.

Il Santo Padre, ha concluso il card. Parolin, incoraggia tutti affinché la Conferenza sul clima “possa concludersi con l’adozione di un Accordo globale e trasformativo che abbia un chiaro orientamento etico, che trasmetta forti segnali per tutti gli attori coinvolti e che adotti una visione di lungo periodo consistente con il conseguimento" dei tre obiettivi: "alleviare gli impatti del cambiamento climatico, combattere la povertà, far fiorire la dignità dell’essere umano”.

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Giubileo. Inaugurati Centro accoglienza pellegrini e Media Center

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Inaugurato questa mattina in via della Conciliazione 7 a Roma il Centro di accoglienza pellegrini e Media Center del Giubileo della Misericordia. C’era per noi Paolo Ondarza

Taglio del nastro per il Centro di Accoglienza Pellegrini e Media Center del Giubileo della Misericordia, sito nel Palazzo San Pio X di Via della Conciliazione a Roma. A benedire la struttura, l’arcivescovo Giovanni Angelo Becciu, sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato:

R. – Speriamo che sia un atto beneaugurante per il Giubileo che ci aspetta. Siamo certi che il Signore non mancherà di effondere la sua benedizione.

D. – Un Centro di accoglienza per i pellegrini e un Centro per la stampa, quindi una duplice finalità in uno stesso ambiente, tale da indicarlo come luogo cruciale per quest’Anno che si sta aprendo…

R. – Sì. Mi pare sia stata un’idea geniale. Per i pellegrini, essere davvero accolti a nome del Santo Padre qui, nella sua casa. E poi, per la stampa, un servizio di semplicità, disponibilità perché i giornalisti possano svolgere al meglio la loro missione che è quella di diffondere le belle notizie che l’Anno Santo offre.

D. – Ad accogliere i pellegrini in questa struttura ci saranno molti volontari?

R. – E’ un’esperienza meravigliosa anche per loro sentirsi collaboratori del Santo Padre e poi essere vicini alla gente che certamente aspetta sostegno, aspetta indicazioni…

D. – L’apertura ufficiale del Giubileo sarà l’8 dicembre, ma c’è stata già una prima apertura in Centrafrica, a Bangui, che è diventata la capitale spirituale del mondo…

R. – Stiamo appena ritornando da questa cerimonia che è stata bellissima, e dalla periferia del mondo è stato dato il primo inizio dell’Anno della Misericordia. Un Paese dimenticato da tutti, pur essendo nella grande sofferenza sia per la penuria economica come anche per la guerra.

D. – Il Giubileo sarà un anno di grande speranza, un anno di misericordia in un momento in cui non si può negare che in molte parti del mondo vi sia disperazione e paura legata alle minacce terroristiche…

R. – Sentite, il gesto che ha fatto il Papa andando in Centrafrica è eloquente. Molti ci hanno espresso preoccupazione, addirittura consigliavano di non fare questo viaggio, e il Papa invece ha dimostrato come bisogna vivere nella normalità, nella serenità. Lui sentiva di compiere questa missione, di andare in un Paese che meritava amore, attenzione e sostegno e non si è fermato. E’ un invito a tutti noi a vivere nella serenità. Ciò non toglie che chi di dovere debba usare tutte le precauzioni e adottare tutte le misure per garantire la sicurezza e la tranquillità dei cittadini e qui dei pellegrini. Ma dobbiamo, nello stesso tempo, vivere con serenità la nostra vita.

Il Centro di accoglienza e Media Center è dunque una struttura aperta e sicura, al servizio di tutti. Mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione:

R. – E’ un luogo tranquillamente sicuro, come sicura è la nostra città e come sicure dovranno essere tutte le nostre città in giro per il mondo, dove si aprirà la porta della misericordia. La sicurezza non significa che non dobbiamo avere la vigilanza, in questo tempo. C’è certamente la paura del terrorismo ma c’è anche – non dimentichiamolo – tutto quello che avviene quotidianamente nelle nostre città.

D. – Oggi, l’inaugurazione e la benedizione di questo Centro di accoglienza dei pellegrini e Media Center…

R. – Il primo segno che dev’essere dato è che il pellegrino non è anonimo. Il pellegrino è un fratello e una sorella che si avvicina a noi per compiere un’esperienza di fede. Si sentirà accolto nella Chiesa di Roma, potrà ricevere le indicazioni che riterrà opportune legate agli avvenimenti del Giubileo, potrà essere accompagnato dai nostri volontari al percorso protetto e privilegiato per i pellegrini che debbono raggiungere la Porta Santa… E quindi, è un Centro di accoglienza che cercherà di far comprendere il più possibile quanto Papa Francesco abbia a cuore che i pellegrini che vengono a Roma si sentano a casa propria. E poi c’è il Media Center: abbiamo bisogno che quanti si occupano della comunicazione, possano trovare un ambiente e attrezzature che siano capaci di facilitare il loro lavoro. Qui li troveranno. Avranno l’opportunità di un luogo che è loro, per permettere che la comunicazione degli eventi del Giubileo possa essere fatta nei tempi dovuti e anche con la coerenza necessaria.

D. – Per chiudere, il suo auspicio in vista di questo Giubileo, e l’apertura oggi di questo Centro…

R. – Che il Giubileo possa essere veramente un evento che si realizza secondo il cuore di Papa Francesco, cioè un evento per la Chiesa e per il mondo. Per la Chiesa, perché riscopra la grande importanza di accogliere tutti e di non escludere nessuno, e quindi diventa anche un impegno per il mondo. Una testimonianza che va a tutti coloro che vivono in situazioni di emarginazione, dovunque ci sia una persona che ha bisogno della gioia del Vangelo, almeno durante questo Anno della Misericordia: possa sempre esserci qualcuno che ne sia strumento efficace.

La struttura sarà operativa tutti i giorni dalle 7.30 alle 18.30 per tutta la durata dell’Anno Santo straordinario.

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Giubileo. Card. Tagle: aprire porte della carità per i più bisognosi

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“Questo è il momento favorevole per cambiare vita”, “accogliere l’invito alla conversione”, mentre “la Chiesa offre la misericordia”. E’ quanto scrive Papa Francesco nella Misericordiae Vultus. Proprio sul rapporto tra conversione e misericordia, a pochi giorni dall’inizio del Giubileo della Misericordia, Alessandro Gisotti ha chiesto una riflessione al cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila. Quella che viene trasmessa oggi è la seconda parte di un’intervista realizzata con il presidente di Caritas Internationalis a Palazzo San Calisto. La prima parte è andata in onda il 23 novembre: 

R. – La Misericordia di Dio è un dono; un dono che ha bisogno della nostra risposta. La risposta al dono della Misericordia è la conversione. Quando un uomo, quando io non apprezzo il dono della Misericordia, che io non merito, il mio cuore inizia ad aprirsi e a chiedersi: chi è questo Dio? Perché mi guarda con amicizia? E queste domande sono il lavoro della grazia del Signore: aprire il cuore. E speriamo che avvenga la conversione!

D. – Qualcuno è preoccupato che sottolineando il valore della Misericordia – e Papa Francesco lo fa di continuo – si stia togliendo forza alla verità. Anche al Sinodo sulla famiglia abbiamo visto questo dibattito …

R. – Nella Bibbia, nel cuore di Dio, la Misericordia, la verità, la giustizia non sono cose contrarie. Il Signore è Misericordia perché è giusto, perché è la verità! Il Signore sa la verità della condizione umana e, perché sa la verità, è capace di essere Misericordia. Però la Misericordia di Dio supera – come si indica nella terminologia umana – giustizia stretta “uno per uno”, perché il Signore della giustizia è anche l’ultima Corte delle vittime dell’ingiustizia. La giustizia del Signore è la Misericordia per le vittime del mondo.

D. – Francesco chiede sempre un’attenzione speciale per i poveri. Questo Giubileo della Misericordia può essere un’occasione per i fedeli di testimoniare, di comprendere questo concretamente?

R. – Sì, qui alla Caritas siamo molto lieti, perché la porta della Misericordia non verrà aperta solo a San Pietro e nelle altre Basiliche maggiori, ma il Santo Padre vuole aprire anche le porte della carità in ogni comunità! Come presidente della Caritas Internationalis ho scritto ai vari membri della confederazione, affinché identifichino ed aprano le Porte della Carità, porte dove la gente ed i fedeli possono entrare ed andare in pellegrinaggio verso i poveri. Sicuramente il Signore sarà molto lieto di accogliere questi pellegrini, non nelle basiliche, ma nelle strade, nelle prigioni, negli ospedali, nelle periferie … Anche questi sono luoghi di misericordia, di indulgenza.

 

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Ripartire dagli archivi per interpretare il Concilio Vaticano II

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Ripartire dagli archivi per interpretare le tante sfumature del Concilio Vaticano II. Questa la sfida lanciata oggi alla presentazione in Sala Stampa Vaticana del Convegno Internazionale: “Il Concilio Vaticano II e i suoi protagonisti alla luce degli archivi”. L’iniziativa promossa e organizzata dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche vede anche la partecipazione dell’Università Lateranense. I tre giorni di lavori, programmati da oltre un anno, si apriranno nell’Aula nuova del Sinodo il 9 dicembre prossimo. Il servizio di Massimiliano Menichetti

Presentare le opinioni minoritarie per contribuire a mostrare a distanza di 50 anni l’unitarietà, i volti e le sfide lanciate del Concilio Vaticano II. E’ il filo rosso del Convegno Internazionale che aprirà i battenti mercoledì prossimo in piena sintonia con il Giubileo della Misericordia e che risponde all’invito di Papa Francesco di offrire un contributo specifico al dialogo tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. Padre Bernard Ardura, O. Praem, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche:

"Dopo la solenne apertura della Porta Santa, il nostro convegno ci introdurrà ad una riflessione sul Concilio, che San Giovanni XXIII volle già porre sotto il segno stesso della misericordia".

Molti i relatori presenti al convegno che prosegue un percorso avviatosi tre anni fa, ancora padre Ardura: 

"Nel corso di queste giornate di lavoro, numerosi e qualificati relatori illustreranno ciò che è stato l’evento ecclesiale del Concilio attraverso un certo numero dei suoi protagonisti e mettendo anche in luce le varie reti di opinione che ebbero un ruolo non indifferente nella formazione delle convinzioni di molti Padri conciliari".

Lo scopo del Concilio ha proseguito padre Ardura è stato quello di esprimere la fede cristiana nel linguaggio degli uomini di questo tempo e centrale per il convengo - ha precisato - sarà mostrare anche il peso che ebbero le opinioni della minoranze:

"Nell’elaborazione del programma di questo Convegno abbiamo anche tentato di rendere conto non soltanto della diversità, ma anche delle divergenze manifestatesi nel corso del Concilio. Perché si parla sempre delle opinioni maggioritari, ma c’era anche una minoranza e una minoranza attiva: quindi anche a questa minoranza sarà fatto posto”.

Un Convegno che non vede solo rappresentanti cattolici per rispondere anche all’invito lanciato all’inizio del Concilio Vaticano II “della promozione dell’unità della famiglia umana e quella di tutti i cristiani”:

"Abbiamo invitato a intervenire a questo convegno qualificati rappresentanti della Chiesa ortodossa russa ed ucraina e della comunione anglicana. Avremo anche un messaggio del Rabbino capo di Roma".

“Fondamentale per leggere correttamente il Concilio è anche il processo di elaborazione dei testi” ha precisato prof. Philippe Chenaux, membro del Pontificio Comitato Scienze Storiche e docente alla Lateranense:

"Per interpretare correttamente il Concilio, che è materia essenzialmente teologica, mi sembra importante ritornare alle intenzioni dei Padri, a quello cioè che hanno voluto fare e dire i Padri che hanno elaborato questi documenti. Dunque, il contributo della storia e degli storici, per ricostruire il processo di elaborazione di testi, mi sembra fondamentale per arrivare, appunto, a una corretta interpretazione. Dalla lettura dei testi bisogna risalire all’intenzione degli attori del Concilio. Da qui l’importanza di questo Convegno".

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Propaganda Fide: Bertone e Turkson sulle giovani Chiese oggi

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La prima relazione all’Assemblea plenaria della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (Cep), che si è aperta ieri, è stata tenuta dal card. Tarcisio Bertone sul tema “Coscienza ecclesiale e capacità evangelizzatrice nelle Chiese giovani”. “Le Chiese giovani con i loro problemi e i loro difetti – ha evidenziato il cardinale - ma con le loro risorse di vocazioni sacerdotali e religiose e di entusiastica adesione al Vangelo, sono diventate soggetti di missione per le vecchie Chiese, soprattutto europee, in un interscambio di persone e di opere da un continente all’altro".

Testimonianza, annuncio, catechesi, apostolato, inculturazione
Accennano quindi al lavoro di inchiesta fatto dalla Cep in vista dell’Assemblea plenaria, che ha interessato 1.120 soggetti missionari, ha proseguito: "Riguardo alla coscienza ecclesiale e alla capacità evangelizzatrice, le 262 circoscrizioni prese in considerazione dall’inchiesta hanno evidenziato nel decreto Ad gentes le idee-motrici sintetizzate in sei parole chiave: missione, testimonianza, annuncio, catechesi, apostolato, inculturazione".

Coniugare l’annuncio con una comunicazione convincente e con una vita santa
Parlando della capacità di evangelizzare, il card. Bertone ha indicato una serie di elementi da considerare centrali: l’affermazione del primato di Dio, l’entusiasmo di far conoscere Cristo, il coraggio di dare testimonianza, l’opzione per i poveri, il dialogo, il rendere visibile la Chiesa nella promozione umana, il vivere il senso autentico della comunità, il buon rapporto tra Chiesa e Stato, la progettazione della formazione alla missione, la collegialità episcopale, la prevalenza del clero autoctono, il senso del dovere di evangelizzare, la collaborazione con le Pontificie Opere Missionarie, l’appartenenza alla Chiesa locale. "Dobbiamo coniugare l’annuncio con una comunicazione accessibile e convincente e con una vita santa, ma nello stesso tempo con la piena condivisione della vita di coloro a cui annunciamo" ha detto nella conclusione il card. Bertone.

Le attività caritative attirano il maggior numero di persone a Cristo
Nel suo intervento nel corso dell'Assemblea, il card, Peter Turkson ha affermato che le giovani Chiese oggi, nella loro vita e nell’opera di annuncio del Vangelo, incontrano fattori che indeboliscono l’evangelizzazione, derivanti, a seconda dei contesti, dallo Stato, dalla società, dalle cultura.  “Appare chiaramente – ha sottolineato il presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace - che la crescita numerica impressionante” di queste Chiese, “è accompagnata da un aggravamento dell’instabilità nella maggior parte di questi territori”. Esistono però alcuni elementi e campi che potenziano l’opera di evangelizzazione, come la formazione dei laici e il processo di "inculturazione vera ed equilibrata del Vangelo". Inoltre, tra le attività delle Chiese che attirano il maggior numero di persone a Cristo, è al primo posto l’attività caritativa. D’altro canto, ha osservato il card. Turkson, ci si confronta con “i gruppi neo-pentecostali che presentano un Vangelo fatto di prosperità materiale, prestigio, salute”.

Le Chiese giovani oggi inviano sacerdoti e religiosi nelle Chiese occidentali
“Oggi le giovani Chiese contribuiscono alla missione universale della Chiesa - ha proseguito il cardinale - inviando preti diocesani e religiosi nelle Chiese che ne hanno bisogno”, come in Europa e in America. Accanto a questo slancio, si prospetta quella che da alcuni osservatori è stata definita “Chiesa migrante”, nell’alveo del fenomeno migratorio che ha assunto una dimensione planetaria. Il card. Turkson ha posto al dibattito assembleare due questioni: come e se è possibile aiutare a stabilizzare la situazione delle società e delle comunità locali, in modo da rallentare i flussi migratori; e come può la presenza dei rifugiati in Europa condurre la Chiesa a riscoprire la sua voce profetica. (P.A.- C.E.) 

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Nomine episcopali di Francesco in Argentina e Messico

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In Argentina, Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Nueve de Julio, presentata da mons. Martín de Elizalde, O.S.B., per sopraggiunti limiti d’età. Gli succede mons. Ariel Edgardo Torrado Mosconi, finora vescovo coadiutore della medesima diocesi.

In Messico, il Papa ha nominato vescovi ausiliari di Morelia il rev.do Víctor Alejandro Aguilar Ledesma, parroco della Parrocchia “El Señor de la Clemencia” di Curumbatío, assegnandogli la sede titolare di Castulo e il rev.do Herculano Medina Garfias, Economo del Seminario Arcivescovile di Morelia, assegnandogli la sede titolare di Gegi.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Sorpresa africana: l'incontro di Papa Francesco con i giornalisti durante il volo di ritorno da Bangui.

Un articolo di Marcelo Figueroa dal titolo "Benedetta preghiera": in un gesto il viaggio del Papa.

Per un accordo globale che guardi al futuro dell'umanità: il cardinale segretario di Stato alla conferenza di Parigi sul clima, e un articolo di Luca M. Possati dal titolo "Una sfida difficile".

Una domanda aperta da otto secoli: Giovanni Cerro illustra la profonda influenza di san Francesco sulla cultura non cristiana.

Aperte e chiuse: Fabrizio Bisconti spiega il significato antico delle porte sante.

La scoperta di Dawn: Elena Buia Rutt su castità e fecondità spirituale.

Archeologia ferita: Gabriele Nicolò sulla mostra "Il Bardo d Aquiliea" (dal 6 dicembre).

"Donne e giubileo della misericordia" il tema del mensile "donne chiesa mondo".

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Oggi in Primo Piano



Russia-Turchia. Obama esorta Mosca e Ankara a combattere l’Is

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Resta alta la tensione tra Turchia e Russia dopo l’abbattimento del jet russo da parte dell’aviazione di Ankara. Ieri a Parigi è saltato l’incontro tra Putin e Erdogan, chiesto da quest’ultimo per normalizzare i rapporti.  Secco il no del Presidente russo, secondo il quale la fornitura illegale di petrolio dall’Is alla Turchia sarebbe la causa dell’abbattimento dell’aereo russo. Il premier turco Davutoglu parla di “accuse infondate” e il Presidente Erdogan ha  prospettato le sue dimissioni nel caso venissero dimostrate. Dal canto suo, il Presidente americano Obama ha esortato oggi a Parigi la Turchia e la Russia a concentrarsi "sul nemico comune", il sedicente Stato Islamico. Sui presunti traffici di petrolio del califfato, Marco Guerra ha intervistato Arduino Paniccia, docente di Studi strategici all’Università di Trieste: 

R. – Riguardo ai rapporti tra i jihadisti e Ankara, io credo che sia molto difficile poter fare un’esatta valutazione dei rapporti reali esistenti tra un governo e un sedicente Stato terrorista. Tuttavia, tutti quelli che vivono nell’area sanno che esiste ormai da più di un anno e mezzo un forte traffico di contrabbando di petrolio diretto verso la Turchia, e tacitamente accettato dalle autorità. Comunque, è una questione grave perché non è per ammissione solo dei russi o degli iraniani, ma è anche per ammissione della stessa coalizione che una delle fonti principali di sostentamento del sedicente Stato terrorista è, appunto, la vendita del petrolio di contrabbando, oltre alle tasse imposte e oltre, naturalmente, tutti i traffici illeciti che Isis favorisce e moltiplica, a partire da quello degli esseri umani fino a quello delle armi ma petrolio è sempre stato il primo della lista.

D. – La Russia intanto ha dato il via libera alle prime sanzioni economiche alla Turchia. C’è il rischio di un’escalation di questa crisi, o resterà tutto sul piano diplomatico?

R. – Resterà sul piano diplomatico, e non credo che Putin si faccia coinvolgere in un’operazione sul campo. Certamente vorrà mandare dei messaggi economici e indubbiamente diplomatici alla Turchia; tuttavia, non mi sembra vi siano i presupposti – per fortuna – per un’escalation di tipo militare.

D. – Secondo il “Daily Mail”, ordigni al fosforo bianco sarebbero stati usati dai russi a Raqqa, la capitale del sedicente Stato islamico. Come si fa a distinguere tra verità e propaganda? Insomma, è possibile anche immaginarsi che, in effetti, in questa guerra venga usato ogni tipo di arma …

R. – Questo possiamo immaginarlo, e ho anche la sensazione che in questa guerra sia stato usato di tutto: dai gas alle bombe al fosforo, all’uranio impoverito… La bomba al fosforo è riconoscibile: ha quel modo di esplodere per il quale sembra quasi si tratti di fuochi d’artificio, per il loro caratteristico effetto, appunto, tracciante. Il ministero della difesa russo, naturalmente, ha negato e ha detto che queste armi non sono usate dall’Armata russa; tuttavia, siccome sono facilmente riconoscibili sia al momento in cui esplodono sia per le conseguenze che lasciano, se vi saranno degli approfondimenti, se vi sarà un’indagine internazionale, si capirà subito se quest’arma è stata usata assieme a tutte le altre terribili armi che sono state sperimentate nel territorio siriano.

 

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COP21, i leader: Parigi ultima chiamata per il clima

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Secondo giorno per Cop21, la Conferenza Onu sul clima a Parigi: tra gli impegni più urgenti dei 150 leader che hanno parlato a Le Bourget quello di siglare un accordo sui limiti del riscaldamento climatico. Decisivo è stato l’intervento di Obama che riconosce le responsabilità degli Usa per il disordine climatico e promette una riduzione delle emissioni negli Stati Uniti del 28%. Grande consenso per uno sforzo comune negli investimenti per le energie rinnovabili, disaccordi invece per i discorsi di Cina e India, che hanno chiesto di non fermare lo sviluppo industriale per contrastare i cambiamenti climatici. Veronica Di Benedetto Montaccini ha sentito Domenico Gaudioso, responsabile del Settore clima e ambiente Globale dell’Anpa, che si trova a Parigi per seguire la Conferenza: 

R. – Obama ha detto che si può cambiare il futuro qui e adesso, siamo l'ultima generazione che può fare qualcosa per il clima.L’intervento degli Stati Uniti qui alla Conferenza è stato quasi inaspettato e il Presidente Obama sta svolgendo un ruolo decisivo anche attraverso i contatti informali che stanno avendo luogo qui fra i Capi di Stato di tutto il mondo.

D. – L’India e la Cina hanno chiesto di non fermare lo sviluppo industriale. Clima e innovazione sono in contraddizione secondo lei?

R. – Secondo me, no. Però questa percezione stenta ad affermarsi presso molti Paesi in via di sviluppo forse per ragioni legate alla difficoltà da parte di questi Paesi nell’accesso alle nuove tecnologie. Alcuni Paesi, anche la Cina in realtà, hanno chiaro il quadro del degrado ambientale che comincia a riguardarli e a toccarli in maniera molto netta. Per altri invece la percezione che qualcosa si deve fare si accompagna sempre con l’affermazione che comunque non sono i Paesi in via di sviluppo che hanno creato questa situazione e quindi non dovrebbero essere loro a risponderne in prima linea.

D. – Papa Francesco, sull'aereo di ritorno dal viaggio in Africa, ha detto che "il mondo è sull’orlo del suicidio e bisogna agire subito": è così?

R. – L’intervento del Papa è assolutamente fondamentale perché il prestigio morale di cui gode va ben oltre il mondo cattolico. Ci sono altrettante importanti prese di posizione che sono arrivate negli ultimi tempi dalle altre religioni, in particolare dal mondo islamico, attraverso una dichiarazione approvata nell’agosto scorso a Istanbul. Le occasioni che ci sono ora per intervenire ci darebbero la possibilità di fare qualcosa, magari di mettere in piedi un processo  non perfetto ma che possa essere aggiustato negli anni futuri e ricondotto verso le vere necessità del pianeta.

D. – La situazione in Italia: 84 mila morti premature per inquinamento, sono questi i dati dell'Agenzia ambientale comunitaria usciti oggi. Forse l'Italia non è proprio la prima della classe sulle strategie climatiche come l'ha descritta Renzi ieri? 

R. – Noi abbiamo fatto dei passi avanti sul clima e sull’energia in particolare, anche sulle fonti rinnovabili, quali pochi altri Paesi hanno fatto. Quindi questa cosa era doveroso ricordarla. Certo, a questa cosa si accompagnano alcuni problemi che rimangono per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico, legati soprattutto alla conformazione anche orografica e metereologica della pianura padana. Ecco, lì, c’è molto da fare.

D. – Gli impegni assunti durante Cop21 sono rispettabili? Cosa dobbiamo aspettarci dall’accordo del 12 dicembre?

R. – Se si farà, non conterrà automaticamente il rispetto dei due gradi centigradi massimi perché si fermeranno quasi sicuramente a un livello che è stato valutato intorno ai 2,7 gradi centigradi. Non si tratta di impegni irrealizzabili ma di azioni che tutti possono vedere come contributo possibile del proprio Paese a questo sforzo comune.

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Burkina Faso: eletto il presidente Kabore

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Nuovo presidente per il Burkina Faso, con oltre il 50 per cento è stato eletto Roch Marc Christian Kaboré, ex premier favorito nei sondaggi. A lui il compito di guidare il Paese africano dopo l’era di Blaise Compaoré, al potere per ben 27 anni, deposto da una sommossa popolare, nell’ottobre di un anno fa, ora in esilio in Marocco. Roberta Gisotti ha intervistato Enrico Casale, redattore della rivista “Africa” dei Padri Bianchi: 

Primo capo di Stato eletto democraticamente dal 1978, in una rosa di 14 candidati, Christian Kaboré 58 anni - già premier del Burkina Faso fra il ‘94 e il ’96 e presidente del Parlamento prima di cadere in disgrazia agli occhi di Compaoré - ha conquistato il 53% dei voti su 5 milioni e mezzo di elettori, doppiando il rivale Zephirin Diabré, con il 21% dei consensi. Elezioni travagliate, già previste ad ottobre e rinviate per un tentato e breve colpo di Stato del generale Diendere, braccio destro dell’ex capo di Stato Compaoré, al potere - ricordiamo -  dal 1987, grazie ad un golpe, intenzionato a cambiare la Costituzione per estendere il suo mandato e per questo infine deposto da una sollevazione popolare. Dunque, grandi le attese sul nuovo presidente Kaboré perché possa mettere fine al caos in cui è precipitato il Paese da oltre un anno. Un buon segno è stato lo svolgimento pacifico del voto - sottolineato ieri con soddisfazione dal segretario generale dell’Onu Ban Ki moon - che ha pure evidenziato la forte partecipazione delle donne al processo elettorale. "Bisogna mettersi subito al lavoro", ha detto Kaboré appena eletto, elogiando gli organi di transizione ed aggiungendo: "è tutti insieme che dobbiamo servire il Paese" e promettendo "ai giovani, alle donne, agli anziani, "determinazione  per un aprire opportunità di un futuro migliore".

D. - Dunque quali prospettive? Enrico Casale: 

R. – La cosa importante da sottolineare è come questa elezione sia stata un vero rito democratico, voluto dalla gente, che ha prima mandato a casa Compaoré dopo 27 anni di potere e poi ha reagito a un tentativo di golpe che cercava di ripristinare i vecchi equilibri politici. Quindi, l’elemento positivo è che la prassi democratica si è affermata nel Burkina Faso.

D. – Quali sono i principali problemi che dovrà affrontare Kaboré?

R. – Il Burkina Faso è uno dei Paesi più poveri al mondo. E’ un Paese senza grandi risorse naturali e con una forte immigrazione, soprattutto in passato, nei Paesi vicini. Quindi, è chiaro che i temi principali che dovrà affrontare sono quelli soprattutto di uno sviluppo economico del Paese. Ricordiamo anche che il Burkina Faso si trova comunque in una fascia che è quella saheliana, che in questi ultimi anni è stata sconvolta anche dai problemi del terrorismo e del fondamentalismo islamico: temi che, per il momento, sono ancora estranei al Burkina Faso, ma lo toccano da molto vicino e  quindi certamente dovrà farci i conti.

D. – Ora, il Burkina Faso potrà però aspirare a maggiori aiuti dalla Comunità internazionale, avendo un governo eletto democraticamente?

R. – Certamente. Io credo che proprio questo processo democratico favorirà un afflusso maggiore di capitali dall’estero e di aiuti dalle grandi organizzazioni internazionali. Questo è uno degli effetti positivi di questa svolta democratica.

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Giornata contro l'Aids. Cauda: malattia ancora rischiosa

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“Celebriamo quest’anno la Giornata mondiale dell’Aids con una speranza nuova, data da quanti combattono la malattia su più fronti, ma occorre fare di più e velocemente”. Così il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon in occasione dell'odierna giornata dedicata alla lotta contro l’infezione dal’Hiv che colpisce 37 milioni di persone nel mondo. Le sfide tuttora, secondo l’Onu, sono l’estensione delle cure e dell’accesso ai servizi e soprattutto per giovani e donne, l’informazione in funzione preventiva. Il rischio è che oggi la malattia si consideri vinta, in realtà non è così, nonostante i progressi fatti, come spiega al microfono di Eliana Astorri, il prof. Roberto Cauda, ordinario di malattie infettive del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma: 

R. – Dell’Aids, dell’infezione da Hiv, se ne parla molto meno che nel passato. Si tratta adesso di una malattia curabile, anche se non guaribile. Ci sono effettivamente un certo numero di casi - molto pochi, due o tre - nei quali si è raggiunto, attraverso la cura funzionale, il controllo dell’infezione. In realtà, la malattia, il virus non è  estirpabile al momento dall’organismo, nonostante siano state fatte degli straordinari passi in avanti. La malattia nel mondo segue un po’ quello che è stato fin da subito: cioè, il nord del mondo che ha farmaci e pazienti, in numero peraltro limitato, il sud del mondo, che ha un numero elevato di pazienti, dove la disponibilità dei farmaci è sempre minore rispetto a quanto servirebbero.

D. - Continua la ricerca sui farmaci che combattono il virus con un’attenzione alla diminuzione degli  effetti collaterali degli stessi…

R. – Esattamente. Si persegue un farmaco che sia efficace, che dia pochi effetti collaterali e che sia semplice da assumere. Oggi, il paradigma della terapia verte proprio su questi due aspetti: semplificazione della terapia attraverso la cura in un’unica pillola, oppure riduzione del numero dei farmaci sempre però con un numero di pillole limitatissimo.

D. – C’è l’impressione che l’Aids sia una malattia che appartiene al passato come se ora non ci fosse più il pericolo di contagio?

R. – Questo è di per sé un pericolo perché certamente l’Aids non fa più quella paura che faceva negli anni passati. Tutta la mia vita professionale in qualche modo è stata segnata dall’Aids nelle sue varie fasi e io ricordo bene i momenti iniziali di grande disperazione in cui c’erano molte persone che morivano. Oggi esiste una cura anche se non esiste ancora la guarigione. Però la percezione del grande pubblico non è più quella di una volta, quando si facevano le aperture dei telegiornali e se ne parlava molto. C’è oggi il rischio che se ne parli solo e neanche molto il 1° dicembre. Quindi mantenere alta la tensione è importante perché la malattia è ancora rischiosa per i giovani che non la conoscono ma anche per le persone anziane che ritengono di essere in qualche modo immuni da questo. Oggi noi osserviamo un fenomeno legato all’invecchiamento, grazie ai farmaci della popolazione dei soggetti infetti che fa configurare un “geronto-Aids”, se vogliamo usare questa battuta: cioè, persone anziane o relativamente anziane che hanno una serie di malattie associate all’infezione da Hiv che sono molto complesse da trattare e questa secondo me è la nuova sfida degli anni 2000.

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Don Andrea Santoro: incontro a Roma a 10 anni dalla morte

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“La preghiera di don Andrea”, è questo il titolo dell’incontro che si è tenuto a Roma nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme in ricordo del sacerdote fidei donum ucciso nel 2006 in Turchia. Il prossimo 5 febbraio si ricorderanno i 10 anni dalla sua morte e proprio in quella occasione il cardinale vicario Agostino Vallini, presiederà una Messa a San Giovanni. Il servizio di Alessandro Filippelli

“Un autentico pastore sulle orme di Cristo”. Con queste parole, il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, ha ricordato don Andrea Santoro, un uomo che ha speso la sua vita per il Vangelo prima nelle parrocchie di Roma, poi a Trabzon, in Turchia, nella Chiesa di Santa Maria, dove fu ucciso nel 2006. Il cardinale Beniamino Stella:

“Oltre alle parole resta il profilo spirituale di questo sacerdote, in questo aspetto profondo che è stato il suo rapporto con il Signore. Nel caso di un prete, il tema della preghiera ha sempre una forte individualità. Quindi, un sacerdote molto inserito in un dialogo profondo con il Signore, con cui ha discusso, ha negoziato - questa parola è proprio del Papa: il negoziare con il Signore – questa sua tappa finale della vita, il servizio in terra di missione, in quel tipo di missione che poi è stato anche di fatto la sua morte”.

E come un pastore lo ricorda anche la sorella, Maddalena Santoro:

“Don Andrea era un sacerdote fin nel midollo delle ossa. Lui si sentiva prete, si sentiva pastore, quindi voleva essere vicino al suo gregge, e diceva che il gregge non si abbandona, perché questo gregge faccia un cammino di fede. Questa forza di don Andrea nel sentirsi pastore mi ha colpito e colpisce tutti quelli che man mano leggono i suoi scritti. Trapela in ogni suo scritto - dal diario dell’’80, quando aveva appena 35 anni, fino alle lettere dalla Turchia, quando ne aveva 55 e 60, perché era stato cinque anni in Turchia - questa forza, quindi, che lo animava, questo ardore, questa sete di vivere da pastore”.

"Missione è esilio, missione è lasciare Gerusalemme per ritornarvi alla fine, missione è portare altrove la gloria di Dio. Missione è trapassare per un ritorno finale". Così scriveva il sacerdote romano nel diario dove raccolse impressioni e riflessioni del viaggio in Medio Oriente del 1980 cui sempre faceva riferimento quando gli veniva chiesto perché avesse scelto, nel 2000, di partire per la Turchia. Don Andrea, infatti, era fortemente convinto che in quelle zone, potessero ancora esservi segni visibili della presenza cristiana. A Trabzon, si occupò molto degli ultimi adoperandosi soprattutto nel promuovere il dialogo tra le religioni. Mons. Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma:

“Io credo che iniziare questo nuovo anno pastorale o anche il Giubileo della Misericordia con l’attenzione a don Andrea come ponte di incontro tra le varie fedi, soprattutto oggi, dove sembra – si dice – ci sia quasi uno scontro tra religioni, e non è vero, credo che sia importante sottolinearlo. Don Andrea, infatti, è l’anello di congiunzione tra Dio e l’uomo in se stesso, ma anche Dio, l’uomo e gli altri uomini. Lui è stato questo anello di congiunzione tra il cristiano, discepolo di Cristo, il figlio di Abramo – che sono gli ebrei – e i figli di Abramo, che sono i musulmani”.

A mantenere vivo il ricordo del sacerdote romano c’è anche l’associazione “Don Andrea Santoro”, nata in sintonia con la diocesi di Roma e il vicariato Apostolico dell’Anatolia. Molte le finalità che si propone, tra cui raccogliere e curare suoi scritti; approfondire la sua spiritualità e i suoi pensieri e realizzare progetti per favorire lo sviluppo del dialogo interreligioso e interculturale sia in Italia che in Turchia.
 

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Mokrani: anche l'islam risponde all'odio con la misericordia

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Rispondere al male con la misericordia che è presenza Divina nell’essere umano. E’ questo l’invito accorato che scaturisce dall’incontro tenutosi alla Pontificia Università Gregoriana sulla presenza della misericordia nell’Islam. Adnane Mokrani, teologo musulmano, docente alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamistica (Pisai), spiega al microfono di Francesca Di Folco come il concetto di misericordia non sia solo un tema centrale nella relazione fra l’uomo e il suo Creatore ma primario perché Dio stesso nel Corano, ancor prima di presentarsi come “Onnipotente e Saggio” si attribuisce l’appellativo di Misericordioso: 

R. – Nel Corano, ci sono due nomi divini considerati nomi propri di Dio, che hanno lo stesso valore: il primo nome è “Allah”, che significa Iddio, Dio, come mistero, il mistero trascendentale; e “Ar-rahmàn”, il misericordioso, che è considerato sinonimo di Allah, ma non nel senso etimologico oppure linguistico, ma nel senso teologico. Dunque, abbiamo il mistero divino e Dio che si manifesta: il Dio Misericordioso è il Dio manifestato, il Dio vicino, il Dio dell’esperienza religiosa, dell’incontro con l’umano e dell’incontro dell’umano con il divino. Poi, ci sono due versetti importantissimi per capire la misericordia nel Corano: l’unica volta che Dio nel Corano dice “ho prescritto su me stesso”, dice: “Ho prescritto su me stesso la misericordia. L’unico impegno divino è la morale divina nel Corano, l’unica espressione in cui troviamo questa formula. C’è poi un secondo versetto che dice, quando Dio parla al profeta Mohammed: “Non ti abbiamo mandato solo per misericordia”. Dunque la misericordia è l’unica ragione d’essere della missione profetica di Mohammed. E questo ci fa vedere una certa teologica, che si può chiamare “misericordia centrica”: una teologia che deve essere anche una chiave ermeneutica per leggere l’insieme del Corano.

D. – “Ar-rahmàn”, “Ar-rahim”, il Misericordioso, il Clemente. All’inizio di ogni Sura del Corano, troviamo la formula “nel nome di Dio, il Misericordioso, il Clemente”. La misericordia non è solo un tema centrale nella relazione fra l’uomo e il suo Creatore, ma primaria, perché Dio – ancora prima di ricordare che è Onnipotente e Saggio – si presenta con l’appellativo di Misericordioso…

R. – Sicuramente, perché la misericordia è il nucleo dell’esperienza religiosa, dell’incontro tra l’umano e il divino. C’è un altro versetto molto importante che dice: “La mia misericordia copre tutto, contiene tutto”, nel senso che niente è fuori dalla misericordia divina e per questo – in questo momento difficile della storia – i musulmani aderiscono al Giubileo per due motivi principali. Il primo: perché la misericordia rappresenta un valore supremo per i musulmani, è centrale. Il secondo motivo: è l’unica risposta possibile, l’unica risposta spirituale, la risposta dello spirito all’odio, all’islamofobia, alle divisioni, alla guerra è la misericordia. Questo ci unisce contro il male, perché non possiamo rispondere al male con il male: possiamo rispondere, come donne e uomini religiosi, al male con la misericordia.

D. – Il Giubileo della Misericordia può essere un’occasione di incontro? Un ponte fra fedeli?

R. – Sicuramente, perché l’esperienza religiosa autentica in ogni religione è questa misericordia, questa tenerezza, questo amore, questa vicinanza e presenza divina nell’essere umano. Altrimenti non si può parlare di religione! La religione, in questo caso, senza misericordia diventa ideologia, diventa idolatria, diventa divisione, uno strumento di potere e di esclusione. La religione autentica è quella umile del servizio, dell’amore e della misericordia.

D. –  Nell’islam c’è un legame profondo che unisce la conoscenza del mondo alla misericordia. Il sapere, insito in ognuno di noi, progredisce grazie alla misericordia?

R. – Il sapere richiede l’umiltà. Un cuore umile e una mente umile. La misericordia prepara la mente e prepara il cuore per ascoltare, per servire, per conoscere e per apprezzare il bello, il buono nell’altro diverso.

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"Giubileo di Papa Francesco", il nuovo libro di Antonio Preziosi

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E’ stato presentato ieri sera a Roma “Il Giubileo di Papa Francesco”, il volume di Antonio Preziosi, consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali e giornalista Rai. Una riflessione per capire le ragioni e il significato dell’Anno Santo della Misericordia. Ce ne parla Davide Dionisi

La misericordia, il suo significato nel Cristianesimo e di come Papa Francesco ne abbia fatto il cuore del suo messaggio pastorale. E’ questo il tema centrale attorno al quale ruota la riflessione di Antonio Preziosi, consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali e giornalista Rai, proposta nel suo ultimo libro "Il Giubileo di papa Francesco. Vivere e capire lo straordinario Anno Santo della Misericordia". Una guida, edita dalla Newton Compton, per capire cos’è un Anno Santo straordinario, come si svolge e quali conseguenze ha dal punto di vista religioso, sociale e politico. All’evento ha preso parte anche mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che ha spiegato quali saranno le caratteristiche del Giubileo, come si connoterà e come sarà vissuto da credenti e non: 

“Innanzitutto, ha le caratteristiche che il Papa ha voluto imprimere a questo Anno Santo. Il fatto stesso di avere aperto la Porta Santa nella Cattedrale di Bangui dà il significato di questo Giubileo straordinario. Un Giubileo, cioè, che viene vissuto innanzitutto nelle Chiese locali, viene vissuto in tutto il mondo, proprio come un segno di reale conversione e cambiamento da parte della Chiesa. Io sono convinto che il Giubileo possa avere tutte le caratteristiche per consentire un vero cambiamento culturale. Se noi pensassimo alla sottolineatura che il Papa fa, per poter vivere le opere di misericordia corporale e spirituale, che sono dei gesti molto semplici quotidiani, tutto questo può diventare un recupero del rispetto, dell’accettazione reciproca, di tutto ciò che può aiutare a trasformare quella vita della società spesso caratterizzata dall’indifferenza e dallo scontro”.

Secondo Antonio Preziosi esiste in filo conduttore riguardante il concetto di misericordia che parte dal Concilio Vaticano II e arriva a Papa Francesco:

“Il concetto di misericordia è un concetto conciliare, è un concetto che parte da Giovanni XXIII, che si afferma in Paolo VI, che trova addirittura un radicamento nei 33 giorni di Giovanni Paolo I, che arriva poi a Giovanni Paolo II, che è stato in qualche modo il grande apostolo della misericordia, e quindi, attraverso Benedetto XVI, attraverso questo grande pontificato di Benedetto XVI, arriva a Papa Francesco, che lo porta a compimento e realizza questo Anno Santo che è appunto un Anno Santo straordinario”.

Per Antonio Preziosi siamo di fronte ad un Giubileo dunque davvero straordinario, per tre motivi: interrompe la scansione temporale dei 25 anni, è il rimo Giubileo a tema e, non ultimo, non è "romanocentrico" e va al di là delle tradizionali quattro porte sante:

“L’immagine di Francesco che spalanca la Porta Santa di Bangui è un’immagine che è destinata ad entrare nella storia della Chiesa. Per la prima volta, infatti, si apre una Porta Santa che non è a Roma e per la prima volta nella storia della Chiesa questa Porta Santa che si apre, si apre nel Sud del pianeta. Questo è un Giubileo che viene dal Sud ed è destinato a diffondersi in quello che è il mondo ricco, opulento, sviluppato, il mondo cosiddetto occidentale, con una capacità di penetrazione, di diffusione, che è sicuramente nelle intenzioni del Papa, ma che è nei fatti e nella sostanza di quello che andremo a vivere in questo anno”.

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Nella Chiesa e nel mondo



Nord Irlanda: bocciata normativa contro aborto. Sconcerto dei vescovi

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Una decisione “inquietante”. Così i vescovi dell’Irlanda del Nord hanno espresso tutto il loro sconcerto per la sentenza della Corte suprema di Belfast che ieri ha definito la legge che proibisce l’aborto una violazione dei diritti umani. In Nord Irlanda non è applicata  la legge che nel 1967 ha legalizzato l’aborto nel Regno Unito, ma una normativa molto più restrittiva  che permette di abortire solo nel caso di pericolo per la vita della madre e prevede la condanna all’ergastolo per le donne che praticano l’aborto in maniera illegale. Secondo la Corte di Belfast, questa normativa è una violazione della convenzione europea sui diritti umani, in particolare perché impedisce di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza anche alle donne che hanno subìto uno stupro, o nel caso che sia diagnosticata una grave deformità del feto.

Una sentenza che sancisce una discriminazione
Un giudizio che per i vescovi nord-irlandesi rivela tutte “le contraddizioni e l’illogicità di leggi che invocano la non discriminazione contro bambini che soffrono di disabilità come la Sindrome di Down o la spina bifida, ma poi permettono un aborto selettivo per impedire a quegli stessi bambini di nascere”. “Con questa decisione la Corte suprema ha di fatto stabilito che la vita di alcuni bambini merita più protezione, amore e cure di altri”, affermano in una nota. “Bambini vulnerabili e innocenti che soffrono di condizioni di disabilità e bambini concepiti da una violenza sessuale di cui non sono responsabili, non avranno più la tutela della legge per fare valere il loro innato diritto alla vita".  I presuli ricordano in proposito le parole di Papa Francesco nella “Laudato si’ in cui il pontefice afferma che “se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”

L’aborto non è una risposta umana a gravidanze difficili
L’uccisione diretta e intenzionale di un bambino non nato – ribadiscono in conclusione i vescovi – non può mai essere risposta umana , compassionevole e giusta a circostanze complesse e delicate di una gravidanza difficile”. (A cura di Lisa Zengarini)

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A Betlemme poche luminarie e rintocchi di campane per la pace

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Sabato prossimo, alle ore 19.30, tutte le campane delle chiese di Betlemme suoneranno per la pace. L’iniziativa, che avrà luogo subito dopo l’accensione del tradizionale albero natalizio in piazza della Mangiatoia e in sostituzione dei fuochi di artificio, rientra nel programma delle festività natalizie promosso dalla municipalità di Betlemme, guidata dal sindaco Vera Baboun. 

Atmosfera dimessa per i palestinesi morti nelle ultime settimane
Il clima di tensione generale esistente in Terra Santa non ha impedito alla città natale di Gesù di programmare alcuni eventi anche se in forma ridotta. Il pasto tradizionale seguente l’illuminazione dell’albero di Natale, per esempio, è stato annullato, così come i concerti. Le luminarie e le decorazioni natalizie saranno ridotte al minimo. Tutte decisione prese “per rispetto verso i nostri martiri, i palestinesi originari di Betlemme e morti nelle ultime settimane negli scontri con le forze israeliane, le loro famiglie, e per la situazione in sé”, spiega il sindaco Baboun. 

Campane suoneranno per la pace
​“Betlemme resta la città della pace – ribadisce il sindaco – e, con l’approssimarsi del Natale, dobbiamo pregare più che mai per questa pace”. Proprio per significare il desiderio di pace, giustizia e dignità, sabato 5 dicembre tutte le campane di Betlemme suoneranno in contemporanea alle 19.30. Un gesto simbolico che la Municipalità di Betlemme estende a tutte le chiese del mondo. (R.P.)

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Iraq. Patriarca Sako: in Avvento preghiamo per liberazione di Mosul

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Nel “tempo forte” dell'Avvento, durante le celebrazioni liturgiche quotidiane, in tutte le chiese caldee del mondo i fedeli pregheranno per invocare il dono della liberazione di Mosul e dell'intera Piana di Ninive, e chiedere che vengano garantiti i diritti delle minoranze religiose che vivono in Iraq. Sono queste le due intenzioni di preghiera che il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako ha suggerito ai cattolici caldei presenti in Iraq e a quelli sparsi nelle comunità in diaspora, con un messaggio diffuso nella prima domenica d'Avvento.

Sako auspica modifica della legge sull'islamizzazione dei minori 
​Nel testo, riferisce l'agenzia Fides, si invitano i fedeli a pregare affinché la liberazione dei territori iracheni conquistati dai jihadisti del sedicente Stato Islamico (Daesh) permetta presto agli sfollati di far ritorno alle proprie case, e si auspica che la desiderata tutela dei diritti delle minoranze religiose si concretizzi anche nella modifica della legge sull'islamizzazione dei minori (il testo giuridico, fortemente contestato dalle minoranze religiose irachene, che di fatto impone il passaggio automatico alla religione islamica dei minori quando anche uno solo dei due genitori si converte all'islam).

Nell'agosto del 2014 la fuga di migliaia di cristiani dalla Piana di Ninive
La città di Mosul è caduta sotto il controllo dei jihadisti del Daesh dal 9 giugno 2014. Quasi due mesi dopo, nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014, le milizie jihadiste hanno conquistato molte città e villaggi della Piana di Ninive, provocando anche la fuga di decine di migliaia di cristiani caldei, siri e assiri. (G.V.)

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Germania: Campagna “con i cristiani perseguitati e oppressi”

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L’arcivescovo di Bamberg, mons. Ludwig Schick, delegato per i rapporti della Chiesa mondiale della Conferenza episcopale tedesca (Dbk), con il patriarca maronita del Libano, il cardinale Bechara Rai, durante una conferenza stampa tenutasi ieri a Berlino, ha esposto i progressi della Campagna “Solidarietà con i cristiani perseguitati e oppressi”, avviata - riferisce l'agenzia Sir - dai vescovi tedeschi nel 2003, quest’anno dedicata all’attuale situazione in Siria.

La Campagna è rivolta in particolare alle parrocchie 
Schick ha detto che in Siria ci si avvia “verso la scomparsa del cristianesimo”: i cristiani che “vivevano da duemila anni nel Paese hanno influenzato in misura considerevole” la società siriana. Bisogna combattere l’organizzazione terroristica con “l’uso di mezzi militari eticamente accettabili per fermare l’estremismo disumano dell’Is”, ha affermato Schick. 

Rai:  i cristiani in Medio Oriente sono considerati alleati dei governi occidentali 
Il patriarca Rai ha invece sottolineato come “i cristiani in Medio Oriente pagano il prezzo per le decisioni dei governi occidentali”: infatti i musulmani in Medio Oriente “considerano ogni decisione governativa occidentale come una decisione cristiana e, quindi, i cristiani in Medio Oriente sono considerati alleati dei governi occidentali e di conseguenza, gli Stati occidentali devono evitare qualsiasi conflitto con il mondo arabo, in modo che i musulmani non vedano alcuna ragione per attaccare i cristiani”. (R.P.)

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Iniziativa cristiano-musulmana contro violenza sulle donne

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16 giorni di mobilitazione contro la violenza di genere. E’ l’iniziativa lanciata da una coalizione di Chiese e organizzazioni cristiane e musulmane in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, celebrata il  25 novembre, e della Giornata dei diritti dell’uomo del prossimo 10 dicembre. 16 giorni di incontri, di preghiere e iniziative in difesa della dignità delle bambine e delle giovani donne in particolare nel campo dell’istruzione.

La promozione della dignità delle donne parte dalla scuola
L’istruzione è, infatti, un elemento fondamentale nello sviluppo delle bambine nel loro percorso verso l’età adulta e ha un ruolo centrale nella loro promozione sociale, economica e politica. Ecco perché la scuola, l’università e altre istituzioni educative dovrebbero essere ambienti sicuri per le bambine e le giovani. Purtroppo spesso non è così. Di qui campagna di sensibilizzazione alla quale aderiscono il Consiglio Ecumenico delle Chiese (Wcc/Coe), la Comunione Anglicana, la Comunione Mondiale delle Chiese Riformate, l’Alleanza Mondiale delle Associazioni delle Giovani Donne Cristiane (World Ymca), la Federazione Luterana Mondiale, la Chiesa di Svezia, Finn Church Aid e Mission 21.

L’impegno delle organizzazioni religiose contro la violenza sulle donne
​Tra le iniziative previste per ciascuna giornata fino al 10 dicembre la diffusione di informazioni sulle attività promosse dalle Chiese e organizzazioni religiose per porre fine alla violenza di genere e la proposta di preghiere speciali per le donne. Il tutto con l’obiettivo di fare crescere il movimento di uomini e donne nel mondo contro questo fenomeno. (L.Z)

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Medici con l'Africa Cuamm: i funerali di don Luigi Mazzucato

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“Lo sguardo semplice e gioioso di don Luigi lascia intravvedere una vita piena e traboccante. Aveva dato tutto. La parola morte non si addice a questo momento, vale di più ‘compiutezza, pienezza’”. Così mons. Claudio Cipolla, vescovo di Padova, ha definito don Luigi Mazzucato, storico direttore di Medici con l’Africa Cuamm, nell’omelia di ieri durante il rito funebre nella cattedrale. 

Il messaggio del Presidente della Repubblica italiana Mattarella
Una chiesa affollata - riferisce l'agenzia Sir - oltre mille tra amici, medici, operatori sanitari, uomini di cultura provenienti da tutta Italia. Anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha inviato un messaggio, dicendo di essere “profondamente addolorato dalla scomparsa di don Luigi Mazzucato che, per quasi un sessantennio, è stato l’animatore, instancabile e appassionato, di Medici con l’Africa Cuamm, dedicandosi totalmente alla cura e al servizio dei poveri, degli ammalati e dei sofferenti in terre lontane e in luoghi dimenticati”. Don Mazzucato, prosegue il Presidente Mattarella, “è stato anche un grande educatore, una guida spirituale e morale per numerose generazioni di italiani, credenti e non credenti, che gli riconoscevano carisma, lucidità, passione civile”, e “un grande italiano che ha speso la sua intera vita per i valori di solidarietà, pace e giustizia sociale”.

Testamento spirituale di don Mazzucato: "non ho nulla di mio e nulla da lasciare"
Don Dante Carraro, attuale direttore, ha ripreso il testamento spirituale di don Luigi Mazzucato: “Sono nato povero – scrive don Mazzucato – e ho sempre cercato di vivere con il minimo indispensabile. Non ho nulla di mio e nulla da lasciare. Tu, Signore, conosci i miei limiti, la mia fede troppo superficiale, mi affido alla tua infinita bontà e misericordia. Mi sembra quasi un miracolo dopo 60 anni ci siano ancora persone giovani e non, credenti e non, disposte a partire nello stile e secondo i principi del Cuamm. Vi saluto tutti con un Addio e in Dio vi resterò vicino”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 335

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.