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Sommario del 30/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: cattolici facciano politica per bene comune, non un partito

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Un cattolico “deve” fare politica servendo con coraggio il bene comune, senza lasciarsi tentare dalla corruzione. Al contrario, non serve fare un partito di soli cattolici. È la posizione espressa da Papa Francesco durante l’incontro avuto con gli appartenenti alle Comunità di vita cristiana e alla Lega Missionaria Studenti, organismi della famiglia dei Gesuiti. In un Aula Paolo VI gremita, il Papa ha risposto alle domande dei giovani toccando molti temi della vita sociale ed ecclesiale. Il sevizio di Alessandro De Carolis: 

La politica è la forma alta di carità, disse Paolo VI, ma lo sguardo di tanta politica nell’era globalizzata è decisamente più terreno, funziona con il “dio denaro” messo “al centro” e intorno la galassia dei suoi molti lacchè. La schiettezza è una delle qualità tra le più amate di Francesco e le risposte generose e universali alle domande emozionate e specifiche dei giovani della famiglia ignaziana che lo ascoltano e spesso lo applaudono – un’ora tra le più intense del Pontificato – sono un compendio che descrive mirabilmente il senso dell’uomo e della Chiesa del Papa delle periferie.

La Chiesa non è un partito
A fare il giro del mondo nel tempo di un tweet è in particolare l’ultima risposta alla domanda di Gianni, trentenne impegnato nel volontariato e in politica che chiede aiuto al Papa per spiegare ai più giovani che la ricerca del “bene privato” nello spazio del “bene comune” è l’abiezione della politica:

“Si sente: ‘Noi dobbiamo fondare un partito cattolico!’: quella non è la strada. La Chiesa è la comunità dei cristiani che adora il Padre, va sulla strada del Figlio e riceve il dono dello Spirito Santo. Non è un partito politico. 'No, non diciamo partito, ma … un partito solo dei cattolici': non serve e non avrà capacità convocatorie, perché farà quello per cui non è stato chiamato (…) Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere”.

Sono “più peccatore” di lui
Francesco risponde a braccio e ampiamente – le due pagine del discorso ufficiale messe via per non annoiare. Avverte che anche per il Papa esiste il “pericolo” di credere di poter rispondere a tutto – mentre l’unico che può, afferma, è il Signore – e la prima risposta è una spallata all’ipocrisia ammantata di buoni sentimenti che annida anche fra i cristiani. Si parla di carcere – “una delle periferie più brutte”, dice – e della solidarietà verso i detenuti. In modo spiazzante Francesco invita tutti a riconoscere che se non si è finiti in cella non è per bravura personale, ma solo perché “il Signore ci ha presi per mano”:

“Non si può entrare in carcere con lo spirito di ‘ma, io vengo qui a parlarti di Dio, perché abbi pazienza, perché tu sei di una classe inferiore, sei un peccatore’. No, no! Io sono più peccatore di te, e questo è il primo passo (...) Quando noi andiamo a predicare Gesù Cristo a gente che non lo conosce o che porta una vita che non sembra molto morale, pensare che io sono più peccatore di lui, perché se io non sono caduto in quella situazione è per la grazia di Dio”.

La carità dei gesti
E profondamente cristiano è il suggerimento su quali parole rivolgere a un detenuto:

“Non dire niente. Prendere la mano, accarezzarlo, piangere con lui, piangere con lei … Così, avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Avvicinarsi al cuore che soffre. Ma tante volte noi non possiamo dire niente. Niente. Perché una parola sarebbe un’offesa. Soltanto i gesti. I gesti che fanno vedere l’amore. ‘Tu sei un ergastolano, lì, ma io condivido con te questo pezzo di vita di ergastolo’, e quel condividere con l’amore: niente di più. Questo è seminare l’amore”.

La speranza non delude
Tiziana, una ragazza, gli domanda come faccia un giovane a sperare oggi e Francesco concorda con lei che quella ricavata da una vita in disparte, “comoda, tranquilla” è una speranza da “laboratorio”. Diverso è per chi vuole impegnarsi in politica, in un campo professionale, e finisce per imbattersi nella corruzione, scopre che i lavori “che sono per servire – nota Francesco – diventano affari”. O intende impegnarsi nella Chiesa e fa anche lì l’esperienza della “sporcizia”, come affermato una volta da Benedetto XVI:

“Sempre c’è qualcosa che delude la speranza e così non si può … Ma la speranza vera è un dono di Dio, è un regalo, e quella non delude mai. Ma come si fa, come si fa per capire che Dio non ci abbandona, che Dio è con noi, che è in cammino con noi? (…) Soltanto, una cosa della quale io sono sicuro – di questo sono sicuro, ma non sempre lo sento, ma sono sicuro – Dio cammina con il suo popolo”.

Sana inquietudine
La speranza è “la virtù degli umili”, afferma Francesco, perché molto piccoli bisogna farsi per non alzare un’ombra col proprio orgoglio verso Dio. E una speranza umile può essere meglio testimoniata a patto di imparare a servire gli altri, attitudine che ha bisogno di grande sensibilità. Come si aiutano i bambini affamati, si chiede il Papa? O quelli che se “li accarezzi ti danno uno schiaffo” perché a casa vedono il papà che picchia la mamma? La risposta è: rispettando sempre la dignità degli altri. E soprattutto non limitandosi a un gesto superficiale tanto per sentirsi in pace:

“Una cosa che fa la differenza tra la beneficienza abituale (…) e la promozione, è che la beneficienza abituale ti tranquillizza l’anima: ‘Io oggi ho dato da mangiare, adesso vado tranquillo a dormire'. La promozione ti inquieta l’anima: “Ma, devo fare di più: e domani quello e dopodomani quello, e cosa faccio…’. Quella sana inquietudine dello Spirito Santo”.

Conosci Gesù se tocchi le sue piaghe
La risposta a Bartolo, sacerdote diocesano, è invece una spiegazione dell’anima di Sant’Ignazio e di dove risiedano le corde più profonde del carisma dei Gesuiti e di chi li affianca:

“La spiritualità ignaziana dà al vostro Movimento questa strada, offre questa strada: entrare nel cuore di Dio attraverso le ferite di Gesù Cristo. Cristo ferito negli affamati, negli ignoranti, negli scartati, negli anziani soli, negli ammalati, nei carcerati, nei pazzi … è lì. E quale potrebbe essere lo sbaglio più grande per uno di voi? Parlare di Dio, trovare Dio, incontrare Dio ma un Dio, un 'Dio-spray', un Dio diffuso, un Dio all’aria (…) Mai conoscerai, tu, Gesù Cristo se non tocchi le sue piaghe, le sue ferite”.

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Il Papa: ecumenismo non è opzione, ci unisca sangue dei martiri

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“La causa dell’unità non è un impegno opzionale”. E’ quanto affermato da Papa Francesco ricevendo i membri della Commissione internazionale anglicana-cattolica, riuniti per una nuova sessione di lavoro. Il Pontefice ha inoltre sottolineato che il sangue dei nuovi martiri deve unire i cristiani “al di là di ogni divisione”. Infine, l’esortazione a non scoraggiarsi dinnanzi alle difficoltà nel ricercare l’unità, confidando sempre nella potenza dello Spirito Santo. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

“Oggi il mondo ha urgentemente bisogno della testimonianza comune e gioiosa, dei cristiani, dalla difesa della vita” alla “promozione della pace e della giustizia”. Lo sottolinea con forza Papa Francesco che, incontrando i membri della Commissione internazionale anglicana-cattolica, ha elogiato l’impegno a “superare gli ostacoli che si frappongono alla piena comunione”.

L’ecumenismo non è un impegno opzionale nella vita delle Chiese
Tra breve, ha osservato il Papa, saranno pubblicate “cinque dichiarazioni comuni prodotte finora nella seconda fase del dialogo anglicano-cattolico”, un traguardo che “ci ricorda che le relazioni ecumeniche ed il dialogo non sono elementi secondari della vita delle Chiese”:

“La causa dell’unità non è un impegno opzionale e le divergenze che ci dividono non devono essere accettate come inevitabili. Alcuni vorrebbero che, dopo cinquant’anni, ci fossero risultati maggiori quanto all’unità. Nonostante le difficoltà, non possiamo lasciarci prendere dallo sconforto, ma dobbiamo confidare ancora di più nella potenza dello Spirito Santo, che può sanarci e riconciliarci e fare ciò che umanamente sembra impossibile”.

La testimonianza dei nuovi martiri più forte di ogni divisione
Francesco ha, quindi, sottolineato che “esiste un legame forte che già ci unisce, al di là di ogni divisione: è la testimonianza dei cristiani, appartenenti a Chiese e tradizioni diverse, vittime di persecuzioni e violenze solo a causa della fede che professano” ed ha citato in particolare i martiri dell'Uganda "metà cattolici, metà anglicani":

“Il sangue di questi martiri nutrirà una nuova era di impegno ecumenico, una nuova appassionata volontà di adempiere il testamento del Signore: che tutti siano una cosa sola (cfr Gv 17,21). La testimonianza di questi nostri fratelli e sorelle ci esorta ad essere ancora più coerenti con il Vangelo e a sforzarci di realizzare, con determinazione, ciò che il Signore vuole per la sua Chiesa”.

Il Papa ha concluso il suo intervento invocando “i doni dello Spirito Santo, per essere in grado di rispondere coraggiosamente ai ‘segni dei tempi’, che chiamano tutti i cristiani all’unità e alla testimonianza comune”.

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Francesco: fede è storia di peccato e di grazia, tra servirsi e servire

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Il cristiano è inserito in una storia di peccato e di grazia, sempre posto davanti all’alternativa: servire o servirsi dei fratelli. E’ quanto ha affermato Papa Francesco nella Messa del mattino presieduta a Casa Santa Marta. Ce ne parla Sergio Centofanti

Il cristiano è uomo e donna di storia
“La storia e il servizio”: nell’omelia Papa Francesco si sofferma su questi “due tratti dell’identità del cristiano”. Innanzitutto, la storia. San Paolo, San Pietro e i primi discepoli “non annunziavano un Gesù senza storia: loro annunziavano Gesù nella storia del popolo, un popolo che Dio ha fatto camminare da secoli per arrivare” alla maturità, “alla pienezza dei tempi”. Dio entra nella storia e cammina col suo popolo:

“Il cristiano è uomo e donna di storia, perché non appartiene a se stesso, è inserito in un popolo, un popolo che cammina. Non si può pensare in un egoismo cristiano, no, questo non va. Il cristiano non è un uomo, una donna spirituale di laboratorio, è un uomo, è una donna spirituale inserita in un popolo, che ha una storia lunga e continua a camminare fino a che il Signore torni”.

Storia di grazia e di peccato
E’ una “storia di grazia, ma anche storia di peccato”:

“Quanti peccatori, quanti crimini. Anche oggi Paolo menziona il Re Davide, santo, ma prima di diventare santo è stato un grande peccatore. Un grande peccatore. La nostra storia deve assumere santi e peccatori. E la mia storia personale, di ognuno, deve assumere il nostro peccato, il proprio peccato e la grazia del Signore che è con noi, accompagnandoci nel peccato per perdonare e accompagnandoci nella grazia. Non c’è identità cristiana senza storia”.

Servire, non servirsi
Il secondo tratto dell’identità cristiano è il servizio: “Gesù lava i piedi ai discepoli invitandoci a fare come lui: servire:

“L’identità cristiana è il servizio, non l’egoismo. ‘Ma padre, tutti siamo egoisti’. Ah sì? E’ un peccato, è un’abitudine dalla quale dobbiamo staccarci. Chiedere perdono, che il Signore ci converta. Siamo chiamati al servizio. Essere cristiano non è un’apparenza o anche una condotta sociale, non è un po’ truccarsi l’anima, perché sia un po’ più bella. Essere cristiano è fare quello che ha fatto Gesù: servire”.

Il Papa esorta a porci questa domanda: “Nel mio cuore cosa faccio di più? Mi faccio servire dagli altri, mi servo degli altri, della comunità, della parrocchia, della mia famiglia, dei miei amici o servo, sono al servizio di?”.

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Si è spento il card. Canestri, arcivescovo emerito di Genova

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Si è spento ieri a Roma il cardinale Giovanni Canestri, arcivescovo emerito di Genova: aveva 96 anni. I funerali saranno presieduti sabato 2 maggio alle 8.30 nella Basilica di San Pietro dal cardinale decano Angelo Sodano. Al termine della celebrazione Papa Francesco presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio

Il cardinale Canestri aveva a suo tempo manifestato il desiderio che la sua salma riposasse nella Cattedrale di San Lorenzo. Nel pomeriggio dello stesso giorno infatti la salma sarà trasferita a Genova e, al suo arrivo sarà accolta in Cattedrale. Qui resterà esposta per la preghiera dei fedeli nei giorni di domenica 3 maggio, dalle ore 8 alle 12 e dalle 15 alle 19, e lunedì 4 maggio dalle 9 alle 12. I funerali a Genova si terranno lunedì pomeriggio 4 maggio alle ore 16, presieduti dal cardinale Angelo Bagnasco e concelebrati dai vescovi della Liguria. Dopo la celebrazione, a porte chiuse, la salma del porporato verrà tumulata in San Lorenzo presso l’altare del SS. Sacramento.

Nato a Castelspina, Diocesi di Alessandria, il 30 settembre 1918, Giovanni Canestri aveva ricevuto l'ordinazione sacerdotale il 12 aprile 1941 dalle mani di mons. Luigi Traglia nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma, dove svolse la sua azione pastorale come parroco e direttore spirituale del Pontificio Seminario Romano Maggiore. L'8 luglio 1961, Giovanni XXIII lo eleggeva vescovo titolare di Tenedo, nominandolo nel contempo ausiliare del cardinale vicario di Roma. Ricevuta l'ordinazione episcopale il 30 luglio successivo, il giovane vescovo partecipò ai lavori del Concilio Ecumenico Vaticano II, intervenendo durante le Congregazioni generali sui temi dell'ecumenismo e della libertà religiosa. Il 7 gennaio 1971 venne trasferito alla Sede episcopale residenziale di Tortona. Resse il governo pastorale della Diocesi per soli quattro anni. L'8 febbraio 1975, infatti, Paolo VI lo richiamò a Roma, promuovendolo arcivescovo titolare di Monterano ed affidandogli l'incarico di vicegerente. Il 22 marzo 1984 venne nominato da Giovanni Paolo II arcivescovo di Cagliari. Il 6 luglio 1987 assunse la guida dell'arcidiocesi di Genova-Bobbio, raccogliendo il Pastorale dalle mani del card. Siri. Creato cardinale, guidò la sede metropolitana di Genova fino all'aprile del 1995. Gli succedette il cardianle Dionigi Tettamanzi e da quell’anno si trasferì a Roma con il titolo di arcivescovo emerito dell’Arcidiocesi di Genova.

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Papa Francesco riceve il presidente delle Seychelles

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il presidente della Repubblica delle Seychelles, James Alix Michel, che poi ha incontrato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e mons. Antoine Camilleri, sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Durante i cordiali colloqui – riferisce la Sala Stampa vaticana - è stata espressa viva soddisfazione per le buone relazioni esistenti fra la Santa Sede e la Repubblica delle Seychelles. E’ stato rilevato il contributo della Chiesa cattolica al servizio della società, specialmente nell’ambito assistenziale ed educativo, e sono stati affrontati temi di comune interesse, tra i quali la dignità della persona umana e il suo sviluppo integrale, e la tutela dell'ambiente. Infine, si è avuto uno scambio di vedute sulla situazione socio-politica del Paese e della Regione”.

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Papa vara Commissione per i media vaticani guidata da mons. Viganò

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Papa Francesco, accogliendo una proposta del Consiglio di Cardinali, in data 23 aprile ha deciso di istituire una Commissione per studiare il Rapporto Finale elaborato dal Comitato incaricato di proporre una riforma dei mezzi di comunicazione vaticani, "Vatican Media Committee" (V.M.C.) e ne ha nominato i componenti.

Presidente è mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano. I membri sono: il dott. Paolo Nusiner, direttore Generale di Avvenire, Nuova Editoriale Italiana, Milano; mons. Lucio Adrian Ruiz, capo ufficio del Servizio Internet Vaticano, Direzione delle Telecomunicazioni del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; padre Antonio Spadaro, direttore de "La Civiltà Cattolica"; mons. Paul Tighe, segretario del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali.

Il Rapporto Finale sui media vaticani è stato esaminato durante l’ultima riunione del Consiglio di Cardinali svoltasi dal 13 al 15 aprile scorsi. La Commissione studierà tale Rapporto per prospettare gli opportuni percorsi di fattibilità.

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Tweet: in mezzo a tanti problemi non perdiamo la nostra speranza

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “In mezzo a tanti problemi, anche gravi, non perdiamo la nostra speranza nella infinita misericordia di Dio”.

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Il 14 maggio in Vaticano concerto per i poveri con i poveri

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La carità sulle ali della musica. Sarà questa la melodia che nell’Aula Paolo VI scandirà giovedì 14 maggio, Solennità dell’Ascensione del Signore, il concerto organizzato per sostenere le opere di Carità di Papa Francesco. L’evento, patrocinato tra gli altri dall’Elemosineria Apostolica, è stato presentato stamani nella Sala Stampa della Santa Sede. Protagonisti assoluti di questa iniziativa saranno i poveri. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

“Con i poveri per i poveri”. E’ questo lo slogan del concerto che il 14 maggio legherà musica e carità. Ma il programma musicale non sarà povero, come sottolinea padre Ciro Benedettini, vice direttore della Sala stampa della Santa Sede:

“Abbiamo, infatti, l’Orchestra Filarmonica Salernitana Giuseppe Verdi, diretta dal maestro di fama mondiale Daniel Oren; il Coro della Diocesi di Roma, diretto dal Maestro Marco Frisina, il quale è anche autore delle musiche”.

Il pentagramma della vita – ha detto mons. Diego Giovanni Ravelli, capo ufficio dell’Elemosineria apostolica - ha tra le proprie note quella bellissima della carità. Il concerto – ha aggiunto – avrà degli ospiti illustri:

“I protagonisti assoluti di questo evento sono i nostri fratelli più bisognosi. Loro sono gli ospiti illustri! A loro verrà dato il posto d’onore. E non perché vogliamo del buonismo, ma perché dobbiamo imparare a vedere che in loro c’è Gesù”.

Mons. Ravelli ha poi ricordato l’impegno quotidiano dell’Elemosineria Apostolica per i più bisognosi:

“Quello che compiamo quotidianamente ci è reso possibile dal Fondo della carità, che è a nostra disposizione. Le entrate sono costituite dalle libere donazioni che fanno i privati, alcuni gruppi, enti o raccolte organizzate, come, appunto, questa e come quella che si sta ancora facendo della lotteria del 30 giugno; sia anche con delle offerte che ci giungono direttamente dalle mani del Santo Padre. Le maggiori entrate dell’Elemosineria Apostolica sono quelle che provengono dalla facoltà, che era stata rilasciata all’Elemosiniere da Papa Leone XII, di concedere la benedizione apostolica su pergamene”.

Il concerto culminerà con un canto che coinvolgerà l’intera assemblea. Mons. Marco Frisina, direttore del Coro della Diocesi di Roma:

“Non ci saranno cantori ed ascoltatori. Voglio che tutti i 7 mila ascoltatori cantino con noi. Che cosa? Il Canto di Mosè, il Canto dei Redenti, quello che si dice nell’Apocalisse ‘canteremo in Paradiso per sempre’. Quindi facciamo le prove di canto qui. Sarà bello poterlo cantare con le famiglie, con i poveri, con gli emarginati, i sofferenti, i rifugiati, i disperati e i giovani. Cantarlo tutti insieme".

Per partecipare al concerto nell’Aula Paolo VI, dove si potrà lasciare una libera offerta, si possono prenotare i biglietti gratuiti attraverso il sito www.corodiocesidiroma.com.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Oltre i muri: nell’udienza alla Comunità di vita cristiana d'Italia Papa Francesco esorta a ricercare il bene comune.

Il cordoglio del Papa per la morte del cardinale Giovanni Canestri.

Venduti come merce: l’Asia e la piaga della tratta di esseri umani.

Un articolo di Cristian Martini Grimaldi dal titolo “Sognando California”: storie di evangelizzazione dell’America nel XIII secolo.

Anche di pane vive l’uomo: Giuseppe Caffulli sulla sana golosità del poverello d’Assisi.

Seme sacro: Gabriele Nicolò su cura della terra e amore per il creato.

Il tesoro delle comuni radici: Manuel Nin a vent’anni dalla “Orientale lumen”.

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Oggi in Primo Piano



Nepal: ragazzo estratto vivo da macerie. Aibi: esserci è dare speranza

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Dalle macerie del terremoto di sabato scorso in Nepal i soccorritori hanno estratto un altro sopravvissuto, dopo che ieri il mondo si era commosso al ritrovamento di un neonato di appena 4 mesi. Il servizio di Giada Aquilino

Cinque giorni dopo il tragico terremoto del 25 aprile, c’è ancora qualcuno vivo sotto le macerie. Un quindicenne, di nome Pemba, rimasto seppellito dal crollo di un edificio di sette piani, è stato estratto ancora in vita a Kathmandu. I soccorritori, nepalesi e statunitensi, hanno lavorato per ore per cercare di raggiungerlo. Appena estratto, è scoppiato un applauso, quindi è stato portato via in barella, con il viso coperto di polvere. Il Centro nepalese per le operazioni di emergenza ha inoltre reso noto, in un tweet, che due donne sono state estratte vive dalle macerie in un altro quartiere di Kathmandu e alla periferia della capitale. Il bilancio continua però a salire: oltre 5.500 le vittime e più di 11.000 i feriti. La polizia ha fatto sapere che almeno 19 persone sono morte per la frana verificatasi sull'Everest in seguito al sisma e altre 61 hanno perso la vita nei vicini India e Bangladesh, mentre la Cina parla di 25 morti in Tibet. Si tenta poi di sedare la protesta popolare scoppiata ieri per i ritardi nel funzionamento della macchina dei soccorsi, con 200 sfollati che solo a Kathmandu hanno affrontato gli agenti. Disordini anche in altri distretti del Paese. Secondo l’Unicef, circa 1,7 milioni di bambini ha urgente bisogno di aiuto nelle aree più colpite dal sisma. Dei più piccoli in Nepal si occupa da anni anche AiBi - Amici dei bambini, che - oltre ad attivare per l’emergenza il numero verde 800224455 - a Kathmandu collabora tra l’altro con il Centro Paani, struttura dedicata al sostegno dei minori abbandonati e in difficoltà. Lì poco fa abbiamo raggiunto telefonicamente Silvia Cappelli, cooperante di AiBi, che ci ha reso la sua testimonianza nonostante fosse stato lanciato l’allarme per nuove possibili scosse:

R. - C’è bisogno di tutto: dall’acqua che sta finendo al cibo, alle coperte, alle tende per le famiglie, perché ovviamente i bambini non sono soli ma ci sono anche le famiglie, i fratelli più grandi, i nonni… In questo momento manca tutto, perché quello che c’era è terminato e gli aiuti da fuori tardano ad arrivare.

D. - Si tratta quindi di bambini che hanno una famiglia o ci sono anche degli orfani di cui vi occupate?

R. - In questo caso particolare parliamo di centri diurni, quindi sono bambini che hanno una famiglia e si tratta di famiglie che lavorano perlopiù nell’edilizia: in questo momento, dunque, hanno perso il lavoro e non hanno introiti.

D. - L’Unicef parla di urgente bisogno di aiuto per 1 milione e 700 mila bambini, in questo momento in Nepal. Che rischi ci sono?

R. - Il rischio consiste nel fatto di non riuscire ad arrivare ad aiutarli, perché comunque non tutte le strade sono in buone condizioni e certe zone sono difficili da raggiungere. C’è il problema di non coordinarsi. E anche il rischio di epidemie, che in queste situazioni dove non c’è più acqua, non c’è igiene si sviluppano molto velocemente. C’è un riversarsi della popolazione: chi ha perso la casa si sposta alla ricerca di nuovi spazi dove proteggersi. Le problematiche sono diverse.

D. - Che tipo di epidemie?

R. - Da quelle alle vie respiratorie al colera, com’è accaduto ad Haiti. Tutti conosciamo quell’esperienza. Quindi adesso si sta cercando di evitare assolutamente che accada la stessa cosa anche qui.

D. - AiBi a Kathmandu fornisce dai beni di prima necessità all’assistenza psicologica. Quali sono le emergenze in questo momento, anche dal punto di vista psicologico?

R. -  Abbiamo la fortuna che la maggior parte dei nostri spazi non ha subito grandi devastazioni. Quindi sembrano mediamente sicuri. Così abbiamo almeno uno spazio dove possiamo accogliere, portare dei mezzi di prima necessità come acqua e cibo e dare uno spazio neutro ai bambini, dove possano giocare e non pensare continuamente al disastro. Questo anche per le famiglie, per distogliere un po’ il pensiero. In questo momento tutti sono spiazzati, non sanno che cosa succederà. È importante per noi esserci: far vedere che ci siamo, che non ce ne siamo andati è comunque una cosa positiva, perché dà speranza.

D. - Lei ha citato il terremoto di Haiti: purtroppo una delle facce di disastri come quello avvenuto in Nepal e a Haiti è anche la criminalità che in questi momenti di difficoltà si approfitta dei più piccoli. Ci sono pericoli?

R. - Sì, bisogna stare attenti. L’esercito, che si sta comunque occupando della gestione degli aiuti, sta cercando di tenere sotto controllo la situazione, però ovviamente c’è un allarme sicurezza.

D. - Nelle scorse ore è scoppiata la protesta popolare per i ritardi nei soccorsi. Gli aiuti come stanno arrivando?

R. - I primi giorni la quesitone principale era capire cosa c’era a diposizione nel Paese e come distribuirlo. Ora stanno arrivando aiuti dall’esterno. Purtroppo l’aeroporto ha una capacità molto piccola, quindi gli aiuti tardano ad arrivare.

D. - Proprio in questi minuti c’è stato un allarme per una possibile, eventuale nuova scossa. La gente cosa vi dice?

R. - La gente è preoccupata, perché comunque in questi giorni ci sono state scosse minori. La terra continua a tremare, non è finita. Le persone sono sicuramente spaventate, siamo allertati. Ci sono squadre di ingegneri che stanno andando a verificare gli spazi: cioè, oltre al lavoro di gestione dell’aiuto di prima necessità, c’è questo lavoro di valutazione di ciò che è rimasto in piedi, se effettivamente è agibile oppure no. Questo è molto importante.

D. - Cosa vi dà la forza per essere lì e continuare ad operare?

R. - La forza viene dal fatto che comunque ci stiamo aiutando tutti. Chi ha ancora una casa in piedi accoglie gli altri e tutti si stanno dando da fare; più che altro si fa quello che si può, senza intralciare il lavoro del governo. Però, nel piccolo, ci si dà una mano; questo dà speranza, perché comunque se loro stessi non si danno per vinti, perché dovremmo farlo noi?

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Onu, Ue e Usa premono per soluzione politica in Libia

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Una conferenza sulla Libia con l’obiettivo di creare un governo sotto il mandato Onu: l’iniziativa, proposta dall’Ue, trova l’appoggio degli Usa. Nel Paese nordafricano risulta sempre più evidente l’impasse politica tra il governo di Tobruk, ad Est, riconosciuto dalla comunità internazionale, e il governo di Tripoli, rappresentativo delle forze islamiste. Dopo mesi di mediazione, il piano presentato dall’inviato speciale Onu, Leon, è stato bocciato da Tripoli che non accetta che il Parlamento riconosciuto sia quello di Tobruk. Delle prospettive sul futuro della Libia, Fausta Speranza ha parlato con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento: 

R. – Non lo so se sia pensabile, visto che le parti in causa hanno, a volte, difficoltà anche a sedersi allo stesso tavolo e se lo fanno rimangono sedute per poco tempo perché non riescono a trovare un accordo. La proposta è assolutamente positiva e condivisibile e anche il fatto che il Dipartimento di Stato si sia espresso in questo senso rafforza la proposta dell’Unione Europea. Il mio scetticissimo, però, rimane sulla forza di volontà e sulla voglia di sedersi a un tavolo e trovare una soluzione da parte delle parti in causa.

D. – Voci dall’Onu parlano anche di possibili sanzioni per chi non collabora in questa fase di transizione…

R. – Sì! Questa è una ipotesi ventilata negli ultimi giorni e nelle ultime ore. Ma, per poter sanzionare qualcuno o qualcosa, devi sapere chi sanzionare. Qui le parti in causa sono varie… E poi sanzioni di che genere? Sulle armi? Fondamentalmente potrebbero essere quelle… Ma non so quanti sarebbero d’accordo nell’applicare queste sanzioni, perché se una delle parti in causa è più vicina agli islamisti e l’altra è più vicina agli occidentali, voglio vedere quale delle parti decide di non fornire armi alla parte più vicina.

D. – Ufficialmente il piano è stato rigettato da Tripoli perché non ammette che il parlamento riconosciuto sia quello di Tobruk. Ma ci sono anche altri elementi?

R. – Questo è un momento in cui le parti in causa stanno cercando di trovare il maggior spazio sul terreno, di rafforzare le proprie posizioni. Quindi è abbastanza "comprensibile" il fatto di rigettare delle proposte. Ognuno è più lealista dell’altro: quindi Tripoli dice che il governo di Tripoli è quello più riconoscibile e l’altro fa lo stesso. Naturalmente credo che sia una questione di rafforzamento sul terreno, perché ancora nessuna delle parti ha rafforzato in maniera forte e decisa la propria posizione.

D. - Intanto che dire del controllo sul territorio?

R. – Il controllo sul territorio è – anche qui – abbastanza variegato, a seconda della posizioni: ci sono degli avanzamenti e delle ritirate a seconda di attacchi e contrattacchi. La posizione islamista è quella che maggiormente preoccupa, ma quello che invece a me maggiormente preoccupa è il controllo delle coste: le coste libiche sono ovviamente il naturale punto di partenza degli immigrati, che non riescono ad arrivare sulle nostre di coste e che purtroppo muoiono in mare. Il controllo delle coste è assolutamente fondamentale e questo, in questo momento, non c'è né da una parte né dall’altra. La questione è estremamente seria! Credo che, a prescindere dalla forte emozione che suscita il fatto quando muoiono centinaia di persone e l’emozione si concentra in quei 2-3 giorni, poi, dopo, le cose – sembra – vengono trascurate. Invece la questione dell’emigrazione verso le nostre coste, la fuga dal Nord Africa e la incapacità dell’Europa di trovare una soluzione è quello che preoccupa di più!

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Siria: la solidarietà riaccende la speranza nei cristiani sfollati

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In Siria è sempre più forte l'ondata migratoria verso le città del litorale, si contano 1300 famiglie partite da Aleppo. La Caritas locale incrementa i programmi di emergenza per chi non vede più futuro nel proprio Paese. La solidarietà fa rinascere la speranza nei cristiani sfollati, che riconoscono nella propria sofferenza la mano di fazioni armate estremiste e non di musulmani, come riferisce Rosette Héchaïmé, referente della Caritas, al microfono di Claudia Minici

R. - Noi della Caritas stiamo seguendo passo dopo passo quello che sta succedendo in Siria. In questi i giorni ci preoccupa tanto la situazione nella regione di Aleppo; sappiamo che nelle ultime settimane ci sono stati dei forti combattimenti con avanzate piuttosto significative da parte delle fazioni ribelli che hanno destabilizzato la popolazione. Molta gente sta fuggendo verso le città del litorale della Siria, come Tartus, Latakia, oppure si stanno spostando da alcuni quartieri ad altri; la situazione è molto precaria. Quindi vediamo l’aumento del numero degli sfollati all’interno del Paese e il problema si sposta da un posto all’altro. Quello che ci preoccupa molto è lo scoraggiamento: è sempre più grande il numero di coloro che pensano che non ci sia un futuro nella propria patria.

D. - La Caritas come sta intervenendo?

R. - Oggi la gente sta chiedendo un posto dove andare. Oggi diventano tutti un po’ programmi di emergenza, dove i beneficiari sono forse raddoppiati e il ritmo di crescita è accelerato: in una settimana abbiamo ricevuto 150 famiglie. Per quanto riguarda il litorale stiamo cercando di valutare come fare per rinforzare l’équipe. La settimana scorsa si parlava di 1300 famiglie partite da Aleppo verso il litorale.

D. – Abbiamo esperienze di convivenza tra cristiani e musulmani?

R. - Nessuno parla di una difficoltà con i musulmani. Quella che si sta vivendo è una sofferenza provocata da fazioni armate. È questo quello che viene fuori: creano preoccupazione gli estremismi che vengono fuori nel mondo musulmano. Abbiamo vissuto l’esperienza di vivere con i musulmani, un vivere che potrebbe essere pacifico, da fratelli; invece oggi siamo presi alla gola da gente che ha dei progetti oscuri;  forse anche loro stessi sono manipolati nella loro fede ... I cristiani in Siria non parlano di musulmani: parlano di fazione armate, estremiste che fanno temere per il loro futuro.

D. - Nella tragicità della situazione, conserva la speranza?

R. - La speranza sicuramente c’è, perché vediamo che sta nascendo veramente tanta solidarietà. Quando il dolore bussa forte alle porte di qualcuno, ti crea una ferita profonda e verrebbe da chiedersi: “Ma Dio dov’è?”. Però, appena si affaccia la solidarietà che riempie l’anima di queste persone, quello che si sente sulle loro bocche è la riconoscenza a Dio che non li abbandona. Quindi la speranza può veramente fiorire. Loro sono lì, sono un’offerta, sono un sacrificio, sono un’umanità che piange.

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Sant'Egidio: dialogo e unità salveranno cristiani del Medio Oriente

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La sofferenza delle comunità cristiane in Medio Oriente è raccontata in queste ore dai testimoni diretti, i leader religiosi cattolici e ortodossi siriani e iracheni, presenti a Bari al Summit organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio sul futuro dei cristiani in quell’area del mondo. Il servizio di Francesca Sabatinelli

In Medio Oriente è in atto il martirio dei cristiani che continuano a vivere senza rinunciare alla loro fede e alla loro identità. E’ il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, a dire con fermezza che “l’eliminazione dei cristiani rappresenterà un suicidio per il pluralismo perché i cristiani hanno sempre dato un contributo importante allo sviluppo delle società arabe". "Un Medio Oriente senza o con pochi cristiani non è più il Medio Oriente", è l’analogo timore espresso da mons. Paul Richard Gallagher, segretario per le relazioni con gli Stati della Santa Sede, che manifesta apertamente la preoccupazione del Vaticano per ciò che avviene in quell’area. “Negli ultimi mesi – sottolinea mons. Gallagher – siamo stati testimoni di atrocità inaudite in varie parti  del Medio Oriente, anche contro i non cristiani”. In quell’area è in atto una “drammatica  pulizia etnica di intere regioni, che sembra rappresentare la fine di una storia”, prosegue Riccardi che ipotizza: forse una realtà così pacifica come quella cristiana è "Dialogo-intollerabile per chi vuole il totalitarismo islamico”. Per il ministro degli esteri italiano, Paolo Gentiloni, da anni ormai “l’Europa è malata di egoismo e indifferenza”. Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio, organizzatore dell’evento a Bari:

R. – Noi di Sant’Egidio seguiamo da tanti anni tutte le terre mediorientali, nel senso di legame di amicizia, di incontro, di dialogo, di cooperazione, ovviamente soprattutto con i cristiani, ma anche con i musulmani. Nonostante questo, però, mi sorprende molto quello che emerge oggi in senso drammatico, ma anche positivo. Racconti di episodi di grande sofferenza su anziani, bambini, donne, comunità intere, villaggi ormai vuoti di cristiani, immagini veramente drammatiche si intrecciano continuamente a toni di grande speranza e di grande futuro, come a dire: il tempo dei martiri è anche il tempo di una nuova vocazione dei cristiani in Medio Oriente e nel mondo dal Medio Oriente. Questo tono, che poi è anche l’intuizione di Papa Francesco, i discorsi, i temi di Papa Francesco, come la bellissima lettera mandata ai Patriarchi mediorientali nella prossimità del Natale, sta emergendo come una nuova vocazione nell’oggi. Questo è un fatto estremamente importante e prezioso.

D. – A Bari ci sono, tutti assieme, uno accanto all’altro, Patriarchi, responsabili delle Chiese cattoliche ortodosse del Medio Oriente. E’ la prima vera volta in cui sono tutti riuniti assieme. Che voce viene da loro?

R. – Sì, è interessantissimo questo, perché effettivamente è la prima volta che sono tutti insieme. Erano stati insieme i cattolici da un lato, o gli ortodossi dall’altro, ma è la prima volta che sono tutti insieme. Non si tratta più di cattolici e ortodossi, si tratta di comunità cristiane del Medio Oriente. E questo loro lo sentono con grande orgoglio e con grande senso di unità. E’ emersa la parola “unità” e si è denunciato in maniera estremamente chiara che la guerra non ha mai risolto nulla, che l’opposizione non ha mai risolto nulla e, qui è l’interessante, anche l’opposizione nei confronti dell’islam non risolve. O il futuro si costruisce insieme o non c’è futuro, per tutte le comunità religiose, non solo cristiane, in Medio Oriente. E’ un fatto, direi, molto grande. Sono nati degli appelli e delle domande rivolte per lo più alla Comunità di Sant’Egidio, perché questa unità venga sempre più consolidata nei prossimi mesi e porti a denunce chiare. Questo appello noi lo accogliamo con grande entusiasmo, ma anche con molta attenzione. Hanno chiesto a Sant’Egidio di aiutare quest’unità, che significa solidarietà, visite reciproche dei Patriarchi in un Paese o nell’altro, in una comunità o nell’altra, incontri in Europa per sensibilizzare su questi temi, eventuali futuri appelli, ma significa anche collaborazione fattiva, in senso di una vocazione comune, per continuare a vivere in Medio Oriente e a diffondere questo messaggio di pace. Quindi mi sembra un fatto molto rilevante.

D. – Non si può prescindere chiaramente dall’importanza del ruolo dell’islam e del rapporto con l’islam. In questi mesi si è sempre ripetuto come la maggior parte delle vittime della violenza fondamentalista siano i musulmani stessi. Però il rapporto con l’islam, in generale, è ormai messo a dura prova…

R. – Sì, è messo a dura prova, però anche qui sono emerse diverse proposte, lo diceva padre Pizzaballa, il custode di Terra Santa, ma altri si sono uniti, di un dialogo concreto con le comunità islamiche, che vogliono la coesistenza, la coabitazione in Medio Oriente. Si è detto con chiarezza che la presenza dei cristiani è importante anche per l’islam, per garantire il pluralismo vero, per garantire una dissociazione forte delle comunità islamiche dall’estremismo, dal terrorismo, da queste lotte armate degli ultimi tempi.

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Expo, tensione alla vigilia. Scola: non speculare su beni primari

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Tensione a Milano, alla vigilia dell’apertura dell’Expo. Alcuni black-block sono entrati in azione imbrattando di vernice vetrine e banche. La polizia li ha poi dispersi. L’Expo si svolge sul tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Alle 12 circa, Papa Francesco si collegherà in diretta dal Vaticano per dare il suo messaggio. Sull’importanza di questo evento, anche perché non diventi una semplice fiera, ascoltiamo il cardinale arcivescovo di Milano Angelo Scola, al microfono di Luca Collodi: 

R. – Io credo che ci sono anche molti segni che fanno pensare che si vada ben oltre la fiera di alimenti o di tecniche agroalimentari, ma si cerchi invece di dare delle risposte ai grandi contenuti che sono sottesi ad un tema che indiscutibilmente è molto attuale ed è anche molto significativo. In particolare per noi cristiani è molto importante, perché noi siamo figli di un Dio incarnato e tutto ciò che è umano ci interessa. In questo caso poi il discorso sul cibo, oltre a darci la possibilità di esplicitare la tragedia della fame, che continua veramente a ferire quasi un miliardo di persone, ci consente anche di introdurre la grande indicazione evangelica che non di solo pane vive l’uomo. Quindi condividere in una solidarietà veramente comunitaria, come ci richiama Papa Francesco da una parte e dall’altra parte porsi la domanda del cibo spirituale e cioè del senso del vivere. Questo è lo sforzo che come Chiesa faremo in Expo. A me pare che esistano, però, anche altre realtà molto sensibili e molto disponibili a discutere con noi di questi e di altri temi analoghi, in modo tale che il tutto non si riduca ad una fiera.

D. - Quindi la presenza della Chiesa è una sorta di coscienza per riportare l’Expo all’essenzialità del tema…

R. - Possiamo dire così, senza presunzione no? E’ una modalità modesta, perché - a differenza di altre realtà - dall’inizio abbiamo scelto di fare investimenti modesti, però c’è una grande mobilitazione del mondo cattolico e non soltanto a Milano, ma in Lombardia, attraverso il volontariato e soprattutto attraverso le centinaia e centinaia di iniziative che spontaneamente sono nate nelle nostre diocesi proprio sui contenuti del nutrire il Pianeta. E ci sono anche tanti mezzi di comunicazione, anche i nuovi media, che si stanno occupando quotidianamente del problema.

D. – L’Expo lascerà alla nostra riflessione la cosiddetta “Carta di Milano”, il documento sul diritto al cibo e all’acqua. Nelle ultime ore sembra che da questo documento manchi, però, qualsiasi accenno al problema della speculazione finanziaria sui beni alimentari e sull’accaparramento delle terre che avviene soprattutto in Africa da parte di governi e aziende multinazionali…

R. – Una cosa è decisiva: parlare di diritto al cibo con i connessi doveri e con la necessità che diritti e doveri siano poi tradotti in legge adeguate, a me sembra un passo importante, soprattutto se – quando la Carta verrà data a Ban Ki-moon – potrà diventare un punto di riferimento e di dibattito a livello mondiale attraverso l’Onu. Io credo che, però, il tema da lei sollevato e soprattutto il tema della finanza e del tentativo di finanziarizzare anche i beni primari di consumo debba essere chiaramente condannato. Quando alla questione dell’accaparramento delle terre, bisogna operare delle differenze tra ciò che sta succedendo, per esempio in Africa e ciò che sta avvenendo poniamo a Milano, dove persino il Milan sta per essere comprato da un thailandese o da un cinese… Bisogna distinguere tra una finanza equilibrata e globalizzata e la capacità dei nostri organismi istituzionali di controllare la modalità con cui questo intervento finanziario esercita: deve esercitarsi nel rispetto profondo, nella tradizione dello stile del mondo dei lavoratori, i quali debbono poter progredire a partire da questi investimenti e non regredire! Il 1° maggio – per esempio – la partecipazione degli utili di impresa dei lavoratori potrebbe essere un tema da rilanciare…

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Sale la disoccupazione. Cisl: servono politiche forti e investimenti

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In Italia, il tasso di disoccupazione torna a salire a marzo: cresce di 0,2 punti percentuali, da febbraio, al 13%. Lo comunica l’Istat nei dati provvisori, precisando che si tratta del livello più alto dal novembre scorso. Ancora una volta a pagare l’assenza di lavoro sono i giovani. Per il ministro del Lavoro Poletti a questi elementi negativi se ne accompagnano altri, poistivi, registrati nei mesi scorsi. Il servizio di Alessandro Guarasci: 

Il mercato del lavoro non riparte. La risalita della disoccupazione arriva dopo i cali registrati a dicembre e a gennaio e la lieve crescita a febbraio. A marzo ci sono stati 59 mila occupati in meno. A livello nazionale la disoccupazione raggiunge il 13%, e il confronto è impietoso con la Germania, dove il tasso è fermo al 6.4%, nell’Eurozona all’11.3%. Interviene la Banca Centrale Europea che dice come il miglioramento del clima di fiducia dei consumatori ha coinciso con un calo del tasso di disoccupazione", ma è chiaro che si referiva ai dati noti fino a metà. In Italia soffrono soprattutto i giovani, tra loro i senza lavoro sono il 43%, un dato in aumento di 0.2% rispetto a febbraio. Il ministro dell’Economia Padoan afferma che bisogna fare presto nell’agganciare la ripresa. Per l’Istat è ancora presto per vedere gli effetti del "Jobs Act", entrato in vigore il 6 marzo. D’accordo la Cisl, che però chiede nuove politiche industriali. Gigi Petteni, segretario confederale Cisl:

R. – Gli interventi del "Jobs Act", in questa prima fase, dal nostro osservatorio, aiutano a migliorare alcune condizioni di lavoro: ci sono delle trasformazioni di contratto; alcuni contratti che erano più precari vanno in una forma più stabilizzata. Ma è evidente che per riassorbire quei posti di lavoro che la crisi ha mangiato abbiamo bisogno di politiche forti, di attrattività di investimenti, probabilmente di intervenire sulla vocazione forte di questo Paese, che è ancora una vocazione manifatturiera e industriale, integrandola con nuove opportunità: dai servizi al turismo e ad altro…

D. – Mancano, dunque, politiche industriali? Perché continuiamo a vedere vertenze come quelle della Whirpool, di aziende cioè che investono in Italia e poi se ne vanno…

R. – Un appello anche alle imprese a mettersi in gioco un po’ di più. Adesso con l’euro, con il petrolio e anche con questi incentivi, io credo che anche il mondo delle imprese dovrebbe darsi un pochettino una scossa e fare anche qualche sforzo in più. Tante volte abbiamo salvato situazioni, mettendo a disposizioni flessibilità, orari, contratti di solidarietà, però non ce la possiamo fare da soli, solo la buone volontà dei lavoratori! Occorrono scelte più forti e più strutturate e occorre soprattutto incominciare ad anticipare alcune di queste situazioni e non trovarsi sempre a gestire solo tante e troppe emergenze.

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Chiesa e intelligence unite per la sicurezza e la pace nel mondo

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“Shomèr, sicurezza internazionale e costruzione della pace”. Questo il tema dell’incontro che si è svolto ieri alla Pontificia Università Lateranense, che prende spunto da una citazione del profeta Isaia sul ruolo della sentinella di avvertire e sorvegliare il mondo. A confronto l’impegno di Chiesa e intelligence nella creazione di un pianeta più sicuro e senza guerre. Il servizio di Michele Raviart: 

La Chiesa per sua stessa vocazione e per la sua capillarità contribuisce alla salvaguardia della pace e alla sicurezza del mondo. Un mondo destabilizzato da sfide asimmetriche, come quella del terrorismo, che può essere salvato solo dal dialogo tra le religioni e dalla misericordia. Due punti chiave del magistero di Papa Francesco, tanto che, come spiega mons. Enrico Dal Covolo, rettore della Pontificia Università Lateranense, si può parlare quasi di un “pontificato geopolitico della misericordia”:

"Questa prospettiva della misericordia non rimane minimamente rinchiusa dentro un puro ambiente intra-ecclesiale, ma interessa tutte le nazioni, tutte le culture. Tra l’altro, basta fare riferimento al numero 23 della 'Misericordiae Vultus', per vedere quanto sia importante ciò che il Papa dice riguarda alla necessità e all’urgenza del dialogo tra la religione cristiana, la religione ebraica e la religione musulmana che praticamente sono quelle che coprono la geopolitica del mondo".

Il mondo dell’intelligence e la Chiesa, spiega l’ambasciatore italiano Giampiero Massolo, direttore del Dis - Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza - condividono la visione della sicurezza come bene primario e la centralità dell’uomo. L’idea è quella di una sicurezza partecipata, in cui i cittadini abbiano una piena consapevolezza del tipo di attività svolto dall’intelligence, per sfatare falsi miti sul mondo degli ”007” e sentirsi tutelati dalla legge anche quando sono in atto operazioni che per loro natura devono rimanere “segrete”. Nel nome della trasparenza la scuola di formazione del DIS ha avviato una serie di collaborazioni con le università italiane e, per la prima volta, con l”Università del Papa”. Dott. Paolo Scotto di Castelbianco, responsabile della Comunicazione Istituzionale del DIS:

"È un progetto culturale-scientifico. La nostra scuola di formazione ha rapporti e interloquisce con le migliori realtà culturali del nostro Paese. Trascurare la realtà importantissima e vitale degli studenti qui della Lateranense e l’immenso 'know how' del corpo docente sarebbe stato miope. Ci confrontiamo su temi che ci avvicinano con qualcosa di molto simile, anche se può sembrare un paradosso. Entrambi i mondi hanno un sentimento etico molto forte: sono due servizi diversi ma con un grande punto di passaggio comune".

L’ostensione della Sindone e l’imminente Giubileo vedranno lavorare insieme gli apparati di sicurezza italiani e della Santa Sede. Domenico Giani, direttore del Corpo della Gendarmeria vaticana:

"La nostra è sostanzialmente una collaborazione per analizzare eventuali fenomeni e poi lavorare insieme. La preparazione è quello che è il quotidiano, quindi vedremo i numeri, le cerimonie che ci saranno, ma sostanzialmente credo che non cambierà di molto rispetto a quello che facciamo quotidianamente per assicurare l’arrivo di tutti questi fedeli, pellegrini, turisti che ogni giorno arrivano alla sede di Pietro".

A margine della conferenza, e proprio in vista del Giubileo, mons. Dal Covolo ha poi annunciato un incontro con gli esponenti musulmani dell’università iraniana di Qom. A dicembre nella Pontificia Università Lateranense si svolgerà una tavola rotonda sulla teologia della misericordia nel cristianesimo e nell’islam.

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Nella Chiesa e nel mondo



Siria. Mons. Hindo: stallo per liberazione ostaggi assiri

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“Stiamo passando uno momento tremendo. Per due giorni quelli del Daesh (acronimo arabo usato per indicare i jihadisti del sedicente Stato Islamico) hanno attaccato Hassakè da tre parti. Sono stati respinti dall'esercito e dalle milizie curde. Ma rimaniamo tagliati fuori, come un'isola circondata dai jihadisti da tutte le parti”. Così l'arcivescovo siro cattolico Jacques Behnan Hindo, a capo dell'arcieparchia di Hassakè-Nisibi, descrive la condizione drammatica vissuta dalla popolazione della città più importante della provincia siriana nord-orientale di Jazira. 

Sarebbero ancora tenuti in ostaggio a al-Shaddadi i 232 cristiani assiri
“Questa notte” riferisce mons. Hindo all'agenzia Fides “abbiamo saputo che l'esercito ha bombardato la città di al-Shaddadi, roccaforte del Daesh a 60 chilometri da Hassakè. Ci dicono che i muezzin dalle moschee chiedevano alla gente di andare a donare il sangue per salvare i tanti feriti. E secondo le informazioni che abbiamo, è quasi certo che siano tenuti ancora a al-Shaddadi anche i 232 cristiani assiri che i jihadisti hanno preso in ostaggio quando hanno attaccato i villaggi della valle del fiume Khabour”.

Per il riscatto l'Is chiede 23 milioni di dollari
Proprio sulla sorte dei 232 ostaggi assiri – tra i quali ci sono 51 bambini e 84 donne – mancano da tempo notizie certe e gli iniziali contatti tentati per favorire la loro liberazione non hanno finora avuto esito. Dall'Australia, il metropolita assiro Mar Mellis Zaia in un'intervista radiofonica ha dichiarato che i jihadisti del sedicente Stato Islamico (Is) avrebbero chiesto 23 milioni di dollari (100mila dollari a persona) per liberare i cristiani prigionieri. Davanti alle risposte di chi dichiarava l'impossibilità di raccogliere tale cifra esorbitante di denaro, le trattative si sarebbero interrotte.  A tale riguardo, l'arcivescovo Hindo concorda sulla assurdità della richiesta di riscatto, ma avanza anche dubbi sull'attendibilità dei canali finora utilizzati nella trattativa. 

Sciacalli si presentano come intermediari per la liberazione degli ostaggi
​“Quelli del Daesh” dichiara a Fides l'arcivescovo siro-cattolico “di solito chiedono quello che sanno di poter ottenere. In questo caso, l'obiettivo di ottenere 100mila dollari per ogni ostaggio sarebbe del tutto irraggiungibile, e loro lo sanno. Non dimentichiamo che ogni giorno abbiamo a che fare con persone che vengono da noi e si presentano come intermediari, e chiedono soldi. C'è gente che approfitta delle sofferenze dei cristiani per fare soldi. E questo non accade solo qui. Adesso stiamo pensando a un nuovo tentativo per riaprire su nuove basi la trattativa. Ma siamo solo all'inizio”. (G.V.)

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Bartolomeo I: lotta globale al fondamentalismo

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“La scomparsa dei cristiani d’Oriente è una tragedia umana. È una questione di portata storica e di civiltà allo stesso tempo. La minaccia della loro scomparsa è globale, reciderebbe anzitutto le radici spirituali necessarie per l’ispirazione di un’epoca attraversata da profondi cambiamenti”. È un passaggio della lettera che il patriarca ecumenico, Bartolomeo I, ha inviato ai partecipanti all’incontro internazionale “Cristiani in Medio Oriente: quale futuro?”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e che si è aperto ieri a Bari. Nel testo, letto nella Veglia per la pace celebrata nella basilica di san Nicola, il patriarca di Costantinopoli - riferisce l'agenzia Sir - ha ricordato che “i cristiani d’Oriente sono soprattutto gli eredi del cristianesimo originario forgiato nel paesaggio del Mediterraneo orientale che hanno saputo, con le loro tradizioni spirituali, linguistiche, culturali, plasmare ciò che il cristianesimo mondiale e contemporaneo è diventato”. 

La coesistenza delle comunità cristiane d'Oriente con il mondo musulmano
La memoria di cui sono portatrici queste comunità cristiane, “porta le tracce di una coesistenza con il mondo musulmano che non è più accettabile agli occhi dei fondamentalisti”. Il futuro dei cristiani d’Oriente, per Bartolomeo, “risiede nel salvaguardare la loro azione di mediazione nei confronti del radicalismo di alcuni musulmani che li considerano come cavalli di Troia dell’Occidente. Ciò equivale a misconoscere la vita dei cristiani orientali e il loro profondo senso di libertà e la loro capacità di resilienza”. 

La crisi che attraversa il Medio Oriente può servire come un kairos ecumenico
Una soluzione politica per il futuro dei cristiani d’Oriente, ha aggiunto Bartolomeo I, può “positivamente” avvalersi dell’”ecumenismo del sangue” e delle “sofferenze redentrici che costituiscono una nuova realtà nella nostra ricerca dell’unità dei cristiani. La crisi che attraversa il Medio Oriente - ha sottolineato il patriarca - può servire come un kairos ecumenico. Perché nel sangue e nelle lacrime si costruisce la consapevolezza di un destino comune atto ad alleviare le sofferenze della separazione”. 

Una lotta globale contro il fondamentalismo assicurerà la presenza cristiana
Chiudendo il suo messaggio il patriarca ha esortato la comunità internazionale “ad agire in conformità al diritto internazionale perché i cristiani d’Oriente non diventino solo un capitolo nei manuali di storia che racconta della loro inesorabile scomparsa. I cristiani d’Oriente sono le ‘pietre vive’ di una regione che ha forgiato la sua storia nel pluralismo degli scambi e dei contatti commerciali, ma anche intellettuali e soprattutto spirituali. Oggi, il fondamentalismo si erge contro questa lettura multisecolare. Una lotta globale contro il fondamentalismo - è stata la conclusione - assicurerà la loro presenza permanente in questa regione del mondo in cui è stato coniato il nome cristiano”. (R.P.)

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Usa. Arcivescovo di Baltimora: la verità guarirà le ferite

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Solo la verità guarirà le ferite che hanno portato ai gravi disordini esplosi a Baltimora dopo la morte del giovane di colore Freddie Gray lo scorso 19 aprile. Lo ha detto l’arcivescovo di Baltimora mons. William E. Lori. Il fatto avvenuto in circostanze non ancora chiarite - riferisce l'agenzia Fides - quando il ragazzo era sotto custodia della polizia. 

Il fatto riguarda la dignità umana di ogni cittadino
In una dichiarazione di due giorni fa, l'arcivescovo ha detto che le ferite possono essere guarite solo con la "verità su ciò che è accaduto a Freddie, con la verità sul peccato del razzismo che è ancora presente nella nostra comunità e con la verità sulla nostra responsabilità di affrontare questi problemi che riguardano la dignità umana di ogni cittadino".

Manifestare ma senza violenza
Nella sua dichiarazione, l'arcivescovo ha anche detto "mentre aspettiamo la verità, chiedo ai fedeli dell'arcidiocesi di Baltimora e a tutte le persone di buona volontà ad unirsi a me nel pregare per la famiglia Gray e tutte le famiglie devastate e colpite dalla morte di un figlio di Dio". Mons. Lori, ha infine chiesto ai manifestanti di fare sentire la loro voce liberamente e apertamente, ma senza violenza “perché questa fa solo ritardare la giustizia". (C.E.)

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Presidente vescovi Usa: matrimonio solo unione fra uomo e donna

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“Il matrimonio è e può essere solo l’unione di un uomo e una donna”. In previsione di un importante pronunciamento della Corte Suprema, il presidente della Conferenza episcopale statunitense mons. Joseph Edward Kurtz, è tornato a sottolineare quella che definisce una “bellissima verità” (a beautiful truth) sul matrimonio, un’”istituzione perenne con radici profonde nella nostra identità, cultura e leggi”.  

37 gli Stati che riconoscono le cosiddette “nozze gay”
Dalla mattina di martedì, i giudici supremi hanno cominciato le audizioni riguardanti la costituzionalità delle leggi con cui alcuni Stati vietano i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Si tratta dell’Ohio, del Michigan, del Kentucky e del Tennessee il cui divieto è stato confermato dalla Corte d’appello del 6° Circuito di Cincinnati.  Altri 37 Stati hanno invece riconosciuto i matrimoni omosessuali,  in molti casi per decisione dei tribunali federali alla luce di una sentenza della Corte Suprema del 2013 che ha abolito il divieto federale a tale riconoscimento .

Il diritto dei bambini ad essere amati da un  padre e da una madre
In una dichiarazione diffusa sul sito dell’episcopato statunitense, mons. Kurtz sottolinea anche che la verità cattolica sul matrimonio è “inseparabile” dal “dovere” di onorare la dignità che Dio ha donato a ogni creatura umana. E riferendosi direttamente all’atteso pronunciamento della Corte Suprema, afferma di pregare perché i giudici “sostengano la responsabilità degli Stati nel proteggere la bella verità del matrimonio”. Una verità - aggiunge - che riguarda “il benessere essenziale della nazione”, e in particolare dei minori. In questo senso, ribadisce come sia “diritto fondamentale” dei bambini, “di conoscere e di essere amati dal loro padre e madre insieme”. La Chiesa, conclude , “difenderà sempre questo diritto”, rivolgendosi soprattutto alle persone di buona volontà per “continuare questa discussione con carità e civiltà”. (L.Z.)

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Francia: appello leader religiosi contro escalation intolleranza

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Un appello ad essere “tutti guardiani dei nostri fratelli”. A lanciarlo sul sito del settimanale “Pèlerin” sono il presidente della Conferenza episcopale francese, mons. Georges Pontier, il Grande rabbino di Francia Haïm Korsia, e il rettore della Grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, mentre nel Paese cresce l’allerta terrorismo dopo l’attentato sventato dai servizi segreti contro due chiese nella regione parigina.

Cedere alla paura significa fare il gioco di chi vuole dividere
Sinagoghe, moschee e chiese attaccate, cimiteri profanati, credenti minacciati e anche uccisi: di fronte a questa escalation di violenze anti-semite, antimusulmane e anticristiane, i tre leader religiosi francesi rifiutano “di cedere alla paura” e affermano che “significherebbe fare il gioco di chi cerca di metterci gli uni contro gli altri e di dividerci”. “I nostri luoghi di culto - continua l’appello che si può sottoscrivere su internet - sono luoghi di fede, di pace e di fratellanza. Questa diversità spirituale è una ricchezza per il nostro Paese ed abbiamo la responsabilità collettiva di preservarla”. Di qui l’invito rivolto a tutti i credenti musulmani, ebrei e cristiani di Francia “alla solidarietà nazionale e ad essere oggi più che mai guardiani dei nostri fratelli”. 

Mons. Lalanne: i cristiani non sono gli unici minacciati
L’appello dei leader religiosi segue quello di mons. Stanislas Lalanne, membro del Consiglio permanente della Conferenza dei vescovi francesi, dopo le notizie sul fallito attentato dei giorni scorsi. Il presule aveva, tra l’altro, ricordato che i cristiani non sono gli unici ad essere minacciati, sottolineando come parlare di terrorismo di matrice islamica è inaccettabile, in quanto si tratta di estremisti che strumentalizzano Dio al quale non si possono attribuire atti di violenza e di morte. (A cura di Lisa Zengarini)

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Egitto: ergastolo a 69 islamisti per incendio chiesa di Kerdasa

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Un tribunale egiziano ha condannato 69 islamisti all’ergastolo per aver incendiato la chiesa copta della vergine Maria a Kerdasa nel 2013. Due minorenni sono stati condannati a 10 anni di carcere per lo stesso crimine. Per il portavoce della Chiesa cattolica in Egitto, padre Rafic Greiche, “è la prima volta che si commina una sentenza” per aver distrutto un edificio cristiano e un segno che “i cristiani non sono cittadini di seconda classe” in una società al 90% musulmana.

Nel 2013 assaltate 60 chiese e istituzioni cristiane
L’incendio della chiesa di Kerdasa, nei sobborghi del Cairo, a poca distanza dalle piramidi - riferisce l'agenzia AsiaNews - è avvenuto la notte fra il 14 e il 15 di agosto 2013. L'area è molto popolosa e molto povera, con innumerevoli gruppi di islamisti. Le violenze a Kerdasa e in tutto l’Egitto erano scoppiate dopo la deposizione del presidente Mohamed Morsi (il 3 luglio) e dei raduni dei Fratelli musulmani a Nahda Square e Rabaa el-Adaweya (il 14 agosto). Circa 60 chiese, istituzioni cristiane, case e negozi di cristiani sono stati presi d’assalto; 13 poliziotti sono stati uccisi, insieme a decine di islamisti.

La condanna è avvenuta solo per aver bruciato una chiesa
Il giudice Mohammed Nagi Shehata, che ha pronunciato la sentenza, nel febbraio scorso ha condannato a morte 183 islamisti per aver ucciso 13 poliziotti a Kerdasa. “Questa – commenta padre Greiche - è la prima volta che si commina una sentenza solo per l’incendio di una chiesa. Altre volte sono avvenute condanne per chiese bruciate, ma insieme ad altri crimini. Questa volta la condanna è avvenuta solo per aver bruciato una chiesa”.

I cristiani in Egitto non sono cittadini di seconda classe
“Tale verdetto – aggiunge – è importante perché fa vedere che i cristiani non sono cittadini di seconda classe e che le chiese non sono edifici di seconda classe, ma hanno la dignità di tutti gli altri edifici sacri; che la Chiesa è un’istituzione da rispettare come tutte le altre. E’ anche un segno dell’indipendenza della magistratura, della libertà dei giudici di fronte all’opinione pubblica, un segno che non sono politicizzati”.

Nessun risalto sui media egiziani
I media egiziani non sembrano dare molta importanza al verdetto: la notizia è riportata nelle pagine di cronaca locale e in breve e i talk show televisivi non hanno per nulla accennato al fatto. “In questi giorni i media – spiega padre Greiche - sono interessati alla visita del Presidente al-Sisi a Cipro e in Spagna. Un altro motivo è che la gente vuole dimenticare le terribili violenze e quei giorni di terrore”. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 120

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.