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Sommario del 27/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: difendere "patrimonio fragile" del dialogo con l'islam

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Il cristianesimo non sia un fatto compreso da pochi e tutte le opere della Chiesa lottino contro la “cultura dello scarto” e rendano evidente la “tenerezza e la misericordia” di Gesù per i più deboli. Sono alcune delle indicazioni pastorali che il Papa ha dato ai vescovi del Benin, ricevuti in visita “ad Limina”. Francesco ha chiesto ai presuli africani grande impegno in difesa della famiglia, in vista del Sinodo di ottobre, e sostegno al dialogo con l’islam. Il servizio di Alessandro De Carolis

“Grande entusiasmo”, animazione, devozione popolare. Nelle diocesi del Benin sono espressioni facilmente riscontrabili da parte della comunità ecclesiale. E tuttavia, scavando sotto la superficie, la partecipazione mostra talvolta una fede “superficiale”, che manca di “forza”.

Una fede forte resiste al secolarismo
A raccontarlo al Papa sono gli stessi presuli del Benin e Francesco parte da questo rilievo per ribadire “che il desiderio di una profonda conoscenza del mistero cristiano non resti appannaggio di una élite, ma animi tutti i fedeli”, perché “solo una fede profondamente radicata nel cuore dei fedeli e concretamente vissuta” permetterà di “fare fronte” – meglio di “sconfiggere” i venti della secolarizzazione “che si levano in tutto il mondo” e che, osserva con realismo, spirano “anche nel vostro Paese” anche se in modo “non ancora visibile”.

Attenti alle famiglie
Tenendo conto di questo nuovo orizzonte, quello di un Paese che sta cambiando pelle, Francesco si sofferma sulle questioni pastorali più importanti di ogni visita “ad Limina”. Primo punto, le famiglie, che il Papa esorta a sostenere con “determinazione” nella loro vita quotidiana, pur riconoscendo con franchezza che “la pastorale matrimoniale è difficile, tenuto conto della situazione concreta, sociale e culturale del vostro popolo”. Voi, dice ai vescovi del Benin, “non scoraggiatevi ma perseverate costantemente perché la famiglia, così come la difende la Chiesa cattolica” è “un dono di Dio che porta alle persone e alla società gioia, pace, stabilità, felicità”. Alla famiglia Francesco associa poi il lavoro in favore dei giovani beninesi e della loro istruzione: che essa – chiede – sia “integrale”, cioè “umana e spirituale”, e insegni la solidarietà e la giustizia.

Dialogo, "scarto", tenerezza
In tema di dialogo con l’islam, Francesco definisce il Benin “un esempio di armonia tra le religioni sul suo territorio” e chiede di “preservare” il “patrimonio fragile” di questo rapporto, rispetto al “clima globale” che si respira nel mondo. E la stessa armonia, afferma, sia riflessa nelle opere della Chiesa che si occupano di promozione umana. Andate “controcorrente”, incita i presuli, “lottando contro la cultura dello ‘scarto’” e “diffondendo i valori evangelici dell’accoglienza e dell’incontro”, badando a che sia identificabile la “specificità” di ogni iniziativa ecclesiale. “Non si tratta mai – ribadisce il Papa – di una semplice assistenza sociale, ma della manifestazione della tenerezza e della misericordia di Gesù stesso, che si china sulle ferite e sulle debolezze dei suoi fratelli. Così la gioia del Vangelo viene annunciata in modo più efficace agli uomini”.

Evitare i giochi politici
Ai religiosi del Benin, va l’invito di Francesco a “vivere intensamente l'Anno della Vita Consacrata”, mentre in tema di vocazioni – che nel Paese africano sono numerose – il Papa ha suggerito di condividerle “con generosità” con gli altri Paesi “che mancano di chiese”. L’ultima indicazione diretta è per il rapporto da mantenere con le autorità istituzionali: “Non entrate direttamente nel gioco politico o nelle querelle dei partiti” perché questo, asserisce il Papa,  è un aspetto che attiene ai laici. Voi, conclude, “formateli e incoraggiateli senza fermarvi”.

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Francesco riceve la Regina di Svezia. Visita alla Biblioteca Vaticana

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Papa Francesco ha ricevuto oggi, nella Biblioteca privata del Palazzo apostolico, la Regina Silvia di Svezia, in visita privata con alcuni familiari. La Regina partecipa nel pomeriggio, presso la sede della Pontificia Accademia delle Scienze, a un Workshop organizzato dall’Ambasciata di Svezia presso la Santa Sede e dall’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali sul tema della lotta contro il traffico umano, con particolare attenzione ai bambini. Al termine della sua visita, si reca presso la Biblioteca Apostolica Vaticana per la inaugurazione del “distribution desk” realizzato con il contributo della Fondazione Re Gustavo VI Adolfo.

La conversazione con il Papa – riferisce il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi - si è svolta principalmente in spagnolo, lingua ben conosciuta dalla Regina. La Regina ha informato il Papa delle attività da lei promosse in Svezia in particolare in favore dei bambini. Il Papa ha colto l’occasione per esprimere gratitudine per l’accoglienza offerta dalla Svezia ai rifugiati e profughi. Fra i doni della Regina Silvia al Papa sono da segnalare tre piccoli libri di preghiere in svedese, adatti anche per i bambini, nati dalla circostanza che la Regina ha avuto particolarmente a cuore l’educazione religiosa dei suoi figli, circostanza per cui il Papa ha manifestato il suo vivo apprezzamento. Erano presenti anche la Principessa Madeleine, con il marito e la piccola figlia di un anno, Leonore, e il Papa si è intrattenuto in modo particolarmente affettuoso con questa giovane famiglia. 

Nel pomeriggio, dunque, la Regina viene ricevuta nel Salone Sistino in occasione della sua visita presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Sui motivi di questa visita particolare, Fabio Colagrande ha sentito il prefetto della Biblioteca Apostolica, mons. Cesare Pasini

R. – Inauguriamo un banco di distribuzione dei volumi nel Salone Sistino che, in futuro, diventerà sala di consultazione. Questo banco di distribuzione è stato offerto dalla Fondazione del Re di Svezia: ecco perché la Regina viene a inaugurarlo.

D. – La storia delle relazioni e collaborazioni tra la Biblioteca Apostolica e il mondo svedese è molto lunga: quando inizia?

R. – Inizia negli ultimi decenni con alcune iniziative, con alcuni aiuti, alcuni sostegni veramente belli. Se vogliamo andare più indietro, però, comincia nel XVII secolo, quando la Regina Cristina viene a Roma, poi ci lascia la sua biblioteca che entra a far parte della Biblioteca Vaticana. Quindi possiamo pensare che questa collaborazione abbia preso avvio già allora.

D. – Fu un’acquisizione importante, per la Biblioteca Vaticana: più di 2.000 manoscritti, ma anche altri pezzi importanti acquisiti dalla vostra Biblioteca proprio dalla collezione di Cristina di Svezia che – lo ricordiamo – si era convertita al cattolicesimo nel 1655 …

R. – Quando Cristina di Svezia decide di convertirsi al cattolicesimo, viene a Roma e viene accolta – prima ancora di giungere a Roma – dall’allora custode-prefetto della Biblioteca Holste, il quale ne accoglie la professione di fede; e poi, a Roma, sviluppa tutte quelle sue attività di studio, di cultura, di incontri che fanno arricchire la sua biblioteca. Alla sua morte, la biblioteca entra nella Vaticana tramite il cardinale Ottoboni che in quei mesi diventa Papa con il nome di Alessandro VIII.

D. – Negli ultimi decenni – lei ci diceva – ci sono state nuove, importanti relazioni, soprattutto dal punto di vista del restauro, se non sbaglio …

R. – Si, perché una delle Fondazioni Wallenberg, la Marcus and Amalia Wallenberg Foundation, ha proposto un aiuto sostanzioso per restaurare 170 manoscritti e 96 volumi a stampa, appunto di quel fondo reginense che è entrato in Biblioteca grazie alla Regina Cristina di Svezia. Alle origini di questa collaborazione sta l’aiuto lungimirante di un ambasciatore della Svezia presso la Santa Sede, Frederic Wahlquist, caro amico della Biblioteca che continuamente l’aiuta; anche i suoi successori hanno ulteriormente collaborato … E ci siamo accorti come questi rapporti con la Svezia e con le istituzioni svedesi si siano arricchite di grande attenzione da parte loro e di una grande riconoscenza da parte nostra.

D. – C’è qualcosa di più di una coincidenza di interessi, tra voi e la Casa reale svedese: mi pare più una condivisione di valori …

R. – Proprio così. E fra l’altro è molto bello che la stessa Casa reale abbia pensato che potesse venire la Regina - la Regina consorte – a questa inaugurazione: è un dare molta importanza, molto significato a una Biblioteca, a una realtà vaticana e, se si vuole, dare valore a quei rapporti di condivisione che ormai da anni si stanno costruendo insieme.

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In udienza dal Papa il rabbino Di Segni e i nunzi in Egitto e Cuba

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Papa Francesco ha ricevuto questa mattina in Udienza: il prof. Riccardo Di Segni, Rabbino Capo di Roma; mons. Bruno Musarò, arcivescovo tit. di Abari, nunzio apostolico nella Repubblica Araba d’Egitto; delegato della Santa Sede presso la Lega degli Stati Arabi; mons. Giorgio Lingua, arcivescovo tit. di Tuscania, nunzio apostolico a Cuba.

Negli Usa, il Papa ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Santa Fe, presentata da mons. Michael Jarboe Sheehan, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato arcivescovo metropolita di Santa Fe mons. John Charles Wester, finora vescovo di Salt Lake City.

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Don Elia: il Regina Coeli con il Papa è un regalo di Dio

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Grande emozione ieri al Regina Coeli per i due sacerdoti che, poco dopo l’ordinazione, insieme a Papa Francesco hanno benedetto i pellegrini in Piazza San Pietro. Don Davide Maria Tisato e don Elia Del Prete hanno entrambi studiato al seminario “Redemptoris Mater” di Roma. Al microfono di Benedetta Capelli ascoltiamo don Elia Del Prete, 30 anni, da tempo impegnato nella pastorale per le persone sorde e che racconta così quanto accaduto ieri: 

R. - La giornata di ieri è stata carica di emozioni: un susseguirsi di doni, di grazie, di regali da parte di Dio. Le emozioni delle ordinazioni sono state uniche. Questo regalo di Dio - poter stare con il Santo Padre accanto a lui nella recita del Regina Caeli - è stato una sorpresa anche per me, perché parlando con don Davide - l’altro nuovo sacerdote - ci siamo comunicati questo desiderio. Il Santo Padre ci ha stupito, che ci abbia concesso questo momento con tutta serenità. Ovviamente le emozioni in quel momento erano fortissime, ero quasi stordito. Però alla fine ho visto questo come un regalo da parte di Dio. Poi la benedizione finale è stata una sorpresa, come avete visto anche dal video: il Papa ce l’ha comunicata al momento. È stato tutto un regalo di Dio, uno dopo l’altro.

D. - C’è una frase particolare, un pensiero, che Papa Francesco ti ha comunicato e che per te è estremamente importante tenere nel tuo cuore?

R. - Mi ha colpito come il Santo Padre non lasci nulla per scontato, ma vede sempre con un occhio di fede gli eventi. Infatti quando ci stavamo avviando verso la stanza da dove si affaccia, mentre lo ringraziavamo per questo regalo che ci stava facendo, ci ha detto, con molta sincerità, che questo atteggiamento di insistenza che abbiamo avuto nel chiedere questo regalo, dobbiamo aver anche con il Signore: essere insistenti anche con Dio.

D. - Nel corso dell’omelia Papa Francesco vi ha dato veramente molti consigli utili: sul battesimo, su come fare le omelie … Ce ne è uno in particolare che ti ha colpito?

R. - Più di uno. Il primo è stato quello di essere sempre strumenti della misericordia anche in riferimento alla Confessione che non deve essere un luogo carico di moralismo o di legge, ma un luogo di verità e di misericordia.  Il secondo è quello che riguarda la vanità, la battaglia più grande per un sacerdote. Spero che il Signore mi conceda la grazia di non cadere mai nella vanità.

D. - Elia, come è nata la tua vocazione, la tua chiamata?

R. - Grazie a Dio sono nato in una famiglia cattolica, praticante, che fa parte del cammino neocatecumenale. Come tutti i ragazzi, quando ero adolescente, avevo i miei progetti: sposarmi, lavorare con mio padre - per questo avevo preso la facoltà di architettura - avere una famiglia numerosa, servire la Chiesa, però sempre con un mio ideale basso di vita in modo tale che io potessi controllarlo e gestirlo senza faticare troppo. Di fatto, pensavo di realizzare questo, anzi addirittura durante l’adolescenza - se posso essere sincero - pensavo che la vocazione sacerdotale fosse una vocazione di “serie B”, cioè per quelli che non riescono nella vita, per quelli che vengono scartati,  per quelli che non vuole nessuno o quelli che non si fidanzano. Il Signore ha fatto veramente grandi cose nella mia vita e mi è venuto a trovare in un momento difficile come fa sempre il Signore, che ci viene a trovare nella sofferenza. Dio mi ha portato nel deserto per poter parlare al mio cuore. Quindi ho visto come il Signore mi stava chiamando ad essere suo amico, cioè ad un’intimità particolare. All’inizio è stato un po’ come dire: “Vediamo che sai fare”, e gli ho lasciato questo piccolo spazio. Poi il Signore ha fatto miracoli: otto anni di seminario, un anno e mezzo di missione in Francia … tutto gratuitamente e gratuitamente mi ha ricostruito come persona, mi ha ridato una spina dorsale, la felicità, cosa che prima non avevo.

D. - Che sacerdote vuoi essere?

R. - Questo lo sa solo Dio! Ciò che io desidero è che mi possa consumare, che possa spendermi completamente per Dio, per la salvezza delle anime, che io possa donare la mia vita perché molti cuori siano svelati e possano ritornare a lui; consumarmi, spendermi fino all’ultima goccia, arrivare la sera a casa veramente stanco perché mi sono speso e donato completamente per gli altri, perché lì ricevo la vita da parte di Dio.

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Messa in S. Pietro per Papa Wojtyla. Dziwisz: ci accompagna dal cielo

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Giovanni Paolo II continua ad accompagnarci “nelle vie della fede, della speranza e della carità”. E’ uno dei passaggi dell’omelia pronunciata dal cardinale Stanislao Dziwisz nella Messa in San Pietro, celebrata stamani, in occasione del primo anniversario della Canonizzazione di Karol Wojtyla. Alla Messa, presieduta dal cardinale Angelo Sodano, ha preso parte una folta delegazione di fedeli da Cracovia, diocesi natale del Papa Santo. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Canti in polacco alternati a canti in latino, i fedeli della “sua” Cracovia in preghiera a pochi passi dalla sua tomba. L’emozione dei celebranti, già collaboratori del Papa Santo “venuto da lontano” ma ormai “sempre vicino” al cuore della Chiesa. Così, nella Basilica di San Pietro si è vissuto un intenso momento di gioia e gratitudine per il dono della Canonizzazione di Karol Wojtyla a un anno dalla memorabile “Giornata dei 4 Papi”: Francesco e Benedetto sul sagrato, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sugli altari .

Wojtyla, uomo di preghiera e azione
Nell’omelia, il segretario di una vita di Giovanni Paolo II, il cardinale Stanislao Dziwisz ha messo l’accento sull’insegnamento più grande che ci ha lasciato Papa Wojtyla, attinto dal Concilio Vaticano II: “la santità non è un privilegio solo di pochi”, ma è “la vocazione universale del Popolo di Dio”. Per l’attuale arcivescovo di Cracovia, Giovanni Paolo II fu “uomo di preghiera, di contemplazione e di azione”, un “mistico del servizio” innamorato di Gesù Cristo e questo amore “ha preso forma di un instancabile servizio alla Chiesa e al mondo”.

Il Papa della Divina Misericordia
“Świętego Jana Pawła II możemy nazwać Papieżem Bożego Miłosierdzia…”
San Giovanni Paolo II, ha proseguito, è il “Papa della Divina Misericordia”, un tratto – ha detto – che lo lega fortemente a Papa Francesco. Per entrambi, ha osservato, al centro della vita della Chiesa di oggi” va posta “la realtà della divina ed umana misericordia”. Papa Wojtyla, ha soggiunto, è stato anche profetico sul matrimonio e la famiglia, sulla dignità della vita umana, “specie quella indifesa”.

Mantenere viva l’eredità di Giovanni Paolo II
Tuttavia, ha osservato il porporato polacco, “non viviamo solo di ricordi”, ci sono “nuove sfide che toccano la Chiesa”:

“Jeżeli chcemy pozostać wierni dziedzictwu św. Jana Pawła II…”
“Se vogliamo rimanere fedeli all’eredità di Giovanni Paolo II – ha affermato – dovremmo coraggiosamente camminare per la strada dell’amore di Dio e del prossimo, cioè per la strada della santità. Questo è il compito quotidiano posto davanti a noi”. Ed ha ribadito che “abbiamo in cielo un grande intercessore per le nostre cause personali, familiari e sociali”. Giovanni  Paolo II è rimasto “in modo diverso, ma anche più profondo nella vita della Chiesa” e ci “accompagna nelle vie della fede, della speranza e della carità”.

Il Papa dei giovani, l’attesa per la Gmg di Cracovia
Non poteva poi mancare un riferimento all’amore speciale che Karol Wojtyla aveva per i giovani, le sue “sentinelle del mattino” che fin dall’inizio del Pontificato definì “speranza della Chiesa”:

“Jakże nie podziękować – dziś, w tej Bazylice – Ojcu Świętemu Franciszkowi…”
“Come non ringraziare, oggi, in questa Basilica – ha detto il cardinale Dziwisz – il Santo Padre Francesco per la decisione di vivere la prossima Giornata Mondiale della Gioventù con lui, tra un anno, a Cracovia?”. “Spalanchiamo le porte della Patria di Giovanni Paolo II – ha esortato – Apriamo le porte al Pietro dei nostri tempi e alle folle dei giovani cristiani. Vogliamo condividere la nostra fede e vogliamo imparare da loro l’entusiasmo della fede”.

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S. Giovanni XXIII. Mons. Dolcini: Santo del Concilio, innamorato della Chiesa

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Oggi si festeggia il primo anniversario della Canonizzazione di Papa Giovanni XXIII, il “Papa Buono” che ha avviato l’esperienza più importante della storia contemporanea della Chiesa, il Concilio Vaticano II. Un anno importante per il comune natale di Angelo Roncalli, Sotto il Monte, che ha lavorato per un ampio progetto di rilancio della figura del Santo e del suo territorio. Ce ne parla Mons. Claudio Dolcini, parroco e presidente dell'Associazione Papa Giovanni Sotto il Monte Giovanni XXIII, al microfono di Claudia Minici

R. – Abbiamo esposto nei locali di accoglienza della Casa del Pellegrino le fotografie degli eventi più importanti che hanno interessato lo scorso anno, l’anno della Canonizzazione: un album fotografico che racconta le meraviglie dello scorso anno. Abbiamo anticipato ieri la festa solenne, presieduta dal nostro vicario generale, per dire grazie ad un anno dalla Canonizzazione. La vita del santuario è quella di accogliere continuamente i gruppi e la gente che, in maniera ininterrotta, viene a pregare attraverso la figura di Papa Giovanni.

D. – La vostra missione è diffondere la conoscenza della figura di Papa Giovanni. La Canonizzazione ha avvicinato nuovi fedeli?

R. – Sì, la Canonizzazione ha amplificato un poco la figura di Papa Giovanni e, legandola anche alla figura di Giovanni Paolo II, ha dato ancora più forza alla dimensione del Concilio: Papa Giovanni è conosciuto come il "Papa Buono", ma si è un po’ dimenticata questa dimensione del Concilio e la canonizzazione ha rivalutato questa grande esperienza, che di fatto è il lavoro più grosso di Giovanni XXIII. I pellegrini che vengono qui a Sotto il Monte, li introduciamo a questi due tratti fondamentali della figura e della Santità di Giovanni XXIII, che sono il Concilio da una parte e la tematica della pace dall’altra, che è una tematica forte: non dimentichiamo che pochi giorni prima della sua morte pubblicò quella grande Enciclica, che è ancora attualissima, la “Pacem in terris”.

D. – Si chiude, quindi, un anno importante. E’ cambiato qualcosa?

R. – Ci siamo strutturati meglio per l’accoglienza dei pellegrini: abbiamo realizzato un percorso particolare per i bambini e per i ragazzi delle scuole sulla figura di Papa Giovanni, attraverso la realizzazione di un cartoon e la preparazione di alcuni accompagnatori spirituali adatti. Abbiamo poi messo in campo alcuni eventi durante l’anno. Accanto a me, ho costituito un comitato che aiuti nella promozione e nella gestione di questa attività. Il 17 ottobre saranno a Sotto il Monte i padri frati della Comunità di Taizé, che faranno qui la preghiera di Taizé: verranno proprio per il forte legame con Giovanni XXIII.

D. – Conoscere e amare Papa Giovanni equivale a conoscere e amare la Chiesa. Ripercorrere la vita di questo Papa può aiutarci, quindi, ad approfondire la storia della nostra fede?

R. – Se c’è un Santo che fu obbediente e innamorato della Chiesa fu proprio lui; se conosciamo un poco la sua storia, che lo prepara a diventare Pontefice, fu la storia di un uomo che ha servito la Chiesa sempre. Nel santuario si fece questa grande palizzata in ferro che dice proprio: “un Santo non è un eroe come nella vita civile; un Santo è continuamente accompagnato dall’obbedienza, dalla fedeltà e dal servizio alla Chiesa”.

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Lione. Card.Filoni: Pauline-Marie Jaricot, tedofora della fede

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“Pauline-Marie Jaricot, toccata dalla fede, è stata una tedofora, amando costantemente di trasmettere la luce che aveva ricevuto e di ravvivarla, portando con sé sempre, quale donna saggia, l’olio della profonda spiritualità che le proveniva dall’Eucaristia, mai dimenticando di averne una scorta. Ed è proprio in questo senso che la sua attualità, ieri, oggi e domani rimane assolutamente intatta”. Lo ha affermato il card. Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, nel corso della conferenza che ha tenuto sabato pomeriggio a Lione, nella chiesa di Saint-Nizier, dove è sepolta Pauline Marie Jaricot (1799-1862), in occasione del lancio ufficiale del nuovo sito internet dedicato alla vita e all’impegno apostolico e missionario della Venerabile lionese.

Ampio respiro missionario dato dal suo cuore
Ripercorrendo le vicende terrene di Pauline Marie Jaricot, “stella luminosa di quell’era di forte evangelizzazione che fu il XIX secolo” - riporta l'agenzia Fides - il Prefetto del Dicastero Missionario ha messo in luce tra l’altro che “l’ ‘originalità’, o se si vuole anche la ‘genialità’, della sua visione non sta solo nel rinnovamento spirituale avviato tra i laici e le lavoratrici, ma anche in quell’ampio respiro missionario dato dal suo cuore… Ella non amava fondare una congregazione religiosa missionaria, femminile o maschile che fosse, quanto amava coinvolgere i laici in virtù della fede di ogni battezzato nell’azione evangelizzatrice”. 

E' il terzo elemento del tripode su cui poggia l’opera missionaria
Per questo, ha sottolineato il card. Filoni, “la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e le Pontificie Opere Missionarie la considerano, insieme a San Francesco Saverio e a Santa Teresina di Gesù, il terzo elemento del tripode su cui poggia l’opera missionaria: al tempo stesso ad Gentes e interna, ossia di trasformazione della Chiesa, proprio come fu intesa dalla Venerabile Pauline-Marie Jaricot con la creazione delle sue sei ‘Opere’ e che sono tanto simili al ‘sogno’ o all’auspicata ‘conversione’ ecclesiale di Papa Francesco”. Il card. Filoni ha espresso l’auspicio che “in un futuro prossimo, a questa figlia di Lione, a questa figlia della Chiesa, si riconosca quell’esemplarità di testimonianza cristiana che la collochi tra i Beati e i Santi della Chiesa stessa”.

Dopo l’Eucaristia e il Sacro Cuore di Gesù, il suo più grande amore fu Maria
Ieri, IV domenica di Pasqua, il card. Filoni ha presieduto la celebrazione eucaristica nella basilica di Notre Dame de Fourvière, dove la Venerabile Pauline-Marie Jaricot, “la donna delle Opere Missionarie, l’operatrice instancabile della preghiera e la vittima della solidarietà operaia” ha detto nell’omelia, “veniva spesso per manifestare a Maria le proprie ansie, i propri desideri e mettere sotto la Sua protezione i progetti che nascevano dal suo genio femminile e da un cuore ardente e indomito”, infatti “dopo l’Eucaristia e il Sacro Cuore di Gesù, il suo più grande amore fu Maria”.

Jaricot intendeva coinvolgere nella missionarietà anche i laici
Riferendosi quindi al Vangelo del giorno, in cui Gesù si presenta come “il buon pastore”, il Prefetto del Dicastero Missionario ha evidenziato che “in quest’immagine c’è amore, misericordia, servizio, donazione, altruismo. Jaweh era il proprietario del gregge, Gesù si qualifica come buon pastore che sacrifica la vita per le sue pecorelle, affidate a lui da Jaweh; egli non è il mercenario che fugge”. Questa missione non si è esaurita nei secoli, in quanto egli stesso ha affermato che “nessuna delle pecorelle che il Padre gli ha affidato, verrà lasciata fuori dell’ovile, fuori di casa”. “Con tali espressioni – ha proseguito il card. Filoni - egli inaugurava la missionarietà, affidando questo impegno dapprima ai suoi discepoli e poi alla Chiesa tutta. Il servizio reso da Gesù al Padre supera allora la Palestina, supera tutti i tempi e si allarga a tutto il mondo. Qui è la radice della missionarietà della Chiesa, la radice dell’intuizione della Jaricot che intendeva coinvolgere nella missionarietà anche i laici”. (S.L.)

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Immigrazione, crisi europea: vertice tra Ban Ki-moon e Renzi.

Il rischio di una scelta: nella domenica del Buon pastore Papa Francesco ordina diciannove sacerdoti.

Quella voce forte e santa: al Regina coeli il ricordo di Giovanni Paolo II.

Fragile eredità: ai vescovi del Benin il Papa raccomanda vigilanza per rafforzare la convivenza fra le religioni.

Sorprese del rosario: prove di dialogo alla Reggia di Venaria.

Fratture e scompensi: Giuliano Zanchi sulla forma della città contemporanea.

Donne da record: in crescente aumento in Inghilterra e Galles le adesioni femminili alla vita religiosa.

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Oggi in Primo Piano



Nepal: popolazione stremata, Cei stanzia 3 milioni di euro

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Uno scenario di devastazione, oltre 3.700 morti e più di 6.000 feriti, con alcuni villaggi in cui il 70% delle abitazioni è stato completamente distrutto. E’ l’immagine del Nepal, dopo il violento sisma di magnitudo 7.9 di sabato scorso, a cui hanno fatto seguito altre 45 forti scosse. Ieri al Regina Coeli il Papa ha pregato “per le vittime, per i feriti e per tutti coloro” che stanno soffrendo a causa di questa calamità. Il servizio di Giada Aquilino

Kathmandu, città fantasma. Edifici crollati, dalle abitazioni ai templi, compresa la storica Dharahara Tower, patrimonio dell’umanità. Ma sono i volti della popolazione stremata a parlare. “È una situazione veramente disperata”, ha detto Kamal Singh Bam, portavoce della polizia. L’esercito, circa 100 mila soldati, è impegnato nelle operazioni di soccorso, ma le strade sono interrotte, come pure le comunicazioni con i villaggi più remoti. L’emergenza più grave riguarda il distretto di Sindhupalchowk, non lontano da Katmandu, ma è distruzione nell’intera vallata e nel resto del Paese. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) parla di “situazione gravissima”: tutti i parchi e i giardini pubblici, tra cui quello dell’ex Palazzo Reale della capitale, sono occupati dagli sfollati. Gli ospedali sono al collasso. La presidenza della Conferenza episcopale italiana ha stanziato 3 milioni di euro per il grave terremoto, destinandoli alla prima emergenza attraverso mons. Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in India e Nepal. Una messa di suffragio per le vittime è stata celebrata questa mattina dal vicario apostolico del Nepal, il vescovo cattolico Paul Simick, come riferisce l’agenzia Fides. Il padre gesuita Pius Perumana, direttore di Caritas Nepal, impegnata nei soccorsi, nel sollecitare l’aiuto internazionale riferisce che il bilancio delle vittime potrebbe salire: le stime, considerando i distretti colpiti, “potrebbero toccare seimila persone”. Ascoltiamolo al microfono di Charles Collins:

R. - The situation is bad…
La situazione è grave, davvero grave: la gente si trova per strada senza un tetto sulla testa; alcuni sono riusciti a organizzarsi con dei fogli di plastica per potersi riparare… Ma molti restano all’aperto senza niente. In tante zone di Kathmandu è piovuto e le temperature sono scese molto. Inoltre c‘è il problema della scarsità di generi alimentari, acqua potabile... La popolazione ha bisogno immediato di ripari, cibo, kit igienici. Le operazioni di soccorso continuano senza sosta perché molte persone sono rimaste intrappolate all’interno degli edifici crollati: non sappiamo nemmeno se queste persone sono vive o morte. Qui c’è un’atmosfera di disperazione.

D. - Lei stava parlando di Kathmandu. Abbiamo notizie di cosa sta accadendo al di fuori della capitale?

R. - We have some indoor information…
Abbiamo delle informazioni locali, stanno arrivando i bilanci delle vittime dai diversi distretti. In alcuni quartieri periferici non è rimasta in piedi neanche una casa. Alcuni villaggi sono stati completamente rasi al suolo, la gente si trova in strada. Anche loro hanno bisogno di aiuti immediati, di trasporti... Da alcune delle nostre missioni, che abitualmente raggiungiamo con tre giorni di cammino a piedi, riceviamo notizia di gravi devastazioni, ma qualsiasi genere di aiuto può arrivare soltanto via elicottero, che però noi non possiamo organizzare. Ci sono molte zone di periferia in situazioni simili, ma non è facile raggiungere questi luoghi… La devastazione è in tutto il Paese …

D. - Gli aiuti stanno arrivando? Cosa succederà?

R. - The aid is coming but then the problem is that we have only one international airport …
Gli aiuti stanno arrivano ma il problema è che abbiamo un solo aeroporto internazionale, che oltretutto è anche molto piccolo ed è già utilizzato al massimo della sua capacità. La zona di Kathmandu potrebbe essere interamente approvvigionata in uno o due giorni, ma per le zone periferiche abbiamo bisogno di elicotteri per inviare gli aiuti.

La testimonianza di Shyam Citracar, commerciante di Khatmandu:

R. – Adesso io e la mia famiglia stiamo bene, ma tanti altri non stanno bene e ci sono tanti morti…

D. – Qual è la situazione in città, a Kathmandu?

R. – Katmandu è un disastro! Tutte le piazze sono distrutte, tanti templi sono crollati. Sabato ero a lavoro e davanti al mio negozio c’era un tempio: ho visto il tempio che crollava… Una cosa incredibile! Mai vista una cosa del genere nella nostra vita.

D. – Al momento manca l’elettricità?

R. – No, adesso è tornata. Cibo e acqua ancora ne abbiamo, ma ho sentito che in tanti altri posti, invece, c’è il problema dell’acqua, che stanno iniziando a distribuire.

D. – Stanno arrivando gli aiuti?

R. – Sono arrivati aiuti dall’India e dalla Cina. Hanno portato medicine e generi di prima necessità.

D. – Dove si trovano adesso i sopravvissuti, gli sfollati? Come sono assistiti?

R. – Stiamo soprattutto facendo tra noi. Anche per il governo è difficile riuscire ad andare ovunque, perché il terremoto non ha colpito solo Kathmandu, ma tutto il Nepal. Ci sono tanti villaggi che non si riescono a raggiungere in macchina e dove stanno cercando di andare con gli elicotteri. Il governo sta facendo il suo massimo. A Kathmandu, ci stiamo organizzando fra di noi: quello che troviamo a casa – chi ce l’ha - lo portiamo fuori ed organizziamo delle tende.

D. – La sua casa ha retto al terremoto?

R. – La mia casa ha retto, però ieri è arrivata un’altra scossa molto forte. Ero proprio fuori dalla mia casa: questo terremoto è stato qualcosa di incredibile. Non riesco a spiegarlo con le parole: tutti i nepalesi hanno una paura indescrivibile.

D. – Oltre alle scosse di assestamento, c’è stata anche la pioggia che ha reso più difficile i soccorsi…

R. – Questo è vero. Ieri notte è piovuto tantissimo e forte. Tutti i fratelli che erano sotto le tende hanno avuto molte difficoltà: la tenda non è certo sufficiente a sopportare tanta acqua. In questo momento mi trovo al campo, tra gli sfollati, e il cielo è veramente molto scuro. Dicono che anche questa sera pioverà forte.

D. – Sentendo anche le necessità delle persone e dei suoi amici che sono sfollati, quali sono le emergenze, cosa serve subito?

R. – Adesso ci servono le medicine e le tende. Oggi è il terzo giorno e, più andremo avanti, più sarà difficile. A tanta gente serviranno le medicine, anche perché c’è il rischio dell’arrivo di malattie.

D. – La macchina dei soccorsi, anche internazionale, si è già messa in moto: c’è stata solidarietà da tutto il mondo. Ieri il Papa ha pregato. Lei è indù: cosa sente di questa vicinanza?

R.  – Grazie al Papa e grazie a tutti coloro che hanno pregato per noi. Ho saputo ieri che il Papa, in Vaticano, ha pregato: andando su Facebook, ho saputo che il Papa in piazza ha pregato per il Nepal.

D. – Si sente di mandare un messaggio di speranza per la popolazione del Nepal?

R. – Dico alla popolazione del Nepal di essere coraggiosa e di rimanere unita, aiutandoci gli uni gli altri.

Per sostenere gli interventi Caritas in corso, si possono inviare offerte a Caritas Italiana, via Aurelia 796 – 00165 Roma, tramite C/C POSTALE N. 347013 specificando nella causale: “Asia/Terremoto Nepal”.

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Un alpinista italiano sull'Everest: salvi per miracolo

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Il terremoto ha colpito duramente anche le montagne del Nepal. Numerosi i morti, tra cui anche due italiani, a causa delle valanghe provocate dal sisma. Si è invece salvato un altro gruppo di cinque alpini italiani in un campo base dell’Everest. Ascoltiamo la testimonianza del trentino Marco Sala, raggiunto telefonicamente da Emanuela Campanile

R. – Abbiamo lasciato il campo base dell’Everest da due giorni … lì c’è una distruzione totale. Le tre scosse violentissime di terremoto hanno causato dei crolli e delle valanghe in tutto l’anfiteatro sovrastante il campo base, che si trova a circa 5.300 metri d’altezza, e hanno spazzato via gran parte delle tende e delle installazioni che c’erano al campo base, delle spedizioni provenienti da tutto il mondo. Noi ci siamo salvati grazie alla provvidenziale presenza di un saracco alto 5 metri, posto dietro il nostro accampamento: siamo praticamente dei miracolati!

D. – Cosa è un “saracco”?

R. – E’ un muro di ghiaccio all’interno della morena dove si monta il campo base, alto 5-6 metri, che ci ha salvato la vita perché la valanga è scesa a una velocità di oltre 200 km l’ora, mista a ghiaccio, rocce e ha spazzato come un uragano tutto il campo base. La scena era terribile: sembrava una scena di guerra. Non c’era più una tenda in piedi, tutto era stato spazzato via … Ci siamo attivati per i primi soccorsi. Veramente, scene raccapriccianti: una cosa del genere non avrei mai immaginato che potesse accadere nella relativa sicurezza di un campo base come è il campo base dell’Everest.

D. – Per quanto riguarda i soccorsi, come stanno procedendo? Perché dalle ultime notizie sappiamo che ci sono difficoltà …

R. – Per quanto riguarda i soccorsi, sono stati pressoché ultimati in quanto le forti scosse sono venute in concomitanza con una forte perturbazione, quindi stava nevicando. Gli elicotteri in quella giornata non si sono potuti avvicinare. Si sono avvicinati invece nella mattinata del giorno dopo, rischiando anche molto, perché c’era molta nuvolaglia bassa, attaccata alle pareti; hanno visto la situazione e hanno iniziato a fare la spola con i feriti più gravi, trasportandoli non so dove, se a Lukla o a Kathmandu … Però, la situazione è tragica, anche negli ospedali. Hanno fatto la spola tutto il giorno: c’erano tre elicotteri, tra cui anche un elicottero militare nepalese. Adesso su, purtroppo, ci sono solo i corpi dei morti, avvolti nei teli: si parla di una quindicina o forse più di morti, solo al campo base, senza considerare tutti gli alpinisti che sono scomparsi nell’“icewall” che sale dal campo base, il campo 1: lì c’erano 50-60 persone e di quelle al momento non sappiamo nulla.

D. – Quindi voi quando contate di scendere a valle?

R. – Nei prossimi giorni scendiamo sicuramente. Ma il problema è che anche nella Valle del Khumbu non c’è acqua e quindi sa benissimo quali sono i problemi legati alla mancanza di acqua: può scatenarsi il colera da un momento all’altro … Quindi, per il momento noi stiamo su, alti nella Valle, dove sicuramente la situazione è migliore. Poi vedremo il da farsi, perché a Lukla è il punto più vicino dove atterrano i piccoli aerei: è tutto bloccato, ci sono migliaia di persone che vorrebbero volare via, poi, all’aeroporto internazionale di Kathmandu, ma voli non ce ne sono e quindi per scendere a valle a piedi ci vogliono ancora quattro-cinque giorni, una settimana. Tutti stanno aspettando lì, accalcati … Non vorremmo aggiungerci anche noi a questa situazione pericolosa che c’è anche a Lukla.

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Cambio di leadership nella Repubblica turca di Cipro nord

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Cambio di leader nella Repubblica turca di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia. Il socialdemocratico Mustafa Akinci, 67 anni, è stato eletto quarto leader della Repubblica con oltre il 60% delle preferenze nel ballottaggio svoltosi domenica 26. Ha staccato di circa 20 punti il leader turco-cipriota uscente, Dervis Eroglu, 77 anni, conservatore. Sembra emergere volontà di cambiamento nella parte dell'isola sotto occupazione militare turca dal 1974, ma anche il desiderio di affrancarsi dall'ingerenza del governo di Ankara nella gestione dei negoziati con i greco-ciprioti per riunificare l'isola. Fausta Speranza ne ha parlato con la docente della Luiss Valentina Scotti, studiosa della questione cipriota: 

R. – Sì, sicuramente è un voto molto rilevante. Innanzitutto è stato eletto un socialdemocratico, Akinci, con una notevole esperienza politica – è già stato sindaco della parte nord di Nicosia, è stato vice primo ministro – anche se era assente dalla scena politica da una decina di anni. In campagna elettorale l’impegno per una soluzione della questione cipriota è stato in maniera abbastanza forte dichiarato. Molti dicono addirittura che a maggio potrebbero riaprirsi i negoziati con la parte greca. Molti si augurano che nei prossimi 5 anni si riesca a venire a capo di una questione che è durata un bel po’. Per il momento sono ottime speranze che però necessitano di essere concretizzate. Sicuramente il fatto che anche la parte greca e in particolare il presidente della repubblica di Cipro, Anastasiadis, abbia accolto con favore queste elezioni, ancora una volta, fa ben sperare ma poi bisogna passare dalle speranze a cose più concrete.

D. – Ultimamente c’è stata la scoperta di grandi giacimenti sottomarini di gas al largo della costa meridionale di Cipro: questo complica lo scenario…

R. – Questo sicuramente complica perché la Turchia a questo punto ha un ulteriore interesse a mantenere una sfera di influenza importante. Però non si può escludere che anche rispetto a una Cipro riunificata la Turchia possa continuare ad essere un rilevante partner dell’isola e magari l’isola potrebbe consolidare ancora di più i pacifici rapporti che si sono ormai, potremmo dire, consolidati tra Grecia e Turchia, anche con una partnership per lo sfruttamento di queste risorse. Quindi, c’è un doppio tipo di lettura: potrebbe essere un ulteriore elemento di frizione, ma potrebbe anche essere un elemento che facilita i negoziati qualora si volesse pervenire a soluzioni condivise.

D. – Akinci nel suo programma ha indicato la riunificazione dell’isola sulla base di un sistema federale e una smilitarizzazione della repubblica: questo lo vede possibile a breve?

R. - Molti analisti ritengono che la cosa sia possibile. Diciamo che la situazione è complicata dall’esistenza di un trattato molto strutturato e molto complesso che coinvolge non soltanto Grecia e Turchia ma anche la Gran Bretagna. All’interno di questo trattato c’è una parte strettamente relativa alla Costituzione dell’isola che entrambe le parti poi hanno finito per disattendere. Certo, bisognerà profondamente rinegoziare le basi su cui strutturare questa federazione. Bisognerà capire soprattutto come verranno gestite soprattutto le alte cariche del Paese: se si tratterà di una ripartizione per quote, una ripartizione fissa, come già fu fatto col modello libanese, o se invece si riunificherà l’isola e si lascerà al libero gioco elettorale della popolazione riunificata anche la definizione di queste cose. Bisogna vedere come si svolgeranno i negoziati. Ancora una volta bisognerà sperare nei popoli che compongono queste due repubbliche. Probabilmente si ricorderà come, già nel 2004, il piano Annan aveva tentato la riunificazione e poi in quel caso furono i greco-ciprioti a votare contro con un referendum.

D. – Parliamo di una popolazione veramente scarsa su un territorio che però è uno scacchiere internazionale: basti dire che vicinissimi ci sono la Siria, Israele. E quindi gli interessi in particolare adesso  con i giacimenti sottomarini sono fortissimi. Forse si gioca una partita anche al di sopra delle teste della popolazione?

R. – Sì, gli attori esterni che influiscono e hanno un peso in questi negoziati sono tanti e possono avere anche opinioni e tendenze divergenti. Bisogna vedere come le forze esogene e quelle endogene porteranno a una conclusione sui negoziati.

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Whirlpool: aperture dall'azienda. Soddisfatti lavoratori

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“Il piano Whirlpool che prevede la chiusura dello stabilimento ex Indesit di Carinaro a Caserta con 800 posti di lavoro a rischio non sarà esecutivo, ma la trattativa dovrà svolgersi entro sei mesi di tempo al massimo”. È questa l'apertura dell’azienda al termine del tavolo di confronto questa mattina con governo e sindacati. L’esecutivo difende  dunque i lavoratori e si è detto pronto a mettere in campo tutte le azioni necessarie. Soddisfazione dai circa 700 dipendenti giunti questa mattina a Roma per protestare, come conferma al microfono di Paolo Ondarza, il segretario generale Uilm, Antonio Accurso, presente al tavolo: 

R. – Da questo incontro è uscita una posizione molto chiara e netta del governo, che sostiene le nostre istanze. Ha detto che i 1.350 esuberi possono essere gestiti solo con il lavoro, che questo piano per loro è solo un modo per incominciare a parlare, ma assolutamente non lo condividono; il sottosegretario al Lavoro ha anche aggiunto che pensare ad ammortizzatori sociali che servano a "tenere buoni" i lavoratori non è pensabile con questo governo e con le politiche industriali che in Italia si stanno preparando. Che significa, per noi? Significa che dev’essere dato lavoro ad ogni stabilimento e che le soluzioni per gli esuberi devono essere legate al lavoro. Noi possiamo discutere degli esuberi, ma solo se ci sono progetti industriali. Possiamo discutere di come le persone vanno in pensione, di come le persone trovano un’altra possibilità, ma partendo dal fatto che c’è lavoro per tutti!

D. – Quindi, il governo è dalla vostra parte?                            

R. – Noi vigileremo perché non siano solo dichiarazioni, ma perché poi la bontà delle nostre ragioni venga riconosciuta anche dall’azienda.

D. – Siete soddisfatti? Questa mattina c’era molta tensione …

R. – Io credo che si possa dire che siamo soddisfatti perché la tensione era altissima e c’era bisogno di qualcosa che distendesse gli animi. La mobilitazione magari si alleggerirà un poco, ma non siamo per smobilitare completamente perché ci rendiamo conto che la multinazionale è molto determinata.

D. – Perché è importante la tutela del lavoro, nello specifico nel vostro contesto, nella vostra città?

R. – Caserta è conosciuta come una terra nella quale è molto presente la criminalità organizzata e i lavoratori sono "sentinelle della legalità": portano sostegno legale alle proprie famiglie e a quelle che ci sono intorno, creano un indotto positivo e se perdono il lavoro sono costretti ad andare via: queste sono brave persone e non faranno mai altro: mai lasceranno spazio a chi fa altro …

D. – “Senza lavoro non c’è dignità”, ha detto il Papa …

R. – Noi lo condividiamo tantissimo: non c’è dignità e non c’è speranza. Quelle parole sono state fortissime nella nostra terra, quando è venuto a Caserta, e poi le ha ripetute a Napoli. Noi speriamo che parlino alla coscienza di tanti che invece vedono solo il mero guadagno, ed è un guadagno ipocrita e miope: perché chi diventa ricco da solo, rimane ricco in una terra di poveri.

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Tifo violento: ancora feriti e arresti. Nesti: si sospenda il campionato

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In Italia, la giornata del campionato di calcio è stata funestata, ieri, da incidenti ed episodi di violenza sia sugli spalti sia in campo. Gravi disordini si sono registrati, in particolare, a Torino in occasione del derby cittadino. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha ribadito che non ci sarà “nessuna clemenza per i teppisti”. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Una bomba carta è èsplosa nella curva dei tifosi del Torino. Il bilancio del folle gesto è di almeno 10 persone ferite, nessuna fortunatamente in gravi condizioni. Ma l’episodio poteva avere conseguenze ben più gravi. Dopo l’esplosione dell’ordigno artigianale, infatti, schegge di seggiolini hanno colpito gli spettatori. I feriti sono stati trasportati in vari ospedali della città. Uno, in particolare, è tenuto sotto osservazione per intossicazione da esalazioni di fumo. Per i disordini all’interno dello stadio, sono stati arrestati cinque tifosi. Momenti di tensione si sono vissuti anche fuori dallo stadio con contatti tra alcuni gruppi ultrà delle due squadre e un fitto lancio di sassi e uova contro il pullman della Juventus, con a bordo la squadra. Un grave episodio si è registrato anche al termine della partita Empoli-Atalanta quando, secondo alcuni giocatori della squadra toscana, l’attaccante nerazzurro German Denis ha colpito con un pugno l’empolese Lorenzo Tonelli. Tutto sarebbe nato da un litigio in campo.

Su questa ennesima drammatica pagina del calcio italiano, Amedeo Lomonaco ha intervistato il giornalista sportivo Carlo Nesti

R. - Non c’è molto da spiegare, perché ci sono tanti precedenti alle spalle e ormai sappiamo molto chiaramente che, se le matrici possono essere diverse, comunque il fenomeno calcio è diventato tragicamente importante per chi vuole mettere sotto gli occhi di tutti - attraverso la televisione, la radio, Internet - il proprio disadattamento. Abbiamo le armi per combattere questa battaglia. Quello che manca è la volontà di combatterla a partire per quello che si è visto ieri - e mi riferisco all’avvicinamento del pullman della Juventus allo stadio - dall’impotenza delle forze dell’ordine. Io sono convinto che dal G8 di Genova in avanti si sia ormai creata nel Paese una psicosi: le forze dell’ordine hanno il terrore di intervenire per poi essere additate come coloro che hanno mandato all’ospedale questo o quel teppista.

D. - Tra le cose incomprensibili - a proposito di interventi preventivi - non si capisce come in uno stadio, nonostante i ripetuti controlli, qualcuno riesca ancora ad introdurre petardi, bombe carta, striscioni offensivi …

R. - Le leggi speciali ci sono già, però c’è un lassismo incredibile nel momento in cui devono essere applicate in determinate misure sia a livello preventivo sia a livello repressivo. Perché? Bisogna dirlo: non c’è un’adeguata collaborazione da parte delle società - ricattate da anni - che preferiscono subire il ricatto piuttosto che compattarsi contro queste forze a volte bestiali.

D. - Queste società vittime, ostaggio delle frange violente delle loro tifoserie, non fanno abbastanza per incapacità oppure c’è anche un ricatto ben più grave dietro?

R. - Non è incapacità ma paura. Paura di ricatti che possono essere di qualsiasi genere: la minaccia fisica nei riguardi di un dirigente, di un presidente, dei calciatori o, addirittura, pretendere e ottenere che i capitani delle squadre vadano sotto le curve per imporre la "loro legge" e non la legge dello Stato.

D. - Ma è possibile, un giorno, anche facendo una giusta battaglia culturale, vedere giocare un derby non animato da un’accesa rivalità, ma magari dal comune amore verso la propria città?

R. - A volte succede. Ad esempio posso soltanto ricordare che in occasione dell’ultimo derby di Milano, appena una settimana fa, ci sono state coreografie stupende, nessuno striscione offensivo e nessun problema tra i tifosi. Quindi non è che questo non accada mai. Ma ci sono degli episodi sempre più frequenti, dinanzi ai quali occorrerebbe essere coraggiosi come all’estero. Quest’anno c’è stata la sospensione dei campionati in Grecia e in Turchia proprio a fronte di atti di violenza. E una sospensione del campionato italiano? Credo che sarebbe il momento.

D. - Quali rischi in questo scenario?

R. - Andando avanti di questo passo - e purtroppo la famiglia di Ciro Esposito ne sa qualche cosa - ci "scappa" di nuovo il morto. Nel momento in cui non c’è una protezione adeguata da parte dello Stato e nel momento in cui le società non collaborano, è chiaro che quando i teppisti vengono a contatto tra loro il morto ci "scappa" per forza. E questo è uno scenario che fa venire i brividi a meno che, finalmente, non ci si renda conto di quale baratro stiamo conoscendo, di quanto sia lungo ancora il tunnel per uscire da queste problematiche che ci portiamo avanti addirittura dal caso Paparelli dell’inizio degli Anni '80. Ma direi, soprattutto, da quello che doveva succedere e non è successo dopo il tragico 1985: la strage dell’Heysel a Bruxelles, che doveva insegnare tante cose ma le ha insegnate agli inglesi e non agli italiani.

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Nella Chiesa e nel mondo



Unesco. Patriarca Raï sui cristiani perseguitati in Medio Oriente

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“Nel cuore della notte, lancio un appello a tutti quelli che sono in attesa dell’aurora”. “L’esodo dei cristiani dai loro Paesi di origine, indebolirà anche il ruolo dei musulmani moderati”. È stato un appello a tratti commovente e disperato a favore delle Chiese e dei popoli perseguitati in Medio Oriente, quello lanciato sabato scorso dal palco dell’Unesco - appena sbarcato a Parigi - dal patriarca Béchara Raï.  “La comunità internazionale - ha insistito il capo della Chiesa maronita - si mostra sin troppo lenta nel fermare l’opera di morte e devastazione di assassini senza fede e senza frontiere”. 

In Francia proveniente dall'Armenia
Il patriarca maronita card Béchara Raï - riferisce l'agenzia AsiaNews - è arrivato in Francia, proveniente dall’Armenia, dove in rappresentanza dei patriarchi orientali ha partecipato alle cerimonie per il centenario dell'eccidio armeno. Egli resterà in terra transalpina per quattro giorni; domani è previsto l’incontro ufficiale con il presidente francese François Hollande.

Discorso all'Unesco su cristiani in Medio Oriente e cultura della pace
La prima giornata del patriarca è stata caratterizzata da un discorso pronunciato all’Unesco, incentrato sul tema: “La presenza cristiana in Medio Oriente e il suo ruolo nella promozione della cultura della pace”. Il patriarca ha parlato alla presenza di Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco, del presidente del Consiglio direttivo dell’organizzazione Mohammad Sameh Amr e dell’ambasciatore Khalil Karam, delegato permanente del Libano presso l’organismo Onu specializzato nell'educazione, la scienza e la cultura.  Da storico consumato, il patriarca Raï ha tracciato un breve excursus sulla “bi-millenaria presenza cristiana in Medio Oriente”, ha sottolineato il ruolo di promotore di cultura e pace garantito da questa presenza [seppur minoritaria] e proposto le modalità per preservarla. 

L'esodo dei cristiani indebolirà il ruolo degli stessi musulmani moderati
Nel suo discorso, il patriarca ha posto “la risoluzione del conflitto israelo-palestinese” quale prima condizione per salvaguardare questa presenza. Ed è facile capire quanto la sfida appaia insormontabile. In un passaggio successivo, il patriarca non ha mancato di ricordare che, sul piano storico, il declino della civiltà arabo-musulmana è coinciso con “il soffocamento della società cristiana” e di avvertire che “l’esodo dei cristiani dai loro Paesi di origine, indebolirà il ruolo degli stessi musulmani moderati, che rappresentano finora la grande maggioranza dei musulmani del Medio Oriente”. 

La comunità internazionale tarda a intervenire
Infine, egli ha lanciato un monito: “Dalla tribuna dell’Unesco, io sono venuto qui per portarvi la voce di quelli a cui hanno tolto la voce. Sono venuto qui per mostrarvi l’angoscia di milioni di rifugiati, di sfollati, di anziani e bambini, di donne e uomini che hanno perduto le loro [voci], ai quali hanno rubato il proprio Paese e i propri beni, distruggendo il loro avvenire. Sono venuto qui a testimoniare il dolore immenso e inenarrabile di quanti sono stati perseguitati a causa della loro fede, di quanti sono stati offesi in nome del Dio della misericordia, invocato dalla bocca di spietati assassini. Sono venuto qui a gridare a gran voce la causa di quanti attendono la fine della notte e che sperano nella salvezza portata da una comunità internazionale che tarda a intervenire, e a fermare l’opera di morte perpetrata da assassini senza fede e senza frontiere”.  “Dal cuore della notte che ci avvolge, nelle tenebre più oscure che ci circondano, lancio un accorato appello a tutti quelli che sono in attesa di osservare l’aurora, in Oriente come in Occidente, in Europa come nel mondo arabo, cristiani e fedeli dell’islam - ha aggiunto il patriarca maronita - perché ci aiutino a elevare la speranza e a confortare una volta di più popoli abbandonati, inermi, cacciati e perseguitati, in questo loro amaro desiderio di non rassegnarsi alle avversità”. 

Appelli per l'elezione del Presidente libanese
Prima dell’inaugurazione avvenuta ieri nel contesto di una festa solenne della Villa dei Cedri a Meudon, sede della nuova diocesi maronita di Francia, il patriarca ha lanciato due vibranti appelli per l’elezione - senza ulteriori ritardi - del Presidente della Repubblica libanese. Due appelli che sono coincisi con la fine dell’11mo mese vacante della carica presidenziale (25 maggio 2014). (F.N.)

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Egitto: anche donazioni dei musulmani per una chiesa copta

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Nel Governatorato di Al Manufiyya, situato a nord del Cairo, nella regione del Delta del Nilo, una chiesa copta sorgerà anche grazie alle offerte in denaro provenienti dai musulmani. Lo riferiscono fonti copte consultate dall'agenzia Fides. La chiesa è intitolata alla Vergine Maria, e la solidarietà concreta manifestata da credenti musulmani viene considerata anche come un frutto dell'ondata di commozione registrata nel Paese davanti alle stragi di copti compiute in Libia da jihadisti affiliati al sedicente Stato Islamico (Is). Quando il vescovo copto ortodosso Benyamin ha aperto la raccolta di donazioni destinate alla chiesa - riferisce l'agenzia Fides - il suggerimento di alcuni autorevoli esponenti islamici dell'area di offrire un contributo, è stato preso sul serio soprattutto da giovani e ragazzi, che hanno versato per la costruzione della chiesa i loro piccoli risparmi.

Raccolta fondi grazie ad un organismo interreligioso
La partecipazione dei musulmani alla raccolta di fondi per la costruzione di una chiesa copta ha preso forma su ispirazione dei rappresentanti locali dell'Egyptian Family House (Casa della Famiglia egiziana), l'organismo di collegamento - alla cui guida si succedono in alternanza il Grande Imam di Al Azhar e il Patriarca copto ortodosso - sorto da alcuni anni come strumento per prevenire e mitigare le contrapposizioni settarie, in un momento in cui il riesplodere del settarismo fondamentalista sembrava mettere a rischio la stessa unità nazionale. 

Si auspicano iniziative simili anche in altre aree del Paese
Il vescovo Benyamin ha sottolineato che l'iniziativa sviluppatasi nel Governatorato rappresenta un messaggio rivolto a tutto il mondo. Mentre analisti e commentatori hanno auspicato il ripetersi di iniziative simili anche in altre aree del Paese. Il Governatorato di Al Manufiyya è noto anche per aver dato i natali ai Presidenti egiziani Anwar al Sadat (ucciso nel 1981 in un attentato attribuito al gruppo della Jihad Islamica egiziana) e Hosni Mubarak, costretto alle dimissioni dalle rivolte del febbraio 2011. (G.V.)

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Chiesa del Guatemala: non dimenticare mons. Gerardi

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“E' molto importante ricordare mons. Gerardi e seguire il suo esempio” ha detto Nohemi Bac, 25 anni, originario del dipartimento indigeno di Alta Verapaz, nel corso di una celebrazione che si è svolta ieri nella cattedrale metropolitana, nel centro della capitale guatemalteca, per ricordare la morte violenta di mons. Gerardi. La nota inviata a Fides da una fonte locale, informa che centinaia di fedeli cattolici e attivisti dei diritti umani hanno commemorato ieri, i 17 anni dell’omicidio del vescovo ausiliare di Guatemala, Juan Gerardi Conedera, ucciso due giorni dopo aver denunciato le atrocità commesse contro la popolazione durante la guerra civile.

Il recupero della memoria storica durante i 36 anni di guerra civile
Mons. Gerardi, responsabile dell'Ufficio dei Diritti Umani dell'arcivescovado, aveva avviato un progetto di “recupero della memoria storica” (Remhi-Recuperación de la Memoria Histórica en Guatemala) raccogliendo testimonianze e documentazione per arrivare alla verità sui crimini commessi durante la guerra civile, durata 36 anni, che aveva ucciso circa 250 mila guatemaltechi, di cui 45.000 scomparsi. Il 90% dei crimini, secondo il rapporto, era stato commesso dalle forze militari o di altro tipo (le pattuglie civili sponsorizzate dallo Stato o gli “squadroni della morte”). A costoro erano stati attribuiti la maggior parte dei crimini (massacri, torture, stupri, scomparse, mutilazioni) commessi dal 1960 al 1996, dove nove vittime su dieci erano civili disarmati oppure indigeni.

Non si vuole dimenticare mons. Gerardi
​Durante la commemorazione di mons. Gerardi, un gruppo di bambini e giovani ha portato davanti all'altare maggiore della cattedrale, i volumi del rapporto, dei fiori e delle piccole croci di legno con le fotografie del vescovo. “Non possiamo lasciare nel dimenticatoio la figura di mons. Juan Gerardi, malgrado siano passati tanti anni, figura ed esempio di colui che ha combattuto per un Guatemala diverso" ha detto durante il rito l’arcivescovo metropolita, mons. Oscar Vian. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, il Guatemala ha vissuto una guerra civile durata 36 anni che ha lasciato 200.000 vittime, tra morti e dispersi. (C.E.)

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Messico. Card. Robles: dobbiamo proporre una Chiesa in uscita

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Il presidente della Conferenza episcopale messicana, il card. José Francisco Robles Ortega, arcivescovo di Guadalajara (Jalisco) ha toccato in una intervista rilasciata al quotidiano locale “El Pais”, ripresa dall’agenzia Fides, diversi temi di attualità, come il caso degli studenti uccisi ad Ayotzinapa, gli scandali della corruzione, la mancanza di fiducia.

Combattere la corruzione: la popolazione chiede credibilità
Negli ultimi due anni il Messico ha punito per corruzione 101 funzionari. A tale proposito il Cardinale ha commentato: “Continuiamo nella crisi. Non ci può essere alcun progresso o sviluppo senza fiducia, che si deve ripristinare. Come? Con la credibilità. La popolazione deve verificare che quanto dicono viene poi fatto. I messicani vogliono vedere il bene per tutti, non solo per pochi. Perfino il Presidente ha dichiarato che percepisce una grande sfiducia”. Alla domanda sulle elezioni di giugno, il card. Robles ha detto: "Noi chiediamo alla gente di votare, ma con criterio: si deve conoscere il candidato, cosa ha fatto per il bene comune ... E una volta conosciuto, si deve votare. L'astensione non fa bene al Paese".

C'è una cultura della violenza e della criminalità
Sulle vicende relative ai tragici fatti di Ayotzinapa e sul crimine organizzato, il residente della Conferenza episcopale ha detto di considerare che “sono molti i fattori in questi casi. C'è stata una perdita di valori, compreso quello della vita; il quadro etico è stato indebolito, abbiamo un clima di impunità in cui viene violata la legge e la criminalità organizzata impone i suoi interessi. C'è una cultura della violenza e della criminalità.”

Davanti alla violenza occorre una Chiesaa che vada e che non aspetti
Nel Messico di questi tempi sorprende come il culto della “Santa Muerte” sembri aumentare i propri seguaci, anche se il card. Robles afferma: “Non credo che sia così tanto diffuso, comunque è strettamente legato ai conflitti generati dalla violenza, ai luoghi del traffico di droga. Si tratta di una deformazione del senso religioso. La morte… viene invocata per fare del male. E questo non è secondo la religione. Una soluzione a tutto questo è assumere ciò che propone il Papa: una Chiesa in uscita, aperta, per andare verso i più lontani, i feriti sulla strada della vita. Una Chiesa che vada, e che non aspetti". (C.E.)

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Kenya. Card. Njue: lavoro in Africa contro immigrazione illegale

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Occorre creare nuove opportunità di lavoro in Africa per arginare i flussi migratori illegali verso l’Europa. Lo ha detto il card. John Njue, arcivescovo di Nairobi e presidente della Conferenza episcopale del Kenya, durante una conferenza stampa a Monaco, organizzata da Missio München. Il cardinale ha ricordato la strage di Garissa, nel nord del Kenya, nella quale 148 persone sono state uccise in base alla loro appartenenza religiosa. “Circa la metà degli assassinati erano cristiani” ha precisato il cardinale, che ha inoltre sottolineato come i leader religiosi musulmani del Kenya abbiano condannato l’assalto.

Chiudere il Campo di Dadaab punisce gli innocenti
A seguito della strage, commessa dagli Shabaab somali, il governo di Nairobi ha deciso di chiudere il campo di Dadaab, il più grande campo di rifugiati del mondo, affermando che nella struttura si nascondono i complici degli integralisti somali. “Ufficialmente 350.000 persone vivono nel campo situato vicino al confine somalo-keniano” ha commentato il card. Njue. “Si sospetta che la milizia islamica si sia infiltrata a Dadaab, chiudere il campo significa punire gli innocenti mettendoli in pericolo rinviandoli in Somalia”. Il cardinale ha espresso la speranza che il campo non venga chiuso ed ha detto che la Chiesa sta negoziando una soluzione accettabile con le autorità di Nairobi. (L.M.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 117

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.