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Sommario del 26/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa prega in piazza San Pietro per vittime terremoto in Nepal: oltre 2000 morti

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Il Papa in preghiera al Regina Caeli, insieme a tutti i fedeli in piazza San Pietro, per le vittime del devastante sisma che ieri mattina ha ucciso almeno 2263 persone tra il Nepal e i Paesi confinanti. E la terra continua a tremare: una nuova forte scossa, intorno alle 9 ora italiana, ha terrorizzato la popolazione di Kathmandu. Intanto è partita la macchina degli aiuti internazionali. Il servizio di Roberta Barbi: 

“Prego per le vittime, per i feriti e per tutti coloro che soffrono a causa di questa calamità. Abbiano il sostegno della solidarietà fraterna e preghiamo la Madonna perché sia loro vicina”.

Così Papa Francesco ha espresso la propria vicinanza alla popolazione nepalese gravemente colpita dal terremoto, dopo aver affidato alla misericordia del Signore le anime delle vittime e aver invocato guarigione e consolazione per tutte le persone coinvolte, in un messaggio inviato ieri sera al nunzio apostolico in Nepal. Questa mattina un nuovo forte sisma di magnitudo 6.7 è tornato a sconvolgere il Paese, dopo una notte di scosse di assestamento, causando anche un’altra valanga sui campi base dell’Everest - dove erano stati recuperati già 18 corpi - che sono in corso di evacuazione. I bilanci gravissimi purtroppo non sono definitivi: oltre 2200 le vittime, più di cinquemila i feriti e circa 6.6 milioni, secondo una prima stima dell’Onu, le persone colpite. Un intero villaggio, Langtantg, a nord della capitale, è stato sommerso da una frana che potrebbe nascondere un altro centinaio di morti: una tragedia, insomma, seconda solo al sisma di 81 anni fa, che uccise in Nepal più di diecimila persone. Il governo di Kathmandu ha dichiarato lo stato di calamità naturale ed il presidente Koirala ha invitato i cittadini a restare uniti pur nel grande disastro. Intanto, stanno arrivando i primi aerei di aiuti, ma è di nuovo chiuso l’aeroporto della capitale, dove sono bloccati alcuni cargo umanitari indiani, mentre alcuni voli non sono stati fatti atterrare.  Intanto in tutta la città proseguono senza sosta le operazioni di soccorso.

Sulla situazione reale del Paese abbiamo sentito Paolo Beccegato, vicedirettore della Caritas italiana e responsabile dell’area internazionale dell'organismo umanitario:

R. – Purtroppo la situazione è molto grave! Molti villaggi, soprattutto quelli più montagnosi, non sono ancora stati raggiunti, per cui c’è un lavoro piuttosto concitato di salvataggio di queste vite umane, logistico per raggiungere queste zone remote, per valutare i danni, e anche per quanto riguarda i feriti: molti sono feriti gravemente, per cui lo sforzo grande è anche quello del trasporto in ospedale. Molto spesso, ancora, va via la corrente elettrica e quindi non si può neanche comunicare…

D. – Si parla di oltre duemila vittime. Dopo la nuova forte scossa di oggi, il bilancio è destinato ad aggravarsi? Che speranze ci sono di estrarre ancora superstiti da sotto le macerie?

R. – L’esperienza dice che si possono estrarre superstiti anche a distanza di giorni… Però, per quanto riguarda il conteggio delle vittime, purtroppo c’è da pensare che non sia terminato. C’è anche il problema che molte persone alla nascita non vengono registrate all’anagrafe e quindi, anche lì, c’è sempre una valutazione generalmente sottostimata di quello che poi è il vero dato. Quello che conta in questo momento è il coordinamento degli aiuti e cercare di raggiungere tutte le zone colpite.

D. – Secondo l’esperienza della Caritas, di cosa ha maggiormente bisogno la gente in questo momento?

R. – In questa prima fase c’è il problema di far dormire le persone sostanzialmente al di fuori delle proprie case perché c’è una paura terribile, spesso ci sono attacchi di panico e il cosiddetto disturbo post-traumatico colpisce anche in questi casi, soprattutto i minori. Chi ha perso tutto deve essere certamente sostenuto da tutti i punti di vista, però anche quelli psicologici, quelli spirituali e una visione nella sua integrità.

D. – Arrivano anche notizie di ospedali sovraffollati: c’è un rischio concreto di epidemie?

R. – Questo è difficile da valutare in questo momento. Sono zone sostanzialmente fredde, montagnose e quindi ci sono dinamiche molto diverse rispetto ai contesti più caldi, più tropicali. Bisognerà valutare dopo se sono state contaminate alcune falde acquifere, e ci sono, appunto, problemi di contagio. In questo momento è troppo presto per poterlo dire.

D. – I danni al patrimonio artistico del Paese a lungo termine influiranno su una economia già tanto povera?

R. – Noi ci concentriamo soprattutto sulle persone, però non va sottovalutato questo elemento. In questo caso il danno al turismo e al patrimonio artistico, il danno – diciamo - culturale provocherà senz’altro delle conseguenze nel medio e lungo termine per queste zone del mondo già di per sé povere, che dovranno essere sostenute anche da questo punto di vista per il tentativo di ripristino di alcune strutture e del patrimonio artistico.

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Francesco, al Regina Coeli nella Domenica del buon pastore: siate servi del gregge non manager

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Nell’odierna quarta domenica di Pasqua, detta del ‘Buon Pastore’, il Papa al Regina Coeli, ha spiegato perché Gesù si è riconosciuto in questa immagine. Quindi il monito a tutti i sacerdoti perché siano “servi” e non “manager”. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Perché Gesù si è chiamato il buon Pastore? La domanda si pone ogni anno in questa domenica - ha detto Francesco - per “riscoprire, con stupore sempre nuovo”, la definizione che Gesù dà di sé, “rileggendola alla luce della sua passione, morte e risurrezione”. Solo così  diventa “chiaro significato” di buon pastore:  

“dà la vita, ha offerto la sua vita in sacrificio per tutti noi: per te, per me, per tutti. Questo è il buon pastore!”

“Cristo è il pastore vero”, “unico pastore del popolo”, “in aperta opposizione ai falsi pastori”:

“il cattivo pastore pensa a sé stesso e sfrutta le pecore; il pastore buono pensa alle pecore e dona sé stesso. A differenza del mercenario, Cristo pastore è una guida premurosa che partecipa alla vita del suo gregge, non ricerca altro interesse, non ha altra ambizione che quella di guidare, nutrire, proteggere le sue pecore. E tutto questo al prezzo più alto, quello del sacrificio della propria vita”.

Quindi l’invito a contemplare in Gesù “pastore buono”, “la Provvidenza di Dio, la sua sollecitudine paterna per ciascuno di noi”.

“Di fronte a questo amore di Dio, noi sperimentiamo una gioia immensa e ci apriamo alla riconoscenza per quanto abbiamo ricevuto gratuitamente”.

Ma contemplare e ringraziare non basta, ha raccomandato il Papa anche ai neo-sacerdoti, ordinati stamane

“Occorre anche seguire il Buon Pastore. In particolare, quanti  hanno la missione di guide nella Chiesa – sacerdoti, vescovi, Papi – sono chiamati ad assumere non la mentalità del manager ma quella del servo, a imitazione di Gesù che, spogliando sé stesso, ci ha salvati con la sua misericordia”.

Nei saluti ai fedeli, dopo la recita del Regina Coeli, Francesco, ha ricordato la beatificazione oggi in Canada di Maria Elisa Turgeon, fondatrice delle suore di Nostra Signora del Rosario di San Germano, “modello di vita consacrata a Dio e di generoso impegno al servizio del prossimo”.

“una religiosa esemplare, dedita alla preghiera, all’insegnamento nei piccoli centri della sua diocesi e alle opere di carità”.

Poi parole affettuose ai tanti pellegrini giunti a Roma specie dalla Polonia nel primo anniversario della canonizzazione di Giovanni Paolo II

“Carissimi, risuoni sempre nei vostri cuori il suo richiamo: ‘Aprite le porte a Cristo!’, che diceva con quella voce forte e santa che lui aveva”

Infine una richiesta a tutti i fedeli

“Per favore, non dimenticatevi di pregare per me”.

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Papa a nuovi sacerdoti: omelie non noiose, non rifiutate Battesimo

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Tenere “omelie che non siano noiose”, “non rifiutare mai il Battesimo” a chi lo chiede, “essere misericordiosi”, “piacere a Dio e non a se stessi”. Queste le raccomandazioni di Papa Francesco, celebrando in San Pietro la Santa Messa con il rito di ordinazione presbiterale per 19 diaconi, nella 52.ma Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Tredici dei nuovi sacerdoti si sono formati nella diocesi di Roma e provengono dal Collegio diocesano missionario Redemptoris Mater, dal Pontificio Seminario romano maggiore e dal Seminario della Madonna del Divino Amore. Gli altri sei appartengono alla congregazione della Famiglia dei Discepoli, all’Ordine Francescano dei Frati Minori Conventuali e uno è di rito siro malabarese, della diocesi indiana di Thamarassery. La maggior parte di loro eserciterà il ministero nella diocesi del Papa. Il servizio di Giada Aquilino

Gesù, sommo sacerdote
“Configurati a Cristo sommo ed eterno sacerdote”, per essere “predicatori del Vangelo, pastori del popolo di Dio”, presiedendo “le azioni di culto, specialmente nella celebrazione del Sacrificio del Signore”. È l’immagine che Papa Francesco ha tracciato dei 19 presbiteri ordinati in Basilica Vaticana. Nell’‘omelia rituale’, prevista nell’edizione italiana del Pontificale romano, e nelle aggiunte personali, ha ricordato che Gesù “è il solo sommo sacerdote del Nuovo Testamento” ma che “in Lui” tutto il popolo di Dio è stato “costituito popolo sacerdotale”, il Pontefice ha sottolineato che, tra tutti i suoi discepoli, il Signore “vuole sceglierne alcuni perché, “esercitando pubblicamente nella Chiesa in suo nome l’ufficio sacerdotale a favore di tutti gli uomini, continuino la sua personale missione di maestro, sacerdote e pastore”.

E loro, i 19 ordinandi, chiamati per nome, hanno risposto:

“Byeon Michael Junsoo: eccomi!...”

Il Papa ha quindi confermato di scegliere “questi fratelli per l’ordine del presbiterato”.

“Il vescovo rischia - rischia! - e sceglie loro come il Padre ha rischiato per ognuno di noi”.

Omelie non noiose, arrivino al cuore
Agli ordinandi, Francesco ha spiegato che, “esercitando il ministero della sacra dottrina”, saranno “partecipi della missione” di Gesù, “unico maestro”, dispensando a tutti quella Parola di Dio”, ricevuta “con gioia”, leggendo e meditando “la Parola del Signore”:

“Che le vostre omelie non siano noiose; che le vostre omelie arrivino proprio al cuore della gente perché escono dal vostro cuore, perché quello che voi dite a loro è quello che voi avete nel cuore. Così si dà la Parola di Dio e così la vostra dottrina sarà gioia e sostegno ai fedeli di Cristo; il profumo della vostra vita sarà la testimonianza, perché l’esempio edifica, ma le parole senza esempio sono parole vuote, sono idee e non arrivano mai al cuore e addirittura fanno male: non fanno bene”.

Misericordia, perdono, Battesimo a chi lo chiede
I 19 nuovi sacerdoti continueranno “l’opera santificatrice” del Signore; la Messa, ha sottolineato, “non è un rituale artificiale”: l’invito è stato a “non farlo di fretta”, a imitare ciò che si celebra, “partecipando al mistero della morte e risurrezione del Signore”, portando la morte di Cristo nelle membra e camminando “con Lui in novità di vita”.

“Con il Battesimo aggregherete nuovi fedeli al Popolo di Dio. Non rifiutare mai il Battesimo a chi lo chieda! Con il Sacramento della Penitenza rimetterete i peccati nel nome di Cristo e della Chiesa. E io, in nome di Gesù Cristo, il Signore, e della sua Sposa, la Santa Chiesa, vi chiedo di non stancarvi di essere misericordiosi. Nel confessionale voi sarete per perdonare, non per condannare! Imitate il Padre che mai si stanca di perdonare”.

Piacere a Dio, non fare i ‘pavoni’
Quindi, “con l’olio santo” i nuovi sacerdoti daranno sollievo agli infermi e, celebrando “i sacri riti e innalzando nelle varie ore del giorno la preghiera di lode e di supplica”, si faranno “voce del Popolo di Dio e dell’umanità intera”. L’esortazione del Papa è stata dunque a esercitare “in letizia e in carità sincera” l’opera sacerdotale di Cristo, “unicamente intenti a piacere a Dio” e non a se stessi:

“E’ brutto un sacerdote che vive per piacere a se stesso, che 'a il pavone'”!

Servire gli altri
L’impegno, ha proseguito, dev’essere a “unire i fedeli in un’unica famiglia”, ad essere “ministri dell’unità nella Chiesa, nella famiglia”, per condurre a Dio Padre “per mezzo di Cristo nello Spirito Santo”:

“Abbiate sempre davanti agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che non è venuto per essere servito, ma per servire; non per rimanere nelle sue comodità, ma per uscire e cercare e salvare ciò che era perduto”.

Gli ordinandi - ancor prima di vestire la stola e la casula, avere il palmo delle mani unto dal sacro crisma, ricevere il pane e il vino preparati per le celebrazioni - hanno risposto:

“Sì, lo voglio”.

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Francesco ad AC: arrivare ai lontani con balsamo misericordia

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Rinnovare la scelta missionaria per arrivare a tutti con il balsamo della misericordia, specialmente a chi si sente lontano ed i più deboli. E’ l’auspicio di Papa Francesco, in un messaggio a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, rivolto ai partecipanti al convegno delle presidenze diocesane di Azione cattolica, in corso a Roma sul tema: “La realtà “sorprende” l’idea. La missionarietà dell’Ac alla luce dell’Evangelii gaudium”.L’invito del Pontefice è di lavorare per un rinnovato slancio apostolico, animato dalla forte passione per la vita della gente, per contribuire così alla trasformazione della società e orientarla sulla via del bene.Il convegno si è aperto venerdì 24 aprile alla presenza di oltre 700 delegati giunti da 200 diocesi italiane e ha vissuto oggi  un momento significativo con la commemorazione del settantesimo anniversario della Liberazione, nel ricordo delle tante figure di Azione cattolica che hanno alla Resistenza, spesso pagando con la vita la fedeltà ai valori cristiani, l’amore per il Paese e per la libertà: fra questi, don Aldo Mai, Odoardo Focherini, Gino Pistoni, Michele Del Greco, Teresio Olivelli.

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Canada: beatificazione di suor Turgeon, una vita per i bimbi poveri

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A Rimouski, in Canada, il cardinale Angelo Amato, a nome del Papa, questa domenica presiede la Cerimonia di Beatificazione di Maria Elisabetta Turgeon, religiosa canadese vissuta nella seconda metà del XIX secolo, Fondatrice della Congregazione delle Suore di Notre Dame del Santo Rosario. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Se ti affidi totalmente al Signore, anche con una salute cagionevole potrai compiere grandi opere. E’ il messaggio forte che ci consegna la vita e l’azione apostolica di suor Marie-Élisabeth Turgeon, la nuova Beata canadese che nella sua breve vita - morì a 41 anni - riuscì a fondare la Congregazione delle Suore di Notre Dame del Santo Rosario. Una realtà che - un secolo e mezzo dopo l’istituzione - è florida e diffusa oggi in Canada, Stati Uniti, e Centro America.

Al servizio dei bambini poveri
La sua spiritualità era in particolare rivolta all’educazione dei bambini poveri delle campagne della diocesi di Saint-Germain di Rimouski non lontana da quella di Québec. Sempre serena, nonostante le molte sofferenze sopportate a causa della sua fragile salute, suor Marie-Elisabeth era una donna coraggiosa che non si perdeva d’animo dinnanzi alle non poche difficoltà incontrate nel portare avanti le sue “scuole di campagna”, un’innovazione che sarà incoraggiata dal vescovo locale del tempo, mons. Langevin. La religiosa aveva una fiducia incrollabile nel Signore e in particolare nella Divina Misericordia. Una volta affermò che “con la protezione di Gesù Cristo, le ragnatele sono più forti delle muraglie, ma senza la sua protezione le più forti muraglie sono fragili come ragnatele”. Sul carisma e la testimonianza della neo Beata, la riflessione del cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi:

“Si santificò proprio con la carità verso il prossimo bisognoso di istruzione e di formazione cristiana. Sono quattro gli aspetti più rilevanti della santità di Madre Élisabeth: ricerca e accettazione della volontà di Dio; missione concentrata sull'istruzione e sull'educazione cristiana dei piccoli; vita di fede, speranza e carità; unione con Dio nella preghiera”.

Preghiera e carità per fare la volontà di Dio
La carità fu dunque il segno distintivo della vita e della missione educativa di Madre Marie-Élisabeth assieme alla preghiera. Di fronte alle avversità, era solita affermare che “tutto concorre al bene di coloro che cercano la volontà di Dio”. E aggiungeva che “il riposo viene dopo il lavoro, la vittoria dopo la battaglia e la gioia dopo la sofferenza”. Poco prima di morire, alle sorelle che le stavano vicino, lasciò questo messaggio spirituale: “Mie sorelle, vi incoraggio particolarmente a vivere la comunione, la carità fraterna, giacché quando si è uniti in una comunità, quando la pace regna tra i suoi membri, si vive il cielo già sulla terra”.

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Gela, Convegno della Divina Misericordia: messaggio del Papa

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Una “provvidenziale opportunità” per “approfondire uno dei principali temi della predicazione di Gesù Cristo che è il volto della Misericordia del Padre”: così Papa Francesco, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, ha definito il VI Convegno della Divina Misericordia promosso oggi al Pala Livatino di Gela, in Sicilia. L’appuntamento raduna movimenti, gruppi di preghiera e fedeli che si ispirano al messaggio della Divina Misericordia consegnato da Santa Faustina Kowalska.  Al microfono di Tiziana Campisi, don Pasqualino Di Dio – tra gli organizzatori del convegno – spiega il perché dell’iniziativa: 

R. – Misericordia vuol dire andare incontro a chi soffre e noi qui, in Sicilia, stiamo vivendo questa situazione anche attraverso gli sbarchi, che continuamente avvengono nel nostro stretto. Il tema della Misericordia è questo annuncio di speranza e di amore che noi dobbiamo avere verso ogni persona, verso ogni nostro fratello.

D. – Perché la scelta di Gela per ospitare il Convegno della Misericordia?

R. – La nostra città è interessata oggi da crescenti disagi sociali, dovuti alla crisi del polo petrolchimico gelese. Questa situazione diventa esplosiva se rapportata al problema che noi viviamo, quello del disagio sociale legato alla malavita organizzata, che fa leva sul bisogno della gente per reclutare masse crescenti di giovani, che hanno perso ogni fiducia nelle istituzioni locali e che non riescono più a fronteggiare le istanze – sempre più crescenti – di giustizia sociale, di sicurezza nel futuro, di certezze per i propri figli. Per Gela diventa anche motivo di speranza, perché Misericordia vuol dire anche riscatto. Gela, la Sicilia, con tutto quello che stiamo vivendo, è una terra aperta, che ha tante potenziali spirituali, culturali e umane e soprattutto tanta capacità di amore e di accoglienza. Noi non possiamo permetterci di farci rubare la speranza e di piegarci nella rassegnazione, anche se a volte ci sentiamo soli… Dobbiamo aprirci con fiducia per costruire un futuro migliore.

D. – Il convegno è giunto alla sua sesta edizione. Quali sono i suoi frutti in questi anni?

R. – Il frutto principale è quello di aver trasformato quella che è la semplice devozione in una spiritualità, che è fondata sulla fiducia in Dio e la Misericordia verso i fratelli. Un ulteriore frutto è stata la creazione della Piccola Casa della Misericordia di Gela, che cerca di attualizzare il messaggio biblico della Misericordia e le indicazioni di Papa Francesco di andare incontro alle periferie esistenziali. La Piccola Casa è un centro il cui scopo principale è l’annuncio di Gesù Cristo, Buon Pastore e Buon Samaritano; così come la promozione dell’individuo, il suo reinserimento nel tessuto relazionale sociale. La Piccola Casa, con lo sforzo di tanti volontari, ogni giorno, nel silenzio, lavora per andare incontro al disagio di oltre 2 mila persone, cercando di soddisfare le necessità primarie, come mangiare, lavarsi, lavare la propria biancheria, essere ascoltati, sentirsi riconosciuti e recuperare risorse personali, fisiche e psicologiche attraverso il centro di ascolto e con le consulenza professionali. Sostiene gli immigrati e le famiglie con disagio socio-economico con la “Mensa della solidarietà”, la distribuzione di pacchi alimentari, di abbigliamento. La Casa è anche un centro di spiritualità ed organizza scuole di preghiera, corsi riservati alle famiglie e ai giovani; svolge anche un servizio di supporto alle famiglie dei carcerati e offre un sostegno scolastico ai ragazzi della scuola dell’obbligo. Vediamo come la Provvidenza ci assiste ed opera. Il messaggio della Misericordia se non passa dalla preghiera all’azione diventa sterile, diventa soltanto devozionismo e basta, fine a stesso, e non produce nulla.

D. – Questa Piccola Casa della Misericordia come è nata?

R. – E’ nata attraverso l’incontro che ho avuto con Papa Francesco il 2 aprile del 2013 e attraverso l’incontro con un povero: lì è nato questo desiderio di andare incontro a questi nostri fratelli. Tutto questo grazie alla disponibilità di coppie giovani che si sono subito adoperate per la realizzazione di questo progetto. Abbiamo visto come veramente il Signore ci assistesse dall’alto e benedicesse ogni nostra iniziativa. Anche grazie al sostegno del nostro vescovo, mons. Gisana, che è costantemente presente e ci spinge ad andare avanti. La Piccola Casa si trova in un locale, in affitto, che il Comune di Gela ci ha messo a disposizione: lì cerchiamo, insieme a loro e insieme alla diocesi, di aiutare famiglie disagiate e anche gli immigrati.

D. – Qual è il messaggio che vuole dare il Convegno della Misericordia di quest’anno?

R. – Il messaggio è quello del tratteggiare il volto dell’amore misericordioso del Padre che in Gesù Cristo possiamo vedere, che possiamo contemplare. Ma questo non basta, perché il volto di Dio dobbiamo ricercarlo nei fratelli, nei fratelli poveri, perché lì Gesù è presente. Quindi cercare la Misericordia di Dio, ma riversarla poi nelle opere: questo è anche lo spirito del Giubileo della Misericordia, che il Santo Padre ha indetto.

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Oggi in Primo Piano



Congo, il conflitto dimenticato del Kivu: rapiti tre operatori Onu

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Repubblica Democratica del Congo. Tre operatori dell’Onu, uno originario dello Zimbabwe e due congolesi, sono stati rapiti nella regione del Kivu, nota per il conflitto tra esercito e movimenti ribelli per la supremazia della zona, spesso con la partecipazione dei militari ruandesi. I tre, esperti di sminamento, stavano procedendo alla bonifica di una zona. Sulla attuale situazione della regione del Kivu, Giancarlo La Vella ha intervistato Enrico Casale, della rivista "Africa" dei Padri Bianchi: 

R. – La regione è instabile di suo, perché dobbiamo considerare che si tratta di una regione ricchissima di materie prime e questo scatena, quindi, gli interessi di numerosi operatori, di numerosi Stati e di numerose milizie. Di conseguenza nell’area non si sono mai placate le tensioni, proprio perché su questa area, da un lato, c’è l’interesse del Congo a riprendere il controllo sull’intera regione e, dall’altra parte, c’è l’interesse di potenze confinanti – penso soprattutto al Rwanda – ad estendere la propria influenza per riuscire a mettere le mani su queste risorse importanti.

D. – Come si sta vivendo in Kivu?

R. – Il vero problema - a mio parere - è proprio la popolazione civile: la popolazione ha subito negli ultimi 15 anni delle violenze inaudite e non solo nell’ambito di conflitti, ma anche relative proprio allo sfruttamento del territorio. Mi sono interessato negli anni scorsi della gestione delle miniere: nelle miniere di oro, per esempio, vengono sfruttati uomini, donne e anche i bambini. Ci sono enormi buche del territorio, dove si calano per recuperare un po’ di oro che andrà venduto in altri mercati e del quale a loro non rimarrà assolutamente nulla. Lavorano per 24 ore in condizioni tremende! Anche queste sono violenze legate alla guerra.

D. – Terra di conflitto vuol dire anche bambini soldato?

R. – Certamente! In questa area la piaga dei bambini soldato è particolarmente grave. Da sempre vengono arruolati ragazzi e bambini di tutte le età, che vengono mandati a combattere al fronte, sia nelle milizie, sia anche – purtroppo – in alcuni reparti delle forze armate. Una piaga terribile, perché segna la vita di questi ragazzi fino alla loro maturità, compromettendo praticamente la loro crescita. E’ una piaga veramente terribile!

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Elezioni in Benin: la gente chiede più sviluppo

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Domenica dedicata alle elezioni legislative in Benin, dove 4,4 milioni di persone sono chiamate a rinnovare gli 83 membri del parlamento, scegliendo tra i candidati di 20 diversi partiti. La campagna elettorale è stata condizionata dai progetti del presidente Boni Yayi di riformare la Costituzione del 1990. Il voto arriva, infatti, a un anno dalla scadenza del suo secondo mandato con l’opposizione che lo accusa di voler cambiare la carta per conquistare un terzo mandato. Per un commento Marco Guerra ha intervistato Jean-Baptiste Sourou, giornalista e docente universitario in Benin: 

R. - È stata una campagna elettorale molto interessante, per il fatto che i partiti dell’opposizione sono scesi in campo, basandosi soprattutto sugli insuccessi del governo, facendo leva sulle promesse non mantenute dal governo e anche sul fatto che molta gente oggi in Benin teme un possibile cambiamento della Costituzione - anche se la Corte costituzionale ha fatto capire, nel novembre del 2014, che non si può toccare la parte della Costituzione che dice che il mandato presidenziale nel Benin è di cinque anni, rinnovabile solo una volta. Il partito del presidente Yayi Boni e i suoi alleati desiderano 50 parlamentari da queste elezioni: 50 parlamentari su 83 fanno la maggioranza assoluta. Quindi la gente, durante tutta questa campagna, si è chiesta: “Cosa vorranno fare con questo numero così alto?”. L’opposizione dice: “Facciamo di tutto affinché non si arrivi a questi 50. Quindi chiudiamo ogni discorso di possibile cambiamento”. L’altra caratteristica di questa campagna, che riguarda sia i partiti dell’opposizione sia quelli che sono al governo, è che la popolazione non ha esitato a cacciare i candidati che facevano campagna elettorale, soprattutto quei candidati che hanno chiesto il voto nella passata legislatura e che non hanno mantenuto le promesse.

D. – Quali sono le sfide più importanti che deve affrontare il Paese dal punto di vista sociale, economico, legislativo…

R. – La prima sfida è che la democrazia nel Benin possa avere delle conseguenze economiche, dare la possibilità alla gente del Paese di poter respirare, di poter vedere qualche sviluppo in più nel Paese. E quando dico questo penso soprattutto ai giovani: ci sono tanti, troppi giovani nel Paese che sono senza lavoro e sono costretti ad andare via dal Benin. Persone che hanno diplomi in tasca, che sono costrette a guidare i taxi nelle città. C’è anche il problema della scuola, della sanità, delle infrastrutture e delle comunicazioni: ci sono tanti problemi, ma la cosa più importante per la gente adesso è avere i soldi in tasca per curarsi, comprarsi da mangiare, curare i figli, mandarli a scuola. Questo è il pensiero: che i ragazzi non siano abbandonati a se stessi.

D. – Qual è l’impegno della Chiesa nel Benin? Ci sono state richieste da parte dei vescovi sull’impegno dei candidati?

R. – La Chiesa ha sempre puntato a essere una Chiesa che forma le coscienze e a rimanere sempre neutrale. Quello che si è notato è che molti parroci hanno cercato di chiedere ai fedeli di votare secondo coscienza e non secondo le promesse che un domani non saranno mantenute. Soprattutto cercare in questo momento la coesione del Paese, perché si sa che le elezioni sono sempre un periodo molto sensibile per vari motivi. Quindi c’è anche questo discorso, di cercare di mantenere la coesione sociale, la pace sociale: votiamo, ma non dobbiamo dimenticare che siamo figli dello stesso Paese. Il Benin è sempre stato guardato dagli altri Paesi che sono attorno a noi come un Paese modello di democrazia. Anche se - come dicevo - le ricadute economiche non si vedono completamente ed è quello a cui aspira di più la gente. Però la nostra democrazia rimane sempre un punto di riferimento per tanti Paesi, perché non abbiamo avuto guerre civili. La gente del Benin – bisogna dire – porta nella sua anima sempre il desiderio di pace e di coesione. Per cui, la democrazia del Benin, nella regione dell’Africa occidentale, e al di là di questa regione, è sempre guardata come un modello. Questo bisogna dirlo.

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Siria: avanzano i jihadisti. Testimonianza cristiana a Damasco

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La guerra in Siria non conosce soste. Gruppi di combattenti islamici, compreso il Fronte al Nusra, la branca siriana di Al Qaeda, si sono impadroniti di gran parte della città strategica di Jisr al Shagur, nel Nord-Ovest della Siria, a soli 60 chilometri da Latakia, roccaforte del regime del presidente Assad sulla costa mediterranea. Lo riferisce l'Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria. Secondo fonti anti-governative, l’esercito di Assad controllerebbe ora solo il 25 per cento del Paese. La distruzione e la morte che i media raccontano della Siria non sono sufficienti a descrivere ciò che si sta vivendo: il mondo deve reagire. E’ questa in sintesi la testimonianza dalla Siria di Ghada Karioty, della comunità dei Focolari di  Damasco. Al microfono di Gabriella Ceraso racconta la situazione del Paese e la vita delle comunità cristiane: 

R. – E’ un Paese distrutto; l’economia a terra; è diviso; mancano tante cose e quando si trovano queste cose sono carissime per i salari minimi… La vita, però, continua e tutti i siriani tengono alla loro terra. C’è solidarietà e aiuto reciproco, nonostante la difficolta della vita. Davanti alle sofferenze che vivono potrebbero anche perdere la fede, ma invece hanno una fede incrollabile.

D. – Attraverso le attività che voi, come Movimento dei Focolari, fate per tenere viva la speranza, che cosa emerge?

R. – Cerchiamo soprattutto di sostenerli nel vivere il loro cristianesimo in modo autentico; cerchiamo di aiutare quelli che sono più nel bisogno, chi magari ha bisogno di fare una cura e non ha la possibilità di farla; cerchiamo anche di portare il sostegno del Santo Padre, che per loro è essenziale. Noi riceviamo anche tanto da loro. Abbiamo conosciuto una famiglia – ad esempio – che ha perso i due unici figli a causa di un razzo caduto sul loro balcone… Era una  tragedia! Il nostro sostegno, la nostra vicinanza, le nostre preghiere li hanno sostenuti e, dopo un anno, hanno avuto il coraggio di pensare di avere un altro figlio, che è nato una settimana fa… Era un miracolo!

D. – Non ci dimentichiamo che quattro milioni sono i siriani che sono andati via dal Paese. E’ un sentimento che pervade tutti, questo desiderio di fuga, e soprattutto qual è la sensazione rispetto a quello che dice il Papa, rispetto alle azioni internazionali?

R. – Tanti, che non pensavano affatto alla possibilità di andarsene, di fuggire, ci dicono sempre più che ora ci pensano, perché non vedono una soluzione. Soprattutto soffrono dell’indifferenza dell’opinione pubblica occidentale, sentono che sono abbandonati. Anche i musulmani. E tanti che volevano, sono partiti. Tanti vogliono invece, ma non riescono, perché non ottengono il visto, non avendo soldi per riuscire ad andarsene tramite questi – io li chiamo – “commercianti di vita umana”, che li fanno partire via mare. La metà non arriva a destinazione, però, perché muore in alto mare. E’ un dramma, dunque per la popolazione: non vorrebbero andare via, amano la Siria e sentono che sarà difficile fuori. C’è, infatti, tutta un’altra mentalità, altri valori, ma dicono: “Se rimaniamo rischiamo la vita”. Hanno visto cosa è successo in Iraq, vedono la persecuzione e vedono che nessuno si muove fuori, tranne il Papa che grida ogni volta, ma non so finora chi l’abbia ascoltato e chi si sia mosso. Sentono tanto questa ingiustizia da parte delle grandi potenze.     

D. – Uno degli ultimi drammi che si sta consumando proprio alle porte di Damasco, e sembra anche qui nell’indifferenza, perché non si decide cosa fare, è Yarmouk. Voi sapete qualcosa? Che sta succedendo?

R. - Una tragedia umanitaria già da un po’ di mesi. Anche il nunzio apostolico a Damasco ha fatto di tutto per chiedere alle ong di fare qualcosa. Ma non sono riuscite. Adesso la situazione si è aggravata e gli abitanti di Damasco hanno paura. Se non si fa niente, dunque, sul piano internazionale, non possiamo arrivare sul posto per portare gli aiuti.

D. – Come guardate avanti, come vi aiuta la fede?

R. – Noi viviamo l’attimo presente, quello che possiamo fare ogni minuto. Non sappiamo, infatti, domani come sarà e se saremo costretti anche noi a partire con tutti i cristiani di Damasco. La nostra sola speranza è nella fede, che magari ad un certo punto qualcuno ascolterà la voce del Papa. I musulmani pure continuano a pregare, a credere che Dio può. Se gli uomini, però, non collaborano, non si può arrivare ad una soluzione.

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Messa a Mazara del Vallo per tutte le vittime nel Canale di Sicilia

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Oggi sul sagrato della Chiesa di San Vito a mare a Mazara del Vallo, Santa Messa celebrata in memoria delle vittime dei naufragi nel Canale di Sicilia. La celebrazione, che si svolgerà alle 19.30, è stata voluta dallo stesso vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, con l’obiettivo di  far aprire gli occhi ed i cuori a quanti li hanno chiusi nei confronti di tanti uomini, donne e bambini in cerca di un futuro migliore, lontano da guerre e fame. Federico Piana lo ha intervistato: 

R. – E' una iniziativa che, rispetto alle altre, ha la peculiarità di essere celebrata sulla sponda, guardando questo mare che viene visto dalla sponda sud come mare di speranza, ma che si trasforma purtroppo e in maniera sempre più drammatica come un mare tombale. Noi pregheremo su questo mare, illumineremo con le nostre torce questo mare, per far vedere a questi defunti una luce nella speranza, che si accende nella preghiera.

D. – Lei ha scritto: “Ora che il numero delle vittime di un singolo naufragio nel Mediterraneo sfiora le quattro cifre dovremmo avere il buon senso e il pudore di cominciare a limitare le parole”. Tante volte si parla a sproposito?

R. – Sì! Purtroppo sentiamo veramente parole molto pesanti, parole indegne della nostra umanità prima ancora che della nostra fede, per noi che siamo credenti. Tutto questo fa male, perché vedere tanta insensibilità, vedere tanti occhi chiusi, vedere tanti cuori induriti di fronte alla sofferenza di uomini, donne, bambini, che non vengono a chiederci un pezzo di pane, che non vengono a rubarci lavoro: sono persone che chiedono rispetto della loro dignità e della loro vita; sono persone che sperimentano le atrocità le più miserande e che sono equiparabili solamente a quelle dei grandi regimi totalitari del Novecento. Di fronte a tutto questo io credo che noi uomini e cristiani dobbiamo iniziare veramente una lotta di resistenza per la liberazione della nostra terra da ogni rigurgito di disumanizzazione. Non è una questione né economica né religiosa: è una questione di civiltà, la civiltà dei diritti ed è una questione di nuovo umanismo. Se prescindiamo da tutto questo allora non ha senso né quello che siamo né quello che diciamo né quello che facciamo.

D. – Secondo lei, come si potrebbe risolvere questo problema dei continui sbarchi, delle morti atroci nel Mediterraneo?

R. – L’unica soluzione logica è quella di intervenire sulle cause e non tanto sui sintomi e sugli strumenti. A me questa idea di bombardare i barconi e tutto quello che si va dicendo in maniera più o meno insensata, sembra – e chiedo scusa per il paragone – il gesto di colui che ha la febbre molto alta e risolve il problema schiacciando e rompendo il termometro... Ognuno al proprio posto ha qualcosa da fare: noi come Chiesa, oltre all’accoglienza, abbiamo il dovere di educare alla mondialità vera.  Chiudere gli occhi e il cuore di fronte alla realtà ci espone non soltanto al giudizio pesantemente negativo sul piano etico e umano dell’oggi, ma ancora di più ci espone al giudizio tremendo che la storia dirà su questo nostro tempo quando esaminerà fatti e parole e soprattutto omissioni.

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Sindone: pellegrinaggio di giovani romani. Nel volto di Cristo la vita donata

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“Lasciatevi contemplare dal volto della Sindone, non cercatelo voi, li non c’è morte ma il preludio alla Resurrezione e restate in silenzio… il Signore vi parlerà lui” Così l’arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia, ha salutato ieri pomeriggio gli oltre 200 universitari romani che si sono recati nel capoluogo piemontese per visitare la Sindone. L’iniziativa è stata promossa dall'Ufficio per la Pastorale universitaria del Vicariato di Roma in collaborazione con l’Opera Romana Pellegrinaggi. Il servizio di Marina Tomarro

Cercare il volto dell’uomo dei dolori, vedere da vicino le sue sofferenze, ma anche quell’amore più grande che lo ha portato a donare la propria vita per la salvezza dell’umanità. Il vescovo ausiliare Lorenzo Leuzzi delegato per la pastorale universitaria diocesana di Roma:

R. – Credo che l’esperienza più importante del pellegrinaggio sia occasione di riflettere che il Signore Gesù ha un volto! La Sindone aiuta il credente a comprendere come Colui che incontra sia una persona reale, concreta, storica e storicamente raggiungibile anche oggi. Ecco perché credo che la Sindone possa essere un grande aiuto, soprattutto per i giovani che vogliono decidere le grandi scelte della propria vita in riferimento alla fede cristiana. Dunque non è una pura esperienza religiosa, ma la consapevolezza che le loro scelte devono essere radicate in un rapporto personale con Cristo che ha un volto ben definito.

D. – Qual è il messaggio dell’Uomo della Sindone che arriva a questi giovani, secondo lei?

R. – Credo che per i giovani sia una forza per ripartire; credo che il sapere -  anche a partire dai brani evangelici - che quel lenzuolo sia stata conservato per alcune ore nel sepolcro, dia un ulteriore segno che davvero quel volto non è una sofferenza fine a se stessa, ma è preludio di una vita più grande, che è la vita del Risorto.

E grande è stata per i ragazzi l’emozione di poter finalmente incontrare da vicino il volto dell’ Uomo della Sindone. Ascoltiamo i loro commenti:

R. – Vedere la Sindone, vedere raffigurati i tratti di Gesù e capire la sua sofferenza è stato qualcosa di grande! Non sarei mai voluta andare via…. Non è esistito più nulla: esistevo io e Gesù. Ho pensato che il suo amore è veramente grande per noi.

R. – E’ stata una grande emozione. In realtà è durata – purtroppo – poco la visita: sarei voluta, anche io, restare tanto tempo a guardare questa Sindone.

R. – L’emozione che mi ha suscitato è stata molto forte, perché vedere tutte le ferite e e soprattutto quel costato mi ha provocato un senso sì di tristezza, ma allo stesso tempo di gioia, perché so che quelle ferite erano per me e per il mondo intero.

D. – La Sindone ci richiama fortemente alla Passione di Gesù: quanto è importante ricordare la Passione di Gesù nella tua vita?

R. – Nel momento in cui mi si presenta qualche problema, io penso a quello che ha sofferto e a quello che ha passato Gesù e mi dico: “Forse il mio problema non è realmente assolutamente un problema!”.

R. – Pensare alla sua Passione, pensare a tutto ciò che Lui ha passato, rafforza la mia vita, rafforza il mio essere persona e rafforza la mia vita quotidiana.

D. - Cosa racconterai quando tornerai a casa ai tuoi amici che non sono potuti venire a Torino a vedere la Sindone?

R. – Sicuramente consiglierò loro di venirci il prima possibile, perché è una esperienza che ti può cambiare la vita. Se Cristo ti chiama, non puoi dirgli di no!

R. – Appena uscita dalla visita alla Sacra Sindone ho chiamato la mia amica per descriverle sia l’emozione che c’è stata, sia anche per dirle di venire a visitarla, perché c’era qualcosa che realmente rappresenta Gesù.

R. – Io sicuramente oltre al “cosa” e quindi al consigliare loro di venire, direi il “come” e cioè di prepararsi prima: che non sia ridotto ad un gita, ma ad un vero pellegrinaggio effettivo. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Burundi. Scontri dopo la terza candidatura di Nkurunziza

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Scontri che hanno causato anche qualche ferito, si sono verificati questa mattina a Bujumbura, capitale del Burundi, all’indomani dell’annuncio della candidatura di Pierre Nkurunziza, attuale presidente del Paese, alle elezioni presidenziali di giugno. Dal momento che per Nkurunziza, se eletto, sarebbe il terzo mandato consecutivo, le opposizioni hanno definito la sua candidatura “incostituzionale”, gridando al colpo di Stato, e avevano indetto per oggi manifestazioni pacifiche, immediatamente vietate, però, dalle autorità.

Il presidente uscente
Pierre Nkurunziza, 51 anni, ex leader dei ribelli, è capo di Stato in Burundi ininterrottamente dal 2005. Secondo i partiti di opposizione, la sua candidatura violerebbe gli accordi di Arusha, che aprirono la strada alla fine della lunghissima guerra civile che insanguinò il Paese dal 1993 al 2006. Con l’acuirsi della tensione in uno Stato che, fin dalla sua indipendenza nel 1962, è stato caratterizzato dalla violenza interetnica, si accendono nella comunità internazionale i timori che possa nuovamente scivolare nella violenza: “Un’occasione perduta per la democrazia”, ha definito la candidatura di Nkurunziza un portavoce della Casa Bianca, palesando anche possibili sanzioni al Burundi, qualora il voto del 26 giugno non si svolgesse in maniera regolare. (R.B.) 

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Appello dei vescovi albanesi contro la corruzione

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“Dimostrare una volontà irreversibile per decriminalizzare la politica”: è quanto chiede la Conferenza episcopale albanese in una lettera indirizzata a “tutti gli albanesi di buona volontà”, in vista delle elezioni amministrative del 21 giugno. La prossima tornata elettorale - sostengono i presuli, citati dall’agenzia Sir - è "un'occasione opportuna perché i partiti politici dimostrino apertamente la loro volontà" in questo senso. Da qui l'invito a "distaccarsi dai candidati corrotti, che hanno comprato i voti con soldi o in altre maniere, che hanno corrotto altre persone o hanno favorito, durante i loro mandati, l'appropriazione indebita di fondi pubblici". Come già in passato, i vescovi condannano la compravendita di voti e lanciano un appello affinché essa “non si verifichi più", in quanto rappresenta "un'offesa contro Dio e contro una sana morale umana e religiosa".

La politica tuteli bene comune e promuova la sussidiarietà
Quindi, i vescovi di Tirana si rivolgono ai soggetti istituzionali ed ai candidati, chiedendo loro di "avere davanti agli occhi il bene di tutte le persone", nell’elaborare i loro programmi politici, così da garantire la promozione de "il principio di sussidiarietà, creando le basi e le condizioni di uno sviluppo e di un auto-sostegno dignitoso delle famiglie albanesi". Il pensiero, poi, va anche ai giovani che "devono essere incoraggiati a non abbandonare il Paese ed a porsi al suo servizio”; per questo, “la possibilità di studiare e di lavorare sono strumenti efficaci perché i giovani continuino a vivere in Albania".

Votare è obbligo morale, indipendentemente dalla scelta che si fa
La Chiesa cattolica di Tirana, inoltre, esorta tutti i "cittadini albanesi, cristiani e non cristiani" a "prendere parte al voto con cultura e dignità": "Non possiamo essere indifferenti al voto – si legge nella lettera - Se non votiamo oggi, non possiamo chiedere un riscontro domani. Il voto è un obbligo morale indipendentemente dalla scelta che si fa". Allo stesso tempo, i presuli lanciano un appello “alle coscienze dei cittadini: se i candidati sono conosciuti per il loro passato criminale e corrotto, non votateli. Anche l'astensione o il voto bianco è un'opzione. Se nessuno dei candidati incarna i criteri per essere eletto, allora l'astensione diventa un obbligo morale".

Creata una piattaforma governativa contro la corruzione
Da ricordare che il governo albanese, all'inizio del 2015, ha anche creato una piattaforma nazionale, raggiungibile al sito www.stopkorrupsionit.al proprio per contrastare l'illegalità, chiedendo la collaborazione di tutti i cittadini. Ma resta ancora molto da fare: secondo quanto emerge dall'ultimo rapporto della commissione Affari esteri dell'Europarlamento sulle riforme realizzate in Albania nel 2014 nel quadro del processo di adesione, "gli eurodeputati ritengono che si debba ulteriormente sostenere e promuovere la lotta alla corruzione e la creazione di un'amministrazione pubblica professionale e depoliticizzata".

L’Europa chiede maggiori garanzie
Inoltre, il Paese "dovrebbe fare di più per garantire l'indipendenza, l'efficienza e la responsabilità del sistema giudiziario così come l'autonomia del servizio radiotelevisivo pubblico". La relazione della Commissione verrà votata dal Parlamento europeo durante la prossima Plenaria, in programma a Strasburgo dal 27 al 30 aprile. (I.P.)

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Torino celebra 150.mo della Basilica di Maria Ausiliatrice

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Il 2015 è davvero un anno importante per la Famiglia Salesiana: oltre al Bicentenario della nascita di Don Bosco, infatti, ricorre anche un altro importante anniversario, il 150.mo della posa della prima pietra della Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino, avvenuta il 27 aprile 1865.

Prima pietra fu collocata dal Duca Amedeo d’Aosta
Come spiega l’agenzia salesiana Ans, La pietra angolare della erigenda Chiesa di Maria Ausiliatrice fu benedetta dal vescovo di Susa, mons. Giovanni Antonio Odone, e venne collocata dal Duca Amedeo d’Aosta, figlio di Vittorio Emanuele II, alla presenza di numerosi rappresentanti istituzionali dell’epoca. Don Bosco ricordò l’avvenimento con un fascicolo commemorativo e promosse, per l’occasione, anche una lotteria.

La promessa di Don Bosco
I lavori di costruzione, affidati all’impresa del capomastro Carlo Buzzetti, erano iniziati nell’autunno del 1863. Terminati gli scavi, nell’aprile del 1864, Don Bosco disse al Buzzetti: “Ti voglio dare subito un acconto per i grandi lavori”. Così dicendo tirò fuori il borsellino, l’aprì e versò nelle mani di Buzzetti quanto conteneva: otto soldi, nemmeno mezza lira. “Sta’ tranquillo! – aggiunse - La Madonna penserà a provvedere al denaro necessario per la sua Chiesa”.

Il sogno profetico del 1844
Don Bosco parlava a ragion veduta: in un sogno profetico del 1844, la Vergine Maria gli si era presentata nelle vesti di una pastorella e lo aveva invitato a guardare a mezzogiorno. “Guardai e vidi un campo seminato a ortaggi – raccontava il fondatore dei salesiani — ‘Guarda un’altra volta’, mi disse la Vergine. Guardai di nuovo e vidi una stupenda ed alta Chiesa. Nell’interno di quella chiesa c’era una fascia bianca su cui a caratteri cubitali stava scritto: Hic domus mea, inde gloria mea”, “Qui la mia casa, di qui la mia gloria”.

La gloria di Maria Ausiliatrice
“In questo Bicentenario della nascita di Don Bosco è bello fare memoria della ‘Gloria’ che Maria Ausiliatrice ha manifestato dalla sua casa - afferma don Pierluigi Cameroni, postulatore generale delle Cause dei Santi della Famiglia Salesiana - In particolare oggi Maria vuole che dalla sua casa la sua ‘Gloria’ raggiunga le nostre case, rinnovando la vita delle famiglie secondo il disegno di Dio”.  

Ad agosto, Congresso internazionale
“In questa prospettiva – prosegue il salesiano – si colloca la celebrazione del VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, evento di Famiglia Salesiana, che verrà celebrato a Torino e al Colle don Bosco dal 6 al 9 agosto 2015”. Per informazioni e iscrizioni si può fare riferimento al sito www.mariaausiliatrice2015.org (I.P.)

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La gioventù salesiana del Lesotho dice no alla xenofobia

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I giovani che frequentano gli Istituti salesiani a Maseru, in Lesotho, lo hanno scritto su un semplice foglio di carta, con la semplicità e l’immediatezza di chi sa che sta affermando qualcosa che dovrebbe essere ovvio: il no alla xenofobia. L’iniziativa si è tenuta in solidarietà con il confinante Sudafrica, scosso da tempo da violenze e scontri che vedono protagonisti i giovani sudafricani impegnati nell’attaccare le minoranze immigrate nel Paese. Solo nelle ultime settimane – spiega l’agenzia salesiana Ans - negli attacchi a Durban e nei sobborghi di Johannesburg, sono rimaste uccise 6 persone.

Dal 2008 ad oggi, più di 350 stranieri uccisi
Ad essere colpiti spesso sono i negozi e le attività commerciali degli stranieri, ritenuti “colpevoli” di sottrarre lavoro ai sudafricani. Molti immigrati dei Paesi vicini, come Zimbabwe, Mozambico, Malawi e Lesotho, hanno dovuto richiedere la protezione della polizia e diverse migliaia stanno rimpatriando, anche su invito dei rispettivi governi. Secondo il Centro delle migrazioni africane dell’università di Witwatersrand, dal 2008 ad oggi, in Sudafrica, sono stati oltre 350 gli stranieri uccisi e la maggioranza di questi crimini è rimasta impunita.

L’appello della Chiesa al rispetto della legge ed al dialogo
Nei giorni scorsi, la Chiesa sudafricana ha più volte condannato tali atti: in un messaggio di protesta, il card. Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, ha ribadito che "la xenofobia è contraria alla Costituzione del Sudafrica, all’umanesimo africano e alla fede cristiana, che vuole costruire ponti e non mura di difesa”. Sulla stessa linea anche l’Istituto dei gesuiti del Sudafrica (Jisa), per il quale simili avvenimento rappresentano “un altro episodio della vergognosa storia di xenofobia nel Paese”, dopo l’apartheid. Per questo, il Jisa esorta al “rispetto della legge ed al dialogo tra i leader religiosi, i rappresentanti delle istituzioni ed i commercianti per puntare su un sistema di educazione civica che guardi al contributo positivo che gli immigrati danno al Sudafrica, dal punto di vista sociale ed economico”. (I.P.) 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 116

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.