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Sommario del 24/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa a vescovi Namibia e Lesotho: attenzione a poveri e famiglie

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Famiglia, poveri, protagonismo dei laici nella Chiesa: questi i temi al centro del discorso consegnato da Papa Francesco ai vescovi di Namibia e Lesotho, ricevuti oggi in Vaticano in occasione della visita ad Limina. Il servizio di Sergio Centofanti

Grande attenzione ai poveri nei piani pastorali
Mai dimenticare i poveri nei piani pastorali: è quanto chiede il Papa ai vescovi di Namibia e Lesotho. Dunque, “grande attenzione” ai più bisognosi, ricordando che “quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri". Tra questi ci sono anche i malati di Aids. Ma occorre “superare l'egoismo nella vita privata e pubblica”. Questa è una delle grandi sfide che le Chiese di questi due Paesi dell’Africa australe devono affrontare.

Promuovere sana vita familiare di fronte a opinioni distorte
L’altra emergenza è la famiglia. Papa Francesco pensa alle tante realtà familiari cristiane “divise a causa del lavoro lontano da casa o per la separazione o il divorzio”. Di qui l’esortazione a essere sempre vicini alle famiglie in difficoltà e a rafforzare la preparazione al matrimonio cristiano. Il Pontefice ringrazia i presuli per l’impegno a promuovere “una sana vita familiare di fronte a opinioni distorte che emergono nella società contemporanea”. Aiuto e sostegno andranno portati anche “dove ci sono minacce alla vita umana, dal grembo materno alla vecchiaia”. Compito della Chiesa è formare famiglie che contribuiscano alla pace nel mondo, perché “la famiglia è certo il luogo propizio per l’apprendimento e la pratica della cultura del perdono, della pace e della riconciliazione". In questo contesto, Francesco chiede di garantire “che il sacramento della misericordia sia ampiamente disponibile”. “Da famiglie sane - sottolinea inoltre il Papa - verranno numerose vocazioni sacerdotali, famiglie dove gli uomini hanno imparato ad amare in quanto sono stati incondizionatamente amati”, soprattutto quando “sono più deboli”.

Testimoniare impegni sacerdotali, celibato e distacco da beni materiali
Di fronte a un “apparente diminuzione delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa – osserva - è importante parlare apertamente dell'esperienza appagante e gioiosa di offrire la propria vita a Cristo”, dando la testimonianza di una vita personale vissuta “nella verità e nella gioia” degli impegni sacerdotali, del celibato e nel distacco dai beni materiali. Necessario comunque un attento discernimento delle vocazioni.

Laici cattolici siano protagonisti
Papa Francesco esorta poi a rilanciare il laicato cattolico, il cui ruolo è “sempre più indispensabile”. I fedeli laici – afferma – siano “protagonisti di una società africana rinnovata" attraverso un’evangelizzazione che riguarda tutti i membri della Chiesa chiamata a portare ovunque “la misericordia risanante di Cristo”.  In questo modo – conclude il Papa -  vogliamo semplicemente indicare “la fonte dell’autentica realizzazione personale", cioè “il cammino verso la nostra più profonda felicità”.

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Francesco: ricordare sempre l'incontro con Gesù che ci ha cambiato la vita

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Gesù non dimentica mai il giorno in cui ci ha incontrato per la prima volta, chiediamo a Dio la “grazia della memoria” per ricordarlo sempre. È l’auspicio di fondo espresso da Papa Francesco all’omelia della Messa del mattino celebrata nella cappella di Casa Santa Marta. Il servizio di Alessandro De Carolis

Un incontro. È il modo scelto da Gesù per cambiare la vita degli altri. Emblematico è quello con Paolo di Tarso, il persecutore anticristiano che quando giunge a Damasco è ormai diventato un Apostolo. Papa Francesco si sofferma sul celebre episodio proposto dalla liturgia odierna e allarga lo sguardo alla miriade di incontri che costellano la narrazione dei Vangeli.

Il primo incontro
Più precisamente, Francesco considera il “primo incontro” con Gesù, quello che “cambia la vita” di chi gli sta di fronte. Giovanni e Andrea, che trascorrono con il Maestro “tutta la serata”, Simone che subito diventa la “pietra” della nuova comunità, e poi la Samaritana, il lebbroso che torna a ringraziare per essere stato risanato, la donna ammalata che guarisce sfiorando la tunica di Cristo. Incontri decisivi che devono indurre un cristiano – afferma il Papa – a non smarrire mai la memoria  del suo primo contatto con Gesù:

“Lui mai dimentica, ma noi dimentichiamo l’incontro con Gesù. E questo sarebbe un bel compito da fare a casa, pensare: ‘Ma quando ho sentito davvero il Signore vicino a me? Quando ho sentito che dovevo cambiare vita o essere migliore o perdonare una persona? Quando ho sentito il Signore che mi chiedeva qualcosa? Quando ho incontrato il Signore?’. Perché la nostra fede è un incontro con Gesù. Questo è il fondamento della fede: ho incontrato Gesù come Saulo oggi”.

La memoria di ogni giorno
Interroghiamoci con sincerità, suggerisce Francesco, chiediamoci: “Quando tu mi hai detto qualcosa che ha cambiato la mia vita o mi hai invitato a fare quel passo avanti nella vita?”:

“Questa è una bella preghiera e mi raccomando fatela ogni giorno. E quando ti ricordi, gioisci in quello, in quel ricordo che è un ricordo di amore. Un altro compito bello sarebbe prendere i Vangeli e guardare tante storie lì e vedere come Gesù incontra la gente, come sceglie gli apostoli ... Tanti incontri che sono lì con Gesù. Forse qualcuno di quelli assomiglia al mio. Ognuno ha il suo proprio”.

Non dimentichiamo il primo amore
E non dimentichiamo neanche, conclude Papa Francesco, che Cristo intende il “rapporto con noi” nel senso di una predilezione, un rapporto d’amore “a tu per tu”:

“Pregare e chiedere la grazia della memoria. ‘Quando, Signore, è stato quell’incontro, quel primo amore?’. Per non sentire quel rimprovero che il Signore fa nell’Apocalisse: ‘Ho questo contro di te, che ti sei dimenticato del primo amore’“.

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I cristiani in Medio Oriente nel colloquio del Papa col presidente ceco

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Papa Francesco ha ricevuto in udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano, il presidente della Repubblica Ceca, Miloš Zeman, che poi ha incontrato mons. Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati.

“Durante i cordiali colloqui, svoltisi nella ricorrenza del venticinquesimo anniversario della ripresa delle relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e l’allora Repubblica Federativa Ceca e Slovacca, avvenuta il 19 aprile 1990 – riferisce la Sala Stampa vaticana - è stata confermata la comune volontà di rafforzare i buoni rapporti bilaterali, nonché di concludere le trattative in vista della stipula di un Accordo bilaterale. E’ stato espresso il desiderio di sviluppare ulteriormente la cooperazione tra Chiesa e Stato nei settori di comune interesse, in particolare nell’ambito culturale, educativo e sociale, a beneficio dell’intera Nazione. Nel prosieguo della conversazione, ci si è soffermati sull’attuale contesto internazionale, con particolare attenzione alla situazione dei cristiani e delle altre minoranze in Medio Oriente”.

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Altre udienze e nomine di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto stamani il card. Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e la signora Ana Maria Freire.

Negli Usa, Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Greensburg, presentata da mons. Lawrence E. Brandt, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha nominato vescovo di Greensburg il rev.do Edward C. Malesic, del clero della diocesi di Harrisburg, finora vicario giudiziale e parroco della “Holy Infant Parish” a York Haven.

In Germania, il Santo Padre ha nominato vescovo ausiliare della diocesi di Regensburg mons. Josef Graf, del clero della medesima diocesi, finora direttore spirituale del Seminario maggiore di Regensburg, assegnandogli la sede titolare vescovile di Inis Cathaig.

Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Burkina Faso e in Niger mons. Piergiorgio Bertoldi, consigliere di nunziatura, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Spello, con dignità di arcivescovo.

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Nulla osta causa Beatificazione per don Mazzolari e mons. Cazzani

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“Sentimenti di gioia e di rendimento di grazie a Dio” li ha espressi il vescovo di Cremona, mons. Dante Lafranconi, dopo la notizia del nulla osta all’apertura della fase diocesana della Causa di Beatificazione di don Primo Mazzolari e mons Giovanni Cazzani. Mirabile l’impegno del parroco di Bozzolo per la pace, la giustizia sociale, per una Chiesa in dialogo al servizio dei poveri e dei lontani. Massimiliano Menichetti: 

Don Primo Mazzolari: guerra, punto oscuro dell'umanità
“Lasciate che io vi dica una parola intorno alla guerra: è un punto oscuro dell’umanità e la ricapitolazione di tutte le ingiustizie e di tutti i dolori umani”.

E’ con una voce ferma e decisa che don Primo condannava ogni guerra rifiutando categoricamente anche solo l’espressione “guerra giusta”. Nato a Boschetto, frazione di Cremona, nel 1890, divenne sacerdote 22 anni dopo. Don Mazzolari morì a Bozzolo il 12 aprile 1959. Visse le due guerre mondiali, anche come cappellano. Tanti gli incarichi da vicario a parroco. Instancabile la sua testimonianza al fianco degli ultimi, dei lontani. Un cristianesimo incarnato dentro la storia, senza paura anche durante il periodo fascista. Oltre 50 le sue pubblicazioni. Definito “profeta” da Paolo VI e “Tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”, da Giovanni XXIII, don Primo non si stancò mai di schierarsi al fianco dell’uomo. Note le sue omelie nella Messa per il primo maggio, San Giuseppe lavoratore:

“...che il lavoro diventasse possibile per qualsiasi, perché dietro le braccia senza lavoro ci sono delle famiglie che non mangiano. E poi c’è un’altra rivendicazione dal mondo del lavoro: la fatica deve essere giustamente retribuita, non per vivere appena, ma per vivere da uomini e da cristiani”.

Il postulatore: don Mazzolari, un prete che ha vissuto in mezzo alla gente
Una Chiesa che dialoga, povera tra poveri era l’asse che guidava il suo agire, convinto che la testimonianza cristiana avrebbe sanato i mali del mondo.

La figura e la spiritualità di don Mazzolari sono un punto di riferimento per la vita cristiana di questo tempo”. Così il postulatore don Bruno Bignami, presidente della Fondazione "Don Primo Mazzolari":

R. – Don Primo è stato un prete semplice perché ha vissuto il suo ministero in mezzo alla gente. E anche quando il vescovo gli aveva chiesto, dopo la Prima Guerra mondiale, di tornare a insegnare in seminario, la sua richiesta esplicita invece è stata quella di condividere la vita della gente. Ma a partire da questa esperienza molto umile, molto semplice c’è anche un modo di essere credenti dentro la storia, che Mazzolari ha portato avanti, e cioè di essere preti che sanno ascoltare, accogliere le provocazioni che la storia presenta e anche offrire risposte alla luce del Vangelo. Da questo punto di vista, possiamo parlare di un Mazzolari come innamorato del Vangelo: questa mi sembra la prerogativa principale. Non a caso i suoi testi sono stati scritti molto spesso come commento a testi evangelici e anche la sua predicazione è stata apprezzata in ogni parte d’Italia.

D. – Due guerre mondiali accanco dei lavoratori, accanco degli umili, dei più poveri, in difesa dei diritti, in difesa dell’uomo …

R. – E’ stata una vita, la sua, segnata dagli eventi storici molto drammatici, a partire proprio dalle due Grandi Guerre. E Mazzolari è stato coinvolto in entrambe: nella prima come soldato semplice, poi come cappellano militare; nella seconda invece come uomo che ha appoggiato la resistenza e poi è dovuto anche scappare, fuggire dalla parrocchia per alcuni mesi perché ricercato e sostanzialmente condannato a morte.

D. – Di fronte a qualunque difficoltà non si è mai scoraggiato …

R. – E’ sempre stato un uomo di speranza: anche dentro questi eventi drammatici ha costruito la speranza. Non a caso, è stato una figura tra le più significative nel secondo dopoguerra, quando si è trattato di ricostruire il tessuto italiano in un clima da una parte di pacificazione, dall’altra però anche dando un contributo da cattolico perché ci fosse al centro il bene comune, le istanze dei poveri, le necessità del mondo del lavoro … Insomma, le tante preoccupazioni che hanno spinto questo prete ad essere vicino alle istanze della gente.

D. – Però, per quanto riguarda le istanze nel mondo del lavoro – sottolineava – “la Chiesa è la prima che difende le persone”, e riagganciava la necessità di un “giusto salario, di un giusto lavoro, altrimenti le famiglie non si sfamano, altrimenti la vita non c’è, non può esistere” …

R. – Sono famose le sue omelie in occasione del primo maggio: Mazzolari celebra il primo maggio in parrocchia come momento forte già negli Anni Venti, quando era parroco a Cicognara. In una delle ultime, faceva un paragone molto evidente tra il sacrilegio di un sacerdote che butta via l’Eucaristia e chi non pagava la giusta mercede agli operai: questo come riconoscimento del valore del lavoro e come riconoscimento del lavoro stesso.

D. – C'è poi il rifiuto della guerra: sembra un richiamo quanto mai attuale nel tempo presente …

R. – Sì, perché Mazzolari ha avuto il grande merito – secondo me – di riflettere sul tema della pace e del rifiuto della guerra a partire non da astrazioni, ma dalla realtà. Mazzolari aveva vissuto il dramma della guerra in prima persona nel primo conflitto mondiale e questo ha permesso a lui di utilizzare nuove categorie nel leggere il tema della guerra e della pace. E per questo, il “Tu non uccidere”, testo che esce anonimo nel 1955 perché non erano ancora maturi i tempi per un discorso di pacifismo avanzato, anche nel mondo cristiano, quel testo diventa davvero una fonte di energia e di riflessioni sul tema della guerra e del rifiuto del concetto di “guerra giusta”, a partire proprio da un’esperienza, non da riflessioni astratte o campate in aria.

D. – Qual è l’eredità e l’attualità di don Primo Mazzolari?

R. – La sintetizzerei in questo: cioè, un cristianesimo incarnato nella storia. Cioè, la capacità di vivere il Vangelo interpretando ciò che la storia presenta, sapendo essere significativo all’interno della storia.

Il vescovo di Cremona: rapporto esemplare tra don Primo e mons. Giovanni Cazzani
Nulla osta anche per la causa di beatificazione di mons. Giovanni Cazzani, contemporaneo di don Primo, a 37 anni divenne vescovo di Cesena e dal 1914, fino alla sua morte, fu vescovo di Cremona. Mons. Dante Lafranconi attuale vescovo di Cremona:

R. – E’ stato proprio un desiderio, chiedere che le due cause – che procederanno ciascuna per conto proprio – venissero portate all’attenzione dell’opinione pubblica in contemporanea. Perché praticamente l’episcopato di mons. Cazzani copre quasi tutto il tempo ministeriale di don Primo Mazzolari. Mons. Cazzani è morto nel 1952, don Mazzolari è morto nel 1959 e si sa che il ministero di don Mazzolari, la sua figura, i suoi interventi hanno anche suscitato a volte delle perplessità, delle reazioni in cui il vescovo per forza era implicato. Quello che mi ha colpito è il constatare un rapporto tra vescovo e prete veramente bello, esemplare: di un vescovo che dice quello che deve dire, anche quando sa di non far piacere a don Mazzolari; ma lo dice proprio con animo paterno, lo dice con il senso della verità e della carità. E dall’altra parte, don Primo sa rispondere, anche magari puntualizzando: “Non condivido esattamente questo, non condivido … però accetto”. Quindi, la bellezza, secondo me, che è anche un elemento della santità dell’uno e dell’altro, è proprio questo rapporto, vissuto nella verità, nella carità fraterna e anche nella obbedienza.

D. – Qual è il tratto forte dei due?

R. – In don Primo è stato certamente una attenzione precisa, forte a quelle fasce di persone che chiamiamo “i lontani”, come diceva anche lui, o che comunque erano in un atteggiamento non di piena adesione alla Chiesa; di pastore che non si cura soltanto del gregge che è vicino, ma si cura anche di quelli che sono più lontani e fa entrare dentro il suo ministero il respiro di problemi universali. In mons. Cazzani, è stato proprio il suo animo di pastore di una Chiesa che ha dovuto accompagnare durante due guerre mondiali – perché mons. Cazzani è arrivato qui, a Cremona, nel 1914, quindi ha vissuto tutta la Prima Guerra mondiale e anche tutta la Seconda Guerra mondiale. Il pastore-vescovo ha sempre avuto la forza di dire la verità, anche scontrandosi a volte con il regime, ma nello stesso tempo, senza dimenticare che era pastore anche di “queste” persone, che quindi non poteva dimenticare nessuno. Questi due tratti di attenzione a chi è vicino e chi è lontano, intervenendo ora con l’approvazione e ora anche con il richiamo, con il rimprovero, mi sembrano due tratti che alla fin fine trovano espressioni analoghe, sia in don Mazzolari, sia in mons. Cazzani.

D. – Queste due figure, cosa dicono oggi?

R. – Ci indicano che bisogna avere uno sguardo pastorale a 360°, e ci dicono oggi che di fronte alle situazioni mondiali – possiamo pensare ai problemi del lavoro, ai problemi di un’Europa che va costruendosi, ai problemi mondiali della persecuzione nei confronti dei cristiani, dei profughi – bisogna avere un cuore grande che non si chiude sul piccolo problema locale, ma che lo vive intensamente con uno sguardo e con un cuore – soprattutto – aperto anche a questi problemi che sono di carattere universale.

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Parolin: per il Papa il dialogo è un arma universale di bene

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Il dialogo ragionevole e rispettoso delle differenze è un motore di progresso per il mondo globalizzato. Questa convinzione di Papa Francesco è stata espressa dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, nel suo intervento a Padova in occasione del “dies academicus” organizzato per il decennale della Facoltà Teologica del Triveneto. Il servizio di Alessandro De Carolis:

La “regola di vita di Papa Francesco” è “un mondo di relazioni e di dialogo”. Un “mondo aperto” che è all’opposto dei tanti “muri” che anche nell’era della globalizzazione, del mondo multipolare e interconnesso, continuano a essere innalzati. Steccati economici, politici, sociali, religiosi, laddove Francesco guarda a un “mondo aperto”, che protegge le singole identità, ma è solidale e inclusivo sempre.

Dialogo leale
Il cardinale Pietro Parolin analizza a fondo il Magistero del Papa nella “letcio magistralis” che tiene alla Facoltà Teologica del Triveneto. Per Francesco, sostiene il segretario di Stato, il dialogo non è mai una “teoria” o un semplice “scambio di idee”. Nella sua visione è sempre la “realtà” il punto di partenza, letta senza infingimenti, e il dialogo – purché condotto in modo “ragionevole e “leale” – il modo più alto per un vero progresso dell’umanità. E in questa “visione del mondo”, un cardine per Francesco – sottolinea il cardinale Parolin – è quello della “solidarietà”, perché essa è “garanzia” che un mondo “che è alla ricerca di una reale giustizia e di un maggiore benessere” e che al tempo stesso “non può dimenticare gli ultimi, né abbandonare coloro che non riescono a mantenere i ritmi di un’efficienza spesso esasperata”.

Un modo fraterno
Lo sviluppo della “lectio” porta il segretario di Stato a toccare i temi sensibili della pace e, sul rovescio, della guerra. Dei “piani geopolitici”, degli interessi e delle avidità di denaro e potere che si muovono “dietro le quinte”, da un lato, e dall’altro della “nuova collaborazione sociale ed economica, libera da condizionamenti ideologici”, che il Papa auspica possa affermarsi in campo internazionale, ritenendola in grado – osserva il cardinale Parolin – di “fermare la guerra e creare le condizioni” della pace, facendo “fronte al mondo globalizzato” e “mantenendo vivo quel senso di solidarietà e carità reciproca”. Anche perché, chiarisce il porporato, “nel mondo aperto per Papa Francesco questa fraternità, profonda e reale” non è “privilegio dei cristiani ma accomuna ogni popolo”.

“Ragion di Stato”, “ragion di Chiesa”
Dopo aver riflettuto sulle responsabilità della teologia e dei teologi, secondo le intenzioni di Papa Francesco – cioè di uno studio che “non può prescindere dal mondo reale” – il cardinale Parolin approda alle questioni più attuali del dialogo interreligioso e dell’attività diplomatica della Santa Sede, al suo “soft power” fatto, dice, “di convinzioni e comportamenti esemplari”, che si mostra come contraltare all’“hard power” dei governi, imperniato sulla “potenza economico-finanziaria o le armi”. Anche in questo caso, il dialogo può disinnescare, secondo gli insegnamenti di Francesco, i fondamentalismi “culturali, religiosi o teologici” e per questo tocca intanto alle religioni – asserisce il segretario di Stato – “interrogarsi” e “partecipare alla costruzione della pace”.

Abbattere i muri
Dialogare, nell’ottica del Magistero del Papa, vuol dire gettare ponti e “costruire una società sul lungo periodo, asserisce il cardinale Parolin, mentre i muri che continuano a erigersi – e che fanno soffrire Francesco – “sembrano quasi voler affermare – obietta – che il dialogo è impossibile, che le differenze di credo sono incompatibili, dimenticando che una condizione di pace e il rispetto della vita sono elementi fondamentali per garantire una convivenza rispettosa della dignità di ogni persona, della sicurezza dei diversi popoli e dello statuto di ogni religione”. Da questa convinzione, soggiunge il porporato, “nasce il motivo che ha indotto il Papa a chiedere che fosse fermata l’avanzata delle forze del cosiddetto Califfato nel Nord della Siria”.

Giovani “vuoti”
Parlando in un contesto universitario, e quindi a dei giovani, il cardinale Parolin conclude individuando due “trasformazioni” emblematiche e problematiche della civiltà europea occidentale, che richiedono una riflessione e una risposta. Una è “il vuoto dell’anima” della gioventù europea che sembra aver dimenticato i suoi valori di civiltà e forse per questo, nota il porporato, ha visto tanti ragazzi del continente “attratti dalla radicalità della violenza” spingersi fino in Siria “per unirsi a quanti combattono usurpando il nome di Dio”.

Il “vuoto” dell’eutanasia
La seconda trasformazione riguarda la “volontà” di diversi Paesi europei “di dare all’eutanasia lo status di diritto umano. Credo che su questa volontà della ragione umana di intervenire in uno dei processi fondamentali della vita, il rispetto dei tempi della vita e della morte, sia importante interrogarsi non solo – afferma il segretario di Stato – con i principi e le argomentazioni della morale”. Anche qui, il porporato individua un “vuoto esistenziale,” di fronte al quale, riconosce, “manchiamo forse anche della più piccola speranza che vada oltre la ragione per aprirci alla relazione, alla solidarietà, all’amore invece di rinchiuderci nella morte”. Invece, termina, la speranza, come ricorda Papa Francesco, “è in realtà un ‘desiderio ardente’” di Gesù e questa “supera tutte le circostanze scoraggianti o d’isolamento, le sensazioni di solitudine e di vuoto.

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Auza all'Onu: rischi estremismo tra giovani, educare al dialogo

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Sostenere le famiglie ad educare i figli nel rispetto degli altri. Così l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu, mons. Bernardito Auza, intervenuto al Palazzo di Vetro di New York al dibattito sul ruolo dei giovani nel contrasto all’estremismo violento e per la promozione della pace. L’arcivescovo ha pure preso parte alla riunione intergovernativa per l’agenda di aiuti post-2015. Il servizio di Giada Aquilino

Aiuti alle famiglie
Lavorare con le famiglie e sostenerle negli “sforzi per educare i bambini e i giovani ai valori del dialogo e del rispetto per gli altri”, affinché resistano a ciò che solo “in un primo momento” può sembrare una interessante chiamata a una “causa superiore” e a un’“avventura” con i gruppi estremisti. Questa l’esortazione dell’arcivescovo Bernardito Auza all’Onu di New York. La famiglia, ha sottolineato, è “la prima educatrice dei bambini”: se gli Stati puntano davvero ad arrivare ai giovani prima che siano esposti a “ideologie estremiste” dovrebbero fornire “aiuti appropriati ai genitori”.

Reclutamento sul web
D’altra parte oggi, ha proseguito, i giovani possono utilizzare internet e i social media per “entrare in contatto, fare amicizia e conoscere le grandi culture e tradizioni” di tutto il mondo. “Purtroppo - ha osservato - questi grandi progressi tecnologici possono anche essere manipolati per diffondere messaggi di odio e violenza”. La risposta dei giovani al reclutamento da parte di chi li incita all’estremismo violento si sviluppa “in un contesto di disillusione e di occasioni perse”, di crisi di “identità socio-culturale”, di “mancata integrazione”, di “alienazione e insoddisfazione”, ma anche di rottura intergenerazionale e “con le famiglie”.

Favorire discussioni pubbliche
Studi ad hoc hanno mostrato come alcuni governi tendano “a evitare” un dialogo franco e costruttivo sulla questione della radicalizzazione, invece di promuovere discussioni pubbliche: nascondere il problema “è controproducente” ha avvertito mons. Auza. Una “politica pubblica equilibrata” svolge poi un ruolo chiave nel facilitare “una solida integrazione nella società degli immigrati, come cittadini”. “Molto necessarie” appaiono, quindi, politiche che scoraggino percezioni xenofobe o razziste e contribuiscano al rispetto di valori religiosi e socio-culturali sani.

Senza religione, giovani disorientati
La religione, ha ricordato l’osservatore permanente, costituisce una parte importante di “tali sistemi di valori”. Quelle politiche e quelle concezioni educative “che cercano di ridurre al minimo o eliminare” la componente della fede nelle identità individuali e collettive potrebbero “lasciare il giovane disorientato, alienato, marginalizzato”, facile preda del messaggio dei gruppi estremisti. Non c’è dubbio, inoltre, che gli slogan usati da tali realtà implichino spesso “distorti valori religiosi e socio-culturali”. E’ per questo che leader religiosi e organizzazioni “devono condannare messaggi di odio in nome della religione”, promuovendo comprensione e rispetto tra popoli di fedi diverse. 

Vulnerabilità sociale
Certo, la disoccupazione e la disperazione contribuiscono alla vulnerabilità di molti giovani, come pure le disuguaglianze economiche e di sviluppo e le forme di emarginazione, che possono quindi diventare una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale.

Promuovere pace coi social media
In tale contesto, mons. Auza ricorda che, negli sforzi per promuovere una cultura della pace, i giovani sono la “risorsa più preziosa”: per contrastare l’estremismo è possibile dunque promuovere “voci sicure e rispettate” tra i loro coetanei, nelle medesime piattaforme usate dagli estremisti stessi per reclutare nuovi membri, cioè i social media.

Agenda aiuti post-2015
In occasione della riunione intergovernativa per l’agenda Onu di aiuti post-2015, l’osservatore permanente della Santa Sede ha ricordato i “progressi compiuti negli ultimi due decenni” per sollevare dalla povertà 660 milioni di persone nel mondo.

Non è stata sconfitta la povertà
Eppure, ha aggiunto, gli ultimi dati della Banca Mondiale costituiscono un richiamo alla grandezza del compito che ancora abbiamo davanti: 1,2 miliardi di persone non hanno accesso all'elettricità, 870 milioni sono malnutrite e 780 milioni sono senza accesso ad acqua pulita e potabile. È dunque il momento di “maggiori sforzi” per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) “per tutti i Paesi” e per tutta l’umanità, continuando a migliorare insieme le nostre vite e soprattutto quelle “dei più poveri e vulnerabili”.

Mobilitare risorse finanziarie
La delegazione della Santa Sede, ha concluso mons. Auza, concorda nel sottolineare che “ogni tentativo deve essere fatto per mobilitare le risorse finanziarie” destinate all’attuazione dell’agenda post-2015, in ambito pubblico e privato, nazionale e internazionale. Un aumento degli investimenti, seppure in quantità minime, potrà contribuire ad assicurare ulteriori capacità per fornire servizi di base alle comunità più in difficoltà, nel rispetto della dignità della persona.

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Ai Musei Vaticani torna l'apertura serale

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Anche quest’anno i Musei Vaticani aprono al tramonto. Dal 24 aprile al 31 luglio e dal 4 settembre al 30 ottobre 2015, tutti i venerdì (primo maggio escluso) dalle 19,00 alle 23,00, i Musei del Papa saranno visitabili. Un invito rivolto certamente ai turisti ma soprattutto alla gente di Roma come ci spiega il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei. L’intervista è di Emanuela Campanile: 

R. – L’apertura notturna dei Musei Vaticani, i venerdì d’estate, dalla tarda primavera fino a ottobre compreso, è una cosa che ha dimostrato di avere successo. Il numero dei visitatori è sempre cresciuto, anno dopo anno, e quindi con molto piacere la replichiamo anche quest’anno. Addirittura ci sarà una pubblicità sui mezzi pubblici di Roma, sugli autobus, che fa propaganda proprio a questa nostra iniziativa.

D. – Insomma i Musei Vaticani ci hanno sempre abituato a numeri impressionanti per i visitatori: il fatto che siano aperti anche la sera che tipo di lavoro vi costringe a fare?

R. – Significa il lavoro di straordinari del personale di custodia: per forza, senza di loro non si aprono i Musei. Poi è un’operazione che si accompagna anche ad audizioni musicali con Santa Cecilia di Roma per esempio. Quindi, si offre insieme la bellezza dell’arte figurativa, la bellezza della natura… le notti di Roma, e anche la musica. Questa è una cosa che tutti gli anni abbiamo sempre ripetuto e lo faremo anche quest’anno. Serve anche ad alleggerire la pressione che c’è di giorno nei Musei, anche perché l’apertura notturna è soprattutto pensata per il popolo di Roma. D’altra parte i Musei Vaticani, se voi girate i Musei Vaticani, quasi dappertutto ci sono grandi lapidi dei Papi antichi che dicono proprio questo: “Populo romano”: i Musei sono per il popolo di Roma. E la sera, d’estate, il popolo di Roma può approfittare di questa occasione straordinaria, di vedere sotto il cielo di Roma, nella notte di Roma, i capolavori dell’arte e della musica insieme. Questa è una cosa che mi stava a cuore, che ripeto molto volentieri e voglio goderla anch’io, godermi le sere d’estate nel Cortile della Pigna, per esempio, o nel Cortile Ottagono, accanto al Laocoonte o all’Apollo del Belvedere. Quindi, è un piacere che regalo anche a me stesso.

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Oggi in Primo Piano



Sgominata rete di Al Qaeda, no preoccupazioni per Vaticano

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Operazione antiterrorismo. Le forze dell’ordine questa mattina hanno compiuto un blitz contro un network, che aveva base in Sardegna. L’indagine della Procura distrettuale di Cagliari, coordinata dal Servizio operativo antiterrorismo, ha coinvolto le Digos di 7 province. Per il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, l’ipotesi di un attentato in Vaticano nel 2010, emersa dalle indagini, “non e' oggi rilevante e non è motivo di particolari preoccupazioni". Il servizio di Alessandro Guarasci 

Una ventina le ordinanze di arresto nei confronti di affiliati di Al Qaeda. Di queste ne sono state eseguite nove, otto pachistani e un afghano, altri tre sono ancora ricercati. Altri ancora risultano emigrati dal territorio nazionale. Tra gli arrestati ci sono gli autori di numerosi e sanguinari atti di terrorismo e sabotaggio in Pakistan compresa la strage del mercato di Peshawar avvenuta ad ottobre 2009 in cui vennero uccise più di 100 persone. Le indagini, avviate nel 2005, hanno consentito stabilire che l'organizzazione operava prevalentemente in Sardegna e nel Lazio ed aveva contatti diretti con Osama Bin Laden. Della rete faceva parte anche un kamikaze pachistano che arrivato nel 2010 venne immediatamente individuato dalla Digos di Sassari. La polizia fece delle perquisizioni che costrinsero l'organizzazione a far espatriare il terrorista. Dalle conversazioni intercettate emergerebbe che era in preparazione un attentato in Vaticano. Per il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, l’operazione dimostra “che il nostro sistema funziona” e “che il nostro è un grande Paese capace di assestare questi colpi”.

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Gentiloni: Lo Porto volontario generoso, onoreremo la memoria

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“Tre mesi di verifiche, poi, il 22 aprile, l’informazione data al governo italiano. Ora sarà un’inchiesta della magistratura a chiarire i fatti”. Così i sintesi il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, in un'informativa alla Camera sull'uccisione a gennaio del cooperante siciliano Giovanni Lo Porto tra Pakistan e Afghanistan. L’opposizione insorge e chiede le dimissioni del premier. Intanto, in America il Washington Post rivela i dubbi dell’amministrazione Usa sui rischi delle operazioni condotte con i droni. Il servizio di Gabriella Ceraso

Giovanni Lo Porto era in vita lo scorso autunno poi, tra Afghanistan e Pakistan, le azioni militari si sono intensificate tanto da rendere impossibile acquisire informazioni. Così dice il ministro Gentiloni, che ai deputati spiega delle collaborazioni internazionali in corso contro il terrorismo e per la ricerca degli ostaggi italiani - cita padre Dall'Oglio in Siria e Ignazio Scaravilli in Libia- ma parla anche del cordoglio per non aver evitato un "tragico errore". Gli Stati Uniti, dice, non potevano sapere che nel compound colpito dal drone ci fossero due ostaggi. E le opposizioni insorgono: è imbarazzante,dicono, l’Italia non ha coraggio con gli Stati Uniti. Ma anche Washington sta riflettendo se si sia fatto abbastanza per eliminare gli errori della strategia dei droni. “Sofisticati ma non intelligenti”, commenta l’esperto dell’Ispi, Andrea Carati :

R. – La tecnologia dei droni è sensibilmente migliorata nell’arco dell’ultimo decennio. Hanno in buona parte decapitato alcune leadership, soprattutto dei talebani pakistani. Hanno senz’altro indebolito o almeno limitato la libertà di movimento dei gruppi armati, però gli effetti collaterali non sono soltanto sul piano umano, etico e anche giuridico. L’attacco dei droni finisce anche per inimicare anche la società civile. Non solo, ma alcuni esperti americani, dell'"intelligence" dicono che la migliore lotta al terrorismo si fa catturando i terroristi, non uccidendoli, perché così si riesce a estrapolare informazioni molto importanti per una campagna contro il terrorismo.

D. – Questa considerazione arriva a qualche giorno da quell’ipotesi che era stata lanciata, sullo scenario libico, dell’uso di droni per combattere i trafficanti. Dunque, non ci si può fidare?

R. – Ma, è un’ipotesi piuttosto bizzarra: avrebbe tutti gli effetti collaterali che ha in Pakistan, probabilmente moltiplicati. Poi, bisogna tenere presente che una campagna con utilizzo di droni armati necessita di un’"intelligence" particolarmente efficace per selezionare in modo molto, molto accurato i bersagli. Questo, gli americani più o meno lo fanno, con la Cia e con il servizio di "intelligence" del Pentagono. Rimane da vedere chi farà questa raccolta di "intelligence", invece, nel Mediterraneo, e se si avranno le capacità, i mezzi per far sì che gli attacchi siano sul serio mirati e quindi efficaci, piuttosto che aggiungere ai disastri umanitari che già conosciamo altre vicende drammatiche.

D. – Una delle critiche che sono state mosse dalle opposizioni alle parole del ministro Gentiloni è stata che l’Italia non è in grado di pesare nelle decisioni americane…

R. – Immaginare che l’Italia abbia uno scambio di informazioni paritario con gli Stati Uniti è fuori luogo, è fuori dalla realtà. In più, per gli americani tanto più un teatro è di vitale interesse – come è percepito quello in Afghanistan e in Pakistan – più tendono all'unilateralismo, molto più che in contesti in cui possono accettare di cooperare, di condividere decisioni... A questo va aggiunto, poi, che in realtà nell’amministrazione americana, che naturalmente si è presa la responsabilità politica di quello che è accaduto, c’è un dibattito sull’utilizzo dei droni che viene fatto sia dalla Cia sia dal Pentagono. Il presidente americano ha avuto buon gioco a cercare di controllare e stabilire criteri piuttosto stringenti nella selezione degli attacchi, nell’autorizzarli, eccetera – per quel che riguarda gli attacchi di droni condotti dal Pentagono – ma per quel che riguarda invece la Cia rimane una zona d’ombra di cui anche la stessa opinione pubblica americana, lo stesso Congresso americano non sa tutto. Pretendere che lo sappiano le autorità italiane forse è un po’ troppo. 

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Mons. Perego: da vertice su immigrati Europa solidale esce sconfitta

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Il vertice europeo di ieri sull'immigrazione ha deciso di rafforzare in primo luogo Triton. Un'operazione però che ha il limite delle 30 miglia marine. Rimane da capire come avverrà il salvataggio di chi rischia di naufragare vicino le coste libiche. Alessandro Guarasci ha sentito il direttore della Fondazione Migrantes della Cei mons. Giancarlo Perego: 

R. - Il vertice europeo vede piccoli passi di una Europa che è ancora incerta e paurosa di affrontare un dramma di migliaia di persone che sono sulle coste libiche, di 200.000 persone che sono arrivate in Europa lo scorso anno e di questi morti che ci lasciamo alle spalle. Piccoli passi perché, se è vero che sono state aumentate le risorse, che hanno raggiunto sostanzialmente la stessa somma che l’Italia aveva messo a disposizione da sola per Mare Nostrum e si lotta ancora contro i trafficanti con alcune azioni anche puntuali, si dimentica completamente una serie di aspetti che erano invece fondamentali e anche richiesti dall’Onu. Questi aspetti erano i canali umanitari e il rafforzamento di un numero sensibile più alto di accoglienza dei rifugiati nei diversi Paesi europei. E si dimentica ancora una volta il soccorso in mare. Credo quindi che da questo vertice abbiamo la sconfitta di un’Europa sociale e solidale di fronte al dramma delle migrazioni.

D. – Il ricollocamento degli immigrati avverrà su base volontaria da parte dei singoli Stati. Lei ha visto anche in questo vertice poca solidarietà europea?

R. – Abbiamo visto appunto un’Europa che è ancora un’Europa delle nazioni, delle singole nazioni, che ha paura di affrontare insieme un dramma che riguarda la sua sicurezza e la sicurezza del domani dell’Europa. C’è l’incapacità di stabilire anche un numero significativo di persone da accogliere in tutti gli Stati: si è parlato di 5.000 persone, una cifra assolutamente insignificante rispetto, ad esempio, all’annuncio che ieri ha fatto da solo l’Anci di accogliere nei comuni italiani 40.000 persone. Ecco, questo dice come non c’è la disponibilità di condividere insieme questo programma sociale, di solidarietà nei confronti dei richiedenti asilo, dei rifugiati.

D. – Per lei, il bombardamento dei barconi può essere una prima soluzione per contrastare il traffico di persone?

R. – Persone più esperte di me hanno detto come la distruzione dei barconi sarebbe una soluzione molto rischiosa, oltre che inconcludente e darebbe ancora una volta la sensazione di un intervento armato all’interno di un Paese che vive grandi tensioni e quindi provocherebbe ancora di più tensione nei confronti dei Paesi europei.

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Leader mondiali commemorano 100.mo del martirio armeno

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Numerosi capi di Stato, tra cui il russo Vladimir Putin e il francese Francois Hollande, si sono uniti stamani ad Erevan per commemorare il 100.mo anniversario del martirio di un milione e mezzo di armeni. Ieri, il Catholicos di tutti gli armeni Karekin II ha celebrato – nella Cattedrale di Etchmiadzin, una Messa di canonizzazione di tutti gli armeni trucidati dall’impero ottomano tra il 1915 e il 1917. In Armenia, per la commemorazione, presente a nome del Papa anche il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Che il tempo non cancelli la memoria di una immane tragedia, la vita di un popolo intero reciso dalla violenza. Con questo spirito, numerosi capi di Stato si sono riuniti a Erevan per la cerimonia di commemorazione dell’eccidio degli armeni, un milione e mezzo di persone uccise dalle truppe ottomane tra il 1915 e il 1917. A presiedere l’evento il presidente dell’Armenia, Serzh Sarkisian, il quale ha espresso l’auspicio che i recenti progressi nel riconoscimento del genocidio armeno aiutino a “dileguare le tenebre di cento anni di negazionismo”. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha affermato che non ci possono essere “giustificazioni per il genocidio di un popolo”. E di “genocidio” hanno parlato anche il presidente francese Francois Hollande e quello tedesco Joachim Gauck.

Di “atrocità di massa” ha parlato, invece, il presidente americano Barack Obama in una dichiarazione, evitando il termine genocidio, che viene contestato dalle autorità di Ankara. Anche oggi, il presidente turco, Tayyip Erdogan, ha affermato che le “rivendicazioni” degli armeni al riguardo sono “infondate”. Non solo leader politici, ma anche tante le personalità religiose presenti alle diverse celebrazioni in Armenia a partire dal cardinale Kurt Koch, inviato a nome di Papa Francesco. Il presidente del dicastero per l’Unità dei Cristiani è nel Paese caucasico dal 21 aprile ed ha preso parte a numerosi eventi in ricordo delle vittime della strage degli armeni. Alla commemorazione hanno inoltre preso parte i leader della Conferenza delle Chiese d’Europa, in rappresentanza delle Chiese ortodosse, ortodossa orientale, anglicana e protestante.

Particolarmente toccante, ieri, la celebrazione con la quale davanti alla Cattedrale di Etchmiadzin a pochi chilometri dalla capitale, il Catholicos Karekin ha canonizzato tutti i martiri uccisi in quello che gli armeni definiscono “Il Grande Male”. Alla Messa hanno preso parte numerosi armeni della diaspora. Dal canto suo, il patriarca maronita Bechara Raï, dall’Armenia, ha chiesto alla comunità internazionale di “riconoscere il genocidio degli armeni”, affinché non si “ripetano simili crimini nel mondo, soprattutto in Medio Oriente”.

In questa triste ricorrenza, il cardinale Fernando Filoni ha offerto una sua riflessione sul quotidiano “Avvenire”. “Chi parla ancora, oggi, del massacro degli armeni?”, si domanda il porporato. Il prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli rammenta che tra il 1915 e il 1917 “fu posta in atto una vera strage” con l’intento di “liberare la Turchia dai suoi nemici interni”, che erano i cristiani. E sottolinea, di ritenere che la cifra di un milione di morti, riportata da numerose pubblicazioni, non sia esagerata. Il cardinale Filoni conclude la sua riflessione con le parole del domenicano Francois-Marie Dominique Berré che, poco dopo la strage, “si augurava che la coscienza delle nazioni civili potesse un giorno mettere in funzione delle commissioni d’inchiesta per rendere giustizia alle innumerevoli vittime”.

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Dibattito Onu - leader religiosi. Maria Voce: nuova volontà di dialogo

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La nascita di un Comitato consultivo permanente in sede Onu affidato ai leader religiosi. Questa una delle proposte lanciate mercoledì sera al Palazzo di Vetro di New York al termine di un dibattito voluto dai 193 Stati membri con 15 leaders religiosi tra cui la presidente dei Focolari Maria Voce. Tema del confronto: tolleranza e riconciliazione per sconfiggere l’estremismo violento. I risultati verranno integrati nei contenuti dell’agenda per lo sviluppo per il dopo 2015. Cosa è emerso dunque e con quali prospettive? Gabriella Ceraso lo ha chiesto alla stessa Maria Voce raggiunta telefonicamente a New York: 

R. – Quello che mi sembra sia emerso è una grande volontà di cambiare atteggiamento, di essere cioè veramente in un atteggiamento di dialogo, di ascolto, di reciproco rispetto verso tutti, per trovare quelle strategie che poi – nei diversi contesti – permettano questo incontro, affinché non diventi uno scontro, ma una accoglienza reciproca per costruire una pace più duratura. Questo mi sembra sia emerso chiaramente.

D. – Nel suo intervento lei ha usato parole forti, ha detto che, davanti ad una situazione di "gravissima disgregazione" e anche di" estremismo violento", non ci possono più essere "mezze misure". Serve una "conversione anche nella governance globale" e l’Onu stesso – secondo le sue parole – dovrebbe fare un esame un po’ sulla sua identità. Cosa ha voluto dire e suscitare con queste parole e soprattutto come sono state accolte dall'Onu?

R. – A me sembra che siano state accolte molto bene. Ho avuto l’impressione che rispondessero ad un bisogno che loro stessi sentivano. E’ stato un confronto – secondo me – che loro ricercavano. Sono entrata in questa Assemblea dell’Onu con nell’anima il senso che bisognava capovolgere qualche cosa e quando usavo queste parole forti sentivo che era un capovolgimento: ritenere che è possibile quello che umanamente parlando sembra impossibile. Quindi è anche possibile che l’Onu diventi veramente quello per cui è nata: una sede in cui le nazioni possano certamente esprimere il loro pensiero, possano portare le loro esigenze e più che le nazioni direi i popoli, le persone, sentendosi rappresentate per la costruzione di un bene comune, che passa attraverso la condivisione dei beni, attraverso una maggiore giustizia sociale, attraverso una rinuncia dei mezzi violenti. E ho sentito che l’Onu ha la capacità di mettere in campo queste risorse, ma che per farlo ha bisogno del sostegno che viene anche dai popoli, che viene da tutti coloro che sono interessati a dare questo sostegno e quindi anche dalla voce dei leader religiosi.

D. – Le sembra che nel contesto, che è quello dell’Onu, effettivamente venga riconosciuto un ruolo alle religioni in questo momento che stiamo vivendo? E poi quale contributo hanno potuto dare i leader religiosi in questo incontro?

R. – Mi sembra che il contributo che i leader religiosi abbiano dato sia stato veramente notevole e che sia stato riconosciuto anche dall’Onu. Il fatto stesso che siamo stati invitati - e ritengo che questo sia stato molto di più di un invito - è stata veramente una richiesta di aiuto, l’espressione di un bisogno, un bisogno di lavorare insieme per il bene dell’umanità. E questo mi sembra che i leader religiosi lo abbiano sentito e che abbiano risposto adeguatamente. Questo non vuol dire che dappertutto i leader religiosi siano considerati per quello che veramente possono dare, però certamente all’Onu sono stati considerati per questo. E’ stato chiesto loro di dare incidenza ed influenza sulle comunità, sulle idee di coloro che li seguono, sulla formazione di coloro che li seguono così che possano costruire questo futuro migliore. Mi sembra che questo l’Onu l’abbia fatto egregiamente.

D. – Sappiamo che i contenuti di questo vostro dibattito saranno integrati nell’agenda per lo sviluppo per il dopo 2015: ci crede che questo sia possibile?

R. – Io ci credo! Anche perché ho visto la buona volontà di tutti.Poi il fatto che ci siamo incontrati ha permesso loro di riconoscere il positivo che c’è nella visione religiosa dell’umanità, ecco credo che proprio in questo incontro stia l’idea vincente di questo dibattito. Mi sembra anche molto importante il fatto che proprio da loro, dall’Onu stessa, si preveda già la possibilità di costituire un comitato consultivo permanente in cui entri la voce dei leader religiosi.

D. – Lei ha chiesto, nel suo intervento, all’Assemblea: “Che fare?”. Una domanda alla quale ha risposto citando le parole di Chiara Lubich: “Non arrendiamoci!”. Io lo chiedo a lei, come lei lo ha chiesto all’Onu: che fare?

R. – La risposta è ancora la stessa: non arrendiamoci, lavoriamo affinché ci sia veramente questa nuova coscienza da parte di tutti che la pace si può costruire solamente insieme.

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Giornata meningite, Rezza: disinformazione contro i vaccini

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In occasione dell'odierna Giornata mondiale contro la meningite è stata lanciata una nuova campagna d'informazione sui vaccini. Oggi l'Italia registra 1000 nuovi casi l'anno. Nonostante l’esistenza di numerose vaccinazioni, alcune forme di meningite che prima si ritenevano debellate sono tornate a colpire. Federica Bertolucci ha intervistato il dott. Giovanni Rezza, virologo all’Istituto Superiore di Sanità:  

R. - La meningite è un fenomeno globale. Ricordiamo che in Africa, soprattutto il sierogruppo A, ma anche altri sierogruppi, come il gruppo W-135, danno vita a delle epidemie ricorrenti, soprattutto nella fascia del Sahel, che fanno migliaia di casi e purtroppo anche molti morti. In Occidente, l’incidenza è minore: nei Paesi industrializzati abbiamo una situazione di endemia, però talvolta si determinano dei focolai epidemici, anche se molto ristretti rispetto a quanto avviene nel Sahel. Certamente bisognerebbe fare di più per aumentare soprattutto le misure di prevenzione, anzitutto con il vaccino.

D. – La vaccinazione ha risentito di false credenze. Per esempio, c’è chi parla di un legame tra l’autismo e le vaccinazioni contro la meningite. Come risponde a questo tipo di disinformazione?

R. – Beh, diciamo che il legame con l’autismo è stato ipotizzato soprattutto nei confronti del morbillo e via dicendo: perché una volta che questo mito ha cominciato a circolare, dopo ha assorbito anche le altre vaccinazioni. Tuttavia, tutti gli studi scientifici hanno dimostrato che non c’è assolutamente alcuna correlazione tra ogni tipo di vaccinazione e l’autismo e altre malattie dello spettro autistico. Il punto è che, purtroppo, c’è un sentimento anti-vaccinale che, sicuramente nei Paesi industrializzati, ma anche in alcuni Paesi poveri di risorse, Paesi in via di sviluppo, ha preso piede; e questo fa sì che le coperture vaccinali tendano a calare. Anche se in questo momento, per quanto riguarda la meningite, le coperture vaccinali nei bambini - per esempio anche in Italia - non sono basse.

D. – Una volta contratta la meningite, qual è l’efficacia delle cure?

R. – In teoria, essendo una malattia batterica, con una buona dose di antibiotici la meningite potrebbe essere affrontata e sconfitta. Il problema è quando invece l’infezione da meningococco si manifesta subito come una sepsi, una setticemia, una infezione generalizzata, come rilascio di tossine nel sangue. In quel caso si va spesso incontro a quella che viene definita “coagulazione intravascolare disseminata” e a un collasso, uno shock. Questo purtroppo può portare a morte nel giro di poche ore. Questo è il motivo per cui non sempre si riesce ad affrontare come si vorrebbe la meningite.

D. – Contro la meningite, l’unica prevenzione, ad ora, è la vaccinazione?

R. – Certamente. Perché la meningite si contrae per contatto diretto. Non c’è modo per prevenirla, perché spesso i portatori sono sani e allora l’unica misura efficace veramente è la vaccinazione. Per quanto riguarda l’Italia, è fortemente raccomandata la vaccinazione contro il meningococco di tipo C, quello che dà focolai epidemici – per esempio sta dando un focolaio epidemico in questi giorni proprio nel nord della Toscana – e viene raccomandata a un anno di età circa. Per quanto riguarda invece altri vaccini – per esempio è disponibile un vaccino contro quattro sierogruppi diversi di meningococco, e questo è raccomandato soprattutto agli adolescenti, agli adulti, ai viaggiatori. E da pochi mesi è disponibile anche un altro vaccino contro il sierogruppo B, che è quello che in Italia, da quando è stata iniziata la vaccinazione contro il sierogruppo C, è più frequente, circola di più, e però non c’è ancora una raccomandazione a livello nazionale. Io penso che proprio di questo si sta discutendo in questi giorni. 

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Libro su "Don Bosco oggi": dialogo tra cultura, ragione e fede

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Presentato, questa mattina, presso l’Aula Magna dell’Istituto Patristico Augustinianum il volume “Don Bosco oggi. Intervista a don Artime, decimo successore di Don Bosco”, curato dal giornalista Ángel Expósito. A duecento anni dalla nascita di Don Bosco, quest'opera si presenta rievocativa della vita del Santo e della Torino del suo tempo, mettendo anche a fuoco la crescita ed i propositi del movimento. Ce ne parla don Ángel Fernández Artime, rettore maggiore dei salesiani, al microfono di Claudia Minici

R. – Posso dire che questo volume di Don Bosco oggi sia un po’ un lavoro che abbiamo voluto fare, prima di tutto, come segno di riconoscenza a Don Bosco, e, con questo giornalista spagnolo molto conosciuto, crediamo che sia un volume non per specialisti. La sua narrazione, infatti, è semplice per poter arrivare a quelli che sono più lontani dal mondo religioso e dal mondo salesiano. Questa sarebbe un po’ la definizione del volume.

D. – Si dà rilievo ovviamente anche alla sua figura, come decimo successore di Don Bosco. Vi è quindi un filo conduttore tra passato e presente?

R. – Ho detto all’inizio, anche alla casa editrice, che la mia vita non è speciale. Credo che lo sia la figura di Don Bosco e qui si parla di Don Bosco in 12 appuntamenti. Poi c’è il dialogo con il giornalista per parlare un po’ di tutto, di attualità, con lo sguardo allo stesso tempo di noi educatori, educatrici della famiglia salesiana. In questo senso sì, credo che troviamo un collegamento tra noi e don Bosco, perché la domanda è sempre: “Cosa farebbe Don Bosco oggi?” E siamo sicuri, in tante situazioni, cosa fare. Per esempio, nella comunicazione sociale siamo sicuri che Don Bosco sarebbe al primo posto, per la sua grande sensibilità.

D. – Ha un valore speciale questo volume, perché esce nel bicentenario della sua nascita. Quest’opera cosa vuole lasciare in eredità?

R. – Certo che l’opportunità del bicentenario vuole essere soprattutto una opportunità per avvicinare coloro che non sono così assidui ai luoghi della Chiesa e della famiglia salesiana a Don Bosco. Non è un libro di profondità, non è un libro di storia critica, no. E’ solo un modo per avvicinare il mondo di oggi a Don Bosco e alla realtà salesiana, in un dialogo di cultura, ragione e fede.   

D. – Sarà pubblicato in varie lingue, quindi in qualche modo il carattere un po’ internazionale della realtà salesiana verrà fuori…

R. – Sì, io credo che comunicare con la Spagna, con l’Italia, con la cultura tedesca, croata, statunitense, sia l’attualità. Soprattutto, quindi, dire: parliamo di tante cose che in questo momento sono importanti, specialmente per i ragazzi, per i giovani, per l’educazione. Questa è la sua forza, credo.  

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Nella Chiesa e nel mondo



Bartolomeo I a mons. Sako: vicino ai cristiani iracheni

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Il patriarca caldeo Louis Raphael I Sako ha compiuto una visita ufficiale in Turchia, incontrando fedeli e visitando luoghi di culto della tradizione caldea in terra ottomana. Fra i momenti salienti del viaggio il faccia a faccia con Bartolomeo I al Fanar, il quartiere greco di Istanbul dove sorge la cattedrale di San Giorgio. L’incontro - riferisce l'agenzia AsiaNews - è avvenuto mercoledì scorso e ha confermato il legame di vicinanza e solidarietà fra patriarcato ecumenico di Costantinopoli e la Chiesa caldea, vittima da tempo di violenze e persecuzioni da parte delle frange islamiste e dei jihadisti in Iraq. 

Bartolomeo ha invocato la pace nella regione
Bartolomeo I ha accolto con tutti gli onori il patriarca Sako e la delegazione caldea, esprimendo “vicinanza” ai cristiani in Iraq, che vivono “circostanze difficili”. Il patriarca ecumenico ha sottolineato il desiderio che possa tornare a “regnare la pace nella regione”, usando le stesse espressioni utilizzate pochi mesi fa da Papa Francesco nel suo viaggio apostolico in Turchia: “Non è possibile immaginare un Medio Oriente senza cristiani”. 

Affrontato il tema della unificazione delle feste cristiane
In risposta, Mar Sako ha ringraziato per l’accoglienza e per la preghiera e, in particolare, per la decisione del patriarcato ecumenico di aprire le porte agli immigrati che “possono così celebrare la Messa”. Inoltre ha sottolineato l’importanza “dell’unità dei cristiani”, perché “nell’unità è la nostra salvezza, la nostra forza”. I due leader cristiani hanno anche affrontato il tema della unificazione delle feste cristiane, come testimonianza di unità e fraternità. Prima di incontrare Bartolomeo I, la delegazione caldea nei giorni precedenti aveva visitato alcuni fra i luoghi più importanti della storia della chiesa caldea locale.

Sako ha ricordato la dolorosa pagine dell'eccidio armeno-assiro
A seguire l’incontro con i giornalisti, durante il quale si sono affrontati diversi temi fra cui gli interventi del Vaticano e dell’Unione Europea in merito all'eccidio armeno e assiro del 1915. “Questa storia è dolorosa - ha sottolineato il patriarca caldeo - dobbiamo imparare da essa per non ripetere più simili tragedie, allontanando la mentalità della guerra e della lotta. Dobbiamo invece promuovere una cultura della pace e del rispetto reciproco, perché non c’è futuro senza pace”. Il Papa, ha aggiunto sua beatitudine, ha denunciato questi fatti storici, per denunciare quanto sta accadendo oggi, leggi il genocidio e lo spostamento di massa in atto in Iraq, in Siria, in Yemen e in Libia. 

L’incontro con il governatore di Istanbul
Oltre a Bertolomeo I il patriarca Sako ha incontrato il governatore di Istanbul, Vasif Sahin, col quale è emersa l’importanza dell’educazione religiosa e di una nazione aperta, capace di rispettare il valore della persona umana, creatura di Dio. “Le guerre sono una vergogna, un’assurdità” ha sottolineato sua beatitudine, per questo “dobbiamo imparare dalla storia per promuovere la coesistenza e il raggiungimento della pace e della stabilità nel mondo”. Oggi non è ragionevole parlare di jihad o guerra santa, come succedeva nei secoli passati. “Non esiste una guerra giusta” chiariscono i due leader, e la Turchia con il suo governo laico “può contribuire nel percorso di separazione fra Stato e religione”. “Se vogliamo fare un passo in avanti - ha concluso il patriarca - non vi è altra scelta. La religione è un rapporto personale con Dio, mentre la società e di tutti”. (J.M.)

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Consiglio Mondiale Chiese incontra Patriarca di Mosca Kirill

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Il processo di pace in Ucraina, la situazione dei cristiani perseguitati nel mondo e il ruolo di "peacemaking" che le Chiese possono svolgere nelle situazioni di conflitto. Questi gli argomenti al centro dell’incontro che mercoledì scorso il segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), il pastore Olav Fykse Tveit ha avuto con il Patriarca ortodosso di Mosca e di tutte le Russie Kirill. Tveit ha espresso solidarietà alla Chiesa ortodossa russa per “il doloroso conflitto in Ucraina”. Il patriarca - si legge in un comunicato del Wcc diffuso oggi e ripreso dall'agenzia Sir - ha condiviso la valutazione della situazione e la sofferenza della gente. 

Colloqui su Ucraina e cristiani in Siria, Iraq e Libia
Dopo l’incontro con Kirill, Tveit ha detto: "La Chiesa ortodossa russa è un partner importante ed è membro del Consiglio Mondiale delle Chiese. Quindi ho chiesto un incontro con il Patriarca Kirill di Mosca per discutere di come possiamo contribuire alla pace in Europa e dare seguito alla recente visita che i leader ecumenici hanno fatto recentemente in Ucraina. Come cristiani dobbiamo fare di tutto per portare la pace in Ucraina". Il discorso si è poi ampliato sulla situazione dei cristiani in Siria, Iraq e Libia. 

Persecuzione anti-cristiana non trova risposta a livello internazionale
Kirill ha espresso soddisfazione per la firma che il mese scorso a Ginevra, davanti al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, 65 Paesi hanno messo sulla dichiarazione a sostegno dei diritti umani dei cristiani e di altre comunità, in particolare in Medio Oriente. Kirill ha commentato: “Questo è il passo giusto, ma la tragedia è così forte, così dolorosa”. Il patriarca ha quindi richiamato l‘attenzione degli interlocutori sulla discriminazione e la persecuzione contro i cristiani dopo il fallimento della cosiddetta primavera araba. "Tutto questo crea un quadro deprimente: nel XXI secolo, i cristiani soffrono come hanno sofferto durante l‘impero romano". Il leader della Chiesa ortodossa russa ha espresso sconcerto perché questo argomento non riesce a ottenere una risposta più forte a livello internazionale. 

All‘incontro hanno partecipato il presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, metropolita Hilarion di Volokolamsk, il vice moderatore del Wcc, metropolita Gennadios di Sassima (patriarcato di Costantinopoli) e il rappresentante del patriarcato di Mosca presso il Consiglio Mondiale delle Chiese e delle organizzazioni internazionali a Ginevra, arciprete Mikhail Gundiaev. (R.P.)

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Plenaria vescovi ex-Jugoslavia: tra i temi la visita papale

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Si è conclusa ieri a Belgrado la 23ma sessione plenaria dei membri della conferenza episcopale internazionale “Ss. Cirillo e Metodio” che comprende alcuni Paesi dell’ex Jugoslavia: Serbia, Montenegro, Kossovo e Macedonia. I vescovi hanno esaminato con particolare attenzione i rapporti ecumenici con la Chiesa ortodossa, commentando la prossima visita del presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, card. Kurt Koch a Belgrado dal 25 al 29 maggio. Tra gli altri temi discussi: la congelata restituzione dei beni e degli archivi ecclesiastici nonché la normativa riguardante i contributi per i sacerdoti e i religiosi. 

Il viaggio a Sarajevo del Papa
“Nell’ambito dei rapporti con le autorità - spiega all'agenzia Sir l’arcivescovo di Belgrado, mons. Stanislav Hocevar - è stato presentato anche il problema delle tasse per gli edifici della Chiesa”. “La nostra richiesta - aggiunge il presule - è di introdurre dei criteri chiari in base ai quali applicare la tassazione”. In questo momento esenti dalle tasse sono gli edifici destinati a scopo liturgico, ma non quelli a scopo istruttivo o caritativo anche se non sono destinati ad attività lucrative. Alla plenaria si è parlato anche della visita di Papa Francesco a Sarajevo alla quale i fedeli della regione balcanica, specialmente i giovani, parteciperanno numerosi. In occasione dell’Anno della vita consacrata, invece, il 16 settembre, a Sombor (Vojvodina) si svolgerà una Giornata di incontro per i religiosi. 

La proposta di una conferenza episcopale per la Serbia
Alla sessione ha preso parte anche il nunzio apostolico in Serbia, mons. Orlando Antonini, davanti al quale i presuli hanno ribadito la loro proposta di formare una conferenza episcopale nazionale per la Serbia. “L’attuale conferenza internazionale è una realtà molto complessa che non facilita le decisioni pastorali”, chiarisce mons. Hocevar. “Ci rendiamo conto però che il problema richiede uno studio attento e approfondito soprattutto per i vescovi del Montenegro, del Kosovo e della Macedonia e aspettiamo la decisione della Santa Sede”, conclude l’arcivescovo di Belgrado. La prossima sessione Plenaria si terrà dal 14 al 16 marzo 2016 nella città di Subotica. (R.P.)

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Rwanda: aiuti della Caritas per gli sfollati del Burundi

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Sono circa 8mila gli sfollati del Burundi rifugiatisi in Rwanda, ai quali la Caritas di Kigali sta portando il suo aiuto. Una cifra cresciuta nel giro di poco tempo, a causa dell’accrescersi delle violenze perpetrate dai miliziani di “Imbonerakure”: traducibile letteralmente come “Coloro che vedono lontano”, tali miliziani rappresentano l’ala giovanile del partito attualmente al potere e sono i responsabili di minacce ed uccisioni di diversi esponenti dell’opposizione.

Allestiti due Centri di accoglienza
Di qui, la fuga di molti burundesi verso il Rwanda, tra i quali molti bambini, accompagnati dalle loro madri. Due i Centri di accoglienza allestiti dall’Onu a Bugusera e a Nyanza e numerosi gli sfollati già incontrati dal segretario generale di Caritas Rwanda, padre Anaclet Mwumvaneza, il quale chiede urgentemente aiuti di prima necessità: kit igienico-sanitari, abiti e zanzariere.

Tensioni in vista delle presidenziali di giugno
In Burundi, il clima è particolarmente teso in vista delle elezioni presidenziali che si terranno il 26 giugno. Già nei mesi scorsi, i vescovi di Bujumbura si sono dichiarati contrari ad un terzo mandato per il Presidente Pierre Nkurunziza, eletto nel 2005, riconfermato nel 2010 ed alle prese con un tentativo di modifica della Costituzione per poter concorrere ad un terzo mandato. “Interrogando il nostro cuore di cittadini che amano il loro Paese e come pastori della Chiesa che non vogliono vedere il Burundi ricadere nelle divisioni, negli scontri o nella guerra – hanno scritto i presuli in una dichiarazione - affermiamo che i burundesi hanno convenuto, senza alcuna ambiguità, che qualsiasi persona eletta per dirigere il Paese non può andare oltre due mandati di cinque anni ciascuno”. (I.P.)

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Vescovi Filippine: per le presidenziali, voto responsabile

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La Conferenza episcopale delle Filippine (Cbcp) ha espresso il suo appoggio alla campagna “Un buon voto”, guidata dal Consiglio pastorale parrocchiale per un voto responsabile (Ppcrv), con l’obiettivo di preparare i filippini alle presidenziali del 2016, insistendo sull’importanza della consultazione elettorale per il futuro del Paese. “Come possiamo esprimere un buon voto? – chiedono i presuli – Possiamo farlo solo se permettiamo a Dio di guidare la nostra scelta. Ciò che la grazia di Dio tocca, infatti, diventa buono”. “Lasciamo quindi – sottolinea la Cbcp – che Dio influenzi le nostre scelte elettorali, perché un voto può portare il Paese in Paradiso o all’inferno”.

Allarme per la piaga sociale della compravendita dei voti
In particolare, il presidente dei vescovi delle Filippine, mons. Socrates Villegas, sottolinea la piaga sociale della “compravendita dei voti” ed esorta i fedeli a “non vendere le proprie scelte, a discernere prima di votare”, anche grazie “all’aiuto della preghiera”. “Un buon voto è importante per scegliere rappresentanti che possano guidare il Paese in futuro”, insiste mons. Villegas, auspicando che il futuro capo dello Stato sia “competente ed timorato di Dio”. “Il difficile compito di gestire la nazione – aggiunge il presule – richiede una persona con un alto senso della dignità, ma anche con la compassione nei confronti degli altri”.

Elezioni siano trasparenti, oneste e pacifiche
Intanto, il Consiglio pastorale parrocchiale per un voto responsabile ha recentemente visitato diverse diocesi e parrocchie di tutto il Paese, così da informare i cittadini filippini sui pericoli derivanti dall’acquisto e dalla vendita dei voti. Ultimamente, la responsabile del Ppcrv, Henrietta de Villa, ha ribadito che l’iniziativa “Un buon voto” mira a spianare la strada per elezioni “trasparenti, oneste e pacifiche”, grazie proprio ad un’adeguata educazione civica degli elettori. La responsabile, che in passato è stata anche Ambasciatore delle Filippine presso la Santa Sede, spera che la campagna “porti allo sradicamento del voto di scambio, una pratica purtroppo perennemente diffusa nell’arena politica nazionale”.

Informare i cittadini sulle pratiche elettorali
In questo senso, il Ppcrv intende “scegliere una parrocchia in ogni diocesi filippina in cui fare formazione degli elettori, evidenziando i temi principali relativi alle operazioni di voto”. Fondato nel 1991 dall’allora arcivescovo di Manila, card. Jaime Sin, il Ppcrv è un movimento laicale al di sopra delle parti, il cui obiettivo è “lavorare assiduamente per elezioni trasparenti, oneste, accurate, significative e pacifiche”. (I.P.)

 

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 114

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