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Sommario del 23/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: quando una società nasconde Dio scarta l'uomo

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Quando una società nasconde Dio, si scartano gli uomini: è quanto ha affermato Papa Francesco in occasione delle iniziative presentate da “Scholas Occurrentes”, una rete educativa mondiale promossa dallo stesso Pontefice, attiva, in particolare, tra i giovani delle periferie urbane o in difficoltà. Le parole, pronunciate dal Papa martedì scorso a Santa Marta, sono state raccolte da Mercedes De La Torre. Ascoltiamole: 

“Hoy día un chico …
Oggigiorno un ragazzo vede come una cosa normale morire di fame, essere malato, rubare, uccidere, vivere in bande. E’ la proposta ad alcuni settori della società: lavorare per il traffico di droga. Sono le proposte più vicine ai ragazzi poveri. E questo è un cammino verso il suicidio: suicidio morale, suicidio esistenziale. Io non voglio che l’umanità si suicidi. E ci sono tanti ragazzi che sono vittime di tutta questa violenza e di questa povertà. E questo è un progetto e una promessa. Vi ringrazio e resto ammirato per la vostra umanità, per il vostro umanesimo. Il vostro è realmente un lavoro creativo di fronte ad un sistema educativo che non ha la capacità di reagire. Ci sono eccezioni, ma in generale, per quello che conosco dell’America Latina e qualcosa dell’Africa, si è incapaci di reagire. E questa proposta apre orizzonti, è creativa, come l’educazione dei tre linguaggi coordinati: il linguaggio della mente, il linguaggio del cuore e il linguaggio della mano, cioè del lavoro coordinato. Il segreto è nella persona umana e in Dio. Dio ha seminato nel cuore umano tante possibilità e quando una società nasconde Dio e non mette al centro la persona umana finiamo nella cultura dello scarto. Per questo mi coinvolgo in tutte queste cose”.

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Scholas Occurrentes contro l'indifferenza. Maradona: Papa è un fenomeno

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Le iniziative e i progetti di “Scholas Occurentes”, l’organizzazione educativa internazionale promossa da Papa Francesco, sono stati al centro di un briefing, tenutosi nella sede della Radio Vaticana. All'appuntamento è intervenuto, dopo aver incontrato il Santo Padre, anche l’ex calciatore argentino Diego Armando Maradona. Il servizio di Amedeo Lomonaco

Mons. Sorondo: progetto di grande impatto educativo
Durante la conferenza stampa è stato ricordato in particolare il recente accordo, alla presenza del Papa, tra “Scholas Occurrentes” e la Federcalcio sudamericana. Durante la prossima Coppa America in Cile verranno donati 10 mila dollari per ogni gol segnato e per ogni rigore parato. Si tratta di uno dei tanti progetti promossi da “Scolas Occurentes”, rete educativa nata in Argentina per volere dell'allora arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio. Iniziative contro la povertà e l’indifferenza, come sottolinea mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali

“Il progetto cresce e cresce perché naturalmente ha un grande impatto educativo, in fondo creato dalla presenza del Papa in tutte queste attività. Dal principio il Papa ha ricevuto tutti gli atleti. Il Papa si impegna in prima persona, perché gli sta a cuore che nel mondo globalizzato non esista indifferenza. La causa della mancanza di educazione è che invece dell’incontro e del dialogo abbiamo le guerre”.

Contro l’indifferenza e a favore dei progetti promossi da “Scholas Occurrentes” si muove dunque il mondo dei calciatori, tra cui anche Diego Armando Maradona. Ancora mons. Sorondo:

“Sì, adesso si impiegano i calciatori, ma non solo, anche i politici si muovono. Il Papa pensa che questo serva ad aiutare i bambini, ad aiutare ad uscire dalla schiavitù. E, naturalmente, quando personaggi come gli atleti, che sono un po’ un mito - come Maradona - si impegnano in questo è un grande aiuto”.

Maradona: sono il primo sostenitore di Papa Francesco al fianco dei giovani
Alla conferenza stampa, dopo l’incontro con Papa Francesco, è intervenuto anche l’ex giocatore argentino Diego Armando Maradona:

“Querría realmente agradecir a Francisco...
Vorrei davvero ringraziare Francesco per tutto l'affetto che mi dà. Oggi credo che tutti noi riconosciamo che è un fenomeno, che farà qualcosa per i ragazzi e che abbiamo un Papa fantastico. Abbiamo parlato di molte cose, dell’impegno affinchè i giocatori si uniscano e facciano qualcosa per i bambini che non mangiano in molte parti del mondo. E siamo stati d'accordo totalmente, ma ci vorrà molto tempo. Oggi posso dire di essere sostenitore di Francesco. Il primo sostenitore di Francesco sono io".

Sull’incontro con il Santo Padre, Maradona ha poi aggiunto:

“El Santo Padre...
Il Santo Padre mi tratta come un fratello e tratta tutti nella stessa maniera. Lui tratta tutti allo stesso modo: bacia tutti, abbraccia tutti. Lui ha poco tempo a disposizione, lavora tantísimo ma trova sempre il tempo per tutti”.

E’ straordinario – ha detto inoltre Maradona - incontrare Papa Francesco e aderire ad un'iniziativa sportiva che intende aiutare molti ragazzi:

"Esto es un sueño...
Quello che sto vivendo è un sogno. Questo è quello che volevo fare da tanto tempo. Io ho giocato al calcio e oggi ci sono ragazzi che continuano a giocare a calcio, ai quali bisogna comprare gli scarpini, per i quali non c’è un campo dove possano giocare. Quello che noi vogliamo fare con Scholas è aiutarli. E tutti i giocatori, tutti i giocatori di calcio sono con Francesco".

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Onomastico Papa. Karcher: come San Giorgio lotta per il bene contro il male

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La Chiesa ricorda oggi San Giorgio, una ricorrenza che viene festeggiata in modo particolare dai fedeli perché è anche il giorno dell’onomastico del Papa, Jorge Mario Bergoglio. In tale occasione, Alessandro Gisotti ha intervistato il cerimoniere pontificio, mons. Guillermo Karcher, sacerdote argentino, tra i più stretti collaboratori di Francesco, al quale è legato da oltre vent’anni: 

R. – Pensare oggi, in questa festa onomastica, al Santo del Papa – essendo il suo nome di Battesimo Jorge – è bello, perché quando penso a lui, e lo vedo agire, posso dire che è un "San Giorgio moderno", nel senso che è un grande lottatore contro le forze del male e lo fa con uno spirito veramente cristiano: è Cristo che vedo in lui che semina il bene, per combattere il male. E in questo è un esempio, perché lo faceva già a Buenos Aires e continua a farlo adesso con quella semplicità che lo caratterizza, ma che è così forte, così importante in questo momento del mondo, in cui ci vuole la presenza del bene.

D. – In Argentina, anche da cardinale, Francesco si presentava come padre, come padre Jorge. Ma anche ora che è Papa è fortissima questa dimensione della paternità sacerdotale, vero? 

R. – Sì, è vero, anche perché lui è un gesuita, è un padre, e continua ad esserlo. A me commuove ogni volta, ogni mercoledì, quando arrivano gli argentini e li sistemo in questo settore specialissimo, tantissimi lo chiamano “Padre; padre Jorge; Jorge” e veramente si nota la familiarità, questa amicizia che lui ha seminato in tanti anni a Buenos Aires, quando camminava per le strade della città e andava a visitare i posti più poveri della periferia della città, come continuano a sentirlo vicino e lui si rallegra e scambia - sempre con un sorriso, con un abbraccio, con uno sguardo paterno - questo saluto che esce dal cuore delle persone.

D. – Francesco gode di un grande affetto e anche di un’immensa popolarità, ma ovviamente non mancano le critiche, anche nel mondo cattolico. Lei ha mai visto il Papa dispiaciuto per questo?

R. – No, no... sono poche le volte che uno fa un commento… Lui ride e dice: “Va bene, meglio, conosciamo come sono fatte le persone”. Lui, però, ha questa libertà di spirito e questa fortezza interiore. Io penso che sia un unto dallo Spirito. Porta avanti un ministero affidato dalla Chiesa, per il bene della Chiesa e del mondo, e lo fa con serenità e con certezza d’animo.

D. – Il mondo è attratto dalla grande spontaneità di Francesco eppure nell’intimità il Santo Padre è un uomo di grande intensità spirituale, immerso nella preghiera. Lei può dirci qualcosa su questo, anche per la sua prossimità?

R. – Sì, è una persona che ha forgiato – lo dico, lo ribadisco sempre – una forte spiritualità, perché è un uomo di preghiera, un uomo di Dio. Pensiamo solo che ogni giorno dedica due ore, la mattina appena si alza, alla preghiera, alla riflessione. E poi vedo, facendo da cerimoniere, la differenza che c’è tra la sacrestia prima e dopo e la Messa prima e dopo. Mi spiego: lui è uno cui piace salutare tutti i seminaristi, i ministranti e lo fa – come lo vediamo in Piazza San Pietro – con tanto affetto. Una volta però indossati i paramenti liturgici, lui cambia: lo vediamo entrare in Basilica o recarsi all’altare in Piazza come l’uomo della preghiera, l’uomo concentrato su quello che sta per celebrare, il mistero eucaristico soprattutto. E lo stesso quando esce dalla navata centrale della Basilica, quando tutti lo osannano: “Francesco! Evviva! Ti vogliamo bene!”. Lui, però, va verso la sacrestia. Diciamo che fa una parentesi. E questo è esemplare anche per un prete, nel senso che noi stiamo con il popolo, ma quando dobbiamo stare con Dio, stiamo con Dio.

D. – Queste parole sono quasi uguali alle parole che il cardinale Dziwisz diceva come segretario di Giovanni Paolo II…

R. – Sì, posso dare testimonianza anche di Giovanni Paolo II, avendo fatto l’aiutante cerimoniere a suo tempo! Hanno questo in comune: questa presenza di Dio, che si rende forte nel momento opportuno.

D. – Lei era accanto al Papa la sera dell’elezione, reggeva il microfono da cui Francesco parlava per la prima volta Urbi et Orbi. Quale augurio si sente di fare al suo vescovo per il suo onomastico?

R. – Che continui ad essere se stesso, con la sua coerenza e la sua trasparenza. Che continui così, perché sta facendo tanto bene. L’augurio è che San Giorgio lo protegga e che lui continui nella battaglia per il bene, seminando il bene come sta facendo già adesso.

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Vescovi Namibia dal Papa: Chiesa al fianco degli oppressi

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Domani Papa Francesco riceverà i vescovi della Conferenza episcopale di Namibia e Lesotho per la visita ad Limina. Paesi dell’Africa australe, sono entrambi a maggioranza cristiana: in Namibia sono in prevalenza evangelici, in Lesotho cattolici. Tanti i problemi economici e sociali che questi due Paesi devono affrontare. Molte anche le sfide sul piano religioso. Sulle priorità della Chiesa in Namibia, ascoltiamo mons. Liborius Nashenda, arcivescovo di Windhoek e presidente della Conferenza episcopale del Paese, al microfono di John Baptist Munyambibi:

Laici protagonisti della Chiesa
R. - La nostra principale priorità è di rendere la Chiesa autosufficiente, di fare sì che i fedeli che si sentano protagonisti della loro Chiesa e questo è un punto su cui insistiamo.

D. - Quali sono le sfide che dovete affrontare come Chiesa?

R. - La prima sfida è quella delle vocazioni che sono in calo. La nostra Chiesa è stata fondata dai missionari e adesso questi stanno diminuendo. Ne deriva che la Chiesa deve mobilitare i nostri fedeli e pregare per avere più vocazioni locali così da potere raggiungere un giorno l’autosufficienza. La seconda sfida è di preparare coloro che decidono di intraprendere il sacerdozio o la vita consacrata così che possano diventare efficaci agenti evangelizzatori. E questa è la sfida dei seminari e dei centri di formazione. Un’altra sfida importante è la formazione permanente del clero, compresi i diaconi, i religiosi e i laici. La presenza dei laici sta crescendo e cresce la consapevolezza che la Chiesa appartiene anche a loro. Una volta si sentivano esclusi, ma adesso stiamo cercando di far loro comprendere che facciamo tutti parte della Chiesa come una squadra e che solo lavorando insieme possiamo dirci una Chiesa locale, perché un vescovo, un sacerdote, un laico, un religioso da soli non possono fare nulla, mentre insieme possiamo portare avanti l’opera di Cristo,  che è stata affidata alla Chiesa.

Una Chiesa in difesa di oppressi ed emarginati
D. - Avete parlato dei missionari che hanno portato la fede in Namibia. Quali sono in particolare le Congregazioni presenti oggi nel Paese?

R. - La Congregazione che ha fondato questa Chiesa nel 1896 è quella degli Oblati di Maria Immacolata alla quale appartengo anch’io. Vorrei anche parlare del ruolo svolto dalla Chiesa prima dell’indipendenza. Abbiamo vissuto un momento difficile durante la guerra di liberazione, durata 25 anni. In quel periodo la Chiesa si era mobilitata, non per fare politica, ma per incoraggiare la popolazione a lottare per la giustizia, in difesa degli oppressi, degli emarginati e contro la violazione dei diritti umani perpetrata dal regime in vigore fino al 1989, quando è iniziato il processo di democratizzazione che ha portato all’indipendenza nel 1990. La Chiesa ha continuato a svolgere il suo ruolo anche dopo, partecipando alla risistemazione dei rimpatriati che erano stati esiliati in Angola, Zambia e Zimbabwe e in altri Paesi nel mondo. La Chiesa può essere orgogliosa di questo e di quello che ha fatto dopo l’indipendenza per aiutare lo sviluppo del popolo namibiano, contro la povertà e contro tutti i mali che affliggono il nostro Paese.

Parlare senza paura
D. - Siete ascoltati dai leader politici namibiani?

R. - Anche se non ci ascoltassero, diremmo quello che pensiamo lo stesso, senza paura. Il fatto di essere una minoranza non è importante. Diciamo la nostra sui temi che riguardano il nostro Paese in diversi modi: attraverso i vari media, le nostre lettere pastorali e anche attraverso organismi ecumenici nonostante le differenze dottrinali che esistono tra le Chiese cristiane.

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Tweet: vita cristiana non è qualche minuto la domenica, è ogni giorno

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Il Papa ha lanciato un nuovo tweet dall’account @Pontifex: “Uno non può stare tranquillo solo perché va in chiesa. La vita cristiana non è qualche minuto la domenica, è ogni momento di ogni giorno”.

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Nuovo vescovo di Victoria in Texas

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Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Victoria in Texas (U.S.A.), presentata da S.E. Mons. David Eugene Fellhauer, in conformità al canone 401 §1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Vescovo di Victoria in Texas (U.S.A.) il Rev.do Brendan Cahill, del clero dell’arcidiocesi di Galveston-Houston, finora Vicario per il Clero della medesima sede metropolitana. Il Rev.do Brendan Cahill è nato il 28 novembre 1963 a Coral Gables, Florida, nell’arcidiocesi di Miami. Ha ottenuto il Baccalaureato in Psicologia (1985) e il “Master of Divinity” (1990) presso il “Saint Mary’s Seminary/University of Saint Thomas” a Houston. Più tardi, ha ottenuto il “Masters” in Studi Afro-Americani presso la “Xavier University” a New Orleans (1993) e, successivamente, la Licenza (1996) e il Dottorato (1999) in Teologia Dogmatica presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. È stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Galveston-Houston il 19 maggio 1990. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ha ricoperto i seguenti incarichi: Vicario Parrocchiale della “Saint Frances Cabrini Parish” a Houston (1990-1992) e della “Christ the Good Shepherd Parish” a Spring (1992-1994); Studi dottorali a Roma (1994-1998); Membro della Facoltà (1998-2001) e Rettore (2001-2010) del “Saint Mary Seminary” a Houston; Direttore arcidiocesano del “Secretariat for Clergy Formation and Chaplaincy Services” (2010-2014). È stato anche Capo del “Priest Personnel Board” e Membro del Consiglio Presbiterale. Dal 2014 è Vicario per il Clero. Oltre all’inglese, conosce lo spagnolo e l’italiano.

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Immigrazione, mons. Tomasi: priorità è salvare vite umane

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L’esodo dei migranti attraverso il Mediterraneo non si arresta nonostante la strage dei giorni scorsi. Dal vertice europeo a Bruxelles si attende una risposta condivisa all’emergenza immigrazione. Sull’argomento, Elvira Ragosta ha intervistato mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Ufficio Onu di Ginevra: 

Priorità numero uno è salvare vite umane
R. – Se il Consiglio non affronta il problema in maniera quasi radicalmente nuova, che vada al di là delle solite misure di controllo, ho paura che anche questa azione, che è importante e che dà un segnale di interesse, rischi di lasciare le cose come stanno. La priorità numero uno, che il Santo Padre ha sempre fatto presente, è quella di salvare vite umane. La priorità, appunto, dev’essere non tanto la questione economica o gli interessi immediati dell’uno o dell’altro Paese, ma salvare vite umane che sono in pericolo. Questo è il punto di partenza.

Distruzione barconi in libia non è risolutivo
D. – Tra i punti in discussione al vertice di oggi c’è anche l’individuazione e la distruzione dei barconi in Libia, prima che finiscano in mano ai trafficanti. Secondo lei, questa soluzione può essere risolutiva?

R. – Non credo! Potrebbe rallentare il movimento verso i Paesi europei. Però, se non si va alla radice del problema non troviamo una soluzione. L’emigrazione non è un fattore isolato, è legato a tutte le altre situazioni di relazioni politiche tra l’Europa e i Paesi di origine: il commercio, l’esportazione di armi, la mancanza di rispetto dei diritti umani, l’appoggio che viene dato politicamente a governi che costringono i loro cittadini, attraverso la repressione che esercitano, a fuggire per cercare una vita meno indegna.

Stop alla xenofobia
D. – Cosa può fare di più, nell’immediato, la comunità internazionale?

R. – Soprattutto, direi che in Europa è importante riprendere in mano la questione dell’accettazione e della distribuzione dei nuovi arrivati: mentre abbiamo Paesi che sono più generosi e accettano un numero rilevante di richiedenti asilo ne abbiamo altri, tra i 28 che formano l’Unione Europea, che sono molto riluttanti e che veramente ricevono un numero simbolico, insignificante di persone che hanno bisogno di trovare un nuovo Paese dove potersi sistemare. Poi, direi che bisogna vincere quell’atteggiamento di xenofobia, quella reazione negativa verso lo straniero che purtroppo trova risposte politiche in molti Paesi europei, in questi partiti che votano e raccolgono voti semplicemente argomentando contro gli immigrati. Mentre sappiamo che da una parte l’Europa ha anche bisogno di manodopera e dall’altra che a lungo andare nella storia gli emigrati hanno portato benessere a loro stessi, ai Paesi di accoglienza e ai Paesi di origine.

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Comastri: la Sindone racconta l'amore di Dio per l'umanità

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“L’amore più grande” è il tema dell’incontro sulla Sindone che si è svolto ieri sera a Roma nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, promosso dall’Ufficio diocesano per la pastorale universitaria e dall’Opera romana Pellegrinaggi. La serata è stata organizzata in preparazione al prossimo pellegrinaggio degli universitari romani a Torino che si svolgerà il prossimo 25 aprile. Il servizio di Marina Tomarro: 

La Sindone è una via privilegiata per vedere da vicino i segni della passione e della morte di Cristo , ma soprattutto una porta per entrare nella pienezza del mistero della  Resurrezione. E’ partito da queste riflessioni l’incontro “L’amore più grande”. Il cardinale Angelo Comastri arciprete della Basilica di San Pietro in Vaticano.

R. – La Sindone è particolarmente preziosa per l’uomo d’oggi. Ci permette di entrare nella Passione di Gesù, quasi di vederla, di sentirla contemporanea. Il volto dell’uomo della Sindone è il volto di una persona che ha tanto sofferto, ma allo stesso tempo è un volto sereno, un volto che trasmette serenità. Noi possiamo chiedere perché? La risposta è nel Vangelo: è un uomo che ha sofferto per amore. Guardando la Sindone si avverte questo amore. Charles de Foucauld, il giovane parigino nel suo romitaggio nel Sahara teneva il volto dell’uomo della Sindone e sotto ci aveva scritto: “Così Dio ti ha amato!”. Quel volto io credo che oggi faccia tanto bene a tutti coloro che lo potranno vedere nella prossima esposizione.

D. - I segni delle sofferenze e del sangue versato dall’uomo dei dolori impressi sul telo rispecchiano i passi del Vangelo sulla Passione di Cristo...

R. - Possiamo chiederci che garanzia abbiamo di autenticità? Guardo a tre coincidenze particolari tra il Vangelo e la Sindone: l’uomo della Sindone è un uomo che ha avuto una flagellazione a fermo, come è accaduto a Gesù; ha avuto una flagellazione "more romanorum", senza limite di colpi, così raccontano i Vangeli e così è registrato nella Sindone; l’uomo della Sindone è stato coronato di spine, fatto inconsueto, ed è accaduto a Gesù; infine, il sangue uscito dal costato, anche questo un fatto singolare accaduto a Gesù è un sangue post-mortale e nella Sindone il sangue è post-mortale. Chi può dubitare dell’autenticità?

E tanti sono stati nel corso degli anni gli studi scientifici sulla Sindone, che hanno cercato di capire meglio il messaggio contenuto in questo sacro lenzuolo. Nello Balossino, dell’università degli studi di Torino:

R. - Si racconta la passione di un uomo che è morto ed è stato avvolto in questo telo, lasciando un’impronta sia delle sofferenze, ma anche della sua Resurrezione. Non si sa come questa impronta si sia formata, ma di certo emergono dei particolari che sono chiarissimi e che mi fanno pensare che questo non sia un artefatto del Medio Evo, ma che abbia una storia molto più antica e che effettivamente in questo lenzuolo sia stato avvolto un uomo, che ha patito il martirio della Crocifissione. Dal punto di vista scientifico le immagini sono importantissime, perché proprio con la nascita delle prime fotografie ufficiali è nato l’interesse interdisciplinare sulla Sindone: si può studiare la Sindone con diversi tipi di immagini e fare delle elaborazioni che coinvolgono le scienze forensi, l’informatica, la biologia, ma anche la storia.

D. – Quali sono i particolari che ci racconta questo lenzuolo?

R. – I particolari sono non solo i segni della Crocifissione, ma - siccome ho elaborato l’immagine, ricavando il probabile volto dell’uomo sindonico prima della morte – di un uomo che è morto, ma che ha anche un aspetto vivo: trasmette cioè la sua vitalità, la sua voglia di andare verso l’uomo non come morto, ma come vivo.

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Oggi in Primo Piano



Gender. Consiglio d'Europa dice sì ad autodeterminazione

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Approvata ieri pomeriggio dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa la proposta di risoluzione sul tema “Discriminazioni contro le persone transgender in Europa”. Il testo sollecita gli Stati membri a favorire attraverso leggi il principio del diritto all’identità di genere sulla base della sola autodeterminazione affinché le persone transgender, anche minorenni, a prescindere dal dato biologico, possano modificare il nome e il sesso registrato nei documenti di identità. Il commento di Luca Volontè, già presidente del Partito Popolare Europeo e presidente della Fondazione "Novae Terrae", al microfono di Paolo Ondarza

R. – Il primo commento che dobbiamo fare è che fortunatamente questo tipo di risoluzioni, in particolare questa, non avrà - speriamo - grande seguito nella considerazione degli Stati. Il secondo è certamente che si tratta di una risoluzione, non solo sbagliata perché va contro il dato naturale - oltre al fatto che il dato giuridico identifica nel dato naturale l’appartenenza di genere, maschile o femminile, al di là delle preferenze sessuali - ma la cosa grave è che mi sembra non si consideri assolutamente il problema di costi oltre a quello morale e culturale. E mi spiego meglio. Dare a tutti la possibilità di scegliere, a seconda del proprio desiderio momentaneo, il proprio sesso e definirlo, significa introdurre nel sistema delle pubbliche amministrazioni dei 47 Paesi una modalità tale che produrrebbe non so quanti milioni di euro di spesa nel solo cambio di identità, delle carte di identità, dei documenti, dei vantaggi del welfare per un sesso o per un altro, per un genere o per un altro. Penso debba porre un problema serio anche allo stesso Consiglio d’Europa, all’assemblea del Consiglio d’Europa, in merito all’accettabilità dei testi: cioè, se un testo come questo, al di là del proprio contenuto e a partire da esso, possa essere votato oppure no, perché chiede agli Stati cose impossibili sul piano giuridico e assolutamente inconcepibili sul piano amministrativo.

D. – C’è un dato in particolare che colpisce tra gli altri, ovvero il fatto che anche i minorenni siano inclusi in questa questione…

R. – Sì, è una questione di estrema gravità. Possiamo immaginare nella mente dei promotori di questa risoluzione che secondo loro questa possa essere una modalità attraverso la quale si possa favorire, dal loro punto di vista, una maggiore coincidenza tra i problemi psicologici che possono emergere durante l’età dell’adolescenza e le successive conseguenze. Invece, purtroppo, credo che la cosa più preoccupante sia che i genitori omosessuali possano in qualche modo forzare l’appartenenza di genere dei propri figli. Abbiamo esempi gravissimi che si stanno sperimentando in Olanda, nei Paesi scandinavi, dove cliniche specializzate, pagate dallo Stato, contribuiscono attraverso cure di blocco della crescita ormonale al cambio di sesso dei teenager e purtroppo ci sono già degli studi su come queste pratiche oltre a provocare danni fisici importanti nei confronti di questi ragazzi, favoriscono anche disagi psicologici.

D. – Infine c’è l’esortazione agli Stati membri a rimuovere ogni limitazione al diritto delle persone trans-gender di rimanere nel matrimonio contratto precedentemente al cambiamento di sesso…

R.  – Questo era già presente anche nella risoluzione … del 2013 e in parte è presente in alcuni testi recentemente approvati dal Parlamento europeo. Coloro che come Consiglio d’Europa promuovono convenzioni a tutela dei bambini poi si trovano ad approvare risoluzioni come queste che nella sostanza violano pesantemente il diritto dei figli ad avere dei genitori.

D.  – Con lo scopo di andare nella direzione di un’approvazione, di un’equiparazione tra matrimonio gay  ed eterosessuale…

R. – Esattamente. Favorire questo o un’altra situazione che nei fatti possa in qualche modo rendere assolutamente sterile o senza ragioni una prosecuzione del dibattito contro i matrimoni omosessuali. Nei fatti favoriscono o si vorrebbero favorire quelle situazioni che potrebbero, a lungo andare, rendere assolutamente inutile il dibattito a favore o contro il matrimonio omosessuale perché sarebbero già nella realtà.

Quanto deciso dal Consiglio Europeo non è vincolante per gli Stati dell'Unione. Lo conferma Eugenia Roccella, parlamentare di Area Popolare e Vicepresidente della Commissione Affari Sociali. L'intervista è di Paolo Ondarza: 

R. – Questa è una tendenza che prosegue da parecchi anni, nelle istituzioni internazionali in particolare, quindi dalle Nazioni Unite in poi. Le risoluzioni del Consiglio d’Europa non hanno un valore vincolante per i Parlamenti nazionali. E’ evidente, quindi, che si tratti sostanzialmente di inviti, di raccomandazioni, ma il Parlamento e il Governo italiano possono tranquillamente disattenderla senza incorrere in multe o sanzioni.

D. – Quindi non è una risoluzione vincolante per l’Italia, ma è alto il valore simbolico potremmo dire…

R. – Diciamo che ha un valore simbolico e continua su una strada che è stata intrapresa e che è estremamente invasiva, perché in tutti i documenti, anche europei e così via, ormai c’è il gender. Quindi il problema è che anche in Italia, a parte quello che abbiamo visto entrare nelle scuole italiane, per esempio nella prima versione della legge contro l’omofobia, della proposta di legge contro l’omofobia attualmente ferma al Senato, c’era proprio l’idea dell’autodeterminazione come unico elemento di decisione sulla propria identità sessuale. Io, cioè, sono donna se decido di essere donna; se sono biologicamente donna, ma decido di essere un uomo, sono un uomo e lo Stato mi deve riconoscere. Le proposte, quindi, sono arrivate già, ma per adesso sono state arginate.

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Il divorzio breve. Cardia: si declassa matrimonio e famiglia

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Così il matrimonio viene declassato: è il commento del costituzionalista Carlo Cardia sul via libera definitivo della Camera al divorzio breve. La legge riduce i tempi della separazione dai tre anni previsti attualmente a dodici mesi, in caso di contenzioso, o a soli sei mesi, in caso di accordo consensuale. Ascoltiamo il prof. Cardia al microfono di Massimiliano Menichetti: 

R. – Il matrimonio viene in questa maniera declassato ad un evento episodico nella vita di una persona che non ha più quel valore fondante la famiglia. Noi sappiamo che la nostra Costituzione parla della famiglia fondata sul matrimonio. Ora, un fondamento deve avere qualcosa di forte, di stabile, deve apparire anche a chi compie questo atto come qualcosa di destinato a durare almeno potenzialmente. Ecco, credo che il primo effetto sia di togliere significato a quella parola “fondante”, “fondamento” della famiglia. Questo è un vulnus, nel senso che la Costituzione sta perdendo anche nelle norme riferite alla famiglia quel significato che aveva sempre mantenuto per decenni. Questa era una delle norme che ne caratterizzavano anche la bellezza, la forza, la solidità sociale.

D. – Un richiamo fondante anche per quanto riguarda la società?

R. – Viene fondata la società e la cura delle nuove generazioni, questo è il punto. Non è un discorso sociale astratto. Nella famiglia abbiamo la cura delle nuove generazioni, che poi riceve nella Costituzione tante altre attenzioni. E non a caso, l’attacco, la critica al matrimonio, poi viene portato da altre parti per togliergli significato ed estenderlo ad altre esperienze. Ma, allora, il cuore del problema sono le nuove generazioni: avranno una tutela in una famiglia stabile, in una famiglia fondata sul matrimonio? Questo è un interrogativo che riguarda la società nel suo complesso, il suo futuro immediato e quello più lontano.

D. – Stiamo sgretolando la società?

R. – Giuridicamente stiamo abbattendo tanti elementi decisivi. Socialmente noi siamo ancora più forti rispetto ad altri Paesi però non dobbiamo farci illusioni, perché la legge ha anche un’influenza sul costume sociale.

D. – In questo contesto siamo di fronte anche alle istanze gender, ovvero un matrimonio tra persone dello stesso sesso?

R.  – E’ un passo ulteriore verso questa direzione. C’è una cosa che non dice nessuno. Per altre esperienze il matrimonio viene utilizzato strumentalmente per ottenere una legittimazione sociale che non avrebbero e per ottenere l’adozione dei figli. Mi riferisco a quello che è accaduto in Francia, in Inghilterra e che sta accadendo in altri Paesi. Strumentalmente perché si dice: noi attraverso il matrimonio poi otteniamo l’adozione dei figli, dei minori, che non potremmo avere altrimenti. Questa è la strumentalità. Allora, ecco, che la riduzione del significato del matrimonio ad evento quasi episodico facilita il cammino in quella direzione.

D. – Come commentare chi invece parla di passo in avanti giuridico in linea con i cambiamenti anche degli altri Paesi?

R. – Io in parte capisco questo ragionamento perché chi parla in questo modo ha davanti a sé una civiltà giuridica fondata sul puro desiderio individuale.

D.  – C’è chi guardando proprio alle proprie generazioni e ai figli dice: il divorzio breve in realtà annulla il conflitto che c’è tra i genitori e di conseguenza addirittura li aiuterebbe ad avere un equilibrio maggiore …

R. – Bisogna avere molta attenzione al fatto che il conflitto lo subisce e lo patisce il minore. Non è il bollo che gli dà il divorzio  breve o lungo che attenua questa sofferenza: è la separazione dei genitori e tutti i conflitti che si scaricano su di lui. Questi non li cancella nessuno.

D. – In questo periodo non si è praticamente parlato di questo divorzio breve …

R. – E’ una situazione preoccupante perché certe idee che all’inizio appaiono scandalose - perché hanno un elemento di scandalosità,  attenzione! - poi dopo vengono assimilate con una grandissima superficialità. Faccio un altro esempio. Chi avrebbe mai pensato solo 5, 6 anni fa, ma anche di meno, che qualcuno avrebbe avuto l’idea - e la sta attuando - di insegnare la sessualità a bambini di 5 anni. Uno avrebbe detto: ma siamo di fronte a delle follie! Sta accadendo questo in molte scuole italiane. Questa è un po’ la situazione. Quella che Bauman definiva la società liquida sta diventando una società liquidissima. Nessuno si accorge di quello che accade. Io, vorrei dire una sola cosa e più che come appello lo dico un po’ dal cuore: non si superi quella diga per la quale non si dà più a un bambino il papà e la mamma. Questo credo sia un cammino di civiltà minima oltre la quale davvero c’è il baratro.

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Francia: sventati attentati a Chiese. I vescovi: cresca vigilanza

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In Francia è caccia ai complici del giovane algerino arrestato mentre stava pianificando un attentato contro due chiese nei dintorni di Parigi. L’arcivescovo di Parigi, il cardinale André Vingt-Trois, ha affermato che, attraverso le chiese, si voleva colpire "la Francia e una concezione della vita". Il porporato ha detto che la Chiesa francese vuole mantenere il livello di allerta elevato, ma "senza ostacolare la libertà di vivere". Il primo ministro francese, Manuel Valls, ha sottolineato che il bersaglio erano "per la prima volta i cristiani, i cattolici di Francia". Attualmente – ha aggiunto - 178 luoghi di culto cattolici su un totale di 45.000 "godono di una protezione specifica". I vescovi cattolici hanno lanciato un appello a non cedere alla paura. Ascoltiamo mons. Olivier Ribadeau-Dumas, portavoce della Conferenza episcopale francese, al microfono di Anne-Sophie Saint-Martin:           

Non cedere a panico, ma estendere protezione
R. – La première réaction c’est d’inviter les catholiques en France à ne pas céder  …
La prima reazione è quella di chiedere ai cattolici di Francia di non cedere al desiderio di fuga e al panico, ma di continuare a conservare lo spirito di pace e di dialogo. Finora, erano soprattutto i luoghi di culto ebraici che erano sotto protezione, ma ora che abbiamo visto che anche le chiese potrebbero essere bersaglio di attentati, la protezione dei luoghi di culto deve estendersi. La tutela dei luoghi di culto dev’essere oggetto di un’attenzione maggiore sia da parte del governo sia da parte della Chiesa di Francia.

Chiese restino luoghi di pace
D. – Come secondo lei dovrebbe reagire il governo? E’ necessaria una maggiore protezione delle chiese, oggi?

R. – La situation des églises est totalement différente de celle des autres lieux de culte…
La situazione delle chiese è totalmente diversa da quella degli altri luoghi di culto. In Francia ci sono 45.000 chiese, un numero assolutamente superiore a tutte le sinagoghe e a tutte le moschee che possano esistere nel nostro Paese. E’ impossibile piazzare un poliziotto o un agente davanti a ogni chiesa. Quello che è certo è che queste chiese devono rimanere luoghi di accoglienza, luoghi di preghiera, luoghi di pace, luoghi in cui ci si incontra per celebrare Gesù e quindi se è importante essere vigili, è anche importante che i cattolici rimangano disponibili, che tengano aperti i luoghi di culto affinché chiunque voglia possa entrarvi per pregare, per incontrarsi e per celebrare. Questo non è in contraddizione con quello che dicevo prima e cioè l’attenzione, la vigilanza. Questo significa che come si controllano le stazioni ferroviarie o gli aeroporti e si ferma chi possa risultare sospetto, così ci si può comportare per quanto riguarda le chiese.

Non fermare dialogo con islam
D. – Questo porta a una sorta di malessere tra le comunità religiose?

R. – Il me semble que ce projet, qui a été déjoué montre d’abord que les services de renseignement …
Mi sembra che questo proposito di attentato sia stato sventato e questo dimostra innanzitutto che i servizi di informazione siano in grado di smantellare progetti di attentato. La prima cosa da sottolineare è che non si tratta di un conflitto tra comunità religiose. Quest’uomo non agiva ‘in nome dell’islam’; agiva in nome della visione che lui ha dell’islam. La grande maggioranza dei musulmani di Francia sono persone tranquille che vivono la loro religione con grande fervore e quindi i musulmani del nostro Paese non devono assolutamente essere stigmatizzati. Al contrario, è necessario aumentare il dialogo tra tutti coloro che sono credenti. Il cardinale Tauran ha appena fatto una dichiarazione sulla necessità sempre viva di un dialogo tra cristiani e musulmani: questa dichiarazione è attualissima per il nostro Paese. E’ necessario continuare a dialogare, bisogna continuare a conoscersi, bisogna continuare a livello locale a impegnarsi per incontrarsi per comprendersi a vicenda. I musulmani di Francia sono nella grande maggioranza persone religiose e desiderose di vivere, in seno al nostro Paese, la loro fede.

Atto isolato, ma attentati potrebbero verificarsi anche in Occidente
D. – Lei ha detto che i cristiani non devono cedere alla paura: ma questo, secondo lei, è stato un atto isolato?

R. – Je n’ai pas des preuve aujourd’hui que ce soit autre chose qu’un acte isolé …
A tutt’oggi non ci sono prove che si tratti di qualcosa di diverso da un atto isolato. Allo stesso tempo, non dimentichiamo che i cristiani in Oriente sono stati in questi mesi obiettivo di tanti attentati e aggressioni. La messa in scena particolarmente crudele dell’assassinio dei copti in Libia, o degli etiopici ultimamente dichiara palesemente che una frangia che si dice islamica – il sedicente Stato islamico – minaccia con particolare attenzione l’Occidente. Che un giorno o l’altro questi attentati si spostino anche sul Continente, non mi stupirebbe affatto; ma non è per questo che si debba cedere a un clima generale di panico e di paura.

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Malawiani in fuga dal Sudafrica. P. Gamba: xenofobia sottovalutata

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Marcia di protesta oggi a Città del Capo, in Sudafrica, promossa da una ventina di organizzazioni sociali, contro l’ondata di violenze xenofobe ai danni di lavoratori stranieri, esplose in particolare nelle ultime settimane nella città di Durban e Johannesburg. Una settantina le vittime dal mese di marzo. Gli immigrati in massima parte di altre nazionalità africane sono il 10% di una popolazione di circa 50 milioni di abitanti. In maggior numero arrivano da Zimbabwe, Nigeria, Mozambico e Malawi, Paese poverissimo, dove il governo sta provvedendo a rimpatriare i propri cittadini, perseguitati e a rischio di vita. Roberta Gisotti ha intervistato padre Piegiorgio Gamba, missionario monfortano, in Malawi: 

R. – Il governo sta riportando a casa 3.200 cittadini del Malawi, ha organizzato 60 pullman che faranno andata e ritorno continuo finché non li avranno riportati tutti a casa. Vengono dai campi di raccolta dove hanno trovato rifugio, questi cittadini del Malawi, che si trovano a lavorare in Sudafrica da anni …

D. – Tra le cause che hanno scatenato la violenza, le dichiarazioni del Re della tribù degli Zulu, molto influente nella regione, che ha accusato gli immigrati di concorrenza sleale nel commercio, di rubare quindi il lavoro ai sudafricani …

R. – Sì, questo ha portato all’esplodere di un malcontento che rimane comunque, davanti ad un’economia forte, come quella del Sudafrica, che cresce, ma lascia fuori una grandissima parte di popolazione che rimane povera perché il Sudafrica in questo momento ha pochissimi ricchi, estremamente ricchi, ed una massa enorme di poveri, a cui il lavoro non sempre è garantito. La reazione di alcuni è stata di voler cacciare tutti quelli che non sono sudafricani. E il presidente del Sudafrica, Jakob Zuma, non ha avuto il coraggio di esprimersi contro il Re degli Zulu perché è del suo stesso clan, della sua stessa tribù. All’inizio sembrava una reazione da poter controllare. Lo stesso presidente diceva: “Non è ancora il momento di fare intervenire l’esercito”, mentre adesso l’esercito presiede questi centri dove la violenza è stata maggiore.

D. – Quindi si può prevedere che altri lavoratori malawiani scapperanno dal Sudafrica?

R. – Il Malawi non può fare a meno del Sudafrica. In modo particolare, quest’anno il Malawi ha sofferto una grandissima alluvione, a gennaio; oltre il 30 per cento del raccolto quest’anno verrà a mancare. Davanti a questa povertà, c’è la necessità di una condivisione maggiore, e la domanda che il Malawi si fa adesso è: “Sì, li riportiamo a casa per dare loro che cosa? Cosa offriamo a queste migliaia di persone che riportiamo a casa?”. E’ quindi necessaria la compartecipazione, l’arrivare ad un’unità di mercato sulla quale questi Paesi del Sud dell’Africa a livello ufficiale si sono accordati, ma che poi però si fa fatica a mettere in atto perché si scontra con una cultura e con interessi politici che tendono a dividere.

D. – Padre Gamba, sappiamo che la Chiesa del Malawi è preoccupata anche per possibili ritorsioni su sudafricani nel Malawi …

R. – E’ stato il primo messaggio della Commissione Giustizia e Pace: appena si sono sentiti questi echi di violenza c’è stato un intervento immediato, e subito noi abbiamo chiesto che non ci sia alcuna ritorsione, alcuna manifestazione di violenza perché altrimenti ci mettiamo allo stesso livello e il dialogo diventerà impossibile.

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Centro Astalli: l'Ue abbia il coraggio di salvare i migranti

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"Nei 10 punti che i ministri degli Stati membri  dell’Ue discuteranno oggi durante il Consiglio, c’è il tentativo di mettere mano alla situazione, se fatto prima avrebbe risparmiato centinaia di vite. Da questi punti non traspare il coraggio di cambiare rotta". Così il Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati in Italia, che oggi ha presentato il suo rapporto annuale, critica fortemente il comportamento dell’Unione Europea di fronte alle tragedie nel Mar Mediterraneo. Francesca Sabatinelli: 

La preoccupazione del Centro Astalli è che sia ancora la sicurezza dell’Europa e non la persona dei richiedenti asilo, dei rifugiati, dei migranti, quello che sta a cuore all’Europa. Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, è netto: l’Europa reagisce come se si dovesse difendere dai rifugiati e non accoglierli. Di fronte a oltre 50 milioni di persone che fuggono dalla propria casa e dalla propria terra, di fronte a centinaia di innocenti che perdono la vita nel tentativo di arrivare in Europa, non si può restare inermi:

“Quello che noi, da sempre, cerchiamo di sottolineare è che bisogna riportare al centro la persona dei migranti, perché soltanto ponendola al centro si riesce a fare anche una guerra ai trafficanti. Se si pone la persona dei migranti al centro, l’attenzione è - per esempio - sulla creazione di corridoi umanitari, che sono una via legale e che sottraggono quindi i richiedenti asilo e i rifugiati alle mani dei trafficanti e quindi a vie illegali. Le altre azioni che vengono indicate mettono, invece, in evidenza come ci sia una povertà anche di creatività e di immaginazione su quali possano essere le soluzioni di questo problema”.

Bombardare con droni le barche prima che prendano il mare, continua Ripamonti, significa impedire alle persone di partire senza offrire loro un'alternativa. Così ci troveremmo di fronte a un blocco navale, anche se in versione più tecnologica e asettica. E’ inoltre necessario non abbandonare in questo momento il salvataggio in mare.

“L’operazione 'Triton' ci ha mostrato come questo passaggio non abbia ridotto l’arrivo delle persone: ha aumentato soltanto i morti! Quindi il ritornare a una operazione 'Mare Nostrum', ovviamente sotto l’egida dell’Unione Europea, potrebbe essere una possibilità per salvare molte vite umane.”

Per padre Ripamonti inoltre “occorre rivedere l’accordo di Dublino, affinché si permetta alle persone che scappano da situazioni di guerra e persecuzione di avere almeno la possibilità di muoversi liberamente e di ricongiungersi con le loro famiglie, con i loro cari e con le comunità di appartenenza”:

“Riteniamo che sia paradossale che nell’Unione Europea le merci possano muoversi liberamente e le persone non possano farlo. Quindi riteniamo che questo accordo di Dublino vada, in qualche modo rivisto nell’ottica di una presa di responsabilità di tutti gli Stati e di una redistribuzione interna, all’interno degli Stati, dei migranti”.

L’Unione Europea, è la conclusione di Ripamonti sembra dunque poco disponibile a prendere in considerazione il punto di vista dei più vulnerabili. L’Europa, e tutta la comunità internazionale, devono prendere sul serio questi esodi, è l’opinione di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, per il quale è assurdo pensare di procedere alla distruzione delle imbarcazioni che trasportano i migranti:

“Credo che sarebbe una follia, perché è poi quasi impossibile discernere come colpire queste imbarcazioni. Ci sarebbero sicuramente delle altre vittime! Si tratta di vedere nei loro Paesi che cosa si può fare, affinché i flussi siano guidati e soprattutto affinché non finiscano per fare delle traiettorie di morte. Credo che dovremmo vergognarci! L’inerzia e l’inconsapevolezza della Comunità internazionale stanno portando la nostra gente addirittura alla barbarie: ormai il clima è avvelenato! Si è cavalcata quella paura, che era comprensibile, per ragione politiche, si sono insinuati davvero dei germi di razzismo, di disprezzo dell’altro. Questi flussi continueranno! Il nostro credo sia il secolo degli esodi. Ci vuole molta previsione, un lavoro a lungo periodo, molta intelligenza e molta responsabilità da parte soprattutto della governance politica, e non avere visioni molto ristrette e dettate dal clientelismo dei voti. Io provo un sentimento più di vergogna che non di indignazione! La vergona mi copre davvero la faccia. L’Europa tradisce tutta la sua storia, tutta la sua cultura, l’accoglienza e l’ospitalità sono stati grandi valori del Mediterraneo. Noi oggi non siamo all’altezza di quella che è la postura che dovremmo avere come europei: innanzitutto saper parlare con una sola voce e non essere così divisi, avere un maggior senso della solidarietà e capire che l’altra sponda del Mediterraneo non è l’aldilà, ma è davvero il primo interlocutore che noi dobbiamo avere a tutti i livelli, politico, economico e sociale. Non possiamo fare senza di loro! Sarebbe la negazione di tutto il mondo antico, che su queste sponde ha creato la civiltà più dinamica, quella che ha creato i migliori valori per l’umanizzazione”.

Nel rapporto del Centro Astalli si legge che, nel 2014, sono state  21mila le persone, tra richiedenti asilo e rifugiati, ad aver avuto accesso ai servizi e ai progetti della sede di Roma, 34mila se si calcolano coloro che si sono rivolti alle altre sedi italiane. Le domande di asilo presentate in Italia sono aumentate del 143% rispetto al 2013, sebbene le persone arrivate siano molte di più, circa 170mila, in maggioranza provenienti da Siria ed Eritrea. Dato che indica che i migranti non si sono fermati nella penisola ma hanno proseguito il loro viaggio verso altre mete europee.

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Antitrust Ue contro Gazprom: abuso di posizione dominante

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L’antitrust europeo colpisce il gigante russo Gazprom. Dopo tre anni di indagini, il commissario alla concorrenza Margrethe Vestager ha messo nero su bianco le accuse contro l’azienda russa del gas, che ritiene colpevole di aver abusato della sua posizione dominante nell'Europa centrale ed orientale. Per Bruxelles, non solo ha ostacolato la concorrenza tra Stati impedendo il libero scambio di gas, ma ha anche attuato una politica dei prezzi "sleale", applicando ad alcuni tariffe superiori anche del 40% rispetto ad altri. Gazprom risponde definendo le accuse "infondate". Della vicenda Fausta Speranza ha parlato con Giovanni Fiore, docente di Corporate Governance all’Università Luiss: 

R. – Premesso che – ovviamente – bisognerebbe leggere in dettaglio quali sono le contestazioni che l’Unione Europea muove a Gazprom, credo che sia noto a tutti che Gazprom, azienda russa che produce e distribuisce gas, è un gigante nel suo settore e che moltissimi Paesi, in parte anche l’Italia, ne dipendono fortemente. Da quello che si legge, sembrerebbe che la contestazione dell’Unione Europea sia quella per cui Gazprom, attraverso delle politiche restrittive, impedisca lo scambio libero del gas in alcuni Paesi, principalmente dell’Europa Orientale. Quindi fondamentalmente Gazprom sfrutta la sua posizione di dominio “ricattando” questi Paesi e dicendo loro: “o voi gestite in un certo modo il consumo e la distribuzione del gas o io non vi fornisco più”. Però ripeto: questo è quello che si legge dai giornali fondamentalmente.

D. – Si parla di politica sleale per i prezzi: è proprio quello di cui parlava lei?

R. – Quando un operatore è così grande ed ha una posizione così dominante è inevitabile che un pochino abusi di questa sua posizione dominante. Il mercato del gas è un mercato abbastanza oligopolistico, nel senso che ci sono pochi operatori sul mercato ed è quindi evidente che ci può essere una distorsione sui prezzi ma bisogna vedere di quanto. Però questo richiederebbe un’analisi molto più approfondita. Secondo me, se la vogliamo vedere dal punto di vista della politica economica, è chiaro che è abbastanza singolare che questo confronto con la Gazprom avvenga proprio in un periodo in cui ci sono, tra l’altro, anche le sanzioni nei confronti della Russia… Quindi, secondo me, è una ulteriore arma di pressione che viene utilizzata dall’Unione Europea nei confronti di Gazprom.

D. – E’ anche vero che sono processi che sono partiti già da un po’: prima che si muove la macchina europea…

R. – Lei ha perfettamente ragione! La giustificazione è quella che, appunto, probabilmente si tratta di un processo che ha richiesto un’analisi attenta e accurata, perché sono indagini – queste – che richiedono degli studi e degli approfondimenti. Diciamo che la tempistica potrebbe essere questa. Certo non si può non notare che avviene in un momento in cui esistono anche le sanzioni con la Russia; esiste un problema, in generale, geopolitico di rapporto tra Unione Europea e la Russia e quindi questo indubbiamente è un elemento che complica ulteriormente il quadro.

D. – Ci fa qualche esempio di Paese europeo che ha proprio sulla questione energia e con Gazprom interessi particolari? E’ vero il legame molto particolare della Germania?

R. – Sì, certamente. Ma anche noi avevamo dei rapporti privilegiati che sono stati poi messi in discussione: ricordiamo la famosa vicenda del gasdotto SouthStream. Guardi, la politica energetica è un tema davvero rilevante per ogni Paese: la politica energetica è una parte fondamentale del bilancio di un Paese. Perciò ogni Paese fa una politica a sé, una politica europea dell’energia di fatto non esiste.

D. – Questa Europa così divisa, debole su questo mercato ormai globale con giganti emergenti come la Cina, l’India o altri, però ha vinto il braccio di ferro con Microsoft e adesso sta sfidando il gigante Gazprom. Che dire?

R. – Ha sfidato anche Google. Una delle poche cose che funzionano in Europa è l’antitrust: sicuramente questo non si può negare. L’antitrust è importante in tutto il mondo e combattere i monopoli e gli oligopoli è uno dei cardini per il libero mercato, perché – è noto – se c’è un soggetto che ha una pozione forte o dominante può imporre i suoi prezzi, può imporre le sue regole e tutto questo a danno delle altre imprese e dei consumatori. Quindi, da questo punto di vista, l’antitrust è un cardine del funzionamento del libero mercato. Se non facciamo funzionare l’antitrust non funziona bene il libero mercato. Però non è che una politica economica comune si fa soltanto attraverso i veti: certamente è giusto imporre il rispetto delle regole a soggetti che hanno posizioni dominanti, ma serve sicuramente una politica comune. Invece, su questo si va in ordine sparso.

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L'Aquila: simulato il terremoto. Rivissuto il dramma di 6 anni fa

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“Salvare vite umane fronteggiando la devastazione del terremoto grazie a rigorose procedure e una corretta informazione”. E’ la sfida che ha lanciato L’Aquila a sei anni dal sisma che uccise 309 persone cambiando il volto della città. Oggi, per la prima volta, è stato simulato un terremoto di magnitudo 4.0 sulla Scala Richter con la conseguente evacuazione del centro storico. Impegnati nell’operazione A.S.TER.I.C.S. decine di uomini dalla Protezione civile. Per noi c’era Massimiliano Menichetti

E’ il suono della sirena dei Vigili del Fuoco a dare l’allarme. Tra le tende di coordinamento e soccorso, sanitari, esperti del territorio, militari, forze di  polizia e volontari, tutti impegnati a gestire l’emergenza terremoto a L’Aquila. Un evento simulato con tanto di evacuazioni, persone da cercare, estrarre dalle macerie, da censire e raccogliere nella centralissima piazza Duomo. Il sindaco Massimo Cialente:

“La prima cosa è organizzare la macchina. In questo momento non sono tanto investiti i cittadini, quanto le istituzioni… Poi, si vedranno tutti gli eventi avversi - anche il più piccolo errore, la più piccola sfasatura che avremo riscontrato - e lavoreremo su quelli”.

A.S.TER.I.C.S. ovvero “l’attività di simulazione terremoto in centro storico” ha testato efficacemente la risposta di uomini e mezzi in caso di sisma, ma ha voluto anche essere una via d’informazione per la popolazione, nella consapevolezza che sapere come agire, in caso di evento catastrofico, salva la vita. Eugenio Vendrame, capo della Protezione Civile del Comune aquilano:

“Bisogna sempre ricordare che le attività di sicurezza sono attività che più vengono testate, più vengono organizzate, più vite vengono salvate”.

Uomini e mezzi della Protezione civile si sono mossi tra i palazzi puntellati, le macerie e le gru della ricostruzione. Tra lo sguardo della popolazione. Inevitabile tornare con la memoria alle 3:32 del 6 aprile del 2009 quando il fragore del suolo uccise 309 persone, ne ferì 1.500 e provocò danni per oltre 10 miliardi di euro e più di 60 mila sfollati. 15 mila persone ancora oggi sono senza casa.

“Questa è stata una tragedia che noi avremo sempre negli occhi”.

“Quel tipo di angoscia c’è sempre”.

“E’ un ricordo che non si cancellerà mai. Ancora adesso, a distanza di sei anni, quando sto per prendere sonno, ogni tanto ho l’impressione che il mio letto si muova”.

D. – Lei come vive questa giornata di oggi?

R. – Molto contenti perché era ora che si facessero cose di questo genere perché ci aiutano a prepararci.

“Ci voleva forse un allarme all’improvviso per vedere le tempistiche e i modi di attuazione dei piani di emergenza”.

“Credo che sia una cosa positiva”.

La ricostruzione c’è ma è lenta ripete il sindaco Cialente confermando che il 90% dei quartieri nuovi sono stati ristrutturati. Situazione diversa nel cuore del centro storico dove la percentuale scende fino al 3%. Ancora Cialente:

“Adesso i soldi ci sono. Solo per quest’anno abbiamo un miliardo e 200 milioni che è una cifra immensa! Alla fine del 2017 noi avremo restituito un pezzo importante alla città. Nel 2019 noi vorremmo aver finito quasi tutto. Noi vorremmo dire al mondo: l’Italia ha ricostruito L’Aquila in 10 anni. Bisogna crederci!”

L’Aquila ha mostrato tutta la sua forza anche avendo saputo trasformare la catastrofe in scuola. Qui infatti ha sede la prima Accademia in Europa di Protezione civile. Il responsabile Sandro De Santis:

“Il progetto è il primo in Europa. Noi siamo un dipartimento della UNINT, l’Università degli studi internazionali di Roma. La sfida nasce dalla consapevolezza che c’è un buco di formazione. Come disse all’epoca dell’inaugurazione della nostra sede il prefetto Gabrielli, avere piani di protezione civile chiusi nel cassetto non serve a nulla. I piani di protezione civile devono essere divulgati fra la popolazione affinché la popolazione conosca come comportarsi durante l’evento perché così si salvano vite umane. Questo è ciò che noi spingiamo a fare”.

Mentre si attende la ricostruzione si studiano e testano i piani della protezione la città - dicono gli aquilani - ha cambiato volto, ma la speranza non cede al passo alle nuove criticità:

“Al di là del vedere i cantieri ovunque, non ci sono punti di raccolta. Comunque rimane la nostra città”.

“Spero sicuramente che rinasca, che torni com’era prima”.

“Purtroppo ci vuole tempo. La preoccupazione non è tanto per noi, ma per i giovani: non c’è un futuro qui per loro al momento. Qui il sabato si va nei Centri commerciali, i ragazzi bevono birre, si litiga… Perché purtroppo non ci sono momenti e punti di aggregazione”.

D. – E’ cambiato il volto di questa città?

R. – E’ cambiato tantissimo. Non è più la città di prima. E proprio a proposito di punti di aggregazione, di socializzazione, che mancano, gli unici punti di aggregazione che sono rimasti adesso sono le parrocchie, quelle poche che sono ancora in piedi! La speranza è sempre l’ultima a morire, come si dice, e noi siamo qui, aspettiamo fiduciosi che succeda qualcosa di buono.

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Nella Chiesa e nel mondo



Giustizia e pace Europa: Ue tuteli la libertà religiosa

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Includere la libertà religiosa nelle priorità politiche dell’Unione Europea per la difesa dei diritti umani: questa la richiesta avanzata da mons. Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo e presidente della Conferenza Giustizia e pace Europa. A Bruxelles, il presule ha incontrato il rappresentante speciale europeo per i Diritti umani,  Stavros Lambrinidis; ad accompagnarlo, c’era il segretario generale della Comece (Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea). L’incontro, informa una nota, si è tenuto “nel contesto della revisione del piano di azione dell’Ue sui diritti umani e la democrazia”.

Libertà religiosa non è mera libertà di espressione
“Riferendosi alla situazione corrente – continua la nota - riguardante le minoranze religiose, inclusi i cristiani, che in molti Paesi del mondo devono affrontare la persecuzione a causa del loro credo, mons. Hollerich ha messo in guardia dalla tendenza a trascurare il diritto alla libertà religiosa, supponendo che esso sia, semplicemente, incluso nella libertà di espressione”. “È importante – ha ribadito l’arcivescovo di Lussemburgo – che la promozione della libertà religiosa e la tutela delle minoranze religiose abbiano un posto preminente nell’agenda europea sui diritti umani, così da garantire il godimento di questo fondamentale diritto in tutte le sue dimensioni, a livello sia individuale che collettivo”.

Incrementare politiche educative adeguate contro estremismi e violenze
In particolare, il presule ha sottolineato “la necessità di una corretta attuazione delle Linee-guida sulla libertà religiosa adottate recentemente dall’Ue” ed ha lanciato “un appello per un’intensificazione dell’impegno europeo nel dialogo costante con le Chiese e le comunità religiose in materia di libertà religiosa”. Durante il colloquio, conclude la nota, “si è discussa anche la promozione dei diritti umani nel contesto della politica di sviluppo dell’Ue”. In quest’ottica, “le politiche educative sono state considerate uno strumento efficiente per contrastare gli estremismi e le violenze religiose”.

Promuovere il rispetto della dignità umana
​Infine, qualche dato sulla Conferenza delle Commissioni europee di Giustizia e pace: composto da 31 rappresentanti, l’organismo lavora alla promozione della giustizia, della pace e del rispetto della dignità umana, contribuendo ad accrescere la consapevolezza della Dottrina sociale cattolica nella società e nelle istituzioni europee, in collaborazione con la Comece. (I.P.)

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Appello vescovi dell'Etiopia: mai uccidere in nome di Dio

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Una condanna “inequivocabile” dell’esecuzione dei 29 cristiani etiopi, uccisi nei giorni scorsi da miliziani del sedicente Stato Islamico: è quella che arriva dalla Conferenza episcopale dell’Etiopia, in un comunicato diffuso ieri, in occasione dell’Assemblea generale. “Questi martiri etiopi che sono stati macellati in Libia – scrivono i presuli – non erano politici, non erano soldati, non erano uomini armati, considerati pericolosi per la sicurezza della popolazione”.

Le vittime, giovani migranti in cerca di un futuro migliore
Piuttosto, sottolineano i vescovi, essi erano “giovani migranti innocenti, pieni di speranza per un futuro migliore nel Paese di destinazione, un futuro che fosse capace di trasformare la vita loro e delle loro famiglie, e di contribuire allo sviluppo del Paese di destinazione”. Esprimendo, inoltre, “profonda tristezza” per queste uccisioni, la Chiesa di Addis Abeba sottolinea che le vittime hanno perso la vita perché “hanno rifiutato di rinnegare la loro fede in un mondo in cui ogni essere umano dovrebbe poter vivere ovunque nel pieno rispetto dei suoi diritti, senza distinzione di razza, colore e religione”.

Atti terroristici non rappresentano alcuna religione
“In effetti – si legge ancora nella nota – questi atti terroristici non rappresentano alcuna religione, dato che, come è noto, questi crudeli assassini uccidono anche i seguaci del loro stesso credo”. Di qui, il richiamo forte dei vescovi etiopi: “Il sangue di persone innocenti non deve mai essere versato in nome di Dio, in nessun Paese”. Allo stesso tempo, i presuli ricordano che le principali religioni sono state diffuse, nel mondo, tramite i migranti e lo stesso Gesù Cristo “giunse in Africa come migrante e ritornò nel suo luogo di nascita dopo essere stato accolto dall’Africa”. Un’accoglienza che, affermano i presuli, l’Etiopia pratica ancora oggi, ospitando decine di migliaia di rifugiati “senza discriminazioni”.

Appello contro la tratta di esseri umani
“Perché, dunque, tale atrocità e spargimento di sangue sui figli innocenti dell’Etiopia? – è la domanda angosciosa dei vescovi – I rifugiati etiopi dovrebbero essere trattati, in ogni Paese, secondo gli accordi internazionali” ed è quindi “un crimine stappare via le loro vite”. La Chiesa di Addis Abeba si rivolge, poi, anche ai trafficanti di esseri umani, lanciando loro un appello, affinché non ingannino i giovani, esortandoli a lasciare la loro patria. Ed agli stessi giovani i vescovi ricordano di “non mettersi in viaggio senza documenti legali, così da evitare di rimanere intrappolati” nel circuito della tratta. Inoltre, i presuli esortano i ragazzi a “considerare l’opzione di lavorare nella propria patria, abbandonando l’idea di migrare in un altro Paese in cui la situazione non sia sicura”.

Il dolore e la preghiera del Papa
​La nota episcopale si conclude con una preghiera per le vittime e per le loro famiglie. Da ricordare che anche Papa Francesco ha espresso costernazione, dolore e preghiera per l’uccisione dei 29 cristiani etiopi: in un messaggio inviato nei giorni scorsi al patriarca ortodosso di Etiopia, Abuna Matthias, il Pontefice denuncia il “continuo martirio” inflitto ai cristiani in Africa,  Medio Oriente e alcune regioni dell’Asia.  “Non fa differenza che siano cattolici, copti, ortodossi o protestanti – scrive il Papa – Il loro sangue, medesimo nella confessione di Cristo”, è una “testimonianza che grida per farsi sentire da chi sa ancora distinguere tra bene e male”, è "un grido che deve essere ascoltato soprattutto da coloro che hanno nelle mani il destino dei popoli”. (I.P.)

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Iraq: Chiesa in aiuto a famiglie musulmane sfollate da Tikrit e Anbar

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Patriarcato caldeo e Caritas in Iraq hanno portato oggi aiuti ad almeno 2mila famiglie musulmane sfollate da Tikrit e Anbar, teatro dell’ultima offensiva delle milizie del sedicente Stato islamico (Is). Interpellato dall'agenzia AsiaNews, Mar Louis Raphael I Sako ha sottolineato l’importanza di questa “iniziativa fraterna”, resa possibile da quanti hanno guidato e accompagnato camion e mezzi utilizzati per la consegna. “I nostri fedeli - ha aggiunto il leader della Chiesa irakena - hanno voluto esprimere in modo concreto la solidarietà dei cristiani ai loro fratelli musulmani, alleviandone in questo modo la loro sofferenza”. 

La Chiesa vuole condividere la loro sofferenza
Il patriarca caldeo ricorda che “Cristo ci ha comandato di aiutare le persone nel bisogno”, in particolare quelli “che riteniamo essere nostri fratelli”. Egli ha aggiunto che “siamo venuti qui oggi per esprimere il nostro dolore per quanto sta accadendo nel nostro Paese”, per le distruzioni, le uccisioni, le centinaia di migliaia di sfollati. “Noi cristiani abbiamo sofferto molto - prosegue mar Sako - soprattutto a Mosul e nella piana di Ninive”. Rivolgendosi alle famiglie di sfollati musulmani, in fuga da Tikrit e Anbar, egli ha sottolineato che “siamo venuti a dirvi che condividiamo la vostra sofferenza e vi amiamo”. E ha infine auspicato che “queste tragedie finiscano presto” e le persone “possano tornare nelle loro case e vivere in piena pace e sicurezza”. 

I musulmani: la vostra religione dell'amore l'avete incarnato in un modo concreto
L’iniziativa promossa dai leader cristiani e dalla comunità dei fedeli ha ricevuto l’apprezzamento non solo delle famiglie che hanno beneficiato degli aiuti, ma anche di autorevoli esponenti della comunità musulmana irakena. I due sceicchi Mohamed e Mahmoud Ghurery hanno elogiato la vicinanza e la solidarietà della minoranza cristiana, parlando di “iniziativa nobile e fraterna”. “La religione cristiana - hanno aggiunto - è amore e voi, ora, l’avete incarnato in un gesto concreto”. I leader musulmani hanno aggiunto di non dimenticare i molti attestati di stima e solidarietà ricevuti in questi anni dai cristiani, perché quella di oggi “non è la prima volta”. “Queste iniziative - concludono - consolidano la coesistenza e ricostruiscono la fiducia. Dio vi benedica e vi ringraziamo dal profondo del nostro cuore”. (J.M.)

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Maria Voce all’Onu: dialogo contro la “religione della guerra”

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Non bisogna “cedere terreno” a chi tenta di rappresentare “molti dei conflitti in corso come ‘guerre di religione’”, perché “la guerra è, per definizione, l’irreligione”. Si deve piuttosto parlare “di religione della guerra”, come dimostrano le continue tragedie e le centinaia di morti in fuga dalla guerra e naufragati nel Mediterraneo. È quanto ha sottolineato Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel secondo giorno del dibattito ad alto livello che si è tenuto al Palazzo di Vetro di New York. Intitolato “Promozione della tolleranza e della riconciliazione: favorendo società pacifiche, accoglienti e contrastando l’estremismo violento”, l’incontro di due giorni che si è concluso ieri; è nato grazie all’iniziativa diretta del Presidente Sam Kutesa, del Segretario generale Ban Ki-moon e dell’Alto rappresentante dell’Alleanza delle civiltà Nassir Abdulaziz Al-Nasser.

Ruolo cruciale della tolleranza e della riconciliazione
La leader cattolica - riporta l'agenzia AsiaNews - ha parlato assieme ad altri 14 rappresentanti religiosi di diverse tradizioni e aree del mondo. In precedenza erano intervenuti i rappresentanti degli Stati membri delle Nazioni Unite, i quali hanno sottolineato a vario titolo l’enorme risorsa che la dimensione religiosa è per l’umanità. I risultati raccolti dal Dibattito ad Alto Livello saranno integrati nei contenuti dell’agenda per lo sviluppo post 2015, che gli Stati Onu e altri attori internazionali dovranno formulare, sottolineando il ruolo cruciale di temi quali la tolleranza e la riconciliazione. 

Nel Movimento dei Focolari l’incontro tra culture e religioni
Oggi vi è una “situazione di gravissima disgregazione politica, istituzionale, economia e sociale” ha esordito Maria Voce, che richiede “risposte altrettanto radicali, capaci di cambiare il paradigma prevalente”. Nel Movimento dei Focolari, aggiunge, l’incontro tra culture e religioni “è una esperienza continua e feconda, che non si limita alla tolleranza o al semplice riconoscimento della diversità”. È necessario andare oltre i principi della riconciliazione e creare “una nuova identità, più ampia, comune e condivisa”.  “È un dialogo fattivo - continua la responsabile del Movimento - che coinvolge persone delle più varie convinzioni, anche non religiose, e spinge a guardare ai bisogni concreti, a rispondere assieme alle sfide più difficili”. Per Maria Voce è sempre più evidente “un estremismo della violenza” cui bisogna rispondere con “altrettanta radicalità”, ma in modo “strutturalmente diverso, cioè con ‘l’estremismo del dialogo’, che richiede il massimo di coinvolgimento, che è rischioso, esigente, sfidante, che punta a recidere le radici dell’incomprensione, della paura e del risentimento”. 

Solo la pace è veramente santa, perché Dio stesso è la pace
Da ultimo, la leader cattolica rivolge un interrogativo ai membri del Palazzo di Vetro, chiedendo loro cosa voglia dire oggi “essere l'organizzazione delle ‘Nazioni Unite’, se non un'istituzione che davvero si adopera per l'unità delle nazioni, nel rispetto delle loro ricchissime identità”. E chiude citando uno scritto di Chiara Lubich dopo gli attentati dell’11 settembre e i successivi interventi militari in Afghanistan e Iraq: “La guerra non è mai santa, e non lo è mai stata. Dio non la vuole. Solo la pace è veramente santa, perché Dio stesso è la pace”. 

Maria Voce è succeduta a Chiara Lubich
Maria Voce, eletta presidente del Movimento il 7 luglio 2008 dall’Assemblea generale dei Focolari, è stata la prima focolarina a succedere alla Lubich. Calabrese, 78 anni, di formazione avvocato, è entrata nel Movimento (Opera di Maria) negli anni Sessanta. Oggi esso è presente in 182 Paesi, conta circa due milioni di aderenti e simpatizzanti in prevalenza cattolici, ma non solo. (R.P.)

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Cuba: gioia dei vescovi per l’annuncio della visita del Papa

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Gioia e speranza sono i sentimenti con i quali la Chiesa cattolica cubana ha accolto l’annuncio, diffuso ieri, della prossima visita del Papa nel Paese. Come dichiarato dal portavoce della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, “il Santo Padre Francesco, avendo ricevuto e accettato l’invito da parte delle autorità civili e dei vescovi di Cuba, ha deciso di compiere una tappa nell’Isola prima di giungere negli Stati Uniti per il viaggio già da tempo annunciato”, nel mese di settembre.

Francesco, Papa del dialogo
“Riponiamo molte speranze in questa visita”, afferma mons. José Félix García, segretario aggiunto della Conferenza episcopale cubana, ricordando poi l’impegno della Santa Sede nel dialogo diplomatico tra Cuba e gli Stati Uniti.  “I fedeli cubani – continua mons. García – apprezzano molto il Papa perché irradia una speciale simpatia, grazie alla bontà ed alla semplicità che contraddistinguono lo stile del suo pontificato”. “Abbiamo visto il Pontefice recarsi in luoghi di conflitto, come la Terra Santa – aggiunge il presule – e seguire il Vangelo di Cristo in modo molto diretto, sostenendo sempre che la soluzione dei conflitti passa attraverso il dialogo”.

Terzo Pontefice sull’Isola, dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
Dal suo canto, il portavoce dell’arcidiocesi de L’Avana, Orlando Márquez, sottolinea che “la visita del Papa, a carattere pastorale, servirà a sostenere la Chiesa cubana nella sua tradizionale attenzione alla causa della pace e del bene comune”. Infine, il portavoce evidenzia il “privilegio” di Cuba di poter accogliere ben tre Pontefici: Giovanni Paolo II nel 1998, Benedetto XVI nel 2012 ed ora Papa Francesco.

In corso la visita del card. Stella, prefetto Congregazione per il Clero
Intanto, in questi giorni è presente sull’Isola il card. Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero, e già nunzio apostolico a Cuba  dal 1993 al 1999. Il programma della visita del porporato comprende una riunione con i presuli locali e la visita ai seminari delle diocesi dell’Avana, Camaguey e Santiago de Cuba. Oggi, inoltre, il card. Stella presiede l’eucarestia nella cattedrale di Santiago di Cuba, mentre altre due celebrazioni sono attese per domani a  Camaguey e per domenica a L’Avana. La visita del porporato si concluderà il 28 aprile. (I.P.)

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Croazia. Plenaria vescovi: tutelare e promuovere la famiglia

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È stato il tema della famiglia il cuore della 50.ma Plenaria della Conferenza episcopale croata (Ccb), svoltasi a Zagabria. Nel comunicato diffuso al termine dei lavori, i presuli sottolineano che “la famiglia è davvero al centro dell’attenzione della Chiesa”, anche in vista del prossimo Sinodo generale ordinario che si terrà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre, dedicato al tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.

Trasmettere il valore della famiglia alle nuove generazioni 
In quest’ottica, citando l’Esortazione apostolica “Familiaris Consortio” siglata da Giovanni Paolo II nel 1981, i vescovi croati sottolineano che “la Chiesa vuole far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente; a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare”. (FC 1). Quindi, sottolineando le difficoltà “nella trasmissione del valore della famiglia di generazione in generazione” e la necessità di enfatizzare “il ruolo degli insegnanti di religione in rapporto al tema della famiglia e del matrimonio”, la Ccb evidenzia l’importanza di “una preparazione catechetica, pastorale e spirituale al matrimonio”.

Promuovere la dottrina della Chiesa sulla difesa della vita
Infatti, notano i presuli croati, “da quando le famiglie moderne hanno iniziato ad essere meno radicate nella vera mentalità cristiana, è venuta a mancare la capacità di fornire un ambiente adeguato per la preparazione al matrimonio ed alla vita familiare”, soprattutto “per i giovani”. Di qui, l’auspicio dei presuli che si tengano, in ogni diocesi, corsi di preparazione alle nozze e che si diffonda una maggiore conoscenza della dottrina della Chiesa sulla difesa della vita dal concepimento e fino alla morte naturale.

Ideologia gender mette in discussione significato originario del matrimonio
Altro tema essenziale esaminato dai presuli è stato quello relativo alla “pericolosa diffusione dell’ideologia del gender che mette in discussione il significato originario del matrimonio e della famiglia”. Per questo, la Chiesa di Zagabria esorta i cristiani a rispondere a questa sfida, così come a quella del relativismo, “promuovendo i valori genuini della vita, del matrimonio e della famiglia in modo positivo e stimolante”, così da “presentare e difendere sempre la vera posizione della Chiesa in modo rispettoso, con fede instancabile”.

Lo Stato adotti  politiche familiari a lungo termine ed a sostegno delle nascite
L’Assemblea si è soffermata, poi, sulla questione demografica, evidenziandone la complessità dovuta a “migrazioni, abbandono delle zone rurali con conseguente sovraffollamento in pochi centri urbani, alto tasso di disoccupazione, precariato, mancanza di politiche abitative per le famiglie giovani e presenza di trend economici negativi che peggiorano la situazione”, soprattutto per le donne ed i bambini. Di qui, l’auspicio dei presuli affinché si trovi una soluzione “per il futuro demografico” del Paese, anche attraverso “l’adozione urgente e l’attuazione sistematica di politiche familiari a lungo termine ed a sostegno delle nascite”.

Ad agosto, 20.mo anniversario della “Operazione Tempesta”
Infine, la Plenaria ricorda alcune appuntamenti significativi: il 9 giugno si terrà l’incontro annuale dei vescovi con i Superiori religiosi del Paese; il 5 agosto verrà celebrata una Messa per il 20.mo anniversario della “Operazione Tempesta”, l’azione militare principale svolta dalla Croazia nel 1995, durante la guerra di indipendenza, mentre dal 10 al 12 novembre si terrà la prossima Assemblea episcopale. (A cura di Isabella Piro)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 113

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Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.