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Sommario del 22/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: ridare "onore" a matrimonio tra uomo e donna

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La Chiesa custodisca sempre l’alleanza tra uomo e donna, così come Dio l’ha pensata e creata, perché il “matrimonio e la famiglia” ritrovino oggi tutto il loro “onore”. È l’auspicio che ha attraversato la catechesi di Papa Francesco all’udienza generale in Piazza San Pietro, davanti a oltre 40 mila persone, dedicata ancora una volta al rapporto di “reciprocità” che lega l’uomo e la donna. Il servizio di Alessandro De Carolis

La scena dell’Eden narrata dalla Bibbia mostra in dettaglio quale progetto Dio abbia avuto sull’uomo e sulla donna fin dall’inizio di tutto: rendere entrambi vicini, complementari, uniti da un forte vincolo di “comunione”, e in nessun caso l’uno superiore all’altra.

La pienezza della reciprocità uomo-donna
Papa Francesco ripercorre i momenti culminanti della Genesi sottolineando l’aspetto della solitudine che l’uomo inizialmente prova davanti alla magnificenza del creato. La bellezza della natura, lo spettacolo degli animali… Per lui “manca” sempre qualcosa, finché Dio non gli presenta la donna. È solo in quel momento, nota Francesco, che il senso di solitudine svanisce:

“Finalmente c’è un rispecchiamento, una reciprocità. E quando una persona – è un esempio per capire bene questo – vuole dare la mano a un’altra, deve avere un altro davanti: se uno dà la mano e non ha nessuno, la mano è lì, gli manca la reciprocità. Così era l’uomo, gli mancava qualcosa per arrivare alla sua pienezza, gli mancava reciprocità”.

Non subordinazione, ma complementarietà 
Francesco entra qui nel terreno minato della divisione socioculturale che lungo la storia ha molto spesso posto uomo e donna su piani diversi. Un contrasto che alcuni fanno risalire al momento stesso della creazione. Al contrario, spiega il Papa, è proprio in quel frangente che si nota come la donna non sia “una ‘replica’ dell’uomo”, che sia venuta “direttamente dal gesto creatore di Dio”:

“L’immagine della ‘costola’ non esprime affatto inferiorità o subordinazione, ma, al contrario, che uomo e donna sono della stessa sostanza e sono complementari, anche hanno questa reciprocità. E il fatto che – sempre nella parabola – Dio plasmi la donna mentre l’uomo dorme, sottolinea proprio che lei non è in alcun modo una creatura dell’uomo, ma di Dio. E anche suggerisce un’altra cosa: per trovare la donna e possiamo dire per trovare l’amore nella donna, ma per trovare la donna, l’uomo prima deve sognarla e poi la trova”.

La dignità della differenza: no a maschilismo e mercificazione
Diversi e complementari, dunque. E destinatari di una fiducia “generosa, diretta e piena”. Dio, afferma Francesco, “si fida” delle sue creature, che invece cedono al male, a un “delirio di onnipotenza che inquina tutto e distrugge l’armonia”. Da quel momento, soggiunge, il “loro rapporto verrà insidiato da mille forme di prevaricazione e di assoggettamento, di seduzione ingannevole e di prepotenza umiliante”, che arriva ai nostri giorni:

“Pensiamo alle molteplici forme di maschilismo dove la donna era considerata di seconda classe. Pensiamo alla strumentalizzazione e mercificazione del corpo femminile nell’attuale cultura mediatica. Ma pensiamo anche alla recente epidemia di sfiducia, di scetticismo, e persino di ostilità che si diffonde nella nostra cultura – in particolare a partire da una comprensibile diffidenza delle donne – riguardo ad un’alleanza fra uomo e donna che sia capace, al tempo stesso, di affinare l’intimità della comunione e di custodire la dignità della differenza”.

Soprassalto di simpatia per alleanza uomo-donna
Il Papa chiede allora di trovare “un soprassalto di simpatia” per questa alleanza tra uomo e donna. Viceversa, a rimetterci saranno i figli, “sempre più sradicati” da questa visione unitaria “fin dal grembo materno”:

“Dobbiamo riportare in onore il matrimonio e la famiglia! E la Bibbia dice una cosa bella: l’uomo trova la donna, si incontrano, loro, e l’uomo deve lasciare qualcosa per trovarla pienamente. E per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre per andare da lei. E’ bello! Questo significa incominciare una strada. L’uomo è tutto per la donna e la donna è tutta per l’uomo”.

Al momento dei saluti ai gruppi di lingua portoghese, Papa Francesco ne ha rivolto uno a tutte le famiglie, specialmente a quelle “che sono in difficoltà”. Siano certe, ha detto, che “esse sono un dono di Dio e il fondamento della vita sociale”.

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Francesco: uomo conservi armonia divina tra creature e creato

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Al termine dell'udienza generale Papa Francesco ha ricordato l'odierna Giornata della Terra e ha lanciato un appello “a vedere il mondo con gli occhi di Dio creatore, perché la terra è l’ambiente da custodire e il giardino da coltivare”. Tra le buone pratiche per migliorare il rapporto tra uomo e creato, c’è quella di una più sana ed equa distribuzione del cibo. A talE proposito, oggi a Roma 32 associazioni, movimenti e media cattolici si sono riuniti per affrontare insieme il problema della fame, anche in vista di Expo 2015. Il servizio di Michele Raviart

Il cibo non è una semplice merce e la Terra è un bene comune da tutelare ad ogni costo. Papa Francesco ha ricordato nel suo messaggio per la Giornata della Terra, l’importanza del rapporto tra l’uomo e il creato:

"La relazione degli uomini con la natura non sia guidata dall’avidità, dal manipolare e dallo sfruttare, ma conservi l’armonia divina tra le creature e il creato nella logica del rispetto e della cura, per metterla a servizio dei fratelli, anche delle generazioni future".

Un’economia di sfruttamento intensivo delle risorse naturali rischia infatti di compromettere la stabilità del pianeta e l’interesse al profitto genera un’economia dell’esclusione, per cui rispetto a un Nord della Terra che addirittura spreca cibo, c’è un Sud del mondo che muore di fame. Per questo, è necessario stabilire nuovi percorsi economici e culturali. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei:

“Innanzitutto, un’equa distribuzione dei beni e poi un’educazione alla sobrietà, alla solidarietà, un’educazione ad allenare gli occhi e il cuore a vedere il bisogno e identificare anche le risposte a questi bisogni. Vi pare corretto il fatto che ci sia gente che muore di fame e noi che andiamo a sprecare il 40% di quello che andiamo a comprare nei supermercati, lo andiamo a buttare nei cassonetti? Quando a una persona si toglie l’essenziale per poter vivere o sopravvivere, evidentemente si va a toccare la sua dignità, la sua dignità di essere persona chiamata anche a crescere e ad esprimersi”.

A pochi giorni dall’inaugurazione dell’Expo, e nell’ottica di dare un contributo ai nuovi obiettivi dell’Onu sullo sviluppo sostenibile, 32 associazioni cattoliche, tra cui Caritas, Focsiv e le Acli si sono riunite per la campagna “Una sola famiglia umana: cibo per tutti. E’compito nostro”. L’idea è quella di diffondere un consumo consapevole, cambiando stile di vita, promuovendo le merci a "Km 0" e proponendo nuove norme a livello nazionale ed europeo. Leonardo Becchetti, professore di economia all’Università Tor Vergata di Roma:

“Questa è una giornata importante perché le associazioni che hanno a cuore la sorte degli ultimi del pianeta lavorano assieme per poter mobilitare dal basso le energie dei cittadini responsabili. I cittadini hanno in mano un potere enorme che è quello del loro "voto" col portafoglio, dei loro consumi e dei risparmi. Il mercato siamo noi e quindi possiamo veramente prendere in mano le sorti del pianeta, aiutare chi non ha diritti e chi ha fame a crescere. Quando avremo un’economia equa, un’economia dove tutti sanno come e cosa produrre sicuramente questo problema sarà finito”.

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Il Papa farà tappa a Cuba prima di giungere negli Stati Uniti

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Papa Francesco, avendo ricevuto e accettato l’invito da parte delle autorità civili e dei vescovi di Cuba, ha deciso di compiere una tappa nell’Isola prima di giungere negli Stati Uniti per il viaggio già da tempo annunciato per il prossimo settembre. Lo ha confermato oggi il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi.

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Nomine episcopali in Brasile e Stati Uniti

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In Brasile, Papa Francesco ha nominato vescovo della diocesi di Jaboticabal mons. Eduardo Pinheiro Da Silva, salesiano, finora ausiliare dell’arcidiocesi di Campo Grande. Il presule è nato il 20 gennaio 1959 a Lins, nello Stato di São Paulo. Ha compiuto gli studi di Filosofia presso la “Faculdade Salesiana de Filosofia, Ciências e Letras” a Lorena (1982-1984) e quelli di Teologia presso l’Istituto Teologico “Pio XI” a São Paulo (1987-1990). Inoltre, ha ottenuto la Licenza in Scienze dell’Educazione con specializzazione in Pastorale Giovanile e Catechetica presso la Pontificia Università Salesiana a Roma (1996-1998). Emise i voti perpetui come Membro della Congregazione dei Salesiani di Don Bosco il 13 gennaio 1985 ed è stato ordinato sacerdote il 19 gennaio 1991. Nell’ambito della sua Congregazione ha svolto gli seguenti incarichi: Direttore della Casa di Formazione per i candidati del pre-noviziato; Coordinatore generale della Pastorale Giovanile nell’Ispettorato Salesiano di Mato Grosso; membro del Consiglio Ispettoriale, Coordinatore della Scuola Salesiana ad Araçatuba e Vicario Parrocchiale. Il 2 marzo 2005 è stato nominato Vescovo titolare di Gisipa ed Ausiliare di Campo Grande, ricevendo l’ordinazione episcopale il 6 maggio successivo. Come Vescovo ha ricoperto gli incarichi di Responsabile della Pastorale Vocazionale e Giovanile della Conferenza Episcopale Regionale e Presidente della Commissione Episcopale Nazionale per la Pastorale della Gioventù.

Negli Stati Uniti, il Papa ha nominato amministratore apostolico “sede vacante” della diocesi di Kansas City–Saint Joseph mons. Joseph F. Naumann, arcivescovo Metropolita di Kansas City in Kansas.

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Vaticano: dialogo con islam oggi più che mai, credenti uniti forza di pace

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La maggior parte dei musulmani “non si riconosce nella barbarie” terroristica che strumentalizza la religione per i suoi scopi. Il dialogo con l’islam resta un dovere, perché i credenti uniti costituiscono “un formidabile potenziale di pace”. Sono alcune delle considerazioni contenute in una Dichiarazione diffusa dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Il servizio di Alessandro De Carolis

“C’è ancora spazio per dialogare con i musulmani?”. La risposta è: sì, più che mai”. Comincia con questa convinzione netta la Dichiarazione resa nota dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che sgombra il campo dall’equazione “religione” uguale “violenza”.

Chi crede in Dio rifiuta la violenza
Nonostante la cronaca più recente, si rileva, mostri una “radicalizzazione del discorso comunitario e religioso, con i conseguenti rischi dell’incremento dell’odio, della violenza, del terrorismo e alla crescente e banale stigmatizzazione dei musulmani e della loro religione”, con l’islam si può e deve dialogare perché anzitutto, si afferma, “la grande maggioranza dei musulmani stessi non si riconosce nella barbarie in atto” e poi perché “i credenti devono dimostrare che le religioni sono chiamate ad essere foriere di pace e non di violenza”.

L’infamia del terrorismo
“Uccidere, invocando una religione – viene ribadito nella nota – non è soltanto offendere Dio ma è anche una sconfitta dell’umanità”. Benedetto XVI, si ricorda, nel 2006 usò parole dure a riguardo asserendo che “nessuna circostanza vale a giustificare” il terrorismo, “che copre di infamia” chi lo attua “e che è tanto più deprecabile quando si fa scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla misura della propria cecità e perversione morale”. “Pertanto – fa eco Papa Francesco, con quanto disse lo scorso novembre ad Ankara – la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna, perché l’Onnipotente è Dio della vita e della pace”.

Formidabile forza di pace
Sul versante opposto, prosegue la Dichiarazione, “i credenti costituiscono un formidabile potenziale di pace” e lungi dal voler “imporre la loro visione della persona e della storia”, con la loro ricerca del dialogo intendono “proporre il rispetto delle differenze, la libertà di pensiero e di religione, la salvaguardia della dignità umana e l’amore della verità”. E “continuare a dialogare anche quando si fa l’esperienza della persecuzione, può diventare – si insiste – un segno di speranza”.

Famiglia e scuola, chiavi della fraternità
La Dichiarazione del dicastero pontificio termina con l’invito ad avere il “coraggio di rivedere la qualità della vita in famiglia, le modalità di insegnamento della religione e della storia, il contenuto delle prediche nei nostri luoghi di culto”. Soprattutto la famiglia e la scuola, conclude, “sono le chiavi perché il mondo di domani si basi sul rispetto reciproco e sulla fraternità”.

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Santa Sede: atrocità in Medio Oriente, silenzio complice non è opzione

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Mons. Bernardito Auza, osservatore permanente vaticano presso le Nazioni Unite, è intervenuto ieri al Palazzo di Vetro di New York al dibattito sulla situazione in Medio Oriente. Il servizio di Sergio Centofanti:

Preoccupazione per mancanza progressi in negoziati israelo-plaestinesi
“La Santa Sede – ha esordito - è profondamente preoccupata per la totale mancanza di progressi nei negoziati tra Palestina e Israele”. Esprimendo “frustrazione” per l’attuale impasse, il presule ha ricordato che “Israele ha preoccupazioni reali e legittime per la sua sicurezza; tuttavia, a tale sicurezza non arriverà isolandosi dai suoi vicini”, ma “attraverso una pace negoziata con i palestinesi” e l'attuazione della "soluzione dei due Stati", che “ha il sostegno della Santa Sede e della comunità internazionale in generale. La Santa Sede unisce la sua voce ancora una volta a tutti gli uomini di pace per chiedere negoziati seri e concreti che possano consentire di rilanciare il processo di pace”.

Superare vuoto istituzionale in Libano
Mons. Auza ha quindi affermato che “la Santa Sede non cessa di incoraggiare i leader del Libano a risolvere la situazione di stallo che ha impedito l'elezione del presidente dal maggio 2014, mettendo da parte piccoli interessi politici per la preservazione del bene più grande di un Libano unito. Questo vuoto istituzionale – ha rilevato - rende la nazione più vulnerabile e fragile di fronte alla situazione generale in Medio Oriente. La comunità internazionale deve sostenere il Libano in ogni modo perché riacquisti la stabilità e la normalità istituzionale. Essa deve inoltre aiutare il Paese ad assistere l'enorme numero di rifugiati presenti sul suo territorio, che ha creato una situazione di rischio di infiltrazioni estremiste tra i rifugiati”.

Siria: comunità internazionale prevenga disastro umanitario ad Aleppo
Parlando del conflitto in Siria, il presule ha detto che ha raggiunto "livelli di barbarie mozzafiato": “la distruzione indiscriminata delle infrastrutture di base, come le strutture idriche ed elettriche, ospedali e scuole, peggiora la situazione dei civili ogni giorno che passa. La caduta di Idlib, a soli 37 km a sud ovest di Aleppo, ha seminato il panico tra la popolazione di oltre un milione di persone ad Aleppo. Le minoranze etniche e religiose – ha aggiunto - sono particolarmente angosciate. La Santa Sede chiede alla comunità internazionale di prevenire l'enorme disastro umanitario che un assedio e una battaglia per Aleppo sicuramente provocherebbero. Dobbiamo fare tutto il possibile – è l’appello - per evitare l'ennesima grave violazione del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani fondamentali”.

Guerra in Medio Oriente minaccia sopravvivenza comunità cristiane
L’osservatore permanente ha quindi ribadito la forte condanna della Santa Sede “di tutti gli attacchi e gli abusi su basi etniche, religiose, razziali e altri motivi”. Ha quindi ricordato “ancora una volta che la scomparsa delle minoranze etniche e religiose del Medio Oriente non solo sarebbe una tragedia religiosa, ma una perdita di un ricco patrimonio che ha così tanto contribuito alle società a cui appartengono. Il fatto che questi gruppi sono a rischio di estinzione provoca angoscia inesprimibile e dolore”. Il mese scorso a Ginevra, davanti al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite – ha ricordato - 65 Paesi hanno firmato una dichiarazione a sostegno dei diritti umani dei cristiani e di altre comunità, in particolare in Medio Oriente: “Tale affermazione – ha detto - richiama l'attenzione sul fatto che l'instabilità e la guerra in Medio Oriente minaccia seriamente l'esistenza stessa di molte comunità religiose, specialmente dei cristiani”. Occorre, dunque, che tutti gli Stati si uniscano insieme per “affrontare questa situazione allarmante”.

Intervento urgente: il silenzio complice non è un’opzione
“Ogni intervento è ormai tardivo” – ha sottolineato mons. Auza – per quanti hanno già perso la vita o sono già stati cacciati dalle loro case e dai loro paesi: “ma d’ora in poi ogni azione tesa a salvare anche una sola persona da persecuzioni e da ogni forma di atrocità non è solo tempestiva ma urgente”. Il rappresentante pontificio, infine, ricorda l’appello di Papa Francesco alla comunità internazionale perché non resti “muta e inerte” davanti a tali inaccettabili crimini: “Non può mai essere un'opzione – ha concluso il presule - quella di restare a guardare in un silenzio complice” quanti oggi sono perseguitati, esiliati, uccisi, bruciati, decapitati, solo perché appartenenti a un diverso credo religioso o a una minoranza.

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Mons. Laffitte: non si capisce matrimonio senza Eucaristia

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“Eucarestia e Matrimonio: due Ssacramenti, un’alleanza”. Questo il titolo di colloquio di teologia sacramentaria che si svolge oggi presso la Pontificia Università Lateranense di Roma e organizzato dal Pontificio Istituto San Giovanni Paolo II. Sull’importanza della relazione tra i due Sacramenti, Elvira Ragosta ha intervistato mons. Jean Laffitte, segretario del Pontificio Consiglio della Famiglia: 

R. – E’ importante, perché nell’economia cristiana e sacramentale non si può capire il significato pieno dell’unione tra un uomo e una donna, il quale significato implica non soltanto la capacità di unirsi e lo sviluppo di tutte le dimensioni della persona, ma c’è anche questa nozione del dono e dell’uso del corpo che è orientato verso la relazione: il corpo non è un oggetto, è destinato a essere non solo l’epifania della persona, ma anche il dono offerto all’altro, all’altra. Quindi, nell’Eucaristia abbiamo questo dono del corpo di Cristo e del sangue di Cristo, “offerti per voi”, dice Gesù nell’Ultima Cena. E quindi, c’è un legame intrinseco tra l’uso che Gesù fa del proprio corpo – un dono – e l’uso che gli sposi fanno del proprio corpo, che esprime il dono totale di ciascuno all’altro.

D. – Questi due Sacramenti possono essere considerati cardini e sorgente della pastorale familiare?

R. – Senza dubbio. Secondo me, è molto difficile capire bene il matrimonio e quindi sviluppare una pastorale coniugale e matrimoniale senza partire da ciò che l’Eucaristia è, significa e implica per l’unione degli sposi. Nelle relazioni che già abbiamo incominciato a sentire oggi, del prof. Atkinson e del prof. José Granados, abbiamo visto che “Eucaristia” non è compatibile con un uso del corpo che non fosse orientato verso il dono. E quindi, c’è un’esigenza di vita – certamente, non una vita perfetta perché non esiste una perfezione umana ed etica – ma almeno verso una considerazione della santità alla quale tutti sono chiamati e in particolare quelli che si riconoscono invitati e chiamati al matrimonio. Non si possono tenere i due Sacramenti separati: oggi si sviluppa, nella Chiesa, una comprensione unificata dei due e quindi è da questo che può sorgere una pastorale davvero coerente.

Tra gli studiosi intervenuti al colloquio, anche il prof. José Granados del Pontificio Istituto San Giovanni Paolo II, che ha presentato una relazione dal titolo: “Eucaristia e matrimonio, cardini dell’economia sacramentaria". Abbiamo raccolto un suo commento:

R. – L’Eucaristia è il Sacramento del Corpo di Gesù, donato per amore, in cui si ricapitola un po’ il tempo intero della salvezza sua e del mondo. Nella sua memoria che Lui fa nella Pasqua ebraica, poi anticipa in ringraziamento anche la Resurrezione. E proprio per questo c’è un riferimento intrinseco al matrimonio: proprio la logica del matrimonio è la logica del corpo, anche donato per amore, e che nell’indissolubilità e nella continuazione di generazione in generazione esprime anche questa unità della storia. Questo per la Chiesa è molto importante: l’unione indissolubile tra il Sacramento dell’Eucaristia e il Sacramento del Matrimonio. A partire dall’unione di questi due, il corpo “creaturale” e il corpo che Gesù ci ha donato, si sviluppa tutta l’economia sacramentaria e l’essere della Chiesa.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Il capolavoro: all'udienza generale Papa Francesco indica l'uomo e la donna come culmine della creazione.

Il Papa visiterà Cuba a settembre.

Dominus conservet eum et vivificet eum: gli auguri dell'Osservatore Romano al Papa per il suo onomastico.

Fraternità e dialogo con i musulmani: dichiarazione del cardinale Tauran.

Dal prossimo settembre al Collegio Teutonico una biblioteca per studiare Ratzinger.

L'Europa chiamata a una risposta politica: verso il vertice straordinario sull'immigrazione.

Un articolo di Giulia Galeotti dal titolo "Il viaggio della guarigione": dal dolore per la violenza subita alla conversione.

Educare con stile: stralci dalla prefazione del cardinale arcivescovo di Tegucigalpa al volume di Angel Expósito su don Bosco.

Con l'estremismo del dialogo: su come risolvere i conflitti, l'intervento all'Onu del presidente del movimento dei Focolari Maria Voce.

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Oggi in Primo Piano



Galantino: facile colpire barconi, basta slogan su immigrati

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Oltre 400 migranti sono sbarcati stamani ad Augusta, tra di loro anche donne e bambini, trasportati dalla marina militare. Altri 112 sono invece arrivati a Lampedusa, a bordo di una nave della Guardia costiera. Nelle prossime ore si intensificheranno gli arrivi in Sicilia dove, nelle ultime ore, i 28 sopravvissuti al naufragio di sabato scorso hanno confermato la collisione con il rimorchiatore che li ha soccorsi e il conseguente affondamento del barcone. Due gli scafisti arrestati. La sciagura, con un bilancio di circa 850 vittime, resta la peggiore tragedia del mare registrata fino ad oggi. Intanto, in vista del Consiglio europeo di domani sull’emergenza sbarchi, il premier Renzi ha annunciato che la proposta dell’Italia è che le procedure di asilo siano gestite da un team europeo. Il servizio di Francesca Sabatinelli

Dall’Unione Europea domani serve una risposta organica, politica e non emotiva, a ciò che sta avvenendo e che potrà ancora avvenire. Il premier Renzi parla al parlamento e avverte che la priorità è la guerra al traffico di uomini, perché “non c’è nella storia un’esperienza di compravendita di carne umana come quella di adesso se non risalendo allo schiavismo”. Domani, dunque, vertice straordinario europeo per reagire alla carneficina in atto nel Mediterraneo, mentre il governo di Tripoli  – quello non riconosciuto internazionalmente – si dice pronto a cooperare con Roma per lottare contro l’immigrazione clandestina. Il caos libico è la causa dei rifugiati, aveva detto ieri Obama, ciò che sottolinea anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando spiega che la situazione attuale  sta consentendo insediamenti sempre maggiori di terroristi e che l’Unione Europea ha le sue responsabilità perché deve essere più attiva nei paesi di provenienza dei flussi e deve riuscire "a porre fine a questo ignobile traffico fatto da indegni mercanti di esseri umani". A chiedere un sussulto di dignità all’Europa è anche mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, che risponde così a chi chiede di affondare i barconi degli scafisti prima che partano:

“Si fa presto a dire 'andiamo a bombardare i barconi'! Ma chi ti dà il permesso, chi ti fa entrare lì dentro, in nome di chi tu ci vai? Quindi questa è solo una delle posizioni, ma mi sembra che ne stiano emergendo anche altre, che spero veramente trovino attenzione. Mi riferisco soprattutto a coloro i quali, in questo momento, stanno spingendo in maniera – mi auguro – sempre più forte l’Europa, o comunque tutto l’Occidente, a prendere atto che il tema dell’immigrazione innanzitutto non può essere più assolutamente concepito come un’emergenza. E poi, secondo me, c’è anche da cambiare cultura, cominciare a pensare, come hanno fatto altri Paesi del Nord Europa, che il tema dell’immigrazione, o meglio gli immigrati, non sono e non possono tornare ad essere soltanto un peso, possono essere anche una risorsa. Per fare questo, però, bisogna avere prima di tutto una intelligenza pratica, concreta, anche un cuore un poco più aperto. Io mi rendo conto della gravità, della serietà, della necessità di affrontare questi temi, non con degli slogan  – nemmeno quelli da parte della Chiesa, da parte degli uomini di Chiesa  – ma ritengo che ci sia la necessità di fermarsi, di guardare seriamente a questo problema, di guardarlo, ripeto, tenendo presente che abbiamo a che fare non con immigrati, ma con storie, con persone, con volti, con famiglie, con speranze. Ce la sentiamo noi di affossare e affogare tutto questo?”.

All'Europa, l’Italia chiederà di "rafforzare le operazioni dell'Unione Europea", di "combattere i trafficanti di uomini", di "scoraggiare le persone a lasciare la propria terra attraverso un investimento sui Paesi di origine" e di "rafforzare la solidarietà tra gli Stati membri anche con una diversa strategia nell’accoglienza". Il risultato per Renzi è stato che la risoluzione è stata approvata dall’Aula. In vista del vertice di domani, inoltre, prende la parola anche Amnesty International che in un rapporto scrive che con l’Operazione "Triton" al posto di "Mare Nostrum" si muore 53 volte di più. Dello stesso avviso è mons. Galantino:

“Io ritengo sia sotto gli occhi di tutti come questo cambio, da 'Mare Nostrum' a 'Triton', abbia significato soltanto, forse, un risparmiare soldi, ma aumentare morti. Si parla di 130-150 mila persone salvate da 'Mare Nostrum'. E allora, se questa, in questo momento, è l’unica azione che siamo in grado di fare per evitare morti, riprendiamola e riprendiamola seriamente in mano, semmai allargandone anche la responsabilità, allargandone la titolarità”.

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Migranti: stampa africana critica immobilismo continente

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L’ultimo disastro nel Mediterraneo e gli oltre 800 migranti morti nel tentativo di attraversarlo pesano anche sull’Africa. Questo il senso dell’impostazione data dal giornale senegalese ‘Le Quotidien’ agli articoli dedicati alla tragedia del Canale di Sicilia. “Il naufragio dei leader africani” titola infatti il quotidiano. Come riporta l’agenzia Misna, il giornale sottolinea “l’inerzia dell’Europa ma anche quella dei dirigenti politici dell’Africa, incapaci di risolvere i problemi di sicurezza, economici e sociali che spingono migliaia di persone a rischiare la vita in mare” nella speranza di un futuro migliore. Per una panoramica sulla stampa africana di questi giorni, Giada Aquilino ha intervistato Vincenzo Giardina, africanista della Misna: 

R. - La stampa africana ha seguito le vicende degli ultimi giorni con attenzione, con ricostruzioni dei fatti e anche con editoriali. Un quotidiano del Burkina Faso, ‘L’Observateur Paalga’, per esempio, parlava di “speranza che l’Europa esca dal suo letargo”. Però - accanto ai riferimenti al vertice straordinario in programma domani in Europa, il vertice dell’Unione Europea - ci sono anche frequenti riferimenti ai fallimenti dei dirigenti politici dell’Africa. Ad esempio sullo stesso quotidiano ‘L’Observateur Paalga’, ma anche su ‘Le Quotidien’, giornale del Senegal: senegalesi sono alcuni dei sopravvissuti al naufragio avvenuto la notte tra sabato e domenica.

D. – Questi giornali in qualche modo hanno criticato l’inadeguatezza e l’inesistenza di politiche africane in tal senso?

R. – Assolutamente. Denunciano il fatto che i dirigenti africani “si lavino le mani”: questa è una delle espressioni che sono state utilizzate a fronte di tragedie prevedibili e continue. ‘Le Quotidien’ ha pubblicato un fotomontaggio in cui si vedono presidenti, capi di Stato che sembrano partecipare a un vertice africano in riva a un mare in tempesta e c’è un barcone colmo di migranti prossimo al naufragio. Quindi il titolo era: “Il naufragio dei leader africani”. Nelle ultime ore Denis Sassou Nguesso, il presidente della Repubblica del Congo, un presidente controverso che domina la scena politica del suo Paese dalla fine degli anni Settanta, ha messo in evidenza un elemento vero e significativo: cioè l’Unione Europea organizza vertici straordinari, mentre l’Unione Africana un vertice ancora non lo ha tenuto né prevede di tenerlo; quindi la mancanza di una risposta coordinata, forte, da parte di rappresentanti della politica africana.

D. – Ma quali sono i motivi dell’incapacità di risolvere i problemi di sicurezza, economici, sociali che sono alla base delle partenze?

R. – Accanto al tema dello sviluppo economico e sociale ci sono anche altri temi. Il Comitato per la protezione dei giornalisti, una organizzazione che ha sede negli Stati Uniti e che monitora il rispetto del diritto e del dovere di informare nel mondo, ha inserito - in una classifica pubblicata ieri - l’Eritrea, come Paese dove c’è più censura al mondo, cioè il Paese dove è più difficile esprimere liberamente le proprie idee. Spesso i migranti, anche quelli che hanno perso la vita nei giorni scorsi, provengono da Paesi non solo poveri, ma anche dove non c’è libertà.

D. – Ci sono quindi Paesi con i quali poi di fatto è impossibile interloquire, perché manca una struttura politica o di governo: in primis la Libia, ma ci sono poi anche altre realtà…

R. – Sì, appunto la regione del Corno d’Africa, quindi Somalia, Eritrea: un’altra regione dove questo è un problema molto grave, che però va affrontato; perché una quota molto significativa degli arrivi sulle coste libiche proviene da queste aree, che quindi non possono restare al di fuori di un impegno di politica internazionale all’insegna di una cooperazione per lo sviluppo che voglia provare ad affrontare il nodo migranti. Questo è un caso vero per l’Eritrea, è un caso vero per la Somalia. A Mogadiscio c’è un governo riconosciuto come legittimo a livello internazionale, che però ha bisogno del sostegno decisivo di migliaia di militari africani; due giorni fa, nel Puntland, una regione ritenuta tra le meno instabili della Somalia, c’è stato un attentato e hanno perso la vita almeno quattro dipendenti dell’Unicef.

D. – Invece la stampa africana come legge la situazione attuale della Libia?

R. – Come la conseguenza anche di politiche e interventi che non hanno saputo guardare ad una prospettiva di medio e lungo periodo. Il riferimento è evidentemente alle conseguenze determinate dalla guerra civile del 2011 e dalla caduta di Muammar Gheddafi. Forse, però, può essere interessante ricordare come in questi giorni in Africa si parli di migranti anche su un altro versante: non solo il versante che attraversa il Mediterraneo e giunge fino a noi in Europa; ma anche quello che riguarda i disordini delle ultime settimane in Sud Africa. Sono stati presi di mira negozi, abitazioni, baracche di migranti giunti in Sud Africa e provenienti dal Congo, dall’Eritrea. Sono stati presi di mira perché percepiti come ‘ladri di lavoro’, ladri di quelle poche risorse a disposizione della popolazione delle baraccopoli sudafricane.

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Ancora scontri in Yemen nonostante il cessate il fuoco

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Al Sud dello Yemen continuano i raid della coalizione araba a guida saudita contro i ribelli sciiti houthi, nonostante l’annuncio con cui Riad ieri ha dichiarato la fine delle operazioni militari. La comunità internazionale spera nell’apertura di una fase negoziale, che potrebbe portare Sanaa e i miliziani a siglare un accordo. Intanto, gli Stati Uniti chiedono all’Iran di non fornire armamenti ai ribelli. Sugli interessi in gioco nello Yemen, Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all’Università di Trieste: 

R. – Gli interessi in gioco sono soprattutto tra Iran e Arabia Saudita. Riad teme che i ribelli houthi occupino totalmente lo Yemen, creando quindi a Sud del proprio territorio, un’area legata all’Iran e nemica del Regno saudita. Questa è la preoccupazione principale oggi dei sauditi, in questo alleati degli americani che partecipano alle manovre navali, insieme alla flotta saudita, e che ha già messo in atto un blocco delle coste yemenite. Quindi è uno scontro che si può far risalire a quello ormai in atto in tutta l’area islamica tra sunniti e sciiti, ma comunque tra due potenze emergenti dell’area: i sauditi e gli iraniani.

D. – Che importanza strategica ha a livello globale l’area del golfo di Aden?

R. – Il golfo di Aden è un’area di passaggio dei traffici mondiali, con una quota superiore al 30 % del traffico mercantile mondiale. Ma non è soltanto questo. Quello che viene temuto dai sauditi è il passaggio dalla costa africana alla costa yemenita di milizie e di terrorismo, che andrebbero a destabilizzare la parte sud della penisola arabica, cosa che per i sauditi è in questo momento assolutamente inaffrontabile.

D.  – Potremmo aspettarci una risposta iraniana?

R. – L’Iran si è già mobilitato con una manovra che coinvolge un convoglio di navi mercantili militarizzate. E’ stata definita una missione antipirateria, però il convoglio si sta dirigendo, in questo momento in acque internazionali, verso la costa yemenita. Questo potrebbe essere un tentativo di aprire il blocco che sta circondando tutte le coste yemenite. Appare chiaro che l’Iran non sembra voler accettare l’intervento americano e saudita nei confronti delle milizie sciite houthi in Yemen.

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Summit Asia-Africa: i due continenti sempre più vicini

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Sono 77 i Paesi rappresentati al vertice Asia-Africa, in corso da lunedì a Giakarta in Indonesia. Di questi almeno 34 partecipano al massimo livello, attraverso capi di Stato o di governo. Tema dell’incontro: “Realizzare una partnership asiatico–africana per il progresso e la prosperità”. Il presidente indonesiano, Joko Widodo, che ha aperto i lavori, ha esortato gli Stati a varare legislazioni più favorevoli alle imprese. Il vertice si svolge a 60 anni dalla prima conferenza dei Paesi d’Africa e d’Asia che si svolse nel 1955 nella città indonesiana di Bandung. Per capire novità e prospettive di oggi, Fausta Speranza ha intervistato Antonello Biagini, docente di Internazionalizzazione all’Università La Sapienza di Roma: 

R. – Il fatto che si tenti una sorta di visione univoca dei problemi potrebbe rappresentare una grande innovazione, soprattutto nella politica internazionale di questa nostra fase, che per molti aspetti è estremamente confusa e manca quasi di una leadership mondiale.

D. – Quando diciamo “partnership” diciamo innanzitutto il piano economico o il piano politico?

R. – In questo caso all’ordine del giorno mi sembra che ci siano temi che riguardano l’aspetto dello sviluppo, che è il tema principale per questi due Continenti. E su questo non c’è alcun dubbio. La grande presenza della potenza economica della Cina, che cammina ormai a livelli di sviluppo a doppia cifra, anche se c’è una parte di rallentamento; l’India, che è un’altra grande realtà; ma poi tutto il resto dell’Asia: la Corea; lo sviluppo che c’è nel Vietnam in questa fase. Quindi, sono Paesi in forte crescita. Dall’altro, nella stessa Africa si registrano, al di là delle complessità, dei problemi che abbiamo sull’Africa a nord del Sahara, anche nel resto dell’Africa negli ultimi anni si sono registrate delle forme di ripresa, di riorganizzazione. E riorganizzare l’economia in qualche modo significa anche riorganizzare la politica. Poi, il problema dei due processi è quale deve avvenire prima. Per certi aspetti, gli accordi politici potrebbero mettere in moto poi le sinergie positive per l’economia. Però, mi sembra che in questo caso il primo elemento sia un’idea di relazioni internazionali che coinvolgano due grandi soggetti che,  storicamente, o appartenevano ai Paesi non allineati oppure erano Paesi a sviluppo bloccato per certi aspetti, perché ancora subivano le conseguenze o della decolonizzazione o del post-colonialismo, cioè la prima fase dell’indipendenza che molto spesso è stata turbolenta. In alcuni casi ci sono stati conflitti veri e propri come nel caso del Vietnam, tanto per ricordare quello che più o meno tutti ricordano. Ma anche in Corea, la stessa Corea che ancora oggi è divisa: è il prodotto di un grande conflitto che era anche ideologico, che era anche di sistema politico e in parte lo è ancora.

D. – Chi si siede davvero al tavolo quando parliamo di vertice “Africa – Asia”? Da una parte c’è l’Unione Africana, dall’altra c’è la Cina? Chi sono gli interlocutori veri?

R. – Sicuramente la Cina ha un ruolo preponderante in questo caso. I cinesi hanno dichiarato che il XXI secolo sarebbe stato il secolo della Cina. Ora, al di là dell’affermazione che può sembrare ridondante, ci sono alcuni elementi, sia della crescita economica, ma direi anche delle posizioni che la Cina assume in politica estera, che sono veramente calibrati sul ruolo di una grande potenza. Sul versante africano, sicuramente hanno peso Paesi all’interno dell’Unione Africana: io penso ad esempio sicuramente al Sud Africa, che fino all’altro ieri rappresentava una realtà importante di come anche si potesse gestire un passaggio da una situazione coloniale o semi-coloniale o comunque di apartheid a una situazione invece completamente nuova e diversa, salvo che questi ultimi giorni abbiamo visto scontri sociali. Poi, certo, ci sono i grandi Paesi dell’Africa: possiamo pensare al Kenya, che però in questa fase ha dei problemi. Ci sono altri grandi Paesi africani come la Nigeria stessa, il Mozambico: ci sono Paesi che rappresentano delle realtà estremamente interessanti. Come dicevo prima: l’Unione Africana in qualche modo è una cornice che tiene insieme molti di questi Paesi, quindi formalmente sarà l’interlocutore. Poi, dietro questo, bisognerà aspettare e capire anche in base ai risultati di questi primi lavori, verso quale direzione potrà andare questa nuova modalità di interpretare la politica  tra due aree continentali completamente diverse. Il punto centrale è che si sta bypassando gli interlocutori storici per certi versi, che erano: da un lato, i Paesi dell’Europa e, dall’altro lato, gli Stati Uniti. Anche un po’ la Russia ma la Russia è sempre entrata poco nel gioco africano. È stata più attenta alla contiguità territoriale in Asia, piuttosto che spingersi in Africa, salvo il caso dell’Egitto tanti anni fa. Insomma non ha avuto mai questa grande presenza in Africa e nel mondo africano.

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Italia esce da recessione. Baglioni: molto tempo per rilanciare lavoro

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“L’economia italiana è uscita dalla recessione”, ad annunciarlo il ministro dell’economia, Pier Carlo Padoan, davanti le commissioni bilancio di Camera e Senato, impegnate nell’esame del Def, il documento programmatico di economia e finanza, che ogni anno il Governo presenta al Parlamento per l’approvazione, ma che non ha forza di legge. Roberta Gisotti ha intervistato Angelo Baglioni, docente di Economia monetaria all’Università Cattolica di Milano: 

D. - Professore, il ministro Padoan parla di recessione e la gente si chiede cosa vuol dire esserne usciti? Ed è vero se a supporto di questa dichiarazione è la crescita dello 0,1% del Pil nei primi tre mesi del 2015?

R. – Le previsioni di crescita per l’intero anno sono attorno a 0,5-0,6%; quindi è chiaro che le cose vanno meglio rispetto agli anni scorsi. Stiamo – tecnicamente – uscendo dalla recessione, nel senso che il tasso di variazione del Pil torna ad essere positivo dopo diversi anni in cui era stato negativo. Dopodiché, è vero che stiamo sempre su un sentiero di crescita molto debole, perché parliamo appunto di una frazione di punto percentuale: questo vuol dire che prima di recuperare i livelli di attività economica che avevamo prima della crisi finanziaria, 6-7 anni fa, ci vorranno ancora molti anni. Quindi, è un ritmo di crescita ancora molto insoddisfacente, e che soprattutto ha uno scarso impatto sull’occupazione: perché se si cresce così poco, è chiaro che prima di riassorbire l’ampio numero di disoccupati che abbiamo accumulato ci vorrà molto tempo!

D. – Il ministro Padoan ha rassicurato che “il governo agirà per sostenere la ripresa evitando un aumento fiscale e rilanciando gli investimenti”. Da dove arriveranno i soldi?

R. – Il governo si muove su un sentiero molto stretto, nel senso che ci sono i famosi vincoli europei: dobbiamo andare – nei prossimi anni – verso il pareggio strutturale di bilancio, e quindi io credo che quello che si sta facendo tutto sommato sia di tenere sotto controllo la spesa, riprendendo il discorso della “spending review”, che era stato un po’ accantonato: consentire, in qualche maniera, se non di ridurre almeno di evitare di aumentare ulteriormente le tasse. Ricordiamo, infatti, che ci sono le famose clausole di salvaguardia, per cui se non si raggiungono determinati “target” di tagli di spesa, poi scattano in automatico l’aumento dell’Iva e di altre imposte. Quindi, almeno bisogna cercare assolutamente di evitare questi aumenti di tasse.

D. – Cos’è il “tesoretto”, in termini semplici? E’ una parola tanto citata e di cui si parla nel Def? E un’altra domanda, forse non per un economista, forse più per un linguista, ma è una domanda che ci poniamo tutti come cittadini: perché la politica usa di sovente parole evocative o espressioni come “jobs act” o “spending review”, che non aiutano i cittadini a capire?

R. – Spesso si cercano espressioni molto sintetiche e, appunto, anche un po’ evocative, che colpiscano almeno la fantasia per indicare concetti più complicati, magari un po’ a spese della chiarezza. Comunque, il tesoretto sostanzialmente è un margine in più nei saldi di finanza pubblica, cioè un po’ di entrate in più e di spese in meno rispetto a quanto si era previsto. Questo avviene fondamentalmente grazie al fatto che c’è, appunto, una piccola ripresa del Pil e quindi ci sono un po’ di tasse in più: nel momento in cui il reddito aumenta, da questo reddito vengono prelevate delle tasse. E poi, soprattutto, la fonte maggiore penso che sia il risparmio sulla spesa per gli interessi, che è dovuto al calo molto forte dei tassi di interesse che si è avuto negli ultimi anni e negli ultimi mesi in particolare. Questo ha creato qualche margine in più che per quest’anno è stato quantificato in 1,6 miliardi ma che dovrebbe essere di più per quanto riguarda l’anno prossimo, il 2016; e che, naturalmente, poi apre la discussione su come utilizzarlo: se utilizzarlo semplicemente per ridurre il deficit o se, viceversa, come sembra intenzionato il governo, può essere utilizzato per finanziare qualche spesa in più, per ridurre qualche imposizione fiscale.

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Giornata Mondiale del Libro per riscoprire l'amore per la lettura

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Si apre quest'anno in occasione della Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, che si celebra il 23 aprile, la prima edizione di #ioleggoperché, un'iniziativa nazionale per la promozione del libro, curata dall’AIE (Associazione Italiana Editori). Forte è stata la mobilitazione degli italiani per divenire messaggeri dell'iniziativa, che contrasta però con i dati di lettura in Italia in fase di contrazione. Ce ne parla Marco Rana, componente del comitato organizzatore #ioleggoperché, al microfono di Claudia Minici

R. – Per la prima volta in Italia, gli editori e moltissime realtà della filiera editoriale e culturale italiana si mettono insieme per organizzare una grande festa di promozione per la lettura. E’ tradizione, in altri Paesi europei, che il 23 aprile si festeggi: a Barcellona i giovani si scambiano i libri con le rose; a Londra c’è la World Book Night, una grande notte bianca di festa del libro. Quest’anno partiamo con #ioleggoperché, cercando di disseminare l’amore per la natura e i semi sono i libri, che sono stati messi a disposizione dagli editori e dagli autori: 24 libri di estrazione molto diversa, da grandi gruppi editoriali fino alle realtà della media e della piccola editoria italiana, ai grandissimi nomi più noti al pubblico. Questi 24 libri sono stati stampati in 240 mila copie, che vengono affidate ad un piccolo esercito di messaggeri: sono donne, uomini e ragazzi, studenti che si sono iscritti sul sito #ioleggoperché. Abbiamo superato i 30 mila, tanto che ad un certo punto abbiamo dovuto fermare le iscrizioni perché non avevano più libri da affidare… Questi ragazzi ricevono una certa quantità di copie nella giornata del 23 cercando di scovare lettori a cui affidarli, a qualcuno che se ne potrà auspicabilmente prendere cura.

D. – Quali sono le iniziative proposte?

R. – Intorno a questa mobilitazione dei messaggeri sono poi sbocciate moltissime iniziative, più di un migliaio in tutto il territorio nazionale che si concentreranno nella giornata del 23. C’è una concentrazione su cinque città: a Cosenza, a Vicenza, a Sassari, a Roma e a Milano, che è un po’ la sede principale perché ci saranno eventi ripresi in diretta da Rai 3 nella serata di giovedì. Questo dovrebbe rappresentare un po’ il culmine di questa festa.

D. – Il pubblico italiano come ha accolto l’iniziativa?

R. – Dal punto di vista delle statistiche, i dati sulla lettura sono sempre piuttosto tristi. Tuttavia ogni volta che si toccano i temi del libro, in Italia si accendono delle scintille di passione davvero molto forti. In realtà c’è quasi una contraddizione tra il grandissimo successo che i Festival letterari hanno raccolto e i dati di lettura che, oggettivamente, sono in fase di contrazione.

D. – Si ha, dunque, uno sguardo speciale verso i giovani?

R. – La cosa ha preso davvero un grande riverbero con il coinvolgimento delle scuole, delle università, delle biblioteche… Ci sembra una risposta molto calda dal punto di vista della mobilitazione: getta un seme che è destinato a germogliare.

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Nella Chiesa e nel mondo



Egitto: imam e sacerdoti promuovono “cultura dell'incontro”

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Inizia oggi la “missione” collettiva di un folto gruppo di imam legati ad al Azhar – il maggior Centro teologico dell'islam sunnita – e di sacerdoti copti, che per alcuni giorni visiteranno insieme le scuole della provincia egiziana di Minya per incontrare gli studenti e promuovere in conferenze e dibattiti la cultura dell'incontro e della pace, valorizzandola come base di una pacifica convivenza sociale e religiosa. L'iniziativa, sostenuta dal Grande Imam di al Azhar Ahmad al-Tayyeb e dal patriarca copto ortodosso Tawadros II, mira a rafforzare il tessuto della solidarietà nazionale e a promuovere la reciproca tolleranza fondata sulla condivisione di valori comuni, a partire dalla compassione e dalla solidarietà verso i concittadini in difficoltà.

Iniziativa interreligiosa per coinvolgere gli studenti delle scuole
“Gli incontri nelle scuole - riferisce all'agenzia Fides Anba Botros Fahim Awad Hanna, arcivescovo copto cattolico di Minya - si svolge sotto l'egida di “Casa della famiglia egiziana”, l'organismo di collegamento inter-religioso creato anni fa dal Grande Imam di Al Azhar e dal patriarca copto ortodosso e rivitalizzato negli ultimi tempi come strumento per prevenire e mitigare le contrapposizioni settarie, in un momento in cui il riesplodere del settarismo fondamentalista sembrava mettere a rischio la stessa unità nazionale. Gli imam e i sacerdoti sono una quarantina, e operano tutti nella nostra regione. Un'iniziativa analoga si è già svolta qualche settimana fa in alcune scuole del Cairo”. Il programma mira a coinvolgere gradualmente le scuole in altre aree del Paese afflitte - come la provincia di Minya - da conflitti settari. (G.V.)

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Pakistan: peggiora lo stato dei diritti umani nel Paese

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La situazione dei diritti umani in Pakistan si sta fortemente deteriorando: è quanto afferma l’ultimo Rapporto della “Human Rights Commission of Pakistan” (Hrcp), una tra le maggiori Ong della società pakistana, con una rete diffusa capillarmente nel Paese. Nel documento ripreso dall’agenzia Fides, titolato “Stato dei diritti umani 2014”, si nota che l’attacco dei militanti alla scuola militare di Peshawar, che il 16 novembre ha ucciso oltre 130 bambini, simboleggia efficacemente la situazione dei diritti umani in Pakistan.

Condanna unanime contro l'estremismo non si è tradotto in azione politica
Secondo il Rapporto, quell’attacco rappresenta in qualche modo “una svolta”, in quanto sembra aver creato un largo consenso contro il fanatismo in Pakistan. Tuttavia Zohra Yusuf, presidente della Hrcp nota: “E’ un peccato che tale consenso a livello nazionale contro i talebani e altri gruppi estremisti non si sia tradotto in azione politica, restando un affare militare”. Secondo il testo, 1.723 pakistani hanno perso la vita e 3.143 sono rimasti feriti nel corso del 2014 in 1.206 attacchi terroristici, 26 dei quali suicidi.

Pakistan: “il Paese più pericoloso al mondo” per la libertà di stampa
Alla lotta contro il terrorismo, prioritaria, si affianca la campagna per le libertà: “Le limitazioni alla libertà di espressione non sono calate nel 2014” nota il Rapporto. Il Pakistan è stato definito “il Paese più pericoloso al mondo” per la libertà di stampa, con 14 giornalisti e operatori dei media uccisi nel 2014.

In aumento estremismo religioso contro le minoranze
Sulla condizione delle minoranze religiose, si afferma che “l'estremismo religioso ha continuato a crescere nel 2014: 11 edifici, tra templi indù e chiese, sono stati danneggiati nella provincia meridionale di Sindh, mentre due attacchi sono stati condotti contro la minoranza Zikri in Beluchistan”. Lo scorso anno si sono segnalati in tutto 144 episodi di violenza settaria, 141 dei quali sono stati attacchi terroristici e tre erano scontri settari, rivela la Commissione.

In aumento gli omicidi per blasfemia
​La “blasfemia” resta un argomento molto sensibile nella nazione, dove il 97% dei 180 milioni di abitanti professa l’islam. La Hrcp rimarca che “in passato gli omicidi per blasfemia non erano così frequenti come sono ora” e “l’intolleranza religiosa è notevolmente aumentata nel Paese dell'Asia meridionale negli ultimi dieci anni”. (P.A.)

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Malawiani in fuga dalle violenze xenofobe in Sudafrica

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“Ci inseguivano come cani” hanno detto le prime avanguardie dei 3.200 malawaiani che il governo sta rimpatriando dal Sudafrica, dove sono in corso violenti scontri xenofobi. Lo riferisce all’agenzia Fides dal Malawi padre Piergiorgio Gamba, missionario monfortano, che parla di “pullman carichi di gente scalza, scappata senza poter prendere nulla”. “Ancora una volta, all’estremità sud dell’Africa, riappare l’incubo della caccia allo straniero come era successo nel 2008” commenta il missionario. “Il grande Sudafrica, la prima economia del continente, il Paese capace di organizzare i Campionati del mondo di calcio, lascia emergere un odio appena sopito sotto i colori della rainbow nation, che ancora fatica a costruire una nazione da tanti gruppi diversi”.

Gli attacchi distruggono quella fratellanza che il colore della pelle da sempre sostiene
“Le immagini di gruppi di giovani sudafricani che accoltellano africani dello Zimbabwe, del Mozambico e del Malawi sono finite sulle prime pagine dei giornali e alla televisione, distruggendo quella fratellanza che il colore della pelle aveva da sempre sostenuto” prosegue il missionario. Padre Gamba sottolinea che “il numero limitato dei morti è certo merito di una presa di posizione immediata delle organizzazioni di protezione dei diritti umani e delle Chiese in particolare”.

Il monito del card. Napier
Il messaggio di protesta del card. Wilfrid Napier, arcivescovo di Durban, dove sono scoppiate le prime cariche xenofobe che poi si sono estese a tante altre città come Johannesburg e la capitale Pretoria, è stato un monito severo. "La xenofobia è contraria alla Costituzione del Sudafrica, all’umanesimo africano e alla fede cristiana, che vuole costruire ponti e non mura di difesa” ha ripetuto, citando Papa Francesco. Si è ripetuto spesso, in questi giorni, quello che è stato “il sogno di Mandela, di una società democratica e libera, dove tutte le persone possano vivere assieme in armonia e con pari opportunità”.

La Chiesa del Malawi invita ad evitare ritorsioni sui cittadini sudafricani
​ In Malawi, la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale in un comunicato ha invitato ad evitare ritorsioni sui cittadini sudafricani che in Malawi possiedono diverse case di villeggiatura lungo il lago ed i più grandi supermercati. Giustizia e Pace chiede inoltre che si vada oltre il rimpatrio dei connazionali e si giunga ad un dialogo costruttivo tra governi e che le dimostrazioni di protesta siano pacifiche. (L.M.)

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Colombia: Consiglio episcopale sui colloqui di pace

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La riunione dei membri del Consiglio episcopale per la pace (Cep), per analizzare le prospettive del processo di pace con i guerriglieri delle Farc e dell’Eln, si è svolta ieri a Bogotà. Secondo la nota ripresa  dall'agenzia Fides, erano presenti il presidente della Conferenza episcopale della Colombia, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, che è anche presidente della Commissione nazionale di conciliazione (Ccn), un gruppo di arcivescovi e vescovi provenienti da diverse regioni del Paese dove si vive quotidianamente la difficile situazione del conflitto sociale ed armato, e l'Alto Commissario per la Pace, Sergio Jaramillo.

Lo studio della situazione dei colloqui con l'Eln
I membri del Cep hanno analizzato, dal punto di vista regionale, la situazione del processo di negoziazione tra il governo ed i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). Il punto nuovo nell'agenda è stato lo studio della situazione dei colloqui con l'Esercito di liberazione nazionale (Eln).

Processo di pace in pericolo per un attentato delle Farc
Secondo quanto hanno riportato i media locali, negli ultimi giorni il cammino del processo di pace era stato messo in discussione a causa di un atto criminale compiuto dalle Farc, in cui sono stati uccisi 11 soldati. Solo ieri è stato pubblicato il rapporto ufficiale dell'esercito colombiano, da cui si apprende che i bombardamenti ordinati dal Presidente Santos nella zona del conflitto, conseguenti al crimine, hanno causato 6 morti nelle file dei guerriglieri.

Messaggio del Presidente Santos alle Farc
​Sempre ieri sera il Presidente Santos ha inviato un messaggio alle Farc, dicendo che adesso “la decisione di fare sul serio è nelle vostre mani. E' ora di dimostrare che anche per voi la pace è il bene tanto desiderato". (C.E.)

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Documento vescovi d'Australia: sfatare i miti dell’eutanasia

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“Attenzione, amore e compassione – l’alternativa all’eutanasia”: si intitola così il documento della Conferenza episcopale australiana (Acbc) pubblicato per sfatare alcuni miti sull'eutanasia, in relazione ad una sua eventuale legalizzazione nel Paese. In particolare, scrive mons. Peter Comensoli, delegato episcopale per la questione eutanasia, “il documento della Chiesa vuole aiutare le persone a capire perché la difesa della vita è sempre la scelta migliore”.

Ogni persona merita aiuto e compassione
Ogni singola persona, sottolinea ancora mons. Comensoli, “merita aiuto e compassione, non un’iniezione letale”, a prescindere dal suo stato di salute fisico o mentale, perché “ogni persona ha la sua dignità, a prescindere da salute, età, disabilità, utilità o altre circostanze e tutti meritano amore e sostegno”. In questo senso, “una risposta davvero compassionevole mirerà sempre a dare dignità alla vita delle persone in punto di morte”.

Eutanasia non è solo questione di scelta personale
Quindi, l’Acbc ricorda che “l’eutanasia non è soltanto questione di scelta personale, poiché essa coinvolge almeno un’altra persona: permettere a qualcuno di causare la morte di un altro è sempre una questione di interesse pubblico, perché riguarda un potere del quale si può facilmente abusare”. Infatti, sottolinea la Chiesa australiana, “la riprova è che nelle nazioni in cui l’eutanasia è stata legalizzata, come il Belgio ed i Paesi Bassi, molte persone hanno ricevuto un’iniezione letale anche se non avevano chiesto espressamente l’eutanasia”.

Potenziare le cure palliative
Inoltre, i vescovi australiani ribadiscono che “gli ospedali cattolici hanno una lunga storia ed una lunga esperienza di offerta di cure palliative ad alto livello per assistere i sofferenti”. “Le cure palliative aiutano le persone a gestire il dolore – concludono i presuli – permettendo loro di spendere al meglio il tempo che resta, specialmente con i loro cari”. Quindi, il documento episcopale ribadisce un principio fondamentale: “Uccidere le persone è sbagliato” ed è perciò “fuorviante e pericoloso” parlare di eutanasia come di un modo per “permettere alle persone di morire con dignità” o come di “un diritto dell’individuo a scegliere quando e come morire”.

Dignità umana non dipende dalle condizioni di salute, ma dall’umanità
In quest’ottica, la Chiesa australiana sfata sei “miti” sull’eutanasia: il primo riguarda la possibilità che tale pratica possa essere applicata in sicurezza, secondo precise norme giuridiche. Ma, sottolineano i vescovi, “l’eutanasia ed il suicidio assistito non possono mai essere sicuri, perché i malati terminali sono persone vulnerabili, in preda a paura, depressione, solitudine, ed anche pressioni da parte dei familiari”. Quindi, “nessuna legge potrà mai proteggerli dal soccombere all’eutanasia, se essa divenisse legale”. Il secondo mito riguarda il “morire con dignità”. Anche in questo caso, spiegano i presuli, si tratta di un falso mito, poiché “la dignità umana non dipende dalla salute, ma semplicemente dall’umanità”. Inoltre, l’Acbc sottolinea la preoccupazione della società australiana per l’alto tasso di suicidi nel Paese e gli innumerevoli sforzi in atto per ridurre tale percentuale. Di fronte a tale contesto, allora, legalizzare l’eutanasia o il suicidio assistito “vorrebbe dire creare un pericoloso doppio standard e promuovere una falsa idea di dignità”.

Dovere del medico è curare e assistere il paziente
Il terzo mito da sfatare, aggiunge ancora la Conferenza episcopale australiana, riguarda il concetto di eutanasia come “libertà e scelta personale”. Ma ciò è errato, poiché essa “coinvolge sempre una seconda persona”, finendo per cambiare “per sempre la natura del rapporto che il medico ha con il paziente, trasformandolo dal dovere di cura ed assistenza a quello di potere di vita o di morte”. E ancora: la Chiesa australiana sfata il mito che la legge sull’eutanasia sia stata sperimentata positivamente in altri Paesi, come il Belgio e l’Olanda, e ricorda le derive che tali legislazioni hanno fatto registrare, come la possibilità eutanasia per i bambini o per i disabili mentali.

Legge deve promuovere bene comune e tutelare i più deboli
​Gli ultimi due punti che i vescovi australiani contrastano riguardano la legalizzazione dell’eutanasia come risultato del volere dell’opinione pubblica e la necessità di tale pratica per alleviare le sofferenze dei malati. Riguardo al primo aspetto, i presuli ricordano che “il Parlamento non legifera solo in base all’opinione pubblica, ma in favore del bene comune e per tutelare i più vulnerabili, dando voce a chi non ne ha”. Riguardo al secondo aspetto, invece, la Chiesa australiana ribadisce che “le cure palliative, e non l’omicidio, sono la risposta per alleviare le sofferenze di chi è in fin di vita”. Purtroppo, “tali cure non vengono offerte a molti malati in Australia”. Quindi, “nessuno dovrebbe parlare di eutanasia nel Paese” finché verrà risolto il problema dell’accesso, per tutti, alle cure palliative. (I.P.)

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Cina: a Macao prima Messa in onore di Matteo Ricci

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Il 26 aprile prossimo, nello storico seminario di san Giuseppe a Macao, verrà eseguita per la prima volta una “Missa in honorem Matthaei Ricci”, per ricordare il grande missionario gesuita (1552-1610) che per primo fra i missionari stranieri potè vivere e morire a Pechino, alla Corte imperiale.

E' stato un ponte fra Oriente e Occidente
Matteo Ricci - riferisce l'agenzia Asianews - non è ancora santo: solo pochi mesi fa è stata completata la documentazione per la sua causa di beatificazione. Ma questa Messa – di per sé eseguita in concerto - è un segno del desiderio e della preghiera perché venga canonizzato una delle più grandi figure che – come disse Giovanni Paolo II – ha costruito “un ponte” fra l’Oriente e l’Occidente. In più, è significativo il luogo in cui avviene questa prima: il seminario di S. Giuseppe, infatti, per almeno due secoli è stato il luogo di formazione per i missionari che venivano inviati in Cina, Giappone ed Estremo Oriente.

Messa a Macao dove il missionario visse per un certo periodo
La Messa in onore di Matteo Ricci è stata composta dal maestro Aurelio Porfiri, italiano, da diversi anni residente a Macao. La Messa “per assemblea, coro femminile, ottoni e organo” si avvale della presenza di ben quattro cori, oltre che dei solisti Lily Li, Mario Xia, Dian Paramita. Intervistato da AsiaNews, il maestro Porfiri commenta: “Ovviamente non si può parlare di liturgia propria, non avendo la Chiesa pronunciato ufficialmente la sua decisione riguardo la beatificazione del missionario gesuita. Si può dire che è una Messa che intende onorarlo in quella Macao dove egli visse per un certo periodo, prima di inoltrarsi per la Cina continentale. E' una Messa che prevede il canto dell'assemblea arricchito dalle polifonie del coro e dalla solennità degli ottoni e dell'organo”. 

In progetto un Oratorio dedicato al missionario maceratese
Non è la prima volta che Aurelio Porfiri, si occupa di Matteo Ricci. In effetti da tempo egli lavora a un altro progetto, un Oratorio dedicato al grande missionario maceratese, con musica da lui composta e libretto del padre Gianni Criveller del Pime. Porfiri spera di portare a compimento questo progetto entro la fine del 2015. (R.P.)

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Vietnam: morto mons. Nguyễn Văn Tà, direttore di Radio Veritas

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Cattolici, buddisti, fedeli di altre religioni in Vietnam e nelle Filippine hanno accolto con profondo cordoglio e commozione la morte di mons. Peter Nguyễn Văn Tài, ex direttore di Radio Veritas, emittente cattolica filippina che ha guidato per 38 anni. Si è spento ieri mattina in un ospedale di Ho Chi Minh City, nel sud del Vietnam, dove era stato ricoverato per l’aggravarsi di un male incurabile. In una intervista all'agenzia AsiaNews, il sacerdote si è era detto onorato dell’opera “nel settore delle comunicazioni in ambito cattolico, al servizio della Chiesa e dei fedeli dell’Asia”.

Accanto al lavoro nelle comunicazioni, attività caritative e sociali
Mons. Peter, 66 anni, era nato il 17 dicembre 1947 a Rạch Lọp, Per oltre 30 anni ha diretto Radio Veritas, la sola voce cattolica - in più di 20 lingue - dell’Asia con sede a Quezon City, nelle Filippine. Nell’ultimo incontro con AsiaNews, il sacerdote vietnamita ha ricordato che “nella vita sacerdotale, accanto al lavoro nel settore delle comunicazioni, ho sempre amato fare attività caritative e sociali”. Mons. Peter Nguyễn Văn Tài afferma di aver accolto con entusiasmo alla richiesta “della Santa Sede” di guidare la Radio, mettendosi al servizio della Chiesa e dei cattolici vietnamiti in patria e all’estero. 

La voce di Radio Veritas anche nelle aree più povere del Vietnam
​ La notizia della morte del sacerdote vietnamita ha generato profondo cordoglio e commozione in cattolici e non di tutto il continente, ma in particolare in Vietnam e nelle Filippine. Non solo i cattolici, ma anche i buddisti ricordano la figura del sacerdote vietnamita. Grazie a Radio Veritas anche i montagnards e i contadini delle aree più povere del Vietnam hanno potuto seguire la Messa domenicale, avere insegnamenti biblici ed essere informati sulla vita della Chiesa. (N.V.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 112

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.