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Sommario del 20/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Papa: Toaff uomo di pace e dialogo. No a violenze antisemite e anticristiane

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“Un uomo di pace” e artefice di “relazioni fraterne tra ebrei e cattolici”. Con queste parole il Papa ha ricordato Elio Toaff, già Rabbino Capo di Roma, spentosi ieri sera all’età di quasi 100 anni e i cui funerali saranno celebrati oggi a Livorno. Francesco ne ha parlato durante l’udienza alla Conferenza dei rabbini europei e poi in un messaggio di cordoglio, nel quale ha sottolineato del Rabbino scomparso l’“autorevolezza morale” e la “profonda umanità”. Nel corso dell'udienza, il Papa ha ribadito la condanna di ogni forma di violenza antisemita e antireligiosa. Il servizio di Alessandro De Carolis: 

La storia recente del dialogo tra cattolici ed ebrei ha uno snodo cruciale 29 anni fa, nel gesto fraterno e mai visto davanti Sinagoga di Roma e nelle parole che più tardi vengono pronunciate al suo interno.

Vicino alla comunità ebraica di Roma
L’architrave di quella storia si regge sulle spalle e sul cuore di due uomini soprattutto e i nomi di entrambi, Elio Toaff e Giovanni Paolo II, diventano per il Papa il punto di partenza d’obbligo di un’udienza prevista da tempo, quella con i rabbini europei, che la scomparsa dell’antico capo della comunità ebraica romana arricchisce di sentimenti di commozione e gratitudine:

“Esprimo le mie sentite condoglianze per la scomparsa, ieri sera, del Rabbino Elio Toaff, già Rabbino Capo di Roma. Sono vicino con la preghiera al Rabbino Capo Riccardo di Segni – che avrebbe dovuto essere qui con noi – e all’intera comunità ebraica di Roma, nel ricordo riconoscente di quest’uomo di pace e di dialogo, che accolse il Papa Giovanni Paolo II nella storica visita al Tempio Maggiore”.

Ebrei e cristiani, "anima" di un'Europa secolarizzata
Uomini del dialogo come quello ebraico-cattolico postconciliare, avviato giusto 50 anni fa con la Dichiarazione “Nostra Aetate”. Francesco sottolinea i “progressi fatti” e l’“amicizia” cresciuta nel frattempo, ritenendole un valore importante per l’Europa odierna, terra di “secolarismo” e “ateismo” diffusi, in cui – dice – “si corre il rischio di vivere come se Dio non esistesse”:

”L’uomo è spesso tentato di mettersi al posto di Dio, di considerarsi il criterio di tutto, di pensare di poter controllare ogni cosa, di sentirsi autorizzato ad usare tutto ciò che lo circonda secondo il proprio arbitrio (...) Ebrei e cristiani hanno il dono e la responsabilità di contribuire a mantenere vivo il senso religioso degli uomini di oggi e della nostra società, testimoniando la santità di Dio e quella della vita umana: Dio è santo, e santa e inviolabile è la vita da lui donata”.

Basta violenze antisemite e anticristiane
A preoccupare Francesco sono anche le “tendenze antisemite e alcuni atti di odio e di violenza” che tuttora si manifestano in Europa. “Ogni cristiano – riafferma il Papa – non può che essere fermo nel deplorare ogni forma di antisemitismo, manifestando al popolo ebraico la propria solidarietà:

“È stato commemorato recentemente il 70°.mo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, che ha visto il consumarsi della grande tragedia della Shoah. La memoria di quanto accaduto, nel cuore dell’Europa, serva da monito alla presente e alle future generazioni. Vanno altresì condannate dappertutto le manifestazioni di odio e di violenza contro i cristiani e contro i fedeli di altre religioni”.

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Toaff e Wojtyla, quell’abbraccio in Sinagoga che fece la storia

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La figura del Rabbino Elio Toaff è inscindibilmente legata a quella di San Giovanni Paolo II che, fatto inedito per un Papa, lo citò con affetto nel suo Testamento spirituale. Toaff e Wojtyla il 13 aprile del 1986 furono i protagonisti di una pagina di storia indimenticabile: la prima visita di un Successore di Pietro in una sinagoga. Nel servizio di Alessandro Gisotti, riviviamo alcuni momenti di quella memorabile giornata: 

Il Papa e il Rabbino che si abbracciano alla Sinagoga di Roma. Gesto semplice eppure dirompente che, come quello di Paolo VI con il Patriarca Atenagora, abbatte un muro di incomprensione plurisecolare e apre un nuovo cammino di dialogo, di rispetto, di amore. L’immagine di quell’abbraccio, atteso da duemila anni, viene immortalata dai fotografi e, a vent’anni di distanza, ancora suscita emozione. Per gli ebrei e i cristiani, ben oltre i confini di Roma, è segno e memoria di una fraternità che - al di là di divisioni e difficoltà – è radicata nell’essere figli dell’unico Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe.

Un gesto destinato a passare alla storia
Karol Wojtyla e Elio Toaff avevano vissuto entrambi l’orrore del nazismo, e al male avevano opposto il bene, convinti che la misericordia di Dio è più grande della sofferenza che possono infliggere gli uomini. Questa comune esperienza li rendeva vicini, fratelli, un comune sentire che si coglie in filigrana nei discorsi pronunciati quel 13 aprile del 1986 nel Tempio Maggiore della comunità ebraica romana. Toccante quel “Santità” con cui il Rabbino di Roma si rivolge al Successore di Pietro:

“Santità, come Rabbino capo di questa comunità, la cui storia si conta in millenni, desidero esprimerle la viva soddisfazione per il gesto da lei voluto e da lei oggi compiuto di venire, per la prima volta nella storia della Chiesa, in visita ad una Sinagoga. Gesto destinato a passare alla storia. Esso si ricollega all’insegnamento illuminato del suo illustre predecessore, Giovanni XXIII”…

Giovanni XXIII e dunque il Concilio Vaticano II. E’ in quell’evento - “bussola” della Chiesa nel nostro tempo, nelle parole di Papa Benedetto - che trova terreno fertile il fiore del dialogo con gli ebrei che sboccia nella visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma.

La visita alla Sinagoga, una realtà e un simbolo
Il Papa polacco che, poco dopo l’elezione alla Cattedra di Pietro, ha visitato il campo di sterminio nazista di Auschwitz, chiede perdono per i crimini compiuti dai cristiani contro i “fratelli maggiori”. E sottolinea con gratitudine che, se un Papa per la prima volta dopo San Pietro, viene accolto in una sinagoga è grazie al Rabbino Toaff:

“Sento poi il dovere di ringraziare il Rabbino capo, prof. Elio Toaff, che ha accolto con gioia, fin dal primo momento, il progetto di questa visita e che ora mi riceve con grande apertura di cuore e con vivo senso di ospitalità; e con lui ringrazio tutti coloro che, nella comunità ebraica romana, hanno reso possibile questo incontro e si sono in tanti modi impegnati affinché esso fosse nel contempo una realtà e un simbolo. Grazie quindi a tutti voi. Todà rabbà (grazie tante)”.

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Toaff alla Radio Vaticana: "Wojtyla, un uomo eccezionale"

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Molte volte il Rabbino Elio Toaff ha parlato con la Radio Vaticana. All’indomani delle sue dimissioni dalla carica di massimo responsabile della Sinagoga romana, nel 2001, Fabio Colagrande lo intervistò per ricordare alcuni momenti salienti del suo lungo servizio, a cominciare dal suo arrivo a Roma, a metà del secolo scorso: 

R. – Nel 1951, quando io son venuto, c’erano ancora i postumi della guerra, c’erano ancora le famiglie dei deportati che non si davano pace... Esisteva soltanto un edificio che ospitava l’asilo infantile e si facevano dei tentativi per fare una scuola media… Io ho creduto che fosse il caso di tenere i ragazzi il più possibile vicini a noi, per poter dare loro un indirizzo di carattere religioso, che li tenesse veramente fedeli alla tradizione ebraica – che a Roma ha una veneranda età, sono 20 secoli. Debbo dire che la comunità in questo ha risposto e io sono soddisfatto che oggi esistano le scuole ebraiche, che vanno dall’asilo infantile fino all’università. E in queste scuole non è che si insegna la divisione, la lotta delle religioni, ma si insegna invece come ci si deve comportare nella vita, per poter rafforzare le proprie convinzioni pur tenendole vicine alle altre: per dialogare, ma non per combattere.

D. – Veniamo alla visita di Giovanni Paolo II in Sinagoga nel 1986: a distanza di tanti anni, quale ricordo ha di quell’avvenimento?

R. – Credo sia stato un avvenimento che ha colpito non soltanto tutto il mondo ebraico, ma anche quello non ebraico. Dopo duemila anni, un Pontefice entrava in Sinagoga. E le parole che lui ha detto, il fatto di averci chiamato “fratelli maggiori”, è stato veramente un passo avanti che ha fatto sì che quasi tutti i pregiudizi che esistevano, dei cristiani nei confronti degli ebrei e dagli ebrei nei confronti dei cristiani, fossero dissolti quasi completamente.

D. – Dal punto di vista personale, com’è stato l’incontro con questo Papa (Giovanni Paolo II – ndr)?

R. – Debbo dire che è una personalità eccezionale. È un uomo che veramente deve avere il rispetto di tutti gli uomini, siano essi cattolici, ebrei o musulmani. È un uomo di grande generosità, un uomo che veramente sente la responsabilità della propria missione.

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Toaff, Livorno in lutto. Mons. Giusti: città perde una luce

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Commozione per la morte di Elio Toaff anche a Livorno, sua città natale, dove il Rabbino era nato 99 anni fa, era vissuto per molti anni e dove amava tornare spesso da Roma. "Muore un rabbino di grandissimo spessore, una guida spirituale, una persona di grandissimo valore che ha saputo incidere non solo in ambito religioso, ma anche in tutti gli altri aspetti della vita del nostro Paese". Così il presidente della comunità ebraica livornese, Vittorio Mosseri, ricorda la figura di Elio Toaff. "Ci rende un grande onore il fatto di aver lasciato nelle sue volontà di voler essere sepolto a Livorno, quella che considerava la sua città, accanto a sua moglie”. La Giunta comunale di Livorno, riunitasi in seduta straordinaria, ha deliberato la proclamazione del lutto cittadino quale manifestazione di partecipazione dell'intera città al cordoglio per la sua scomparsa. Alle 18 davanti alla Sinagoga di Livorno, in piazza Benamozegh, l'omaggio a Elio Toaff da parte della città. Poi, i funerali al cimitero ebraico della città. Luca Collodi ha chiesto al vescovo di Livorno, mons. Simone Giusti, di ricordare la lunga amicizia tra il rabbino Toaff e il vescovo Ablondi, che ha portato più volte, nel corso degli anni lo stesso vescovo Ablondi, oggi scomparso, a visitare la sinagoga livornese: 

R. – Con mons. Ablondi e già ancora prima, bisogna ricordarlo, con l’opera di mons. Guano. Proprio negli anni Sessanta e negli anni del Concilio, si è sperimentato a Livorno – grazie proprio a mons. Guano, che era intimo amico di Paolo VI, e poi a mons. Ablondi – uno stile di rapporti tra comunità cristiane e comunità ebraica che sono poi risuonati nella “Nostra Aetate”. Possiamo dire che Livorno – grazie a queste due eminenti figure di vescovi – è stato come una sorta di laboratorio durante il Concilio, che ha poi preparato le dichiarazioni che ritroviamo nella “Nostra Aetate”. E’ stata una esperienza grande fra uomini che si sono intesi - essendo uomini della scrittura, uomini di Dio, uomini della Bibbia - e che si sono ritrovati proprio come fratelli di fronte all’Unico Dio.

D. – Mons. Giusti, quanto conta l’amicizia tra il Rabbino Toaff e il vescovo Ablondi, nel dialogo e nell’incontro tra la comunità cristiana e quella ebraica nel corso degli anni?

R. – Era un’amicizia diventata talmente quotidiana che portava spesso mons. Ablondi nella sinagoga di Livorno: più volte vi è stato invitato, più volte ha preso la parola. Pertanto, erano diventati dei rapporti abituali e credo che quando Toaff si è trovato a Roma non è stato per lui inusuale o un fatto eccezionale invitare un vescovo in sinagoga, sia pure nella sinagoga di Roma e sia pure il Vescovo di Roma. Era già abituale invitare il vescovo di Livorno nella sinagoga di Livorno. E’ stata un’esperienza – quella vissuta a Livorno – che è diventata talmente quotidiana e positiva da ripetersi poi a ben altri livelli e con ben altro significato.

D. – Possiamo dire che l’amicizia tra due uomini come il Rabbino Toaff e mons. Ablondi ha aperto poi le porte a Roma alla storica visita di Giovanni Paolo II in sinagoga a Roma?

R. – Indubbiamente. Le grandi svolte si fanno partendo dai rapporti umani. Quando crollano i muri e si comincia a credere che l’altro con cui dialogo è una persona sincera e vera, ecco che allora si possono buttare giù tanti muri. Sono i muri che stanno crollando anche ora con Papa Francesco. Papa Francesco, che si manifesta con questa sua schiettezza e con questa sua sincerità, sta buttando giù altrettanti muri. Allora, mons. Ablondi e il Rabbino Toaff buttarono giù i muri dell’inimicizia e crearono una profonda amicizia, che poi ha avuto, ovviamente, tutta una serie di ricadute proprio nel dialogo interreligioso fra ebrei e cristiani. E i risultati si stanno cogliendo e si stanno gustando già in questo periodo.

D. – Livorno viene ricordata come una città senza "ghetto" per la comunità ebraica…

R. – No, non lo ha mai avuto. E’ stata una città che è nata con una inclusione sociale e religiosa e tuttora vive in questa dimensione di inclusione anche con tutti questi nuovi immigrati. Dobbiamo capire che la ricchezza di Livorno sono stati proprio gli immigrati e quindi avere oggi paura degli immigrati è avere paura della nostra storia, ma anche del nostro futuro.

D. – Come vive la città di Livorno questa giornata di lutto per la morte del Rabbino Toaff?

R. – Come l’aver perso una luce, una stella, un personaggio che ha dato tanto alla città di Livorno: schietto, franco, come tutti i livornesi, e come tutti i livornesi un uomo che ha saputo dare tanto negli ideali – e in questo senso nella fede – che testimoniava e che viveva.

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Papa a vescovi Gabon: uniti nel difendere vita e persona umana

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Non esitare ad “alzare la voce” per difendere “la persona umana e la sacralità della vita”. E’ una delle raccomandazioni di Papa Francesco ai vescovi del Gabon, in visita ad Limina. Nel discorso consegnato ai presuli, guidati da mons. Mathieu Madega Lebouakehan, presidente della Conferenza episcopale del Paese africano, il Papa ha raccomandato pure una particolare attenzione ai giovani, affinché resistano “alle ideologie”, “alle sette”, “alle illusioni di una falsa modernità” e “al miraggio di ricchezze materiali” del mondo di oggi. Il servizio di Giada Aquilino

Comunione e fratellanza
Una Chiesa “famiglia di Dio”, unita attorno all’annuncio del Vangelo come messaggio di pace, gioia e salvezza, “che libera l'uomo dalle forze del male al fine di condurlo verso il Regno di Dio”. Nelle parole del Papa è questa l’immagine della Chiesa in Gabon, a 170 anni dalla sua fondazione. Ai vescovi del Paese africano, Francesco - ricordando i “valorosi missionari” che hanno predicato nella loro terra come pure i primi cristiani del Gabon - raccomanda quella comunione e quella fratellanza capaci di “immunizzare” dalla minaccia rappresentata da “considerazioni tribali ed etniche discriminatorie”, che sono la “negazione” del Vangelo. La “collaborazione fraterna” - prosegue - deve permettere di “soddisfare al meglio i bisogni, come le sfide della Chiesa e di garantire uno spirito di collegialità per il bene comune di tutta la società”. In tal senso è stata istituita dai vescovi una giornata di preghiera per il Gabon: così - osserva il Papa - la Chiesa, attraverso il messaggio cristiano di costruzione di un “mondo sempre più giusto e fraterno”, dimostra di condividere le preoccupazioni della popolazione. In questo quadro, è stato inaugurato nel 2011 a Libreville un Centro studi per la dottrina sociale e il dialogo interreligioso.

Difesa della persona umana e della vita
Il Pontefice incoraggia i presuli a non esitare ad “alzare la voce” per difendere “la persona umana e la sacralità della vita”, in particolare nell’ambito educativo, con le istituzioni cattoliche che – grazie anche ad un accordo tra Santa Sede e Repubblica gabonese - portano avanti la promozione dell’uomo, “con un’opzione preferenziale per i più poveri”. “Attenzione fraterna” va posta “alla vita e alla missione dei sacerdoti”, attraverso il dialogo, “senza tuttavia esitare a punire situazioni che lo richiedano”, nella giustizia e nella carità. I candidati al sacerdozio, che - con “entusiasmo” a volte anche intervallato dal “dubbio” - vogliono dedicare “la loro vita al Signore”, hanno bisogno di un incoraggiamento e di una formazione basata sul Vangelo e sui valori culturali del loro Paese, nonché sul senso di onestà e responsabilità. Nell’Anno della vita consacrata, il Pontefice sollecita un “dialogo costruttivo e una collaborazione permanente” con i religiosi e le religiose del Paese, come pure con i tanti fedeli laici impegnati a vari livelli nella vita delle comunità locali. D’altra parte la Chiesa è “missionaria per natura”: quindi, “la formazione umana e cristiana dei laici – sottolinea Francesco - è un modo importante per contribuire all’opera di evangelizzazione e di sviluppo delle persone”, avendo al contempo il desiderio di essere sempre ‘in uscita’ verso le periferie della società”. 

Resistere a illusioni e miraggi
A proposito dei giovani, esorta i vescovi a presentare loro il vero volto di Cristo, “loro amico e guida”, in modo che trovino in Lui un solido ancoraggio “per resistere alle ideologie”, “alle sette” come pure “alle illusioni di una falsa modernità” e “al miraggio di ricchezze materiali”. Il pensiero del Pontefice va infine alle famiglie, in vista del prossimo Sinodo ad esse dedicato.

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Il Papa: i martiri ci aiutano a non trasformare la fede in potere

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La testimonianza dei martiri ci aiuta a non cadere nella tentazione di trasformare la fede in potere: è quanto ha detto Papa Francesco nella Messa del mattino a Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti

Tanti seguono Gesù per interesse, per il potere
Commentando il Vangelo del giorno, in cui la folla cerca Gesù dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci non “per lo stupore religioso che ti porta ad adorare Dio” ma “per interesse materiale”, Papa Francesco osserva che nella fede c’è il rischio di non comprendere la vera missione del Signore: questo accade quando si approfitta di Gesù, scivolando “verso il potere”:

“Questo atteggiamento si ripete nei Vangeli. Tanti che seguono Gesù per interesse. Anche fra i suoi apostoli: i figli di Zebedeo che volevano essere primo ministro e l’altro ministro dell’economia, avere il potere. Quella unzione di portare ai poveri il lieto annuncio, la liberazione ai prigionieri, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi e annunciare un anno di grazia, come diviene scura, si perde e si trasforma in qualcosa di potere”.

Dalla tentazione del potere all'iprocrisia
“Sempre – sottolinea il Papa - c’è stata questa tentazione di passare” dallo stupore religioso “che Gesù ci dà nell’incontro con noi, a profittarne”:

“Questa anche è stata la proposta del diavolo a Gesù nelle tentazioni. Una sul pane, proprio. L’altra sullo spettacolo: ‘Ma facciamo un bello spettacolo così tutta la gente crederà in te’. E la terza, l’apostasia: cioè, l’adorazione degli idoli. E questa è una tentazione quotidiana dei cristiani, nostra, di tutti noi che siamo la Chiesa: la tentazione non del potere, della potenza dello Spirito, ma la tentazione del potere mondano. Così si cade in quel tepore religioso al quale ti porta la mondanità, quel tepore che finisce, quando cresce, cresce, cresce, in quell’atteggiamento che Gesù chiama ipocrisia”.

Dio ci sveglia con la testimonianza dei santi e dei martiri
In questo modo – afferma Papa Francesco – “si diventa cristiano di nome, di atteggiamento esterno, ma il cuore è nell’interesse”, come dice Gesù: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. E’ la tentazione di “scivolare verso la mondanità, verso i poteri” e così “si indebolisce la fede, la missione, si indebolisce la Chiesa”:

“Il Signore ci sveglia con la testimonianza dei santi, con la testimonianza dei martiri, che ogni giorno ci annunciano che andare sulla strada di Gesù è quella della sua missione: annunciare l’anno di grazia. La gente capisce il rimprovero di Gesù e gli dice: ‘Ma cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?’. Gesù rispose loro: ‘Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che Egli ha mandato’, cioè la fede in Lui, soltanto in Lui, la fiducia in Lui e non nelle altre cose che ci porteranno alla fine lontano da Lui. Questa è l’opera di Dio: che crediate in Colui che Egli ha mandato, in Lui”.

Il Papa conclude l’omelia con questa preghiera al Signore: “Che ci dia questa grazia dello stupore dell’incontro e anche ci aiuti a non cadere nello spirito di mondanità, cioè quello spirito che dietro o sotto una vernice di cristianesimo ci porterà a vivere come pagani”.

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Udienze di Papa Francesco

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, l’ambasciatore di Slovenia, Tomaž Kunstelj, per la presentazione delle Lettere credenziali, l’arcivescovo Santo Gangemi, nunzio apostolico in Guinea e in Mali, e mons. Gonzalo de Villa y Vázquez, vescovo di Sololà-Chimaltenango in Guatemala.

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Vegliò: strage migranti, comunità internazionale abbia coraggio

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Ieri al Regina Caeli, Papa Francesco ha espresso il suo “più sentito dolore” di fronte alla tragedia del mare al largo della costa libica, in cui sono morti centinaia di immigrati. Il Pontefice ha rivolto “un accorato appello affinché la comunità internazionale agisca con decisione e prontezza, onde evitare che simili tragedie abbiano a ripetersi. Sono uomini e donne come noi – ha detto - fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre; cercano una vita migliore… Cercavano la felicità”. Su questa nuova sciagura, ascoltiamo il commento del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti, al microfono di Fabio Colagrande

Comunità internazionale agisca
R. – Questi che scappano dal proprio Paese o lo fanno per lasciarsi alle spalle situazioni di povertà o – parlo adesso dei rifugiati – situazioni di persecuzioni. Non hanno altra scelta, queste povere persone… Quante ne moriranno? Io credo che ne muoiano più di quelli che sappiamo noi. Noi ci lasciamo sconvolgere da numeri, ma dietro ogni persona c’è una famiglia, ci sono madri con al seno il loro bambino…

D. – Di chi sono le responsabilità di questa nuova ecatombe nel Mediterraneo?

R. – Non si può cercare un solo colpevole contro cui puntare il dito. Sarebbe facile e sarebbe comodo! Siamo un po’ tutti responsabili di queste tragedie. Nessuno si può permettere di osservare il problema dal di fuori, dall’esterno. Non dimentichiamo che, in fondo, l’arricchimento dei Paesi del Nord è una causa della povertà … dell’Africa, ad esempio. Le istituzioni, la Comunità internazionale, tutti devono decidersi a risolvere finalmente questa situazione. In molti ambiti, per esempio nelle persecuzioni dei cristiani, la Comunità internazionale sembra che non esista più! Mi chiedo addirittura se si abbia una reale volontà di risolvere i problemi… Io faccio un esempio: ricordo che, quando uccisero a Parigi i responsabili di quella rivista satirica, ci fu una marea di gente, un milione di persone, con a capo tutti i presidenti e i capi di governo dell’Europa. Sono morte in Kenya 150 persone: lei ha visto un capo di Stato? Lei ha visto una persona fare una dimostrazione? E’ il tragico di queste cose. L’Europa non può limitarsi a dare una risposta solo in termini di rispetto delle frontiere o di interventi militari, come chi cerca di difendersi da un nemico. Non stiamo parlando di una invasione, ma di un dramma umano, di gente che muore perché vuole vivere meglio.

Non è cristiano chi non si sente coinvolto
D. – Qual è il ruolo dei cattolici, dei cristiani nella società, nella politica per impedire queste stragi? Leggiamo in queste ore sul web – aggiungo – anche delle frasi che fanno riflettere su quanto forse il Vangelo non sia entrato nella nostra vita quotidiana e di quanto poi accogliere lo straniero - passando dalle parole ai fatti - diventi così difficile…

R. – Il cristiano non sarebbe assolutamente un cristiano se non si sentisse coinvolto in prima persona da quello che sta accadendo. Non ci si può limitare a osservare i morti, farne le statistiche, in modo passivo ed egoistico, stando magari comodo davanti alla televisione… Ogni cristiano deve essere un profeta di denuncia, perché non può starsene zitto per convenienze politiche. Sono drammi che ci investono noi come cristiani. Se uno non interviene in questi argomenti non è nemmeno un cristiano! Perché un cristiano deve parlare di giustizia, di solidarietà, di accoglienza, di misericordia, di fraterno soccorso. Lei accennava al richiamo al Vangelo: siamo così poco evangelici, purtroppo! Per quello dobbiamo sempre dire che il cristiano è impegnato e deve essere sempre più impegnato. Comunque dobbiamo ringraziare tutti i bravi sacerdoti, tutte le istituzioni ecclesiastiche, tutti i volontari, che stanno lavorando con impegno, assiduamente, per affrontare questo problema e per cercare di aiutare questi nostri fratelli che, purtroppo, muoiono per cercare una vita migliore.

Necessarie decisioni coraggiose
D. – Quale appello rivolge la Chiesa alle istituzioni?

R. – Mi auguro che, alla fine, vengano prese veramente decisioni coraggiose, concrete, perché ricordo che dopo Lampedusa l’Europa sembrava che avesse capito, che si fosse mossa. Andò il presidente, andò giù non so chi altro, ma comunque parecchia gente e non solo dell’Europa, ma anche dell’Italia… Dopo un po’ … chi ha detto ha detto … Sono convinto che servano nuove politiche europee di asilo per le migrazioni che mettano in primo piano il rispetto dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. La classe politica non può strumentalizzare – come purtroppo sta invece avvenendo – queste tragedie! Certo, sono problemi, sono problemi gravi, che pongono dei punti interrogativi anche per l’immediato futuro. Però l’Europa deve cercare una soluzione al problema: non può risolvere il problema dicendo “Buttateli tutti via!” oppure “Ma, lasciateli ritornare nei loro Paesi”… Non sono soluzioni queste. Il problema c’è, bisogna cercare di avere delle soluzioni.

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29 cristiani etiopi decapitati dall’Is. Card. Sandri: sono martiri

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Erano migranti che stavano cercando di raggiungere l’Europa i 29 cristiani etiopi uccisi da miliziani del sedicente Stato islamico in Libia. Le drammatiche immagini della loro esecuzione sono mostrate in nuovo raccapricciante video di propaganda jihadista. Sono martiri – ha affermato il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, cardinale Leonardo Sandri - che hanno testimoniato la loro fede, fino alla morte, senza paura. Il servizio di Amedeo Lomonaco: 

Nuovo Video choc

Miliziani mascherati, una fila di prigionieri e poi la decapitazione. E’ la drammatica sequenza del nuovo video diffuso dal sedicente Stato islamico dopo quello, pubblicato a febbraio, che mostrava l’uccisione di 21 egiziani copti. Nel nuovo filmato, oltre ad una serie di immagini di chiese cristiane distrutte, si vede anche un miliziano mascherato mentre legge una dichiarazione in cui afferma che i cristiani devono convertirsi all'Islam o pagare una tassa.

Il cardinale Sandri: 29 martiri
I 29 cristiani etiopi uccisi - sottolinea al microfono di Hélène Destombes il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, cardinale Leonardo Sandri - sono martiri che hanno testimoniato la loro fede:

“Certamente vorrei rendere omaggio a questi martiri, mettere davanti ai nostri occhi tutta la nostra povertà, la nostra miseria di fronte a fratelli cristiani capaci di testimoniare il nome di Cristo fino alla morte senza paura, nonostante la crudeltà di queste persone che hanno un cuore storto, non sottoposto a Dio. Rendo omaggio a questi martiri, presento le più vive condoglianze e la mia ammirazione per i figli dell’Etiopia che hanno testimoniato così la loro adesione a Cristo fino a dare il sangue per lui”.

Appello per fermare persecuzioni anticristiane
Dal porporato anche un accorato appello alla comunità internazionale: 

“Da parte nostra noi seguiamo con la nostra preghiera, con la nostra impotenza, con tutto quello che possiamo fare; piccoli passi, piccoli aiuti per i nostri fratelli cristiani in Siria, in Iraq, in Libia, in Egitto. Ma pensiamo che qui si apre un panorama per il futuro dell’umanità che sarebbe terribile. Quelli che hanno nelle loro mani il potere di decidere la sorte delle nazioni fermino questo avanzamento della crudeltà e della persecuzione dei cristiani e - io direi - della persecuzione dell’uomo, della sua dignità e di quello che sarà il futuro dell’umanità”.

Don Zerai: un dramma nel dramma
L’orrore di questa esecuzione in Libia si aggiunge alle sofferenze di tanti cristiani discriminati e torturati in vari Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente per la loro religione. Così al microfono di Fabio Colagrande, don Mussie Zerai, sacerdote eritreo responsabile dell’Agenzia Habesha, ong impegnata nell’accoglienza dei migranti africani:

"Questo è l’ennesimo dramma nel dramma. Ci preoccupa perché adesso migliaia di persone che sono in Libia possono rischiare di essere sgozzate, così come è avvenuto per queste 29 persone. E questo è veramente angosciante per tutti noi. Soprattutto nella zona di Misurata ci sono stati dei contatti tra gruppi di milizie e quelli dell’Is. Quindi è probabile che siano state vendute queste persone. Sono profughi che arrivano in Libia, sono mercificati come qualsiasi altra merce. Vengono comprati e venduti, per cui non mi meraviglia che anche questi siano stati venduti da alcuni gruppi di trafficanti a delle milizie all’Is".

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Giornata dedicata a Junipero Serra, apostolo della California

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Fra Junípero Serra, apostolo della California, sarà canonizzato dal Papa il prossimo 23 settembre a Washington. A dare l’annuncio, il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi durante la presentazione della Giornata dedicata al missionario spagnolo, che avrà luogo a Roma il 2 maggio nel Pontificio Collegio Americano del Nord, promotore dell’incontro insieme alla Pontificia Commissione per l’America Latina e con il patrocinio dell’arcidiocesi di Los Angeles. A suggellare la Giornata sarà la Messa celebrata da Francesco, alle ore 12.15. Presenti stamane all’incontro con i giornalisti il cardinale Marc Oullet, presidente della Pontifica commissione per l’America latina, padre Vincenzo Criscuolo, relatore generale della Congregazione per le Cause dei Santi, e mons. James Francis Checchio, rettore del Pontificio Collegio Americano del Nord. Il servizio di Roberta Gisotti: 

Il Papa stesso il 15 gennaio scorso durante il viaggio nello Sri Lanka e nelle Filippine aveva anticipato:

“A settembre a Dio piacendo, farò la canonizzazione di Junipero Serra, negli Stati Uniti, perché è stato l’evangelizzatore dell’ovest degli Stati Uniti”.

In vista di questo evento si terrà la Giornata dedicata a fra Serra, “apostolo della California, testimone di santità”, con un intento particolare, ha sottolineato cardinale Marc Ouellet:

“Il senso di questo incontro è attirare l’attenzione sulle iniziative del Papa per la promozione dell’evangelizzazione, in modo particolare nel continente americano. Il Papa vuole anche promuovere la santità con questo profilo di evangelizzatore. La figura di fra Junipero Serra è ben conosciuta in America, ma forse meno altrove”.

Fra Serra nato a Petra di Maiorca in Spagna nel 1713, frate minore nel 1730, seguendo la sua vocazione missionaria nel 1749 si era imbarcato verso il nuovo mondo giungendo, a bordo della nave “Nostra signora di Guadalupe”, a San Juan di Portorico nell’ottobre di quell’anno, poi a dicembre a Vera Cruz, da dove a piedi era arrivato a Città del Messico. Da qui, dopo alcuni anni di servizio nel Collegio di San Fernando, era stato inviato nella Sierra Gorda di Queretaro. Tornato dopo nove anni di apostolato fra gli indigeni, era tornato a Città del Messico da dove era partito alla volta dell’Alta California, alla guida di un gruppo di 16 frati giungendovi nel luglio del 1767. Padre Vincenzo Criscuolo ha messo in risalto la visione ampia dell’apostolato missionario di fra Serra nel contesto del suo tempo:

“L’intrepida difesa dei diritti dei nativi, la volontà di arginare la crescente secolarizzazione delle missioni da parte delle autorità civili, la dimensione della comunione fraterna, la carità sconfinata nei confronti dei poveri, la speranza inesausta nella Provvidenza e infine l’eroica sopportazione delle sofferenze materiali e morali”.

Padre Criscuolo, offrendo ai giornalisti la sintesi della "Positio", ovvero l’indagine condotta dalla Congregazione per le Cause dei Santi, raccolta in un volume di 1.200 pagine, ha sottolineato anche la dissipazione di dubbi relativi alla Canonizzazione di fra Serra.

“Oltre a tratteggiare le linee biografiche del Beato si chiariscono definitivamente anche alcune interpretazioni storiografiche non sempre condivisibili circa la figura del Beato e soprattutto sulla sua attività missionaria, sovente esposta a interpretazioni pregiudiziali. Si tratta di una figura di un grande apostolo delle Americhe, nei suoi fondamentali connotati spirituali e pastorali. Molto attuale la sua fama di santità e di segni. La stessa "Positio" prospetta e delinea con solide prove l’ampiezza del culto, l’importanza pastorale dell’auspicata Canonizzazione, specialmente in relazione alle sfide della Nuova Evangelizzazione”.

Programma Giornata “Fra Junipero Serra, apostolo della California, testimone di santità” 

8.30  Presiede cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina.

Introduzione di mons. James Checchio, rettore del Pontificio Collegio Americano del Nord.

8.45  Cenni biografici sulla figura di Junípero Serra: verso la santità. P. Vincenzo Criscuolo, Relatore Generale della Congregazione delle Cause dei Santi.

9.30  Le radici cristiane dell’America. Mons. José H. Gómez, arcivescovo di Los Angeles.

10.45  La canonizzazione di Fray Junípero Serra alla luce della Esortazione Apostolica  “Ecclesia in America”. Prof. Guzmán Carriquiry, segretario incaricato della VicePresidenza della Pontificia Commissione per l’America Latina.

11.15  Nostra Signora di Guadalupe, Madre e guida di Fray Junípero, Patrona del continente  americano. Carl Anderson, Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo.

12.15  Celebrazione eucaristica, presieduta dal Santo Padre  Francesco.

13.15  Pranzo al Pontificio Collegio Americano del Nord.

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Festa Vesakh. Tauran: buddisti e cristiani uniti contro schiavitù moderne

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Buddisti e cristiani collaborino nel contrastare ogni forma di schiavitù moderna. E’ quanto sottolinea il messaggio del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso rivolto ai buddisti in occasione della festa di Vesakh. Nel documento, a firma del cardinale presidente Jean-Louis Tauran e del segretario mons. Miguke Angel Ayuso Guixot, si ricordano le parole di Papa Francesco che invitano a superare l’indifferenza e l’ignoranza per sconfiggere le schiavitù dei nostri giorni e in particolare il traffico di esseri umani.

“Preghiamo – si legge nel messaggio – affinché la vostra celebrazione del Vesakh, che comprende anche un particolare sforzo per portare felicità a chi è meno fortunato in mezzo a noi, possa essere un momento di approfondimento sulle modalità di collaborazione tra noi affinché non ci siano più schiavi, ma fratelli e sorelle che vivono in fraternità, bontà e compassione per tutti”.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Uomini e donne come noi: al Regina Coeli il nuovo appello di Papa Francesco dopo la strage dei migranti nel Mediterraneo.

Fermo rifiuto dell'antisemitismo: parlando ai rabbini europei il Papa invita ebrei e cristiani a mantenere vivo il senso religioso nella società, e ricorda Elio Toaff, uomo di pace e di dialogo. In memoria del rabbino capo emerito di Roma una nota del direttore che lo definisce "un uomo di apertura".

No alle discriminazioni tribali ed etniche: visita "ad limina" dei vescovi del Gabon.

Il sogno di una vita patinata: Gaetano Vallini recensisce la mostra "La vie in Kodak" al Pavilion Populaire di Montepellier.

Libertà chiamate ad accordarsi: Laura Dafollo sulla sfida del matrimonio cristiano.

Se ci fosse don Faria: lanciata una campagna fondi per salvare (dall'umidità) il "castello di Montecristo".

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Oggi in Primo Piano



Tragedia del mare: forse 900 vittime, Onu e Ue si mobilitano

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Dolore e costernazione nella comunità internazionale dopo la più grave tragedia dell’immigrazione avvenuta ieri nel Mediterraneo: forse oltre 900 le vittime del naufragio del barcone carico di migranti al largo delle coste libiche. Solo una trentina i superstiti. Intanto, un altro barcone con 200 migranti è naufragato davanti alla costa orientale di Rodi, in Grecia: 80 persone sono state tratte in salvo, ma si temono molte vittime. Il servizio di Giancarlo La Vella: 

Sul luogo del naufragio restano ora solo nafta e detriti. Ma quei tragici momenti sono scolpiti, in modo indelebile, nel doloroso ricordo e nelle disperate parole di un giovane del Bangladesh, sopravvissuto alla tragedia più grave del dopoguerra nel Canale di Sicilia. La traversata nel Mediterraneo è un racconto dell’orrore. Il barcone, partito da un porto a 50 km da Tripoli, si è capovolto a largo della Libia. Secondo quanto riferito, aveva a bordo almeno 950 migranti, molti dei quali, soprattutto donne e bambini, chiusi nella stiva. Questa nuova catastrofe interroga le coscienze di tutta comunità internazionale. Imminenti a livello europeo una serie di incontri straordinari. Anche le Nazioni Unite mettono in campo una serie di proposte. Sentiamo Carlotta Sami, portavoce dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati:

R. - Come Agenzia Onu per i Rifugiati abbiamo avanzato le nostre proposte, le abbiamo rese pubbliche. Sono proposte molto concrete, che vedono la priorità assoluta al salvataggio in mare e poi alla creazione di canali legali per poter far arrivare i rifugiati in modo sicuro in Europa. Molti di coloro che attraversano il Mediterraneo sono effettivamente persone che hanno diritto all’asilo: scappano dalla Siria, dall’Iraq, dall’Eritrea, dagli attacchi terroristici della Somalia e del Nord della Nigeria. E questo sostanzialmente bisogna fare: ristabilire una capacità di ricognizione e salvataggio permanente molto ampia nel Mar Mediterraneo e far sì che a livello europeo poi si condivida la responsabilità della vita dei rifugiati, che hanno diritto alla protezione in Europa. Si parla di qualche centinaio di migliaia di persone. Quindi una situazione che, pensiamo, possa essere assolutamente gestibile dall’Unione Europea.

D. – A proposito di Europa, secondo lei è facile mettere d’accordo tutti i Paesi, alcuni molto distanti dal Mediterraneo…

R. – Non è sicuramente facile, ma è qualche cosa che non è procrastinabile ed è anche inevitabile. Diciamo che lo stesso spirito che ha visto, e che vede, tante volte l’Unione Europea intervenire in grandi crisi umanitarie – pensiamo allo tsunami, ad Haiti, alle grandi inondazioni del Pakistan… – ebbene, quello stesso spirito deve essere utilizzato questa volta per intervenire sul proprio territorio. L’Unione Europea vede attorno a sé una serie di conflitti che non trovano una soluzione: quindi una parte di coloro che ne fuggono arrivano sul territorio europeo.

D. – Considerando le varie crisi che stanno vivendo i Paesi nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo, è possibile creare degli accordi per il controllo delle partenze?

R. – La cosa più importante è avere un piano chiaro di quelle che sono le disponibilità dei membri dell’Unione Europea all’accoglienza di un certo numero di rifugiati. È possibile sicuramente, come già noi facciamo, registrare i richiedenti asilo già nei Paesi – diciamo – “terzi”, ma ci deve essere questa disponibilità, perché poi le persone hanno diritto di arrivare in Europa e per l’Europa è un obbligo dare accoglienza e protezione ai rifugiati. Fino a quando non ci sarà questo accordo preventivo, sarà estremamente difficoltoso fare qualsiasi altro passo.

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Sudafrica, aggressioni e morti causati da proteste xenofobe

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Il malcontento per la disoccupazione in Sudafrica ha portato a dei gesti disperati nelle ultime due settimane. Più di 300 persone sono state arrestate per aggressioni contro immigrati, accusati di rubare il lavoro ai sudafricani, che hanno causato la morte di sei persone. La classe povera del Paese è al centro di queste violenze. Claudia Minici ha chiesto il parere di Enrico Casale, responsabile della redazione di "Africa" dei Padri Bianchi: 

R. – Certamente, è il ripetersi di un fenomeno che era già esploso negli ultimi anni. Il Sudafrica è la nazione più sviluppata dell’Africa australe, quindi attrae moltissimi immigrati da tutta l’Africa, non soltanto dai Paesi vicini. C’è, per esempio, in Sudafrica una grossa comunità somala. Però, il Sudafrica pur essendo sviluppato è un Paese nel quale continuano a esistere forti contrasti dal punto di vista economico, con una piccola percentuale della popolazione molto ricca – sono i bianchi e i “nuovi ricchi” neri, che si sono arricchiti negli ultimi anni – e una grande maggioranza della popolazione molto povera. È questa popolazione molto povera che si scontra con gli immigrati per i problemi della mancanza di lavoro.

D. – Le proteste xenofobe riguardano solamente la classe povera del Paese?

R. – Principalmente, la classe povera del Paese sono quei sudafricani che vivono nelle "township", che non sono riusciti, a 20 anni dalla fine del regime dell’apartheid, ad affrancarsi da una povertà che rasenta la miseria. Quando in queste township arrivano anche gli immigrati provenienti dagli altri Paesi è chiaro che si crea una tensione, perché si crea una sorta di concorrenza per i pochi posti di lavoro loro riservati.

D. – I Paesi vicini, in particolare Zimbabwe, Malawi e Mozambico, hanno organizzato dei piani per rimpatriare i loro cittadini. La partenza degli immigrati riporterà l’ordine?

R. – Non credo che tutti gli immigrati lasceranno il Sudafrica, perché non tutti gli immigrati vengono da quei Paesi: ci sono anche immigrati che arrivano da Paesi molto più lontani. Quindi, la situazione potrebbe rimanere tesa per molto tempo.

D. – Lo Stato sudafricano ha un piano di tutela verso gli stranieri che non potranno lasciare il Paese?

R. – Non credo che a brevissimo il Sudafrica riuscirà a risolvere la questione, perché gli immigrati in Sudafrica sono molti e il Sudafrica ha già dei problemi nel riuscire a creare sufficienti posti di lavoro e sufficienti servizi per la popolazione africana. A più di vent’anni dalla fine dell’apartheid, esistono ancora forti differenze all’interno del Sudafrica. In molte zone, non arriva la corrente elettrica, non arriva l’acqua potabile, i servizi, le strade, le infrastrutture sono molto carenti. E’ iniziando a risolvere questi problemi che piano piano si potrà, da un lato, aiutare i sudafricani molto poveri, dall’altro anche cercare di aiutare questi immigrati. Ma sono politiche nel medio e lungo periodo, non certamente nel brevissimo.

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Nuova proposta pro-gender al Consiglio d'Europa

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Sarà dibattuta mercoledì pomeriggio, presso l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, la proposta di risoluzione della relatrice socialista maltese, Deborah Schembri, sul tema “Discriminazioni contro le persone transgender in Europa”. Il servizio di Paolo Ondarza: 

Il testo sollecita gli stati membri a provvedere al riconoscimento giuridico del gender. In particolare, preoccupa il passaggio della proposta che chiede di favorire il principio del diritto all’identità di genere sulla base della sola autodeterminazione: ovvero, si sollecitano gli stati membri a “elaborare procedure rapide, trasparenti e accessibili” affinchè le persone transgender, a prescindere dal dato biologico, possano modificare il nome e il sesso registrato nei documenti di identità (certificato di nascita, carte d’identità, passaporti, certificati educativi e altri documenti simili). In questo modo, si cerca di avvalorare tramite leggi l’idea che il genere sia indipendente dal sesso. Altro aspetto controverso è quello va nella direzione di uno snaturamento del concetto di matrimonio: la risoluzione infatti esorta gli Stati Membri a rimuovere ogni limitazione al diritto delle persone transgender di rimanere nel matrimonio, contratto precedentemente al cambiamento di sesso, assicurando così agli sposi e ai bambini di “non subire una perdita di diritti”. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Vescovi copti sul martirio dei cristiani etiopi

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I patriarchi e i vescovi cattolici d'Egitto, raccolti al Cairo per la periodica Assemblea che li vede riuniti due volte l'anno, dedicheranno parte della loro comune riflessione pastorale alle nuove stragi di cristiani etiopi compiute dai jihadisti del sedicente Stato Islamico e da loro documentate in filmati confezionati - riferisce l'agenzia Fides - con macabra professionalità per essere diffusi online come strumenti della loro delirante propaganda.

Video raccapricciante sul massacro
Nel nuovo video rilanciato come prodotto dal Furqan Media – accreditatosi come network mediatico di riferimento dell'autoproclamato Stato Islamico (Is) – si vedono due diversi gruppi di prigionieri presentati come cristiani etiopi che vengono massacrati per decapitazione e con colpi di pistola alla nuca in un luogo desertico e su una spiaggia libica. Il video, accompagnato dai soliti slogan contro la “nazione della croce” e corredato con immagini di distruzioni di chiese, icone e tombe cristiane, ripete, rivolto ai cristiani, che per loro non ci sarà salvezza se non si convertono all'islam o non accettano di pagare la “tassa di protezione”.

Non ci sono prove sull'appartenenza alla Chiesa etiope
Nel video – particolare eloquente – le vittime vengono presentate come appartenenti alla “ostile Chiesa etiope”. Al momento mancano verifiche e conferme indipendenti sull'identità delle vittime. Secondo fonti del governo e della Chiesa ortodossa d'Etiopia, è probabile che si tratti di poveri emigranti etiopi appartenenti alle moltitudini di uomini e donne che provano a raggiungere l'Europa attraversando la Libia, per imbarcarsi sui barconi gestiti dalla rete criminale degli scafisti.

Il patriarca ortodosso Mathias I non lascerà l'Etiopia
“Il patriarca della Chiesa ortodossa d'Etiopia Mathias I” riferisce a Fides Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico di Guizeh “aveva programmato di venire in Egitto e ripartire insieme al patriarca copto Tawadros II per partecipare a Erevan alle commemorazioni del Genocidio armeno. Adesso, all'ultimo momento ha dovuto annullare la visita, si è scusato e ha detto che rimarrà in Etiopia. Le storie di martirio del passato incrociano le storie dei martiri di oggi”. La Chiesa ortodossa d'Etiopia è stata vincolata giurisdizionalmente al patriarcato copto di Alessandria d'Egitto fino al 1959, anno in cui è stata riconosciuta come Chiesa autocefala dal patriarca copto Cirillo VI. Proprio lo scorso aprile Abuna Mathias aveva compiuto una storica visita in Egitto, che aveva segnato anche un passo importante nel superamento di passati contrasti tra le due Chiese. Il patriarca etiope era stato ricevuto con tutti gli onori anche dal Presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.

I cristiani non cercano il martirio ma vogliono vivere nella pace
​“Colpisce” fa notare Anba Antonios “che la Chiesa etiope venga definita 'Chiesa ostile'... evidentemente questi strani jihadisti seguono anche i risvolti politici degli incontri tra le Chiese. Ma nel grande dolore” aggiunge il vescovo copto cattolico “continuiamo a guardare a queste vicende con lo sguardo della fede. La filiera dei martiri non è finita, e accompagnerà tutta la storia, fino alla fine. I cristiani non cercano il martirio, vogliono vivere nella pace e nella letizia. Ma se il martirio arriva, è un conforto vedere che può essere accettato con la stessa pace con cui lo hanno accettato i copti che pronunciavano il nome di Cristo e a Lui si affidavano mentre venivano sgozzati. La Chiesa non si è mai lamentata del martirio, ma ha sempre celebrato i martiri come coloro in cui, proprio mentre vengono uccisi, risplende la grande e consolante vittoria di Cristo”. (G.V.)

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Preghiere a Beirut e Damasco per vescovi e sacerdoti rapiti

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“Col trascorrere del tempo, aumentano i timori” sulla sorte dei vescovi e dei sacerdoti rapiti in Siria, tuttavia “chi può dire che la porta è chiusa?”. Resta la “speranza” di una loro liberazione, anche se il trascorrere delle settimane e dei mesi “rende tutto più difficile”. È quanto afferma all'agenzia AsiaNews il nunzio apostolico in Siria mons. Mario Zenari, il quale tiene peraltro a ricordare che “vi sono a tutt’oggi almeno 20mila persone scomparse” nel Paese tra laici e religiosi, vescovi e cittadini comuni, cristiani e musulmani, siriani e stranieri, fra cui giornalisti. Ieri la Chiesa ortodossa ha lanciato un appello alla comunità internazionale, chiedendo maggiore impegno per la liberazione di due vescovi rapiti ad Aleppo, nel nord della Siria, due anni fa. 

Il sequestro dei due vescovi ortodossi
Dall'inizio del conflitto siriano, le milizie jihadiste e i gruppi combattenti hanno sequestrato diverse personalità di primo piano della comunità cristiana locale. Fra questi ricordiamo i due vescovi, il metropolita Boulos Yazigi (della Chiesa ortodossa di Antiochia) e il metropolita Mar Gregorios Youhanna Ibrahim (della Chiesa siro-ortodossa) prelevati il 22 aprile 2013.

Silenzio sulla sorte di padre Dall'Oglio:
A questi si aggiunge il padre gesuita italiano Paolo Dall'Oglio, rapito in Siria il 29 luglio 2013, e altri due sacerdoti, assieme a diversi volontari laici, fra cui due ragazze italiane poco più che ventenni, liberate a metà gennaio. Sempre lo scorso anno i miliziani hanno sequestrato un gruppo formato da 13 suore a nord di Damasco, rilasciate dopo qualche mese in seguito a uno scambio di prigionieri.

Preghiere a Damasco e Beirut
Ieri in Siria e in Libano si sono tenuti due incontri ecumenici di preghiera per il rilascio di sacerdoti e vescovi rapiti. Rivolgendosi ai fedeli il patriarca della Chiesa siro-ortodossa di Antiochia Yohanna Yazigi, fratello di uno dei due vescovi sequestrati, spera che “siano ancora vivi”, anche se “il mondo resta in silenzio” e “nessuno ci ha fornito prove tangibili” sulla loro sorte. “Abbiamo cercato di negoziare con tutti quelli che avrebbero potuto aiutarci in questa vicenda - ha aggiunto il patriarca - ma purtroppo vi è un silenzio totale”. 

Più passa il tempo e più cresce il clima di sfiducia e paura
Interpellato da AsiaNews il nunzio apostolico in Siria conferma che sulla sorte dei sequestrati “non si sa nulla”. Ieri, aggiunge, “abbiamo pregato a Damasco” ma “più passa il tempo e, fra la gente, aumenta il clima di sfiducia e paura”. Anche se i sequestri si protraggono da due anni, avverte il diplomatico vaticano, “chi può dire che la porta è chiusa” e non vi siano più speranze di una loro liberazione. “Voglio però dire - conclude mons. Zenari - che i vescovi e padre Dall’Oglio sono solo la punta dell’iceberg, perché in realtà vi sono almeno 20mila persone scomparse, gente di cui non si sa più nulla. In questo momento vogliamo ricordare tutti loro”. 

200mila le vittime civili: il 2014 l'anno peggiore
​Nei quattro anni di guerra, divampata nel 2011, contro il Presidente Bashar al Assad oltre 3,2 milioni di persone hanno abbandonato la Siria e altri 7,6 milioni sono sfollati interni. Almeno 200mila le vittime del conflitto, molte delle quali civili per i quali il 2014 è stato l'anno peggiore. Proprio nel contesto del conflitto siriano è emerso per la prima volta, nella primavera del 2013, in tutta la sua violenza e brutalità il sedicente Stato Islamico, che ha strappato ampie porzioni di territorio a Damasco e Baghdad. (D.S.)

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Terra Santa: Chiesa condanna profanazione cimitero maronita

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Ferma condanna del Consiglio degli Ordinari cattolici di Terra Santa della profanazione, avvenuta il 14 aprile scorso, del cimitero maronita di Kfar Ber’im in Galilea. In un comunicato, diffuso oggi dal patriarcato latino di Gerusalemme, gli Ordinari chiedono allo Stato di Israele di “adottare le misure necessarie per prevenire il ripetersi di tali attacchi contro i Luoghi Santi” rispettando, così facendo, una “decisione emessa dalla Corte Suprema israeliana nel 1952”. Il giorno prima la profanazione - riferisce l'agenzia Sir - il Presidente israeliano Rivlin aveva visitato i capi delle Chiese di Gerusalemme per presentare gli auguri in occasione della festa di Pasqua. 

Ordinari lamentano mancanza di misure del governo
“Durante la visita - ricorda il messaggio - il Presidente ha sottolineato che ogni attacco che colpisce i Luoghi Santi cristiani e musulmani è paragonabile alle offese che colpiscono i Luoghi Santi ebraici”. “Continuiamo a sentire da anni dichiarazioni simili - annotano gli Ordinari - tuttavia gli attacchi continuano e non abbiamo mai riscontrato misure importanti prese per perseguire questi atti criminali, come neanche nessuna comparsa di fronte al tribunale o azioni educative volte al rispetto dell’altro e dei luoghi sacri. Rimaniamo in attesa che lo Stato di Israele faccia giustizia per i villaggi abbandonati, soprattutto Kfar Bir’im e Ekret”. (R.P.)

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Kenya. Leader islamici: no a trappola dello scontro religioso

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“Il vero scopo di Al Shabaab è di accendere un conflitto religioso in Kenya tra cristiani e musulmani. I keniani delle diverse fedi non devono cadere nella trappola. Siamo vissuti insieme in armonia per molti anni” ha affermato lo Sheikh Mohammed Shakuul, un esponente della comunità islamica di Eastleigh, il quartiere della capitale del Kenya, Nairobi, soprannominato la “piccola Mogadiscio”, per la forte presenza di abitanti di origine somala. Sheikh Shakuul - riferisce l'agenzia Fides - ha partecipato ad un incontro tra i leader religiosi e rappresentanti del governo per cercare delle soluzione al radicalismo religioso e alla propaganda degli estremisti somali Shabaab, responsabili della strage all’università di Garissa nella quale 148 persone sono state uccise sulla base della loro confessione religiosa. 

Gli islamici vogliono fare la loro parte per evitare lo scontro religioso
“Ridurre la radicalizzazione e l’estremismo violento richiede che tutte le parti in causa giochino il loro ruolo con efficacia, compreso il governo e i leader politici e religiosi. Vogliamo fare la nostra parte per assicurare il successo di questa impresa” ha rimarcato Sheikh Shakuul. All’incontro, che si è tenuto ieri, hanno partecipato diversi esponenti religiosi provenienti da differenti parti del Kenya, e in particolare dalle aree più toccate dalle violenze a sfondo etnico e religioso come Wajir, Mombasa, Isiolo, Garissa e Mandera. (L.M.)

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Bosnia-Erzegovina: Lettera vescovo di Mostar su visita del Papa

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Una lettera ai fedeli, al clero e ai consacrati per invitarli a prepararsi e a partecipare all’incontro con Papa Francesco il 6 giugno, a Sarajevo. A scriverla – riferisce l’agenzia Sir - il vescovo di Mostar-Duvno e amministratore apostolico di Trebinje-Mrkan, mons. Ratko Peric. “Chiedo a tutti coloro che possono partecipare di essere presenti alla Messa nello stadio Koševo - scrive il vescovo - e di pregare per le intenzioni del Pontefice. La sua visita sarà per tutti noi un segno di incoraggiamento alla fraternità, un lievito di pace, di dialogo e di amicizia”.

Proseguono i preparativi per la visita. 
Le suore clarisse di Brestovsco e le quelle francescane da Gornja Tramošnica stanno confezionando le ostie della celebrazione allo stadio cui sono attesi migliaia di fedeli. Alle suore francescane di Mostar spetta invece il compito di cucire la pianeta di Papa Francesco e dei concelebranti. A buon punto è anche la lavorazione del “trono” papale che sarà usato dal Pontefice nella messa allo stadio e nell’incontro con i consacrati in cattedrale. Il trono è un dono della parrocchia di Zavidović e per la sua realizzazione, con intarsi a mano, hanno contribuito anche fedeli musulmani. Il trono recherà, tra le altre cose, le decorazioni dello stemma papale e della cattedrale di Sarajevo. Prima di essere trasportata a Sarajevo la sedia papale sarà esposta nella chiesa parrocchiale di Zavidovic. (R.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 110

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.