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Sommario del 19/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: dolore per nuova strage migranti, basta simili tragedie

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La comunità internazionale agisca per evitare il ripetersi di simili tragedie. Al Regina Caeli, in Piazza San Pietro, Papa Francesco leva un accorato appello dopo l’ennesima, immane, strage di migranti nel Canale di Sicilia. Prima delle parole sulla tragedia a largo delle coste libiche, il Pontefice aveva esortato i cristiani ad essere testimoni gioiosi e non egoisti e vanitosi. Quindi, ha ricordato l’inizio dell’Ostensione della Sindone a Torino, dove si recherà il prossimo 21 giugno. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

Cercavano una vita migliore, hanno trovato la morte. Ancora una strage di migranti, di proporzioni spaventose. Al Regina Caeli, la voce di Francesco si incrina per la commozione, mentre dal Canale di Sicilia giungono notizie terribili, centinaia di vittime nel naufragio di un’imbarcazione.

Basta strage di migranti, si agisca con decisione e prontezza
Il Papa che ha scelto Lampedusa come meta del suo primo viaggio apostolico torna a esprimere tutto il proprio dolore e a rivolgere un lancinante appello perché non si resti indifferenti dinnanzi a tragedie simili:

“Esprimo il mio più sentito dolore di fronte a una tale tragedia ed assicuro per gli scomparsi e le loro famiglie il mio ricordo nella preghiera. Rivolgo un accorato appello affinché la comunità internazionale agisca con decisione e prontezza, onde evitare che simili tragedie abbiano a ripetersi. Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre; cercano una vita migliore… Cercavano la felicità...”

Quindi, Francesco chiede una preghiera silenziosa per le vittime, per i loro familiari e Piazza San Pietro ammutolisce. Decine di migliaia di persone in silenzio, unite spiritualmente al Papa in un momento intenso e commuovente, seguito da un'Ave Maria recitata con altrettanta emozione dai fedeli.

Tutti i cristiani devono diventare testimoni di Gesù
Prima delle parole sulla strage di migranti, il Papa si era soffermato sull’esperienza degli Apostoli che, avendo visto Cristo risorto, “non potevano” non testimoniare “la loro straordinaria esperienza”. Anche oggi, ha osservato, tutti i cristiani sono chiamati a essere testimoni: a vedere, ricordare e raccontare:

“Il testimone è uno che ha visto con occhio oggettivo, ha visto una realtà, ma non con occhio indifferente; ha visto e si è lasciato coinvolgere dall’evento. Per questo ricorda, non solo perché sa ricostruire in modo preciso i fatti accaduti, ma anche perché quei fatti gli hanno parlato e lui ne ha colto il senso profondo. Allora il testimone racconta, non in maniera fredda e distaccata, ma come uno che si è lasciato mettere in questione, e da quel giorno ha cambiato vita. Il testimone è uno che ha cambiato vita”.

Per essere credibili serve testimonianza gioiosa e misericordiosa
“Il contenuto della testimonianza cristiana – ha poi osservato – non è una teoria, un’ideologia o un complesso sistema di precetti e divieti, oppure un moralismo, ma è un messaggio di salvezza, un evento concreto, anzi una Persona: è Cristo risorto, vivente e unico Salvatore di tutti”.  Ed ha aggiunto che tutti i cristiani sono chiamati a diventare testimoni di Gesù risorto:

“E la sua testimonianza è tanto più credibile quanto più traspare da un modo di vivere evangelico, gioioso, coraggioso, mite, pacifico, misericordioso. Se invece il cristiano si lascia prendere dalle comodità, dalla vanità, dall’egoismo, se diventa sordo e cieco alla domanda di “risurrezione” di tanti fratelli, come potrà comunicare Gesù vivo, come potrà comunicare la potenza liberatrice di Gesù vivo e la sua tenerezza infinita?

“Maria nostra Madre – è stata la sua preghiera – ci sostenga” affinché “possiamo diventare, con i nostri limiti, ma con la grazia della fede, testimoni del Signore risorto, portando alle persone che incontriamo i doni pasquali della gioia e della pace”.

La Sindone ci aiuti a trovare in Gesù il volto misericordioso di Dio
Al momento dei saluti ai pellegrini, il Papa ha ricordato l’inizio a Torino dell’Ostensione della sacra Sindone, rammentando che si recherà nel capoluogo piemontese il prossimo 21 giugno:

“Auspico che questo atto di venerazione ci aiuti tutti a trovare in Gesù Cristo il Volto misericordioso di Dio, e a riconoscerlo nei volti dei fratelli, specialmente i più sofferenti”.

Ancora il Papa ha salutato la comunità dell’Università Cattolica, in occasione della Giornata di sostegno all’ateneo. E’ importante, ha detto, che questa istituzione “possa continuare a formare i giovani ad una cultura che coniughi fede e scienza, etica e professionalità”. Infine, un saluto a quanti, a Varsavia, partecipano alla “Marcia per la santità della vita”, con l’incoraggiamento a “difendere e promuovere sempre la vita umana”.

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Al via l'Ostensione della Sindone, in attesa della visita del Papa

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A cinque anni dall’ultima Ostensione, la Sindone torna ad essere esposta al pubblico nel Duomo di Torino, da oggi 19 aprile al 24 giugno prossimo, in occasione del Bicentenario della nascita di Don Bosco. “La Sindone – ha detto l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nella Messa di stamani in Duomo per l’inizio dell’Ostensione – è ricordo della bontà di Dio manifestata nella nostra esistenza”. “L’amore più grande” è il motto dell’ostensione 2015 nel corso della quale il Papa visiterà il capoluogo piemontese, il 21 giugno.

Proprio con Papa Francesco - ha detto nella Messa mons. Nosiglia, Custode pontificio della Sindone - “comprenderemo che non siamo noi che guardiamo quel Volto ma ci sentiremo guardati e invitati a non passare oltre” a “tanta sofferenza attorno a noi e nel mondo”. Le visite al Sacro Telo cominciano nel pomeriggio, con accesso gratuito, aperto a tutti e con prenotazione obbligatoria. Già oltre un milione i visitatori finora prenotati. Il servizio di Fabio Colagrande: 

San Giovanni Paolo II definì la Sindone “specchio del Vangelo”, ma anche “provocazione per l’intelligenza”. Non a caso, questa nuova esposizione al pubblico, la terza dal 2000, del lenzuolo che secondo la tradizione fu adoperato per avvolgere il corpo di Gesù, ripropone la discussione sull’autenticità di questa reliquia. Uno strumento per l’evangelizzazione, sul quale però il dibattito scientifico resta aperto. Il commento dell’arcivescovo Cesare Nosiglia:

R. - Io vorrei richiamare a questo proposito le parole di San Giovanni Paolo II, dette  nel 1998, nel discorso che ha fatto sulla Sindone: “Non trattandosi di materia di fede la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tutte le ricerche che storici e scienziati fanno sulla Sindone. La Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite che diano per scontati risultati che tali non sono”. Quindi, la Chiesa su questi aspetti non pone nessun limite ma neanche li assolutizza, perché a noi quello che interessa è che questo Telo comunque corrisponde in modo così evidente ai Vangeli. E’ come se invece di leggere il Vangelo scritto, tu leggi il Vangelo e lo vedi lì presente in questa Sindone. E’ uno strumento che ti aiuta a entrare dentro il mistero grande della Passione e morte del Signore e ti accorgi allora con quanta grandezza questo amore più grande ti ha amato. Per questo la gente davanti alla Sindone a volte si commuove. L’ostensione si fa per questo, non si fa per dire: “E’ vero” o “Non è vero”… Questi sono discorsi ad extra.

Negli ultimi decenni il Magistero pontificio ha distinto chiaramente i ruoli di scienza e fede nel rapporto con la Sindone. Ma la storia delle dispute sulle origini del Sacro Telo ha avuto una svolta alla fine dell’800, come conferma Gian Maria Zaccone, direttore scientifico del Museo della Sindone di Torino:

R. – La questione relativa all’autenticità è relativamente moderna. Questa esigenza così forte comincia a farsi sentire nel momento in cui un certo razionalismo e una certa critica alle reliquie comincia a farsi strada anche all’interno della Chiesa, ma sicuramente il punto critico di rottura è la fotografia del 1898, che rivelando il comportamento di negativo fotografico dell’impronta sulla Sindone, da una parte metteva in seria difficoltà alcune ipotesi di un qualcosa di costruito in epoca medievale ma, dall’altro canto, apriva una serie di interrogativi sostanzialmente ancora aperti sul capire come si possa essere formata questa impronta.

D. – Quindi studiare la storia della Sindone vuol dire ripercorrere anche la devozione, la pietà popolare verso questo oggetto?

R. – Soprattutto, la storia della Sindone è una storia di pietà e di devozione; e il fondamento della Sindone, per cui si esporrà di nuovo la Sindone, è proprio per proporre questa immagine, perché chi si pone davanti alla Sindone, si pone davanti a quella immagine e, attraverso quell’immagine, può meditare su tante cose, ma soprattutto sul mistero dell’Incarnazione e del sacrificio di Gesù, non disgiunto anche da una riflessione sulla Risurrezione. La storia e le testimonianze della gente lo hanno dimostrato: non si va con l’assillo dell’autenticità o meno; si va sulla scia di milioni di persone prima di noi, per avere questa esperienza, attraverso quell’immagine che la Provvidenza in ogni caso ha lasciato – io credo – sulla strada degli uomini, riuscire ad attraversarla e ad andare a ciò che c’è di reale dietro questa immagine, che è Gesù.

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Il Papa alla Cattolica: formazione antidoto contro marginalizzazione giovani

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“L’investimento formativo è il migliore antidoto” contro la “marginalizzazione” dei giovani. E’ quanto scrive Papa Francesco all’Università Cattolica del Sacro Cuore, in un messaggio a firma del cardinale Pietro Parolin, in occasione della 91.ma Giornata dedicata all’ateneo sul tema “Giovani, periferie al centro”. Il servizio di Alessandro Gisotti: 

L’Università Cattolica “possa continuare ad essere accanto ai giovani aiutando soprattutto quelli meritevoli che hanno meno possibilità”. E’ l’esortazione che Papa Francesco rivolge alla comunità dell’ateneo nella 91.ma Giornata ad esso dedicata.

Investire nella formazione contro la marginalizzazione
Nel messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, il Pontefice esprime la “certezza che l’investimento formativo è il migliore antidoto contro quella marginalizzazione a cui alcune inique dinamiche sociali sembrano" voler "condannare” i giovani. La carenza di lavoro, si legge nel documento, “pregiudica anche la realizzazione di legittime aspirazioni sia in ambito professionale, sia in riferimento alla formazione di una famiglia”. I giovani, avverte il messaggio, “rischiano così di diventare sempre più marginali nel sistema sociale, con gravi conseguenze per la loro vita e per il futuro di tutta la comunità”.

Giovani tornino ad essere protagonisti della vita sociale
Per questo, è l’esortazione del Papa, “è necessario che essi ritornino al centro dell’attenzione e ad essere protagonisti della vita sociale”. Il messaggio ribadisce l’impegno della Chiesa a “sostenere” lo “slancio positivo che è presente” nei ragazzi e in questa prospettiva, si legge, è “davvero rilevante il contributo che può venire dall’Università Cattolica”. Ricevendo una formazione di alto livello “morale e culturale”, è l’auspicio del Papa, i giovani potranno “ritrovare le ragioni vere della speranza per il loro futuro” e potranno “contribuire alla rimozione delle cause che hanno determinato il costituirsi delle tante periferie materiali ed esistenziali che caratterizzano il nostro tempo”.

E in un messaggio per la ricorrenza, la Conferenza episcopale italiana sottolinea l’importanza di “dare un segnale di rinnovata attenzione ai giovani, per riportarli al centro dell’impegno missionario della Chiesa”. Essenziale, inoltre, offrire ai ragazzi una formazione culturale che coltivi “con sapienza l’alleanza tra la ragione e la fede”. Su questo punto, Isabella Piro ha intervistato frate Davide Sironi, dell'Ordine dei Frati Minori, cappellano dell’Ateneo cattolico: 

R. – È una sfida che nasce dal fondatore di questa Università, padre Agostino Gemelli, uomo di ragione e di scienza, e uomo di fede. Il suo progetto, infatti, era proprio questo: tenere insieme queste due dimensioni fondamentali dell’essere umano. Io credo che non ci sia una conoscenza senza una fiducia nell’altro, in qualcuno che mi offre una prospettiva nuova, che mi smuove anche dalle mie posizioni, sicurezze, certezze. Credo che apprendere voglia dire anche affidarsi e fidarsi. Quindi, vedo la fede come una fiducia nell’Altro, nel Signore che dilata l’orizzonte del sapere. L’alleanza tra ragione e fede è, perciò, necessaria perché ci sia una crescita integrale della persona. A padre Agostino Gemelli interessava non formare semplicemente degli scienziati, ma formare delle persone.

D. - Cosa Le porta la Sua esperienza di Cappellano dell’Università, nel contatto quotidiano con i giovani, con le loro speranze, ma anche con le loro delusioni?

R. – Credo che i giovani di oggi abbiano bisogno di essere incontrati, laddove si trovano, abbiano bisogno di essere visti. Hanno il desiderio che ci si accorga di loro ed hanno, soprattutto, la speranza di una vita vera, che permetta loro di esprimere le loro potenzialità, i loro doni. Spetta a noi adulti essere soprattutto dei buoni testimoni di quei valori che non deludono e che si radicano nell’esperienza evangelica.

D. – E questo è ciò che gli studenti cercano nelle aule universitarie? L’incontro con la verità che non sia solo una verità scientifica?

R. – Sì, credo proprio di sì. I giovani cercano un contatto, una relazione, un’umanità. Mi sembra che i ragazzi di oggi spesso siano tentati dal rimanere un po’ rinchiusi in una realtà virtuale, costantemente connessi al web, ai social network e c’è il pericolo che, a volte, vivano una sorta di “virtualità”. Invece, credo che essi abbiano bisogno di una realtà concreta che passa attraverso il contatto con l’altro, il potersi guardare negli occhi, il sapere che l’altro c’è per me. Ormai, credo che siamo arrivati ad una società “gassosa”, evanescente, eterea, mentre i giovani di oggi hanno il bisogno di essere riportati ad un’esperienza concreta, solida. Ed è imprescindibile che anche nelle aule universitarie si ritorni a dare questa concretezza di vita, un sapere che intercetti l’esistenza di ciascuno giovane, che dia delle risposte, prima di tutto, a quelle domande fondamentali che i ragazzi portano nel loro cuore.

D. – Qual è il suo auspicio per questa 91.ma Giornata per l’Università Cattolica?

R. – Vorrei che ai giovani venissero restituiti dei luoghi veri, dei luoghi di incontro. L’Università Cattolica è un luogo di apertura non solo della mente, ma anche del cuore: ricordo che il nome completo è “Università Cattolica del Sacro Cuore”, che si rifà, naturalmente, all’icona di Gesù Cristo Sacro Cuore. Però è anche bello pensare che ogni studente che entra in questo Ateneo abbia bisogno che il suo cuore sia coltivato, ascoltato. E l’Università Cattolica vuole fare crescere il cuore degli studenti, perché anche il loro è un “cuore sacro”.

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10.mo elezione Benedetto XVI. Ouellet: crescono frutti del suo Pontificato

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“Un umile lavoratore nella Vigna del Signore”. Il 19 aprile di 10 anni fa il cardinale Joseph Ratzinger veniva eletto Pontefice. Per una riflessione sui frutti del Pontificato di Benedetto XVI in questo 10.mo anniversario, Alessandro Gisotti ha intervistato uno dei più stretti collaboratori del Papa emerito, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi: 

R. – Io vedo soprattutto dei frutti a lunga scadenza e, come primo frutto, mi sembra che il Pontificato di Benedetto XVI sia stato una chance per l’Europa. Il Papa, col suo nome e col suo pensiero, ha ricordato le radici cristiane dell’Europa e la stima dovuta al suo patrimonio spirituale e culturale. I suoi viaggi e discorsi – per esempio a Parigi, Londra e Berlino – rimarranno dei punti fermi per il futuro dell’Europa. Un altro frutto importante è il contributo specifico di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, sui rapporti tra la fede e la ragione, nelle sue grandi encicliche. Inoltre, il Papa Benedetto ha – direi – avvicinato l’esegesi e la teologia nella teoria e nella pratica, con l’Esortazione apostolica “Verbum Domini” e soprattutto col suo libro su Gesù di Nazaret. Un terzo frutto è il tesoro delle sue omelie mistagogiche, che ci ha lasciato in eredità, una scuola di predicazione. Molte di queste omelie saranno lette nei secoli.

D. – Papa Benedetto ha affrontato con fermezza questioni dolorose come la pedofilia nella Chiesa e la trasparenza nella gestione dei beni. Si può dire che su questi fronti Francesco raccolga i frutti di un grande lavoro iniziato con coraggio dal suo predecessore?

R. – Certamente. Io vedo una grande continuità tra i due Pontefici. La più bella continuità tra i due Papi è la loro differenza di stile e di carisma. C’è grande continuità sulla riforma della Chiesa, sulla lotta alla pedofilia, sulla trasparenza finanziaria, anche sulle questioni della famiglia, che sono state molto care a Benedetto, e si va avanti con grande continuità nella riflessione sulla nuova evangelizzazione e anche sull’interpretazione del Concilio.

D. – Da due anni, dopo la rinuncia al ministero petrino, Papa Benedetto si è ritirato in preghiera lontano dal mondo. Il suo contributo alla Chiesa, però, continua in modo diverso…

R. – Benedetto XVI si è ritirato nel silenzio con un grande gesto di umiltà e coraggio, un gesto rivoluzionario, che ha aperto anche la strada alla novità di Papa Francesco. Credo che l’autorità morale di Papa Benedetto ne risulti ancora più grande e sono convinto che la sua preghiera sia un potente aiuto per il suo successore.

D. – Lei è stato uno dei più stretti collaboratori di Benedetto XVI, personalmente qual è il dono più grande che ha ricevuto dall’essere vicino ad un uomo e un pastore così grande come Joseph Ratzinger?

R. – Conservo molti ricordi personali degli incontri di lavoro con lui, soprattutto sulle nomine dei vescovi, e ho ammirato la sua prudenza, la sua saggezza. Ma forse ciò che più mi ha colpito, nei momenti difficili e critici che lui ha dovuto vivere, è stata la sua umiltà e la sua pazienza: con i collaboratori, con i traditori, con tutte le difficoltà, anche le critiche dei media. Credo abbia saputo prendere la sua croce e seguire nostro Signore. Benedetto rimane per me un maestro di vita - non solo un dottore della Chiesa, ma un maestro di vita - un uomo buono, colto, che ha guadagnato l’affetto profondo e durevole di tanti fedeli.

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Oggi in Primo Piano



Strage Immigrati. Perego: Europa intervenga, occorre sforzo unitario

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Nel Canale di Sicilia si sta profilando la più grave strage di immigrati nel Mediterraneo. Un barcone con circa 700 migranti si è capovolto la scorsa notte a Nord della Libia. Solo 28 i superstiti recuperati dai soccorsi ancora impegnati sul posto. Decine i corpi avvistati in mare. E sono ore di cordoglio e sdegno nella comunità internazionale, mentre più voci tornano a chiedere una maggiore impegno dell’Ue nell’emergenza immigrazione. Il servizio di Marco Guerra: 

Il peschereccio proveniente dall’Egitto con a bordo circa 700 migranti si è capovolto nella notte tra sabato e domenica nel Canale di Sicilia, a circa 60 miglia a Nord della Libia. Secondo le prime ricostruzioni l’imbarcazione aveva lanciato ieri una richiesta di aiuto alla guardia Guardia Costiera poiché aveva difficoltà di navigazione. La sala operativa del Comando generale delle Capitanerie di porto ha dirottato sul posto il mercantile portoghese King Jacob, che, giunto in prossimità del mezzo in difficoltà, ha visto il peschereccio capovolgersi, dopo che tutte le persone a bordo si sono spostate su un lato alla vista dei soccorsi. Da quel momento sono iniziate le frenetiche attività di recupero dei migranti, attualmente ancora in corso. Nel frattempo, nella zona sono stati dirottati numerosi altri mezzi delle autorità marittime italiane e maltesi che sono ora impegnati nelle ricerche di eventuali altri superstiti. Testimoni parlano dell’avvistamento di diversi corpi senza vita. Intanto L’Acnur torna a chiedere una “Mare Nostrum europea”. Il premier Italiano Renzi ha convocato un consiglio dei ministri straordinario per le ore 17, il commissario europeo per l'immigrazione Avramopoulos ha annunciato che sarà a Roma giovedì prossimo e il presidente francese Hollande, dopo un colloquio telefonico con Renzi, ha detto che l’Ue deve agire d’urgenza rafforzando il numero di navi nell'operazione Triton. La Commissione Ue ha pubblicato una nota in cui afferma che “serve un'azione decisa”.

Sull’impegno della comunità internazionale e l’appello di Papa Francesco, Marco Guerra ha intervistato mons. Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes: 

R. - Si profila essere effettivamente la più grande tragedia di morti nel Mediterraneo di questi ultimi anni. Ai 950 morti dall’inizio dell’anno si aggiungono questi morti, questi numerosi morti che ripropongono necessariamente, immediatamente e assolutamente di ripensare ad un’operazione come "Mare Nostrum" di carattere europeo, che possa veramente diventare un canale umanitario per salvare la vita di tante persone in fuga. Dall’altra parte, questa tragedia ripropone la necessità – il Papa e Mattarella nel loro incontro l’hanno ricordato – di una azione internazionale di pace, che possa portare veramente una situazione di stabilità nel Nord Africa, in Palestina, in Siria e anche nel Corno d’Africa; un’operazione internazionale di politica e di pace che sia affiancata ad un "Piano Marshall" di cooperazione e di sviluppo verso questi Paesi da cui partono moltissime di queste persone.

D. – Il Papa è tornato a chiedere con forza, appunto, il coinvolgimento di tutta la comunità internazionale…

R. – Non ci si può fermare ad un’operazione Triton, che da subito abbiamo considerato e contestato come insufficiente a salvare le persone in mare, occorre fare uno sforzo unitario in Europa, per un’operazione che abbia le stesse caratteristiche di "Mare Nostrum" e non sia quindi un semplice controllo di frontiere, ma diventi veramente un presidio umanitario del Mediterraneo, che possa salvaguardare la vita delle persone.

D. – E poi c’è il fronte dell’accoglienza, molto difficile anche in Italia, dove c’è bisogno della partecipazione, del massimo impegno e del dispiegamento di tutte le forze in campo…

R. – Accanto ad un’operazione di presidio del Mediterraneo, un corridoio umanitario attraverso un’operazione come "Mare Nostrum", serve un piano sociale europeo di tutela dei richiedenti asilo, più risorse. Non si può in questo momento lesinare risorse attorno ad un tema, ad una tragedia che è così grave. Qui lo sforzo dell’Europa deve essere importante e di tutti i Paesi europei, compresa l’Italia e tutte le regioni italiane, impegnate in questo sforzo importante. Non si può di fronte a queste morti, ancora una volta, parlare di conti, parlare di economia e non guardare invece, anzitutto, alla salvaguardia della vita delle persone.

E su questa tragedia senza precedenti e l’ìmpegno sul fronte del’accoglienza dei migranti Marco Guerra ha raccolto anche il commento di Olivero Forti, responsabile per l'immigrazione della Caritas Italiana: 

R. – Ormai noi siamo stufi e indignati nel contare morti in mare. Abbiamo più volte ripetuto – anche la settimana scorsa – che c’è bisogno di un’operazione - che sia europea, che sia per mano dell’Onu, che sia solamente italiana - che veramente, come "Mare Nostrum", salvi queste vite, perché se continuiamo a discutere su chi dovrà fare questa operazione, io credo che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi si ripeteranno tragedie di questo tipo, e noi non vogliamo più che questo accada.

D. – L’appello fortissimo alla comunità internazionale arriva oggi anche da Papa Francesco al Regina Caeli. La Chiesa ancora una volta lancia il suo grido per queste persone che – come ha ricordato il Papa – vengono a cercare una vita migliore…

R. – Ma certo, Papa Francesco sin da quando, due anni fa, si è recato a Lampedusa ha avuto sempre questo tema molto chiaro e lucidamente aveva già tracciato la via che andava seguita per cercare di gestire in maniera umana, dignitosa e soprattutto cristiana questo fenomeno. Purtroppo le sue parole sono rimaste fino ad oggi inascoltate e qualcuno dovrà prendersi la responsabilità di quello che sta accadendo. E credo siano molte persone.

D. – La Caritas continua ad essere in prima linea sul fronte dell’accoglienza. In quetsi giorni la Sicilia e le coste del Sud Italia sono veramente oggetto di sbarchi continui. Com’è la situazione a fronte di questa nuova tragedia? 

R. – La situazione è preoccupante, perché chiaramente i flussi aumentano, anche qui secondo un trend che avevamo ampiamente previsto, ma rispetto al quale non ci si è riusciti nuovamente ad organizzare. Oggi si sta tentando, insieme anche al governo italiano, di predisporre tutte le misure adeguate per cercare di garantire appunto un’accoglienza dignitosa a persone che spesso provengono anche da situazioni come quella di questa notte, per cui non sono semplici profughi, ma naufraghi, gente che ha visto la morte con i propri occhi, ha visto morire i propri cari. Quindi vi assicuro che in questo caso l’accoglienza non è quella che ci si immagina solitamente – un pasto caldo e un letto – ma c’è molto di più da fare.

D. – Con Triton è cambiato tutto, perché ci troviamo di fronte a queste nuove tragedie…

R. – E’ chiaro, quando si diceva che l’operazione Triton sarebbe stata una "Mare Nostrum" europea, chi lo ha detto – e noi sappiamo bene che è stato in quella occasione – ha nascosto a tutti il fatto che - e per noi era abbastanza chiaro, essendo tecnici della materia – ci trovavamo di fronte ad un’operazione con un mandato completamente diverso: un mandato di controllo molto limitato nella area operativa. Tutto questo, quindi, avrebbe portato ed ha portato chiaramente a indebolire il sistema di salvataggio in mare, così appunto come è avvenuto. Per cui i tempi per spostare i mercantili in zona, per tentare di salvare queste imbarcazioni sono molto più lunghi, non sono attrezzati… Insomma, tutta una serie di questioni – ripeto – di ordine più tecnico, che nei fatti però si traducono in morti in mare.

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Mons Marayati: ad Aleppo si sopravvive tra morti e macerie

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Una delle "icone" più dolorose del conflitto siriano è certamente la città di Aleppo, che da anni vive una condizione di assedio che ha portato la popolazione allo stremo, gran parte della quale è fuggita. Anche di recente è stata colpita da una serie di violenti bombardamenti che hanno ridotto molti dei suoi quartieri a un cumulo di macerie, come racconta, al microfono di Michele Raviart, il vescovo armeno-cattolico di Aleppo, mons. Boutros Marayati: 

R. – Come ha detto il Santo Padre, a noi membri del Sinodo armeno-cattolico, Aleppo è una città martire: è veramente questo perché non solamente mancano l’acqua, la luce, le medicine, ma hanno anche cominciato a bombardare con razzi molto sofisticati ai quali non siamo abituati. Perciò, sono stati giorni di apocalisse e la gente ha cominciato a fuggire. Questo è molto grave perché ormai la gente ha paura e cerca di andare altrove, dove si può. Non possono andare in Libano, non possono andare in Turchia… Stanno andando verso il litorale dove la situazione è più serena.

D. – Come sta reagendo la città a questo inasprimento del conflitto?

R. – Noi ad Aleppo ci sentiamo un po’ abbandonati e stiamo lanciando gridi di allarme per ricevere aiuto: non aiuto per mangiare - ne abbiamo abbastanza -, ma per un cessate il fuoco. Vogliamo che ritorni la pace ma purtroppo tutto questo non è successo e si continua a combattere, a ricevere razzi e la morte sta lì… C’è tanto sangue, tanti bambini, tante vittime… Come ho sentito dalla mia diocesi ci sono ancora salme che sono sotto le macerie e stanno scavando.

D. – Le ultime notizie parlano di oltre 700 famiglie cristiane che hanno lasciato Aleppo, ce lo può confermare?

R. – Tanti hanno lasciato, non posso dire se sono 700-800, ma sappiamo che già prima più della metà della popolazione cristiana, armena e anche musulmana, ha lasciato Aleppo. Ma adesso, dopo questo colpo molto forte, anche la metà di quelli che erano rimasti è fuggita. Prima venivano da noi e dicevano: “Rimaniamo o andiamo?”. Noi sempre abbiamo detto: “Aspettate, aspettate. C’è una speranza”. Ma adesso non viene più nessuno, lasciano e vanno via.

D. – Non solo Aleppo, purtroppo, ma tutti i cristiani del Medio Oriente sembrano essere sotto attacco in questo momento?

R. – I cristiani del Medio Oriente devono rimanere. Noi cristiani siamo lì, questa è la nostra terra perché la cristianità ha cominciato lì. A Damasco, Paolo è diventato cristiano e ha cominciato a predicare Gesù. Ad Antiochia, vicino ad Aleppo, i primi discepoli di Cristo sono stati chiamati cristiani, come è scritto negli Atti degli Apostoli. Allora, noi vogliamo rimanere ma chi, chi, ci protegge?

D.  – Gli ultimi bombardamenti hanno poi abbattuto alcune chiese…

R.  – E’ stata colpita la mia cattedrale armeno-cattolica e la cupola, il tetto, tutto è caduto per terra perché, come ho detto, sono grandi missili che arrivano, ormai. Anche la cattedrale maronita, la cattedrale greco-melchita sono state distrutte. Infatti, è un quartiere di chiese, un quartiere di cristiani. Noi abbiamo ad Aleppo cinque chiese armeno-cattoliche. Una è stata già presa, tre anni fa l’hanno bruciata e ne sono rimaste quattro. Adesso la cattedrale è stata colpita. Ci rimangono tre chiese e spero che non siano colpite da qualche razzo…

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"Progetto Benin" per promuovere l'istruzione dei giovani

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Papa Giovanni Paolo II, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2005, augurava ai popoli africani di diventare protagonisti del proprio futuro: questa idea è alla base del "Progetto Benin: priorità all'educazione" promosso dalla onlus "Il Cedro". Si tratta di un progetto che vuole offrire ai giovani, locali e non, un centro di educazione alla cultura dello sviluppo, denominato CeDReS (Centre de Documentacion et de Recherche en Art et en Sciences Sociales), strumento per sconfiggere la povertà e la discriminazione sociale. Claudia Minici ha sentito Jean-Baptiste Sourou, professore in Scienze Sociali e ideatore del progetto: 

R. - Il CeDReS è un Centro di documentazione e di ricerca sull’arte e le scienze sociali. È un progetto che è una via alternativa all’immigrazione selvaggia dall’Africa verso l’Europa, nel senso che vogliamo dare simbolicamente ai giovani la possibilità di sognare il loro futuro nel loro Paese. E io parto dal Paese dal quale provengo, che è la Repubblica del Benin in Africa occidentale. Da tanti anni lavoro sull’immigrazione e con gli immigrati, e mi rendo conto, stando a contatto con queste persone, che c’è una cosa che manca: l’educazione. La persona parte senza sapere per quale motivo parte; quando però hai l’educazione puoi discernere quello che è vero da quello che è falso. Ma la cosa che personalmente mi ha molto colpito, è che come giovane docente sono stato chiamato a insegnare in un Paese in Africa, di cui non faccio il nome per rispetto, e una delle prime sere ho trovato una studentessa che stava studiando sotto i lampioni. Ho chiesto alla studentessa: “Ma lei cosa sta facendo qua?”. Mi ha risposto: “Sto studiando”. È una realtà diffusa! Molti studenti sono costretti a studiare, la sera, sotto i lampioni perché a casa non c’è la corrente. E un’altra cosa ancora che mi ha colpito è stato che tanti dei miei studenti non riuscivano a fare i compiti la sera perché c’era un black-out. I black-out sono molto frequenti e durano 8-10 ore … ma come fai a studiare quando non hai nemmeno il minimo? E poi, la mancanza anche di infrastrutture, come i libri. Questo progetto, noi lo chiamiamo: “Priorità all’educazione: diamo la possibilità ai giovani”. San Giovanni Paolo II lo ha detto, nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2005, che io chiamo il suo “Testamento per l’Africa”: lui augurava che i popoli africani potessero diventare protagonisti del proprio futuro.

D. – Volete attivare delle convenzioni con altre università estere?

R. – Ovviamente questa è già una tappa successiva; il mio primo intento è mettere su una biblioteca moderna, collegata con altre biblioteche nel mondo. Poi, delle camere semplici, una mensa; nel progetto ho previsto anche a una cappella: non è un centro soltanto per cattolici, è un centro per tutti, però c’è questa impronta cattolica, perché parte da un cattolico. E non è soltanto per ragazzi del Benin! Il centro sarà anche aperto a giovani di altri Continenti che desiderano conoscere veramente le culture africane vivendo a contatto con le popolazioni. La struttura si trova al centro di collegamenti interessanti: siamo molto vicini all’aeroporto internazionale di Cotonou, non siamo lontani da Abomey, uno dei più potenti regni dell’Africa occidentale … È una finestra aperta.

D. – Qual è il progetto di finanziamento?

R. – Io, nel Progetto ci ho creduto sin dall’inizio. Con i miei mezzi ho comprato il terreno sul quale sorgerà questo centro. E in questo momento noi stiamo cercando dei finanziamenti, per poter presto iniziare a costruire questa struttura: servono circa 600mila euro. Questo progetto è partito.

D. – Pensa che possa essere un modello a cui le altre regioni dell’Africa potranno attingere in futuro?

R. – Quello che noi vogliamo fare è una cosa simbolica: avvieremo la formazione al bene comune, perché nell’Africa di oggi non basta l’educazione, bisogna anche formare le persone a rispettare il bene comune. Il bene attira sempre. Lo punto su questo. È un progetto-pilota. Iniziamo lì e spero tanto che possa andare avanti, in modo da poter proporre questo progetto anche in altre zone dell’Africa. Mi preme di vedere nascere le prime costruzioni del CeDReS, e nello stesso tempo di veder molti progetti di questo tipo in altre parti dell’Africa.

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“Lasciateci sognare”: in Italia lo spettacolo dei meninos de rua

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Da Bergamo a Caserta, da Roma a Torino, i “meninos de rua” della Casa do Menor di Rio de Janeiro sono in questo mese di aprile in Italia per portare nelle piazze e nei teatri il loro spettacolo “Lasciateci sognare”. Mercoledì 8 aprile, i ragazzi brasiliani hanno preso parte all’udienza generale in Piazza San Pietro e uno di loro ha potuto incontrare Papa Francesco. Sul significato di questo spettacolo e l’accoglienza che sta ricevendo in giro per l’Italia, Alessandro Gisotti ha intervistato padre Renato Chiera, fondatore della Casa do Menor: 

R. – Questa idea è nata già tempo fa. Venendo in Europa, ho captato che in questi ultimi anni qui si sta spegnendo la speranza, sta aumentando la chiusura, la paura, la diffidenza verso l’altro, l’altro visto come una minaccia soprattutto se viene da fuori. Ho anche notato che mancano i sogni… Allora, io dicevo nel mio cuore “Come sarebbe bello se dal mondo della disperazione, dove ragazzi che hanno vinto e che sono passati per molte sofferenze; se da questo mondo della periferia di Rio de Janeiro, caratterizzato da ragazzi di strada, droga, narcotraffico, riuscissimo a portare i sogni in Europa: ragazzi che hanno vissuto drammi tremendi e che, attraverso la vita dell’amore e del Vangelo, si sono recuperati". Poter portare la speranza, questo era il mio sogno: poter portare i sogni e portarli proprio laddove non ci dovrebbero essere i sogni.

D. – Qual è il messaggio che stanno dando i ragazzi del Brasile ai ragazzi, e non solo ai ragazzi, italiani?

R. – “Lasciateci sognare!”. Noi abbiamo “copiato” molto dal Papa, se posso dire così. Lui dice sempre ai giovani: ”Non lasciatevi rubare la speranza”… Noi vogliamo portare sogni di un mondo differente, che è possibile. E noi, con la “Casa do menor”, già proviamo questo mondo differente. In questo spettacolo, mostriamo l’analisi anche di una società che promette il piacere, ma non dà la felicità; che inganna, che fa proposte di ‘sogni di morte’, che noi chiamiamo incubi; e in cui molti nostri ragazzi – di là e di qua – si lasciano schiavizzare, attrarre, perché sono proposte lusinghiere del mondo, però sono proposte che ti lasciano con il veleno in bocca. Noi vogliamo mostrare che tutto questo è possibile superarlo. E’ difficile, è una lotta, una lotta tra il bene e il male. Vogliamo mostrare che dentro l’essere umano, dentro ogni bambino, quando è stato creato, Dio ha messo un sogno, il sogno di essere amato e di amare! Terminiamo lo spettacolo mostrando la proposta di vita nuova attraverso delle persone che ci hanno aiutato a sognare, dei personaggi come Papa Francesco, come Mandela, come Madre Teresa di Calcutta, come Gandhi, come Chiara Lubich, e mostrando che un altro mondo è possibile, che conosciamo un’altra umanità.

D. – Che tipo di emozioni vengono poi riportate dalle persone che vengono a vedere lo spettacolo?

R. – Sono ragazzi delle scuole, studenti delle medie e delle superiori; abbiamo comunità, abbiamo piazze, abbiamo teatri grandi, come quello di Latina: abbiamo gente di tutti i tipi e di tutti i livelli. E’ impressionante che la reazione sia sempre uguale: l’emozione del cuore. Arriviamo al cuore! Le persone si emozionano. Anche gli adulti che difficilmente piangono sono emozionati: credono che i sogni siano un’illusione, ma anche loro si lasciano toccare. Viene fuori il bambino che è in loro. Anche i genitori ci chiedono se andremo da altre parti e ci dicono: “Non abbiate paura di presentarvi, anche se siete venuti dalla periferia!”. Quindi dalla periferia la speranza!

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Scoprire Caravaggio attraverso le copie delle sue opere più celebri

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Capire l’importanza che hanno avuto le copie delle proprie opere nella fortuna di un artista come il Caravaggio. E’ questa una delle domande a cui tenta di rispondere il volume “Caravaggio tra originali e copie. Collezionismo e mercato dell’arte a Roma nel primo Seicento”, scritto da Barbara Savina, e presentato in questi giorni ai Musei Vaticani. Il volume spiega chi erano gli autori e i committenti di questi falsi storici e il loro valore sia economico che artistico. Il commento dell’autrice al microfono di Marina Tomarro

“Il suonatore di liuto”, il “San Giovanni Battista”, “La cena di Emmaus”, “I musici” sono tra le opere più celebri di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio e tra quelle maggiormente copiate già dai primi anni del 1600, proprio quando l’artista era all’apice della sua carriera. E il volume “Caravaggio tra originali e copie” vuole raccontarci proprio questa storia. L’autrice Barbara Savina:

R. - L’idea nasce da un problema molto interessante: mi andava di approfondire il discorso del metodo, di trovare un approccio che fosse utile a distinguere gli originali dalle eventuali repliche in modo da portare un po’ di ordine anche nel mercato; ho visto tante scoperte sorprendenti, ho visto che Caravaggio continua ad affascinare, ma spesso alcune attribuzioni possono fuorviare.

D. - Cosa è venuto fuori dalle sue ricerche?

R. - Le recenti tendenze "espansioniste" richiedono grande prudenza e sicuramente integrare una pluralità di approcci è vincente. In questo noi siamo fortunati, perché l’evoluzione del mondo della ricerca ci dà proprio questa possibilità. Quindi abbiamo una grande mole di dati e possiamo studiare nuovi metodi.

D. - Che importanza avevano le copie all’epoca?

R. - Avevano una sorta di vita parallela: da una parte venivano promosse come esercizio nel tirocinio formativo dei giovani apprendisti – questo ce lo raccontano le fonti – Caravaggio era proposto come modello alla stregua dei grandi maestri del passato. Ma, dall’altra poi quando sperimentano e sviluppano pratiche nella produzione di copie c’è il problema che queste vanno ad invadere il mercato. C’erano dei personaggi abili, bravi a far girare copie come presunti originali. Per questo motivo il discorso è così complesso però affascinante.

E la più antica copia documentata da un originale del Caravaggio è “L’incredulità  di San Tommaso” risalente al 1606, e da diversi epistolari si può leggere che dopo la partenza dell’ artista da Roma, molte erano le copie anonime delle sue opere in circolazione. La riflessione della storica dell’arte Silvia Danesi Squarzina:

R. - Sono importanti perché ci riportano all’originale e ci consentono di capire meglio il fenomeno “Caravaggio” che è diventato enorme negli ultimi anni. Questo artista ha una notorietà europea e mondiale ed è uno degli elementi trainanti della nostra storia dell’arte, dei nostri musei. Indubbiamente la fortuna di Caravaggio è fatta anche non solo dai seguaci che hanno utilizzato il suo linguaggio, ma anche dai modesti copisti, perché forse tra questi c’erano dei bravi pittori: alcune di queste copie sono veramente ottime. Alcune vengono considerate dei doppi. Questa è una domanda importante: Caravaggio dipingeva dei doppi? Questa è una domanda a cui non si può dare ancora una risposta definitiva!

E Caravaggio appare come un artista senza tempo capace ancora di affascinare, provocare e far parlare di sé attraverso le sue opere. Antonio Paolucci direttore dei Musei vaticani:

R. - Oggi Caravaggio è un must, secondo solo a Michelangelo nell’attrazione popolare; è al culmine della sua fortuna. E il mercato antiquario è molto interessato a Caravaggio, alle sue varianti e alle sue copie. C’è una varietà sterminata di copie dove c’è un interesse degli studiosi, del mercato e un interesse del pubblico.

D. - Queste copie quanto sono state importanti per individuare poi gli originali del Caravaggio?

R. - Sono state importanti ed in certi casi hanno permesso di risalire all’originale; in altri casi alcune copie sono apparse di qualità talmente alta da essere giudicate come delle repliche d’autore, cioè che Caravaggio abbia fatto non solo un originale ma due ad esempio. Il libro parla di questo: della delicatezza e dell’importanza di questo specifico campo di ricerca.

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Nella Chiesa e nel mondo



Libia: video dell'Is mostra uccisione cristiani etiopi

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Ancora una terribile strage da parte dei fondamentalisti del sedicente Stato Islamico: un nuovo video dell’Is mostra l'uccisione di cristiani etiopi rapiti in Libia con colpi di pistola e decapitazioni. A riferirlo è “Site”, un sito americano di monitoraggio dell'estremismo islamico. Nel video di circa mezz’ora, con il logo dell’Is, si mostra l'uccisione di due gruppi di etiopi cristiani. I miliziani del sedicente Stato Islamico - riferisce l’agenzia Ansa - affermano che uno dei due gruppi di rapiti era nelle mani di affiliati dell’Isis nell'Est della Libia, l'altro nel Sud del Paese. (A.G.)

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Iraq: più di 90 mila in fuga da violenze dell’Is ad al-Anbar

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Oltre 90 mila persone stanno fuggendo dalle violenze nella provincia occidentale irachena di al-Anbar. L’allarme è stato lanciato oggi dall'Onu, dopo che nell'ultima settimana, lo Stato Islamico ha guadagnato terreno attorno alla città capitale provinciale, Ramadi, e questo ha messo in fuga migliaia di persone. Dal canto suo, l'esercito iracheno ha dato il via alle operazioni di terra per fermare l'avanzata dei jihadisti. Nell'operazione, le forze irachene sono supportate dai volontari della milizia sciita 'Unità di mobilitazione popolare'.

Intanto si registra almeno una ventina di nuovi attacchi aerei condotti nel corso delle ultime 24 ore dalla coalizione internazionale guidata dagli Usa contro postazioni del sedicente Stato Islamico tra Siria e Iraq. Sette dei raid hanno colpito le città siriane di Kobane e di al-Hasakah, al Nord. In territorio iracheno la maggior parte dei bombardamenti, tredici in tutto: si sono concentrati su Ramadi, Falluja, Hit e al-Asad nella provincia occidentale di al-Anbar, e poi su Sinjar e Tal Afar e su Baiji, situate rispettivamente in quelle settentrionali di Niniveh e di Salaheddin. Infine si registrano le dichiarazioni dell'Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini, che ha espresso la preoccupazione dell’Unione Europea “per il continuo deterioramento della sicurezza e della situazione umanitaria in Siria”, in particolare per le “condizioni nel campo di rifugiati palestinesi di Yarmouk” da affrontare con la “massima urgenza”. (M.G.)

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Israele. Netanyahu: “molto grave” missili russi all’Iran

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“Israele giudica molto grave la fornitura di missili S300 dalla Russia all'Iran, e ciò mentre l’Iran accresce la propria aggressività nella regione”. Così il premier israeliano Benyamin Netanyahu, parlando oggi in apertura del Consiglio dei ministri, è tornato a puntare il dito contro Teheran. Il primo ministro dello Stato ebraico ha quindi lamentato che “negli accordi sul nucleare che stanno prendendo forma fra le potenze mondiali e l'Iran” non si fa alcun menzione di tale “aggressività” e ha ricordato che nelle parata militare condotta ieri a Teheran sono comparse scritte: "Morte a Israele".

E nelle stesse ore ha parlato anche la Guida Suprema iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, il quale ha detto che il dibattito sulle armi nucleari iraniane è fabbricato ad arte dagli Stati Uniti e che sono gli Usa la vera fonte della minaccia (M.G.)

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A Washington, marcia pro-matrimonio tra uomo e donna

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Si terrà il 25 aprile, a Washington, la terza edizione della “Marcia per il matrimonio”, organizzata dalla National Organization for Marriage (Nom), associazione no-profit nata nel 2007 con l’intento di promuovere e tutelare il matrimonio tra uomo e donna, come cellula fondamentale della società. La Marcia ha ricevuto il sostegno della Conferenza episcopale statunitense: in una nota congiunta, siglata da mons. Richard Malone e mons. Salvatore Cordileone, presidenti, rispettivamente, delle Commissione episcopali per la Famiglia e la Tutela del matrimonio, si sottolinea l’importanza dell’iniziativa che “avrà luogo tre giorni prima del dibattito, presso la Corte Suprema, sulla costituzionalità che gli Stati preservino la definizione legale del matrimonio come unione tra un uomo ed una donna”.

Il 28 aprile, atteso verdetto della Corte Suprema su unioni omosessuali
In pratica, il prossimo 28 aprile la Corte Suprema americana dovrà decidere se il 14.mo emendamento della Costituzione – quello che protegge la parità di ciascun individuo davanti alla legge – preveda anche che ogni Stato debba fornire una licenza matrimoniale alle coppie omosessuali che la richiedano, e se lo stesso emendamento imponga ad uno Stato di riconoscere un’unione gay la cui licenza sia stata concessa altrove. Di qui, l’esortazione della Chiesa statunitense ai fedeli affinché partecipino numerosi alla Marcia, esprimendo così “il proprio sostegno al matrimonio tradizionale”.

Costruire cultura della famiglia, anche per tutelare i bambini
Non solo: il corteo sarà anche “un’importante testimonianza di un movimento dedicato alla costruzione di una cultura del matrimonio e della famiglia” e servirà a dimostrare “l’impegno della Chiesa nella difesa del benessere dei bambini”. In quest’ottica, i presuli statunitensi mettono a disposizione, sul loro sito web, al link www.usccb.org/pray, un ampio materiale per pregare in favore della vita, del matrimonio e della libertà religiosa.

Card. O’Malley: contribuire al bene della società
Anche il card. Seán O'Malley, presidente della Commissione episcopale per le Attività in favore della vita, sostiene l’iniziativa: “È una grande benedizione – scrive in un messaggio – esseri uniti in preghiera con migliaia di cattolici di tutto il Paese. L’invito a pregare, infatti, è un richiamo, per tutti noi, a crescere nella fede e nell’amore, in difesa della vita, del matrimonio e della libertà religiosa”, perché “ognuno di noi può fare la differenza per il bene della Chiesa e della società”. (I.P.)

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Spagna: presentato documento pastorale sul catechismo

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“Custodire, alimentare e promuovere la memoria di Gesù Cristo”: è questo il titolo dell’Istruzione pastorale presentata oggi dalla Conferenza episcopale spagnola. Il documento, informa una nota, è il risultato di un lavoro durato diversi anni e che ha portato all’edizione di tre catechismi, destinati alla trasmissione della fede, rispettivamente, a bambini, adolescenti e ragazzi. I tre volumi si intitolano “I primi passi nella fede”, “Gesù è il Signore” e “Testimoni del Signore”. L’Istruzione pastorale pubblicata ora, continua la nota, “traccia la struttura di questi catechismi e intende ricordare a genitori, sacerdoti, catechisti ed educatori alla fede, l’importanza della catechesi di iniziazione cristiana”.

Guardare al contesto giovanile per tracciarne la formazione alla fede
Tre gli obiettivi del documento: “Offrire le basi fondamentali di una catechesi che inizi alla vita cristiana; presentare una visione completa dell’itinerario catechistico; far conoscere il catechismo elaborato dalla Chiesa spagnola”. In base a questi tre obiettivi, dunque, l’Istruzione pastorale è suddivisa in tre parti: la prima “pone la catechesi al servizio dell’iniziazione cristiana di bambini ed adolescenti e ne sollecita gli elementi fondamentali; la seconda tiene innanzitutto contro della situazione attuale degli adolescenti, per poi presentare, in specifiche tappe, il percorso catechetico”. La terza parte, infine, offre un’ampia documentazione di riferimento sul catechismo.

Conversione, esigenza imprescindibile del cammino di fede
“L’Istruzione pastorale – sottolinea ancora la nota – raccoglie la necessità della conversione come esigenza imprescindibile del cammino della fede e, per tanto, dell’itinerario spirituale che devono percorrere i bambini ed i giovani nella loro iniziazione cristiana”. Allo stesso tempo, il documento “esorta le comunità cristiane ad approfondire, nel contesto sociale, religioso e pastorale, la responsabilità a generare e ad educare alla fede ed alla vita cristiana”. Guardando, quindi, “alle difficoltà che si incontrano in questo compito”, si invitano le comunità ad “essere consapevoli del fatto che la fede non può darsi per scontata in molti destinatari della catechesi ed in molti genitori che chiedono i sacramenti per i loro figli”.

Necessario un rinnovamento nella pratica catechetica
Tutto il documento, dunque, “partecipa della convinzione che sia necessario un solido rinnovamento della pratica catechetica”, perché “solo a partire da basi solide e con una struttura teologica, pastorale, ecclesiale ed umana, si può percorrere con sicurezza il cammino di iniziazione cristiana”. (I.P.)

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Lettera pastorale del vescovo di Plymouth sulle vocazioni

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La sfida che la Chiesa deve affrontare oggi non è la mancanza di vocazioni quanto, piuttosto, la carenza di risposte alla chiamata di Dio: così, in sintesi, mons. Mark O’Toole, vescovo di Plymouth, nel Regno Unito, scrive nella Lettera pastorale che verrà distribuita ai fedeli il 26 aprile, in occasione della Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. “Dio continua a chiamare i fedeli – sottolinea il presule – ma molti di essi non sono in grado di comprendere la Sua chiamata. E quando una vocazione rimane senza risposta, è triste non solo per chi non risponde, ma anche per tutta la Chiesa che perde, così, un suo sacerdote”.

Vocazione è il sentirsi progettati per Dio
Mons. O’Toole descrive, quindi, la vocazione come “il sentirsi progettato per Dio ed il voler rispondere a tale disegno in un modo concreto, attraverso il servizio agli altri”. In questo senso, sottolinea il presule, “il Signore invita ciascuno di noi a seguirlo” nel disegno che ha in serbo per noi, “sia esso il matrimonio, il sacerdozio, la vita religiosa o, semplicemente, il vivere con generosità nei confronti degli altri”.

I genitori sostengano le vocazioni in famiglia
Ricordando, poi, che “Dio, nella sua provvidenza, dà alla Chiesa tutti doni di cui ha bisogno”, il vescovo di Plymouth si rivolge ai genitori, esortandoli a “non limitare l’orizzonte dei figli chiedendo loro solo cosa vogliono diventare da grandi”, ma ad aggiungere anche un’altra domanda fondamentale: “E cosa pensi che Dio voglia che tu sia?”. “Dobbiamo aiutare i nostri giovani – aggiunge il presule – a guardare oltre la carriera e la professione ed a rispondere alla chiamata di Dio ad essere santi, sia che questa santità vada vissuta nel matrimonio, sia nel sacerdozio, nel diaconato permanente, nella vita religiosa o nel servizio agli altri”. Questo perché, continua la Lettera pastorale, “nel battesimo, tutti siamo chiamati alla santità di vita”.

Senza sacerdoti, non c’è Chiesa
Infine, mons. O’Toole sottolinea che “la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa è una chiamata ad una forma radicale di discepolato che aspira a seguire da vicino” i precetti e gli esempi evangelici, una sfida particolarmente urgente “nel contesto della cultura contemporanea”. Di qui, l’invito a “supportare” la scelta vocazionale, affinché non rimanga inascoltata, perché “senza sacerdoti non c’è Messa e senza Messa non c’è Chiesa”. Ed è per questo che “le vocazioni sacerdotali sono interesse di tutti”. (I.P.)

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Austria: prima Giornata di studio su famiglia, media e Chiesa

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Saranno otto ore di intenso confronto quelle che la Chiesa austriaca vivrà il prossimo 20 aprile, a Vienna, con la prima Giornata nazionale di studio sul rapporto Famiglia-media-Chiesa. Come riferisce l’agenzia Sir, la Giornata è organizzata dall'ufficio stampa della Conferenza episcopale austriaca, dall'agenzia cattolica kathpress.at, dall'associazione delle testate giornalistiche diocesane e dall'associazione cattolica delle famiglie austriache. Tema centrale dell’incontro sarà "Famiglia tra diritto ecclesiastico e realtà mediale".

Necessaria maggiore consapevolezza della comunicazione mediatica
Partendo dal messaggio di Papa Francesco in vista della 49.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che ricorrerà il 17 maggio sul tema "Comunicare la famiglia: ambiente privilegiato dell'incontro nella gratuità dell'amore", e pensando al 14.mo Sinodo generale ordinario sulla famiglia, in programma in Vaticano dal 4 al 25 ottobre prossimi, gli organizzatori intendono offrire un'occasione di riflessione e approfondimento agli operatori professionali e sociali che si confrontano a livello ecclesiale con i media e la famiglia. Secondo il portavoce della Conferenza episcopale austriaca, Paul Wuthe, è necessario raggiungere "la consapevolezza della rilevanza della comunicazione mediatica dell'immagine della famiglia". È importante chiedersi, conclude Wuthe, "che cosa determini l'immagine mediatica della famiglia e come la Chiesa possa contribuire per far restare impresso nei media l'ideale cristiano della famiglia". (I.P.)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 109

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.