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Sommario del 17/04/2015

Il Papa e la Santa Sede

Oggi in Primo Piano

Nella Chiesa e nel mondo

Il Papa e la Santa Sede



Francesco: umiltà cristiana non è masochismo ma amore

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L’umiliazione per se stessa è masochismo, mentre quella subita e sopportata in nome del Vangelo rende simili a Gesù. Lo ha ribadito Papa Francesco all’omelia della Messa in Casa S. Marta, invitando i cristiani a non coltivare mai sentimenti di odio, ma a darsi il tempo di scoprire dentro di sé sentimenti e atteggiamenti che piacciono a Dio: amore e dialogo. Il servizio di Alessandro De Carolis

È possibile per l’uomo reagire a una situazione difficile con i modi di Dio? Lo è, conferma il Papa, ed è tutta una questione di tempi. Il tempo di lasciarsi permeare dai sentimenti di Gesù. Francesco lo spiega analizzando l’episodio contenuto nella lettura degli Atti degli Apostoli. Questi ultimi sono in giudizio davanti al sinedrio, accusati di predicare quel Vangelo che i dottori della legge non vogliono sentire.

Non dare tempo all'odio
Tuttavia, un fariseo del sinedrio, Gamaliele, in modo schietto suggerisce di lasciarli fare, perché – sostiene, citando casi analoghi del passato – se la dottrina degli Apostoli “fosse di origine umana verrebbe distrutta”, mentre non accadrebbe se venisse da Dio. Il sinedrio accetta il suggerimento, cioè – sottolinea il Papa – sceglie di prendere “tempo”. Non reagisce seguendo l’istintivo sentimento di odio. E questo, soggiunge Francesco, è un “rimedio” giusto per ogni essere umano:

“Dà tempo al tempo. Questo serve a noi, quando abbiamo cattivi pensieri contro gli altri, cattivi sentimenti, quando abbiamo antipatia, odio, non lasciarli crescere, fermarsi, dare tempo al tempo. Il tempo mette le cose in armonia e ci fa vedere il giusto delle cose. Ma se tu reagisci nel momento della furia, sicuro che sarai ingiusto. Sarai ingiusto. E anche farà male a te stesso. Questo è un consiglio: il tempo, il tempo nel momento della tentazione”.

Chi si ferma dà tempo a Dio
Quando noi coviamo un risentimento, nota Francesco, è inevitabile che scoppi. “Scoppia nell’insulto, nella guerra”, osserva, e “con questi sentimenti cattivi contro gli altri, lottiamo contro Dio”, mentre “Dio ama gli altri, ama l’armonia, ama l’amore, ama il dialogo, ama camminare insieme”. Anche “a me succede”, ammette il Papa: “Quando una cosa non piace, il primo sentimento non è di Dio, è cattivo, sempre”. “Fermiamoci” invece, esclama, e diamo “spazio allo Spirito Santo” perché “ci faccia arrivare al giusto, alla pace”. Come gli Apostoli, che vengono flagellati e lasciano il sinedrio “lieti” di aver subito “oltraggi per il nome di Gesù”:

“L’orgoglio dei primi ti porta a voler uccidere gli altri, l’umiltà, anche l’umiliazione, ti porta a somigliarti a Gesù. E questa è una cosa che noi non pensiamo. In questo momento in cui tanti fratelli e sorelle nostri sono martirizzati per il nome di Gesù, loro sono in questo stato, hanno in questo momento la letizia di aver sofferto oltraggi, anche la morte, per il nome di Gesù. Per fuggire dall’orgoglio dei primi, soltanto c’è la strada di aprire il cuore all’umiltà e all’umiltà non si arriva mai senza l’umiliazione. Questa è una cosa che non si capisce naturalmente. E’ una grazia che dobbiamo chiedere”.

Martiri e umili somigliano a Cristo
La grazia, conclude Francesco, dell’“imitazione di Gesù”. Una imitazione testimoniata non solo dai martiri di oggi ma anche da quei “tanti uomini e donne che subiscono umiliazioni ogni giorno e per il bene della propria famiglia” e “chiudono la bocca, non parlano, sopportano per amore di Gesù”:

“E questa è la santità della Chiesa, questa letizia che dà l’umiliazione, non perché l’umiliazione sia bella, no, quello sarebbe masochismo, no: perché con quell’umiliazione tu imiti Gesù. Due atteggiamenti: quello della chiusura che ti porta all’odio, all’ira, a voler uccidere gli altri e quello dell’apertura a Dio sulla strada di Gesù, che ti fa prendere le umiliazioni, anche quelle forti, con questa letizia interiore perché stai sicuro di essere sulla strada di Gesù”.

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Francesco alla Papal Foundation: compassione, il più grande dei doni di Dio

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Papa Francesco ha ricevuto stamani la “Papal Foundation”, un organismo cattolico che dal 1988 anni sostiene nel mondo progetti caritativi a nome del Pontefice, esprimendo viva gratitudine per la sua attività. Il servizio di Sergio Centofanti

“L’ampia varietà dei progetti sostenuti dalla Fondazione – ha detto il Papa - offre testimonianza agli sforzi incessanti della Chiesa di promuovere lo sviluppo integrale della famiglia umana, cosciente com’è dei bisogni enormi e quotidiani di molti nostri fratelli e sorelle”:

“Saggiamente, la Papal Foundation destina una notevole parte delle proprie risorse all’educazione e alla formazione di giovani sacerdoti, religiosi e laici, sia uomini che donne, affrettando il giorno in cui le loro Chiese locali saranno in grado di sostenersi da sé e, anzi, di trasmettere i frutti di tale generosità ad altri”.

Il Papa esprime la sua gratitudine per il “lavoro impegnativo e il sacrificio che comporta” l’attività dell’organismo e assicura le sue preghiere:

“Mentre la Chiesa si prepara al prossimo Giubileo della Misericordia, chiedo al Signore Gesù, «volto della misericordia del Padre» (Misericordiae Vultus, 1), di rafforzare e rinnovare ciascuno di voi, mediante la sua compassione, il più grande dei suoi molti doni. Possa ciascuno di voi fare esperienza della guarigione e della libertà che vengono dall’incontro con il perdono e l’amore gratuito offerti nei sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia”.

La Papal Foundation è in Vaticano per il suo pellegrinaggio annuale, “segno devoto di comunione con la Sede di Pietro”:

“Prego perché questa esperienza approfondisca la vostra fede e vi incoraggi a darne rinnovata espressione nella vostra vita, trasmettendo questa fede una, santa, cattolica e apostolica che ci viene dagli Apostoli”.

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Celebrate in San Pietro le esequie del card. Roberto Tucci

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La comunità di lavoro della Radio Vaticana, membri della Curia Romana e familiari si sono raccolti nel pomeriggio in San Pietro per la celebrazione delle esequie del cardinale Roberto Tucci, officiate dal cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio. Al termine, il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio presieduto da Papa Francesco.

Nella sua omelia, il cardinale Sodano ha definito il cardinale Tucci “grande figlio di S. Ignazio”: “Della Compagnia di Gesù - ha detto - egli aveva voluto essere membro qui in terra. Della Compagnia di Gesù egli poteva così confidare di farne parte per sempre nei cieli”. Ha quindi affidato “la sua bell’anima nelle mani del Padre che sta nei cieli, ringraziandolo per avercelo dato come indimenticabile compagno di viaggio”.

Infine, ha ricordato le parole ispirate che Papa Francesco ha indirizzato al preposito generale della Compagnia di Gesù, dopo aver appreso la notizia della “santa morte” del cardinale Tucci: “Egli ci lascia il ricordo di una vita operosa e dinamica spesa nell’adesione coerente e generosa alla propria vocazione, quale Religioso attento alle necessità degli altri e Pastore fedele al Vangelo ed alla Chiesa, sull’esempio di S. Ignazio”. “Questa – ha concluso il decano del Collegio cardinalizio - è l’eredità che il compianto cardinale Roberto Tucci ci ha lasciato. Che il Signore gli conceda il premio riservato ai suoi servitori fedeli!”.

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Il Papa pensa a sosta a Cuba in occasione del viaggio negli Usa

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Papa Francesco “ha preso in considerazione l’idea di compiere una tappa a Cuba in occasione del suo prossimo viaggio negli Stati Uniti”: è quanto ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. “Tuttavia – ha precisato - i contatti con le autorità del Paese sono ancora ad uno stadio troppo iniziale perché oggi si possa parlare di questa tappa come di una decisione presa e di un progetto operativo”.

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Il 2 maggio il Papa al Collegio Nordamericano per Fra Junípero Serra

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Papa Francesco si recherà il prossimo 2 maggio presso il Pontificio Collegio Americano del Nord, sul Gianicolo, per celebrare la Santa Messa in occasione della Giornata di Riflessione promossa sul tema: “Fra Junípero Serra, apostolo della California, testimone di santità”. Il missionario francescano spagnolo sarà canonizzato dal Papa durante il suo prossimo viaggio negli Stati Uniti, in settembre. L’evento è organizzato congiuntamente dalla Pontificia Commissione per l’America Latina e dal Pontificio Collegio nordamericano.

Lunedì 20 aprile, alle ore 11.30, la Giornata verrà presentata nella Sala Stampa della Santa Sede. Interverranno il cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina; Guzmán Carriquiry Lecour, segretario incaricato della vice-presidenza della Pontificia Commissione per l’America Latina; padre Vincenzo Criscuolo, relatore generale della Congregazione delle Cause dei Santi; mons. James Francis Checchio, rettore del Pontificio Collegio Americano del Nord.

Padre Junípero Serra (1713 –1784), originario di Maiorca, giunse a Veracruz in Messico nel dicembre del 1749. Partito per la Sierra Gorda, è qui che dà inizio alla sua carriera missionaria. Resta otto anni in questa terra, dove tanti altri avevano fallito. Impara la lingua nativa, costruisce fattorie e laboratori, avvia gli indiani ai rudimenti delle scienze e delle arti e li istruisce alla fede cattolica.

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Papa, tweet: Maria, aiutaci a capire Dio nella sofferenza

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Papa Francesco ha lanciato un tweet dal suo account @Pontifex: “Maria, Madre dei Dolori, aiutaci a capire la volontà di Dio nei momenti di grande sofferenza”.

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Don Mellone: l’amore vince la morte, gioia immensa per il sacerdozio

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La sua vicenda ha commosso tantissimi, ben oltre i confini della Chiesa: Salvatore Mellone, 38 anni di Barletta, affetto da un male incurabile ora allo stadio terminale, è stato ordinato ieri sacerdote, il più grande desiderio della sua vita. L’ordinazione è stata possibile in tempi estremamente rapidi, per volere dell’arcivescovo locale, mons. Giovanni Battista Pichierri, che ha ottenuto il beneplacito dalla Congregazione del Clero. Nei giorni scorsi, Papa Francesco aveva chiamato il seminarista barlettano chiedendogli di benedirlo nella Messa della sua ordinazione. Alessandro Gisotti ha raccolto la straordinaria testimonianza di don Salvatore Mellone, proprio poco prima della sua prima Messa da sacerdote, celebrata stamani nella sua casa a Barletta: 

R. – Ho una grande gioia da sempre ma in modo particolare in questi giorni questa gioia sta aumentando ancora di più. Si sente molto il senso della responsabilità perché comunque il ministero presbiterale ci chiama ad essere testimoni veri di Cristo, ma comunque questa testimonianza fin quando c’è la gioia, fin quando c’è questa grande carica di misericordia che ti arriva da Dio, ti fa stare bene. A pochi momenti dalla mia prima Messa ho veramente una grande serenità, una grande pace, che mi permette di abbracciare un po’ tutti e di farmi vivere una condizione – posso dirlo con molta umiltà – di beatitudine e di vera gioia, ecco.

D. – Salvatore, l’orizzonte della morte sembra completamente cancellato da quello della vita nelle sue parole e nella sua testimonianza…

R. – Sì, perché alla fine le paure, anche le incongruenze umane, quelle restano sempre, perché siamo persone, ma la prospettiva è altra: la prospettiva è quella di un amore caritatevole che ci abbraccia. E quindi senza questo amore caritatevole che ci abbraccia anche la vita terrena stessa, anche la sofferenza stessa, non avrebbe senso. C’è questa proiezione, che non è una proiezione sterile, ma è una proiezione concreta verso un qualcosa di molto più grande, di molto più bello.

D. – Lei ha ripetuto le parole di San Paolo ieri durante l’ordinazione: “Sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio”. E’ questo che sta vivendo e che trasmette anche come messaggio magari a chi sta male?

R. – Io penso proprio questo, che man mano che si va avanti proprio nell’affrontare la malattia, giorno per giorno la malattia non è mai uguale, non è mai la stessa. Ti accorgi che comunque nonostante la difficoltà puoi andare avanti, nonostante la difficoltà c’è la speranza, c’è la bellezza di un qualcosa di molto più grande di noi. Questo qualcuno molto più grande di noi si chiama Dio, si chiama Santissima Trinità.

D. – Lei ha rivolto la prima benedizione dopo l’ordinazione a Papa Francesco: era proprio quello che le aveva chiesto il Santo Padre chiamandola al telefono…

R. – Sì, con un po’ di trepidazione e, devo essere sincero, anche un po’ di imbarazzo perché può immaginare! Però con il cuore veramente pieno di gioia perché per noi tutti è un modello e per noi tutti è un maestro. Non possiamo fare altro che seguirlo, stargli dietro e benedirlo e continuare a pregare per lui.

D. – Le dà forza, immagino, anche questa vicinanza del Santo Padre in questo momento…

R. – Certo mi dà forza e mi dà forza la vicinanza di tante persone che si uniscono nella preghiera. Questa è la cosa più bella: che si preghi e si preghi e si continui a pregare perché possano venire fuori vocazioni e possano venire fuori anche cose belle nella vita delle persone.

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Nomine di Papa Francesco alla Rota Romana

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Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, l’arcivescovo Salvatore Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, mons. Alapati Lui Mata'eliga, arcivescovo di Samoa-Apia, e il ministro presidente del Land Sassonia-Anhalt (Repubblica Federale di Germania), Reiner Haselhoff.

Il Papa ha nominato promotore di Giustizia presso il Tribunale della Rota Romana mons. Francesco Viscome, del clero dell'Arcidiocesi di Crotone-Santa Severina, finora difensore del Vincolo Sostituto del medesimo Tribunale.

Il Pontefice ha nominato difensore del Vincolo Sostituto del Tribunale della Rota Romana il sacerdote Francesco Ibba, del clero dell'Arcidiocesi di Cagliari, officiale del medesimo Tribunale.

In Venezuela, Papa Francesco ha nominato vescovo di El Vigía-San Carlos del Zulia il sacerdote Juan de Dios Peña Rojas, finora rettore del Seminario Maggiore San Buenaventura di Mérida. Il neo presule è nato a Acequias, Stato di Mérida (Venezuela), l’8 agosto 1967. Terminata la scuola superiore ha fatto ingresso nel Seminario Maggiore San Buenaventura di Mérida, dove ha frequentato i corsi di Filosofia e di Teologia (1985-1992). Poi ha ottenuto il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università Javeriana di Bogotà (Colombia). È stato ordinato sacerdote il 22 agosto 1992, incardinandosi nell’arcidiocesi di Mérida. Ha conseguito la Licenza in Teologia all’Istituto Universitario Santa Rosa de Lima di Caracas, e la Licenza in Storia della Chiesa alla Pontificia  Università Gregoriana di Roma. Ha svolto il ministero sacerdotale come Formatore nel Seminario Maggiore San Buenaventura di Mérida dal 1992 al 1995; negli stessi anni è stato Assessore della Pastorale Giovanile dell’arcidiocesi, Direttore Amministrativo della Curia Arcivescovile, Presidente dell’Istituto Scolastico del Seminario Maggiore San Buenaventura di Mérida. Nello stesso Seminario è stato Professore negli anni 1992-1995, 1996-1998, 2000-2011. È stato Parroco di Nuestra Señora de la Regla (1995-1998); Rettore di Nuestra Señora del Amparo (2000-)2010; Membro e Segretario del Consiglio Presbiterale (2002-2011); Assessore dell’Unione Arcidiocesana delle Confraternite del Santissimo Sacramento (2004-2011); Cappellano delle Suore Domenicane di Santa Rosa da Lima (2004-2010); Presidente della Commissione “Storia e Archivio” nel processo di Beatificazione e Canonizzazione della Madre Georgina Febres Cordero. Membro del Collegio dei Consultori ed anche del Capitolo Metropolitano, dal 2011 è Rettore del Seminario Maggiore San Buenaventura di Mérida.

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Vaticano: applicare leggi contro traffico di esseri umani

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È la tratta degli esseri umani – orrore più volte denunciato da Papa Francesco – l’argomento di dibattito che ha impegnato questa mattina, e fino a martedì prossimo, gli esperti giunti in Vaticano per la 21.ma sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. A seguirla c’era Francesca Sabatinelli

La Chiesa è da sempre in primo piano nel mobilitare l’opposizione alla tratta delle persone. Lo testimonia la serie di appuntamenti ad alto livello promossi da Papa Francesco che, sin dall’inizio del suo Pontificato, ha costantemente ripetuto che il traffico di esseri umani è la moderna schiavitù e che è un crimine contro l’umanità. Dopo l’appuntamento del novembre del 2013, la Pontificia Accademia delle Scienze Sociali dedica la sua sessione plenaria, da oggi e fino al 21 aprile, al “Traffico di esseri umani: questioni al di là della criminalizzazione”, un appuntamento con il quale, oltre a unire la sua voce a quella delle altre istituzioni della Santa Sede impegnate nella lotta a questo orribile fenomeno, intende fornire una agenda concreta per l’eliminazione di questo crimine contro l’umanità, sia nelle sue cause che nelle sue conseguenze. Anche in questa occasione sono presenti studiosi, docenti universitari funzionari di organizzazioni governative, compreso Gustavo Vera, amico di lunga data di Papa Francesco, presidente della Fondazione La Alameda di Buenos Aires:

Me parece que, en primer lugar…
"In primo luogo, credo che gli Stati debbano impegnarsi a difendere la vita, la libertà e la dignità delle persone, devono mantenere un atteggiamento di fermezza rispetto al tema della tratta delle persone. E questo, per me, passa non soltanto attraverso la penalizzazione dei mercanti di schiavi, di coloro che compiono la tratta, ma anche seguendo la strada del denaro, confiscando i beni della mafia e riutilizzandoli socialmente. Una legge che deve esistere in quei Paesi in cui esistono i diversi livelli della mafia, traffico di esseri umani,  tratta, narcotraffico. E’ necessario seguire la strada dei soldi, confiscare i beni della mafia e questi fondi della mafia devono poi essere utilizzati anzitutto per risarcire ed aiutare le vittime della mafia, della tratta, affinché possano essere reinserite nella società e lavorare. E lo Stato questo lo deve garantire, deve garantire una qualche forma di lavoro sostenibile per le vittime della mafia, della tratta e del lavoro-schiavo. Combattere contro la tratta delle persone significa combattere contro la mafia globale, perché in realtà la tratta è soltanto uno dei tanti aspetti del crimine organizzato. La tratta, il narcotraffico, il traffico di organi e il lavoro-schiavo sono in realtà attività mafiose, quelle che fanno recuperare soldi, calpestando la dignità, la libertà e la vita delle persone. Bisogna quindi attaccarla integralmente e attaccarla integralmente significa non soltanto affrontare la questione penale, non soltanto l’aspetto preventivo, ma anche e soprattutto l’aspetto economico. E’ necessario smantellare la base economica alla mafia e riutilizzarla a favore della società".

“Non più schiavi, ma fratelli”, questo il Messaggio di Francesco per la Giornata Mondiale della pace 2015, in cui il Papa ci ricorda i volti della schiavitù ieri e oggi, quando parla tra l’altro dei “tanti lavoratori e lavoratrici anche minori, asserviti nei diversi settori”, o delle condizioni di vita dei migranti, delle “persone costrette a prostituirsi”, di chi cade nella schiavitù sessuale, o di chi subisce matrimoni forzati. Flaminia Giovanelli, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, lo ricorda nel suo intervento:

"Certamente, il messaggio è, in sé, uno degli strumenti con i quali la Chiesa e il Papa attirano l’attenzione anche dei responsabili politici, ai quali spetta un compito molto importante in questa lotta, perché – come è stato affermato anche questa mattina – le leggi e gli strumenti giuridici esistono, ma il problema è come applicarli. Abbiamo sentito anche testimonianze molto importanti sul fatto che in certi casi non vengono applicati proprio per colpevolezza da parte degli amministratori, dei funzionari dei vari Stati. Quello che caratterizza il Messaggio di quest’anno è la concretezza e risponde molto – come ben sappiamo – anche al carattere e al temperamento del Santo Padre nel dire: “Bene, questo è il momento di agire”. Viene attirata l’attenzione sul fenomeno della schiavitù, sembra quasi un anacronismo ma oggi, invece, è ancora molto attuale, benché con forme diverse. Il messaggio espone quali siano le nuove forme di schiavitù, un elenco molto lungo e anche molto sconvolgente. E poi, dopo, si cercano alcune cause, il Papa nel Messaggio parla di alcune delle cause all’origine di questo fenomeno della tratta e della schiavitù, che verranno poi studiate in dettaglio, approfondite nel corso di questa sessione dell’Assemblea plenaria della Pontificia Accademia. Certamente, l’appello – l’abbiamo già sentito oggi – è che sì, la legislazione esiste, sia in campo nazionale che in campo internazionale, ma anche che finché non ci sarà una conversione, una presa di coscienza delle singole persone, non si arriverà a niente".

Una delle sfide più importanti per chi sostiene le persone vittime del traffico è quella di aiutarle a reintegrarsi nelle società. Sarà compito di suor Eugenia Bonetti parlarne all’Assemblea nei prossimi giorni. Suor Bonetti, missionaria della Consolata e responsabile dell'Ufficio Tratta Donne e Minori dell'Usmi, l'Unione Superiori maggiori d'Italia, da oltre vent'anni instancabilmente in lotta contro questa piaga:

"Questo convengo sta mirando a far emergere, in modo particolare, la possibilità di non continuare a discutere sulle cause, sulla realtà della schiavitù, ma a vedere in pratica che cosa stiamo facendo, dove stiamo andando. Noi abbiamo visto queste situazioni di schiavitù di bambini, di accattonaggio, di donne sfruttate sulla strada, di tratta degli esseri umani per la schiavitù del sesso, di matrimoni forzati, dell’espianto degli organi dei bambini, sono tutte forme che conosciamo. Però che cosa offriamo? Che cosa stiamo facendo per ridare a queste persone vittime di tratta l’opportunità, la possibilità di ritornare ad essere persone? La nostra società oggi, parliamo anche dell’Italia, cosa sta offrendo? Quanta gente sta facendo la "furbetta! per accaparrarsi soldi, appalti, perché sulla pelle dei poveri tutti mangiano... tranne loro! Questo è il grosso problema, che noi dovremo avere il coraggio di affrontare, di smantellare e di dire che questo è veramente un crimine contro l’umanità. Perché noi usiamo nostri poteri per sfruttare ancora i più poveri e a volte lo facciamo dietro il paravento che del volerli aiutare e del volerli assistere. Gli interessi però sono i nostri. E’ sotto gli occhi di tutti! Gli appalti per le case per i rifugiati o per gli immigrati, dove sono andati a finire questi soldi? E’ una vergona! La corruzione oggigiorno è veramente quello che sta distruggendo il nostro mondo. Qui c’è un grande lavoro da fare e questo è un lavoro della Chiesa, in modo particolare, un lavoro delle scuole, un lavoro di formazione per poter dire “No! Non ti è lecito!”. Per questo noi vogliamo in questo convegno parlare anche di come aiutare le persone a riprendere in mano la loro vita, il loro futuro, offrendo loro delle opportunità. Ciascuno ha un ruolo da compiere: il governo, la Chiesa, le istituzioni educative, le famiglie, i mass media, e quello che è importante è che ciascuno se lo prenda questo ruolo e faccia la sua parte. Per la Chiesa, l’interesse è la persona. In particolare noi religiose, che operiamo in questo campo, vogliamo essere donne a favore di altre donne. Nessuna deve essere costretta a essere schiavizzata dai nostri stessi sistemi di vita".

Tutti i partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali saranno ricevuti domani alle 12 nella Sala del Concistoro da Papa Francesco.

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Santa Sede: combattere fame superando oligopoli e colonialismo

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La situazione agricola mondiale deve essere priorità dei governi e delle istituzioni internazionali: è quanto emerge dalla presentazione, ieri presso la Radio Vaticana, del libro “Terra e cibo" pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Tra i partecipanti, il presidente del dicastero, il cardinale Peter Turkson, mons. Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana e già segretario di Giustizia e Pace, il responsabile della comunicazione istituzionale della Fao Mario Lubetkin ed esponenti di Caritas Internationalis e Coldiretti. Un libro che vuole sensibilizzare su questioni fondamentali e che - è stato ricordato - esce a poche settimane dall'apertura dell'Expo di Milano sul tema “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Il servizio di Fausta Speranza: 

Sono diversi i Paesi in cui si registra un indebolimento agricolo. La crisi degli ultimi anni, da una parte, ha accentuato il fenomeno, dall’altra, lo ha messo in luce. E se è vero che si registrano progressi nella lotta contro la fame, restano 805 milioni le persone sottoalimentate nel mondo. Non mancano gli appuntamenti internazionali, come ricorda il prof. Mario Lubetkin della Fao:

“Passaggi come il summit mondiale dell’alimentazione del 1996 a Roma, dove i Paesi si sono impegnati a dimezzare il numero totale di affamati; l’assemblea del Millennio del 2000, quando il mondo ha individuato gli otto obiettivi dello sviluppo da raggiungere nel 2015; il ‘Rio+20’, la conferenza per lo sviluppo sostenibile nel 2012, a Rio de Janeiro, e la seconda conferenza internazionale della nutrizione, organizzata l’anno scorso dalla Fao e dall’Organizzazione mondiale della sanità e a cui ha partecipato il Pontefice. Questo 2015 segna anche la fine del ciclo degli Obiettivi del Millennio e l’inizio di una nuova epoca, quella degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile”.

La tendenza è positiva: basta guardare i progressi in America Latina o Asia orientale ma ancora tanto resta da fare. Ancora il prof. Lubetkin:

“Ma la battaglia contro la fame non è vinta: anche se il cibo sulla terra è sufficiente per sfamare tutti – come lo ricorda il Pontefice – la disponibilità di cibo pro capite è aumentata nel 40 per cento negli ultimi anni, e circa 800 milioni di persone soffrono ancora la fame. Questi 800 milioni sono troppo poveri per comprare il cibo necessario, il che significa che non hanno accesso al mercato. E’ necessario garantire che tutti abbiano i mezzi necessari per produrre cibo da soli o per acquistarlo”.

Il punto centrale lo solleva mons. Mario Toso: “Il diritto al cibo – dice – è sancito dalle Carte internazionali ma non è questione prioritaria”. E parla di responsabilità:

“Ciò che risulta palese è che il maggior numero di cause della mancata effettività del diritto al cibo e alla sicurezza alimentare sono proprio da ricercarsi a livello politico-istituzionale, quindi la necessità di puntare l’attenzione su questo livello. La carenza di adeguate politiche economiche, fiscali e creditizie con la conseguente insufficienza di infrastrutture di stoccaggio, trasporto e comunicazione sono anche all’origine dell’indebolimento agricolo di numerosi Paesi”.

Capire le responsabilità per trovare soluzioni: ancora mons. Toso:

“L’universalizzazione del diritto al cibo e la sicurezza alimentare sono possibili vincendo le concentrazioni oligopolistiche, le nuove forme di latifondo e di colonialismo, le nuove ideologie che assolutizzano tecnica, consumo, mercato, profitto a breve termine, investimenti privati, natura, rispetto alla vita umana”.

A chiarire senso e obiettivo del libro, frutto del lavoro di due anni e di contributi di persone dai più diversi continenti e ambiti, è il cardinale Peter Turkson:

“Il libro 'Terra e cibo', di 150 pagine, suddivise in tre parti – vedere la situazione; giudicare e poi agire – traccia la situazione generale dell’alimentazione e dell’agricoltura nel mondo, in termini di sviluppo, carenza di cibo e povertà. Si ispira alla fede cristiana, la Bibbia e la Dottrina sociale della Chiesa per fare derivare nuove guide e regole di azione”.

Resta fondamentale considerare il tutto secondo le logiche di un umanesimo integrale che – sottolinea mons. Toso – deve partire dal rispetto della vita e deve rifiutare la tendenza moderna a commercializzare qualunque cosa.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

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Deriva di disperazione: si ingigantisce la tragedia dei profughi e migranti in Mediterraneo.

Il tempo messaggero di Dio: messa a Santa Marta.

Verità e coscienza: il Padre Nostro di Simone Wei in un articolo di Antonella Lumini

Qui si appoggiava Gesù quando predicava: Pietro Zander sulla Colonna santa nella basilica vaticana.

Il mercato non sbaglia mai: Antonio Paolucci su Caravaggio tra originali e copie.

Il mistero della Santa Maria: M. Hernandez Sanchez-Barba sull’ammiraglia di Cristoforo Colombo, mai ritrovata.

Un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo “Gatto d’autore”.

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Oggi in Primo Piano



Galantino: cristiani gettati in mare, imbarbarimento e strumentalizzazione

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La Chiesa è attonita per l’uccisione dei 12 immigrati cristiani, gettati in mare durante il viaggio dalla Libia verso l’Italia. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, parla di “imbarbarimento”. Queste le sue parole al microfono di Alessandro Guarasci

R. – C’era da aspettarselo. Alcuni discorsi che finora erano stati tenuti sul piano ideologico e l’ideologia andava ad alimentare alcuni comportamenti tenuti da elementi più o meno strutturati, più o meno tenuti insieme da gruppi, da associazioni, da clan; adesso questo tipo di discorso di rivendicazione, questo tipo di contrapposizione purtroppo basata sulla religione ma che con la religione non ha niente a che fare, viene speso a livelli spiccioli e di contrasti individuali. Ecco questo, secondo me, rappresenta un passo avanti nell’imbarbarimento, nella strumentalizzazione della religione.

D. – Ma questo vuol dire allora che l’estremismo del sedicente Stato islamico e quanto, per esempio, avviene in Nigeria, da parte di Boko Haram, sta facendo breccia in modo più ampio?

R.  – Quando gente che vive la stessa situazione di difficoltà, qual è quella di coloro i quali stanno su un barcone e tentano di raggiungere un posto che dovrebbe essere di speranza, addirittura strumentalizzano l’esperienza religiosa e il credo religioso per dover far prevaler il proprio pensiero, la propria situazione, vuol dire che sono stati interiorizzati certi ragionamenti.

D. – L’Unione Europea in qualche modo allarga le braccia, dice: non abbiamo tutti gli strumenti per accogliere un flusso di immigrati così ampio. Lei è deluso di come il Vecchio Cntinente sta reagendo in questo momento?

R. – Dire deluso, secondo me, è troppo poco, perché è evidente che qui non si vuole riflettere seriamente sulla situazione. E’ chiaro che non si può affrontare questo problema, questo dramma, con gli strumenti di sempre. Bisogna evidentemente mettere in campo altri modi di pensare, altri modi di agire, altri modi di intendersi. Qui l’alternativa è o allargare le braccia o andare a far guerra: ma possibile che non esista la possibilità per tanti Stati, per tante nazioni che hanno al loro interno energie anche intellettive e organizzative straordinarie, possibile che non siano in grado di pensare interventi che non siano quelli dell’intervento armato oppure delle braccia allargate? Io ho l’impressione veramente che si tratta soltanto di una sorta di modo elegante per lavarsi le mani di fronte a un dramma che diventerà sempre più insopportabile dall’Italia.

D. – E’ sorpreso del ruolo defilato degli Stati Uniti in tutta questa vicenda, soprattutto per quando riguarda il Nord Africa?

R. – Aspetto il momento in cui gli Stati Uniti, l’Europa ed altri dicano almeno una parola, almeno una!, di autocritica su quello che hanno fatto negli anni passati. Se siamo seri dobbiamo dire anche che gran parte di queste situazioni sono state favorite, se non proprio create da tipi di interventi incauti, da interventi dietro i quali stiamo scoprendo un poco alla volta che c’erano soltanto interessi: altro che voglia di esportare valori, altro che voglia di esportare democrazia!

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Burundi nel caos. Calunnie contro padre Claudio Marano

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“Lavoriamo per la pace senza arrenderci”. Così padre Claudio Marano, in Burundi da circa 30 anni al fianco degli ultimi, direttore del Centro giovanile Kamenge che assiste circa 45mila ragazzi. Il missionario saveriano è stato recentemente calunniato da un agente dei servizi segreti, ora in carcere per falsa testimonianza, che ha ipotizzato un suo coinvolgimento nell’uccisione delle tre suore italiane saveriane, Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernardetta Boggian, il 7 settembre scorso. Intanto, oggi è alta tensione nella capitale Bujumbura per le manifestazioni contro il presidente Pierre Nkurunziza: il capo di Stato vuole modificare la Costituzione per poter essere eletto per un terzo mandato nel voto di maggio e giugno. La Comunità internazionale e la Chiesa Cattolica hanno chiesto un passo indietro al presidente uscente per il bene del Paese, che sta candendo nel baratro della violenza con esecuzioni sommarie e attentati. Massimiliano Menichetti ha raggiunto telefonicamente a Bujumbura lo stesso padre Claudio Marano

R. – Come Centro giovani, come gente che lavora per la pace e la fraternità, abbiamo sempre avuto grandi nemici. Questo si è manifestato parecchie volte durante la guerra, quando ci accusavano di essere pro-hutu o di essere pro-tutsi e nel tempo di essere pro l’una o l’altra delle situazioni …

D. – Un uomo dei servizi segreti è andato in una radio locale e l’ha accusata di avere complottato per l’uccisione di tre suore saveriane: come sono andate le cose?

R. – Essendo responsabile del Centro Giovani Kamenge sono andato a cercare un operaio del Centro che si trovava a bere una birra in un bar; sono entrato e sono stato cinque minuti con lui per parlare di lavoro, esco e vengo accusato di aver partecipato all’incontro per uccidere le suore!

D. – Chi l’ha calunniata, ovvero questo agente dei servizi segreti, ora è in prigione …

R. – Questa persona ora è in prigione per falsa testimonianza; cinque giornalisti della radio locale, non in accordo con il loro direttore, si sono dimessi – quindi anche una reazione ad alto livello …

D. – Le è stato tirato del fango addosso e tutto sommato questa notizia già si è spenta, già è stata smentita …

R. – Sì, qui ha già perso il suo tenore. In questo momento, tutti parlano delle elezioni, tutti parlano delle manifestazioni. Oggi c'è una manifestazione dell’opposizione e le strade sono piene di blindati, di polizia, ci sono gli elicotteri che sorvolano la città … La gente rimane il più possibile a casa perché non si sa cosa possa succedere …

D. – Si avvicinano le elezioni presidenziali, fortemente contestate: qual è il clima?

R. – E’ un clima molto brutto. Chi è al governo non accetta di dialogare con l’opposizione e chi è all’opposizione presenta come unico programma l’andare contro la gente che è al governo e non accetta di parlare dei programmi. Questo significa che ci sono attentati, feriti, si mette la gente nelle fosse comuni, la si ammazza …

D. – E’ un vero e proprio clima di guerra …

R. –  La situazione è molto grave! Sono intervenuti già il segretario dell’Onu, rappresentanti dell’Unione Africana, della Comunità europea, hanno chiesto al presidente di calmare la situazione, di non presentarsi per la terza volta alle elezioni, che per altro è attualmente incostituzionale … anche la Chiesa cattolica ha chiesto al presidente di non ripresentarsi …

D. – Per potersi ripresentare il presidente ha bisogno di cambiare la Costituzione...

R. – Si. Ha tentato, a livello di deputati, ma non c’è riuscito.

D. – Lei ha fondato, e da 25 anni coordina, il Centro Giovani Kamenge: perché da così fastidio questo centro, una realtà che conta adesso oltre 44.450 iscritti?

R. – Noi, qui, cerchiamo di “aprire la testa” alla gente, ai giovani; cerchiamo di farli ragionare, cerchiamo di non dire loro: tu, perché sei cattolico devi fare così; tu, perché sei protestante devi fare così; tu, perché sei di quel partito devi fare così e tu, perché sei di quell’altro partito, devi fare cosà; in modo tale che il giovane possa essere indiscutibilmente libero e per la pace, in questo Paese. E questo disturba enormemente, perché qui si va avanti con i diktat: il presidente di quel partito ha detto questo, il presidente dell’altro partito ha detto quello, e tutti mandano al macello la gente. Adesso, per esempio, insieme all’Onu stiamo raccogliendo le firme dei giovani come impegno a non partecipare alle violenze durante le elezioni, né prima né dopo, e mentre tutti dicono di battersi, dicono di manifestare, di essere “contro” …  noi diciamo: “Mettiamoci insieme, cerchiamo di fare andare avanti il Paese”.

D. – Qual è il suo appello di fronte a questa situazione?

R. – Il mio appello attraverso i microfoni della Radio Vaticana è questo: la storia del Burundi ci ha indiscutibilmente messo davanti a 60 anni di guerre e di violenze, con centinaia e migliaia di morti; il Burundi ha bisogno di pace e visto che i giovani sono il 60 per cento della popolazione del Burundi, noi continuiamo a chiedere ai giovani di fermarsi, di sedersi, di parlare, di dialogare, di mettersi insieme, di pensare a un futuro diverso, che sia un futuro di pace.

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Grecia sull'orlo della bancarotta. No del Fmi a rinvio pagamenti

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La Grecia è sull’orlo della bancarotta: Atene è in crisi di liquidità e il prossimo mese di maggio potrebbe non avere i soldi per pagare gli stipendi dei pubblici dipendenti e le pensioni se non si arriverà a un accordo. La presidente del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, si rifiuta di ritardare il versamento da parte di Atene di circa un miliardo di euro come parte del piano di salvataggio del 2010. Sul piano sociale, in Grecia, la situazione è esplosiva. Tuttavia, l’ipotesi di un default e di una uscita della Grecia dall’euro non sembrano fare più tanta paura come in passato ai governi dell'Unione Europea. Gabriella Ceraso ne ha chiesto il motivo all’economista Francesco Carlà

R. – Perché c’è stato il tempo, qualche anno, per riorganizzate tutta una serie di cose e quindi puntano su questo. Però che sia ancora un problema grave lo vediamo dal fatto che la Grecia, sarà al centro delle discussioni del G7, assieme alla situazione in Ucraina. Quindi è un problema che è ancora sul tappeto. Anche perché ormai mi sembra che sia più che altro un problema politico, più che un problema veramente economico e finanziario. Vediamo che Varoufakis dice sempre: “Non metteteci di fronte alla scelta se finanziarie le nostre riforme e cambiare lo scenario che abbiamo ereditato dalla precedente stagione politica o il 'Grexit', cioè l’uscita dall’euro. Perché per noi deve esistere un nuovo tipo di accordo, una nuova soluzione”.

D. – Quando Varoufakis dice che la liquidità non c’è più, dice il vero?

R. – E’ vero nel senso che la liquidità la vogliono destinare alle loro riforme e quindi non al rimborso dei debiti in scadenza.

D. – Un’eventuale soluzione, appunto, del tutto straordinaria per la Grecia potrebbe creare una situazione di contagio, più che la questione del default?

R. – Ci sono almeno tre scenari per la Grecia, direi, nei prossimi 15 giorni. Lo scenario più probabile è quello che alla fine si arrivi ad un accordo, dopo questo lungo braccio di ferro tattico; lo scenario centrale è che la Grecia possa essere pilotata ad un "Grexit" o un fallimento appunto guidato; e la terza – quella più disastrosa – è che, invece, si vada ad un fallimento o ad una uscita dall’euro disordinata.

D. – Quando parla di una soluzione alternativa, di un accordo, che cosa intende?

R. – Un accordo ponte, dargli più tempo… E’ anche vero che la Grecia finora è stata molto trasparente sui suoi obiettivi: i suoi obiettivi sono fondamentalmente di avere un taglio del debito, di avere molto più tempo e poter fare le riforme economiche, finanziarie e sociali che hanno promesso in campagna elettorale.

D. – Cosa insegna il caso della Grecia?

R. – Nessun meccanismo finanziario, quando si tratta di gestire una situazione come quella greca, in cui sono coinvolte questioni finanziarie, economiche, politiche e di crescita e politiche, è una soluzione ideale. Quello che noi vediamo da un punto di vista tecnico, da un punto di vista finanziario è la situazione attuale – ad esempio – dei Titoli di Stato greci: il triennale, cioè il Titolo di Stato greco che scade fra tre anni – ha un rendimento, in questo momento, del 26 per cento; mentre il decennale ha un rendimento del 12, 4 per cento. Questo cosa vuol dire? Vuol dire che i mercati scontano una specie di fallimento greco oppure una uscita della Grecia dall’euro, che potrebbero anche non essere la stessa cosa, entro i prossimi tre anni.

D. – A livello monetario: l’euro con la sua svalutazione ha già inglobato questa possibile uscita della Grecia? L’ha già preventivata? O un’uscita potrebbe portare ad una parità col dollaro e quindi ad un cambiamento ulteriore sotto questo punto di vista?

R. – La parità con il dollaro in questo momento non è poi così lontana: i punti che mancano non sono moltissimi… Di certo io credo che ci saranno ulteriori volatilità monetarie. Io non so quanto la Grecia, da questo punto di vista, possa essere molto importante. Quello che posso sottolineare è che nel frattempo lo spread – il famoso spread, di cui però non si parla più in giro; sembra che sia una malattia dalla quale sono tutti guariti – per la Grecia è a 1225 punti e ricordo che a 570 Berlusconi salì al Quirinale per rassegnare le dimissioni.

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Kenya. MsF: inaccettabile chiusura campo profughi di Dadaab

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Le autorità keniane chiedono la chiusura del campo profughi di Dadaab che ospita 350.000 persone, il più grande al mondo. Da più di 20 anni il campo ha accolto generazioni di somali in fuga dal proprio Paese, il rimpatrio forzato avrebbe dunque conseguenze disastrose. Ce ne parla Loris De Filippi, presidente di Medici senza Frontiere Italia, al microfono di Claudia Minici

R. – Non ci sono vere alternative alla vita di queste 350 mila persone che vivono, sì, in condizioni difficilissime, ma sempre migliori che un futuro in Somalia, vista l’instabilità di quel Paese. Basti pensare che noi siamo quasi in tutti Paesi del mondo in conflitto, ma per quanto riguarda la Somalia, da un anno non lavoriamo più con operatori internazionali proprio per la difficoltà e la mancanza di sicurezza in quel Paese. Quindi, immaginare 350 mila persone che vengano in qualche modo rimesse in quel contesto difficile e per alcuni di loro assolutamente letale è un atto di inciviltà dal nostro punto di vista, è inaccettabile.

D. – Quali sono le motivazioni?

R. – Sulle scelte fatte dal governo keniota bisognerebbe verificare con loro. E’ evidente che è una situazione difficile anche per la loro sicurezza interna. I fatti di Garissa potrebbero aver spinto in qualche maniera riflessioni su questo punto di vista. Sicuramente non è una soluzione. Queste persone in un modo o nell’altro devono permanere all’interno dei campi fin tanto che non si trovi una collocazione più adeguata. Ma in questo momento pensare al più grande campo profughi del mondo che in quattro e quattr’otto venga smantellato è una cosa fuori da ogni discussione.

D. - E’ necessario dunque l’intervento della comunità internazionale?

R. – Sicuramente questo lo chiedevamo già con forza negli anni scorsi. Ovviamente gli standard in quel campo, per mantenersi tali, hanno un bisogno molto importante di fondi, di finanziamenti. Si parla di affaticamento dei donatori proprio perché in queste condizioni, che permangono stabili ormai dal ’92, è difficilissimo che la comunità internazionale continui a finanziare, perché appunto ritiene che dovrebbero esserci altre soluzioni. Ma non ci sono. Quindi in questo momento io non vedo alternative al finanziamento di questo campo, a meno che appunto non ci siano soluzioni alternative nel breve.

D. – La campagna “Milioni di passi” si occupa dei rifugiati di guerra. Di cosa si tratta?

R. – Questo è un esempio concretissimo: 51 milioni di persone in fuga, di questi 51 milioni, 350 mila stanno a Dadaab, e noi vogliamo evidenziare questa situazione. E’ una situazione difficilissima in cui moltissime persone si ritrovano e spesso e volentieri la nostra opinione pubblica invece si interessa quasi esclusivamente del problema migranti quando arrivano sulle nostre coste. Arrivano sulle nostre coste perché vivono situazioni di quel tipo lì, drammatiche, situazioni in cui la vita ogni giorno è messa in pericolo da malattie, da una situazione di stenti e spesso e volentieri da guerre. Per questo motivo noi vogliamo richiamare l’attenzione pubblica, andando a stimolare le persone a guardare quali sono le cause di partenza di questi milioni di persone che tentano di salvare la propria vita e la vita dei loro figli.

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Card. Scherer: Brasile ha bisogno di riforma politica profonda

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Si è aperta mercoledì scorso, ad Aparecida, la 53.ma Assemblea generale della Conferenza episcopale brasiliana. Al centro della plenaria, le nuove direttive pastorali sull’evangelizzazione, secondo le linee indicate da Papa Francesco, e il rinnovo dei vertici dell’organismo. I vescovi rifletteranno anche sulle proposte per una riforma politica nel Paese. Ascoltiamo il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo metropolita di San Paolo, al microfono del nostro inviato Silvonei Protz

R. – Insieme a più di cento organismi della società brasiliana partecipiamo ad una proposta di riforma politica che ha l’intenzione di migliorare la struttura politica del Paese per correggere certe deviazioni o possibilità di deviazioni, di corruzione o cose che non funzionano bene nella vita politica. Quindi in questo caso stiamo sostenendo una proposta di riforma politica democratica che prevede la correzione di certi vizi della politica brasiliana ormai riconosciuti, ma a cui è molto difficile far fronte perché per fare i cambiamenti nella struttura politica brasiliana servono leggi approvate dal parlamento e, a stento, quest’ultimo vuole approvare le leggi che apportano queste modifiche nella vita politica brasiliana. Perciò noi facciamo anche un lavoro di presa di coscienza di tutta la società brasiliana affinché partecipi, aiuti a spingere perché una legge buona di riforma politica sia varata nel nostro parlamento. Per questo motivo anche il movimento all’interno della Conferenza episcopale, sostenuto dalla maggioranza dei vescovi, è in favore di una riforma politica profonda, un progetto di legge, un disegno di legge che dovrà partire dall’iniziativa popolare e non del parlamento, un progetto che – certamente - deve essere comunque introdotto nel parlamento e speriamo che questo ne tenga conto. Questo disegno di legge avrebbe la possibilità di apportare dei cambiamenti positivi nella vita politica brasiliana: il Brasile ha veramente bisogno di questo.

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Esuberi Indesit. Mons. Vecerrica: siano tutelate le famiglie

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È proseguito tutta la notte il presidio in fabbrica degli operai Indesit di Carinaro, a Caserta, che ieri la multinazionale Whirlpool ha annunciato di voler chiudere. La decisione rientra in un piano di ristrutturazione che coinvolge anche gli altri stabilimenti. I dettagli nel servizio di Roberta Barbi: 

“Il migliore dei piani possibili”, ha definito quello presentato ieri, l’ad di Whirlpool Italia, Davide Castiglioni, con investimenti quadriennali da 500 milioni di euro e trasferimenti di produzioni dall’estero, ma è un piano che individua anche 1.350 esuberi. Per farvi fronte, l’azienda ha deciso la chiusura di tre stabilimenti: Carinaro, in provincia di Caserta, Albacina, frazione di Fabriano, e None, vicino Torino. I sindacati respingono il piano ed esortano a fare ogni sforzo, come spiega Giuseppe Farina, segretario generale di Fim-Cisl:

“Il piano presentato da Whirlpool è davvero come una doccia gelata. Solo due anni fa avevamo regolato con Indesit, con la vecchia proprietà. L’equilibrio prevedeva in ogni caso il mantenimento dei livelli occupazionali, come il fatto che non si procedesse a licenziamenti e ulteriori riduzioni almeno fino al 2018”.

Dura anche la reazione del governo, con il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, e il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, che si dicono contrarie a licenziamenti unilaterali. Proprio il governo era stato tra le parti dell’accordo raggiunto due anni fa, come ricorda ancora Farina:

“Io ricordo che l’accordo Indesit fu sottoscritto anche dal Ministero dello Sviluppo economico. Prima ancora che un problema con il sindacato, credo che la Whirlpool debba chiarire i propri comportamenti e le proprie scelte con il governo. Io posso capire che ci possa essere un problema che può riguardare il fatto che il mercato non è in ripresa e che quindi il tema dell’occupazione rimanga un problema aperto. Quello che non è assolutamente discutibile è il fatto che si ridisegni un assetto che alla fine sacrifica quello che faticosamente abbiamo tenuto in vita con l’accordo di due anni fa”.

Se preoccupa molto il caso di Carinaro, che s’inserisce in un contesto economico e sociale come quello del Mezzogiorno, già molto provato dalla crisi, anche a Fabriano la situazione non è rosea: verrà chiuso l’impianto di Albacina e tenuto in vita quello di Melano. Ma non tutti gli operai saranno trasferiti, molti saranno messi in mobilità. Ieri, il vescovo di Fabriano-Matelica, mons. Giancarlo Vecerrica, ha fatto visita agli operai che stavano manifestando sulla Provinciale 256 per portare la propria solidarietà:

“Li ho trovati tutti preoccupati per il loro futuro. Mi hanno accolto con tanta attenzione perché hanno avuto sempre nel passato questa sensazione che la Chiesa cammina con loro. La cosa che più mi ha colpito è stata questa voce ricorrente che la preoccupazione era non tanto a livello personale, ma a livello familiare”.

Una testimonianza importante, quella del presule, che da sempre nel suo ministero di pastore è stato vicino ai lavoratori e quindi ha molto chiare quali siano le loro esigenze:

“Primo, la salvaguardia della persona e della famiglia. Secondo, la chiarezza: dobbiamo parlare chiaro ai lavoratori, non ingannarli, non illuderli, ma coinvolgerli. Terzo, la supplica alle autorità civili, religiose, e al vescovo come pastore della diocesi: la supplica a fare il possibile. Il pastore deve stare con il popolo e non chiuso nel suo ufficio. Fabriano era la patria del lavoro, poi, in poco tempo, è precipitato sulla città e nella diocesi il dramma della cassa integrazione, del licenziamento, del disastro delle nostre famiglie”.

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Bologna, leader interreligiosi pregano insieme per la pace

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Ebrei, islamici e cristiani per la pace. Ieri sera, a Bologna, un incontro ha visto le tre comunità religiose pregare insieme sull’esempio di quanto accaduto nei Giardini Vaticani lo scorso 8 giugno, alla presenza di Papa Francesco, del Patriarca ortodosso ecumenico, Bartolomeo I e dei presidenti di Israele, Shimon Peres, e dello Stato di Palestina, Abu Mazen. Da Bologna, Luca Tentori

Un gesto controcorrente rispetto alla cronaca degli ultimi mesi, che vede la violenza esplodere in nome della religione. Una preghiera comune per chiedere la pace, un abbraccio fraterno. Ieri sera, a Bologna, un centinaio di rappresentanti delle tre grandi religioni monoteiste presenti in città si sono ritrovati nel giardino della residenza vescovile. Ad accompagnare l’incontro, brani della Bibbia, del Corano e delle differenti tradizioni spirituali. L’invito era partito proprio dall’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, che così ha espresso le sue preoccupazioni su quanto sta avvenendo nel mondo:

“Siamo arrivati ancora una volta a disprezzare talmente Dio da farne uso per uccidere l’uomo. E a disprezzare talmente l’uomo da fargli credere che Dio è in fondo inutile per la sua vita. Noi, figli di Abramo, che questa sera qui ci siamo ritrovati, vogliamo che questo cammino sia interrotto, che l’uomo riconosca il suo Signore. Che l’uomo riconosca in ogni uomo l’immagine di Dio, che l’uomo sia per ogni uomo 'res sacra', una cosa santa. Cosicché, acquisiamo la consapevolezza che ogni violazione della dignità di una persona umana ha il carattere anche del sacrilegio”.

A riprendere le sue parole, al termine della preghiera, anche il coordinatore della comunità islamica locale, Yassine Lafram:

“Oggi, abbiamo bisogno più che mai di maggior comunicazione. Oggi, il dialogo non è più un’opzione, non è più una cultura stagionale. Oggi, il dialogo è qualcosa di necessario. Abbiamo bisogno di parlarci, abbiamo bisogno di conoscerci, abbiamo bisogno di stringerci le mani, abbiamo bisogno di riconoscerci l’uno nell’altro e di riconoscere l’uno e l’altro. Altrimenti, rischiamo di fare il gioco di quelli che vogliono male, di quelli che ci vogliono vedere nemici, di quelli che ci vogliono vedere gli uni contro gli altri”.

“Shalom! Pace!” è il saluto ebraico che augura ogni pienezza a quanti si incontrano lungo il cammino. A spiegarne il senso il rabbino capo della città, Alberto Sermoneta:

“Parlare di pace non è mai stata una cosa semplice. Da quando il mondo fu creato in tutto il suo immenso splendore e perfetta armonia, l’uomo – seppur fatto a perfetta immagine e somiglianza divina – ha dimostrato invece la propria precarietà, adottando atteggiamenti e comportamenti troppo spesso contenziosi con i propri simili. Nel corso della storia dell’umanità, più volte abbiamo ascoltato da parte degli uomini pronunciare la parola pace, ma altrettante volte, purtroppo, essa è stata macchiata con il sangue delle guerre”.

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Perugia. Festival giornalismo: l'Is e la strategia dei media

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Al Festival internazionale del giornalismo in corso a Perugia, uno degli incontri della mattinata è stato dedicato al modo in cui il terrorismo di matrice musulmana, e in particolare gli strateghi del cosiddetto Stato islamico, utilizzi i media, in particolare il web. Al microfono della nostra inviata, Antonella Palermo, una delle partecipanti all’incontro, Sarah Varetto, direttore di Sky TG24, spiega come sia nata l’idea: 

“L’idea ci è venuta insieme agli organizzatori perché crediamo sia un tema fondamentale quello di interrogarci e di capire non solo come giornalisti, ma anche dal punto di vista di un approccio più generale, quelli che sono scopi obiettivi di una strategia comunicativa che è stata scelta da parte dello Stato islamico e poi in che maniera i media italiani, ma anche europei e internazionali, stanno affrontando queste tematiche e soprattutto i rischi che portano con sé. Noi, personalmente, a Sky Tg24 abbiamo deciso e scelto sin dalla fine di agosto – appena arrivato il primo video con l’uccisione dell’ostaggio, James Foley – di non trasmettere assolutamente nulla: da noi, su TG24, non avete mai visto alcun video dell’orrore perché crediamo profondamente che per condannarlo l’orrore non serva condividerlo e che soprattutto non si vuole rischiare neppure per un momento di fare da grancassa a quelli che sono i venditori di morte. Quindi, su questo noi abbiamo una posizione molto netta. Pensavamo, però, che fosse anche interessante confrontarci sulla tematica e capire anche quelle che possono essere le ripercussioni di queste scelte di fronte al fatto che magari altri media, per ragioni diverse, hanno deciso invece di continuare a trasmettere questi messaggi, magari con l’alibi del ‘tanto sono comunque reperibili sul web’. Però, allora la domanda che mi faccio è: l’intermediazione giornalistica a che cosa serve se non anche, in qualche maniera, a fare da interpreti della realtà, senza mai manipolarla o alterarla, ma sicuramente a fare da filtro anche nella verifica della correttezza di certe informazioni che arrivano? Perché è talmente frammentata la loro realtà comunicativa – quella dei tagliagole dello Stato islamico – che anche in questo bisogna avere grande cautela quando si trasmettono poi certe informazioni al pubblico”.

A Lucio Caracciolo, direttore della rivista “Limes”, Antonella Palermo ha chiesto quale rischio rilevi, nei media italiani e occidentali, nel modo di riferire i fatti legati al terrorismo islamico: 

R. – Il tratto comune è, a mio avviso, quello dell’enfasi e della semplificazione: questo è un po’ il rischio. Perché sono proprio l’enfasi e la semplificazione che fanno il gioco del sedicente Stato islamico: enfasi dell’aspetto violento, dell’aspetto terroristico, quindi moltiplicazione della paura e moltiplicazione degli effetti incontrollabili per definizione della paura. Forse, un approccio più cauto e anche più sereno a questi eventi contribuirebbe intanto a farli capire e poi anche a contenerne gli effetti potenzialmente devastanti sulle nostre culture.

D. – Cosa potrebbe aiutare i giornalisti ad avere lenti di approfondimento più adeguate a raccontare questo evolversi così drammatico?

R. – Nel medio periodo, bisognerebbe abituarci tutti a scavare un po’ più in profondità, a fare un po’ di archeologia del sapere, insomma – storia, geografia, culture di quei Paesi… Altrimenti, non riusciamo a capire e ci fermiamo alle immagini del sangue – ammesso che sia possibile, poi, capire fino in fondo, e non è così facile. In secondo luogo, il controllo delle fonti: noi attribuiamo al cosiddetto Stato islamico una quantità di cose, comprese immagini dell’orrore, che non sono state prodotte dallo Stato islamico.

Anche il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, invoca uno studio più accurato della materia, mettendo in guardia i media dal farsi inavvertitamente manipolare dallo Stato islamico: 

“Quello che sembra chiaro è che ci sia una strategia mediatica di diffusione di queste notizie usate proprio a fine terrorismo, nel senso etimologico. Quindi, da una parte bisogna stare molto attenti a non farsi strumento di questa strategia, dall’altra è necessaria una preparazione specialistica, perché si tratta di mondi culturali molto diversi che vanno avvicinati con gli strumenti necessari”. 

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Nella Chiesa e nel mondo



Pakistan. Spari contro una scuola cattolica a Lahore: 3 feriti

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Questa mattina uomini armati hanno aperto il fuoco su un istituto scolastico di Lahore, la “St Francis High School”, liceo cattolico situato nel quartiere di Bahar, nell’area di Anarkali. Lo riferisce l’agenzia Fides da fonti della Chiesa locale. Uno studente e due guardie di sicurezza sono rimasti feriti e sono ricoverati in ospedale. Le motivazioni dell'attacco non sono state ancora accertate, e ci sono indagini in corso. Le autorità hanno chiuso in via preventiva sia la “San Francis High School”, sia la contigua “St Mary High School”, liceo maschile il primo, femminile il secondo. 

L'attacco ad una delle migliori scuole superiori della città
“Il nuovo attacco testimonia il netto peggioramento della situazione dei cristiani in Pakistan e diffonde altra paura” nota a Fides l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill. La “St Francis High School” è stata fondata dalla Chiesa cattolica nel 1842 ed è stata la prima scuola cattolica di Lahore. Il governo pakistano ha nazionalizzato l’istituto nel 1972. La scuola è considerata una delle migliori scuole superiori della città.

L'Istituto restituito alla Diocesi di Lahore nel novembre scorso
Delle 17 scuole cattoliche esistenti a Lahore, nel 2004, con la leadership di Pervez Musharraf, 16 sono state restituite alla Chiesa, tranne l’istituto St Francis, data una disputa sulla proprietà del terreno, in quanto la Chiesa non era in grado di dimostrarne il possesso. L’istituto è stato al centro di una controversia giuridica, che ha visto rischiare anche l’abbattimento dell’edificio, per interessi e speculazioni edili. A novembre 2014 il governo lo aveva restituito alla diocesi di Lahore. (P.A.)

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Iraq: l'Is devasta il più antico cimitero cristiano di Mosul

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I miliziani del sedicente Stato Islamico (Is) che dallo scorso giugno controllano Mosul, hanno devastato il più antico cimitero cristiano della città, pubblicando su internet le foto delle distruzioni delle lapidi e delle croci come prove documentali della campagna mirante a “sradicare i simboli pagani”. Le foto delle tombe profanate sono state pubblicate su diversi siti jihadisti. Il cimitero - riferisce l'agenzia Fides - si trova presso la cattedrale siro ortodossa, dedicata a San Tommaso apostolo, e ospitava anche molte tombe di soldati cristiani morti durante la guerra Iraq-Iran degli anni Ottanta. (G.V.)

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Sudafrica: condanna dei vescovi per le violenze xenofobe

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I vescovi sudafricani condannano le recenti ondate di violenza xenofoba che hanno insanguinato Durban, provocando la morte di almeno quattro persone. “La Southern African Catholic Bishops’ Conference (Sacbc) ha osservato con tristezza le violenze xenofobe a Durban che l’arcivescovo del luogo, il card. Wilfrid Napier, ha già condannato” afferma una nota firmata da mons. William Slattery, arcivescovo di Pretoria e portavoce della Sacbc.

Diffondere pubblicamente il valore dell’ospitalità radicato nella cultura Zulu
Le violenze sono esplose dopo che la stampa locale aveva riportato alcune affermazioni del re degli Zulu, Goodwill Zwelithini, secondo le quali gli stranieri dovevano andarsene dal Sudafrica. In seguito il leader tradizionale degli Zulu (al quale la Costituzione riconosce un ruolo simbolico e cerimoniale) aveva affermato che le sue parole erano state male interpretate. “Mentre riconosciamo che le esternazioni da parte di Sua Maestà, il re della nazione Zulu, non hanno mai significato né previsto queste violenze, crediamo che debba condannare categoricamente gli atti violenti e diffondere pubblicamente il valore dell’ospitalità radicato nella cultura Zulu” afferma il messaggio.

Tensioni tra autoctoni e immigrati all'origine delle violenze
All’origine delle violenze c’è una guerra tra poveri: su 50 milioni di abitanti, il Sudafrica conta 5 milioni di immigrati provenienti da Paesi in difficoltà come Somalia, Etiopia, Zimbabwe e Malawi, e persino da Cina e Pakistan. Con un alto tasso di disoccupazione si sono create forti tensioni tra autoctoni e immigrati, molti dei quali sono dediti al crimine. “Comprendiamo la rabbia della popolazione verso gli stranieri per ragioni legittime” scrivono i vescovi. “Siamo però una nazione di pace, che ha vinto l’apartheid con un uso molto limitato della violenza ed un accordo che è stato raggiunto pacificamente”.

Appello al governo di intervenire
Il messaggio invita gli stranieri a non commettere crimini e avverte tutti ad un uso responsabile dei social media per evitare di diffondere messaggi di odio. I vescovi concludono chiedendo al governo di intervenire per identificare chi incita agli scontri e ad affrontare “i problemi che generano il contesto di queste terribili violenze”. (L.M.)

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Vescovi Messico: affrontare le sfide sociali e istituzionali

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I vescovi messicani stanno preparando un messaggio, in vista delle elezioni del 7 giugno, nel quale sottolineeranno che per affrontare le sfide in campo sociale e istituzionale, la società deve partecipare attivamente al processo democratico. Lo ha comunicato, nel corso di una conferenza stampa in occasione della 99.ma Assemblea plenaria della Conferenza episcopale messicana (Cem), il Segretario generale, mons. Eugenio Lira Rugarcía, vescovo ausiliare di Puebla.

Informarsi per dare un voto libero e responsabile
"L'idea è di invitare tutti a capire che dobbiamo affrontare le sfide senza perdere coraggio, senza fuggire, ma partecipando, e facendolo in modo molto concreto, con un voto che deve essere informato: dobbiamo conoscere i candidati, i partiti, ciò che propongono, per riflettere e così dialogare con la comunità, per poi dare un voto libero e responsabile" ha detto mons. Lira Rugarcía.

I vescovi invitano alla fiducia ed alla responsabilità
Il Segretario Generale della Cem ha letto poi il documento preparato dai vescovi in occasione di questa Assemblea dell’episcopato, intitolato “Senza fiducia e partecipazione non si può andare avanti!”. Il breve testo invita tutti a riflettere sulla fiducia necessaria per risolvere, insieme, tutti i problemi. "Un popolo senza fiducia genera indifferenza, sconforto o aggressività – è scritto nel documento inviato a Fides -. Tutti devono educare alla fiducia con l'esempio. Ognuno deve compiere il proprio dovere con responsabilità, in modo legale, con onestà e solidarietà. Non possiamo abituarci a ciò che distrugge la dignità umana e il valore della vita: l'ingiustizia, la corruzione, la violenza, l'impunità ... Tutto questo provoca sfiducia e scoraggia la partecipazione. I messicani non possono tollerare coloro che cercano il potere solo per i propri interessi.”

Oggi la conclusione dell'Assemblea
​La 99.ma Assemblea plenaria della Cem, iniziata il 14 aprile sul tema “I giovani destinatari e protagonisti della Nuova Evangelizzazione nel contesto sociale post-moderno”, conclude oggi i suoi lavori. (C.E.)

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Vescovi Bolivia: la crisi può avere ricadute sui poveri

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Il presidente della Conferenza episcopale della Bolivia (Ceb), mons. Oscar Aparicio, neo arcivescovo di Cochabamba, ha messo in guardia sui possibili effetti nel Paese della crisi economica globale, e ha espresso preoccupazione per la corruzione ed il malfunzionamento della giustizia, che ha accusato di essere "altamente politicizzata". Dinanzi al rallentamento della crescita economica mondiale, "la Bolivia non fa eccezione e questo provoca un certo timore" ha detto mons. Aparicio nella nota ripresa dall'agenzia Fides. Aprendo la riunione annuale dei vescovi della Bolivia, il 15 aprile scorso, l’arcivescovo di Cochabamba ha espresso la preoccupazione dei vescovi per le possibili conseguenze del rallentamento economico, e che queste vengano a ricadere "soprattutto su coloro che sono sempre puniti in ogni crisi, vale a dire i più poveri e gli esclusi dallo sviluppo".

Non assecondare i tentativi dei politici di giustificare la corruzione
Mons. Aparicio ha chiesto ai vescovi di non assecondare i tentativi dei politici di giustificare la corruzione e di contribuire alla sua eradicazione, perché questa si sta espandendo con forza, sia in America Latina che in Bolivia. Secondo la stampa locale, la Bolivia prevede di mantenere una crescita economica del 5%, una delle più forti in America Latina quest'anno, secondo le previsioni del Ministero dell'Economia.

Diversi i casi di corruzione
Sono diversi i casi di corruzione venuti alla luce nel Paese negli ultimi tempi. Uno dei più clamorosi è il caso di un furto di denaro pubblico in un Fondo contadino. L'indagine punta a importanti leader contadini legati al Presidente Evo Morales, tra cui l'ex candidato a governatore di La Paz, Felipa Huanca, che ha perso le elezioni a marzo scorso, presumibilmente proprio per queste accuse. La 99.ma Assemblea dei vescovi si conclude oggi, con una Messa nella cattedrale. I temi principali dell’incontro sono stati la visita del Papa e la situazione della Chiesa nel Paese. (C.E.)

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Card. Grocholewski: 5 priorità della pastorale universitaria

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“Nel processo di educazione non basta trasmettere scienza e capacità, ma bisogna formare la nuova generazione in modo che voglia e sappia usare le conoscenze e le capacità acquisite per costruire il bene e non fare il male”. Così il card. Zenon Grocholewski, prefetto emerito della Congregazione per l’educazione cattolica, intervenuto al congresso di pastorale universitaria che si è aperto ieri pomeriggio a Lodz, in Polonia, per iniziativa del Consiglio delle Conferenze episcopali europe, fino al 19 aprile. 

Nel contesto del relativismo: norme etiche e morali oggettive
Per il cardinale - riporta l'agenzia Sir - un’adeguata formazione degli studenti universitari è uno dei cinque ambiti prioritari dell’attività della pastorale universitaria. “La sola scienza e le capacità - afferma - non bastano a garantire il vero progresso dell’umanità, perché il loro uso disonesto conduce a un terribile regresso dell’uomo, nella direzione della più primitiva barbarie”, ma esigono “un proporzionale sviluppo della vita morale e dell’etica”. Nell’attuale relativismo morale il porporato individua il secondo punto della pastorale universitaria. Un relativismo “pericoloso, perché rende di fatto impossibile la vera formazione dell’uomo. Se non ci sono norme morali oggettive, manca anche qualsiasi punto di riferimento credibile, chiaro, secondo il quale formare le persone, e ciò conduce a confusione e disorientamento. Per il card. Grocholewski, la pastorale universitaria, “partendo dai principi di diritto naturale, propone le norme morali chiare, capaci di formare le persone nella dimensione integrale, cioè sia umana che spirituale nonché, come conseguenza, anche professionale”. 

Realizzazione dell'amore e sintesi tra fede e cultura
Terzo punto nell’agenda del porporato “la realizzazione dell’amore”, quale “più alta espressione della pastorale universitaria”. Quanto più essa “è l’espressione di questo amore - avverte - tanto più sarà creativa ed efficace nella prospettiva del vero progresso dell’umanità”.  Il quarto punto è la promozione della cultura. Il cardinale invita i responsabili nazionali di pastorale universitaria a occuparsi di quella sintesi tra fede e cultura cara a San Giovanni Paolo II e ricorda che “la cultura è un mezzo e non un fine a se stesso; mezzo per raggiungere l’umanesimo integrale, il bene di ogni uomo e di tutti gli uomini”. 

Pastorale universitaria: opera di evangelizzazione
​Con il quinto punto il cardinale mostra la via per giungere all’umanesimo integrale “soltanto mostrando Cristo, conducendo la gente a Cristo, riveliamo ad essi la più adeguata strada per giungere alla pienezza dell’umanità, per purificare e arricchire ogni cultura”. In questo senso, conclude Grocholewski, “la pastorale universitaria diventi pieno impegno nell’opera di evangelizzazione”. (R.P.)

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Convegno sulla teologia della storia in San Bonaventura

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La teologia della storia in san Bonaventura, che ha suscitato l’approfondimento teoretico di Joseph Ratzinger fin dagli anni Cinquanta del secolo scorso, è stato al centro di un convegno promosso ieri dall’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dalla Cattedra Marco Arosio di Alti studi medievali  e organizzato dalla sua facoltà di Filosofia.

Cristo non è più la fine, ma il centro della storia
Riflettendo sull’affermazione del Santo francescano: “le opere di Cristo non vanno indietro, non vengono meno, ma progrediscono” (Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt), Papa Benedetto XVI ha affermato che “così egli ha formulato esplicitamente l’idea di progresso, una novità in confronto ai Padri della Chiesa e a gran parte dei suoi contemporanei… Cristo non è più la fine, ma il centro della storia; con Cristo la storia non finisce, ma comincia un nuovo periodo”.  Le relazioni del convegno sono state svolte da docenti dell’Università Cattolica di Milano (prof. Alessandro Ghisalberti), della Pontificia Università Gregoriana (prof. Andrea Di Maio), dell’Università degli Studi di Trieste (prof. Antonio Russo) e dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ( prof. Carmelo Pandolfi, Alex Yeung e Pedro Barrajón) .

Il messaggio di Benedetto XVI
​Due le coincidenze:  l’88.mo genetliaco di papa Benedetto XVI  che ha inviato un messaggio ai partecipanti, assicurando di esser loro spiritualmente vicino,  e la costituzione dell’Associazione di studi medievistici e metafisici volta a riunire e animare accademici e giovani docenti e ricercatori, stimolati in questi ultimi anni dal Premio Marco Arosio. Vincitori di questa ultima edizione, la quarta, sono stati ex-aequo i dottori  Germana Chemi e Luca Gili. (A cura di Graziano Motta)

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Gregoriana: incontro sul card. Špidlík a 5 anni dalla scomparsa

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In occasione dei 5 anni dalla morte del card. Tomáš Špidlík, il Centro Aletti ha organizzato ieri, 16 aprile, presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma, un appuntamento di riflessione e di preghiera dal titolo “Raccogliere il mantello di Elia”. Questo appuntamento è stato seguito dalla celebrazione eucaristica nella Basilica di San Marco a Piazza Venezia.

Il padre gesuita Milan Žust, superiore del Centro Aletti e decano della Facoltà di Missiologia presso la Pontificia Università Gregoriana, ricorda nell’occasione che il cardinale Špidlík, gesuita ceco, ha vissuto e lavorato a Roma per più di mezzo secolo, dedicandosi alla conoscenza e all'insegnamento della spiritualità dell’Oriente cristiano. Ha collaborato con il programma ceco della Radio Vaticana preparando i commenti al Vangelo. Negli ultimi 20 anni, il porporato ha collaborato alla missione del Centro Aletti, che ora sta cercando di promuovere creativamente l’eredità del cardinale Špidlík.

Durante l’incontro si è voluto ricordare padre Špidlík soprattutto attraverso ciò che sta nascendo  grazie alle sue parole e alla sua testimonianza di vita. C’è un forte desiderio affinché l’eredità teologico-spirituale che p. Špidlík ha lasciato, possa aiutare ad una visione integrale sulla vita, che comprenda teologia, spiritualità, arte, cultura e altri aspetti della vita.

Dopo il discorso introduttivo del rettore della Pontificia Università Gregoriana, padre Francois-Xavier Dumortier, è stato proiettato un documentario in cui le immagini e le parole di p. Špidlík s’intrecciano con le immagini della vita nei vari ambiti del Centro Aletti e con le testimonianze di coloro che s’ispirano all'esempio e alle parole del gesuita.

Poi gli interventi di due allievi di p. Špidlík, che negli ultimi anni gli sono stati più vicini: in primo luogo Maria Campatelli, direttrice della Casa editrice Lipa e dell’Atelier di teologia che porta il nome del cardinale. Ha sottolineato come p. Špidlík stesso sia entrato nella Tradizione della Chiesa indivisa e ha raccolto molte perle preziose che ancora oggi ci ispirano. In seguito p. Marko Rupnik, direttore del Centro Aletti, ha presentato la convinzione di p. Špidlík che il "primo amore" della teologia è l’arte e non altro, per esempio la filosofia, come di solito si pensa.

In questa occasione è stata organizzata anche una mostra della Casa editrice Lipa, che ha pubblicato gran parte dei libri recenti del p. Špidlík e che pubblica anche il lavoro di coloro che conservano e sviluppano la sua eredità. Nell’omelia della Santa Messa nella Basilica di San Marco a Piazza Venezia, mons. Giacomo Morandi, sacerdote da Modena e collaboratore di lunga data del Centro Aletti, ha sottolineato come la testimonianza di p. Špidlík s’intrecci con la Parola di Dio e come la sua eredità ancora oggi rimanga attuale. (A cura di padre Ivan Herceg)

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Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIX no. 107

E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sul sito http://it.radiovaticana.va

Segreteria di redazione: Gloria Fontana, Mara Gentili, Anna Poce e Beatrice Filibeck, con la collaborazione di Barbara Innocenti.